Il conflict manager una nuova professione

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Nuovo Master eCampus in A.D.R.

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“ (…)

Il Conflict Manager: Presupposti per una professione.

Quando si parla di “conflitto costruttivo” ci si riferisce ad un approccio diverso operato dalle

stesse parti in causa, che colgono le diversità come momento di crescita, di opportunità,

di scambio di opinioni. In questo caso il conflitto può essere funzionale in quanto

aumenta la capacità di innovazione, aumenta l’autocritica e favorisce i cambiamenti

all’interno dell’organizzazione . In un celebre aforisma Virginia Satir, nota psicologa e

psicoterapista statunitense, conosciuta per i suoi studi e per la pratica clinica, diceva che

“La vita non è quello che dovrebbe essere. E’ quello che è. E’ come l’affrontiamo che fa la differenza”.

In fondo possiamo affermare la stessa cosa riferendoci anche alla conflittualità

d’impresa, “Il conflitto è inevitabile perché è fisiologico, laddove ci sono rapporti potenzialmente ci

saranno conflitti, soprattutto in un’organizzazione. E il conflitto è neutro; può diventare negativo o

positivo, ma questo dipende dall’atteggiamento e dalle modalità con il quale è gestito”.1

Quindi , prendendo in prestito le parole utilizzate da Virginia Satir, possiamo facilmente

arrivare alla conclusione che è come affrontiamo un conflitto che fa la differenza. In

quest’ottica il conflitto diventa costruttivo; i membri di un gruppo sanno che il

disaccordo è un momento naturale e fisiologico all’interno di qualsiasi organizzazione e

viene riconosciuto come un’occasione di confronto, di scambio di idee, un fattore chiave

per il raggiungimento degli obiettivi comuni ; così il conflitto genera non solo creatività

ma cre-attività, intesa come un’occasione di cambiamento e di crescita sia personale che

del team, una tensione generatrice di nuovi progetti e di nuove soluzioni in cui viene

incoraggiato un orientamento “win-win”: tutte le parti sono vincitrici, perché lo scopo

ultimo è unico e condiviso. Anche in questo caso la comunicazione gioca un ruolo

fondamentale; si tratta di una comunicazione aperta, empatica, in cui i singoli possono

esprimere, senza timore alcuno di essere giudicati, le proprie idee; la critica è costruttiva,

il confronto è vissuto come la strada che deve essere percorsa per trovare soluzione a

dubbi e perplessità; un dialogo costruttivo incentiva e motiva le persone, crea un clima

aperto, tiene alto l’ascolto e l’attenzione. In maniera speculare a quanto visto prima,

potremo affermare che un conflitto è costruttivo per il singolo individuo ogni qualvolta

si sentirà libero di esprimersi, liberando così la negatività , l’ansia e i timori, producendo

un aumento dell’autostima e una situazione di eustress, ossia di “stress al positivo”, in cui

ci si sente forti e invulnerabili; il conflitto è costruttivo per il gruppo quando questo ne

esce rafforzato, c’è stato scambio e condivisione dei diversi punti di vista, si ascolta con

1 A. UZQUEDA, Come prevenire le controversie aziendali e la loro gestione, Atti workshop C.C.A.A. di

Treviso, http://www.tv.camcom.it/docs/bisogni/pubblicazi/profili/profili_economici_33.pdf, 2007.

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empatia e si forniscono non giudizi ma feedback, aumenta la collaborazione, l’ascolto e

la fiducia, non solo in un’ottica di breve periodo, ma proiettata verso il futuro; e ancora,

il conflitto è costruttivo a livello organizzativo quando circolano le informazioni, si

utilizzano efficacemente le competenze sia dei singoli che quelle collettive, c’è maggiore

flessibilità, e disponibilità al cambiamento, da cui consegue un aumento della

produttività.

Per passare da un approccio distruttivo ad uno costruttivo occorre seguire un percorso

che parte dalla consapevolezza che nessun tipo di organizzazione a cui possiamo far

riferimento è privo di un livello minimale di conflitto congenito e che qualsiasi situazione

di conflitto nasce e si evolve a seconda di come vengono gestite e del ruolo giocato dalle

emozioni.

Infatti quest’ultime, come primo effetto, provocano una reazione d’impulso da parte

degli individui. Dobbiamo chiederci subito, però, se saremo in grado di gestire le

emozioni in una situazione di conflitto e, a seconda della risposta, percorreremo strade

differenti e avremo, di conseguenza, risultati differenti.

Nell’ipotesi in cui non saremo in grado di gestire razionalmente lo stato emozionale, le

emozioni si intensificheranno, i sentimenti negativi prenderanno il sopravvento,

causando il deterioramento dei rapporti, cadendo quindi nella disarmonizzazione, ossia

in quel processo che porta alla rottura del rapporto tra le persone in conflitto. In tale

ipotesi saremo di fronte al conflitto distruttivo, il quale porterà con sé tutte le

conseguenze negative che sono state prima illustrate.

Sicuramente più proficua e degna di essere maggiormente approfondita è l’ipotesi in cui

saremo in grado di gestire razionalmente le emozioni. Il bivio al quale ci si può trovare di

fronte è se le parti risolvono o meno il conflitto da sole. Se la risposta è positiva, significa

che gli attori coinvolti sentono come priorità assoluta la necessita di affrontare e trovare

una soluzione alla controversia, la loro mentalità e di tipo win-win, sono in grado di

attuare autonomamente una valutazione dei motivi che sono alla base del conflitto, fare

una mappatura non solo dei propri interessi ma anche di quelli dell’altra parte, porre

l’accento sul problema e non sulla persona. La seconda ipotesi riguarda l’eventualità in

cui si richiede l’intervento di un terzo neutrale che possa aiutare a dirimere la

controversia. Che tale ruolo possa essere ricoperto da un manager, da un leader, da una

persona alla guida di un gruppo o da un vero e proprio mediatore esterno

all’organizzazione dell’azienda, non va ad incidere sulle caratteristiche che questo deve

avere, né sul suo fine, ristabilire cioè il dialogo fra le parti per poter raggiungere un

obiettivo concreto che le soddisfi entrambe. In questo quadro potremmo quindi

ipotizzare una vera e propria nuova professione: Il Conflict Manager. Questa figura

vorremmo immaginarla come una persona empatica, che ispiri fiducia, flessibile, con

capacità di problem solving, portata all’ascolto attivo, capace di esprimersi chiaramente,

di far fronte sia alle questioni emotive che a quelle razionali, abile nel riconoscere

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interessi e bisogni andando oltre le posizioni dichiarate, che condivida i valori delle

persone sapendoli ravvisare e che, naturalmente, tenga un comportamento riconosciuto

dalle parti come il più possibile imparziale. Il Conflict Manager dovrebbe essere anche in

grado di generare opzioni di reciproco vantaggio, di allargare la base negoziale, di

considerare la migliore alternativa che ognuna delle parti potrebbe avere nel caso di

mancato accordo.

Se è vero che “una leadership efficace facilita dinamiche di comunicazione che stimolano

costruttività” , è anche vero che la figura della persona terza che ha l’incarico di dirimere

la controversia, è percepita dalle parti in conflitto in maniera diversa a seconda che si

tratti di un leader, un capogruppo o un superiore, rispetto all’ipotesi in cui sia un

mediatore estraneo all’attività organizzativa. Nel primo caso significa che la risoluzione

del conflitto dipenderà molto da come gli stessi attori percepiscono l’autorità del leader.

A tal proposito Vito Madaio propone la seguente classificazione2:

� Potere legittimato (il leader viene riconosciuto come un alto dirigente); � Potere per riconoscimenti (si ritiene che il leader, direttamente o indirettamente, possa

influenzare, anche da un punto di vista economico, la carriera di un subordinato); � Potere sanzionatorio ( viene riconosciuta al leader la possibilità di mettere in atto

provvedimenti disciplinari); � Potere per esperienza (il leader viene ascoltato perché ritenuto persona esperta della

materia); � Potere referente (il leader viene riconosciuto come una persona carismatica all’interno

del gruppo di lavoro). E’ facile intuire che tutti i comportamenti del leader che presuppongono l’uso

dell’autorità e delle sanzioni sono i meno efficaci da un punto di vista della

risoluzione definitiva della controversia. La parola “definitiva” non è stata messa a

caso in quanto vuole sottolineare l’importanza che un conflitto venga risolto “una

volta per sempre” , che sia quindi base di rapporti stabili, duraturi e di

collaborazione anche nel medio/lungo periodo. Se così non fosse ci troveremmo di

fronte ad un “sopimento del conflitto”, una risoluzione temporanea pronta ad

esplodere nuovamente in conflitto al primo contrasto. In questo senso non appare

infondata l’opinione, condivisa da chi scrive, che, nei limiti del possibile, queste

professionalità potrebbero essere anche terze all’azienda, non inquadrate in ruoli

gerarchici definiti, ma orientate verso abili conoscitori delle tecniche A.D.R. e della

gestione dei conflitti in generale, perfettamente edotti sul processo aziendale

all’interno del quale devono andare ad operare, pur non facendone integralmente

parte . Questa figura potrebbe ben operare sia nel tentativo di dirimere le

controversie interne, a qualunque livello si generino, sia a prevenire,gestire e

risolvere quelle esterne e nei confronti degli stakeholder in generale.

2 MADAIO, La gestione dei conflitti, TenStep Italia, 2004.

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Da quanto descritto si evince come i conflitti, alla pari di ogni altro ambito di

relazione umana, siano fortemente presenti anche nel contesto lavorativo,

impegnando il conflict manager alla loro gestione e risoluzione, onde riportare

equilibrio nell’organizzazione e impedire che le conseguenze ricadano nella sfera

lavorativa e produttiva. Nel contesto lavorativo il conflitto non va quindi evitato, né

visto come un problema o una perdita di tempo, ma altresì come una situazione in

cui trovare elementi positivi per crescita e innovazione, sfruttando queste

potenzialità anche e soprattutto a livello organizzativo per innescare dei processi di

cambiamento. Il conflict manager sa che i conflitti, per essere gestiti e risolti, devono

essere affrontati tempestivamente, riconoscendone la presenza, la tipologia e i

metodi possibili di gestione e risoluzione. Nel delineare l’approccio e le tecniche

utilizzabili nel delicato lavoro di comprendere e gestire la conflittualità, si possono

individuare due fattori essenziali:

� La comunicazione efficace (Riconoscere il valore delle relazioni umane attraverso la comunicazione, tecniche per migliorare l’ascolto, il confronto, la comprensione, l’esposizione dei propri punti di vista nel rispetto di quelli degli altri);

� Le dinamiche di gruppo (struttura dei gruppi, tecniche per migliorare l’interazione tra le persone nel rispetto dei ruoli e della cooperazione attraverso la comunicazione).

Si tornerà, nel proseguo del presente lavoro, sulle tematiche relative alla

comunicazione, con particolare riferimento a quella aziendale, ai rischi della cattiva

gestione del processo comunicativo, ma anche alle straordinarie possibilità che una

buona gestione comunicativa può dare in termini di prevenzione dei conflitti e

reputazione d’impresa. Segnaliamo ulteriori contributi dati alla gestione della

conflittualità, come quello di Daniel Goleman,3 che, per favorire il clima positivo e

gestire la conflittualità, indica come strumento il ricorso all’intelligenza emotiva.

L’intelligenza emotiva è utile per comprendere le proprie emozioni e quelle altrui,

avendo cognizione completa della situazione in vista della collaborazione e

comprensione reciproca. Daniel Goleman con Mayer e Solovey indicano cinque

caratteristiche dell’intelligenza artificiale, consapevoli che il conflitto nasce sia da

problemi concreti che da emozioni contrastanti:

� Consapevolezza sociale (produrre risultati partendo dalla conoscenza delle proprie emozioni);

� Dominio di sé (utilizzare i proprio sentimenti in vista di un fine); � Motivazione (riconoscere il vero motivo che spinge all’azione);

3 D. GOLEMAN “Emotional Intelligence”, New York, Bantam, 1995.

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� Empatia (comprendere gli altri conoscendo sé stessi); � Abilità sociale (comprendere la situazione e l’agire degli individui in relazione).

La gestione del conflitto in azienda richiede anche un’attenta osservazione verso i

feedback che il gruppo si scambia a livello informativo durante la gestione dei

conflitti, pertanto il Conflict manager opererà affinché si possa:

� Essere specifici (comunicare con precisione, non essere evasivi, usare toni moderati ed essere comprensibili);

� Offrire una soluzione (cercare soluzioni concrete tendendo in considerazione sia i punti di vista altrui, il problema concreto e la migliore possibile soluzione attualizzabile);

� Essere presenti (il confronto diretto e non tramite delegati o strumenti di scrittura ottimizza il processo comunicativo);

� Essere empatici (ascoltare attivamente l’altro immedesimandosi).45 La dinamica del gruppo è quindi fondamentale nella gestione dei conflitti aziendali,

in quanto il gruppo non è solo un insieme di persone, ma l’elemento chiave è

rappresentato dalla presenza tra le persone che lo compongono di una qualche

interazione. Interazione intesa anche come interdipendenza, ovvero influenza

reciproca. Esistono varie tipologie di gruppo, eterogenee tra di loro a seconda anche

della modalità, motivazione, durata dell’esistenza del gruppo. Le persone in un

gruppo possono per altro interagire in modo diretto, cooperando, oppure

appartenere ad un gruppo in modo secondario, globale, vago.

I gruppi hanno una struttura ben delineata a seconda dello status, dei ruoli e delle

reti di comunicazione dei membri.

Per conoscere e studiare un gruppo il metodo più usato deriva dalla tecniche

sociometriche che osservano la coesione, ovvero il grado di attrazione reciproca dei

componenti.

Sono così evidenziabili:

� Gruppo con una struttura sociometrica ad alta coesione: ogni membro del gruppo sceglie ed è scelto reciprocamente dagli altri, i ruoli sono simmetrici;

� Gruppo con struttura sociometrica a bassa coesione: ogni componente sceglie alcuni membri del gruppo, i quali a loro volta ne sceglieranno degli altri.

All’interno dei gruppi si sviluppano relazioni che vanno dalla cooperazione alla

competizione (da cui scaturiscono gli eventi conflittuali).

4 S.J. Levinson, Tipi di attività e la lingua. In P.Drew, J. Patrimonio( a cura di), Discussione sul posto di lavoro, Cambridge, Cambridge University Press,1992. 5 A.H. Mayer, P., P. Salovey, What in Emotional Intelligence; Immagination, Cognition and

Personanality ,1990.

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Si ha cooperazione quando il comportamento individuale è finalizzato a un obiettivo

condiviso e a un utile equamente ripartibile tra gli individui del gruppo.

La competizione invece, è un comportamento che crea un conflitto tra i propri

interessi e quelli altrui che si attua nella ricerca di un vantaggio proprio rispetto a

quelli del gruppo nella sua totalità. Le dinamiche di gruppo rappresentano l’insieme

dei fenomeni psicosociali e dei metodi che permettono l’agire dell’individuo nel

gruppo e l’esistenza del gruppo stesso.

Le dinamiche più ricorrenti:

– Coesione (il grado di attrazione reciproca tra i componenti del gruppo);

– Empowerment (si tratta di una dinamica psicologica che attiva l’emotività.

Conoscere e assumere le proprie emozioni permette di immedesimarsi negli altri e

quindi provare empatica e di conseguenza comprensione degli altri, del gruppo,

delle situazioni);

– Leadership (il ruolo del leader all’interno del gruppo, colui che favorisce gli

scambi, le decisioni e le scelte degli obiettivi del gruppo).

Il conflict manager dovrà quindi condurre un paziente lavoro di mediazione, avendo

a disposizione diverse metodologie di conduzione, dove quella da sempre più

utilizzata, per i risultati ottenuti, è la negoziazione secondo il modello della Scuola di

Harvard. Una trattativa, questa, che verte su una negoziazione oggettiva delle

controversie e concentra il procedimento sul contenuto oggettivo conteso,

spostandosi dal focus della negoziazione verso un fine tendente al raggiungimento di

reciproci vantaggi, con un risultato basato su principi sempre corretti e indipendenti

dalla volontà delle parti in contraddizione. “Le condizioni necessarie sono quattro e si tratta

dei principi basilari di una trattativa di successo secondo la teoria di Harvard:

� Gli interessati devono scindere le persone dai problemi;

� Ciò che conta sono gli interessi, non le posizioni;

� Bisogna sviluppare, sia individualmente che insieme alla controparte del negoziato, alternative che siano vantaggiose per entrambi;

� Tutti gli interessati devono accordarsi su criteri oggettivi, con i quali sia possibile misurare il risultato del negoziato”6

Il lavoro deve proiettarsi verso la ricerca di soluzioni creative, attraverso un numero

maggiore di ipotesi di soluzione, tenendo presente i vantaggi delle parti coinvolte e

sviluppando proposte utili alle parti stesse.

La gestione del procedimento è molto diretta, svolgendosi attraverso regole, passaggi

e fasi determinate, seguite da colui che gestisce la mediazione e dalle parti.

Di seguito dodici regole che possono essere di aiuto nel cercare di liberare le

trattative dai conflitti personali:

6 www.mathysmedical.com , Tecniche di negoziazione.

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� Mettersi nei panni dell’altro. Cercare di capire il suo pensiero ed il suo punto di vista;

� Parlare delle idee di entrambe le parti; � Non attribuire la colpa dei propri problemi alla controparte; � Coinvolgere la controparte nel risultato attraverso il suo coinvolgimento nel

processo di trattativa; � Adattare le proprie proposte al sistema di valori dell’altro, permettendogli di

salvare la faccia; � Articolare le proprie emozioni, riconoscendone la legittimità; � Permettere alla controparte di scaricare le tensioni, senza reagire agli sfoghi

emotivi; � Sfruttare gesti simbolici (ad es. una stretta di mano, un piccolo regalo,

chiedere scusa); � Ascoltare attentamente ed esprimere il proprio feedback su ciò che è stato

detto; � Farsi capire quando si parla ed accertarsi che gli altri abbiano capito; � Parlare di se stessi, non della controparte; � Costruire relazioni attive, imparando a conoscere gli altri.

Generalmente la negoziazione può essere integrativa quando il gioco a somma degli

interessi è maggiore di zero, ed essenziale è la cooperazione per ottenere risultati

materiali – accordi ampi, creativi e condivisi – e risultati relazionali, o distributiva

quando la somma non può invece essere maggiore di zero. La negoziazione

distributiva si basa su concetti lineari e considera le parti una opposta all’altra,

restando a livello superficiale riguardo a ciascuna delle posizioni, al contrario nella

negoziazione integrativa la circolarità causale determina relazioni sistemiche e netta

collaborazione creativa. La logica lineare apre il mondo degli opposti, dove la

comunicazione è alterata e può ricadere in una qualità comunicativa patologica, la

logica di tipo circolare, invece, non lavora sulla opposizione, ma si concentra su una

sorta di ricompensazione scaturita dal lavoro comune e collaborativo, trattando sia

gli interessi che i bisogni in modo non superficiale. Il processo di negoziazione, in

pratica, si rivela spesso sia integrativo che distributivo.

Il conflict manager non può prescindere da quattro fondamentali passaggi che

caratterizzano ogni processo di negoziazione: l’individuazione del problema

distaccandolo dalle persone in conflitto, gli interessi, l’ipotesi del più elevato numero

di possibili soluzioni e i risultati basati su criteri oggettivi.

Di seguito si riportano alcune aree di intervento, obiettivi e risultati della gestione del

conflitto in azienda nei quali il Conflict Manager può diventare protagonista:

� Comunicazione interpersonale; � Aiuto allo sviluppo di altre competenze relazionali; � Relazioni con gli stakeholder (clienti, dipendenti e i membri delle comunità

territoriali in cui l’azienda opera);

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� Problem Setting, Problem Finding, Problem Building; � Processi decisionali; � Costruzione di pensiero e identità condivise gruppali; � Gestione della complessità; � Costruzione di vision e orientamenti strategici; � Costruzione carta dei valori e codice etico; � Interiorizzazione mission e cultura d’impresa; � Valorizzazione delle Best Practcices come legate ai valori dell’impresa; � Leadership top group, Leadership etica e riflessiva, inclusiva, diffusa; � Creative thinking, Critical thinking, Caring thinking; � Monitoraggio problematizzante di processi di cambiamento in atto; � Risoluzione di problematiche conflittuali all’interno dell’organizzazione; � Valorizzazione del “fare e farsi domande”; � Riflessione, problematizzazione, sospensione del giudizio; � Aumento dell’ascolto attivo e produttivo tra i membri di una organizzazione; � Pensiero gruppale e intelligenza collettiva; � Connessione vissuta tra pensare, sentire e fare; � Maggiore coerenza tra pensieri parole e azioni; � Comprensione del conflitto, dei ruoli, dei terzi; � Spostamento dell’attenzione dall’obiettivo al processo; � Spostamento dell’attenzione dalla soluzione al suo sistema di riferimento.

…..( …)”

Tratto da :

“Conflittualità d’Impresa”, 4 CFU, Master eCampus A.D.R. ( Alternative

Dispute Risolution), Prof. Luca Possieri.