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Un eroe difficile Apparteneva a una famiglia nobile ma non si nascose dietro i privilegi. Era fedele al Regime ma non prese la tessera fascista. Il suo unico ideale era salvare l’onore militare italiano. Junio Valerio Borghese è ancora oggi un personaggio che scatena emozioni contrastanti. Perché amare la Patria è un valore scomodo IL COMANDA N [ DI MARCELLO VENEZIANI ] BORGHESEab_CR:Layout 1 7-07-2008 12:46 Pagina 80

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Un eroe difficile

Apparteneva a una famiglia nobile ma non sinascose dietro i privilegi. Era fedele al Regimema non prese la tessera fascista. Il suo unicoideale era salvare l’onore militare italiano.Junio Valerio Borghese è ancora oggi unpersonaggio che scatena emozioni contrastanti.Perché amare la Patria è un valore scomodo

IL COMANDA N[ D I M A R C E L LO V E N E Z I A N I ]

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A NTEC’ÈNELLA PAGINA A FIANCO, IN ALTO, DA SINISTRA: LA CROCE DI CAVALIERE DELL’ORDINE MILITARE DI SAVOIA E LE MEDAGLIE D’ORO, D’ARGENTO E DI BRONZO AL VALORE

MILITARE RICEVUTE DA BORGHESE. SOTTO, DA SINISTRA: I DISTINTIVI D’ONORE DEI MEZZI D’ASSALTO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, DELLA REPUBBLICA SOCIALE, DEL

REGNO D’ITALIA E IL DISTINTIVO DELLA Xª MAS. QUESTE LE ONOREFICENZE DI JUNIO VALERIO BORGHESE IN UNA FOTO NEL 1942, IN DIVISA DA CAPITANO DI CORVETTA.

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UOMINI GAMMA E «NP» DELLA DECIMA DURANTE UN’ESERCITAZIONE. I PRIMI, CHE VENIVANO CHIAMATI ANCHE NUOTATORI D’ASSALTO, AVEVANO IL

COMPITO DI PENETRARE A NUOTO NEI PORTI NEMICI, AVVICINARE I PIROSCAFI ALLA FONDA E APPLICARE ALLO SCAFO GLI ESPLOSIVI. I COSIDDETTI NP

ERANO INVECE NUOTATORI PARACADUTISTI . VENIVANO RECLUTATI TRA I MIGLIORI ATLETI DELLA FEDERAZIONE SPORTIVA E TRASFERITI IN MARINA.

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Un eroe difficile

sSublimava le figure del soldato e del ribelle

Se citate il Comandante, molti pensano al «Che» Guevara, pochi ad’Annunzio, forse nessuno a lui, Junio Valerio Borghese. Eppure Bor-ghese, a suo modo, fu il Che Guevara della destra italiana nel dopoguerrafino al mitico golpe, alla sua fuga e al ritorno della sua salma in patria.Figlio di una delle più antiche famiglie romane, che hanno dato alla chie-sa memorabili papi e a Roma celebri ville e palazzi, Borghese non era unpolitico ma un soldato, consapevole del nome che portava: le persone nor-mali hanno i loro cognomi sui citofoni delle proprie case, lui aveva il suoscritto sulla facciata della basilica di San Pietro. Con una premessa co-sì, la mitomania diventa un vizio assai comprensibile. Il principe Borghese incarnò perfettamente l’indole e il prototipo del sol-dato e del ribelle perché fu un esempio di fedeltà e libertà, di obbedien-za militare e insubordinazione, di ardito e superuomo. Fu definito Prin-cipe nero ma Junio Valerio Borghese non aveva maipreso la tessera fascista durante il regime, non eraideologicamente pervaso dalla concezione fascista, erasolo un combattente di memorabili ed eroiche im-prese, come quella del sommergibile Scirè ad Ales-sandria d’Egitto, era monarchico e tale sarebbe ri-masto «se Badoglio ci avesse fatto uscire dalla guer-ra in modo decoroso e onorevole». «Se Umberto diSavoia o il duca d’Aosta si fossero messi a capo del-le Forze Armate abbandonate a loro stesse, avreiobbedito». Ma questo non avvenne e Borghese aderì alla Rsi che a suodire «sarebbe nata anche senza Mussolini». E magari senza il fascismo;per lui si trattava di salvare l’onor militare e la dignità nazionale. Con lacaduta del fascismo divenne il Principe nero, finì in galera per quattro lun-ghissimi anni, sballottato tra Cinecittà e Procida, anche se le accuse chegli erano state rivolte non furono mai provate. Fu protetto dagli ameri-cani che videro in lui un combattente anticomunista per il dopoguerra;non a caso alcuni suoi uomini della Xª Mas dettero poi una mano allaGladio. Ma Borghese fu aiutato anche dal Segretario di Stato vaticano,Giovani Battista Montini che quando diventò Papa assunse proprio il no-me di un Borghese, Paolo V, e divenne suo successore come Paolo VI.Pur non essendo vicino al regime fascista, ma ai giovani universitari cat-tolici della Fuci, Montini protesse Borghese, forte anche del suo ascen-

dente sui servizi segreti del Vaticano. Curiosa la sorte di Borghese. Pri-ma che l’Italia antifascista lo accusasse del velleitario golpe, con la stes-sa accusa i fascisti di Salò e Graziani lo avevano mandato in galera aitempi della repubblica sociale. Lo accusarono di antifascismo e di an-timussolinismo, di mantenere contatti con alleati, partigiani e bado-gliani, e di aver progettato pure, come alcuni ufficiali junker tedeschicontro Hitler, a un golpe contro il duce. Mussolini temeva la sua po-polarità e la sua indomabile autonomia.Borghese era superbo, un po’ folle e impolitico, obbediva a un codice ari-stocratico e militare, di guerriero rinascimentale o capitano di ventura, co-me fu definito. Fu nazionalista, semper super omnia Italia fu il motto del-la Xª Mas, all’insegna del Memento Audere Semper. La Decima nacquedannunziana e finì a Salò marinettiana: il fondatore del futurismo dedi-

cò proprio alla Xª Mas la sua ultima poesia. La De-cima conservò un forte spirito di corpo e una gelosaindipendenza dal partito fascista e dall’alleato tede-sco, che pagò duramente. Verso i partigiani non di-chiarò mai guerra, se non nei casi in cui si trattava divendicare un proprio uomo ucciso. La Xª Mas fuuna specie di ordine cavalleresco subacqueo, prota-gonista di memorabili imprese dei suoi «diavoli delmare» con piccoli sommergibili che pilotavano silu-ri. Con i tedeschi aveva siglato un patto in cui veni-

va riconosciuta parità di diritti e doveri e autonomia d’azione. Ma la flot-tiglia comandata da Borghese aveva relazioni anche con alcuni gruppi par-tigiani bianchi e con i militari della Xª Mas che erano con il regno delSud. Tentarono pure di stabilire un patto in funzione antititina con i par-tigiani dell’Osoppo, vittime dei partigiani comunisti a Porzûs. Borghe-se fu uno dei miti viventi del fascismo postumo dedicato ai vinti. Di luine parlò per la prima volta in tv, senza oltraggio, un suo ex combatten-te che è poi divenuto l’unico italiano iscritto al partito comunista cuba-no, Piero Vivarelli. Al di là della curiosa bigamia di un fascista-castrista,Vivarelli venerava insieme il mito del Che e il mito di Borghese co-gliendone il filo di continuità. E a Vivarelli si deve l’unico documenta-rio trasmesso da RaiUno che riabilitava il mitico comandante Borghe-se o che perlomeno esprimeva alcune verità revisioniste sulla Decima Mas.

IN ALTO, DUE POSTER DI PROPAGANDA DEL PERIODO BELLICO. A SINISTRA, È RAPPRESENTATO IL FORZAMENTO DEL PORTO DI ALESSANDRIA D’EGITTO

E L’AFFONDAMENTO DI DUE CORAZZATE DA PARTE DELLA Xª MAS (18 DICEMBRE 1941). A DESTRA, È RAFFIGURATO L’ATTACCO DEGLI SLC A GIBILTERRA.

A CENTRO PAGINA, LA DECORAZIONE CHE JUNIO VALERIO BORGHESE RICEVETTE QUANDO VENNE PROMOSSO A CAPITANO DI FREGATA (20 SETTEMBRE 1941).

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Un eroe difficile

aAlle soglie degli anni 50 Borghese entrò nel Msi, di cui fu presidenteonorario, con cui ruppe dopo pochi anni. In quel tempo, fu visto comeil simbolo più alto per congiungere i monarchici e i neofascisti e così sipensò a lui non solo come leader ma addirittura come ipotetico re d’I-talia per unificare le nostalgie delle destre in un colpo solo. Col placetdi alcuni settori della Chiesa e dell’ambasciata statunitense, ma con l’e-vidente contrarietà dei Savoia e dei loro rappresentanti in Italia, che de-finirono l’idea donchisciottesca. Borghese presentò al pubblico di destrala bibbia dei vinti, Gli uomini e le rovine di Julius Evola, scrivendone laprefazione. I suoi incontri a Roma e in Italia attiravano folle enormi, co-me scrivono Jack Greene e Alessandro Massignani nella loro recente bio-grafia (Il principe nero, Mondadori), al punto che poi cominciarono a es-sere proibite. Ma la sua personalità risultò ingombrante an-che per il Msi con cui ruppe nel ’57, avvicinandosi poi a Or-dine nuovo e ad Avanguardia nazionale. Fino a fondare ilFronte nazionale nel fatidico ’68.Ma fu in quel tempo che maturò in Borghese il propositodi un colpo di Stato. Un colpo di Stato velleitario e grot-tesco nel suo svolgimento ma non poi così azzardato, con-siderando che c’era nel Paese un’attesa di golpe e la sugge-stione di recenti colpi di mano in Grecia, in Turchia e nelSudamerica. Nella notte dell’Immacolata del 1970, i mi-litanti del partito comunista di tutta Italia restarono sve-gli e mobilitati nelle loro sezioni per quasi tutta la notte.Era giunto un allerta per un golpe dalla direzione del Partito e forse daservizi segreti non italiani, e gli attivisti vegliarono armati, forse non so-lo psicologicamente. Il lato grottesco della vicenda è che i presuntigolpisti militari, destre, neofascisti, quel 7 dicembre dormivano tran-quillamente nelle loro case. Al mio paese per esempio, a Bisceglie, i co-munisti restarono in sezione a vigilare e i monarchici e i missini, inve-ce, dopo lo scopone e la stoppa nelle sezioni, andarono a casa a man-giare calzoni e frittelle o andarono a vedere i falò che secondo tradizionesi appiccavano per scaldare i panni a nostro Signore. Chi pensava allarivoluzione e chi al presepe. Ma non fu un golpe immaginario, anche sepoi finì nel cabaret. Borghese e i suoi ci pensarono sul serio, magari sul-l’onda del più serio Piano Solo del generale De Lorenzo e poi del pro-

getto Sogno-Pacciardi. Erano golpe impolitici, che puntavano sul so-stegno delle forze armate e su governi di salute pubblica, magari col con-senso della Nato, nel nome della difesa dell’Occidente dal comunismoe dalla sovversione. Di fascismo in verità ce n’era poco, c’erano tra i gol-pisti anche figure eminenti della lotta antifascista e liberali in assetto diguerra. Ma a subirne le conseguenze fu poi la destra politica. Comun-que, dicevamo, quasi mezza Italia sotto sotto tifava per una soluzioneautoritaria se non golpista: il comunismo sovietico aveva invaso Pragae la Polonia, era uscito allo scoperto il dissenso sovietico, si conosceva-no gli esiti sanguinari dei regimi di Mao, Pol Pot, Ho-Chi-Min e Ca-stro; in Italia si respirava aria di Patti conciliari, come allora si chiama-va il compromesso storico con il Pci, il vento del ’68 aveva agitato la so-

cietà e squassato scuola, università e famiglia, c’era stato l’au-tunno caldo nelle fabbriche, nei cortei si gridava «fascisti, bor-ghesi ancora pochi mesi», e «nemmeno un padrone si sal-verà», e si stava componendo l’estremismo e il terrorismo.Insomma, mezza Italia moderata e non solo estremista, perpaura, sognava un golpe militare. Borghese cercò di farlo, mafinì male, tra la persecuzione e la ridicolizzazione. Qualcu-no forse, nei servizi, fece il doppio gioco, li usò, ma l’impiantoapparve perlomeno ingenuo. Così Borghese riparò nellaSpagna di Franco, dove morì a Cadice, nell’agosto del ’74.Morì, secondo Ambrogio Viviani, tra le braccia di una prin-cipessa romana, dopo che era diventato Principe nero sul se-

rio, perché portava il lutto di sua moglie, anch’essa principessa. Eros eChampagne accompagnarono il congedo dalla vita. Scrisse una me-morabile autodifesa, che fu pubblicata dal Borghese. Sulla sua lapide vol-le che ci fosse scritto semplicemente «Un soldato che ha servito bene lasua Patria». Nonostante il divieto di manifestazioni pubbliche, quandola sua bara giunse a Roma nella basilica di Santa Maria Maggiore, cen-tinaia di giovani la sottrassero alle guardie svizzere e la portarono fuo-ri al grido di Italia, Italia. Poi quel mito fu cancellato, scomodo alla de-stra, indigesto agli altri. Ma Junio Valerio Borghese fu un gran solda-to e anche i suoi errori, che non furono pochi né di poco conto, furo-no animati da grandi intenzioni; e li pagò tutti di persona. Amò l’Ita-lia ma non fu ricambiato, come Don Chisciotte con la sua Dulcinea.

Amò molto l’Italia ma non fu mai ricambiato

IN ALTO, A SINISTRA: LA COPERTINA DI WALTER MOLINO DEDICATA AL BATTAGLIONE BARBARIGO, PUBBLICATA SU «LA DOMENICA DEL CORRIERE» DEL

19 MARZO 1944. AL CENTRO, BORGHESE CONSEGNA IL LABARO DI COMBATTIMENTO AL BATTAGLIONE BARBARIGO (LA SPEZIA, FEBBRAIO ’44). A DESTRA,

LA COPERTINA DEDICATA AL BATTAGLIONE FULMINE (4 MARZO 1945). A CENTRO PAGINA, LO SCUDETTO DA BRACCIO (VERSIONE METALLICA) DELLA Xª. OLY

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Monsieur uomo elegante uomo

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FRONTE DI NETTUNO, 1944: IL COMANDANTE BORGHESE CON UMBERTO BARDELLI (1908-1944, DIETRO DI LUI), COMANDANTE DEL BATTAGLIONE BARBARIGO, E ALTRI

UFFICIALI. «LE CARATTERISTICHE DEL BUON COMANDANTE DI SOMMERGIBILE SI MANIFESTANO NELLA PRONTEZZA, NELLA CALMA E NELLA CAPACITÀ TECNICA CON

CUI REAGISCE ALL’IMPREVISTO» SI LEGGE IN UNO DEGLI SCRITTI DI BORGHESE. «IL TUTTO NEL TEMPO DI SECONDI, PERCHÉ OGNI RITARDO PUO ESSERE FATALE».OLY

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IN ALTO, TRE IMMAGINI DELLA DIETRICH IN ABITI MASCHILI . DA SINISTRA, IN FRAC IN UNA SCENA DEL FILM «MAROCCO» (1930) ; IN UNIFORME DA

UFFICIALE DI MARINA IN «LA TAVERNA DEI SETTE PECCATI» (1940); IN SMOKING, CON UNA CRAVATTA A POIS AL POSTO DEL TRADIZIONALE PAP ILLON.

«IL PRINCIPE NERO»SCRITTO DA

JACK GREENE E

ALESSANDRO MASSIGNANI,

STUDIOSI DI STORIA

E ARTE MILITARE

(2004, MONDADORI) .

IL L IBRO A CURA DI

MARIO BORDOGNA. CHE

DEVOLVE I PROVENTI

ALL’ASSOCIAZIONE

COMBATTENTI DECIMA

FLOTTIGLIA

MAS (1995, MURSIA) .

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Un eroe difficile

sUmano, determinato ed elegante. Così lo ricorda chi

ha condiviso con lui la guerra e gli ideali

ERA IL SENSO

DEL COMANDO

«Stranamente, quando parlavi con lui non venivi assalito da timore reveren-ziale perché riusciva a mettere a proprio agio chiunque. Era un uomo mera-viglioso, di grande umanità. Con idee precise e un rispetto della linea milita-re che nessun altro ha mai avuto». Ecco l’essenza di Junio Valerio Borghese,che rivive nelle appassionate parole e nei lucidi ricordi di Mario Bordogna. Luilo conobbe bene. L’8 settembre 1943 entrò nella Xª Mas partecipando alle ope-razioni sul fronte di Nettuno con il battaglione Barbarigo. Poi, nel luglio1944, diventò ufficiale d’ordinanza di Borghese seguendone con devozione,fianco a fianco, le vicende e le sorti. Si intuisce che per Bordogna fu più di unsemplice capo a cui bisogna portare rispetto: «Eraquasi un fratello maggiore», si lascia scappare duran-te la conversazione. Ma poi ci ripensa, come se si fos-se accorto di aver osato troppo: «Era un mio superio-re, ma con lui si poteva chiacchierare di tutto. Tra noinacque da subito un reciproco rispetto». Bordogna ri-corda con orgoglio come cominciò il sodalizio: «Ilcomandante Bardelli disse un giorno a Borghese:“Voglio che Bordogna diventi il tuo ufficiale addetto.Finché è stato vicino a me non ho avuto problemi, ve-drai che con lui andrà tutto a gonfie vele”».Oggi Bordogna ha 88 anni e abita a Milano. Nella vi-ta si è nutrito di pane, valori e ideali. Bastano pocheparole per capirlo. Venne definito dagli Alleati «il pe-ricoloso bodyguard di Borghese», come ricorda con unmezzo sorriso. «Il mio compito, in realtà, consistevanell’organizzare gli spostamenti e garantire la sua si-curezza. Viaggiavamo a bordo di una grossa Alfa Ro-meo. Quando uno dei due era stanco, l’altro passava al volante». Encomio solenne sul fronte di Nettuno, distintivo d’onore rilasciato dallo stes-so Borghese per i primi arruolati nella Xª Mas, se lo chiami comandante, Bor-dogna si affretta a precisare con tono di rimprovero: «Non sono comandan-te, non ho mai comandato niente io». Alla dichiarazione di guerra dell’Italianel giugno del 1940 fu tra i primi studenti universitari ad arruolarsi volonta-rio al servizio della Patria. E la parola Patria, oggi così in disuso, torna ripe-tutamente nei vividi discorsi di Bordogna. Sono rimasti in pochi gli uominiche ne conoscono il vero significato. Bordogna è uno di questi. «Io e Borghesecondividevamo la stessa idea di Patria. Oggi nessuno sa più che cosa sia que-sta Patria». La madre, alla partenza per la guerra, gli consegnò un piccolo brac-ciale con la scritta: «Bordogna Mario, non per un partito ma per la Patria».

Gli insegnamenti di Borghese, dunque, sono rimasti indelebili nella sua co-scienza. «La Decima fu l’unico sparuto reparto che pur senza navi e senza or-dini volle restare in piedi per l’Onore d’Italia. Borghese comprese la Marinaper essersi diretta a Malta dopo l’armistizio, obbedendo agli ordini. Lui pre-se una decisione diversa, ma poteva farlo perché era il capo. Un capo onestoe integro, di un equilibrio mentale perfetto, da vero leader. Mi colpì, in par-ticolare, l’estrema freddezza ai comandi dei sommergibili». Sì, un sommergi-bilista deve saper convivere con gli altri, nel rispetto degli altri: «Con le sue azio-ni, Borghese non comunicava mai al prossimo il senso della propria superio-

rità, ma il concetto del comando. In mia presenza, peresempio, non sparò mai un colpo. Del resto, perchéavrebbe dovuto farlo? Mai nessuno ci attaccò». Se si indaga sui rapporti intercorsi tra Borghese eMussolini, si limita a dire: «Noi dipendevamo dal mi-nistero della Marina. E il comandante era in contattocon loro». Bordogna preferisce ribadire che Borghesegodeva di grande rispetto. E svela un episodio inedito:«Un giorno, mentre si trovava in un ristorante nell’isoladi Corfù, Borghese vide arrivare un cameriere con inmano una bottiglia di vino. Era un omaggio di un al-to ufficiale della Marina militare britannica, seduto po-co più in là, che riconobbe in lui una vera autorità ma-rinara». Fra un ricordo e l’altro, Bordogna sottolineapiù volte l’importanza del fascismo: «Vi siete maidomandati perché l’Italia dal 1955 al 1965 riuscì a im-porsi come quinta potenza industriale del mondo?Aveva beneficiato della meravigliosa struttura men-

tale, finanziaria ed economica del fascismo» spiega con determinazione. Poi,perde la pazienza: «Oggi nessuno si sforza né si preoccupa di far capire agliitaliani cos’è stato veramente il fascismo, non dal punto di vista politico, mastrutturale! L’eredità che mi ha lasciato è immensa: educazione, disciplina esenso di responsabilità». Bordogna chiarisce anche le circostanze in cuiBorghese morì: «Fu una morte naturale. Soffriva d’asma per la sua attivitàdi sommozzatore, che negli anni gli aveva arrecato problemi a polmoni e re-ni. Quando le sue condizioni si aggravarono, Borghese non accettò le fleboe in un momento di rabbia si staccò tutto e morì. Sono stati scritti roman-zi sulla sua morte, così come sul golpe. Ma le cose andarono così». Così co-me le ricorda Mario Bordogna, appassionato e disciplinato testimone ocu-lare della vita di Valerio Borghese, il comandante.

A SINISTRA, LA LETTERA CHE BORGHESE CONSEGNÒ A MARIO BORDOGNA NELL’APRILE DEL 1949 DESTINATA AI COMMILITONI DELLA Xª. FU SCRITTA

DUE MESI DOPO LA CONCLUSIONE DEL PROCESSO (17 FEBBRAIO 1949) E LA CONDANNA A 12 ANNI PER «COLLABORAZIONISMO COL TEDESCO

INVASORE». GRAZIE AL PROPRIO PASSATO MILITARE, BORGHESE FU SUBITO SCARCERATO. SOPRA, IL COMANDANTE (A DESTRA) CON MARIO BORDOGNA.

[ D I A N D R E A B E RT U Z Z I ]

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