Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

90
cent’anni di buoni frutti DANIELE MONT D’ARPIZIO Il colore dei fratelli Quarant’anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo centopagine 6

description

Questo volumetto non è un vero e proprio studio sull’immigrazione, bensì un piccolo excursus sul modo in cui la Difesa del popolo ha trattato l’immigrazione, dal suo sorgere negli anni ’80 fino al suo ultimo tumultuoso sviluppo. Per questo, data anche la brevità imposta, si è cercato di limitare al massimo i riferimenti a leggi, normative e numeri, se non nei casiin cui erano effettivamente utili a illustrare i fatti.Il lavoro si sviluppa lungo l’arco di quasi quattro decenni: dal 1970 alla fine del 2007; per ogni periodo si è cercato di mettere in luce i temi che risaltano maggiormente dalla lettura della Difesa, senza comunque escludere il rimando, all’interno di ciascun capitolo monotematico, a notizie appartenenti a periodi precedenti o successivi, che siano però connesse all’argomento di volta in volta trattato. Il titolo è preso dalla Difesa del 3 settembre 1989.Spero che anche questo lavoro sia utile un giorno a unapiù ampia e inclusiva storia della nostra immigrazione.

Transcript of Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Page 1: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

cent’anni di buoni frutti

Il colore dei fratelli – titolo desunto da una pagina del 1989 –

si presenta non come uno studio sull’immigrazione, ma come

una lettura del modo in cui la Difesa del popolo, settimanale

diocesano di Padova, ha trattato dell’immigrazione, dal suo

sorgere negli anni Ottanta fino al suo ultimo tumultuoso sviluppo.

Si è dunque cercato di limitare i riferimenti a leggi, normative

e numeri ai casi in cui erano effettivamente utili a illustrare i

fatti raccontati, preferendo piuttosto dare spazio a storie personali

e testimonianze dirette, in linea anche con la sensibilità della

Difesa, che «si è sempre accostata al tema dell’immigrazione

con un’attenzione alle persone, un’umanità, uno “stile”

inconfondibili».

Il lavoro si sviluppa lungo l’arco di quasi quattro decenni, dal

1970 all’inizio del 2008, cogliendo le modalità secondo cui, in

ogni periodo, le pagine del settimanale hanno affrontato e

interpretato questioni divenute sempre più coinvolgenti.

Con la ricerca di Daniele Mont d’Arpizio si conferma che anche

la strada percorsa dalla Difesa del popolo – e dal mondo cattolico

padovano – può ben rientrare in una più ampia e inclusiva storia

dell’immigrazione nel nostro territorio.

DANIELE MONT D’ARPIZIO

Il coloredei fratelli

Quarant’anni di immigrazionenelle pagine della Difesa del popolo

centopagine 6

€ 6,00

MONT cop copia 9-04-2009 17:36 Pagina 2

Page 2: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Daniele Mont d’Arpizio

Il coloredei fratelli

Quarant’anni di immigrazionenelle pagine della Difesa del popolo

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 1

Page 3: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Progetto grafico Proget StudioRealizzazione la Difesa del popolo

Euganea Editoriale Comunicazioni srlvia Roma 8235122 Padovatelefono 049-657493telefax 049-8786435marzo 2009

StampaVillaggio Grafica srl Noventa Padovana

con il contributo di

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 2

Page 4: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

PREFAZIONE

Diversità è ricchezza

Lo confesso: sono anch’io un immigrato. Vivo infatti a Pa-dova per scelta, non perché ci sono nato; e anche se ci sto or-mai da molti anni, faccio fatica a considerarmi a pieno titolopadovano. Riconosco ancora, di questa città, le inflessioni deldialetto, come avviene solo a chi arriva da fuori; mi sfuggonoalcuni dettagli geografici della sua configurazione urbana, eignoro alcuni risvolti delle sue liturgie sociali, che in ogni luo-go sono incise nel Dna dei suoi cittadini; infine una parteconsistente degli amici che frequento sono padovani acquisiti,come me. Colpa mia, ammesso che ci sia una qualche colpain tutto questo, oppure colpa della città e dei suoi abitanti“doc”?

La domanda non è oziosa, perché rinvia a un’altra, un po’più sostanziale: quanto è accogliente Padova, quanto è capa-ce di integrare coloro che vi arrivano da fuori, per scelta, co-me nel mio caso, oppure per necessità, come le migliaia di im-migrati che ormai la abitano stabilmente?

Daniele Mont d’Arpizio – che è “foresto” come e più di me,che in fondo vengo da una terra distante meno di cento chilo-metri come l’altopiano di Asiago – racconta in questo librouna storia di luci e ombre, in cui prevalgono gli esempi positi-vi di accoglienza degli stranieri. Può farlo perché la prospetti-va da cui guarda è soprattutto quella dei rapporti fra Chiesa esocietà, e chiunque, anche laico, sa quanto il mondo cattolicoha fatto e sta facendo per far sentire gli immigrati ben accettinella comunità locale; anche a costo di scontentare quei fede-li propensi a saltare le innumerevoli pagine evangeliche dedi-cate all’accoglienza degli stranieri e dei diversi.

Semmai ci sarebbe da aggiungere, in questa disamina suaccoglienza e inclusione, anche il contributo del sindacato edell’associazionismo laico e politicizzato, con cui non semprei rapporti sono fluidi e collaborativi come la complessità della

3

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 3

Page 5: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

questione consiglierebbe: ma per analizzare le difficoltà an-che del miglior volontariato nel fare rete ci vorrebbe un altrolibro a sé...

Da parte mia proverò ad accennare per sommi capi, perrispondere alla domanda di prima, a cosa accadeva nei de-cenni scorsi, quando gli “stranieri” a Padova erano soprattut-to studenti, in gran parte provenienti dalle altre province delVeneto e del Friuli, e non necessariamente – come i piccoli“eroi” misconosciuti citati dall’autore – dalla Grecia, dall’exJugoslavia, dall’Asia o dall’Africa. Si andava, dunque, alla ri-cerca di una camera in affitto, e ti veniva offerto – per la po-vera cifra che avevi a disposizione – un posto letto, in qualchetriste casa di periferia, affollata di studenti come te, lontanadalla facoltà, dai negozi e persino dalla fermata dell’autobus.Se invece trovavi un appartamento, l’affitto era così oneroso(altro che equo canone!) da costringerti a ospitare di nascostodal padrone, per condividere le spese, almeno un amico, uncugino, un compagno di università e... le rispettive morose.

I vicini in genere ti guardavano con sospetto (magari giu-stificato dalle nostre barbe incolte, dai nostri eskimi guerri-glieri e dalla tendenza a tirar tardi la sera), i compagni diuniversità padovani se ne stavano fra di loro, e i pochi di noiche non scappavano a casa nei fine settimana si ritrovavanoa farsi triste compagnia per le strade di una città percepita co-me ostile e scontrosa. Peggio di noi stavano, ovviamente, icompagni meridionali, che erano i più impopolari, e al loropaese tornavano sì e no tre volte all’anno...

Le cose sono migliorate negli anni Ottanta, forse perché sìPadova usciva dal tunnel della violenza politica, forse perchénoi entravamo nel mondo del lavoro e cominciavamo ad ave-re maggiori rapporti con i padovani, e qualche lira per le ta-sche (avete mai notato come le disponibilità economiche mi-gliorano l’atmosfera percepita di una città?); oppure, forse,perché altri ospiti – gli immigrati stranieri – avevano preso ilposto degli studenti nella classifica cittadina del basso gradi-mento. E poi, finalmente, è venuta l’epoca – ma c’è volutotempo e fatica – in cui ci siamo sentiti accolti dalla città, epersino apprezzati; anche se forse adesso siamo noi “oriundi”a non ricambiare completamente, memori delle antiche diffi-denze ma anche delle nostre nostalgie della heimat.

Tutto questo per dire che, a mio avviso, anche Padova –

4

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 4

Page 6: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

come tutte le comunità locali – ha bisogno di un diverso persentirsi “uguale” (se non sono gli immigrati o gli studenti,possono essere i gay o gli autonomi o qualsiasi altra categoriaumana che manifesti una sua diversità); che di diversità, gra-zie alla sua storia e alla sua vocazione culturale, ergo univer-salistica, la città ne ha avuta sempre parecchia, e forse ulti-mamente anche troppa tutta insieme; ma che questa diversità– ed è ciò che la parte meno evoluta di Padova fatica ad ac-cettare – è un elemento costitutivo della “padovanità”, e puòessere anche la sua ricchezza: a patto che ci siano tempo e oc-casioni per conoscersi, reciproca disponibilità, rispetto vicen-devole, e la consapevolezza che una parlata diversa, un’usan-za un po’ esotica, uno sguardo “altro” sulle cose cittadine, so-no un vantaggio per una comunità che voglia crescere re-stando al passo con un mondo cangiante come l’attuale.

Tutto questo però, inevitabilmente, crea anche tensioni eproblemi, che vengono patiti soprattutto dai ceti più debolidella società (i più poveri, i meno colti), quelli che dall’arrivodegli immigrati ricavano soprattutto disagi: perché essi sonoloro concorrenti sul terreno del lavoro e dell’assistenza socia-le, e magari rumorosi e disordinati vicini di casa; e senza go-dere dei benefici che la presenza immigrata garantisce invecealla società nel suo complesso, e in particolare ai suoi compo-nenti più ricchi o istruiti, come i lavori a buon mercato nellafabbriche e nelle case.

Per venirne a capo è necessario che proprio le classi piùprivilegiate si facciano carico della questione in toto, e che lacittà garantisca ai più esposti delle risposte concrete sul terre-no della sicurezza, e delle articolate forme di compensazioneeconomica e sociale. Qualcuno invece risponde a queste ten-sioni drammatizzandole, proponendo di Padova, per finiprettamente politici, una rappresentazione mediatica fuor-viante, un’immagine rabbiosa e intimorita, che alimenta ne-gli italiani poveri paura e risentimento.

Per chi ha a cuore la verità delle cose, per chi perseguel’incontro fra le persone e una più serena convivenza fra lediverse anime di questa città, la lettura delle pagine che se-guono può dunque rivelarsi preziosa.

Sergio Frigo

5

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 5

Page 7: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Al lettoreQuesto volumetto non è un vero e proprio studio sull’immi-

grazione, bensì un piccolo excursus sul modo in cui la Difesadel popolo ha trattato l’immigrazione, dal suo sorgere neglianni ’80 fino al suo ultimo tumultuoso sviluppo. Per questo,data anche la brevità imposta, si è cercato di limitare al mas-simo i riferimenti a leggi, normative e numeri, se non nei casiin cui erano effettivamente utili a illustrare i fatti.

Del resto, esistono già diversi enti e pubblicazioni che ela-borano e diffondono dati sull’immigrazione, primi fra tutti leelaborazioni dell’Istat e il rapporto annuale Caritas-Migran-tes; in questo scritto si è piuttosto preferito, in linea anche conla sensibilità che ha sempre caratterizzato il nostro giornale,di dare ove possibile spazio alle storie personali e alle testimo-nianze dirette.

Il lavoro si sviluppa lungo l’arco di quasi quattro decenni:dal 1970 alla fine del 2007; per ogni periodo si è cercato dimettere in luce i temi che risaltano maggiormente dalla lettu-ra della Difesa, senza comunque escludere il rimando, all’in-terno di ciascun capitolo monotematico, a notizie apparte-nenti a periodi precedenti o successivi, che siano però connes-se all’argomento di volta in volta trattato. Il titolo è preso dallaDifesa del 3 settembre 1989.

Spero che anche questo lavoro sia utile un giorno a unapiù ampia e inclusiva storia della nostra immigrazione.

Dedico questo scritto a due migranti: mio padre e mia moglie.Daniele Mont d’Arpizio

Daniele Mont d’Arpizio è nato a Roma nel 1976 e vive a Padova;sposato, ha due figli. Collabora alla comunicazione istituzionale del-l’università di Padova; ha lavorato in diverse realtà non profit, neisettori dell’accoglienza, dell’inserimento lavorativo di soggetti svan-taggiati e dell’immigrazione. Attualmente sta concludendo un dotto-rato di ricerca in diritto costituzionale, sulle radici cristiane neglistatuti delle regioni italiane. Collabora alla Difesa del popolo dal2003, è iscritto all’ordine dei giornalisti dal 2006.

6

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 6

Page 8: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

CAPITOLO PRIMO

La preistoria dell’immigrazione(1970-1990)

Gli inizi: studenti ed esuli

F ino agli anni ’90, più che di immigrati, in Italia bisogne-rebbe semmai parlare di “stranieri”. Trovare qualcosasull’immigrazione nelle edizioni della Difesa del popolo

degli anni ’50 e ’60 è difficile: sono gli anni del boom, l’Italiaconosce un periodo di crescita economica e di stabilità senzaprecedenti; eppure anche in questo periodo e nei successiviil migrante per eccellenza resta l’emigrante. Nel 1971, quandoil benessere è già considerevolmente aumentato, qualcuno haancora paura che con l’istituzione del Mec – il Mercato comu-ne europeo, che tra le altre cose prevede l’abolizione dellefrontiere per i lavoratori – l’Italia letteralmente si svuoti.

Le prime pagine, soprattutto la prima e la terza, in questoperiodo sono dedicate alle notizie dall’estero; numerose, qua-si sempre allarmanti, quelle che provengono dall’Europa del-l’Est: la cortina di ferro, le persecuzioni, le repressioni del-l’Ungheria nel 1956 e poi della primavera di Praga nel 1968.Poi ci sono le notizie dalle missioni, soprattutto dall’Africa:sempre nel 1971 sono ben 1.110 i padovani partiti a portareaiuto e testimonianza nelle terre di missione; negli anni tra imissionari padovani ci sono stati martiri, come il dehonianoBernardo Longo (1906-1964) e il comboniano Ezechiele Ra-min (1953-1985), e anche diversi futuri vescovi. Di stranieriperò in Italia proprio non si parla, pare anzi che non ce nesiano; in fondo, cosa dovrebbero venire a fare?

Beh, studiare per esempio. L’università di Padova è fin dalmedioevo un polo di attrazione per gli studenti di tutta Euro-pa. In un articolo abbastanza esteso dell’11 gennaio 1970 (p.7) la Difesa del popolo affronta la situazione degli studentistranieri a Padova, già allora più di 700. Il titolo è eloquente:

7

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 7

Page 9: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

“Una fede al dito per avere un alloggio – Difficoltà di trovarealloggi, scarsa conoscenza della lingua, ostilità dell’ambientecittadino, sono i loro problemi più grossi”. Il ritratto che neesce, a firma di Mariangela Ballo, è a tratti desolante: dei tantigiovani studenti stranieri «tutti indistintamente, con qualcheeccezione rara come le mosche bianche, se gli chiedi come sitrovano a Padova, rispondono: male; parecchi: malissimo». Ilproblema principale è quello dell’alloggio; la testimonianza diGiorgio Adraltas, greco iscritto a medicina, è quella che dà iltitolo all’articolo: «molti proprietari [l’alloggio] non lo affittanoa studenti, e quasi tutti lo rifiutano agli stranieri, neppure [sic]se siamo presentati da qualche italiano. Io per averlo ho mes-so una fede al dito e ho fatto credere di essere sposato». Con-ferma Maurizio Brunelli, responsabile del settore alloggi delCurse (Centro universitario per studenti stranieri), un’associa-zione che cerca di venire incontro a questi ragazzi: «gli appar-tamenti li danno a fatica; se vedono un africano o un indianoesigono che ci sia insieme io, oppure aumentano l’affitto di10 mila lire». L’affitto di un appartamento per studenti alloravale in media 45 mila lire: altri tempi, ma i problemi sembra-no essere già quelli di oggi. Non c’è solo il problema dellacasa: Spiros Mardichiari, anche lui greco, dice di trovarsi malea Padova soprattutto per via dell’ambiente chiuso: «non si rie-sce a fare amicizia, sembra che i padovani abbiano paura dinoi». L’articolo parla di “razzismo bianco”, applicando per laprima volta questo concetto agli italiani nei confronti deglistranieri: «[gli studenti stranieri] non hanno occasione di parla-re con nessuno […], in ogni caso molti hanno imparato il dia-letto prima dell’italiano. Anche se esercitano qualche com-mercio – molti siriani vendono oggetti d’argento, tappeti e al-tre cose tipiche – sono sempre degli isolati, magari a gruppietnici, che non riescono a penetrare nel tessuto della città».Molte anche le critiche rivolte dagli studenti all’università, ac-cusata di non fare abbastanza per gli ospiti stranieri, sia perl’alloggio che per l’assistenza medica.

Tre anni dopo la Difesa torna sul tema (14 gennaio 1973,p.7: “Molti stranieri dottori al Bò”), pubblicando i dati sui lau-reati del 1971: ben 135 sono gli stranieri, su un totale di3.584. I più numerosi sono tradizionalmente i greci (18), qua-si tutti laureati in ingegneria, seguiti da “siriaci” (13), jugosla-vi, indiani, cecoslovacchi, etiopi e persino da un “nuo-

8

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 8

Page 10: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

vayorkese”; tra le facoltà, quella più gettonata dagli stranieri èmedicina, che in quell’anno ne laurea ben 49, tra cui l’unicostudente cinese: Chan Robin, della città di Kuomming.

Oggi, a distanza di quasi quarant’anni, parecchie cose so-no cambiate: nell’anno accademico 2004-05 gli stranieri sonoall’incirca il 4 per cento degli iscritti all’ateneo patavino, perun totale di 2.293 studenti: una cifra lontana da quelle deigrandi campus americani e inglesi – e anche di quelli francesie tedeschi – ma che pone comunque Padova tra le universitàin Italia con una maggiore presenza di stranieri, subito dopoRoma e Bologna (Difesa del 15 gennaio 2006, pp. 3-4). In tut-ti questi anni, pur con molti cambiamenti, i problemi spessorimangono gli stessi: la burocrazia, la lingua – che però primao poi si supera –, e poi la solitudine, la povertà e soprattuttola ricerca di una casa, in particolare per gli studenti africani; aconfermarlo è Simplice, studente camerunense iscritto a me-dicina: «molte persone alle quali ho telefonato in risposta aofferte di alloggio mi hanno chiuso il telefono in faccia, qual-che volta al mercato hanno rifiutato di vendermi la frutta,quando ho dovuto assicurare il mio motorino credevano chel’avessi rubato…» (6 febbraio 2005, p. 15: “Benvenuta matri-cola straniera”). Tra i ragazzi che vengono molti sono quelliche, una volta finiti gli studi, si fermeranno a Padova: «biso-gnerebbe pensare con cura – suggerisce Elena Agostini, dellasegreteria dell’università – a progetti di reinserimento neipaesi di origine. Su questo non c’è ancora una coscienza suf-ficiente, non ci si rende conto della ricchezza che questi lau-reati potrebbero esprimere, diventando dei veri e propri pon-ti, mediatori culturali tra la loro patria e il nostro paese, di-ventato un po’ anche la loro casa».

Torniamo però agli anni ’70; in questo periodo gli studentinon sono gli unici stranieri: tra le pagine del giornale intrave-diamo anche quella particolare categoria di migranti che èrappresentata dagli esuli, tra i quali diversi intellettuali e arti-sti. Molti di loro provengono dai paesi oltrecortina, come loscultore romeno Eugen Ciuca (la Difesa gli dedica un articolosul numero del 14 marzo 1971, p. 3), allora residente a Mira,che in seguito si trasferirà a New York e riscuoterà un discre-to successo internazionale con la sua poetica dell’“Arte dellaquarta dimensione”, oppure Vladislav Kavan, presentato co-me “uno dei maggiori artisti cecoslovacchi contemporanei”,

9

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 9

Page 11: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

che allestisce nel 1972 una personale presso il centro “La cu-pola” (19 marzo 1972, p. 7). Si tratta di persone verso le qualiè difficile non provare una simpatia istintiva: proprio in queigiorni la Difesa parla delle vicissitudini della popolazione ce-coslovacca, oppressa da un regime che, dopo la repressionedella “primavera di Praga” nel 1968, pare essersi addiritturainasprito.

In quegli anni tutta l’Italia – e quindi anche la Difesa –parla delle sorelle Kessler; sul banco degli imputati i vestitiindossati dalle sorelle tedesche, che spesso e volentieri lascia-no scoperte le famose gambe, e soprattutto il favoloso com-penso di 34 milioni, percepito per “Canzonissima” (18 gen-naio 1970). In fondo sono straniere anche loro, ma forse nonè proprio la stessa cosa: nessuno si sognerebbe mai di chia-marle immigrate.

In generale, prima degli anni ’90, la presenza di cittadinistranieri sul territorio emerge qua e là, con larghe soluzioni dicontinuità, attraverso delle “tracce” che devono essere cercatee interpretate; un articolo del 26 settembre 1971 (p. 9) infor-ma ad esempio che nel 1970 sono stati circa 150 gli stranieriricoverati negli ospedali padovani. In questo periodo, insom-ma, la presenza di cittadini stranieri è ancora marginale, so-prattutto se confrontata con il fenomeno opposto, ovvero conl’emigrazione italiana verso i paesi più ricchi. I pochi stranieripresenti, essenzialmente studenti, esuli e giovani laureati, ap-partengono in realtà alle élites dei paesi di provenienza e ri-scuotono in linea di principio la simpatia dell’Italia, ancoraabituata a considerarsi paese povero, geneticamente antirazzi-sta. Eppure avvertiamo già delle situazioni di disagio, soprat-tutto quando la presenza è più concentrata, anche se relativa-mente, come nel caso degli studenti dell’università.

Interessante è il linguaggio: come chiamare queste personeche vengono nel nostro paese? Il termine “negro”, seguendo latradizione italiana, è ad esempio ancora usato normalmente,sprovvisto com’è di alcun significato offensivo: “Per aiutare inegri del Sudan meridionale”, titola ad esempio la Difesa nel1970. La fortuna del termine inizierà a declinare soltanto versoil 1990, sostituito da “terzomondiale”, fino a quando non si im-porrà un altro vocabolo, stavolta d’origine burocratica, il cuiuso prosegue fino a oggi: “extracomunitario”.

10

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 10

Page 12: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

I primi problemi

I l 26 gennaio 1975 la Difesa parla per la prima volta di im-migrazione clandestina (p. 3: “30.000 africani venduti sullastrada della speranza – si allarga il fenomeno delle immi-

grazioni clandestine”). L’inizio è allarmante: «circa 30.000 ne-gri lasciano ogni anno l’Africa per venire a lavorare in Euro-pa. Almeno mille si fermano in Italia, definitivamente “acqui-stati” per mezzo milione di lire». Il servizio non riguarda Pa-dova bensì Milano, dove pare essere scoppiata “la mania del-la cameriera di colore”. Gli elementi che ricorreranno in tantiservizi di alcuni anni dopo ci sono già tutti: la fame, il sognodi “trovare l’America in Europa”, i “procacciatori di negri”,che organizzano i costosi viaggi, e che poi si rifanno tenendogli immigrati in condizione di semi-schiavitù. Non si parla an-cora di prostituzione: i “mercati” di destinazione sono ancorai lavori di fatica per i maschi, quelli domestici per le donne;l’articolo cita dei dati che calcolano in circa 500 mila le colfall’epoca in servizio in Italia, a fronte però di un fabbisognoalmeno doppio: necessità di una società dove sono semprepiù numerose le donne che lavorano fuori casa. «Noi cerchia-mo di fare la massima attenzione – dice nell’articolo una fon-te della questura di Milano – ma non sempre è facile capirese una negra viene in Italia per lavorare clandestinamente, oper turismo». Secondo il servizio, nel 1972 l’Italia ha espulsocome “indesiderabili” 7.434 stranieri; eppure il nostro è anco-ra un paese marginale nei grandi movimenti della migrazioneinternazionale: nello stesso periodo nella sola Marsiglia ci so-no già oltre 40.000 immigrati africani, in massima parte desti-nati al mercato delle braccia del lavoro portuale: «gente dapagare poco – conclude amaro il cronista –. Nessuno li acco-glie, li istrada, li aiuta […] Il fenomeno dello schiavismo, chesembrava scomparso nell’Ottocento, sopravvive ancora».

Sull’edizione del 19 novembre 1978 un altro titolo che de-sta preoccupazione: “Un milione di stranieri che lavorano inItalia?” (p. 3). Si tratta di una stima esagerata, visto che il nu-mero degli stranieri supererà il milione solo vent’anni più tar-di; resta il fatto che si inizia ad accorgersi del fenomeno: nona caso, proprio nel 1978, la Chiesa italiana dedica per la pri-ma volta ai lavoratori stranieri la giornata nazionale delle mi-grazioni, creata nel 1914 da papa Pio X. Nell’articolo si nota

11

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 11

Page 13: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

come, mentre gli italiani si indignano a causa delle discrimi-nazioni subite all’estero, in particolare in Svizzera, nel paeseintanto sta crescendo il numero degli immigrati stranieri, ri-spetto a quali «il governo italiano ha l’occasione di rivaleggia-re con le autorità svizzere in fatto di rigidità amministrativo-burocratica». Si fa l’esempio dei pescatori tunisini arruolati daipescherecci siciliani, così come delle 60 mila colf (antenatedelle odierne badanti) provenienti soprattutto dalle isole Ca-poverde, dalle Mauritius e dalle Filippine. I dati sono ancorapoco chiari: secondo le statistiche ufficiali nel 1975 in Italia cisono 186.413 stranieri ma, a detta del cronista, «si tratta di ci-fre inattendibili, in quanto il fenomeno presenta generalmen-te il carattere della clandestinità»; i sindacati parlano di altri150-200 mila lavoratori senza documenti, mentre “stime gior-nalistiche” arrivano addirittura al dato di 700 mila lavoratori.Il fenomeno pare riferirsi soprattutto alle grandi città; il Vene-to appare in quel momento ancora ai margini del movimentomigratorio: presenti sono soprattutto i cittadini jugoslavi, neisettori dell’edilizia, del lavoro portuale, nell’agricoltura e neiservizi domestici e alberghieri.

Il fenomeno dell’immigrazione viene insomma percepito,fin dai suoi primi albori, sotto il segno dell’allarme e dell’e-mergenza; la Difesa risponde mostrando fin dall’inizio i carat-teri che informeranno il suo atteggiamento successivo: il ten-tativo di comprendere le cause, andando al di là dei pregiudi-zi, e poi l’attenzione alle persone, alle loro storie e ai loroproblemi concreti; un approccio non ideologico ma piuttostopragmatico e valoriale. Un altro dato che emerge dalla letturadegli articoli di questi anni è la grande difficoltà ad avere nu-meri affidabili sul fenomeno; difficoltà che purtroppo dura fi-no ad oggi.

I preti neri

U na categoria particolare di stranieri, che proprio nonpossono mancare dalle pagine di un giornale diocesa-no, è quella dei sacerdoti. L’Italia, centro mondiale del

cattolicesimo, richiama preti da tutto il mondo per gli studi ela formazione: già all’inizio degli anni ’50 un minuscolo trafi-letto in prima pagina ci fa edotti del fatto che in quel mo-

12

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 12

Page 14: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

mento ci sono 59 studenti africani nei seminari e nelle ponti-ficie università romane, la più parte dalle ex colonie dell’Etio-pia (10) e dell’Eritrea (4) (“Gli studenti ecclesiastici africani aRoma”, 22 aprile 1951).

Il 6 maggio 1973 (a p. 3) il giornale ospita un’intervista apadre Afonso Teka («tiene a specificare: Afonso e non Alfon-so»), un giovane cappuccino originario dell’Angola portoghe-se, mandato dal suo ordine a Padova per motivi di studio odi formazione. L’articolo sul giovane sacerdote – «di un colorenero non sfavillante ma deciso», nota il cronista – rappresentauna delle prime opportunità in cui un africano prende la pa-rola in prima persona, e padre Teka sa approfittarne: nono-stante la giovane età dalle sue parole trapela una certa auto-revolezza. Alla domanda del cronista se sia un convertito ri-sponde affermativamente, per poi specificare che ogni cristia-no in fondo lo è, in quanto la sua fede deve fondarsi su un’a-desione personale. Dell’Italia si dichiara colpito dal benessereeconomico, ma anche e soprattutto “[dall’] abbondanza quasiincredibile di sacerdoti”, soprattutto in confronto al paese na-tio, dove capita che in un villaggio si veda un prete sì e noun paio di volte all’anno. Padre Teka cerca anche benigna-mente di “chiarire le idee” ai lettori italiani sulla complessitàdella cultura e della mentalità africane, uscendo per un atti-mo dai luoghi comuni e dai cliché pauperistici. La tribù adesempio: «per noi la tribù non è assolutamente sullo schemache hanno molti occidentali: un capo e un gruppo di capan-ne. Per noi la tribù è una situazione concreta di solidarietà edi fraternità fondata sulla parentela». Per chiarire il concettoPadre Teka fa un esempio: «quando io sono arrivato qui inItalia mi sono trovato attorno parecchi zii, cugini che io nonsapevo neppure esistessero e che ovviamente non avevoinformato. Eppure sapevano che io ero qui e mi hanno dimo-strato una solidarietà senza limiti. Ecco, per noi la tribù è lacertezza della solidarietà, lo spazio reale della vita».

Certo, non si tratta di immigrati veri e propri: appartengo-no pur sempre anche loro alle élites di cui abbiamo parlato.Sempre del 1973 è un articolo (29 luglio, p. 9: “Parroco neroa Corbezzola”), che tratta dell’esperienza di don Matteo Ba-rukinamwo, 28 anni, del Burundi, per 15 giorni “alla guida”della parrocchia di Corbezzola. Don Matteo si rivelerà solol’apripista di tutta una serie di preti che, provenienti dalle ter-

13

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 13

Page 15: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

re una volta di missione, soprattutto negli ultimi anni hannosempre più “reso il favore” ai loro antichi evangelizzatori, as-sicurando i sacramenti anche nelle nostre città. A Corbezzoladon Matteo è venuto a sostituire il parroco durante le ferie;per la comunità è diventato subito “il negretto” ma, specificail cronista, si tratta di un soprannome dato per simpatia e so-prattutto per comodità, visto il cognome impronunciabile delsacerdote. A dispetto dei luoghi comuni, il paese ha accoltosubito con simpatia il nuovo “parroco”; venuto in Italia duemesi prima per studiare a Roma, senza conoscere neppure lalingua, don Matteo sembra infatti essere diventato in pocotempo la mascotte del paese, dove tutti lo salutano e lo invi-tano. Eppure, neanche don Matteo può esimersi da notare al-cune differenze con il suo paese d’origine: «in Burundi lechiese sono quasi sempre affollate, mentre qui mi è capitatodi celebrare la messa con meno di dieci persone presenti.Qui, durante una funzione, c’è sempre un grande silenzio. InAfrica invece la partecipazione è più attiva, si canta e si pregasempre tutti insieme». Un modo diverso di vivere la fede e isacramenti, che l’intraprendente don Matteo pensa addiritturadi provare a sperimentare in Italia, una volta presi i necessariaccordi con il titolare della parrocchia. Quando è il momentodi congedarsi, don Matteo stupisce il cronista, invitandolo perun bicchierino: “un’ombretta ed uno schiaffo al medico”; l’in-tervistatore Roberto Foco rimane ammirato: «Don Matteo nonparla solo l’italiano, ha già imparato il dialetto e conosce per-fettamente la filosofia della gente delle nostre campagne. Tut-to in due mesi». Nell’articolo si percepisce quello che poi sirivelerà un tratto caratteristico dell’immigrazione in terra ita-liana e veneta in particolare: l’integrazione resa possibile so-prattutto nei piccoli centri, dove ci si conosce tutti. Storie didialogo e di ordinaria integrazione in diretta dagli anni ’70.

Eppure in quei giorni proprio in Burundi, la patria di donMatteo, si sta consumando un nuovo terribile massacro: sonoinfatti in atto dei sanguinosi scontri tra le etnie degli Hutu edei Tutsi, le stesse che più di vent’anni dopo saranno prota-goniste di un nuovo terribile genocidio, quello del vicinoRwanda. Le notizie si infittiscono sulla Difesa proprio nei nu-meri successivi all’intervista a don Barukinamwo, e parlano di200 mila, poi di 300 mila morti, con particolari raccapricciantisulla brutalità degli scontri e sulla ferocia delle torture inflitte

14

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 14

Page 16: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

ai vinti e alle loro famiglie.Non solo i preti: la Difesa del 17 novembre 1974 dà la no-

tizia della solenne professione di fede da parte di suor IreneKoluthara, clarissa indiana, a Padova per studiare medicina.Una foto ritrae la giovanissima suora in mezzo a religiose in-diane, giunte a Padova da tutta Europa per festeggiare la lorogiovanissima compatriota. Nessuno però chiede a suor Irenecome si trovi in Italia, così come nessuno lo chiede a suorElisa Marcellina, suora angolana della congregazione dellesuore Salesie (29 ottobre 1978, p. 13).

Qualcuno di questi esotici “preti negri” fa strada, e torna atrovare la parrocchia che l’ha ospitato da giovane: è il casodel vescovo nigeriano Efrem Silas Obot, in visita alla parroc-chia di Boion, dove il presule africano aveva svolto qualchemese di pratica pastorale quando era ancora un seminarista aRoma (13 settembre 1978, p. 13). Il giovane vescovo è allaguida della diocesi di Idah, un milione di abitanti di cui ap-pena 50 mila cattolici, il resto musulmani e animisti; nel suoministero è coadiuvato da appena 18 sacerdoti, tra cui 14missionari canadesi, mentre nel seminario aspettano l’ordina-zione 9 ragazzi e un diacono. Nonostante la visita si svolgadurante il periodo delle ferie estive, le due messe tenute nellachiesa parrocchiale registrano il pienone.

Il papa venuto da lontano

U n altro di questi preti stranieri in Italia – anche se nonproprio “negro” – farà una “carriera” ancora più avvin-cente; nel 1978 in poco più di un mese si succedono al

soglio pontificio tre papi. L’ultimo ha un nome che suonastrano alle orecchie italiane, tanto da essere scambiato in unprimo momento per africano. Nel corso del suo ministero Ka-rol Wojtyla, proveniente da una chiesa grande ma perseguita-ta, si rivelerà un “immigrato” molto particolare; la Difesa dànotizia della sua elezione il 22 ottobre 1978, ovviamente inprima pagina. Il papa “venuto da lontano”, come lui stessoammette nel suo primo discorso, riscuote subito la simpatia el’ammirazione di tutti gli italiani; al cronista, che in un’intervi-sta a p. 4 gli chiede a più riprese se un papa straniero nonpossa in qualche modo rappresentare un problema per la

15

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 15

Page 17: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Chiesa italiana, il vescovo Girolamo Bortignon risponde riso-lutamente: «nel Corpo Mistico di Cristo, non siamo più stra-nieri uno all’altro. C’è comunione, fraternità. Un concettoquesto che nella Chiesa è ormai acquisito e fa superare ogniostacolo di barriere». Il vescovo padovano, ancora moltoamato e ricordato, nega poi che Giovanni Paolo II possa es-sere meno informato della realtà della Chiesa, e conclude:«secondo me è significativo [che questo papa venga dalla Po-lonia], perché è una nazione cattolica al novanta per cento,cattolica e perseguitata, perché ha saputo resistere con la suareligiosità nella sua pratica di vita cristiana. [Per questo] Diol’ha anche premiata, come diciamo che ha premiato il Venetoo la Lombardia. Il Veneto e la Lombardia dell’Europa è la Po-lonia».

Nella pagina successiva la Difesa tratta il tema dei legamisecolari tra Padova e la Polonia, ma c’è spazio anche per unacuriosità: dei sette eremiti camaldolesi che in quel momentovivono sul Monte Rua, tre sono i polacchi; uno di questi, pa-dre Romualdo, avrebbe predetto quindici giorni prima delconclave l’elezione di un connazionale: ne sono testimoni isuoi compagni e monsignor Pietro Brazzo, direttore di VillaImmacolata. Fra Romualdo si sarebbe basato su una profeziadel connazionale padre Markyevic, fondatore dell’ordine deiMicheliti, il quale avrebbe scritto che dopo che il fiume si sa-rebbe macchiato del sangue di molti popoli (il fiume Orin,dove si combatterono numerose battaglie nelle due guerremondiali), la Polonia sarebbe risorta, e avrebbe dato un pon-tefice alla cristianità.

L’elezione del pontefice suscita da subito un grande inte-resse per il cristianesimo polacco; già sulla prima pagina dellasuccessiva edizione del 29 ottobre risuona quello che poisarà il motto dell’intero papato: “Non abbiate paura”. “DallaPolonia una lezione di coerenza”, titola un articolo della Dife-sa del 10 dicembre 1978 (p. 4): «dal 6 ottobre di quest’anno laPolonia ci è diventata più cara e familiare. […] Ma la letizia diquesti giorni non deve farci dimenticare la situazione difficiledei cristiani polacchi». Notizie recenti confermano le vessazio-ni del regime comunista contro la Chiesa polacca.

16

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 16

Page 18: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

L’immigrazione negli anni ’80

N egli anni ’80 appaiono in Italia i primi lavoratori immi-grati: sono soprattutto venditori ambulanti e lavoratoristagionali, in maggioranza marocchini o nordafricani,

tanto che per molto tempo “marocchino” e “vu’ cumpra” di-venteranno sinonimi di immigrato. Ancora oggi, dopo che lemigrazioni più recenti dall’Albania e soprattutto dall’Europadell’Est l’hanno fatta passare un poco in secondo piano, quel-la marocchina è comunque la terza comunità straniera in Ita-lia. Perché vengono? «Siamo diventati un paese ricco – scri-verà la Difesa 8 maggio 1988, p. 18 – anzi uno dei paesi doveil benessere è di casa ed è diffuso. Noi, forse, non ce ne sia-mo accorti, non tutti almeno; ma altri, la gente del Terzomondo, sembra proprio di sì». L’articolo si chiude con una ci-tazione biblica che è anche un ammonimento: «ricordati cheanche tu fosti straniero nel paese d’Egitto».

L’Italia però sembra non avere tempo da perdere per capi-re quello che sta succedendo: presto si abitua ai nuovi ospiti,senza quasi accorgersi di loro; non si sa chi né quanti sono,manca quasi completamente un dibattito pubblico. Una dellepoche occasioni per parlare e riflettere del fenomeno è la ce-lebrazione annuale della “giornata mondiale delle migrazio-ni”, cui abbiamo già accennato. Per un paese di emigranti,quale è stato l’Italia fino a tempi recenti, si tratta innanzituttodi un’occasione per ricordare familiari, amici e conoscenti –ancora più di vent’anni dopo, nel 2003, sono circa 5 milioni e300 mila i nostri connazionali all’estero, quasi un italiano sudieci. Già nel 1982 però la Difesa del popolo dedica il serviziosulla giornata agli immigrati, anziché gli emigranti (21 novem-bre 1982, p. 5).

I tempi sono maturi: l’anno successivo l’immigrazione perla prima volta si affaccia sulla prima pagina della Difesa (20novembre 1983): “Ieri erano i veneti a girare il mondo – titolail giornale – Ora gli stranieri sono tra noi, ma molti li ignora-no”. Tra le altre cose, il servizio ospita anche un’intervista alpadre scalabriniano Giuseppe Contessa, che per anni ha assi-stito i nostri connazionali in Svizzera: «è tempo […] che siaprano gli occhi: gli stessi diritti che gli italiani chiedevanonel passato ai paesi di emigrazione oggi bisognerebbe cerca-re di garantirli a quelle correnti migratorie che giungono da

17

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 17

Page 19: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

noi. Se ne parla dappertutto, ma l’Italia non è ancora riuscitaa darsi in proposito una legislazione. [...] Gli immigranti for-mano Chiesa e sono persone. E, come insegna Giovanni Pao-lo II, ogni uomo ha la stessa nostra dignità di uomini, al di làdi ogni diversità di linguaggio e di mentalità». Secondo stimeriportate dall’articolo, ufficiose e sicuramente esagerate, inquel momento in Italia sarebbero quasi 600.000 gli stranieri.

Di stranieri si continua a parlare soprattutto a proposito didisagio sociale: in un convegno di fine anni ’80 essi sono adesempio trattati a fianco dei barboni e delle vittime della dro-ga (3 gennaio 1988, p. 15: “Gli stranieri di casa nostra. Le po-vertà a Padova”). Più interessante la fotografia che corredal’articolo, che ritrae tre donne, una di colore e due con trattiorientali, forse filippine o sudamericane; nella didascalia stascritto: «incontri ormai abituali a Padova: le colf estere si ritro-vano il giovedì o la domenica pomeriggio davanti alla stazio-ne o in piazza del Santo». Da qualche parte, qua e là, conti-nua a far capolino il problema della casa, come nella Difesadell’8 maggio 1988, nelle pagine gestite dalla Caritas (p. 16):«il problema di rispondere alle necessità abitative delle perso-ne non si esaurisce solo nel reperire alloggi, ma investe an-che la più ampia sfera dell’accoglienza. […] Siamo, tutti,pronti ad indignarci e a protestare contro i tanti razzismi cheavvelenano il mondo, ma perché poi appaiono sui muri dellenostre case, sui ponti delle autostrade, scritte intolleranti oaddirittura offensive contro la gente proveniente dal Sud; co-me mai le porte delle nostre case si aprono così difficilmentea qualche giovane terzomondiale alla ricerca di una stanzaper poter studiare o lavorare nel nostro paese?»

Nello stesso periodo si registrano anche le prime iniziativea favore dei migranti: sullo stesso numero dell’8 maggio 1988(p. 18) la Caritas informa del progetto “Centro mondo ami-co”, una struttura destinata a garantire ospitalità temporaneaagli stranieri. Verso la fine del decennio, soprattutto da partedella Chiesa, si cerca di attrarre l’attenzione sul fenomenocon iniziative, incontri e seminari: alla fine del 1989 ad esem-pio le 15 diocesi del Triveneto organizzano a Vicenza un con-vegno sugli immigrati, dove per la prima volta si parla espli-citamente di un’“emergenza stranieri” (“Immigrati sì, ma nonestranei”, 1 ottobre 1989, p. 27), mentre di immigrazione siparla anche in vista del grande convegno della Chiesa veneta,

18

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 18

Page 20: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

organizzato ad Aquileia per il 1990 (“Famiglia e immigrati:due scelte per l’Europa”, 26 novembre 1989, p. 27). Gli orga-nismi diocesani che in questo periodo si occupano maggior-mente di immigrati sono soprattutto la Caritas, la PastoraleSociale e del lavoro e il Centro Missionario. Proprio la Caritaspadovana, alla fine degli anni ’80, pubblica un suo notiziariosettimanale sulle pagine della Difesa (Caritas Notizie) ed èproprio in questa sezione del giornale, assieme a quella dedi-cata all’economia e lavoro, che si concentra la maggior partedelle notizie sugli stranieri.

Gli anni ’80 rappresentano un periodo di incubazione, nelquale la presenza dei cittadini stranieri cresce costantemente,ma non è ancora percepita nelle sue dimensioni dall’opinionepubblica. L’immigrazione “esploderà” come fenomeno media-tico solamente all’inizio degli anni ’90, ma le prime avvisagliesi iniziano a intravedere già alla fine del decennio preceden-te: il 21 maggio 1989, nella sezione “economia e lavoro”, siparla ad esempio di un progetto di legge regionale sull’immi-grazione, presentato dalla Democrazia Cristiana veneta (p. 22:“Il Veneto alla ricerca della strada per aprire le porte dell’ac-coglienza”). La normativa, tra le altre cose, prevede anche laprogrammazione di servizi specifici per gli extracomunitari,assieme a una “Consulta regionale dell’immigrazione”, chepoi sarà effettivamente istituita nel 1990. Il progetto parte dal-l’ammissione del parziale fallimento della legge nazionale 943del 1986, la prima legge organica dell’immigrazione, con laquale si contava di dare una sistemazione definitiva del feno-meno in Italia; dopo soli tre anni si constata che poco è statofatto, soprattutto dal punto di vista dell’integrazione.

Ma l’articolo, non firmato, si rivela importante anche dalpunto di vista lessicale: per la prima volta, seguendo la termi-nologia europea, introdotta in Italia proprio dalla legge 943,si parla di “extracomunitari” invece che di stranieri; il pezzo èaccompagnato anche da una piccola intervista al consigliereregionale Annamaria Leone, che cita una frase che più di undecennio dopo, ripresa da Gian Antonio Stella nel fortunatolibro “L’orda”, diventerà molto famosa: «sarebbe assurdo – di-ce la Leone – non riconoscere i lavoratori immigrati nel Vene-to e magari continuare a dire, come in altri paesi, “avevamobisogno di braccia, ci siamo ritrovati degli uomini”». Per laprima volta nel servizio si parla anche della necessità di inse-

19

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 19

Page 21: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

rimento scolastico e qualificazione professionale per gli immi-grati, problemi per i quali ancora oggi si stenta a trovare unasoluzione adeguata.

I “boat people”

A ll’inizio degli anni ’80 il mondo è ancora diviso in bloc-chi, anche se l’impero sovietico è un gigante malato, chesi sfalderà nel 1989. In questo periodo una tragedia attira

l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale: in Vietnamla guerra si è conclusa da appena qualche anno, ma questopurtroppo non ha significato la fine delle sofferenze per unpopolo stremato. Da subito infatti il governo del nuovo Viet-nam riunificato inizia una violenta repressione interna, cui se-guiranno le guerre contro i regimi comunisti “fratelli” dellaCina e della Cambogia di Pol Pot, allo scopo di ottenere ilpredominio sulla regione. In pochi anni diverse centinaia dimigliaia di persone vengono deportate nei “campi di rieduca-zione”, dove più di 150 mila di esse troveranno la morte; perchi vuole fuggire l’unica alternativa è tentare di scappare conogni mezzo: più di un milione persone sfideranno il mareusando mezzi di fortuna, colmi fino all’inverosimile, dirette inMalesia, Thailandia, Filippine, Hong Kong e Indonesia: sono icosiddetti “boat people”.

Il mondo intero è sconvolto, e a suo modo la tragedialambisce anche la piccola Padova: nei campi profughi le per-sone si ammassano sempre più in condizioni igienico-sanita-rie fatiscenti; la comunità internazionale interviene attraversoil segretariato Onu per i rifugiati: anche l’Italia è chiamata afare la sua parte, raccogliendo alcune centinaia di profughi. Èquesto il principio della nostra storia: all’inizio del 1980 ilgiornale diocesano inizia a seguire con diversi articoli, concadenza quasi settimanale, le vicissitudini dei vietnamiti chevengono assegnati al Veneto per essere ospitati. Il punto diinizio è un servizio che occupa una pagina intera nell’edizio-ne del 6 gennaio 1980, firmato da Gino Brunello. La Chiesa èin prima linea nell’accoglienza; il primo articolo (“Una fetta diVietnam ricostruita a Padova”) parla dell’incontro, svoltosipresso l’istituto Santa Rosa, organizzato dalla Caritas per tutti iprofughi vietnamiti ospitati nella zona: «gli abbracci più calo-

20

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 20

Page 22: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

rosi sono andati a padre Filippo, il prete delle navi, il compa-triota che i profughi sentono come un salvatore, ma la rico-noscenza era per tutti. Maria Teresa Tavassi ha esposto i crite-ri di intervento della Caritas italiana, il padre Filippo ha ascol-tato tutti con viva attenzione, annotando difficoltà, problemi,richieste di famiglie, in particolare di quelle che sembranosmembrate, che non hanno notizie dei loro cari, che vorreb-bero ricongiungersi, portando in Italia i loro parenti, fratelli,genitori, figli». Nella riunione si decide che il coordinamentoper gli aiuti in tutto il Veneto sarà stabilito a Padova, la cittàdove i profughi accolti sono più numerosi; si decide inoltredi organizzare l’imminente ricorrenza del ’Têt’, il capodannovietnamita: una festività particolarmente sentita da questa co-munità.

Qual è la risposta della comunità diocesana all’emergenzaprofughi? Estremamente reattiva e solidale, tanto da suscitareancora oggi meraviglia: il secondo articolo del servizio (“Unaclasse ha regalato una macchina da cucire – numerosi gesti diuna solidarietà che continua”), si sofferma sulla gara di soli-darietà che pare essersi scatenata a favore degli sfortunatiprofughi: 26 milioni e mezzo di lire messi insieme dalla Cari-tas solo con la raccolta di indumenti usati – che qui viene perla prima volta sperimentata come modalità di autofinanzia-mento; una somma almeno altrettanto grande arriva dalle do-nazioni private: cifre che ancora oggi sarebbe difficile mettereinsieme. E poi ancora: offerte in natura, proposte di lavoro,di abitazioni: i benefattori sono così tanti che la Difesa deveaddirittura rinunciare a citarli tutti: «una famiglia ha impegna-to venti milioni per costruire la casa ai vietnamiti; due istitutidi suore hanno offerto rispettivamente dieci e cinque milioni,il corrispondente della sistemazione di alcuni locali, stralcian-doli dal loro bilancio; per telefono è giunta l’offerta dell’arre-damento completo di una casa, pronto presso una ditta ditrasporti. Un’infermiera dell’ospedale, vedendo una signoraviet senza orologio, s’è sfilato il suo e gliel’ha messo al polso;una scolaresca ha raccolto il necessario per comperare un“Califfo” e la macchina per cucire agli amici profughi, mentrei dipendenti della banca Antoniana si sono autotassati fino al-l’agosto dell’80, versando i loro risparmi nel conto correntedella Caritas ogni mese. Ogni mese anche le parrocchie equalche gruppo mandano i loro risparmi, come pure fa una

21

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 21

Page 23: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

cameriera d’albergo. I commercianti di Padova hanno inviatogeneri alimentari in occasione di Natale». Ci sono poi i gestidi tantissima gente che sceglie di restare anonima. La solida-rietà di cui si dimostra capace la gente veneta riempie di rico-noscenza i vietnamiti; molti profughi resteranno così impres-sionati dall’accoglienza ricevuta da chiedere il battesimo: «nondimenticheremo fino alla morte – dice a una suora un’anzia-na signora – quello che voi italiani avete saputo fare per noi».Alla fine si arriva al punto che la Caritas (1 febbraio 1980, p.18: “Altri 300 viet nel Veneto”) è costretta a comunicare chenon ci sono abbastanza profughi per tutte le offerte ricevute:«è opportuno precisare che a Padova è possibile accogliereancora una sola famiglia e che le offerte messe generosamen-te a disposizione – circa una ventina – non potranno venireutilizzate»!

Molti non si limitano all’elemosina, ma ospitano i rifugiatidirettamente nelle loro case, come la famiglia Zulian di Arse-go (3 maggio 1981, p. 31); fedeli all’insegnamento del nonnoNapoleone (“una preghiera in meno e una carità in più”), lafamiglia accoglie Ten Nguyen e i suoi cari. I problemi certonon mancano, come il ricordo delle atrocità subite, unito al-l’ansia per i parenti rimasti in Vietnam, ma per gli esuli c’è dinuovo spazio per la speranza: Nguyen ha già un lavoro, einoltre alla coppia in Italia è nata una bambina; loro sonobuddisti, ma hanno chiamato la loro ultima figlia Maria: per-ché è nata in Italia, ma anche perché «Maria è la mamma diGesù, che [li] ha aiutat[i]».

Nelle settimane successive la Difesa segue costantementele vicende dei rifugiati in Veneto, aggiornando i lettori sulleloro condizioni e sull’andamento delle donazioni. Nell’ospita-lità, oltre al capoluogo, vengono coinvolte anche diverse altrecomunità della diocesi (le parrocchie di San Marco, San Gior-gio delle Pertiche, Fratte, Zugliano...): il 16 marzo 1980 la Di-fesa si sofferma ad esempio sui vietnamiti ospiti a Zugliano;per tutti, capifamiglia e figli in età da lavoro, è stato trovatoun impiego nelle imprese locali. «Zugliano è diventato il loroposto – si legge nell’articolo –. È gente che sa attendere, han-no una puntigliosa voglia di imparare la nostra lingua, nonvogliono assolutamente pesare sulle nostre spalle. Ci diconocontinuamente grazie e si sentono liberi: liberi e contenti franoi, a Zugliano».

22

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 22

Page 24: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Gli aiuti non sono solo materiali: nella comunità pare es-serci una effettiva tensione verso l’altro nella sua diversità,fatta di attenzione, di accoglienza, di sollecitudine; anche l’in-tegrazione riceve un forte stimolo da parte di una comunitàdiocesana che per una volta appare singolarmente coesa: il24 febbraio la Difesa torna sulla festività del Têt, il capodan-no vietnamita, festeggiato dai profughi a Tencarola, con unafesta alla quale prendono parte anche 300 italiani. L’incontroè aperto da un momento di preghiera comune, cattolica ebuddista, alla quale prende parte anche il vescovo Bortignon;alla fine un giovane cattolico vietnamita legge una struggentepreghiera, che viene pubblicata dal giornale diocesano: «oracominciamo una nuova vita con due mani vuote, fra personeche parlano una lingua sconosciuta e che hanno abitudini di-verse dalle nostre. Dacci la forza e la fede affinché possiamocamminare sempre in avanti, e portarti a coloro che ci vivonointorno».

Quello dell’accoglienza ai “boat people” vietnamiti è forseun caso limite, però tutt’altro che isolato: ancora nel 1985 laCaritas diocesana raccoglie ben 215 milioni per la siccità inEtiopia (23 giugno 1985, p. 1); anche in tempi più recenti,quando c’è stato da aiutare qualcuno o una popolazione indifficoltà – che siano i bambini di Chernobyl o le vittime del-lo tsunami nel Sud-est asiatico – il Veneto e in Padova in par-ticolare non si sono mai tirate indietro.

Oggi questa gara di solidarietà fa quasi sorridere. Erano si-curamente altri tempi, e l’immigrazione era ancora inimmagi-nabile nelle proporzioni che successivamente avrebbe assun-to; eppure c’è forse qualcosa di strano nel rapportarsi con lostraniero da parte di questo territorio, così naturalmente ge-neroso quando si tratta di aiutare “da lontano”, oppure quan-do il rapporto è ben definito (“tu ospite a casa mia”), ma tal-volta così geloso delle proprie abitudini, quasi chiuso, quan-do si tratta di chi in Italia viene a lavorare o a vivere. Leggen-do le pagine della Difesa del 1980, articolo dopo articolo, sirimane stupiti per la sollecitudine e l’attenzione nei confrontidei profughi: questi non vengono solo aiutati, ma accolti co-me persone.

Certamente oggi le condizioni sono molto diverse: allora sitrattava di appena 300 persone per tutto il Veneto. Viene co-munque da domandarsi: quale sarebbe oggi la situazione, se

23

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 23

Page 25: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

almeno parte degli immigrati ricevesse un’accoglienza eun’attenzione almeno comparabili a quella ricevuta allora daivietnamiti? Sarebbe esistito lo stesso il “caso” di via Anelli?

L’integrazione e il razzismo

O ltre al fenomeno “immigrazione”, che come abbiamo vi-sto inizia a essere percepito solo alla fine degli anni ’80,ci sono le persone, sulle quali la Difesa fin dall’inizio

concentra la propria attenzione. È forse allora bene chiuderequesta carrellata sugli anni ’70 e ’80 con due storie, due storiedi africani: uno che in Italia riesce a trovare una famiglia, unlavoro, un futuro; e l’altro che invece ha trovato soltanto il ri-fiuto, il razzismo, la morte.

Cominciamo da Gilbert Nanhoungue e dalla sua famiglia(20 aprile 1986, p. 14: “Guardare la fame negli occhi”); a pri-ma vista la sua storia sembra riprendere quella dei primi stu-denti stranieri a Padova negli anni ’60. Gilbert è originariodello stato africano del Ciad e si è laureato e specializzato inmedicina a Padova; il suo sogno è però di tornare nella suapatria, e così prova a fare, seguito dalla moglie padovana Su-sy. Inizia così una vita a cavallo tra due paesi e due culture: ilCiad, dove Nanhoungue lavora, aiutato dalla moglie Susy chelo assiste come infermiera, e l’Italia, dove la famiglia continuaa passare dei lunghi periodi; in questo via vai nascono le trefiglie della coppia. Fino a quando, dopo l’ennesimo soggior-no italiano, l’intensificarsi degli scontri della guerra civile nonimpedisce alla famiglia di ritornare in Ciad.

I Nanhoungue si stabiliscono allora alla Guizza, in un ap-partamento al settimo piano: a ricordar loro l’amata Africa ri-mane solo un grande poster colorato in soggiorno, davanti alquale le tre bambine si fanno fotografare, tranquille e sorri-denti. L’Africa è rimasta anche nei loro cuori: «dentro di noi –spiegano – dopo aver vissuto la siccità e visto la morte perfame, crediamo, sia rimasto un marchio indelebile. Al super-mercato, ad esempio, compriamo le cose fondamentali; i ve-stiti servono per coprirci e quindi ne bastano pochi. In que-sto modo si può vivere ugualmente bene con poco, senza la-sciarci sopraffare dal consumismo». Susy ha ripreso a lavora-re, mentre Gilbert presta servizio come medico volontario

24

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 24

Page 26: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

presso l’Opera della provvidenza; le bambine intanto vanno ascuola senza nessun problema; in fondo per loro in Italia c’èanche una famiglia, dei legami: una situazione ben diversa daquella di tanti bambini nati da genitori entrambi stranieri.Dall’Italia i Nanhoungue non se ne sono più andati, e oggi ildottor Gilbert è direttore del secondo distretto dell’ Ulss n. 3,ad Asiago.

La storie degli immigrati però, soprattutto in tutti questianni, non saranno tutte a lieto fine. A fine agosto 1989 a VillaLiterno, in Campania, dove assieme a molti altri africani rac-coglieva i pomodori, viene ammazzato Jerry Masslo, sudafri-cano. Su questa storia sarà anche realizzato il film “Pum-marò”, di Michele Placido. L’uccisione commuove e offendel’Italia, che da un giorno all’altro ha paura di scoprirsi razzi-sta, e finisce anche sulla prima pagina della Difesa del popolo(3 settembre 1989: “Il colore dei fratelli”). Masslo fuggiva dalregime dell’apartheid, ma nel nostro paese non aveva trovatoaiuto, comprensione e solidarietà. Non era stato accolto, maanzi rifiutato, fino a essere ucciso. Il drammatico fatto suscitamolta partecipazione anche a Padova, dove viene data notiziadi una messa in suffragio a Santa Sofia, accompagnata ancheda un coro zairese. La seconda pagina ospita un intervento didon Lucio Calore, l’allora direttore della Caritas diocesana diPadova (“Stranieri ma cittadini, non solo manodopera”); l’in-tervento è di una durezza insolita: «nessuno sa quanti sianorealmente i terzomondiali presenti in Italia: un milione, duemilioni? E questo, per un paese che si ritiene moderno e civi-le, è già un indice di inefficienza. Ma già vi sono previsioniche parlano di una decina di milioni di africani che potrebbe-ro essere presenti in Italia all’inizio del Duemila.» Nell’articoloce n’è per tutti: per il Parlamento, «disattento e in solenne ri-tardo»; per le forze produttive, che «tentano di trarre vantag-gio da un’offerta lavorativa per ora poco esigente e a bassoprezzo, scaricando sulla comunità civile i problemi e la casa,dell’assistenza, dell’istruzione, della convivenza»; per “le variearee sindacali”, che «forse sperano di vedere rinsanguata laloro grinta combattiva con un’inedita problematica sociale»;per la classe politica «che si tiene sottovento in attesa che latigre cresca, magari con un rigurgito di razzismo di rigetto,per poi tentare di cavalcarla». Anche la comunità cristiananon deve solo «invocare l’abbattimento delle frontiere (forse

25

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 25

Page 27: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

soluzione troppo facile, anche se suggestiva)», bensì «educareall’accoglienza, alla reale solidarietà, ad una fratellanza nonsolo ipotetica ma verificata sul campo».

26

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 26

Page 28: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

CAPITOLO SECONDO

Come divenimmo “Lamerica”(1990-2000)

L’immigrazione negli anni ’90: è subito emergenza

G li anni ’90 segnano una svolta, per lo meno nella perce-zione dell’immigrazione: nel solo 1990 sulla Difesa delpopolo c’è più di quanto sia stato scritto nei due decen-

ni precedenti; l’immigrazione all’improvviso diventa il proble-ma del giorno, e il giornale diocesano inizia a occuparsenecon cadenza pressoché settimanale, spesso in servizi di piùpagine.

Cos’è successo? Alla prima vera e propria ondata migrato-ria, proveniente soprattutto dal Marocco e dagli altri paesi delMaghreb, agli inizi degli anni ’90 si aggiungono i primi grup-pi consistenti di migranti provenienti dall’Africa subsahariana:un’immigrazione, quella di colore, certamente più “visibile”che, per la prima volta, inizia a destare allarme sociale. Nonsi parla ancora di delinquenza; quello che spaventa è soprat-tutto il dopo: un rapporto della fondazione Corazzin di Vi-cenza (riportato il 1° aprile 1990, p. 25) ipotizza che si trattidi un’immigrazione solo “esplorativa”; nei paesi di provenien-za si starebbe già preparando una seconda ondata, compostadai familiari dei primi migranti e da chi seguirà il passaparola.“Non sono di più, sono cambiati”, titola un servizio del 2 set-tembre 1990 (p. 26): «gli ultimi arrivati hanno in media menodi trent’anni, arrivano direttamente in Veneto attratti dal “tamtam” dei connazionali, hanno scolarità più bassa di chi li hapreceduti […] il 40 per cento non ha precedenti esperienze dilavoro, né qualifica professionale. Sono soprattutto africani,maghrebini, senegalesi e provenienti dal Golfo di Guinea. So-no in prevalenza uomini e musulmani». Il 90 per cento deinuovi arrivati è senza fissa dimora, moltissimi senza docu-menti.

27

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 27

Page 29: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Durante gli anni ’90 non ci saranno però soltanto le migra-zioni provenienti dall’Africa: la caduta del comunismo liberamilioni di persone che, desiderose di migliorare le proprie vi-te e quelle dei loro famigliari, possono ora migrare nei ricchie liberi paesi occidentali. Allo stesso tempo però la scompar-sa del blocco sovietico porta anche l’instabilità e la guerra vi-cino alle nostre frontiere: in Jugoslavia nel 1992 inizia laguerra civile, mentre già il 15 dicembre 1991 sulla Difesa ap-pare per la prima volta una notizia sui profughi albanesi,un’ottantina di persone che riescono a raggiungere Arino-Pia-niga. «Le notizie che provengono dall’Albania non sono certoincoraggianti – scrive il giornale – c’è penuria i tutti i generidi prima necessità (legna, carne, latte)»: per loro un paese in-tero sembra mobilitarsi in una gara di solidarietà, di quelleche caratterizzano l’arrivo dei primissimi immigrati in diffi-coltà; il vero esodo però ci sarà soltanto qualche anno piùtardi con la bancarotta delle cosiddette “finanziarie fantasma”,che getta sul lastrico migliaia di famiglie e che lascia il paesein preda alla violenza delle bande organizzate. Inizia una pri-ma stagione degli “sbarchi”, soprattutto sulle coste adriatiche;la gente scappa: «il futuro dell’Albania è l’Italia, non ci sonodubbi – dichiara Sebastiano Avviai, albanese in Italia dal 1991– questo paese rappresenta per noi il progresso, la liberazio-ne dalla schiavitù della miseria» (27 aprile 1997).

Quanti sono gli stranieri negli anni ’90? All’inizio del decen-nio sempre la fondazione Corazzin ne conta appena 13 milaresidenti in Veneto: meno dello 0,3 per cento della popolazio-ne, molti meno di quanti ne siano oggi registrati nel solo co-mune di Padova; sei anni dopo però il loro numero è giàquintuplicato: 64 mila immigrati, che pongono il Veneto al ter-zo posto tra le regioni italiane dopo Lombardia e Lazio, en-trambe più popolose (17 novembre 1996, p.1). Nello stessoperiodo tra le province la prima per presenze è Vicenza(24.321), seguita da Verona (13.765), Padova (10.344) e Trevi-so (9.842). A proposito di numeri, nel 1990 nasce finalmentequello che negli anni si rivelerà uno strumento decisivo: il rap-porto statistico annuale Caritas-Migrantes, che tiene conto an-che di coloro che sono sprovvisti di documenti, quelli che po-co a poco si inizia a chiamare “clandestini”. Proprio secondouno di questi dossier, a fine 1996 il numero degli stranieri inItalia supera per la prima volta il milione (16 novembre 1997).

28

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 28

Page 30: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Gli immigrati arrivano, attirati non solo dal benessere dellanostra società, ma anche da un sistema economico e produt-tivo che sembra avere un bisogno urgente di manodopera,soprattutto sottoqualificata; “Cercasi operai disperatamente”titola la Difesa il 6 novembre 1994 (p. 13), trattando uno stu-dio dell’Agenzia per l’impiego nel Veneto. Nel 1994 ci sono8.483 offerte di lavoro nella sola provincia di Padova; di que-ste però solo 63 – sessantatré! – riguardano laureati e diplo-mati. Gli italiani, anche contando quelli che vengono dal Me-ridione, da soli non bastano a coprire la domanda: già nel1996 un’indagine a campione di Unindustria Padova rilevache in provincia ormai l’8 per cento dei lavoratori sono terzo-mondiali (17 novembre 1996, p. 3: “Non possiamo farne ameno”); prendendo come parametro lo stipendio tipo di unmetalmeccanico – un milione e 900 mila lire lorde – tenendoconto di Irpef e ritenute previdenziali, la Cgil di Padova cal-cola che già allora gli immigrati paghino con i loro contributila pensione a non meno di 600 padovani, e mantengano allostesso tempo un centinaio di dipendenti pubblici. Il lavorato-re straniero paga inoltre lo 0,5 per cento in più dello stipen-dio, destinato a un fondo rimpatrio delle salme per gli indi-genti; un fondo che nel 1994 supera i 300 miliardi, a fronte disoli dieci feretri rimpatriati in cinque anni. Gli immigrati quin-di pagano le tasse; quando non le pagano è perché lavoranoin nero, e questo va a beneficio soprattutto delle aziende cheillecitamente li impiegano. L’immigrazione insomma rispondeanche a un certo modello di sviluppo, basato su manodoperapoco qualificata e a basso costo – proprio come è successoprima nei paesi di immigrazione più vecchi del nostro – eche sta esplodendo in Veneto proprio in quegli anni. Eppurela popolazione inizia ad avere inquietudine, paura. L’Italia, ein particolare il Nordest, si rendono conto di essere diventatiun luogo di immigrazione; lo spunto non è però offerto dauna riflessione sul fenomeno, ma dall’emergenza: appena siinizia a parlare di immigrazione, paradossalmente sembra giàtroppo tardi.

Occorre fare un’ultima osservazione: di fronte a una sfidaepocale, come quella rappresentata dall’immigrazione, il no-stro paese giunge non solo impreparato, bensì in preda a unagrave crisi, politica, economica e sociale; una crisi dalla qualeper molti versi non è ancora uscito. Specchio di questo som-

29

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 29

Page 31: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

movimento profondo è la politica: alle elezioni politiche del 5e 6 aprile 1992 la Democrazia Cristiana passa in Veneto dal43,4 al 31,4 per cento, la Lega Nord dal 3,1 al 17,8; nella suc-cessiva tornata elettorale del 1996 la Lega diverrà addirittura ilprimo partito. I vecchi equilibri sono scompaginati, mentrenuovi problemi si affacciano all’orizzonte: la corruzione e ilrapporto tra società e politica, la questione capitale dell’iden-tità e del rapporto con il diverso. Si profila la china che por-terà all’inchiesta “Mani pulite” e alla seconda repubblica; uncapovolgimento politico che diventa segno di una profondacrisi di identità: “Il Veneto non c’è più” titola un poco sgo-menta la Difesa il 30 agosto 1992; sottotitolo: “La politica e lapastorale di fronte alla grande mutazione della regione”.

L’emergenza casa e le parrocchie

L o abbiamo visto fin dal primo capitolo: la difficoltà ditrovare un’abitazione è un problema comune per tutti imigranti, dai primissimi studenti stranieri presenti a Pa-

dova fino ai nostri giorni; nei primi anni ’90 però, con l’au-mentare del numero degli stranieri, il problema raggiunge di-mensioni sempre più gravi e inquietanti. I nuovi arrivati sonospesso senza mezzi e senza documenti; la popolazione reagi-sce chiudendosi: molti sono costretti a sistemazioni di fortuna– case o edifici abbandonati, sotto i ponti oppure semplice-mente per strada –, molti ancora si ammassano nelle pocheabitazioni disponibili, ma in questo modo contribuiscono agenerare ancora più allarme nei residenti.

Ora, tra le prime a percepire il disagio ci sono le parroc-chie, vere e proprie “antenne” della Chiesa sul territorio. Checosa succede? In una situazione del genere, in un paese so-stanzialmente impreparato – quando non ostile – sono tanti,e non solo i cattolici, a rivolgersi alla Chiesa per un aiuto. Ele parrocchie, pur con molte difficoltà e con qualche differen-za, rispondono. L’inizio di questo nostro viaggio negli anni’90 è un ampio reportage, pubblicato il 21 gennaio del 1990(pp. 14-15: “Due comunità dell’Alto Vicentino e l’accoglienzadei terzomondiali”): le due pagine, firmate da Lorenzo Bru-nazzo, rappresentano il primo grande servizio sulle condizio-ni dei lavoratori immigrati, e segnano un punto di svolta nel

30

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 30

Page 32: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

modo in cui l’immigrazione da allora in avanti sarà trattatasulle pagine della Difesa.

Per la prima volta vengono documentate con completezzastorie di immigrazione non solo dalla città, ma anche dallaprovincia; il cronista si reca in due paesi del Thienese, Cen-trale di Zugliano e Fara Vicentino: qui, nei locali delle parroc-chie, sono da giorni ospitati alcuni immigrati. Il lavoro c’è, ilproblema più grande è la casa: a Centrale la parrocchia hamesso a disposizione due appartamenti a un gruppo di tre ni-geriani e quattro marocchini, tutti con un lavoro, tutti in rego-la con i documenti. La generosità della comunità cristiana dasola però non basta: «da quando si è sparsa la voce – com-menta il parroco – che ho messo a disposizione questi duepoveri alloggi, è un flusso continuo di stranieri che vengonoin cerca di stanze. Dicono di essere disperati, di dormire dasettimane in automobile, di avere un lavoro sicuro ma di ave-re bisogno di un alloggio, uno qualsiasi per restare: comepossiamo aiutarli?». Anche a Fara Vicentino la parrocchia, sta-volta assieme al comune, si dà da fare: nell’ex casa del medi-co condotto trovano infatti sistemazione sei ghanesi e un se-negalese, ancora una volta tutti regolari. Anche qui però sitratta di una goccia nel mare; c’è inoltre tutto il discorso del-l’ambientamento e della mediazione culturale: «la parrocchia,oltre a prodigarsi per risolvere il problema dell’alloggio –spiega don Luigi Ferrarese, parroco di Fara – cerca di farsimediatrice nei confronti della popolazione, favorendo ildiffondersi di un atteggiamento di accoglienza, di dialogo, dieducazione [...] spesso questi lavoratori stranieri non hannosolo bisogno di un tetto, ma anche di una guida, di un consi-glio. Innanzitutto l’apprendimento della lingua […] ma poi cisono i tanti bisogni quotidiani, come condurre una casa, co-me amministrare la busta paga...».

Come sempre, viene dato risalto alle persone e alle lorostorie: Benjamin è venuto dal Ghana assieme alla moglie Eli-zabeth; il cronista lo coglie mentre sta registrando su un’au-diocassetta un lungo messaggio per la figlia di cinque anni,rimasta in Africa coi nonni. Oppure Olukatode Dosumanu,nigeriano, più semplicemente Kenny: un tipo in gamba, chenel suo paese lavorava nelle ferrovie. Un bel giorno conoscedegli italiani, operai di una ditta di materiale rotabile: “da noisi guadagna bene”, gli dicono. Kenny allora viene, dapprima

31

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 31

Page 33: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

con un permesso da studente, poi si ferma a lavorare; adessolavora in una fonderia, e in Italia ha trovato anche moglie,un’americana della base Nato di Vicenza con cui ha avutodue figlie: l’ultima, Daniela, ha appena tre mesi. «Nel nostropaese – spiega Kenny – si sparge la voce che qui c’è da lavo-rare e i giovani più coraggiosi partono, senza sapere di più.Poi qui la vita non è facile, non si conosce la lingua, non siconoscono le leggi. È venuto mio fratello e sono io a inse-gnargli l’italiano, quando posso». L’articolo principale si chiu-de con una riflessione che si rivelerà lungimirante: «anche sein genere la gente del Vicentino ha reagito positivamente aquesti primi inserimenti di stranieri nel proprio paese (ma fi-nora la media si è mantenuta intorno alle sette unità per par-rocchia), non bisogna sottovalutare il fatto che la cultura ve-neta non è attrezzata per affrontare il dialogo e che quindi lasoglia di tolleranza non è molto alta».

Il servizio del 21 gennaio 1990 è un segnale. Da allora sul-la redazione iniziano a piovere settimanalmente notizie datutta la diocesi: a Casale di Scodosia (18 marzo 1990 p. 23,“Un tetto, non importa come”) il sindaco Nevio Missaglia leg-ge in consiglio comunale una lettera, scritta con l’aiuto del-l’arciprete don Antonio De Stefani e firmata da undici immi-grati del Marocco, sfrattati nel giro di 24 ore dall’ex fornacedove avevano trovato alloggio provvisorio. A Cittadella perospitare gli immigrati si propone di usare uffici e stalle di-messe, molte delle quali per altro già occupate, o addirittura ivecchi caselli della ferrovia Camposampiero-Vicenza (16 di-cembre 1990, p. 16); a Campolongo Maggiore sono 24 i ma-rocchini che fanno riferimento alla parrocchia retta da donAmelio Brusegan (16 dicembre 1990 p. 52), mentre anche aEste e a Montagnana gli immigrati vivono in abitazioni fati-scenti, spesso senza luce e acqua corrente, col rischio di am-malarsi (20 settembre 1990, p. 23). Si cercano anche le primerisposte alla domanda di accoglienza: a Bosco di Rubano vie-ne ad esempio inaugurata la “Casa di Abramo”, una strutturaaperta in un’ex casa colonica dell’associazione Unica Terra(28 ottobre 1990, p. 11), una delle prime associazioni di vo-lontariato ad occuparsi di immigrazione. Negli anni UnicaTerra, operante anche nell’assistenza e nell’inserimento lavo-rativo, diventerà un punto di riferimento importante per l’ac-coglienza in tutta la diocesi, prima di far confluire parte delle

32

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 32

Page 34: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

sue attività nella cooperativa Nuovo Villaggio, fondata nel1993. L’associazione successivamente aprirà un’altra strutturaa Mejaniga e alcuni appartamenti a Padova; ma soprattutto sioccuperà della gestione dei centri di accoglienza organizzati aPadova nelle ex scuole “Fratelli Bandiera”, in via Forcellini, e“Gabelli” (8 agosto 1993).

L’operazione roulottes dell’inverno 1990-91

I primi segnali del disagio montante arrivano dunque dallaprovincia; di lì a poco l’“emergenza casa” scoppierà peròanche a Padova. I primi ad accorgersene sono gli opera-

tori della Cucine popolari (11 aprile 1990, p. 25), la strutturadi via Tommaseo che dal 1882 assiste i poveri e gli emargina-ti della città: «quanto potranno resistere, senza avere un tetto?– si domanda suor Lia Gianesello, elisabettina e responsabiledelle Cucine – o troviamo un tetto per le centinaia di terzo-mondiali presenti oggi a Padova, o, tra qualche mese c’è il ri-schio che sia già troppo tardi. [...] il 95 per cento delle perso-ne che vengono da noi a mangiare passa la notte alla stazio-ne. Alle 11 di sera la polizia li allontana dalle sale di aspetto:c’è chi dorme fuori, chi prova a tornare dentro per poi esseredi nuovo allontanato».

Alla fine di settembre del ’90 scatta la prima di una lungaserie di “emergenze casa”, che ciclicamente si ripeteranno ne-gli anni a venire soprattutto con l’arrivo dei mesi invernali; inparticolare l’attenzione della città si concentra su quello cheaccade presso chiesa di San Gregorio Barbarigo, a Padova nelquartiere San Carlo, dove sono oltre 100 i nigeriani che dinotte dormono sotto il porticato del centro parrocchiale (30settembre 1990, p. 13: “Dormono per terra vicino alla chie-sa”). Prima queste persone dormivano tutte al Configliachi,un istituto per ciechi che in quel momento è disabitato peruna ristrutturazione; l’11 settembre 1990 però la struttura vie-ne sgomberata dalla polizia. Gli sfollati non hanno dove an-dare, e iniziano a passare le notti sotto le pensiline del patro-nato. La notizia viene ripresa anche dalla stampa locale; la si-tuazione non è facile, ma anzi lacerante per la stessa comu-nità cristiana: il parroco, don Nicola Boaretto, mette a dispo-sizione i servizi igienici e al mattino distribuisce latte e panini

33

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 33

Page 35: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

per colazione; il consiglio pastorale nega però di ospitare isenza tetto nel patronato: «Ci siamo chiesti se aprire le portedel patronato per accoglierli all’interno – dice don Boaretto –[...] se sapessi che tra un mese trovano un alloggio, li acco-glierei subito, anche se il patronato ci serve per le attività deigruppi». Le autorità non rispondono; molti nigeriani, tra l’al-tro, sono ufficialmente residenti in Sicilia, e ci sono delle dif-ficoltà burocratiche per farli accedere ai servizi del comune.

Gli immigrati passeranno quasi un mese sotto le pensilinedel centro parrocchiale; con le prime piogge e il freddo ini-ziano i primi ricoveri in ospedale, la situazione diventa peri-colosa. Il nuovo vescovo Antonio Mattiazzo si reca personal-mente nella parrocchia di San Gregorio Barbarigo per assicu-rare la vicinanza e la partecipazione della comunità cristianae sua personale. Scatta una corsa contro il tempo per dare unriparo ai disperati di San Gregorio: la diocesi dispone di uncentinaio di posti letto, più un’altra dozzina presso la Casadel Fanciullo, in piazzale Pontecorvo; si tratta però solo diuna goccia nel mare dell’emergenza. La Caritas diocesanapropone allora di allestire alcune roulottes per sei mesi: unpo’ di tempo in più per trovare delle sistemazioni più dignito-se, almeno per i casi più difficili. Dappertutto si ripete «LaChiesa non vuole, non deve sostituirsi allo stato», ma intantonell’emergenza qualcosa deve essere pur fatto. Alla fine inter-viene anche il comune, e una parte dei nigeriani viene siste-mata tra l’ostello della gioventù e la scuola Fratelli Bandiera,nel quartiere Forcellini; settantadue gli immigrati che trovanoposto in 17 roulottes, “adottate” da altrettante parrocchie, cia-scuna seguita da un piccolo “comitato di ospitalità” di 3-4persone (4 novembre 1990, p. 35). La Caritas, che aveva chie-sto al comune di fornire almeno i caravan, alla fine decide diprovvedere ugualmente anche senza l’aiuto delle istituzioni,spendendo circa 49 milioni di lire.

Se riceve una particolare attenzione soprattutto durantetutto lo scorso decennio, quello della casa rimane fino aigiorni nostri uno dei problemi più frequenti per gli immigrati:questo perché per uno straniero la casa non è solo un’abita-zione e un rifugio, una dimensione essenziale del vivereumano: essa significa anche poter avere i documenti, la pos-sibilità di riunirsi un giorno con la propria famiglia. Di frontea un’esigenza tanto basilare, la situazione in Italia rimane an-

34

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 34

Page 36: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

cora oggi molto difficile: il mercato abitativo è estremamenteframmentato, i costi delle abitazioni elevati e i canoni di affit-to generalmente altissimi. Gli italiani normalmente reagisconostando in casa dei genitori fin oltre i trent’anni; per gli stra-nieri, che non possono contare su nessuna rete protettiva direlazioni, il problema è ancora più grave.

Il disagio e le risposte: le istituzioni e le associazioni

C ome si è visto, trattare di immigrazione significa per tuttigli anni ’90 parlare soprattutto di disagio e di emargina-zione; la diocesi, attraverso parrocchie, Caritas e il nuo-

vo ufficio per la Pastorale dei migranti, inizia assieme ad al-cuni istituti religiosi e alle associazioni di volontariato a strut-turarsi per rispondere alla crescente domanda di assistenza.In quest’ambito anche la Difesa del popolo gioca un ruolo im-portante, ospitando sulle sue pagine i notiziari “Caritas noti-zie” e “Padova Missio”, che danno ampio risalto agli immigra-ti e alle iniziative a loro favore.

A rappresentare un punto fermo del sistema di accoglien-za padovano in città ci sono, oltre alla Caritas, soprattutto leCucine popolari: oltre al vero e proprio servizio di mensa, es-se ospitano un centro di ascolto e orientamento ai servizi, unambulatorio medico e un servizio igienico-sanitario con doc-ce, lavanderia e guardaroba: del povero si cerca di soddisfareanche la fame di pulizia, di riposo, di affetto, di essere consi-derato “come uomo e non come stomaco”, come dice un ve-scovo africano (4 aprile 1993, pp. 4-5: “C’è fame di pane maanche di affetti”). A gestire la struttura ci sono suore Elisabet-tine, con l’aiuto di personale laico, di numerosi volontari e diun’équipe di medici. Negli anni le Cucine, guidate dall’infati-cabile suor Lia Gianesello, si rivelano, oltre che un insostitui-bile centro per la prima assistenza, un’antenna per captare lecorrenti sotterranee e i moti dell’immigrazione: da qui partel’allarme per la prima “emergenza freddo”, quella dell’inverno’90-91, qui si percepisce la nuova ondata di immigrazionedall’Est (14 febbraio 1999, p. 16).

Un’altra presenza storica a Padova è quella del Cuamm, ilCollegio universitario aspiranti medici missionari, oggi Mediciper l’Africa, che la Difesa segue fin dai suoi albori. L’organiz-

35

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 35

Page 37: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

zazione nasce nel 1950 per iniziativa del professor FrancescoCanova e del vescovo Girolamo Bortignon, con lo scopo diaccogliere e preparare studenti di medicina, italiani e stranie-ri, desiderosi di dedicare un periodo della loro attività profes-sionale al servizio degli ospedali missionari e delle popola-zioni più bisognose nei paesi in via di sviluppo. La presenzadel Cuamm è però importante non solo per le missioni, maanche per gli stranieri che via via negli anni iniziano ad af-fluire nella città del Santo: sia per le iniziative di studio, siasoprattutto per il poliambulatorio gestito assieme alla Caritasal servizio degli immigrati (26 febbraio 2006, p. 7).

Nella diocesi si muovono fin dall’inizio anche le associa-zioni di volontariato; sull’edizione dell’8 aprile 1990 (p. 15)ad esempio si parla per la prima volta dell’associazione UnicaTerra, che negli anni successivi si rivelerà come una delle piùattive in città nell’accoglienza degli stranieri. Il servizio con-tiene un’intervista a Maria Pase, una dei fondatori dell’asso-ciazione; con un’esperienza missionaria in Belgio e in Africa,segretaria della Caritas diocesana, la Pase ha le idee chiaresugli obiettivi dell’associazione: «pensiamo di dare una casa,gestita da volontarie, in cui accogliere alcune lavoratrici stra-niere. Non vogliamo però impostare l’iniziativa in modo assi-tenzialistico […] Non vogliamo fare la carità, ma aiutare a ri-solvere le momentanee difficoltà delle lavoratrici appena arri-vate in Italia dai paesi dl Terzo Mondo». Negli anni Unica Ter-ra si rivelerà una fucina infaticabile di iniziative: si parte neiprimi anni anni ’90 con i primi centri di accoglienza: “La Casadi Abramo”, a Bosco di Rubano, e poi le scuole Fratelli Ban-diera e Gabelli, a Padova. Ma l’attività dell’associazione nonsi limiterà all’accoglienza: altrettanto importante è l’opera diaccompagnamento sociale e di inserimento lavorativo, cui siaggiunge la promozione di occasioni di incontro e di recipro-ca conoscenza, come la “Festa dei popoli”, organizzata in col-laborazione con i comboniani a partire dal 1991: banchettigastronomici e di artigianato tipico, giochi, canti, danze perpermettere agli italiani di conoscere loro nuovi “coinquilini”(22 maggio 1994).

Parte dell’associazionismo e del volontariato padovano –la stessa Unica Terra, assieme ad Acli, Movi, Cosep e associa-zione Popoli insieme – decide di mettere insieme le forze enel 1993 costituisce la cooperativa Nuovo Villaggio, il cui per-

36

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 36

Page 38: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

corso verrà seguito dalla Difesa del popolo quasi passo perpasso. Scopo della cooperativa è di raccogliere fondi per l’ac-quisto e l’affitto di case, da subaffittare poi a lavoratori stra-nieri; a tutt’oggi Nuovo Villaggio costituisce uno dei maggioriesempi in Veneto di impresa sociale, che sempre più oggi sidedica anche agli italiani bisognosi. Il percorso iniziato dallacooperativa all’inizio degli anni ’90 culminerà nel 2001 con lanascita della fondazione La Casa onlus, un laboratorio unicoin Italia, che rappresenta il tentativo finale di coinvolgere atti-vamente nelle attività di social housing anche le istituzioni(comuni, province e regione Veneto) i soggetti economici(Banca Etica e Camera di commercio).

La solidarietà però a Padova è stata fatta negli anni anchee soprattutto da tanti piccoli e grandi gesti personali, tutti im-portanti anche se destinati a restare sconosciuti ai più: perrappresentarli la Difesa riprende la storia di Rosa Lorenzo,che per sette mesi ospita Aghibu, un giovane del Mali chenon riesce a trovare alloggio (28 marzo 1993, p. 23, supple-mento Padova Missio: “Un africano amico di famiglia”). La si-gnora Rosa non manca certo di cose da fare: è madre di trefigli e assiste anche la cognata disabile, vedova del fratello;eppure, quando si è trattato di aiutare una persona, non èstata a pesarci su: «tutte le persone sono diverse, e io cercoDio nelle persone che soffrono. Io mi butto, non faccio cal-coli, do sempre senza pretendere sempre, grazie a Qualcunoche mi ha aiutato». Per il cristiano l’accoglienza non è solo undovere, ma anche un’occasione di salvezza e di realizzazionepersonale.

Quando lo Stato dice: “arrangiati”

L a storia dell’accoglienza padovana è insomma ricca dinumerosi esempi di “efficiente sollecitudine”; su una co-sa però si può dire che il mondo del volontariato e del-

l’accoglienza trova un accordo, e cioè sul fatto che l’esistenzadi un terzo settore forte non deve costituire un alibi per il di-simpegno degli enti pubblici: «le Cucine economiche popolarinon sono la risposta ai problemi dei senza dimora italiani estranieri – scriveranno ad esempio i responsabili delle cucine(14 marzo 2004, p. 3) – sono una risposta, piccola e limitata.

37

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 37

Page 39: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Perciò esse, mentre cercano di rispondere concretamente aibisogni primari e immediati di tanti fratelli bisognosi, richia-mano gli amministratori pubblici alle loro responsabilità [...].Invitano i cristiani della diocesi a farsi carico dei bisogni dicoloro che vivono ai margini delle proprie parrocchie; [...] asentire le Cucine popolari come espressione di tutta la comu-nità diocesana, ricordando che esse vivono soprattutto di ca-rità».

A volte invece il volontariato viene lasciato solo, in primoluogo dalle istituzioni: è quello che succede ad esempio nellaparrocchia di Tombelle di Vigonovo, secondo quanto benesemplificato dai titoli del servizio: “Se li lasciamo entrare, ac-cogliamoli – l’amara, ma non isolata, esperienza di Tombellecon gli immigrati fa riflettere sui problemi di apertura e ospi-talità ai terzomondiali” (10 luglio 1994, p. 19, servizio di Ro-berta Monetti).

La storia è questa: don Lorenzo Zonta, da poco arrivato co-me parroco, decide di dare ospitalità a dei cittadini marocchini,prima presso gli spogliatoi annessi al campo sportivo, poi,quando questi prendono fuoco durante una lite notturna, pres-so il patronato: «alla messa del sabato sera il nuovo parroco di-chiarò esplicitamente ai suoi parrocchiani che se non avesseroattrezzato un alloggio per la notte agli immigrati lui li avrebbeospitati in chiesa», scrive la cronista. Anno dopo anno però lasistemazione, all’inizio concepita come temporanea, diventaper mancanza di alternative sempre meno “provvisoria”: convari problemi, anche legali, visto che i locali non sono igieni-camente adatti a ospitare persone. In occasione dell’utilizzo delpatronato come seggio elettorale, gli immigrati vengono ancoratrasferiti presso tre roulottes. Ma si tratta di una sistemazioneancora precaria, e le persone vengono invitate a trovare casaautonomamente. Alla fine per sgomberare le roulottes devonointervenire i carabinieri: anche perché, mentre il gruppo degliospiti originari col tempo ha effettivamente già trovato una si-stemazione, altri due immigrati sono nel frattempo entrati neirifugi di fortuna. Il giorno dopo i giornali titolano che gli stra-nieri sono stati cacciati dal parroco.

Il problema è quello di un’accoglienza delegata dallo statoquasi completamente al volontariato e al terzo settore, soprat-tutto cattolici. Il risultato, nel commento del parroco, è ama-ro: «Tombelle è oggi ostile ai marocchini per il modo in cui

38

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 38

Page 40: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

sono costretti a convivere tra di noi. Sono sicuro che sarebbecontraria anche se fossero ragazzi nostri, se vivessero am-mucchiati in roulotte, se facessero risse continue e schiamazzinotturni, se andassero a fare i propri bisogni in piazza […] Iosono convinto che se avessero un alloggio dignitoso si com-porterebbero in maniera civile. A volte basterebbe un rubi-netto d’acqua…». Per finire così: «O li sistemiamo o li mandia-mo a casa. Tenerli in questo stato è indegno sia per noi cheper loro […] Il governo italiano non può far finta di non ve-dere, non può continuare a lasciar entrare stranieri per poidire loro e a chi offre una prima accoglienza: arrangiatevi».

Don Zonta alla fine è stanco e amareggiato: «Mi resta, per-sonalmente, il dubbio, nonostante tanti attestati di solidarietà:la mia gente pensa che il suo parroco sia razzista?»

Parlano gli immigrati

F in dalle origini dell’immigrazione in Italia, come abbiamovisto, le esperienze degli stranieri trovano spazio sullepagine della Difesa; negli anni ’90 però gli immigrati ini-

ziano anche a firmare direttamente degli articoli: il primoesce il 5 aprile 1992 (“È lunga la strada verso l’integrazione”,p. 25), firmato da Thiam Badara, senegalese, che nel 1996sarà il primo presidente del Consiglio delle Comunità stranie-re di Padova. Secondo Badara, l’immigrato, «pur partecipandocol lavoro allo sviluppo economico-sociale della città di Pa-dova in particolare e dell’Italia in generale», si vede ancoranegati certi diritti fondamentali, primo fra tutti «il diritto ad unalloggio, cioè alla possibilità di godere di un riposo naturaledopo lunghe ore di un duro lavoro passate nella fabbrica; sitrova nell’impossibilità di realizzare le sue aspirazioni cultura-li, educative, vive sempre in eterna solitudine, nella mancan-za di un adeguata formazione sulla legislazione e nell’assenzadi ogni dialogo con la realtà culturale italiana. Tutto questopermette di affermare che l’integrazione è ancora lontana eche la sua realizzazione interpella tutti, dall’immigrato aglienti religiosi, politici e amministrativi».

Il 28 marzo 1993 (p. 23 del giornale, che corrisponde a p.7 del supplemento “Padova Missio”) è Zaid Janah, che nelprecedente anno scolastico ha portato la sua esperienza nelle

39

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 39

Page 41: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

scuole, a prendere la parola: «Burkina Faso, cos’è? Forse unamarca di videoregistratori? […] Io ero l’“oggetto” del dibattito;mi sentivo un po’ “vivisezionato”, con la responsabilità dirappresentare, in qualche modo, l’intero mondo degli immi-grati». Gli inizi non sono esaltanti, ma dopo poco tempo siinizia ad andare al di là delle reciproche diffidenze: «la primadomanda di uno studente rompeva il “muro”, poi quante al-tre… Conoscendoci, ci avvicinavamo. [...] Ho capito che esse-re immigrato vuol dire essere portatore di una cultura diversache può arricchire gli altri. Ho maturato anche un’altra con-vinzione: la scuola non insegna tutto. Non insegna qual è lacapitale dello Zaire, non ti trasmette la voglia di conoscere lealtre realtà. Ci vuole uno sforzo personale, di ognuno, per av-vicinarsi e conoscersi».

Intanto nella giovane immigrazione italiana iniziano aemergere alcuni leader, gli stranieri che fanno da ponte tra lecomunità di provenienza e la società; uno di questi è OmarBoujbara, marocchino di Pove, ai piedi del Grappa, che hainiziato la sua avventura italiana lavorando in un circo, e cheora è delegato sindacale nella sua fabbrica (25 dicembre1998, p. 4: “Omar ha vinto la diffidenza”). All’inizio qualcheproblema con i colleghi: «mi facevano strane domande: michiedevano se, nel mio paese, vivevo sotto una tenda, se mispostavo su un cammello, se avevamo bagni, strade. Per loroil Ramadan era una vera pazzia: lavorare e digiunare allostesso tempo! A volte, quando si parlava di fatti di cronacanegativi, in cui erano coinvolti stranieri, era fin troppo facilefarmi diventare un capro espiatorio: hai visto che cosa hannofatto i tuoi amici? Erano parole ricorrenti». Omar però non sifa scoraggiare: organizza una squadra di calcio fra colleghi,promuove iniziative di socializzazione tra operai; alla fine,quando c’è da scegliere un rappresentante per la fabbrica neldirettivo provinciale, è proprio lui a essere eletto.

C’è anche chi prende carta e penna per protestare. Gli im-migrati sono spesso spettatori di un dibattito che rischia diessere condotto sulla loro pelle; non tutti però ci stanno: Eu-charia Aniekwe, una donna africana, si decide scrivere allaDifesa. Il suo è un sommesso atto di accusa contro la società,e la comunità cristiana in particolare, e la Difesa sceglie nonsolo di pubblicare la lettera, ma di darle anche il massimo ri-salto, in prima e in sesta pagina (19 febbraio 1995: “Fratelli,

40

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 40

Page 42: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

ma solo a parole”). Eucharia non risparmia nessuno, neppure“l’autorità ecclesiastica padovana”, che trova «poco disponibi-le a “perdere tempo” con noi immigrati»: «è molto difficile fer-mare per strada sacerdoti e far capire che non chiediamo ca-rità ma informazioni di tipo spirituale; molto spesso il gesto,lo sguardo e il tono forte ci fanno capire che c’è indifferenza,mentre nei nostri desideri vi è di trovare quel rifugio e l’acco-glienza che non si trovano presso le persone comuni». Leconseguenze di un atteggiamento sbagliato possono esserepesanti: «questo ha portato molti immigrati all’allontanamentodalla Chiesa cattolica e a finire per trovare rifugio presso leChiese protestanti, che sono intervenute nei momenti difficilie carichi di tensione e emozione, hanno accolto gli immigratidedicando loro tempo, ascoltandoli, aiutandoli. La fuga inmassa dei cattolici mi ha turbata. Profondamente credente, mipreoccupo dell’indifferenza». Alla lettera risponde con un am-pio articolo don Renzo Zecchin, segretario dell’ufficio missio-nario diocesano di Padova: «fa piacere – oltre che bene – chefinalmente qualche fratello o qualche sorella immigrata tranoi prenda la parola per dirci come vede, ma soprattutto co-me “vive” i gesti che noi “di casa” poniamo nei loro confron-ti. Perché può succedere di credere di fare “bene e tutto”,quando invece i più diretti protagonisti – e sono loro – non siritrovano, non ci sentono».

A metà degli anni ’90 si inizia a parlare più spesso delledonne immigrate, che in poco tempo stanno raggiungendo laparità numerica con gli uomini. Il quadro non è moltoconfortante: pochi i servizi, scarse le possibilità di lavorare edi integrarsi; il 10 dicembre 1995 (p. 3) la Difesa raccoglie lestorie di tre di loro, tutte “clandestine”: Mebal, nigeriana, chea novembre gira per Padova con vestiti estivi e il figlio appe-na nato in braccia. Nessuno l’accoglie, perché è senza docu-menti. Disperata, decide di abbandonare il figlio sul treno perTrieste; subito però si pente, e va dalla polizia per riaverlo.Risultato: un decreto di espulsione immediata, più la denun-cia per abbandono di minore. Probabilmente le toglierannoanche il figlio. Ana, albanese, venuta per in Italia per rifarsiuna vita, «si ritrova in minigonna, sul lato di una strada, senzapassaporto, senza nessuna possibilità di comunicare». Rose,africana, in Italia c’era già stata da giovane per studiare. Do-po un periodo trascorso nel suo paese, sceglie di rientrare,

41

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 41

Page 43: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

per assicurare ai figli una vita più dignitosa; finisce a pulire lecase dei ricchi, ad assistere gli anziani: quello che in tempipiù recenti sarà chiamato il mestiere della badante. Storie for-se estreme, ma reali.

“La parola alle donne straniere”, titola la Difesa l’8 dicem-bre 1996 (p. 15); Thérèse, camerunese di 24 anni: «Io pensoche dovete cominciare a considerare che siamo, semplice-mente, donne: abbiamo sogni e aspirazioni come le donneitaliane e di tutto il mondo, anche se vogliamo realizzarci te-nendo conto della nostra cultura».

La Chiesa di fronte all’immigrazione

Q uando, nel 1990, il problema dell’immigrazione sembrascoppiare nella diocesi, da poco più di un anno a Pado-va c’è un nuovo vescovo: mons. Antonio Mattiazzo pro-

viene dal corpo diplomatico della Santa Sede e ha vissuto inAfrica per diverso tempo, in particolare in Costa d’Avorio e inBourkina Faso e Niger. Forse è per questo che il nuovo ve-scovo dimostra fin da subito molta chiarezza nelle sue posi-zioni: all’inizio del 1990 ad esempio, proprio al ritorno dauna sua visita pastorale in Kenya, in città iniziano ad appariredelle scritte razziste. La reazione non si fa attendere: l’11 mar-zo la Difesa mette in prima pagina un appello contro il razzi-smo (11 marzo 1990, prima pagina “La nostra Africa”); «noichiediamo perdono ai nostri fratelli africani per questa man-canza di rispetto e di fraternità» scrive il vescovo, pur dichia-randosi conscio del fatto che «si tratta probabilmente di gestiisolati, non condivisi dalla maggioranza della popolazione».L’impegno del nuovo pastore sembra risuonare anche nelmessaggio per la quaresima 1990, che chiama a edificare in-sieme «una città più giusta e fraterna». Qualche mese più tar-di, quando scoppia il caso dei nigeriani alla parrocchia di SanGregorio Barbarigo di Padova, è sempre mons. Mattiazzo cheva a trovare i senzatetto; una presa di posizione fatta anchedi gesti forti, oltre che di misure concrete: una foto sulla Dife-sa del 7 aprile 1991 (p. 7) ritrae il vescovo mentre lava i piedia un giovane di colore, durante il rito del giovedì santo.

Del resto in questi anni anche i papi e la conferenza epi-scopale italiana non mancheranno di schierarsi a favore dei

42

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 42

Page 44: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

diritti e della dignità dei migranti. Una posizione non dettatada una precisa ideologia, ma che ha come prima preoccupa-zione il bene e le esigenze delle persone: gli immigrati, inse-gna Giovanni Paolo II, non fanno altro che cercare di «riap-propriarsi del diritto di sedere alla comune mensa della crea-zione» (17 novembre 1996, p. 2: “La dignità non è nelle car-te”); l’immigrazione è un “segno dei tempi”, ribadirà Benedet-to XVI dieci anni più tardi (15 gennaio 2006, pp. 3-4). Anchela Cei, in occasione della giornata delle migrazioni 2004,diffonde una nota pastorale in sei punti, che riporta anchedei consigli su come comportarsi nei confronti degli immigra-ti (21 novembre 2004, p. 1: “Il mondo come una casa: dalladiffidenza all’accoglienza”); proposte coraggiose, anche perdelle comunità parrocchiali attive, ma magari abituate a di-stinguere nettamente gli ambiti della vita privata e dell’impe-gno sociale. Tra le altre cose si raccomanda di «accogliereuno straniero al pranzo domenicale in famiglia, magari dopoaver partecipato insieme alla messa in parrocchia», oppure «laricerca, intesa come andare a trovare “i dispersi”, nelle strade,nelle corsie degli ospedali, dietro le sbarre del carcere, nelleloro stesse case».

La posizione della Chiesa non mancherà di suscitare tal-volta scontento in una parte degli stessi fedeli e, soprattutto,tra i partiti politici. «Sono ingiuste e false le accuse rivolte almondo cattolico» risponde mons. Giovanni Nervo, della fon-dazione Zancan (1 ottobre 1995, p. 5). E continua: «la tenden-za prevalente delle forze politiche che in questo momentohanno la maggioranza del paese […] non è per una responsa-bile accoglienza, ma per il rifiuto: è evidentemente una politi-ca miope, contro la storia, che noi possiamo contrastare pernon cadere nei nazionalismi chiusi ed egoistici, ma per aprir-ci alla visione ampia della patria dei popoli».

Le parrocchie “straniere”

N egli anni ’90 la presenza sempre più consistente di per-sone straniere suscita nella Chiesa padovana la neces-sità di rispondere a nuove esigenze, anche pastorali. Ci

sono innanzitutto gli stranieri cattolici, che iniziano a organiz-zarsi in comunità a base nazionale: i primi sono i filippini,

43

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 43

Page 45: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

che già all’inizio degli anni ’90 si riuniscono a Padova pressola parrocchia della Natività; ne parla il parroco don RobertoGastaldi sulla Difesa del 28 marzo 1993 (p. 23): «dapprima l’e-sigenza di questi immigrati era di un locale per stare insieme,parlare, giocare, anche mangiare. Ma sentivano anche il biso-gno di catechesi, di celebrazioni religiose: messe, battesimi,feste particolari, matrimoni, anche funerali». All’inizio c’èqualche segno di insofferenza da parte dei parrocchiani; poiperò i problemi vengono superati, in uno spirito di conviven-za che dura fino a oggi. La comunità si integra sempre piùnella parrocchia, al punto che oggi la festa mariana dei Floresde mayo rappresenta a tutti gli effetti una festa “parrocchia-le”, che attira spettatori e curiosi da tutto il capoluogo (7 ago-sto 2005, p. 19). In quell’occasione una processione parte dalduomo per arrivare alla chiesa della Natività, dove si svolgela festa vera e propria e dove una reginetta – eletta ogni annotra le ragazze filippine di Padova – depone una corona sullastatua della Madonna.

Ci sono anche gli immigrati non cattolici: già negli anni’80 alcuni vietnamiti, colpiti dall’accoglienza della comunitàcristiana di Padova, avevano chiesto il battesimo. Scrivemons. Nervo sulla Difesa del 20 luglio 1997: «la massiccia pre-senza nel nostro paese di immigrati non cristiani o non catto-lici offre una nuova, inedita, possibilità e opportunità di“nuova evangelizzazione”, che fino a pochi anni fa era riser-vata ai missionari che andavano in paesi lontani, in terra dimissione» (pp. 1-3: “Vi ho incontrato, divento cristiano an-ch’io”).

La diocesi all’inizio del 1994 vara per gli immigrati un veroe proprio piano pastorale, che sarà ripreso più volte sulle pa-gine della Difesa del popolo. Siamo ancora nella prima fasedell’immigrazione: la maggioranza delle persone è costituitasoprattutto da maschi tra i 20 e i 30 anni; poche le famiglie,pochi i matrimoni misti, i marocchini sono ancora il gruppopiù numeroso. La tendenza è comunque verso l’aumento e,soprattutto, si riconosce che l’immigrazione non è più daconsiderare «un’emergenza congiunturale, come un terremotoe un alluvione, bensì come un fenomeno strutturale che ri-guarda il nuovo assetto del mondo» (17 aprile 1994). Il pianopastorale, redatto e coordinato da mons. Giovanni Nervo, mi-ra a coinvolgere la comunità cristiana nel suo complesso, par-

44

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 44

Page 46: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

tendo dalle parrocchie, gli uffici diocesani e il volontariato;esso è articolato in punti («Sette obiettivi per un’idea», p. 2),con un ruolo preminente affidato alla possibilità di celebraremesse cattoliche nelle principali lingue, in modo da stimolarela partecipazione anche di coloro che non sanno ancora benel’italiano. Seguono poi l’ecumenismo con i battezzati non cat-tolici e il dialogo con i non cristiani, la sensibilizzazione ditutta la società civile e delle istituzioni.

In qualche mese alle parole seguono i fatti: già nell’autun-no del 1994 infatti iniziano le celebrazioni della messa in lin-gua inglese e francese, ogni prima domenica del mese nellechiese dei Servi e di Santa Sofia (6 novembre 1994, p. 11). Al-meno nei primi tempi, i riti sono officiati da sei sacerdoti stra-nieri, presenti a Padova per completare i loro studi: due nige-riani, uno zairese, un ivoriano, un indiano e un benedettinotogolese; a loro, durante la celebrazione per la giornata mis-sionaria, il vescovo Mattiazzo consegna un “mandato a evan-gelizzare” (domenica 23 ottobre 1994, p. 23 / p. 7 del supple-mento “Padova Missio”). Tra i sacerdoti inviati c’è anche Jean-Jacques Bakon, che purtroppo morirà pochi mesi dopo, ap-pena trentenne, colto da una malattia durante uno dei sog-giorni nel suo paese, la Costa d’Avorio. L’esperienza delle ce-lebrazioni in lingua si rivelerà molto feconda nella diocesi;nel 1997 a Terranegra a Padova viene fondata una “parroc-chia africana”, tecnicamente una missione con cura d’anime:il tentativo di creare un punto di riferimento unitario per tuttii migranti africani, sia francofoni che anglofoni. A presiederela nuova istituzione viene messo, inizialmente, un prete dio-cesano, coadiuvato da un sacerdote africano; più tardi si ag-giungeranno anche le suore ivoriane della congregazione diNotre Dame de la Paix. Tutto va fatto sulla strada di un’inte-grazione più completa: «ci sono tali diversità di stile e di cul-tura che non è pensabile “obbligarli” a stare dentro le nostrecomunità – dice il vescovo a proposito degli stranieri (22 di-cembre 1996, p. 15) – del resto il modello di servizio pastora-le reso agli emigrati italiani in Germania o Belgio, dove daanni sono impegnati preti padovani, ha confortato in questadecisione: per i migranti serve una cura d’anime appropriata».

Oggi nella diocesi di Padova si tengono ogni domenica li-turgie in varie lingue: gli africani nella missione di Terranegra(retta da un sacerdote della Costa d’Avorio), i nigeriani a San

45

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 45

Page 47: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Pio X, alla Stanga, i romeni al Beato Pellegrino e al Santo, glialbanesi nella cappella universitaria, gli ucraini a San Luca, icingalesi celebrano in lingua pujawa alla chiesa di San Fer-mo; e per parlare solo dei cattolici. Qualcuno storce ancora ilnaso, temendo che la situazione possa stimolare la formazio-ne di gruppi isolati all’interno della comunità cristiana: «puòessere un pericolo – risponde don Elia Ferro, delegato dioce-sano per la pastorale dei migranti – Ma, sono sicuro, sono ot-time occasioni per iniziare un dialogo tra comunità e tra con-fessioni religiose. Di sicuro c’è che, dove gli immigrati sonoseguiti da sacerdoti o leader della loro lingua, si moltiplicanoil numero delle relazioni e degli scambi umani e culturali congli autoctoni» (7 agosto 2005, p. 19). Proprio per evitare la di-spersione e per sottolineare l’unità della Chiesa, ogni anno sicelebra un incontro tra le comunità cattoliche di immigrati eil vescovo (25 settembre 2005, p. 8: “Immigrati cattolici in fe-sta”).

Ancora oggi l’indirizzo della Chiesa padovana rimanequello di favorire l’integrazione, e allo stesso tempo di cerca-re di valorizzare le specificità delle diverse culture: in mezzoa queste due spinte contrapposte – integrazione e identità –essa tenta di tenere la barra.

Gli stranieri e la sicurezza

I l 19 maggio 1991, in un’intervista al sindaco di PadovaPaolo Giaretta, per la prima volta l’immigrazione vienemessa in relazione con la sicurezza: «facciamo un esempio

per tutti: la presenza di centri di accoglienza degli extracomu-nitari. [...] È facilmente immaginabile che la malavita cerchi diinnervarsi in questa realtà di precario equilibrio. Sono situa-zioni che richiedono una capacità di gestione anche sotto ilprofilo dell’ordine pubblico...». Proprio il tema della sicurezzasarà negli anni successivi la lente deformante attraverso laquale sarà percepita l’immigrazione.

Verso la metà degli anni ’90 iniziano a sovrapporsi le noti-zie riguardanti l’ordine pubblico: aggressioni, spaccio di dro-ga e scontri fra bande criminali; il termine “Bronx” cominciaa venire usato per indicare alcune zone di Padova, come adesempio quella vicina a via Anelli, nei pressi di piazzale Stan-

46

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 46

Page 48: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

ga. In particolare verso la fine del decennio si parla con insi-stenza della prostituzione; il numero delle prostitute stranierein Italia viene calcolato in 30 mila, ma si tratta di un’approssi-mazione per difetto (stima della fondazione Zancan e dellaCaritas, 14 giugno 1998, p. 9). Si tratta quasi sempre di donnevittime di violenze e di abusi, fatte entrare in Italia da orga-nizzazioni criminali e poi costrette a “risarcire” agli sfruttatoridebiti che vanno dai 50 agli 80 milioni di lire; proprio in que-sto periodo per la prima volta si inizia a parlare di “tratta” didonne e di minori: il traffico internazionale di persone comenuova schiavitù del Duemila.

Contro la prostituzione iniziano anche le battaglie dellaprima giunta Zanonato: lo strumento è l’applicazione letteraledel codice della strada, tramite una serie di divieti di fermatasulle strade più frequentate dalle prostitute, cui segue la mul-ta per i clienti che si fermano a contrattare. La Difesa si schie-ra a favore dell’iniziativa con un editoriale in prima pagina (9agosto 1998: “Il no di Padova alla prostituzione”): «è scioccoobiettare, con il sorrisetto del viveur, che da che mondo èmondo la prostituzione c’è sempre stata – scrive il direttore –:continuerà a esserci, non sarà Padova a farla scomparire. Maoggi ha assunto forme e modalità che l’avvicinano alla schia-vitù: e una comunità “civile” non può tollerare che alcunedonne – non importa se bianche o nere africane o dell’estEuropa, spesso ragazzine purtroppo – siano schiavizzate esfruttate da racket spietati».

Sempre negli anni ’90 sui media si inizia a mettere in rela-zione gli immigrati – in particolare gli irregolari, che si iniziaa chiamare comunemente “clandestini” – con il tema della si-curezza. Tra il 1998 e 1999 ha luogo la prima grande sanato-ria, conseguente la legge Turco-Napolitano (la n. 40 del1998), che porta alla regolarizzazione di circa 250 mila immi-grati, che si vanno ad aggiungere all’altro milione già regolar-mente residente in Italia. In Veneto ormai si assume un immi-grato ogni undici nuovi posti di lavoro: un record nazionale;la manodopera straniera è sempre più indispensabile allo svi-luppo dell’economia, eppure «c’è chi si ostina a voler fermare“l’invasione degli immigrati”, giocando sul termine clandestini– scrive la Difesa il 18 aprile 1999 (p. 2: “Immigrati, proviamodiffidenza, ma abbiamo bisogno delle loro braccia”). «Sì, gio-cando, – rincara la Difesa – perché i leghisti, che hanno pro-

47

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 47

Page 49: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

mosso il referendum contro la legge Turco-Napolitano del1998 sull’immigrazione, raccogliendo nei loro gazebo oltre600 mila firme dal 20 febbraio a oggi, sostengono la facileequazione tra clandestini e delinquenti. Senza tener contoche, ad esempio, gli oltre 250 mila immigrati che si sono ac-calcati in coda sino al 15 dicembre [...] erano e sono dei clan-destini: pur disponendo di una casa e di un lavoro, pur po-tendo dimostrare di essere in Italia dal 27 marzo 1998». Se-condo lo stesso articolo, un terzo della popolazione veneta èormai allarmato dall’immigrazione; gli industriali per la veritàsono quasi tutti favorevoli: per il 1999 hanno già fatto do-manda di 7 mila posti in più per il decreto flussi, rispetto ai 2mila preventivati dal governo per la provincia di Padova. Aessere preoccupati si mostrano soprattutto gli italiani poveri:lavoratori precari e non specializzati, ma anche anziani e fa-miglie povere. Sono loro a dover accogliere i nuovi ospiti neiloro quartieri, a dover vivere al loro fianco, a sostenere la lo-ro concorrenza; i lavoratori immigrati si adattano a fare i la-vori più umili e duri – macellazione, conceria, edilizia, turnidi notte – sono generalmente poco sindacalizzati e vengonoquindi accusati di tenere basso il costo del lavoro.

Intanto in Italia e in Europa iniziano a esplodere fenomenidi violenza, che però hanno gli immigrati per vittime: prestoanche in Italia fanno parlare di sé le bande di skinheads (“te-ste rasate”), spesso collegate al mondo della tifoseria calcisti-ca. Già all’inizio degli anni ’90 cominciano le aggressioni astranieri in tutta Italia: un pestaggio a Bergamo, a Roma quat-tro africani vengono massacrati con spranghe e coltelli. L’Ita-lia inizia a scoprirsi sempre più razzista: ne parla la Difesa il2 febbraio 1992 (Giuseppe Trentin, pp. 1 e 4 ), sottolineandola necessità evitare di ingigantire il fenomeno, col rischio dicreare una massa di emulatori, ma al tempo stesso denun-ciando con forza l’ondata di xenofobia che monta in certistrati della società e della politica. Il razzismo diventa la spiadi una società sempre più violenta, in cui cresce la sfiducia ela paura del prossimo; il 17 novembre 1996, in occasione del-la giornata delle migrazioni, l’editoriale in prima pagina ri-prende uno di questi episodi di intolleranza: «alcuni volontaridella Caritas vanno a portare materiale in un nuovo ambula-torio per immigrati e trovano le porte “siliconate” – scrive ildirettore –: non si entra, qualcuno vuole ostacolare l’arrivo di

48

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 48

Page 50: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

extracomunitari in zona. […] Spontaneo viene il commento:speriamo almeno che non si dicano cristiani quelli che chiu-dono le porte così…».

Una delle soluzioni, per tentare di spegnere i toni e in-staurare un dialogo, è quella di provare a uscire dalla logicae dal linguaggio dell’emergenza. Lo scrive in prima paginadon Dino Pistolato, coordinatore delle Caritas trivenete (18aprile 1999): «sappiamo bene che il fenomeno migratoriorientra nell’ordinario. Se guardiamo i dati effettivi sugli immi-grati in Italia, tra i paesi europei siamo il fanalino di coda.[…] È bene smetterla con l’allarmismo che non aiuta certo arispondere all’esigenza di legalità del paese. Che impatto pos-sono avere su un immigrato che viene in Italia le proposte diimpieghi irregolari, contratti d’affitto esorbitanti e in nero, sa-natorie pasticciate? Gli italiani non danno certo un’immaginedi legalità».

49

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 49

Page 51: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

CAPITOLO TERZO

I nuovi italiani (2000-2008)

L’immigrazione nel 2000

N on è semplice trattare di fatti che si sono svolti a pocadistanza temporale da noi; se negli anni ’70 e ’80 l’im-migrazione resta sostanzialmente sotto traccia, se gli an-

ni ’90 registrano l’esplosione del fenomeno – sia nelle dimen-sioni che nella percezione da parte dei media e della società– gli anni successivi al 2000 presentano elementi contraddit-tori, che probabilmente bisognerà lasciare ancora decantare.

In tutti i primi anni del nuovo millennio l’immigrazionecontinua a crescere a un ritmo impetuoso: se nel 1997 gli im-migrati superano appena il milione, oggi il loro numero po-trebbe essere addirittura quadruplicato. In appena una quin-dicina d’anni il nostro paese arriva quasi dal nulla a una si-tuazione comparabile a quella di altri grandi stati europei; se-condo il dossier Caritas-Migrantes 2007 oggi l’Italia, conun’incidenza sulla popolazione totale superiore al 6 per cen-to, si colloca subito dopo la Germania, a pari merito con laSpagna, nella classifica degli stati europei con la maggior per-centuale di residenti stranieri; per quanto riguarda l’incremen-to annuale, i due paesi mediterranei però non hanno egualiin Europa, e superano in proporzione persino gli Stati Uniti.

Si tratta di un’immigrazione diversa da quella dei primi an-ni ’90, con le donne che per la prima volta superano gli uo-mini e soprattutto con tanti, tanti bambini. Se i primi flussimigratori provenivano, come abbiamo visto, soprattutto daipaesi del Nord Africa, poi dall’Africa subsahariana, l’immigra-zione che va dalla fine degli anni ’90 fino a oggi è in largaparte europea e cristiana, proveniente soprattutto dai paesidell’Est: nel 2007 la comunità più numerosa è quella romena,con oltre 550 mila persone, seguita da quella albanese e da

50

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 50

Page 52: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

quella marocchina, che contano più o meno 380 mila perso-ne ciascuna. Com’è ovvio, l’aumento della popolazione immi-grata si concentra soprattutto nelle zone più ricche e svilup-pate del paese, in particolare in Veneto, che a fine 2006 regi-stra circa 400 mila stranieri regolarmente soggiornanti, terzaregione in Italia dopo la Lombardia e Lazio. Secondo i datiIstat nella provincia di Padova ci sono, al 1° gennaio 2007,circa 60 mila stranieri con permesso di soggiorno, quasiquanti ce n’erano dieci anni prima in tutto il Veneto. Insom-ma: nel 2000 gli immigrati, che coprono ormai il 20 per centodi tutte le nuove assunzioni – con percentuali che salgononell’edilizia, nell’artigianato e nell’industria – sono ormai unelemento essenziale della società e dell’apparato economicodel Nordest.

Tutto questo fa sì che nel periodo presente l’immigrazionevenga associata sempre meno alla marginalità e al disagio, esempre più a temi come l’economia, la cultura e l’educazio-ne. Questo non toglie che gli immigrati continuino a essereparticolarmente esposti alla povertà e all’abbandono: condi-zione normale, particolarmente nel nostro paese, dove essisono di fatto esclusi da quel grande sistema di welfare che èla famiglia italiana. Gli stranieri continuano a essere i princi-pali “clienti” dei servizi sociali, delle mense popolari e delcentro di ascolto Caritas; è composto da persone con cittadi-nanza straniera il 70 per cento dei carcerati (4 febbraio 2001)e la maggior parte delle persone senza fissa dimora; sonosempre gli stranieri a essere particolarmente esposti ai perico-li derivanti dall’abuso di alcol o di droghe (11 dicembre 2005,p. 23). Sempre di origine straniera, spesso senza documenti,è infine il 90 per cento delle donne che si rivolgono al Centrodi aiuto alla vita (5 febbraio 2006, p. 4).

Se comunque si parla meno di emarginazione, è vero d’al-tro canto che durante questi ultimi anni l’immigrazione èsempre più associata al problema della sicurezza, secondouna tendenza che abbiamo visto iniziare già dalla fine deglianni ’90; proprio sulla necessità di porre un argine e un con-trollo all’ingresso degli stranieri, negli anni successivi al 2000diversi partiti costruiscono la loro fortuna politica, sia a livellolocale che nazionale. Ancora oggi purtroppo l’immigrazione e– quel che è peggio – gli immigrati continuano a essere trat-tati sull’onda di sentimenti contrastanti, che vanno dalla pietà

51

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 51

Page 53: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

alla ripulsa, quasi mai con la calma del ragionamento e del-l’argomentazione.

Due in questo periodo sono gli avvenimenti che, puravendo carattere internazionale, avranno ripercussioni direttesul nostro paese e sul suo modo di rapportarsi all’immigrazio-ne: il primo è rappresentato dagli attentati dell’11 settembre2001, che pongono in un modo o nell’altro il problema capi-tale del rapporto con l’Islam, religione professata oggi in Ita-lia da più di un milione e duecentomila persone, per la mag-gior parte di origine straniera. Il secondo è l’allargamento nel2004 dell’Unione Europea a dieci nuovi paesi, a cui si aggiun-gono il 1° gennaio 2007 anche la Romania e la Bulgaria. I cit-tadini dei nuovi stati avranno da allora in poi la possibilità dimuoversi più liberamente all’interno dell’Unione, fatto che trale altre cose porrà dei problemi di ordine pubblico non indif-ferenti. L’effetto dell’allargamento è però forse ancora più sot-tile: molti migranti cessano di punto in bianco di essere “ex-tracomunitari” e, in fondo, anche stranieri; l’abbattimento deiconfini può però anche significare una perdita di identità, senon è accompagnata da una riflessione su sé stessi e sui pro-pri caratteri distintivi. Proprio per sfuggire a un’immagine e aun concetto di Europa tecnocratica e fondata esclusivamentesul mercato e sull’economia, un’Europa “senz’anima”, la Chie-sa cattolica combatterà una battaglia per portare nella nuovacostituzione europea le radici e i valori cristiani. Una battagliache non avrà buon esito.

I “flussi” e le sanatorie: l’accoglienza all’italiana

L a vita degli immigrati è fatta di documenti, quindi di bu-rocrazia, quindi di code. E di code di immigrati negli an-ni 2000 se ne vedono in giro parecchie; titola la Difesa

del popolo del 13 gennaio 2002: “Immigrati in coda – Permes-si di lavoro: anche quest’anno in migliaia a richiederli” (p.17). «Ma cosa ci facevano centinaia di immigrati (arrivati infi-ne a oltre il migliaio) in coda davanti all’Ufficio provincialedel lavoro?», si domanda il cronista. «Erano venuti a tenere ilposto al titolare, che all’apertura dello sportello avrebbe do-vuto presentare la richiesta di assunzione. Per lo più clande-stini, non dovrebbero essere qui: ma se venisse accolta la ri-

52

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 52

Page 54: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

chiesta del loro nominativo da parte di un datore di lavoro,potrebbero avere finalmente un permesso di soggiorno. Sa-crosanto, perché la maggior parte già lavora in nero, nelleaziende o nelle famiglie, come colf o badanti di anziani italia-ni». Gli immigrati fanno la fila senza neanche sapere quanti diloro potranno alla fine ottenere i documenti; l’anno prima losi è saputo a metà anno: appena 846 nuovi permessi, a Pado-va, a fronte di quasi 4 mila domande. Una volta stabiliti i flus-si provinciali di ingresso, si procede secondo l’ordine crono-logico della domanda; ecco allora la gente in coda anche per48 ore, tra il 31 dicembre e il 2 gennaio, con anziani e bambi-ni che danno il cambio agli adulti che vanno a riposare o ri-prendono il lavoro.

Lo spettacolo si ripete ogni anno, puntualmente riportatosulla Difesa. È il sistema in cui viene gestita l’immigrazionenel nostro paese; dalla legge Martelli del 1990, la prima a da-re una sistemazione organica alla materia, alla Bossi-Fini at-tualmente vigente lo schema è più o meno lo stesso: un de-creto ministeriale decide ogni anno i “flussi”, ovvero le quotedi permessi di lavoro riservati a ogni provincia. È ovvio chepressoché la totalità di coloro che faranno richiesta di fatto ègià presente e lavora in Italia: il paradosso, che cela anche l’i-pocrisia del sistema, è infatti che si potrebbe venire in Italiasolo avendo già un lavoro, ma al tempo stesso non ci sonodelle strutture per il collocamento della manodopera. Un al-tro problema è l’esiguità delle quote: il ministro Maroni pro-mette addirittura di azzerarle entro il 2002, eppure proprio inquell’anno Luigi Rossi Luciani, presidente di Unindustria Pa-dova, stima in 25-30 mila l’anno gli ingressi necessari per so-stenere la crescita economica nella regione (13 gennaio 2002,p. 17).

Chi viene danneggiato è soprattutto chi vorrebbe venire alavorare: spesso chi delinque riesce infatti a trovare gli ap-poggi per procurarsi in qualche modo i documenti; quelloitaliano è un sistema rigido, che invece di garantire italiani estranieri pare piuttosto produrre illegalità, “fabbricare clande-stini”: «la maggioranza degli stranieri che ci sono oggi in Italiasi sono regolarizzati con una sanatoria – dice l’avvocato Mar-co Ferrero, futuro presidente delle Acli di Padova ed espertodi immigrazione (18 dicembre 2005, p. 4) – o sono entrati at-traverso i ricongiungimenti (che non rientrano nelle quote

53

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 53

Page 55: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

d’ingresso)». Un sistema quindi che non spinge esattamente alrispetto della legge. In questo modo però si danneggiano an-che le imprese, ovvero quelle che vogliono lavorare onesta-mente; molte infatti ne approfittano, e anzi sfruttano l’occa-sione per ottenere manodopera sottopagata.

Con un sistema così rigido, che non tiene conto delle esi-genze del sistema economico e delle imprese, è logico cheperiodicamente debbano esserci delle sanatorie, e infatti dal1986 nel nostro paese ce ne saranno ben cinque; alla fine an-che il secondo governo Berlusconi, pur avendolo escluso fi-no all’ultimo, sarà costretto a fare tra il 2002 e il 2003 la piùgrossa regolarizzazione di massa della storia italiana, che ri-guarderà più di 700 mila persone. La provincia di Padovasarà quella con il maggior numero di richieste: 13.464; peròall’ufficio immigrazione delle Acli stimano ancora 2 o 3 milapersone che non hanno potuto presentare domanda, allequali si aggiungono altre 500 che se la sono vista rifiutare,spesso per formalità burocratiche, o anche solo perché il da-tore di lavoro si è dimenticato o non ha voluto completare lapratica (19 ottobre 2003, p. 2 “Quelle regolarizzazioni ama-re”). Al centro della procedura della sanatoria c’è infatti il da-tore di lavoro: è a lui che compete presentare la domanda,eventualmente pagando una penale per i contributi e le tassenon versate. Di fatto la fila la fanno gli immigrati; non solo:spesso sono loro a pagare la penale. In certi casi alcuni pa-droni senza scrupoli chiedono addirittura ai dipendenti unacifra superiore, oppure tengono il lavoratore nell’illegalità perconvenienza, in modo da avere manodopera meno costosa epiù ricattabile; è proprio quello che è successo a Lara, profes-sione badante: l’anziano che accudisce voleva regolarizzarla, isuoi figli no. Questi ultimi si sono rifiutati di completare l’iteramministrativo, e la domanda è rimasta in sospeso: adessoLara potrebbe perdere tutto, essere caricata su un aereo edessere rispedita nel suo paese.

Un capitolo a parte meriterebbe la questione dei rifugiatipolitici e dei richiedenti asilo. Una ricerca condotta nel 2006dall’associazione Welcome di Piazzola sul Brenta, che coin-volge Padova e 28 comuni dell’Alta, conta nel territorio appe-na 103 rifugiati e 88 richiedenti asilo (10 dicembre 2006, p.17): un gruppo tutto sommato piccolo. Eppure come al solitoci sono dei problemi: alcuni paesi si sono accreditati come

54

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 54

Page 56: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

terre di libertà ospitali, per il fatto di accogliere chiunque fug-gisse da guerre e persecuzioni nei loro paesi; in Italia invece,nonostante si parli da anni di una riforma, a tutt’oggi non esi-ste una normativa organica in materia. I procedimenti spessodurano mesi, anni, e intanto il richiedente asilo può stare inItalia, ma non lavorare: «si trovano a vivere in una sorta dilimbo, una condizione di stand-by che diventa molto pesan-te».

Nel complesso, come in altri aspetti della questione, paremancare una strategia di largo respiro: «Si dovrebbe comple-tare il discorso della politica dei flussi con quello della politi-ca dell’inserimento – dice ad esempio don Elia Ferro, respon-sabile diocesano della pastorale dei migranti – [...] Diventasempre più importante avere una visione globale e ad ampiascadenza. L’opinione pubblica, di fronte alla grande porta chesi sta aprendo, non deve essere attenta solamente... al cigoliodei cardini!» (16 novembre 2003, p. 8).

La politica locale

I n generale l’Italia non ha mai investito sull’immigrazione;soprattutto dopo il 2000 però qualsiasi azione a favoredegli immigrati sembra incontrare resistenza ad ogni livel-

lo, anche di amministrazione regionale. La legge Turco-Napo-litano destina ad esempio 12,5 miliardi di lire all’immigrazio-ne, precisamente a strategie su alloggio, accoglienza e forma-zione? La Lega fa ostruzionismo al piano triennale della regio-ne, che dovrebbe ripartire materialmente la posta (24 giugno2001, p. 17: “Immigrati, arrangiatevi”). Eppure si tratta di unacifra irrisoria, calcolando anche che nei cinque anni prece-denti gli immigrati hanno prodotto ricchezza in Italia per 320mila miliardi di lire, contribuendo al prodotto interno lordoper un quota 4,2-4,3 per cento, superiore rispetto alla loro in-cidenza sulla popolazione. Alla fine il piano verrà approvato,ma metà dei finanziamenti saranno destinati agli “emigrati diritorno”, cittadini di origine italiana provenienti soprattuttodall’America Latina. Le associazioni di immigrati e l’opposi-zione protestano: «chi manderanno allora a lavorare nelle fab-briche venete?» si chiede polemicamente Edgar Serrano, origi-ne venezuelana, ricercatore presso l’università di Padova e

55

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 55

Page 57: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

assessore al comune di Piazzola sul Brenta (24 giugno 2001,p. 17). Il pericolo è che i soldi non possano essere spesi:«hanno vincolato 7 miliardi al rientro di veneti mentre non so-no riusciti a spendere in un anno nemmeno il miliardo e 700milioni già a disposizione con due specifiche leggi a favoredegli emigranti veneti». È inoltre previsto a favore dei comuniuna sorta di “diritto di veto” per bloccare iniziative della re-gione a favore degli immigrati sul loro territorio.

Intanto già alla fine degli anni ’90 è iniziato il periodo dei“sindaci sceriffi”, che fanno della sicurezza il loro cavallo dibattaglia. Il Veneto a poco a poco inizia a farsi fama di regio-ne chiusa e inflessibile rispetto agli immigrati; ne è un esem-pio la polemica scoppiata per il progetto di “restituzione” deiComboniani thienesi, che per l’anno giubilare del 2000 deci-dono di destinare parte del loro ex seminario all’accoglienzadegli stranieri. Il risultato è un piccolo affaire di provincia: ilcomune si oppone da subito al progetto, poi offre 6,5 miliar-di per comprarlo in blocco, con lo scopo dichiarato di farneun istituto scolastico e approvando a tempo di record una va-riante al piano regolatore. Il sospetto è che si tratti solo diuna manovra, per di più assai costosa, per impedire un inse-diamento di immigrati, anche se “regolari”. Il provinciale diComboniani assicura che si raggiungerà l’accordo solo se del-le risorse alternative verranno messe a disposizione dei tantilavoratori immigrati della zona, che hanno lavoro ma spessodevono accontentarsi di sistemazioni di fortuna. Il caso intan-to cresce: il sindaco Attilio Schneck rilascia delle dichiarazionipesanti al Giornale di Vicenza: «[è] una questione di ordinepubblico […] userò tutti i mezzi possibili per bloccarli. […]Thiene non può subire ulteriori violenze. La campagna chestanno facendo i preti è frutto di una falsa moralità e alla fi-ne, grazie a questa, si fanno entrare persone che si dedicanoalla prostituzione, allo spaccio di droga, che schiavizzano 30mila donne». Dal canto loro i Comboniani ricevono l’appog-gio pieno da parte della diocesi (29 aprile 2001, p. 16: “Icomboniani non sono soli”): il comodato gratuito con la coo-perativa Nuovo Villaggio, che si dovrebbe occupare della ge-stione del centro di accoglienza, è confermato. Il 26 settem-bre 2001 il vescovo Mattiazzo in persona benedirà la nuovastruttura, dopo che sono state ottenute tutte le autorizzazioninecessarie (23 settembre 2001, p. 15). In quel momento a

56

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 56

Page 58: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Thiene gli immigrati sono 1800 su 20 mila abitanti, quasi tutticon lavoro e documenti.

Certo l’ostilità verso gli stranieri, unita a una certa gestioneemergenziale del fenomeno migratorio, non è appannaggioesclusivo del Nordest: a Castel Volturno ad esempio, in pro-vincia di Caserta, nel 2003 da parte delle forze dell’ordinesembra scatenarsi una vera e propria “caccia al negro”, incita-ta anche dal sindaco, che dichiara di volersi finalmente “libe-rare” degli africani. Sempre i Comboniani, che lì hanno unaparrocchia, reagiscono incatenandosi alla finestra della que-stura di Caserta, chiedendo alle autorità di «rivedere la lorometodologia di intervento per fare in modo che nelle opera-zioni di pubblica sicurezza vengano coinvolte persone inno-centi»; in segno di solidarietà i loro confratelli padovani orga-nizzano una manifestazione di fronte al palazzo del comunedi Padova, ripresa puntualmente dal giornale diocesano (9giugno 2003, p. 5). In verità quello che risalta è l’inadegua-tezza delle “operazioni in grande stile”, dalle quali spesso so-no proprio i criminali a passare indisturbati, mentre molti im-migrati, onesti ma “irregolari”, sono gettati nel terrore.

Insomma: quello tra gli immigrati e la politica, soprattuttolocale, spesso è un rapporto difficile. Tra i problemi c’è an-che quello della partecipazione: già negli anni ’90, sull’esem-pio di altri comuni – come Roma, Torino, Bologna, Catania eAncona, per citare i più grandi – a Padova si inizia a parlaredi un consigliere comunale extracomunitario. L’Italia vi sareb-be tenuta in base alla Convenzione di Strasburgo del 1992,secondo la quale il nostro stato sarebbe addirittura impegnatoa concedere ai cittadini stranieri il diritto di voto alle elezioniamministrative. Udoh Ebong (Congresso cittadini nigeriani diPadova) sintetizza: «molti di noi arrivano da paesi con regiminon democratici: ma io, in Italia da quattordici anni, non hola cittadinanza e non posso votare. Dov’è la democrazia?Adesso c’è una proposta che ci chiede non di votare, ma solodi ascoltare. Qual è il problema? Sbrighiamoci e andiamoavanti, c’è molto altro da fare» (17 aprile 1994, p. 3). Il 25maggio 1997 gli immigrati residenti votano per il primo “Con-siglio delle comunità straniere” (ne dà notizia la Difesa del 4maggio 1997, p. 14: “Al voto gli immigrati”); a livello regiona-le già con la legge regionale 9 del 1990 era stata stabilita unaConsulta regionale per l’immigrazione, presieduta dall’asses-

57

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 57

Page 59: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

sore ai flussi migratori e composta da 34 membri, di cui peròsolo una minima parte immigrati.

In tutti i casi si tratta comunque di organismi parzialmenterappresentativi: la questione di un vero e proprio diritto divoto per gli immigrati esplode a livello nazionale nel 2003,con le dichiarazioni del leader di Alleanza Nazionale Gian-franco Fini. Alla prova dei fatti quella del presidente di An sidimostrerà più una mossa politica – diretta ad accreditare ilsuo partito come una forza moderata – piuttosto che un’azio-ne diretta a ottenere risultati concreti: il disegno di legge chene scaturirà infatti non arriverà nemmeno a essere discusso inparlamento. Non di meno essa ha il merito di aprire un dibat-tito all’interno di una larga parte della società italiana, a pro-posito dell’opportunità di riconoscere anche dei diritti di par-tecipazione politica a favore di chi vive onestamente nel pae-se.

Al di là dei cliché giornalistici però in Veneto non ci sonosolo i “sindaci sceriffi”, e la Difesa lo sa; spesso in molti co-muni e nelle province la realtà quotidiana è fatta di conviven-za pacifica piuttosto che di scontro: il comune di Cadonegheintreccia ad esempio rapporti molto attivi, tramite la politicadei gemellaggi, con le città di Miricina, in Bosnia Erzegovina,e di Ciucea, paese nel distretto di Cluj, Romania (Difesa del19 ottobre 2003, p. 13). Lo scopo è di aiutare, nel propriopiccolo, due paesi che hanno conosciuto in tempi recenti laguerra e la povertà; in particolare, l’amministrazione venetacontribuisce alla ricostruzione della casa della cultura nellacittadina bosniaca, mentre offre ospitalità ai ragazzi romenidurante i campi estivi.

E poi c’è l’Anci Veneto, l’associazione dei comuni, che il 7ottobre 2006, nel corso di una riunione tenuta a Rovigo, ap-prova con ampia maggioranza una proposta a favore dellaconcessione della cittadinanza ai bambini stranieri nati in Ita-lia (“Minori stranieri nati in Italia: cittadini?”, 3 dicembre 2006,pp. 4-5). Sempre il “chiuso e conservatore” Veneto è la primaregione in Italia a concedere un tesserino sanitario anche agliimmigrati irregolari, che dà loro diritto a prestazioni di medi-cina preventiva e tutela della maternità (23 febbraio 1997, p.13), e questo dieci anni prima della “progressista” Toscana. Ilperché lo spiega Alvise Moretti, presidente dell’associazionePopoli Insieme: «all’esterno la regione dà di sé un’immagine

58

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 58

Page 60: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

chiusa, ma quando si tratta di cose pratiche, qui non si è se-condi a nessuno» (3 dicembre 2006, pp. 4-5).

Il rapporto con l’Islam

L’ immigrazione tocca gli equilibri di una società, portan-do su un territorio, assieme alle persone, nuove lin-gue, culture, religioni; tra queste, una posizione parti-

colare spetta all’Islam, che in pochi anni supera il milione diaderenti in Italia, e che pare persino iniziare a scalfire la com-pattezza di una società tradizionalmente cattolica come quellaveneta. Il 12 novembre 2000, la Difesa dedica un approfondi-mento particolare all’Islam (pp. 1-5 “Islam: integrazione pos-sibile?”); il casus belli è dato da una dichiarazione del cardi-nale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, che in una notapastorale accenna, a proposito della polemica sulla costruzio-ne di una moschea a Lodi, a un pericolo di “islamizzazione”dell’Italia. Ne scaturisce una polemica molto mediatizzata; ilproblema esiste: all’epoca i musulmani in Italia sono circa650 mila, provenienti soprattutto dal Nord Africa, dall’Albaniae dall’Asia, ma con una sempre più nutrita presenza di citta-dini italiani, convertiti o di origine straniera; a loro disposizio-ne ci sono solo circa 130 “moschee”. Allo stato italiano chie-dono un’intesa, al pari di quelle stipulate con altre confessio-ni minoritarie; tra le loro richieste «l’insegnamento del Coranoa scuola o la creazione di scuole musulmane parificate; il di-ritto, per la donna, a essere fotografata sui documenti anchecon il velo; i permessi di lavoro per il pellegrinaggio allaMecca; venerdì festivo; diritto a partecipare alla preghiera dimezzogiorno e di contrarre matrimoni civili con rito islamico».Di fronte a queste come ad altre richieste gli italiani spesso siirrigidiscono: c’è il problema della reciprocità, e poi anchedelle tradizioni culturali locali, che a volte si vedono minac-ciate da una pretesa invadenza della comunità musulmana.

Eppure l’Islam, proprio come il Cristianesimo, è tutt’altroche un blocco monolitico: ci sono molte differenze a secondadella comunità di provenienza, e poi appena il 15 per centodei musulmani va in moschea. Qual è il vero problema lospiegano i parroci di due tra le parrocchie con la più fortepresenza di musulmani: «il pericolo di perdita di identità reli-

59

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 59

Page 61: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

giosa non deriva certo dalla presenza di mezzo milione dimusulmani nel nostro paese – dice don Angelo Cecchinato,parroco di Pontevigodarzere – Il pericolo è costituito dai mi-lioni di italiani che si definiscono cristiani e non lo sono. Olo sono in maniera talmente blanda ed edulcorata che difronte a uomini e donne saldi, in una fede che non è la no-stra, saranno disposti a recedere da ogni tipo di convinzionee di credo» (12 novembre 2000). Proprio a Pontevigodarzeredal 1997 sorge Al-nuur, la prima “moschea” di Padova, a duepassi dal patronato e su un terreno ceduto proprio dalla par-rocchia. Don Guglielmo Cestonaro, all’epoca parroco di SanPio X, è dello stesso avviso: «non siamo alla vigilia di unanuova battaglia di Lepanto, il nemico oggi un nemico invisi-bile, subdolo ma potentissimo, si chiama decadimento moralee ha la faccia, pulita ma a volte inespressiva, dei nostri giova-ni. Mi chiedo: ma davvero pensano che i nostri problemi de-rivano dall’Islam?».

Certo il confronto con l’Islam non è sempre facile: i nuovivenuti con le loro domande e, soprattutto, con i loro valori ele loro convinzioni, rischiano di mettere in crisi delle identitàsuperficiali; «io ho chiesto a molti amici che significato ha fa-re l’albero di Natale, che sicuramente non c’era quando è na-to Gesù e sicuramente non era un abete – dice ad esempioAbdirashic Mohamed Osman, somalo, segretario della sezio-ne padovana della comunità islamica del Veneto –. Nessunomi riesce a rispondere. Trovo che ci siano delle tradizioni chehanno perso il loro significato religioso. Anche quella di farei regali, che nell’Islam non ha un parallelo, per voi è diventa-ta un obbligo: anche chi è ateo la rispetta. Così si perde il va-lore religioso e resta quello commerciale, esteriore. Il rischioè che dopo due giorni il Natale sia passato e tutto sia rimastocome prima» (21 dicembre 1997, p. 3). Il rapporto con l’Islaminsomma è un problema complesso, e la Difesa sceglie dinon banalizzarlo, evitando allo stesso tempo buonismi e cro-ciate, e soprattutto dedicandovi decine e decine di pagine:servizi, opinioni degli esperti, interviste; e poi speciali su cul-tura, religione, persino sulla cucina.

L’esigenza di fondo è quella di capire, e per questo si ten-ta di dare spazio a tutte le posizioni, anche le meno condivi-sibili: è il caso di Mustafà Jabal, siriano, già presidente dellamoschea di Pontevigodarzere; Jabal, accanto alla denuncia di

60

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 60

Page 62: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

discriminazioni e in generale di un cattivo clima che si stareb-be instaurando («[mia figlia] giorni fa è tornata a casa in lacri-me: qualcuno per strada aveva sputato per terra al suo pas-saggio apostrofandola in malo modo per il solo fatto di in-dossare il chador») fa delle dichiarazioni reticenti («in Sudan[dove di lì a poco sarebbe iniziata la catastrofe umanitaria delDarfur], cinque ministri sono cristiani»), oppure addirittura ir-ritanti: «la pena di morte rappresenta un deterrente formidabi-le all’espansione del crimine […] lo stesso dicasi per le muti-lazioni, come l’amputazione della mano prevista per i ladri»(19 novembre 2000).

L’11 settembre 2001 l’attentato alle Twin Towers a NewYork: “Perché? Ora tutto cambia”, titola la Difesa (16 settem-bre 2001, p. 5). La Chiesa rifiuta fin da subito di cavalcare loscontro: domenica 23 settembre viene organizzato a Padovaun incontro di preghiera: presenti, oltre a un rappresentantedel vescovo, il rabbino e il pastore evangelico di Padova, ilparroco della Chiesa ortodosso-romena e, appunto, MustafàJabal. La Difesa torna a intervistare Jabal un anno e mezzodopo: «quando, pochi giorni dopo l’11 settembre, ho visto en-trare ragazzi con la foto di Bin Laden e inneggiando alla stra-ge di New York, mi sono reso conto di quanto sia facile irre-tire menti deboli e giovani inesperti della vita. Rifiuto l’equa-zione Islam uguale terrorismo. Ma devo ammettere che le no-stre comunità possono essere facili terreni di coltura di com-portamenti deviati e tragicamente pericolosi. I più terrorizzati,in questo senso, siamo noi» (25 maggio 2003, pp. 1-4). Eppu-re, nota il cronista, proprio a Pontevigodarzere – nel piccolospaccio annesso al luogo di preghiera – un cartello invita aboicottare i prodotti americani e israeliani.

Dopo gli attentati di Al Qaeda, che dopo New York colpi-scono Madrid nel 2004 e Londra nel 2005, il dialogo si fa ov-viamente più complesso: sono sempre più numerosi i fautoridella teoria dello “scontro di civiltà”, che vede Cristianesimoe Islam come nemici predestinati e irriducibili. Tra chi soffiasul fuoco c’è anche Adel Smith, un personaggio che si auto-proclama rappresentante dei musulmani italiani ed è protago-nista in questo periodo di diverse “ospitate” sulle reti tv dellazona (celebre l’aggressione da parte dei naziskins su Tele-nuovo) e nazionali. Come sempre, la Difesa tenta la stradadella conoscenza e della riflessione, piuttosto che della cro-

61

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 61

Page 63: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

ciata e dello scontro. Anche la Chiesa intanto cerca di organizzarsi: nella diocesi

è tutto un fiorire di convegni, di seminari e di iniziative perlo studio e la diffusione della conoscenza dell’Islam, e la Di-fesa puntualmente ne dà notizia; tra le altre cose viene anchecostituito un apposito servizio diocesano per le relazioni cri-stiano-islamiche guidato da don Giuliano Zatti. La via del dia-logo non è però sempre la più facile; proprio don Zatti, all’in-domani dell’attentato di Londra, che costa la vita a più di ses-santa persone, si abbandona sulle colonne della Difesa a unariflessione amara: «chi, come me, si è trovato ad affezionarsial mondo islamico non può che soffrire per quanto va succe-dendo, quasi che l’ultima parola debba sempre essere quelladella stupidità, della religione ridotta a slogan, della rabbiaincontrollata e dei muri contrapposti» (24 luglio 2005, p. 5: «Anoi credenti il “compito” dell’incontro»).

Moschee nella città del Santo

U no degli aspetti del problema dei rapporti con l’Islam èsenza dubbio quello della presenza dei luoghi di culto:“Piccole moschee crescono”, titola in prima pagina la

Difesa del 25 maggio 2003. In quel momento nella diocesi cisono quattro luoghi di preghiera musulmani: quello storico diPontevigodarzere, nato nel 1997, il centro culturale “Il penti-mento” a Borgoricco, “La Pace” a Cassola e “Falah” a Bagnolidi Sopra. Centri culturali appunto e non moschee, perché inrealtà di moschee vere, costruite cioè secondo i dettami isla-mici, in Italia ce ne sono appena tre: a Catania, Roma e Mila-no. Le moschee: costruirle o no? Con fondi statali, oppurepermettendo a chiunque di fare la “propria” moschea, magarilasciando in questo modo il campo alle organizzazioni piùfondamentaliste? Non è un problema da poco: scrive a questoproposito il sociologo Stefano Allievi, uno dei massimi cono-scitori dell’Islam europeo: «la moschea è il luogo centrale del-l’Islam praticato. Pur non essendo spazio sacro nel senso cri-stiano del termine, intorno a essa si definisce il territorio mar-cato islamicamente. È anche il segno principale di un proces-so di progressiva visibilizzazione dell’Islam nello spazio pub-blico, anche europeo, che è attualmente in corso. Ed è infine

62

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 62

Page 64: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

il luogo elettivo delle battaglie simboliche intorno all’Islam,tanto dei suoi fautori che dei suoi oppositori» (25 maggio2003).

Il confronto con altre culture impone anche di ripensare leregole della convivenza civile: ne sono un esempio le contro-versie che investono il problema della laicità dello stato, co-me quella sulla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici,oppure quella sulla menzione delle radici cristiane nel pro-getto di costituzione europea. Si tratta di temi che negli annidopo il 2000 riempiono le pagine dei giornali; in tutta Italiaprivati cittadini e associazioni chiedono ai giudici che i sim-boli del cristianesimo vengano rimossi da scuole, ospedali,seggi elettorali: quasi sempre si tratta sempre di atei o agno-stici militanti, spesso però la questione viene messa in rela-zione con la “multiculturalità” e la “multietnicità” alla qualel’Italia starebbe approdando.

In particolare il dibattito sul crocifisso esplode tra il 2004 eil 2005; la Difesa non si tira indietro, cerca anzi di trattarlocon equilibrio, dando risalto anche a opinioni che dissentonodalla posizione ufficiale della Chiesa italiana, come quella diRenato Pescara, docente di diritto comparato alla facoltà discienze politiche dell’università di Padova. Quella sul crocifis-so è, secondo Pescara, una “battaglietta di retroguardia”, cheelude e non affronta il problema del pluralismo (1 gennaio2005, p. 5: “L’Italia è in ritardo rispetto al pluralismo”). Gli al-tri grandi stati europei, avendo una storia di immigrazionepiù antica, hanno messo a punto delle strategie sperimentatenel rapportarsi al diverso: è il caso ad esempio della Franciache, secondo lo studioso (cattolico impegnato), «ha fatto iconti con posizioni diverse per la lunga frequentazione colo-niale. A inizio Novecento per garantire la convivenza civile eprevenire conflitti si stabilì che lo stato garantisse lo spaziopubblico assolutamente laico, senza preferenze». Va da sé chel’esperienza dell’Italia è molto diversa: «[noi] non abbiamomai conosciuto un vero pluralismo, non sul piano delle etniené in ambito religioso. [...] Per questo, parlare di temi comeintegrazione, immigrazione, rispetto della diversità religiosa,tutela delle minoranze, da noi scatena sempre polemiche vi-vaci». Che fare allora? La risposta, sempre secondo Pescara,sta innanzitutto nella riflessione sulla propria identità, nellascelta valori fondanti che siano anche accoglienti, e, soprat-

63

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 63

Page 65: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

tutto, nella scuola, dove la convivenza, così difficile per i«grandi, si realizza già tra i ragazzi, sia che provengano da fa-miglie italiane che straniere».

La Chiesa non cavalca mai l’impressione prodotta dallo“scontro di civiltà”, e giunge spesso a frenare i suoi esponentipiù focosi; eppure il dialogo è sempre una discussione, unwork in progress che segna successi, ma a volte anche incom-prensioni, se non veri e propri scontri. È quello che succede,ad esempio, in occasione della nota controversia sulle vignet-te satiriche su Maometto cui seguirà, sempre nel 2006, la po-lemica per il discorso di papa Benedetto XVI a Ratisbona: intutti e due casi disordini, scontri con morti e feriti si ripetonopraticamente in tutti i paesi musulmani del mondo, dal Paki-stan alla Libia, dove a Bengasi viene addirittura bruciato ilconsolato italiano. «C’è un problema di diritti tout-court –spiega Stefano Allievi (26 febbraio 2006 p. 5) – e soprattuttodi tutela delle minoranze che, se vale per le comunità musul-mane in Europa, deve valere anche per i cristiani nei paesimusulmani. Certamente c’è un’identificazione molto forte del-l’Occidente con il mondo cristiano: quando si bruciava labandiera danese, si bruciava, dopo tutto, anche una croce.Continuo a pensare che la guerra delle vignette sia la guerrapiù stupida tra quelle lanciate a memoria d’uomo. E questovale anche dal lato musulmano dove i grandi proclami ro-boanti e retorici servono solo a chi li pronuncia per guada-gnarsi una visibilità a poco prezzo di fronte a masse obietti-vamente strumentalizzate».

Immigrati e lavoro, i rapporti economici

A lmeno una cosa negli anni 2000 diviene chiara, e cioèche l’immigrazione è un fattore di sviluppo essenzialedell’economia: in Veneto nel 2002 i lavoratori dipendenti

stranieri sono circa 80 mila e la quota di assunzione è salita,secondo alcune stime, addirittura al 18,6 per cento (16 no-vembre 2003). Le imprese continuano a essere affamate dimanodopera: iniziano addirittura dei progetti che mirano aformare gli immigrati direttamente all’estero per poi farli veni-re a lavorare in Italia (come il “progetto Dej”, 17 novembre2002, p. 15 o Migralink, 28 gennaio 2007).

64

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 64

Page 66: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

L’aspetto del lavoro è fondamentale anche per l’ordina-mento giuridico italiano, che lega la permanenza dello stra-niero sostanzialmente alla presenza di un impiego. Questoperò fa anche sì che gli stranieri possano trovarsi alla mercédi datori di lavoro senza scrupoli; non si tratta esclusivamentedi casi limite: secondo i dati del 2002 dell’Ufficio del lavoro lapercentuale degli stranieri regolarmente residenti, ma impie-gati “in nero” nelle aziende controllate è del 24 per cento,mentre un altro 7 per cento è composto dai lavoratori in neroirregolari anche per il soggiorno (16 novembre 2003, p. 9). Sitratta quasi sempre di lavoratori impiegati in piccole impreseartigianali e nelle costruzioni, spesso messi a fare i lavori piùpericolosi e meno tutelati. A volte si paventa persino il so-spetto che si vogliano tenere gli immigrati in una condizionepermanente di ricatto, in modo che non possano far valere iloro diritti sul posto di lavoro e nella società (1 dicembre2002, p. 7: “Meglio precari così li ricatto”).

L’atteggiamento verso i lavoratori immigrati continua an-che negli anni 2000 a essere ambivalente: se da una parte èormai certo che servono, dall’altra continuano a essere le pri-me vittime della burocrazia e della mancanza di tutele ade-guate. Un caso rappresentativo è quello dei lavoratori stagio-nali, determinanti soprattutto in settori come l’agricoltura e ilturismo, dove i carichi di lavoro sono suddivisi in manieraineguale durante i periodi dell’anno (16 luglio 2006, pp. 1-3,“Stagionali dall’Est: ce n’è bisogno”); nel 2005, secondo datiufficiali in provincia di Padova, essi sono 2.730: a questiperò, secondo Cgil e Cisl, vanno aggiunti almeno altri 1.300clandestini, provenienti soprattutto da Polonia e Romania.Nelle campagne venete crescono le richieste per l’utilizzo dimanodopera straniera, i decreti per i flussi migratori però,uscendo sempre in ritardo, non permettono ai coltivatori diorganizzare gli ingressi; tutto questo non solo condiziona pe-santemente la vita di centinaia di persone, ma si ripercuoteanche sull’economia del territorio: «tanto gli italiani quanto iromeni che impiego sono stagionali che vengono qui daqualche anno, alcuni anche da cinque – spiega Ferruccio Ret-tore, titolare di un’azienda agricola che produce prezzemolo–. Sono persone sicure, che se potessi assumerei immediata-mente in modo fisso». Gli ultimi governi avevano promessouna corsia preferenziale per gli immigrati che tornavano, ma

65

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 65

Page 67: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

alla fine non è stato fatto nulla: «sono rimasti stagionali, congrande delusione per loro e per me – conclude Rettore – [...]Invece di semplificare, tutto viene complicato, il procedimen-to è assurdamente macchinoso. E lento: ho un ragazzo che èdovuto andare cinque volte all’ambasciata a Bucarest per ave-re i documenti. Uno stato moderno e occidentale come il no-stro dovrebbe prevedere trafile diverse».

Un aspetto interessante, che si sviluppa proprio dopo il2000, è l’imprenditoria legata agli immigrati; “La carica deglistranieri artigiani” è ad esempio un titolo della Difesa del 29settembre 2002 (p. 23): in questo periodo, secondo un’indagi-ne dell’Unione Artigiani di Padova, ogni 10 nuove impreseartigiane 4 sono aperte da stranieri. Qualche anno più tardi,nel giugno 2006, gli imprenditori immigrati in Italia sono già130.969, più 38 per cento rispetto al 2004, più di uno su dieciresidente in Veneto (9 settembre 2007, p. 5: “L’impresa parlastraniero”). Gli imprenditori immigrati non sono una novitàassoluta, il fenomeno però si evidenzia dopo il 2000; lo svi-luppo dell’imprenditoria immigrata è senza dubbio un segnodi integrazione, della capacità da parte degli stranieri di as-sorbire i valori della cultura veneta. In questo ambito sono icinesi a dimostrarsi abili, soprattutto nel commercio e nella ri-storazione; altri gruppi organizzano piccoli negozi, phone-center e spacci di prodotti tipici.

C’è poi tutto il settore delle costruzioni, dove gli immigratisono ormai la maggioranza; alcuni di loro decidono fare ilsalto e si mettono in proprio: è il caso di Dragan Miljanovic,bosniaco, che assieme al fratello gestisce un’impresa edile aCampodarsego. 14 i dipendenti: quasi tutti bosniaci, per lamaggior parte lavoratori della vecchia impresa che i due fra-telli possedevano in Bosnia prima della guerra (23 maggio2004, p. 27). Tra tante storie di emarginazione e di nostalgia,ecco finalmente la storia di un imprenditore “di successo”,uno che in Italia ce l’ha fatta: «qui [in Italia] il lavoro è più ve-loce e meglio organizzato – spiega Miljanovic – e con quelloche guadagno posso avere un benessere maggiore rispetto al-la Bosnia, posso andare con gli amici a vedere una partita oal ristorante, sentirmi partecipe di quella voglia di vivere checaratterizza gli italiani». Dragan ha avuto la sua opportunità, eper questo è grato all’Italia; provocato a dire che cosa possia-mo imparare noi italiani dai lavoratori che vengono da paesi

66

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 66

Page 68: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

stranieri, Miljanovic risponde: «si può imparare a vedere lepersone che stanno sulla strada e hanno bisogno di lavorare,di ricongiungersi con la famiglia, di restituire dignità alla pro-pria vita. Si può imparare a offrire un’opportunità».

Non solo lavoratori dipendenti quindi ma imprenditori, esempre più anche consumatori: anche alcune imprese italianeiniziano a guardare agli immigrati anche come potenziali ac-quirenti, una fetta di mercato sempre più rilevante da conqui-stare. È il caso delle banche, che in alcuni casi iniziano a stu-diare anche dei servizi specifici per gli stranieri, soprattuttonei settori dei mutui per la casa e per il trasferimento all’este-ro di denaro (6 marzo 2005, p. 17). Per il resto il rapporto traimmigrati e istituti di credito spesso rimane difficile; tra i pri-mi problemi vi sono quelli delle garanzie: non avendo in Ita-lia parenti in grado di finanziare una parte dell’acquisto, o al-meno di garantire il prestito, per ottenere il mutuo gli stranie-ri devono spesso fare affidamento esclusivamente sulle pro-prie forze. Un altro problema è poi rappresentato, come sem-pre, dai documenti: i tempi per il rinnovo del permesso disoggiorno non sono mai celeri, e non è raro che un immigra-to rimanga per mesi con in mano solamente la ricevuta del-l’ufficio postale che attesta l’inoltro della richiesta di rinnovo.Tale ricevuta, che per la legge è un documento valido, spessoinvece viene rifiutata dalla banca.

Le badanti

N ella prima metà del primo decennio degli anni 2000l’immigrazione cambia; arrivano tante donne, soprattut-to dai paesi dell’Est, Ucraina e Romania in testa: sono le

badanti. In principio a organizzare questo nuovo esodo sonoagenzie dell’Est che vendono il pacchetto “viaggio in pull-man-visto d’espatrio-permesso di soggiorno turistico”, allamodica cifra di quasi 3 milioni di lire. Questo è il ritratto del-la Difesa: «non giovanissime, tra i 30 e i 50 anni, spesso inpossesso di un diploma di scuola superiore, di una laurea,[…] [Queste donne] vendono o ipotecano quel poco che han-no per pagarsi il viaggio per cercare un lavoro in Italia permantenere la famiglia e i figli rimasti in patria. Sono i “qua-dri”, i ceti medio-alti, della Moldavia, della Romania, della

67

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 67

Page 69: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Bielorussia… Qui trovano lavoro, ovviamente in “nero”, co-me colf, baby-sitter o assistenti ad anziani non autosufficienti»(28 gennaio 2001, p. 15).

Queste donne rispondono a un’esigenza profonda dellasocietà italiana, che invecchia velocemente, ma che allo stes-so tempo non è dotata di strutture e di servizi adeguati: nel2003 ci sono 360 mila veneti con più di 74 anni, 93 mila deiquali soffrono di una qualche forma di invalidità; andare incasa di riposo può costare dai 1.000 ai 1.100 euro al mese,mentre per una badante se ne spendono mediamente 826,con il vantaggio che inoltre l’anziano non è costretto a lascia-re la sua casa (13 aprile 2003, p. 15). Sempre nel 2003 si sti-ma che in Veneto ci siano 21 mila badanti; due anni dopo so-no già 25 mila, a fronte però di una necessità di almeno 30mila lavoratrici.

Alle badanti la Difesa dedica diversi servizi, tra cui unagrande inchiesta in due puntate (11 e 18 dicembre 2005); l’I-talia pare avere un bisogno disperato di queste migranti: nel-le famiglie spesso lavorano entrambi i coniugi, e il decremen-to demografico fa inoltre sì che spesso in ogni nucleo ci siapiù di un anziano da accudire. Frequentemente infine sonogli stessi anziani a non voler andare nelle case di riposo, pre-ferendo continuare a vivere in casa loro; lo confermano Do-natella Piccolo e Chiara Aliprandi, dei servizi sociali del co-mune di Padova: «di certo, con l’introduzione nella società diquesta nuova figura professionale si è garantita un’autono-mia, all’assistito e alla sua famiglia, che prima non apparivapossibile. E si è rilevata la notevole diminuzione di ingressi dianziani e persone non autosufficienti nelle case di riposo,con annessi problemi» (18 dicembre 2005, p. 4).

Il contributo delle badanti è tanto prezioso che un’inver-sione di tendenza nel loro arrivo rischierebbe di far aumenta-re i prezzi, con ripercussioni importanti sulle famiglie: «non èdifficile immaginare che, non appena la situazione migliorerà,queste donne non emigreranno più – dice ad esempio il so-ciologo Alessandro Castegnaro – e così si potrebbe ricreareun nuovo buco nell’assistenza». Il monito è alle istituzioni,che a volte approfittano della situazione per ridurre le spesesociali: «in Friuli, i dati precedenti al 2003 riferivano addirittu-ra di un calo dell’assistenza domiciliare pubblica [...] Cosasuccederà, quando loro non ci saranno più?» (11 dicembre

68

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 68

Page 70: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

2005, p. 3). Già nel 2005 infatti il mercato del lavoro mostrasegni di raffreddamento: a fare le badanti ci sono anzi sem-pre più donne italiane: magari per un piccolo reddito extra,oppure per fronteggiare una crisi economica che si fa sentire.

Eppure quelli che vengono definiti i “lavori di cura” sonoattività scarsamente riconosciute nel loro valore: ne è unaspia lo stesso termine “badanti”, col quale un tempo veniva-no designati coloro che si occupavano di animali d’alleva-mento, come maiali e galline. Un termine alternativo ci sareb-be: “assistente familiare”, «ma è una battaglia persa – spiegaCastegnaro – quando alla figura verrà riconosciuta una mag-giore professionalità, sicuramente cambierà da solo. Attual-mente si riconosce loro solo un compito di basso profilo, il“badare”, e la si assimila a quella che era una volta la servitùdomestica» (ivi). Spesso i lavori di cura si trovano confinatinell’ambito del lavoro nero: «[dopo la regolarizzazione] moltedonne sono subito ritornate in un’irregolarità lavorativa –spiega don Bruno Baratto, curatore del dossier Caritas 2005 –perché mantenere in regola una figura di questo tipo è esosoper molte famiglie» (ivi). Lo stato del resto non contribuisce arendere le cose più semplici: nel numero del 18 dicembre2005 vengono enumerati sei diversi adempimenti per assume-re una badante straniera, tra denunce e comunicazioni a Inps,Inail, comune, regione e autorità di pubblica sicurezza, oltrea contributi piuttosto pesanti a carico del datore di lavoro. Incompenso sono disponibili dei finanziamenti statali, ma peressi bisogna fare tre distinte domande: due alla regione, piùuna all’Ulss, anche se a essere corrisposti sono sempre deifondi regionali. L’immigrazione insomma è ancora una voltaspecchio delle difficoltà della burocrazia in Italia: spesso usa-ta come forma di dissuasione, piuttosto che per attuare i dirit-ti dei contribuenti e dei cittadini.

Col decreto flussi del 2006, su un totale di circa 80 mila“ingressi” – di fatto, come abbiamo visto, si tratta di regolariz-zazioni mascherate – circa 15 mila sono riservati alle badanti;solo in Veneto però, a fronte di soli 2 mila posti disponibili,sono 7 mila le richieste raccolte le Acli (18 dicembre 2005).Per chi resta fuori non rimane che aspettare un anno, nellasperanza di farcela la prossima volta. Come sempre le proce-dure si svolgono in un clima di confusione e di precarietà: iposti disponibili vengono esauriti in pochi minuti; c’è addirit-

69

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 69

Page 71: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

tura chi, per avere maggiori probabilità di entrare nelle quote,va a fare la domanda fuori provincia, dove gli uffici postaliaprono prima. Per i pochi fortunati che riuscono ad accederealla lista si apre un altro percorso, ancora una volta irto diostacoli: coloro che sono già in Italia – la quasi totalità dellelavoratrici – dovranno infatti rientrare clandestinamente nelproprio paese, al fine di chiedere il visto di ingresso nelle am-basciate italiane; se si è fermati dalla polizia nell’area Schen-gen si rischia di l’espulsione, con il conseguente impedimentodi entrare per dieci anni. Un’odissea, che spesso si aggiungeai disagi di situazioni difficili: «i lavoratori temono di riceveredal datore minacce di denuncia della situazione irregolare chevivono – spiega l’avvocato Marco Ferrero –. In questa condi-zione si può anche incorrere in abusi, pure di tipo sessuale. Illavoro domestico può condurre alla schiavitù». Lo confermaDonatella Piccolo, assistente sociale presso il comune di Pado-va: «per le badanti è facile cadere nel burn out (termine tecni-co per esprimere il logoramento nel lavoro, fisico e psicologi-co), specie se si trovano ad accudire persone non lucide, chetentano di scappare e devono essere controllate attimo per at-timo» (18 dicembre 2005, p. 4).

Le badanti vivono nelle nostre famiglie, le aiutano e allostesso tempo ne vedono i problemi: cosa pensano di noi, co-me ci giudicano? Maria è romena, quasi sessant’anni: «il nostroè un lavoro molto faticoso e psicologicamente pesante, nontanto per i rapporti con le persone anziane, quasi sempre nonlucide e da seguire in ogni momento. Difficili sono le relazio-ni con i loro figli, coloro che ci assumono, specialmente sedella mia generazione. Appaiono troppo attaccati al denaro,mancando di rispetto ai loro genitori e anche a noi che ce neoccupiamo. Mi fa soffrire questo trattamento, questa non con-siderazione».

La scuola

I primi articoli sui bambini stranieri nelle scuole appaionosulla Difesa del popolo nella seconda metà degli anni ’90(il 13 aprile 1997, ma soprattutto il 23 novembre 1997, p.

15: “In classe senza capire l’italiano”). I minori stranieri nellescuole sono il segno di un’immigrazione che si struttura e si

70

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 70

Page 72: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

stabilizza: una conseguenza congiunta dei ricongiungimentifamiliari e dei maggiori tassi di fecondità delle famiglie stra-niere; alla fine del 1997 è costituito da bambini il 17 per cen-to dei 4.500 stranieri iscritti all’anagrafe di Padova, mentrenelle scuole materne del comune capoluogo ci sono già 352bambini con cittadinanza straniera, la maggior parte prove-nienti dai paesi dell’Europa dell’Est. Tempo dopo (anno sco-lastico 2004-2005) gli allievi stranieri iscritti alle scuole pado-vane, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondogrado, sono già 7.280: il 5,9 per cento della popolazione stu-dentesca (4 dicembre 2005, p. 9: “Cuori aperti, non soloscuole”).

Ancora una volta il sistema Italia arriva in ritardo, senzaun progetto, lasciando la soluzione dei problemi alla buonavolontà dei singoli: «cosa faccio? – si domanda un’insegnante– non parlano italiano, non sono mai andati a scuola, li mettoin prima? E agli esami, li ammetto? Cosa scrivo sulla scheda?Non posso seguirli, devo finire il programma. Se stanno conl’insegnante di sostegno intanto gli altri compagni vannoavanti…» (18 gennaio 1998, pp. 6-7: “Il diverso come risor-sa”). Gli insegnanti di sostegno nella maggior parte dei casiperò non hanno una formazione specifica per gli alunni stra-nieri; un aiuto può venire dai mediatori culturali, messi a di-sposizione dai comuni: se però arrivano dei tagli in bilancioecco, la mediazione culturale nelle scuole è tra le prime vocia saltare. Del resto, le famiglie dei bambini stranieri non vota-no… Nel comune di Padova, per fare un esempio, nell’annoscolastico 2005-2006, a fronte di migliaia di bambini di origi-ne straniera, ci sono appena 19 mediatori, divisi in 9 aree lin-guistico-culturali.

I problemi spesso vanno dall’apprendimento della lingua asituazioni familiari difficili; qui la scuola potrebbe giocare unruolo essenziale per aiutare i bambini stranieri a colmare ilgap che li separa dai loro compagni italiani; nel 1999 viene fi-nalmente emanata una legge sull’integrazione scolastica, cheprevede «l’inserimento dell’alunno, regolare o irregolare dalpunto di vista della documentazione, in qualunque momentodell’anno arrivi». La situazione reale è però spesso diversa:quando i ragazzi arrivano verso la fine dell’anno, o addiritturadopo gennaio, spesso hanno difficoltà a trovare una classeche li accolga. Il risultato è che statisticamente i ragazzi stra-

71

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 71

Page 73: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

nieri vengono bocciati più facilmente dei loro colleghi italia-ni, con una forbice che va dai 3 punti percentuali delle scuo-le elementari ai 12,5 nelle scuole superiori. La scuola, insom-ma, piuttosto che ridurre i gap, a volte li alimenta: «sono nu-merosi infatti gli alunni stranieri con difficoltà a proseguire glistudi dopo la terza media – conferma Graziella Favaro, con-sulente Indire (istituto nazionale di documentazione per l’in-novazione e la ricerca scientifica) –, con tassi elevati di ab-bandono dopo il primo anno, scivolamenti verso il basso, unaddensamento delle presenze nei percorsi di formazione bre-vi e meno esigenti: il 41,24 per cento dei ragazzi stranieri siorienta dopo la terza media verso l’istruzione professionale(gli italiani sono il 21,17)» (4 dicembre 2005, p. 9). Non è tut-to: «L’allarme sociale, le tensioni che accompagnano i discorsisul tema immigrazione si riflettono sulla scuola, condizionanole relazioni. Inoltre, data anche la scarsità di risorse, vi è oggiil rischio reale di creare classi e scuole “polarizzate”, istituticioè dove l’inserimento degli alunni stranieri è preponderan-te, mentre in altre scuole, a volte nella stessa zona, gli alunniimmigrati sono scarsi o quasi assenti». Il pericolo è quello diuna società che fa pagare le conseguenze delle proprie ingiu-stizie a coloro – bambini e ragazzi – che sono a un tempostesso i più deboli, ma anche le forze nuove che un giornocostruiranno il paese di domani.

Per fortuna spesso a dare una mano ci sono il volontariatoe il terzo settore: ne è un esempio il doposcuola organizzatoda una nostra vecchia conoscenza, l’associazione Unica Terra(11 dicembre 2005, p. 23 / “Cittadini News”). Una trentina diragazzi di origine straniera possono trovare un aiuto in piùper tenersi al passo nei programmi scolastici e per fare nuoveamicizie. Certo, il rischio è sempre quello: stranieri con glistranieri, creare dei ghetti, per quanto all’apparenza dorati:«nei [bambini] più grandi è possibile qualche volta scorgere,se si è attenti osservatori, espressioni di amarezza o tristezza,magari tipiche dell’età dell’adolescenza, ma in qualche casodovute anche alle prime dolorose esperienze di discrimina-zione o ingiustizia [...] specie se il colore della pelle manifestacon immediatezza la loro provenienza».

La scuola non è fatta solo di programmi e lezioni: ci sonoanche le relazioni, i giochi e le amicizie. Nel 2001 la Difesalancia il concorso “Incontri sulla carta”, rivolto alle scuole pa-

72

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 72

Page 74: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

dovane (4 marzo 2001, p. 29); il tema è quello dell’incontrocon lo straniero, «uno tra i tanti che da qualche tempo vivonoaccanto a noi, con le loro vicende, spesso travagliate. Vicen-de che hanno inizio in paesi remoti, oltrefrontiera, e che ora,per un tempo più o meno lungo, qualche volta per tutta la vi-ta, diventano storie vicine, “nostre” […] Storie «di casa”». All’i-niziativa aderiscono una trentina di scuole; quelle pubblicatealla fine saranno otto, nei mesi di marzo e aprile, in pagineintitolate a “Storie vicine e venute da lontano.” Attraverso gliocchi dei bambini i problemi acquistano semplicità e nettez-za; le classi fanno a gara nell’intervistare i loro componenti diorigine straniera oppure, in mancanza, gli amici o i vicini dicasa. Sappiamo così delle difficoltà nell’apprendere la linguae la cultura da parte cinesi, ma anche dei latinoamericani,che pure parlano lingue molto più simili all’italiano, ma chesentono profondamente nostalgia della loro terra. Per gli al-banesi e soprattutto per i romeni le cose sembrano più sem-plici, ma ecco che dopo un po’ la nostalgia riaffiora comun-que.

Ci sono le storie personali, che sono quelle più coinvol-genti; gli alunni della 2° B dell’Itc Calvi si interrogano adesempio sulla storia di Rizza, una loro ex compagna filippina.Rizza non si è mai integrata nella classe; i suoi familiari, geni-tori e fratelli, lavoravano tutto il giorno e non potevano aiu-tarla negli studi: dopo tre anni in Italia parlava a stento l’ita-liano. Nei ricordi dei suoi compagni la ragazza era piccola eaggraziata, ma non aveva amici. Un giorno Rizza inizia a ve-nire frequentemente in ritardo alle lezioni; i richiami degli in-segnanti e del preside, anche se gentili, non servono: i ritardidiventano periodi di assenza, sempre più lunghi; alla fine laragazzina lascia la scuola e va a lavorare. La classe la cerca acasa, ma non riesce a parlarle; alla fine tutti si interrogano:«quando è venuta le abbiamo fatto un applauso, ma poi cosaabbiamo fatto concretamente per lei? Abbiamo un sospetto:che il malessere, cioè il “non-stare-bene” di Rizza dipendessemolto dal non essere nata e cresciuta a Padova. E questo ciha fatto chiedere cosa ha fatto la nostra città per integrarladavvero? Cosa abbiamo fatto noi? […] Abbiamo sempre volu-to che Rizza “entrasse” nel nostro piccolo mondo della scuolae delle amicizie?».

73

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 73

Page 75: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Le nuove generazioni: italiani o stranieri?

P agina 7 del 13 novembre 2005: “Cittadinanza, sfida perle democrazie” di Monica Simeoni. Parigi – o meglio: lesue periferie, assieme a quelle delle maggiori città fran-

cesi – brucia. Da almeno due settimane la polizia è impegna-ta in una lotta senza quartiere con delle bande a base etnicache controllano le banlieues, i sobborghi degradati. A guidarela rivolta ci sono non tanto gli immigrati, quanto i loro figli ei nipoti, nati e cresciuti in Francia e con la cittadinanza fran-cese: si affaccia il problema delle seconde e terze generazio-ni. I figli degli immigrati crescono nella cultura ospite, maspesso le loro possibilità nella società sono drasticamente in-feriori rispetto ai loro compagni autoctoni, e questo può ge-nerare rabbia, desiderio di rivalsa. Pochi mesi sono passatidall’attentato di Londra, organizzato da persone di originepakistana, tutte nate però nel Regno Unito e provviste di cit-tadinanza britannica; le tensioni etniche sembrano infuriare intutta Europa: il sogno, l’incubo per alcuni, di una societàmulticulturale sembra segnare definitivamente il passo. Difronte all’immane problema dell’integrazione delle giovanigenerazioni tutti gli approcci sembrano ormai inadeguati: ilcomunitarismo inglese, che lascia le comunità straniere sepa-rate e non comunicanti con il resto della popolazione; l’assi-milazionismo francese, che invece propugna l’abbandonodell’identità di origine; infine l’approccio tedesco, che vedenegli stranieri essenzialmente gastarbeiter (lavoratori ospiti),manodopera, e che – salvo un’ultima riforma – prevede assaidifficilmente la concessione della cittadinanza. Persino negliStati Uniti, che fondano la loro stessa identità sul fatto di es-sere aperti a persone provenienti dalle culture più diverse,nel nome della libertà e dell’uguaglianza di opportunità pertutti, il disastro dell’uragano “Katrina” a New Orleans, popola-ta soprattutto da neri, rivela sacche di emarginazione profon-da e persistente.

Integrazione a tappe forzate dunque, comunitarismo o se-parazione? Di fronte a queste opzioni l’Italia preferisce nonscegliere: «il nostro paese non ha avuto chiaro prima cosa po-teva essere l’emigrazione, e non ha chiaro adesso cosa sial’immigrazione – dice in un’intervista Sergio Frigo, giornalistae saggista, direttore del mensile interculturale Cittadini dap-

74

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 74

Page 76: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

pertutto – Vi è un’assenza di elaborazione, di consapevolezza.L’Italia, dal punto di vista politico, sociale, economico, nonha mai chiarito quale debba essere il patto con i propri citta-dini immigrati» (la Difesa, 21 novembre 2004, p. 4). Rispettoall’immigrazione, vista essenzialmente come problema, la so-cietà italiana stessa è profondamente spaccata.

Perché però i problemi, piuttosto che con gli immigrati,spesso vengono alla luce con le seconde e le terze generazio-ni, come in Francia? «Alla concessione dei diritti civili e politi-ci non si è accompagnata una parità nelle opportunità politi-che e sociali – continua Frigo (15 gennaio 2006 p. 17 / “Citta-dini News”) – Quindi non c’è stata una vera integrazione,perché i diritti acquisiti sono solo formali. Il problema non èquindi né etnico né religioso, come qualcuno vorrebbe farecredere: è esclusivamente politico e sociale. Ovvero, le nuovegenerazioni non hanno avuto la possibilità di riscattarsi masono rimaste povere, e quindi sono diventate un problemasociale».

Il problema dell’integrazione è particolarmente complesso:lo stesso termine “seconde generazioni”, valido forse da unpunto di vista sociologico, non rende giustizia fino in fondoalla realtà di persone che spesso sono nate in Italia, parlanola nostra lingua, i nostri dialetti, tifano le nostre stesse squa-dre, e in molti casi non hanno nemmeno mai visitato i paesidi origine dei genitori. Gli stessi ragazzi nati in Italia da geni-tori stranieri non acquistano la cittadinanza con la nascita, marimangono stranieri per lo meno fino a 18 anni, quando di-venta possibile richiedere la cittadinanza italiana; quando lamaggior parte di loro frequenta l’ultima classe della scuolasuperiore e deve iniziare a pensare al proprio futuro, vieneloro sbattuta in faccia quella che è la realtà: non sono, per lomeno non sono ancora, dei cittadini come tutti gli altri e, ameno di non riuscire a prendere la cittadinanza italiana, nonpotranno votare, non possono iscriversi all’università se nonattraverso delle procedure particolari, devono chiedere unpermesso di soggiorno.

È una situazione grave quella di questi “stranieri nati inItalia”, che nel 2008 riguarda circa mezzo milione di minori;un problema destinato comunque ad aggravarsi se è veroche, dati alla mano, i bambini nati in Italia con cittadinanzastraniera sono ormai più del 10 per cento del totale, il 17 per

75

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 75

Page 77: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

cento in Veneto, addirittura un bambino su quattro a Trevisoo a Vicenza. Per loro nasce un’iniziativa: che ogni bambinonato in Italia sia italiano; si tratta di una battaglia portataavanti dalla comunità di Sant’Egidio (la Difesa ne dà notizianel numero del 16 maggio 2004, p. 5), alla quale un po’ asorpresa aderisce anche l’Anci del Veneto, l’associazione deisindaci, che il 7 ottobre 2006 approva con ampia maggioran-za una proposta in tal senso.

La Difesa dedica al tema un’ampia inchiesta (3 dicembre2006, pp. 4-5: “Minori stranieri nati in Italia: cittadini?”); ai pri-mi cittadini veneti l’attuale normativa sulla cittadinanza nonpiace: «nel caso di difficoltà in famiglia – spiega Vanni Men-gotto, ex sindaco di Este e presidente dell’Anci Veneto – adesempio separazioni, la legge italiana è senza strumenti: nonè applicabile a un “concittadino” straniero; non si può adesempio impedire al padre di portare con sé il figlio nella pa-tria di origine. La donna straniera, e i suoi figli, è quindi me-no tutelata di quella italiana [...] Vi sono molte situazioni spia-cevoli, anche banali, come l’impossibilità di partecipare allegite di classe all’estero se non si è accompagnati dal genito-re. Ma, senza entrare in questi aspetti, mi metto semplice-mente nei panni di un ragazzo, o una ragazza, nati qui ma fi-gli di stranieri. Sono italiani a tutti gli effetti: chi glielo va aspiegare, a 18 anni, che il paese in cui vivono da sempre liha rifiutati? Che conseguenze può avere, sulla persona e sullasua vita?».

Ma l’ingresso a pieno titolo nel consesso civile di personeche provengono da altre culture non può essere un pericoloper la società? «L’identità va legata alla situazione e alla cultu-ra attuale – risponde Franco Frazzarin, sindaco di Vigodarzere– va vista guardando al futuro, non con gli occhi puntati sullospecchietto retrovisore». Semmai gli stranieri vanno coinvoltidi più nella società e nelle sue tradizioni: «come comune ab-biamo deciso che inviteremo tutti gli stranieri che hanno ot-tenuto la cittadinanza negli ultimi dodici mesi, il 2 giugnoprossimo nella sede comunale, alla celebrazione della festadella repubblica, che è anche la festa della nostra costituzio-ne [...] [Questo perché] quando uno straniero diventa cittadi-no italiano, deve giurare proprio sulla costituzione e di fronteal sindaco».

76

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 76

Page 78: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Il caso via Anelli

S viluppatosi tra la fine degli anni ’90 e il 2007, quandotermina lo sgombero, il “caso” via Anelli è diventato coltempo – a livello nazionale e non solo – sinonimo di

cattiva integrazione, di insicurezza, dei pericoli insomma con-nessi all’immigrazione. Eppure lo spazio dedicato alla que-stione dalla Difesa del popolo, è interessante notarlo, è relati-vamente poco, soprattutto se confrontato con i fiumi d’in-chiostro versato dalla stampa locale e nazionale.

Certo, via Anelli appare sulle pagine della Difesa fin dallontano 6 maggio 1990 (p. 32), a proposito della celebrazio-ne, nella vicina parrocchia di San Pio X, della nona “giornatadella solidarietà diocesana”; nell’occasione si accenna per laprima volta al fatto che la zona registra già una forte presen-za di immigrati, soprattutto nigeriani e nordafricani. Via Anellisorge nei pressi di piazzale Stanga, in un territorio vicino allegrandi arterie viarie, ma che al tempo stesso è chiuso ai latida un grosso ipermercato e da un centro direzionale, chequasi lo isolano dal resto della città: quello che si rivelerà unluogo ideale per un ghetto. Qui sorge il complesso Serenissi-ma: sei palazzine costituite per lo più da miniappartamenti,destinati in origine a studenti e lavoratori; poco a poco – acausa anche delle speculazioni di alcuni – durante gli anni’90 gli edifici vengono abbandonati dagli italiani ai nuovi abi-tanti stranieri, disposti a pagare prezzi folli per dormire in sei,in otto o addirittura in dieci in appartamenti di pochi metriquadri. Col tempo la malavita approfitta della situazione didegrado e di illegalità diffusa e si infiltra nel complesso; lazona diventa il regno dello spaccio e della prostituzione, lapolizia non riesce a garantire l’ordine pubblico, gli italianiscappano: nasce il mito del Bronx di Padova.

Nella creazione del “caso” via Anelli un ruolo determinan-te è giocato dai mezzi di informazione, prima locali e poi an-che nazionali, che giorno dopo giorno rilanciano ogni noti-zia, contribuendo ad alimentare un clima di insicurezza. For-se anche per questo la Difesa, che fin dall’inzio cerca di af-frontare con equilibrio il tema dell’immigrazione, sceglie dioccuparsi relativamente poco di via Anelli; quando lo fa, nonè mai per rincorrere i quotidiani o le emittenti locali, bensìper proporre una storia, un approfondimento, un punto di vi-

77

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 77

Page 79: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

sta differente. Così accade ad esempio il 15 febbraio 2004 (p.17: “Io, ospite in via Anelli”), con un servizio che prendespunto dalla celebrazione del convegno dei Gim – Giovaniper l’impegno missionario, un movimento legato ai missionaricomboniani. I Gim, che contano un gruppo piuttosto nutritoa Padova, tra le loro attività hanno anche quella di visitare gliabitanti del complesso Serenissima: prima ancora che per aiu-tare vanno lì innanzitutto ad esserci. Incontrare l’altro, acco-gliere lo straniero per il cristiano può essere un’opportunitàper santificarsi: ne parla Diego Dalle Carbonare, 21 anni, dapoco postulante comboniano; «è stata una grande fatica vede-re i miei pregiudizi e cercare di staccarmi dai falsi atteggia-menti di confidenza – confessa Diego – come il dare forzosa-mente e sempre del “tu”: atteggiamenti che nascondono sol-tanto un senso di superiorità camuffato. E da ciò fermarsi,cercare di porsi in ascolto, fare silenzio, far parlare l’altro...».

Piuttosto che alle polemiche e ai fatti di cronaca, la Difesadedica particolare attenzione al percorso di riqualificazionedella zona. Via Anelli, al di là di della situazione concreta, coltempo sfugge di mano anche ai media e soprattutto alla poli-tica, che provano a cavalcare il senso di insicurezza dei citta-dini, e diventa un caso nazionale. Il piano di riqualificazioneparte nel 2004 con il progressivo sgombero di tutte le palazzi-ne; il progetto originario prevede l’acquisto in blocco da par-te dell’Ater di tutti i 276 appartamenti e la destinazione dell’a-rea all’edilizia popolare. Il nodo principale dell’operazione, atutt’oggi irrisolto, è quello della proprietà degli appartamenti;l’Ater e il comune vorrebbero acquistarli a quello che ritengo-no essere il prezzo di mercato, nel 2004 quantificato in 23 mi-la euro. In alternativa, come strumento di pressione, si pa-venta l’esproprio per pubblica utilità: «oggi possedere un ap-partamento in una di quelle sei palazzine, stante l’attuale si-tuazione di degrado e di mancanza di controlli, equivale allaclassica gallina dalle uova d’oro – dichiara Andrea Drago,presidente dell’Ater – Quei tempi sono finiti. Chi pensava dicontinuare a guadagnare all’infinito sulla disperazione di one-sti lavoratori stranieri alle prese con il problema della casa, èbene che comprenda che la pacchia sta per finire» (2 maggio2004, p. 17). Successivamente si parlerà anche di abbattimen-to e di ricostruzione, ma allora subentra tutto il problema diun progetto che guardi al futuro della città in quella zona. In-

78

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 78

Page 80: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

tanto i proprietari non vogliono essere colpevolizzati, né es-sere sottoposti a pressioni; a tutt’oggi, mentre nell’estate del2007 è terminato lo sgombero e tutti gli appartamenti sono si-gillati, non è chiaro che fine farà esattamente quest’area dellacittà. Intanto che fine fanno gli ex inquilini? Per quelli che ri-siedono legalmente in Italia vengono provvisoriamente messea disposizione delle case popolari; agli altri, in particolareagli immigrati irregolari, non rimane che cercare un’altra si-stemazione.

La chiusura delle palazzine, a intervalli di qualche mesel’una dall’altra, va avanti per quasi tre anni; intanto intorno alcomplesso viene elevata una barriera, alta circa tre metri: sitratta del “muro di Padova”, un nuovo simbolo del degradodella zona. La notizia catalizza se possibile ancora di più l’at-tenzione dei media: piombano troupe televisive da tutta Eu-ropa, perfino dal Giappone; nel novembre 2006 il program-ma “Anno zero” trasmette un lungo servizio proprio su Pado-va, e il muro diventa il simbolo di una città ricca ma intolle-rante, gretta e inospitale, dove si pensa solo agli “schei”. I let-tori della Difesa però si ribellano e tempestano di lettere disdegno la redazione (19 novembre 2006, p. 39); scrive adesempio mons. Giovanni Nervo: «Giovedì sera, dopo la tra-smissione [...] una persona che non conosce la città del Santoha telefonato molto preoccupata da una città lontana a unamico di Padova. Pensava di iscrivere sua figlia all’universitàdi Padova, ma, dopo il programma di Santoro, temeva dimandare la figlia allo sbaraglio». Altre lettere hanno toni fu-renti: «Come padovano non ci sto. Padova come un grandeBronx in mano ai narcotrafficanti, una città senza speranza, ipadovani gretti, chiusi, provinciali, la Chiesa padovana inca-pace di comprendere e accettare la sfida della multicultura-lità, la politica, le istituzioni e le forze sociali apatiche e sottoscacco?». Altri ancora: «Dopo la trasmissione “Anno zero” suPadova, sentiamo indignazione e sofferenza. Non ci ricono-sciamo in una città in cui le persone – secondo un’intervistaanonima – sono provinciali, ignoranti perché non leggono enon viaggiano, preoccupate solo dei soldi». La Difesa, chepure spesso ha preso le parti degli immigrati, riflette così an-che lo stato d’animo di una città che non vuole passare esclu-sivamente per razzista e inospitale. Stupiscono e indignano ilettori soprattutto le critiche contro la diocesi, da sempre in

79

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 79

Page 81: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

prima fila a fianco dei poveri e degli immigrati, che sembranoricalcate sulle posizioni di alcuni gruppi dell’estrema sinistra.

Storie di migranti

D are ancora una volta la parola alle persone, ascoltare leloro storie, è forse il modo migliore di chiudere questopiccolo viaggio in quasi quarant’anni di immigrazione a

Padova. In fondo in tutti questi anni la Difesa del popolo, piùche addentrarsi in analisi e assumere posizioni politiche, hacercato di fare proprio questo: ascoltare le persone, riportarele loro esperienze. In questo il settimanale padovano è statocoerente con la posizione della Chiesa italiana, che non hamai affrontato la questione dell’immigrazione da un punto divista ideologico, ma ha sempre richiamato l’attenzione sullepersone immigrate: una posizione non priva di rischi, ma chespesso anzi ha esposto la Chiesa al fuoco incrociato di chi dauna parte le rimproverava di essere troppo morbida con gliimmigrati, e di chi dall’altra la accusava di essere troppo tie-pida nel difenderne i diritti “senza se e senza ma”.

Tony viene dal Sudan, ed è arrivato in Italia su un barco-ne. Scappava dal suo paese a causa della guerra e della per-secuzione alla quale vengono sottoposti i cristiani (27 luglio2003, pp. 2-3). La sua storia merita di essere raccontata con lesue parole: si inizia con lo sbarco a Lampedusa, seguito dallapermanenza in un centro di raccolta; dopo tre settimane glidanno «265 euro, qualche indirizzo tra i quali quello della Ca-ritas di Padova e il consiglio di partire per lasciare posto ainuovi arrivi». Alla fine Tony si ritrova in via Anelli: «Per voipadovani […] può sembrare un problema. Per me è significa-to solidarietà e una parziale soluzione ai miei problemi. Cosìho avuto un letto, un pasto al giorno offertomi dalle cucinepopolari e un lavoro illegale che voi chiamate “vucumprà”. Isoldi li ho spesi subito quasi tutti per una falsa dichiarazionedi ospitalità necessaria in questura per rinnovare il permessodi soggiorno». Il racconto di Tony prosegue ricordando anchemolte umiliazioni subite. L’ultima in un comando dei vigili inun piccolo comune del Bolognese: «mi interrogano in italia-no. Non capisco niente, rispondo in inglese, cerco di spiega-re che non ho alternative, non capiscono. Mi requisiscono il

80

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 80

Page 82: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

borsone: per me è un nuovo debito. Mi lasciano andare macon una multa di 5 mila euro per aver esercitato il commerciosenza regolare autorizzazione. Mi viene proposto un nuovolavoro, stranamente ben remunerato. Consegna di… un “cer-to” materiale. “No, la droga no!” mi dico. “Piuttosto la fame”».

Oumar Syll, senegalese, laureato in marketing nel suo pae-se, è venuto in Italia da “regolare” (ivi). il suo sogno è quellodi raccogliere i soldi necessari per avviare un’impresa nel suopaese: «da sempre – confida – ho il desiderio di creare qual-cosa di “mio”». In Italia è venuto perché qui vivevano già duesuoi fratelli. Syll lavora duramente, per mantenersi e per man-dare soldi alla famiglia – ha 32 anni ed è anche sposato. Do-po qualche co.co.co, finalmente il senegalese riesce a metter-si in proprio, aprendo una società di consulenza. Il sognoperò è di creare al più presto una filiale nel suo paese per-ché, come dice Syll all’intervistatore, «non troverà un senega-lese che dica che vuole rimanere in Italia».

Zhu Ri Duo, detto Mauro, vive a Bagnoli di Sopra con lamoglie e un fratello; insieme lavorano in una ditta di abbi-gliamento che fornisce lavoro a domicilio (22 febbraio 2004).In Cina di lavoro ce n’era, ma Zhu ha comunque deciso divenire in Europa perché lì i salari erano ancora troppo bassi:pensava magari di poter mettere da parte, con qualche annodi lavoro duro, un po’ di capitale per un’attività in proprio...A volte però le cose non vanno come immaginiamo: «ho per-corso lo stivale da Taranto a Brescia [...] scegliendo infine distabilirmi in Veneto. Ho visto bei posti e ho constatato agiatistili di vita, ma di lavoro, il mio principale obiettivo, non c’èpoi così grande abbondanza e stabilità. Finora sono stato as-sunto in ristoranti e stirerie, d’estate ho fatto anche il vendito-re ambulante in spiaggia». Intanto l’economia italiana è in unafase di ristagno – complice proprio la concorrenza della Cina– e le commesse dall’azienda diminuiscono; il costo della vitaè altissimo. Rimangono la nostalgia e quel po’ di rimpianto dichi non ce l’ha fatta: la Cina è un paese «davvero meraviglio-so e immenso, l’ho percorso tutto durante un viaggio, primadi lasciarlo. Poi laggiù ho ancora mia madre. Ci tornerò dopoaver fatto un po’ di fortuna, a 50 o 60 anni [...] Ora, anche vo-lendo, non avrei i soldi per il viaggio e poi l’Italia ormai è ilpaese del piccolo Simone, che crescerà, studierà e vivrà qui».

Sun Jun, sempre cinese, è un campione di tennistavolo e

81

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 81

Page 83: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

vive a Este. Particolarmente interessante la sua descrizionedel sistema di educazione e di selezione nel suo paese (22febbraio 2004): «in Cina, di un bambino di sei anni lo stato sagià quanto alto sarà a diciotto. E se la statura è dentro certetabelle, quel bambino farà, di mestiere, il giocatore di palla-canestro. A otto anni entrerà in un college statale, frequenteràla scuola interna e lavorerà in palestra da quattro a sei ore algiorno per sette giorni la settimana, in continua competizionecon qualche centinaio di suoi coetanei che cercherà, per tuttala vita, di superare. Da adulto riceverà uno stipendio in lineacon le sue capacità. E a fine carriera una pensione. Che il ba-sket gli piaccia o no, è un problema che la nostra organizza-zione statale non si pone». Ma allora, perché i cinesi vengonoin Italia? «Qui da voi si vive nettamente meglio, il clima è mitee le possibilità di crearsi un’indipendenza economica nume-rose. E poi, qui, non c’è un regime comunista».

Una testimonianza che colpisce è quella di Roland e IreneMinka, cittadini camerunensi che vivono nel Padovano da di-versi anni. Entrambi lavorano, hanno ottimi studi: Roland èanche delegato sindacale nella fabbrica dove lavora, mentreIrene è mediatrice culturale; insieme conducono una trasmis-sione su una radio locale che racconta la vita e le storie deicittadini immigrati. Così a prima vista Roland e Irene sembra-no dei modelli di integrazione, eppure: «dopo sette anni tra-scorsi in Italia noi non possiamo dire di essere integrati – di-cono –. Malgrado tutto ciò che facciamo, infatti, ci sentiamosempre rifiutati dalla società, che continua a considerarci co-me cittadini di serie C (manodopera, “bingo bongo”, i senzadiritti, i clandestini, i disperati)» (28 novembre 2004, p. 4).

Alejandro e Paola Adaglio vengono da Rosario, Argentina(8 agosto 2004, pp. 2-3: “A volte ritornano. Immigrati di ieri edi oggi”). Alejandro ha il passaporto italiano, e per loro tuttoè andato abbastanza bene: in Argentina non c’erano prospet-tive, qui hanno già comprato casa, hanno un lavoro, amici.Eppure, dice ancora Paola, «se potessi, tornerei!».

82

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 82

Page 84: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Postfazione

Un ricordo e qualche riflessione per accompagnare il lavo-ro di Daniele Mont d’Arpizio.

Il ricordo risale alla fine del 1987: erano gli anni in cuimolti stranieri, soprattutto nordafricani, iniziavano ad afflui-re in Italia e in Veneto in particolare. Ad attrarli c’era lagrande domanda di forza lavoro, alimentata dal nuovo “mi-racolo” del Nordest; trovare casa però era per loro quasi im-possibile. Di questo problema mi parlò un giorno Mattia, ungiovane obiettore in servizio presso la Caritas di Vicenza:«Possono venire a casa mia» scherzai, «vivo da solo». Non l’a-vessi mai detto. Due mesi dopo, una domenica pomeriggio,sento suonare alla porta e mi trovo davanti due persone condei borsoni. «Mi dispiace, non mi serve niente» dico io; «No no– risponde uno di loro – Mattia ci ha detto che stanotte possia-mo dormire qui». Nuredin e Mohamed restarono a casa miaper un anno e fu in questo modo, piuttosto casuale, che entraia contatto con le storie e i problemi delle persone immigrate.Probabilmente quella domenica di fine 1987 non me ne ren-devo conto, ma quell’incontro avrebbe determinato in manie-ra definitiva tutta la mia vita successiva: nel 1989 fu costitui-ta l’associazione Unica Terra, con l’obiettivo di offrire un ap-poggio morale e materiale agli stranieri, nel 1993 e poi nel1997 fu la volta delle cooperative Nuovo Villaggio e CittàSo.La.Re, nate rispettivamente per trovare delle soluzioni allerichieste di case e di lavoro; infine nel 2001 nacque la fonda-zione La Casa e nel 2003 il consorzio Villaggio Solidale.

In questi anni l’entità del fenomeno immigrazione è cam-biata straordinariamente. Già alla fine degli anni ’80 tuttinoi operatori del sociale percepimmo che l’immigrazione nonera un fatto temporaneo, ma un fenomeno complesso, cre-scente e sostanzialmente irreversibile; nessuno però si aspetta-

83

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 83

Page 85: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

va una tale crescita in così pochi anni. All’inizio degli anni’90 potevo dire di conoscere personalmente quasi tutti gli im-migrati della città; adesso solo gli stranieri regolari residentiin provincia sono quasi 70 mila, e ormai si avvicinano al 10cento della popolazione.

In questi anni abbiamo assistito a una grande mutazionedella nostra società: forse la più grande, paragonabile solo al-l’impatto che può avere avuto internet, per fare un esempio.Una sfida epocale, rispetto alla quale però, purtroppo, forsenon ci siamo sempre dimostrati all’altezza. Fin dall’inizio larisposta delle istituzioni – lo si comprende bene dal libro – èstata improntata all’improvvisazione, a una pressoché totalemancanza di risorse e, soprattutto, di strategie. Non posso di-menticare come tra il 1997 e il 1998 la “piccola” cooperativaNuovo Villaggio investisse nell’accoglienza agli immigrati piùdi quanto non facesse il bilancio della regione Veneto. A que-sta sostanziale mancanza hanno supplito le associazioni, lefamiglie e, soprattutto, il grande spirito di umanità e di acco-glienza della gente italiana e veneta in particolare. Se però ol-tre a questo ci fossero state delle serie politiche di integrazio-ne, la situazione non avrebbe forse potuto essere diversa, mi-gliore? Non lo sapremo mai.

Una seconda riflessione riguarda la natura delle nostrecittà, che in questi anni abbiamo visto diventare sempre piùcrude, difficili, diffidenti, e poi anche più ciniche, meno cu-riose, meno umane. Anche Padova e il Veneto non sfuggonoalla tendenza delle società moderne, che è quella dell’atomiz-zazione, dell’isolamento e, in ultima istanza, della solitudine.Trovo che l’immigrazione a questo riguardo non sia altro cheuna cartina di tornasole, l’indicatore dei difetti e dei pregidella nostra collettività, non una causa: non ha fatto – e nonfa – altro che mettere in evidenza le problematiche fonda-mentali di una società, per usare le parole del sociologo Zyg-munt Bauman, sempre più “liquida”, dominata dalla frene-sia del consumo e dello sperpero, cui però fa da contraltare laperdita della sicurezza legata all’identità e ai legami familia-ri. Di questa nuova società, popolata da individui sempre piùisolati, gli immigrati sono stati solo i primi a fare le spese: oggiperò tocca anche a tanti autoctoni, anche loro sempre più po-veri di mezzi, di legami sociali, di affetti. E infatti oggi sonomolti gli italiani che si rivolgono al mondo del non profit per

84

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 84

Page 86: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

ricevere aiuto e assistenza: le certezze di benessere della no-stra società si sono sgretolate anche per loro.

Oggi il mondo sta affrontando una crisi, non solo econo-mica, che forse è senza precedenti, e a farne ancora una vol-ta le spese pare debbano essere ancora una volta i poveri e gliultimi. Quanto è stato costruito in questi anni nel settore pri-vato sociale rischia di essere spazzato via, in un’agenda cheparla solo di sostegno alle imprese profit e, tutt’al più, ai red-diti. Eppure, se c’è un insegnamento che possiamo trarre daitempi che stiamo vivendo, l’epoca di sviluppo inconsapevoledei costi umani, sociali e naturali deve considerarsi finita. Laglobalizzazione in questi anni ha permesso una crescita eco-nomica straordinaria, con benefici limitati però a un numeroesiguo di persone: in questo senso l’immigrazione non ha fat-to altro che portarci di fronte chi stava pagando il costo diquesto sviluppo. Oggi siamo di fronte a una scelta drammati-ca: difendere i nostri beni o tentare di aprirci alla condivisio-ne. Personalmente sono sempre più convinto che la scelta del-la mera difesa dei propri privilegi sia insostenibile, oltre chesu un piano etico, anche su quello pratico. Nonostante tuttocontinuo a sperare in una società più aperta alla condivisio-ne, meno ingiusta, meno militarizzata: è questa la società chespero per i miei figli, quella in cui credo vivrebbero meglio.

Anche se non sono un giornalista o un esperto di comuni-cazione, mi permetto di chiudere con un’osservazione sullaforma: trovo che in questi anni la Difesa del popolo si è acco-stata al tema dell’immigrazione con un’attenzione alle perso-ne, un’umanità, uno “stile” inconfondibili, che colpiscono so-prattutto nel raffronto con molti altri mezzi di comunicazio-ne, locali e nazionali. Un’attenzione e un’opera preziosa, chesiamo sicuri continueranno anche negli anni a venire.

Maurizio Trabuio

85

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 85

Page 87: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Indice

PREFAZIONE pag. 3

AL LETTORE pag. 6

CAPITOLO PRIMO

La preistoria dell’immigrazione (1970-1990)Gli inizi: studenti ed esuli pag. 7

I primi problemi pag. 11

I preti neri pag. 12

Il papa venuto da lontano pag. 15

L’immigrazione negli anni ’80 pag. 17

I “boat people” pag. 20

L’integrazione e il razzismo pag. 24

CAPITOLO SECONDO

Come divenimmo “Lamerica” (1990-2000)L’immigrazione negli anni ’90 pag. 27

L’emergenza casa e le parrocchie pag. 30

L’operazione roulottes dell’inverno 1990-’91 pag. 33

Il disagio e le risposte:le istituzioni e le associazioni pag. 35

Quando lo Stato dice:“arrangiati” pag. 37

86

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 86

Page 88: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

Parlano gli immigrati pag. 39

La Chiesa di fronte all’immigrazione pag. 42

Le parrocchie “straniere” pag. 43

Gli stranieri e la sicurezza pag. 46

CAPITOLO TERZO

I nuovi italiani (2000-2007)L’immigrazione nel 2000 pag. 50

I “flussi” e le sanatorie: l’accoglienza all’italiana pag. 52

La politica locale pag. 55

Il rapporto con l’Islam pag. 59

Moschee nella città del Santo pag. 62

Immigrati e lavoro, i rapporti economici pag. 64

Le badanti pag. 67

La scuola pag. 70

Le nuove generazioni: italiani o stranieri? pag. 74

Il caso Via Anelli pag. 77

Storie di migranti pag. 80

POSTFAZIONE pag. 83

INDICE pag. 86

87

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 87

Page 89: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

COLLANA “CENTO ANNI CENTO PAGINE”

Titoli pubblicati

n. 1 Ghirigori. Racconti e ricordi nel segno della Dife-sa scritti dai collaboratori del settimanale

n. 2 Cogito ergo bum. Vignettario dell’ultimo quarto disecolo. Le vignette di Gigi & Checco dalle paginedella Difesa 1979-2008

n. 3 La pazzia del ballo. L’esperienza visiva, etica edestetica del ballo in cent’anni della Difesa del po-polo di Sergio Giorato

n. 4 Don Alfredo, un maestro. Testi scelti in memoriadi mons. Alfredo Contran a un anno dalla morte

n. 5 Un allarme al giorno: è la stampa, bellezza! Sicu-rezza, territorio, informazione. Atti del convegnonazionale Fisc a Padova, 10-12 aprile 2008

n. 6 Il colore dei fratelli. Quarant’anni di immigrazio-ne nelle pagine della Difesa del popolo di DanieleMont d’Arpizio

MONTD’ARPIZIO 9-04-2009 17:43 Pagina 88

Page 90: Il colore dei fratelli. Quarant'anni di immigrazione nelle pagine della Difesa del popolo

cent’anni di buoni frutti

Il colore dei fratelli – titolo desunto da una pagina del 1989 –

si presenta non come uno studio sull’immigrazione, ma come

una lettura del modo in cui la Difesa del popolo, settimanale

diocesano di Padova, ha trattato dell’immigrazione, dal suo

sorgere negli anni Ottanta fino al suo ultimo tumultuoso sviluppo.

Si è dunque cercato di limitare i riferimenti a leggi, normative

e numeri ai casi in cui erano effettivamente utili a illustrare i

fatti raccontati, preferendo piuttosto dare spazio a storie personali

e testimonianze dirette, in linea anche con la sensibilità della

Difesa, che «si è sempre accostata al tema dell’immigrazione

con un’attenzione alle persone, un’umanità, uno “stile”

inconfondibili».

Il lavoro si sviluppa lungo l’arco di quasi quattro decenni, dal

1970 all’inizio del 2008, cogliendo le modalità secondo cui, in

ogni periodo, le pagine del settimanale hanno affrontato e

interpretato questioni divenute sempre più coinvolgenti.

Con la ricerca di Daniele Mont d’Arpizio si conferma che anche

la strada percorsa dalla Difesa del popolo – e dal mondo cattolico

padovano – può ben rientrare in una più ampia e inclusiva storia

dell’immigrazione nel nostro territorio.

DANIELE MONT D’ARPIZIO

Il coloredei fratelli

Quarant’anni di immigrazionenelle pagine della Difesa del popolo

centopagine 6

€ 6,00

MONT cop copia 9-04-2009 17:36 Pagina 2