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IL CLUB n. 105 – pag. 2

IL CLUB

Anno XVIII n. 105 (marzo/aprile 2010)

Bimestrale di informazione per i soci del Club Plein Air BdS Pubblicazione periodica a circolazione interna

inviata anche ad altre associazioni di campeggio e alla stampa

Responsabile editoriale

Maurizio Karra

Redazione

Mimma Ferrante, Giangiacomo Sideli e Alfio Triolo

Hanno collaborato a questo numero

Ninni Fiorentino, Luigi Fiscella, Ennio La Malfa, Enza Messina, Nino Neri, Anna Pulci, Luciano Ravenni e Mimmo Romano

In questo numero

Editoriale pag. 3

Vita del Club Ancora un ricordo del tour in Sicilia di fine anno 4 Tra sacro e profano 5 Una passeggiata per Palermo 11 Tra birilli e danze esotiche 16 Un week-end all’insegna del relax 19 Una scoperta inaspettata 21 Le nostre bambine 25

Tecnica e Mercato Camper service: chi l’ha visto? 26 Bivani su ruote 27 Con un prezzo così... 30

Viaggi e Turismo Di piazza in piazza 32 In Basilicata sulle orme di Federico II 39

Terra di Sicilia Canicattini Bagni e il liberty 44 Ragalna e i suoi tesori 47 Proverbi siciliani 48 I petardi vegetali 48

Rubriche Terza pagina 49 Il mio camper 52 Musica in camper 54 Riflessioni 55 Cucina in camper 55 Internet, che passione 56 News, notizie in breve 59 L’ultima parola 64

In copertina Catania in festa – foto di Maurizio Karra

Questo numero è anche on-line sul nostro sito Internet www.pleinairbds.it

Associazione dei camperisti e degli amanti del plein air del

Rapporti associativi con

Sede sociale

Via Rosolino Pilo n.33 90139 Palermo

Tel 091.608.5152 Fax 091.608.5517

Internet: www.pleinairbds.it E-mail: [email protected]

Comitato di Coordinamento

Maurizio Karra (Presidente); Giangiacomo Sideli (Vice Pre-sidente); Pippo Campo, Mas-similiano Magno, Luigi Pasto-relli, Giovanni Pitré ed Elio Rea (Consiglieri); Emanuele Amenta, Rossella Costanza Romano, Mimma Ferrante, Pietro Messina, Marcello Od-do, Vittorio Parrino e Alfio

Triolo (Collaboratori)

Collegio sindacale

Luigi Fiscella (Presidente); Sergio Campagna e Adele Crivello (Componenti)

Collegio dei Probiviri

Rino Tortorici (Presidente); Giuseppe Carollo e Pietro Inzerillo (Componenti)

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IL CLUB n. 105 – pag. 3

Editoriale

n queste ultime settimane

mi sono chiesto più volte quale sia il legame (e/o il sentimento) che ci lega realmente all’interno del nostro Club; e mi sono reso conto che non si tratta di qualcosa di omogeneo e che, se in-terrogati sull’argomento, ciascuno for-nirà risposte non per forza uguali a quelle degli altri. In ogni caso non so-lo non è facile anche per me definire questo legame, anche perché penso che in realtà si tratti un po’ per tutti di una congerie di sentimenti e di aspet-tative, che varia da persona a perso-na, per tutta una serie di motivi che vanno dal carattere di ciascuno alle ragioni stesse che razionalmente ed emotivamente ci hanno spinto e ci spingono a far parte, da tanti anni o da poco tempo, di un Club come il nostro.

Io credo che alla base di tut-to, e quindi della nostra scelta di creare un’associazione e di espander-la, al di là del mezzo (il camper) che è servito da collante, ci sia stato un po’ in tutti il desiderio di far parte di un sodalizio che agevolasse le occasioni di stare insieme e consentisse di ef-fettuare in gruppo - e magari a un costo inferiore - escursioni, gite e viaggi che altrimenti da soli non a-vremmo fatto, o per mancanza di stimoli, o per vere o presunte difficol-tà o semplicemente per abulia (in sici-liano la chiamiamo lagnusia). Quanti, per esempio, sarebbero partiti da soli in un fine settimana magari sotto la pioggia per visitare un paese che si pensava inconcludente e “sfigato” che poi invece si è rivelato una bellissima meta anche se ci siamo bagnati come pulcini? E invece è successo, tante volte; e siamo tornati a casa pure en-tusiasti di quella gita.

Da questa prima esigenza di socialità sono comunque emersi - e sono stati nel tempo alimentati - due diversi atteggiamenti: il primo è quel legame (diciamo pure di amicizia) che

ha consentito a tanti di noi di unirsi fra loro anche dal punto di vista per-sonale e di stringere rapporti che so-no andati anche al di là delle uscite in camper (questo dipende anche dalla frequenza con cui ci si vede, ma la cosa non è di per sé determinante); dall’altro ha affinato le logiche del club come di un “service” al quale i soci possono richiedere al momento op-portuno informazioni e possono attin-gere benefici e agevolazioni, di cui magari adesso, col senno di poi, non riescono a fare a meno. E’ altrettanto ovvio che questi due elementi, fra cui se ne possono collocare anche tanti altri, sono in un certo senso l’alfa e l’omega del perché stiamo insieme ormai da 18 anni nel nostro Club. Co-sì come è altrettanto ovvio che cia-scun socio è portato a darei spazio a tali elementi a seconda della sua chiave di lettura di cosa è il Club (un gruppo di amici piuttosto che una se-rie di opportunità) e della sua volontà di partecipare poco o molto alle varie attività sociali che, con il loro concre-tizzarsi anno dopo anno, danno senso a quella che altrimenti rimarrebbe so-lo un’utopia.

Intendiamoci, sono il primo a essere “opportunista”: anch’io sfrutto le banche dati del Club (ma quanti sono i soci che hanno lavorato ad es-se?), le convenzioni del Club (anche qui quanti le hanno promosse?), le uscite del Club (ma chi è e quanti so-no a organizzarle?), la capacità del Club a farsi aprire le porte di beni cul-turali e naturalistici che altrimenti da singoli ci sarebbero precluse (ma quanti sono gli artefici?). Ma, perso-nalmente, mi piace anche dare agli altri e appartengo comunque a quella parte di umanità che crede ferma-mente nelle relazioni umane e nell’amicizia, nel suo valore e nel suo stimolo, come motore del mondo, preferendola all’antagonismo e alla competizione così come all’indiffe-renza o all’invidia (sono uno sciocco, ditemelo!). Appartengo a quella parte di umanità che trova ancora stimolan-te impegnarsi nel sociale gratuita-mente e senza secondi fini, anziché riposarsi o pensare solo a se stessi e alla propria famiglia (ancora più scioc-co!); e faccio gruppo insieme a non troppi altri sciocchi che le cose che fanno non le fanno per altri fini (tor-naconto personale, guadagni più o meno occulti) ma perché hanno il pia-cere di condividerle con gli altri (allora sono di sicuro “scientificamente” sciocco!). Ma, ecco il problema: sono l’unico sciocco al nostro interno? Cre-do di no. Penso a chi ha dato tanto al nostro Club negli anni senza mai chiedere nulla in cambio (proprio per citarne qualcuno, Giangiacomo, Mim-

ma, Alfio, Pippo, Vittorio, Luigi, ma potrei continuare...). Alla fine, siamo tutti sciocchi? Io credo semplicemente che siamo persone “per bene” e che crediamo fermamente nell’amicizia come a un valore assoluto. Ma cos’è l’amicizia per davve-ro? Voglio cogliere questa occasione per fare insieme a voi tutti una rifles-sione sull’amicizia, che è l’altra parte del legame che, secondo me, ci deve comunque sempre unire. Ognuno la può definire come vuole; e forse non c’è neanche una definizione univoca: basta navigare un po’ su Internet per rendersene conto e per farsi una “cul-tura” in materia, leggendo massime, pensieri, scritti e proverbi scritti da famosi pensatori e filosofi di ogni epo-ca così come da internauti comuni e spesso anonimi. Ebbene, voglio pro-porvi alcune frasi estrapolate proprio dalla rete sul tema dell’amicizia. La vita è fatta di legami e sentimenti: fra i più importanti e i più forti abbiamo l’amicizia. Essa è qualco-sa di spirituale, che non ha niente di materiale, perché animata da senti-menti come la sincerità e l’amore, quell’amore che non vuole niente in cambio. Purtroppo di vere amicizie ce ne sono poche. Infatti, molte volte, sotto un “amico” si cela un approfitta-tore che si serve di questo legame per arrivare ai suoi scopi. Invece i valori basilari dell’amicizia sono la fiducia e l’onestà. Ed è per questo che l’amicizia è uno dei beni più preziosi che la vita ci offre. Non c’è deserto peggiore di una vita senza di essa. L’amicizia moltiplica le gioie e ripartisce i dolori.

E’ bellissimo sapere che vicino a te c’è una persona su cui poter con-tare, che ti ascolta, ti consiglia, sbaglia con te e rischia per te. Un vero amico non è colui che ti asciuga le lacrime, ma colui che non te le fa mai versare. Il vero amico è colui che ti dice sempre la verità, che corregge i tuoi difetti, ma nello stesso tempo apprezza i tuoi pregi. L’amicizia vera, autentica, è la forza del bene per eccellenza. E’ l’arma universale per distruggere l’aridità de-gli animi e far rifiorire i prati nei cuori bruciati dall’odio. L’amicizia è il filo conduttore della nostra vita che, sen-za di essa, rischierebbe di essere vuo-ta e incolore. L’amicizia è una cosa fondamentale della vita, che ti rende consapevole che è assurdo pretende-re di ricevere dagli altri se non ti im-pegni a dare tutto quanto ti è possibi-le per coloro che ti stanno accanto. L’amicizia è tendere la mano verso l’altro. E’ il cominciare con gli occhi quello che non si può esprimere solo con le parole. La vera amicizia non chiede, ma offre.

Maurizio Karra

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Ancora un ricordo del tour in Sicilia di fine anno

Dopo 36 anni in Sicilia

opo 36 anni ritorno

in Sicilia. Sì, perché la preceden-te (e prima) volta è stata nel 1973 in viaggio di nozze. Sono state due emozioni diverse l’una dall’altra. La prima si comprende, c’era la novità e la voglia di sco-prire terre lontane, data la gio-vane età e la circostanza partico-lare.

Riflessioni Questa voglia con il tempo

è maturata, viaggiando prima con l’auto e la tenda, poi con un picco-lo furgone attrezzato e infine con il camper. E, dopo aver viaggiato per mezza Europa, perché non ritorna-re in Sicilia?

Il desiderio è venuto tante volte, ma, quando poter andare? il periodo per me possibile è agosto, in coincidenza con le mie ferie e-stive. Allora, cosa è stato determi-nante nel decidere di tornare in Si-cilia?

Spinta Innanzitutto, la comunica-

zione arrivata da Libero Cesari, relativa ad un “Tour della Sicilia”, organizzato dalla Federazione AC-TItalia, da un suo consigliere che è anche presidente di un Club di camperisti siciliano.

Leggendo il programma mi sono resa conto della completezza dello stesso, dell’irrisoria spesa da sostenere in relazione a quanto riportato nel programma. Pertan-to, considerando i pochi giorni di ferie che potevo allacciare ai gior-ni festivi, si concretizza la decisio-ne. Coinvolgendo, con il mio entu-siasmo, marito ed amici.

Tour Adesso veniamo al tour.

Non voglio certamente elencare le cose viste e fatte, che sono state notevoli e, ognuna per il suo a-spetto, bellissime; voglio menzio-nare però il cenone di capodanno, che mi ha fatto sognare per una sera, grazie al posto incantevole dove si è svolto; così come ricordo la squisita cena a Ortigia. Le per-sone conosciute, però, voglio cer-tamente elencarle.

Incontri Voglio precisare e premet-

tere che non è mia abitudine fare lusinghe. Inizio da Maurizio Karra, persona scrupolosa, disponibile e culturalmente preparata; lo dice il programma elaborato. Stesse considerazioni per la moglie Mim-ma, fondamentale nella realizza-zione di tutto.

Aggiungo la coppia Pa-squale Zaffina e Camillo Musso, presidente e segretario generale della Federazione ACTItalia, per-sone preziose che hanno svolto il loro compito egregiamente. La prima coppia trainava la carova-na, la seconda la chiudeva.

Non posso poi non citare tutte quelle persone che si sono rese disponibili nei trasferimenti, nelle visite ai centri storici, dove non c’era il supporto della guida ufficiale: Alfio Triolo a Siracusa, Nino Ignoti e i suoi amici dell’Air Camp Sicilia Occidentale a Trapani e Marsala.

Rammento anche le sorel-le Amico e le coppie Amato e Bo-nura che si sono unite al nostro tour e, con le loro conoscenze si-ciliane, hanno soddisfatto le mie curiosità.

Ritorno Ciò che ho riportato a casa

non sono stati solamente i vini, i dolci, gli agrumi ecc.., ma il calore di queste persone, il rispetto che hanno della propria terra.

Il messaggio che ho rece-pito è quello di trasmettere, da persona che viaggia, l’invito ad andare in Sicilia, per vedere con i propri occhi tutte le bellezze che offre.

Propositi Io ci tornerò, anche per-

ché ho tanto ancora da vedere di questa terra che proprio lontana non è. Non solo chilometricamen-te parlando.

Un caro saluto.

Anna e Luciano (da Firenze)

D

E a proposito dell’articolo dello scorso numero...

Caro Maurizio, Bellissimo articolo, complimenti a tua moglie! Soprattutto per essere riuscita a rendere tutte le emozioni di uno splendido viaggio.

Nui alter chi de Milan stem ben, ma fa fredd!! Spe-riamo che finisca questo inver-no che non dà tregua (anche se Milano, per dire la verità, è u-n'isola felice in messo ai disastri che si sono verificati al nord).

Ogni mattina quando leggo il giornale guardo sempre le previsioni di Palermo, dove ci siete voi, e di Catania, dove ci sono i miei amici Salvatore e Pina Licciardello. Una rabbia sempre!!!

Ieri ho lavato finalmente il camper reduce dal giro in Si-cilia ed ora è pronto ad affron-tare nuove mete. Dai che ma-gari ci si rivede ancora.

Un abbraccio,

Silvio, Laura, Sissi

* * * Desidero congratularmi

con te e con Mimma del bel re-portage sul nostro giro della Si-cilia. E' all'altezza di un giorna-lismo di grande qualità e di scrupolosa realtà degli avveni-menti.

Pasquale Zaffina

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Tra sacro e profano La festa in onore di Sant’Agata a Catania e il Carnevale di Acireale: in un unico fine-settimana, quello del 5-7 febbraio, la full immersion dei nostri soci fra sacra devozione, ri-tualità, ma anche trasgressione e divertimento

e giornate dalla luce

crepuscolare e dalla temperatura rigida di questo lungo inverno tra-scorrono l’una uguale alla prece-dente, mentre il bisogno di evade-re dal tran tran quotidiano si fa prepotentemente strada dentro di noi; e allora cosa c’è di meglio di una fuga di tre giorni dall’altra par-te dell’isola, alla scoperta delle

tradizioni sacre e profane di Cata-nia e dei suoi dintorni? Seguendo questo ragionamento 25 equipaggi dei nostri soci si sono dati appun-tamento dal venerdì 5 febbraio alla domenica seguente presso il cam-ping “Panorama” di Acireale, per tuffarsi tutti insieme nelle manife-stazioni religiose e folcloristiche della zona. I fortunati che si sono po-

tuti permettere il venerdì libero, dopo essersi sistemati in campeg-gio e aver trangugiato un pranzo veloce, sono saliti su un pullman prenotato dal nostro Club dove, sotto la sapiente regia di Achille Bufardeci, il “nostro” uomo di Ca-tania, si sono diretti verso la città etnea, per assistere ai festeggia-menti in onore di Sant’Agata. Ma, lungo la seppur breve strada che separa Acireale dal capoluogo et-neo, la prima sosta è stata presso il suggestivo borgo di Aci Castello, scandito dall’imponente sagoma del castello normanno, eretto in pietra lavica nel 1076 su uno spe-rone roccioso di magma cristalliz-zato di cui sembra far parte a tutti gli effetti.

Il fortilizio si innalza tra il mare e la costa con una forma che ricorda la prua di nave, e al suo interno sono visibili due pozzi che sembrano racchiudere i desideri perduti di coloro che nel corso dei secoli sono passati da queste par-ti, oltre ad un piccolo museo civico e ad un lussureggiante giardino di piante grasse, che ben si sposa con il nero profondo della pietra lavica. Dall’alto del maniero si può godere un panorama magnifico sulla cittadina sottostante e sulla Riviera dei Ciclopi, con i faraglioni che emergono dal mare e che so-no stati lanciati, secondo la leg-genda, da Polifemo contro Ulisse. Dopo questo primo assag-gio esplorativo, l’arrivo a Catania è coinciso con il clou dei festeg-giamenti in onore della Patrona, Sant’Agata: infatti questa è la più importante festa religiosa della cit-tà e si svolge dal 3 al 5 febbraio, oltre che il 17 agosto, dato che la prima data è quella del martirio della santa catanese, mentre ad agosto si ricorda il ritorno in città delle sue spoglie, dopo che queste erano state trafugate e portate a Costantinopoli dal generale bizanti-no Giorgio Maniace.

L’atmosfera che ci ha ac-colto il pomeriggio del 5 febbraio è stata proprio commovente, con i devoti di tutte le età, dai due agli ottant’anni, fasciati nei sai bianchi,

L

I nostri soci davanti al castello normanno di Aci Castello

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vestiti che secondo la tradizione ri-cordano l’abbigliamento notturno dei primi devoti accorsi a ricevere le spoglie della Santa; i numerosi fe-

deli portavano in spalla enormi candele accese in un clima di fer-vente spiritualità, mentre le cande-lore si innalzavano al cielo con le

loro ricche decorazioni e i bassori-lievi in legno che raccontano epi-sodi della vita di Sant’Agata, al suono di “Cittadini, siete devoti tutti?”, che come una sorta di ne-nia faceva da colonna sonora alla devozione dei catanesi per la loro Santuzza.

Papà e figlio vestiti con u saccu e a scuzzetta davanti a una candelora. In basso un busto della Santuzza

Così ci siamo ritrovati ad attraversare via Etnea con un sen-so di irrealtà, mentre una marea umana ci fagocitava inesorabil-mente, avendo come unico faro il nostro Achille che ci ha condotto dapprima alla chiesa di San Placi-do, al cui interno vi erano in mo-stra modellini della processione e del busto di Sant’Agata realizzati

A Santuzza, ovvero la Santa di tutti i catanesi

La festa di Sant’Agata a Catania ha inizio il 3 febbraio e ha nel giorno 5 il suo momento clou; i tre giorni dell’evento coinvolgono tutta quanta la città e per questo la festa è ritenuta una delle più im-portanti al mondo per la partecipazione dei fedeli: seguono l’evento, infatti, quasi un milione di persone fra devoti, turisti e curiosi.

Agata era una giovane esponente di una famiglia patrizia, vis-suta nel III secolo, che consacrò la sua vita alla religione cristiana. In giovane età venne notata dal governatore romano Quinziano che de-cise di volerla per sé, ma al rifiuto della giovane la perseguitò in quanto cristiana e quindi la fece martirizzare e mettere a morte il pomeriggio del 5 febbraio 251. Subito dopo la morte, la vergine Aga-ta cominciò ad essere venerata e il suo culto si diffuse anche fuori dalla Sicilia.

Invece i primi festeggiamenti documentati in suo onore risal-gono al 17 agosto 1126, quando le spoglie della santa furono riporta-te in patria da due soldati, che approdarono presso il maniero di Aci Castello, mentre il vescovo andava ad accoglierle; in questa occasio-ne, sparsasi la voce, anche i cittadini si riversarono lungo le strade, nonostante fosse notte fonda, per accogliere le spoglie dell’amata martire Agata. Da allora i festeggiamenti si sono susseguiti con varie modalità, fino a giungere alla forma attuale che comprende tre giorni di festeggiamenti, durante i quali le spoglie della santa escono dalla cosiddetta “cameretta” all’interno del duomo per offrirsi alla devozio-ne della folla, con celebrazioni liturgiche e processioni attraverso il circuito esterno ed interno delle vie cittadine. Nel corso di tali cele-brazioni la vara in argento di Sant’Agata viene preceduta dalle cande-lore; queste ultime sono undici costruzioni in legno riccamente scolpi-te e dorate in stile barocco che rappresentano le corporazioni delle arti e dei mestieri cittadini.

Ma è la devozione popolare che colpisce maggiormente nel corso della festa, con il Duomo, la Piazza antistante e la via Etnea, principali palcoscenici della manifestazione, il cui calpestio viene rico-perto di segatura per assorbire le tonnellate di cera sciolta, mentre una miriade di devoti, vestiti con un saio di cotone bianco, detto u saccu, e un copricapo di velluto nero, detto scuzzetta, trasportano sulle spalle talvolta con grande fatica enormi candele gialle, alcune anche del peso di 80-100 chili, offerte come ex-voto alla Santa, in un clima di fervente religiosità, di profonda devozione e di folclore che non può lasciare indifferenti, al grido di “Cittadini, siete devoti tutti?”, cui è d’obbligo rispondere: “Tutti, tutti, certo!”, fino a perdere la vo-ce.

Si susseguono così decine e decine di candele accese di tutte le dimensioni, portate a spalla nei tre giorni della festa dai devoti che attendono di offrirle nel Duomo o al passaggio della Santa, mentre il clima di festa popolare viene accresciuto dai palloncini bianchi (in se-gno di purezza) che inneggiano a Sant’Agata, e dagli stand del torro-ne di mandorle e di dolciumi tipici, come le cosiddette olivette di marzapane, che si riferiscono ad una leggenda secondo la quale un albero di ulivo, sorto improvvisamente, riparò Agata mentre era ri-cercata dai soldati del console romano Quinziano.

La processione del 5 febbraio ha inizio dopo la messa pomeri-diana in Duomo e i giochi pirotecnici che salutano l’uscita della vara dalla chiesa e proseguono fino alla mattina del giorno dopo, giungen-do al suo culmine con l’emozionante “Salita di San Giuliano” che i fe-deli, trainando il fercolo, percorrono di corsa e con l’angelico canto delle suore benedettine in onore della Santa, che infine fa ritorno in Duomo.

M.F.

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con materiale di recupero, e poi verso il vicino duomo, nei cui pres-si abbiamo assistito ad un fanta-smagorico spettacolo pirotecnico in onore della Santa che usciva dal Duomo. Quindi, sempre grazie alla sapiente regia di Achille, dopo aver atteso l’uscita del busto di Sant’Agata e la sua sistemazione nel fercolo, siamo riusciti ad avvi-cinarci a pochi metri dalla vara, fa-cendoci coinvolgere completamen-te dal clima di devozione dei cata-nesi che si avvicinavano a fatica alla loro santa per l’offerta della cera, con l’accensione per pochi minuti delle candele offerte, che poi venivano depositate in camion appositamente sistemati lungo il percorso, per fare posto alle mi-gliaia di nuove candele in attesa di essere accese.

E poi, prima di essere defi-nitivamente inghiottiti dalla marea umana che era in attesa di offrire anche fiori, gioielli e soldi alla pro-pria Patrona, siamo riusciti a diri-gerci attraverso vicoletti laterali fino a Piazza Stesicoro dove, con una scelta di tempo perfetta, sia-mo arrivati giusto in tempo per as-sistere alla sfilata delle Candelore delle corporazioni, precedute e se-guite da migliaia di candele gialle accese di tutte le dimensioni che, con la loro luce tremolante che si innalzava nel buio circostante con un effetto altamente suggestivo, ringraziavano la Santa per le gra-zie ricevute o le chiedevano di in-tercedere per le grazie future.

Con gli occhi e l’anima permeati da una tale dose di spiri-tualità e con il cuore colmo di emo-zione e di meraviglia per lo spetta-colo offerto dai devoti di Sant’Agata, ci siamo poi staccati a fatica dalle celebrazioni in onore della Patrona catanese; eravamo ben consapevoli, infatti, che la pro-cessione sarebbe proseguita fino al giorno dopo, giungendo al suo cul-mine con l’emozionante “Salita di San Giuliano” che i fedeli, trainando il fercolo, percorrono di corsa e con l’angelico canto delle suore bene-dettine in onore della Santa.

Quindi non ci è rimasto che allontanarci a malincuore da questi scenari densi di misticismo, ripren-dendo il pullman e tornando verso il campeggio, dove ci attendeva una buona pizza presso il relativo ristorante, per ritemprarci delle fa-tiche e delle emozioni pomeridia-ne. E poi, per chi non era ancora stanco, c’è stata anche la possibili-

tà di fare quattro salti al suono delle musiche anni ’70 e ’80 mixa-te da un simpatico Dj, Salvo Fiche-ra, che si è improvvisato anche i-

struttore di ballo pur di coinvolger-ci... E poi, finalmente, tutti a nan-na, in attesa delle altre belle espe-

Alcuni momenti della festa di Sant’Agata a Catania

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rienze che ci attendevano nei due giorni seguenti.

La mattina di sabato 6 feb-braio ci siamo svegliati sotto uno splendido sole che rendeva le no-stre esplorazioni ancora più piace-voli; e ci siamo subito diretti dap-prima nella vicina frazione di Santa Caterina, dove abbiamo ammirato la sagoma incombente dell’Etna in-nevato e nel contempo uno splen-dido terrazzo che si affacciava sullo Jonio, in un insieme digradante di toni azzurri che apparivano lontani anni-luce dal grigiore che dobbiamo subire quotidianamente, chiusi co-me siamo nelle nostre prigioni cit-tadine. Quindi ci siamo spostati verso il centro storico di Acireale, scandito dall’impronta barocca delle sue chiese e dei suoi palazzi nobi-liari, in un alternarsi di pietra lavica e di pietra bianca che dà vita a pre-gevoli giochi cromatici in pietra.

Dopo aver ammirato il sa-lotto cittadino, Piazza Duomo, su cui si affacciano il Duomo, incorni-ciato dai campanili gemelli, con il maestoso portale e le volte affre-scate, oltre alla chiesa di San Pie-tro e Paolo e al Palazzo Comunale, dalla facciata intrisa letteralmente di puttini e di inflorescenze baroc-che, ci siamo spostati alla vicina chiesa di San Sebastiano, che con-trappone ad una facciata, ricca-mente ornata da numerose sta-tue, un interno caratterizzato da notevoli affreschi, per poi esplo-rare i vicoli del centro, animati dal mercato quotidiano; e qui le cavallette nostrane si sono scate-nate negli acquisti più disparati, scoprendo fra le altre cose le ot-time arance locali (i “tarocchi”)

dal retrogusto di fragola, oltre al-le dolci zeppole di riso e le gusto-se pastefrolle a forma di faccine di Carnevale, in tema con la festa del giorno.

Stracarichi di pacchi e pacchettini siamo poi tornati in campeggio, rivelatosi ancora una volta un ottimo approdo, dove abbiamo consumato quasi tutti un ipercalorico pranzo (a causa degli acquisti), seguito da qual-che ora di relax, prima di risalire a bordo di un bus navetta verso il centro storico, dove ci attendeva l’inizio dei festeggiamenti del Carnevale.

Infatti la cittadina ospita da circa 80 anni quello che è ri-tenuto giustamente il più bel Carnevale di Sicilia, anche se le origini della festa risalgono addi-

rittura al ‘500, quando lungo le strade cittadine si duellava con uova marce e agrumi. Nell’800 la festa compì un salto di qualità con l’introduzione della sfilata di carrozze che lanciavano confetti agli spettatori, mentre negli an-goli delle strade facevano la loro comparsa spiritosi giochi popola-ri, come l’albero della cuccagna, il tiro alla fune e la corsa con i sacchi; ma è alla fine degli anni ’20 del ’900 che il Carnevale ace-se compie una vera e propria svolta con l’introduzione delle maschere di cartapesta che in seguito si trasformano in carri al-legorici trainati dai buoi, contor-nati da personaggi e gruppi sati-rici in movimento. Un tocco di e-leganza e vivacità viene dato il martedì grasso anche dalla pre-senza di macchine infiorate che con il passare dei decenni si sono trasformate in altri carri detti appunto “floreali”, dallo scheletro in tubolare ferroso e dalla “pelle” ricoperta da circa 50.000 garofa-ni, che sfilano l’ultimo fine-settimana di Carnevale.

Invece nel primo fine-settimana di Carnevale, il nostro, sfilavano i gruppi mascherati del-le scuole, con un insieme di deli-ziosi bambini travestiti da dame, cavalieri, stagioni dell’anno e co-sì via, preceduti dalle majorettes e da una banda in costume che suonava numerosi brani in ver-sione jazz, proiettando le vie cit-tadine nella più calda atmosfera carnascialesca, animata da scop-pi di risa e da lanci di coriandoli. In attesa di festeggiare anche il nostro personale Carnevale, a

Alcuni pupi del Museo di Acireale

Un momento della serata danzante al camping Panorama

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base di allegria e insospettabili travestimenti, dopo la sfilata car-nevalesca del sabato abbiamo vi-sitato anche il notevole Museo dei Pupi, dove sono in mostra alcune decine di pupi della scuola cata-nese, dall’altezza di un metro e cinquanta per un peso di trenta chilogrammi, con le ginocchia ri-gide e la spada fissa nella mano destra, che vengono manovrati da un ponte soprastante alla sce-na chiamato banco di manovra. Nel corso della visita al museo, la nostra guida ci ha parlato anche di uno dei maggiori pupari acesi, Emanuele Macrì, che all’apice della carriera artistica esportò anche all’estero i suoi spettacoli che riecheggiavano le vicende e-pico-cavalleresche dei Paladini di Francia, ottenendo un grande

successo, perché come diceva lui stesso: “Prego credere che i miei pupi non sono fatti di legno, sono uomini veri, di carne, di sangue, di muscoli, di cuore”.

Dopo questo tuffo nelle tradizioni siciliane più autentiche siamo tornati al campeggio per prepararci alla nostra serata in maschera che prometteva di es-sere davvero sorprendente, cosa che si è puntualmente avverata: infatti quando ormai si avvicinava l’ora delle cena da consumare tutti insieme al ristorante del campeggio, strani figuri emerge-vano dalla notte, paludati in ma-scheramenti tutti da ridere, dalla ballerina di flamenco spagnolo al perfetto uomo scozzese, dal bar-bone alla donna psichedelica, dal-la tunisina al clown, fino alla cop-

pia presidenziale che inalberava maschere da suora e da sceicco, per evidenziare il desiderio di piena integrazione religiosa e di rispetto delle culture diverse. So-no seguite le immancabili foto di rito, condite dall’allegria e dalle portate della cena, prima di ap-prodare tutti nella vicina sala di-scoteca dove il nostro Dj, ci ha visto scatenarci tutti insieme in una fantasmagoria di balli ritma-ti, di trenini e di evoluzioni atleti-che, nel corso delle quali sono andate disperse rotule e gomiti vari, prima che la maggior parte dei presenti ricordasse la non più verde età. E, finalmente, ben do-po la mezzanotte è calato il silen-zio anche su questa seconda en-tusiasmante giornata.

Il giorno seguente, dome-nica, ci siamo risvegliati con i muscoli che protestavano per l’abuso della serata in discoteca, ma sordi alle richieste di riposo dei nostri corpi, abbiamo ripreso la via per il centro cittadino, giungendo a bordo del bus navet-ta fino alla Villa Belvedere, da dove sotto i nostri occhi meravi-gliati ha preso il via la sfilata dei carri allegorici, in cartapesta e cartone romano dalle dimensioni “esagerate”, dato che passano appena dal pur largo Corso Vitto-rio Emanuele; infatti le grandi macchine allegoriche hanno una lunghezza di diciotto metri, un’ampiezza di nove metri e un’altezza di venti (altro che camper!) e mettono in mostra in modo umoristico le tematiche

Dal sacro della festa di Sant’Agata a Catania al profano del Carnevale di Acireale, con alcuni nostri soci che hanno voluto vivere fino in fon-do l’atmosfera di festa

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della politica, dei problemi socia-li, del mondo dello spettacolo, della televisione e del calcio, of-

frendo uno spaccato della nostra società molto analitico, nonostan-te l’ironia.

Quest’anno il personaggio più al centro dell’attenzione non poteva non essere il nostro premier Berlusconi, con tanto di sexi-maggiorate; ma non man-cavano i personaggi della televi-sione e i soliti personaggi dei fumetti. Così siamo rimasti per lunghi momenti con il naso all’insù a inseguire gli enormi carri, ad ammirare i mille parti-colari e ad ascoltare le allegre canzoncine che facevano da co-lonna sonora alle macchine alle-goriche, mentre lo spettacolo raggiungeva il suo culmine in Piazza Duomo, dove era possibile racchiudere in una sola occhiata le architetture barocche che chiudevano la quinta scenografi-ca invasa dai carri colorati e dai loro buffi inquilini, immersi in una marea umana formata da grandi e piccini.

Poi è giunto, nostro mal-grado, il momento di tornare al nostro “accampamento”, dove ci siamo consolati con un pranzo robusto, seguito dai dolcetti di Carnevale con le faccine da clown di cui un po’ tutti hanno fatto grandi approvvigionamenti insieme alle tipiche chiacchiere e alle zeppole. E poi, mentre alcuni riprendevano nel primo pomerig-gio la rotta verso casa, altri han-no atteso la serata per fare ritor-no nella cittadina per rivedere nuovamente sfilare i carri insie-me alle majorettes e alle bande musicali, contenti comunque una volta di più di aver “staccato la spina”, ammirando le splendide tradizioni sacre e folcloristiche della nostra isola e sognando i prossimi appuntamenti, che ci permetteranno ancora una volta di fuggire a bordo del nostro camper, quasi come se si trat-tasse di un tappeto volante in grado di anticipare i nostri desi-deri itineranti.

Testo di Mimma Ferrante Foto di Maurizio Karra

Alcuni dei carri allegorici sfilati per le vie del centro di Acireale

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Una passeggiata per Palermo

Alla scoperta della città dell’Ottocento, fra dimori nobiliari, luoghi della cultura aristocratica, borghese e popolare

ra tantissimo tempo

che molti soci del nostro Club, sia di Palermo che di altre città dell’Isola, chiedevano con insistenza di ri-prendere la bella abitudine di effet-tuare delle passeggiate culturali a tema all’interno della nostra città, sfruttando qualche week-end inver-nale, sia per conoscere da turisti - anche noi palermitani - alcuni tratti della nostra città magari poco noti, sia per ricambiare l’ospitalità spesso fornita localmente da altri nostri so-ci delle varie province siciliane nel corso delle tante gite in camper. E’ stato così che abbiamo voluto dedi-care tutta la giornata di sabato 20 febbraio a una passeggiata nel cen-tro storico di Palermo che aveva l’obiettivo di farci “toccare con ma-no” quattro simboli della cultura e dell’arte del capoluogo siciliano dell’Ottocento.

L’appuntamento era per tut-ti alle 9,30 a Piazza Marina, e preci-samente in Via Merlo davanti a Pa-lazzo Mirto, che sarebbe stata la prima tappa della visita; per poi pro-seguire per il vicino Convento di Sant’Anna, nuova sede della Civica Galleria d’Arte Moderna, quindi nel pomeriggio riprendere con altri due luoghi simbolici della cultura cittadi-na: il Teatro Massimo, culla della musica lirica nonché dell’aristocra-zia e dell’alta borghesia dell’epoca; e il Teatro dei Pupi, culla invece della cultura popolare. Eravamo certi che l’appuntamento avrebbe suscitato interesse, ma non avremmo mai immaginato quanto grandi sarebbe-ro stati la partecipazione e l’entusiasmo dei nostri soci...

Palazzo Mirto Perché iniziare proprio da qui? Perché, come poi si è eviden-ziato appena ne è iniziata la visita, Palazzo Mirto è forse il luogo di Pa-lermo che meglio di qualunque al-tro può testimoniare qual era la vita di una famiglia nobile dell’Ottocento: acquisito dalla Re-gione Siciliana alcuni decenni or sono dopo che l’ultima proprieta-ria, la principessa Maria Concetta Lanza Filangeri, ne fece dono alla città alla sua morte, il palazzo fu

lasciato perfettamente “funzionan-te” e curato nei minimi dettagli, con i mobili intatti e lucidi, le tap-pezzerie al loro posto così come i vari quadri, le ceramiche, le por-cellane e tutti gli altri oggetti che di generazione in generazione era-no giunti fino a lei: cosa del tutto eccezionale soprattutto se raffron-tata ai palazzi di tante altre nobili famiglie siciliane che sono state spesso costrette fra la fine dell’Ottocento e gli ultimi decenni a svendere i loro storici patrimoni pezzo a pezzo disperdendo così ir-rimediabilmente autentici spicchi di

storia della città e dell’isola. La storia dei Filangeri, giun-ti in Sicilia al seguito dei Normanni e proprietari del Palazzo Mirto a partire dal 1594, supporta d’altronde il senso di questa auten-tica chicca della cultura siciliana, offrendosi come un museo della nobiltà dell’Isola sia per i sontuosi interni sia per il fatto che l’ultima ristrutturazione dell’edificio fu ese-guita proprio nell’Ottocento, tra cui il rifacimento della facciata che dà sul cortile e quella prospiciente la Via Merlo.

All’edificio si accede attra-

E

I nostri soci davanti all’ingresso di Palazzo Mirto. In basso uno dei salo-ni di rappresentanza della dimora

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verso un nobilissimo portale e l’ampio scalone in marmo rosso dà immediatamente l’idea di tro-varsi immersi in una ricchissima atmosfera di altri tempi. Le sessan-tasei stanze del palazzo, divise tra due piani, portano poi il visitatore pian piano alla scoperta di un mon-do in cui nobiltà e ricchezza erano e sono un tutt’uno (chissà quanti e-rano un tempo a Palermo i palazzi nobiliari che custodivano autentici tesori!). La disposizione degli arredi interni è uguale a quella che era nel palazzo dell’Ottocento, come se Ga-ribaldi vi entrasse all’improvviso dopo aver conquistato la città e vi scoprisse all’interno la dimora sim-bolo di una delle più potenti fami-glie aristocratiche coeve. E questo ha consentito ai nostri soci, grazie anche alla sapiente cura con cui è stata gestita la visita guidata, di vedere con i propri occhi e toccare con mano lo stile di vita e le abitu-dini quotidiane di una famiglia nobi-liare di quell’epoca, quasi in uno spaccato senza tempo. Il primo piano era quello che esaltava la vita nobiliare della famiglia, il piano nobile per anto-nomasia, quello delle visite, dei ri-cevimenti, delle feste che tendeva-no a esaltare la ricchezza e la po-tenza della famiglia e ribadirne il prestigio; mentre il secondo piano era quello privato a cui avevano ac-cesso solo gli amici più intimi, con gli appartamenti per la notte. Tra le varie stanze sia del primo che del secondo piano ne sono state parti-colarmente ammirate alcune che sembrano quelle di una reggia di sovrani di stato: per esempio quella detta del Novelli, per la presenza alle pareti di un presunto autoritrat-to dell’artista, con un sontuoso sa-lotto Luigi XVI; o quella detta di Salvator Rosa, così chiamata per i dipinti alle pareti che richiamano la maniera del pittore secentesco, con una vetrinetta che accoglie un nu-mero considerevole di sole porcel-lane di Capodimonte; o il salottino cinese, con dipinti, mobili in lacca, vasi e altri oggetti cinesi; per non parlare dell’immenso servizio di porcellana che fa bella mostra di sè disseminato nei mobili a vetrina di tutto il piano nobile. L’ambiente nel quale tutto il gruppo si è più soffermato non po-teva non essere comunque il gran-de salone delle feste e dei ricevi-menti, sempre al primo piano, con due grandi scrigni di tartaruga dell’800, decorazioni pittoriche del

Velasco e arazzi con vari soggetti mitologici con tema amoroso; così come il limitrofo salone del baldac-chino, con le pareti interamente ri-camate con scene della “Gerusa-lemme Liberata” e il soffitto, dipinto da Interguglielmi nel ‘700, che ce-lebra le glorie di Bernardo Filangeri, il più importante dei principi del ca-sato. Ma grande interesse ha su-scitato anche il piano terreno, con le cucine del Monsù e le scuderie, in grado di ospitare venti cavalli e al-tro luogo simbolo della ricchezza dei proprietari del palazzo: ogni box, chiuso da ante in legno, ha perfino una testa di cavallo scolpita e un ricettacolo per la frusta. Tutto anche qui si trova al suo posto, co-me se i principi Filangeri stessero per scendere dalle loro stanze e la carrozza li attendesse per portarli da qualche parte. Anche qui un do-

cumento essenziale per conoscere e capire la vita della Palermo dei se-coli passati.

La Galleria d’Arte Moderna Conclusa la bellissima e accuratissima visita di Palazzo Mir-to, poche centinaia di metri ci divi-devano da Piazza Sant’Anna; qui, nei locali dell’ex convento france-scano della chiesa di Sant’Anna, una delle più belle del barocco pa-lermitano, e dell’attiguo Palazzo Bonet, ha sede dal 1° novembre 2006 la Galleria d’Arte Moderna della città di Palermo che alla sua nascita, nel 1910, e per quasi un secolo, fu invece ospitata nel ridot-to del Politeama Garibaldi. A volere la nascita della Galleria fu nel 1906 l’allora assessore del Comune di

Palermo Empedocle Restivo, al quale fu poi dedicata, insigne giu-rista ed appassionato cultore delle arti. Palermo a fine Ottocento go-deva di un clima di rinnovamento politico, economico e sociale di tut-to rilievo: si era nel pieno della bell’epoque e il capoluogo siciliano era diventato, da sonnecchiante capitale dei gattopardi, la città dei Florio, dei Whitaker, dei Ducrot; era la città che nel 1891 aveva al-lestito proprio nell’area antistante il Politeama Garibaldi (l’attuale Piazza Castelnuovo) la grande E-sposizione Nazionale che l’avrebbe incoronata come una delle capitali del lusso europeo, pur in presenza di larga parte della popolazione ai margini della vita sociale della città. E a costituire il primo nucleo della collezione del futuro museo furono proprio le opere che restarono a Pa-lermo dopo la chiusura della storica

Esposizione, alle quali andarono aggiungendosi nei decenni succes-sivi sia gli acquisti del Comune, sia le donazioni di vari artisti, sia anche le donazioni delle famiglie più in vi-sta della città, con un “affollamen-to” delle opere negli spazi disponi-bili che decretò già nel secondo do-poguerra l’esigenza di una rialloca-zione della sede museale. E’ così che, dopo tanti pro-getti, è andato in porto a fine 2006 il trasferimento della Civica Galleria d’Arte Moderna nel complesso di Sant’Anna. Il museo raccoglie oggi in uno spazio espositivo finalmente congruo 216 opere, di cui 178 di-pinti e 38 sculture che vanno dagli ultimi anni del ‘700 alla metà del ‘900 (con particolare riferimento alla pittura siciliana dell’Ottocento),

Una sala espositiva della Galleria d’Arte Moderna

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e quindi la visita della Galleria è sta-ta di fondamentale importanza per conoscere, in particolare tramite le opere degli artisti siciliani dell’Ottocento, il paesaggio, i ritratti, le abitudini e il gusto della città di Palermo e della Sicilia a quel tempo, come se riuscissimo anche qui a fare un salto all’indietro nel tempo.

Una bella veduta palermitana del pit-tore Tommaso Riolo (Via Stabile), esposta alla Galleria d’Arte Moderna

A fare gli onori di casa, dato che questa è la sua sede di lavoro, è stata Antonella Compagno, mo-glie del nostro consigliere Giovanni Pitré, che ha accolto e accompa-gnato in tutta la visita i nostri soci. Peccato che, nonostante la sua pre-senza, l’altissimo costo richiesto per la visita guidata del museo dalla so-cietà che gestisce in esclusiva per il Comune tale compito abbia preclu-so la possibilità di visitarne le sale con maggiore attenzione, e che il conseguente atteggiamento degli addetti di tale società all’interno della galleria abbia impedito anche a chi scrive – oltre che alla stessa Antonella - di poter commentare il percorso museografico e le opere più significative, se si esclude un mio brevissimo discorso introdutti-vo all’ingresso che è stato anch’esso appena “tollerato”.

E così i nostri soci hanno potuto visitare in piccoli gruppi e in modo destrutturato la galleria, de-dicando le loro attenzioni soprattut-to alle opere di alcuni dei pittori si-ciliani più importanti dell’Ottocento, fra le quali i ritratti di Giuseppe Pa-tania, Salvatore Lo Forte e Andrea D’Antoni, le tele di soggetto patriot-tico in tema col Risorgimento di Da-rio Querci, le grandi scenografie storiche di stile neoclassico di Giu-seppe Sciuti, i paesaggi e le vedute romantiche di Tommaso Riolo, Sa-verio Cavallari, Gianbattista Carini, Antonino Leto e soprattutto di Fran-cesco Lo Jacono, il più grande ve-dutista siciliano dell’Ottocento, au-tore di paesaggi agresti e romantici,

di cui purtroppo sono visibili un numero esiguo di tele, dato che molte di esse sono inspiegabilmen-te conservate nei sotterranei della galleria (!!!).

La pausa pranzo e un fuori programma

Alla fine della visita, fattasi l’ora di pranzo, la scelta di un pasto veloce alla vicina “Antica Focacceria San Francesco” era d’obbligo. E così è stato, nell’atmosfera un po’ retrò di questo locale aperto nella prima metà dell’Ottocento e da sempre funzionante, da alcuni anni perfet-tamente restaurato e diventato fa-mosissimo anche a livello turistico perché incarna il meglio della cultura culinaria del popolo palermitano.

Anche i nostri soci ne hanno quindi approfittato per gustare, co-modamente seduti nelle sue sale i panini con cazzille e panelle, le fo-

cacce maritate (u pani ca’ meusa), così come i piatti tipici della cucina palermitana, dagli anelletti al forno alla pasta con le sarde alle sarde a beccafico, per concludere con un cannolo DOC.

E quando si è fatta l’ora di riprendere la passeggiata, un inte-ressantissimo fuori programma è stato servito proprio davanti ai no-stri occhi: la visita del grandioso O-ratorio di San Lorenzo, proprio di fronte all’Antica Focacceria e accanto alla Basilica di San Francesco. Qui, una simpatica guida, a pochi giorni dalla sua laurea in storia dell’arte, ci ha intrattenuti parlandoci del Ser-potta e della tecnica dello stucco, tanto in voga nel Settecento, e de-scrivendo i tesori di questa magnifi-ca chiesetta che era stata costruita in onore di San Lorenzo ma che fu nel ‘700 acquisita dalla Confraternita di San Francesco che, a questo pun-to, per non “scontentare” nessuno

Davanti al Teatro Massimo e, in basso, nella Sala degli Specchi

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dei due santi, chiese al Serpotta di realizzare un autentico trionfo di ar-te barocca dedicando una parete dell’Oratorio a scene della vita di San Francesco e la parete opposta a scene della vita di San Lorenzo.

Il Teatro Massimo Alla fine di questa visita, la-

sciata quindi l’area dei Lattarini, una breve passeggiata ci ha condotto in Piazza Verdi per il proseguimento della nostra passeggiata e la visita del Teatro Massimo, all’interno del quale ci attendeva il dott. Alfio Sca-glione, dell’Ufficio Marketing della Fondazione Teatro Massimo. Sca-glione ci ha introdotto nela storia di questo grande teatro, dio cui fu de-cisa la costruzione nella seconda metà dell'800 per ospitare degna-mente le opere liriche allora tanto di moda e che è il terzo teatro più grande d’Europa.

Per la realizzazione della

nuova architettura fu quindi scelta una vasta area del centro storico, a margine del quartiere del Capo, che fu rasa al suolo sacrificando tutte le costruzioni preesistenti, fra cui an-che delle chiese. La progettazione del costruendo teatro fu affidata al-l'architetto Gian Battista Filippo Basi-le che ne iniziò i lavori nel 1874; il progettista però morì prima di vede-re completata la sua opera, sospesa per alcuni anni tra liti, interrogazioni parlamentari, polemiche e contrasti tra maestranze, autorità e progetti-sta. La costruzione riprese poi per opera del figlio Ernesto che la com-pletò nel 1895 in puro stile neoclas-sico, rispondendo alle esigenze di equilibrio e di formale decoro dell’aristocrazia e della buona bor-ghesia di fine secolo. Il Teatro fu in-fine inaugurato l’11 maggio 1897 per poi essere chiuso per opere di restauro per un quarto di secolo ed essere finalmente restituito ai pa-lermitani solo nel 1997.

Dopo aver ammirato all’esterno il corpo quadrangolare del teatro e l'alta cupola centrale, la no-stra visita dell'interno ha avuto inizio dal fastoso foyer con l’ampia decora-zione in stile neoclassico; da qui il nostro gruppo ha fatto ingresso nell’elegantissima sala centrale di cir-ca 450 metri quadri, la cui volta fu affrescata in maniera aulica da Rocco Lentini e altri pittori minori, con cin-que ordini di palchi e un ampio log-giato, in grado di ospitare inizialmen-te oltre 3.000 spettatori, mentre a-desso le nuove normative hanno no-tevolmente ridotto il numero massi-mo di ingressi alle varie rappresenta-zioni. La visita è poi proseguita, al suono dell’orchestra che provava le musiche della Boheme, con gli altri saloni di rappresentanza attigui, con la sala dei fumatori, la Sala degli Specchi e il Palco Reale, dove vengo-no ospitate le autorità cittadine nel corso delle “prime” teatrali e che di norma nel corso delle repliche rimane vuoto; e qui ovviamente i soci del Club hanno tenuto a essere immor-talati in una foto ricordo.

Il teatro dell’opra dei pupi Uscendo dal Teatro Massimo

con l’ovvia soddisfazione di aver po-tuto toccare con mano i fasti e i lussi dell’alta società palermitana di fine Ottocento e della bell’epoque, ci a-spettava l’ultima parte del nostro tour cittadino. E così ci siamo avviati per la vicina Via Bara all’Olivella dove eravamo attesi dall’Associazione “Fi-gli d’Arte Cuticchio” per la visita del piccolo teatro e dell’annesso museo-officina dei pupi. Come dire: dal tea-tro dei nobili al teatro del popolo!

Mimmo Cuticchio, figlio del grande Giacomo Cuticchio, nel 1977 ha fondato questa Associazione per sviluppare e qualificare la grande tradizione dei pupari palermitani at-traverso un’azione a 360 gradi che va dal restauro dei vecchi pupi alla conservazione dei testi teatrali alla realizzazione di spettacoli sia nella sede palermitana che in tourneè in tutto il mondo. Il teatro dell’Associa-zione è ospitato in una cantinetta: è qui che avviene lo spettacolo vero e proprio; mentre alcuni locali vicini, in cui siamo stati intrattenuti prima del-lo spettacolo, sono utilizzati come dicevamo come piccola sede museo-grafica e come magazzino per la conservazione delle scene e dei pupi e per il loro restauro. Non va dimenticata l’impor-tanza storica che questa forma di rappresentazione (l’opra) ha avuto

L’interno del teatro con al centro il Palco Reale e, in basso, i nostri soci seduti al suo interno

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nell’ambito della cultura popolare in Sicilia: pupi e pupari concorsero du-rante il risorgimento a plasmare la coscienza dei patrioti siciliani che, nell’assistere ai cicli di rappresenta-zioni che venivano effettuati nelle piazze cittadine dalle varie compa-gnie, finirono con l’identificare nel pupo Orlando l’eroe Garibaldi e in Carlo Magno il re Vittorio Emanuele, simboli della liberazione dall’oppres-sione dei Borboni (i Saraceni).

Come ci ha spiegato il figlio di Mimmo Cuticchio, questo tipo di rappresentazione in realtà ha origini molto più antiche, ma soltanto agli inizi dell’800 si arricchisce in modo predominante delle leggende cavalle-resche dell’epica francese medioevale e delle chansons de geste, delle co-razze metalliche che rendono splen-denti i pupi e dei fragorosi combatti-menti con le spade. Ci ha poi sottoli-neato la differenza fra i pupi utilizzati a Palermo e quelli di Catania e della Sicilia orientale: le rappresentazioni del teatro dei pupi palermitani si av-valgono infatti di pupi alti circa ottan-ta centimetri, con il ginocchio artico-lato e il ferro principale che attraver-sa la testa e si aggancia al braccio destro; essi vengono manovrati dai lati del palcoscenico che ha quinte diverse. Invece i pupi catanesi sono alti un metro e venti, hanno il ginoc-chio rigido e il ferro che attraversa la testa e si aggancia al tronco e al braccio destro; e per tale ragione vengono manovrati dall’alto di un ponte dietro il fondale, così che la rappresentazione avviene con una sola scena per volta.

Mimmo Cuticchio

Nell’Ottocento gli spettacoli

dell’opera dei pupi venivano rappre-sentati a puntate; gli spettatori era-no quasi esclusivamente maschi che si recavano a vedere l’opera dei pupi subito dopo il lavoro e che seguiva-no con grande partecipazione emo-tiva i vari episodi, identificandosi ne-gli eroi positivi e infierendo sui catti-vi, fino a distruggere con il lancio degli oggetti più disparati il pupo o-diato. E oggi, come mai questo revival?

Il grande merito di Mimmo Cuticchio è stato proprio quello di provvedere da un lato alla ricostru-zione filologica di tanti “canovacci” di rappresentazioni, così come alla con-servazione di decine di pupi di antica fattura; dall’altro di esportare il teatro dell’opra prima in tutta l’Italia e poi in varie tournèe nei vari continenti. Infi-ne ha anche realizzato una sorta di teatro sperimentale parallelo, prov-vedendo insieme ai suoi collaboratori a realizzare pupi e cicli di rappresen-tazioni legati all’epos omerico dell’Iliade e dell’Odissea così come anche alla vita di San Francesco.

Ma la rappresentazione tea-trale alla quale abbiamo assistito era una delle più tipiche del repertorio della Chanson de Roland: l’episodio della morte del paladino Ruggero a opera di vassalli infedeli di Carlo Magno e la conseguente vendetta del cognato Rinaldo. Inutile dire l’entusiasmo con il quale è stato se-guito lo spettacolo, con gli applausi anche a scena aperta per i vari duel-li, con tanto di teste mozzate, per i serrati dialoghi, per le peripezie drammatiche e semiserie dei vari personaggi, grazie alla bravura di tutta la compagnia e soprattutto per la voce accattivante del grande Mimmo Cuticchio, che infine, a sipa-rio calato, si è intrattenuto breve-mente con noi spiegandoci vari re-troscena delle rappresentazioni e della ...vita dei pupi e dei pupari.

Una degna conclusione a una giornata intensissima ma dav-vero entusiasmante.

Maurizio Karra

I nostri soci all’interno del museo-officina dell’Associazione Figli d’Arte Cuticchio e un momento della rappresentazione dell’opra

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Tra birilli e danze esotiche Una domenica particolare, dedicata alla V edizione del torneo di bowling di Palermo e al pranzo arabo al ristorante Marrakech, arricchito da una gettonatissima danza del ventre

eguendo ormai una con-

solidata tradizione, anche quest’an-no ha avuto luogo presso la struttu-ra in via del Fante a Palermo, dome-nica 22 febbraio, il gettonatissimo torneo di Bowling che completava il week-end palermitano iniziato con la passeggiata dedicata all’esplorazione della città dell’Ottocento, il cui gra-dimento è andato al di là di ogni più rosea previsione (cfr. l’articolo delle pagine precedenti).

Pochissimi nostri soci, in ve-rità, si dedicano a questo sport, ma questo torneo è diventato un appun-tamento a cui pochi rinunziano lan-

ciandosi nel gioco con notevole di-vertimento e agguerrita competi-zione. E forse mai come quest’anno si è assistito ad un im-pegno notevole profuso nel corso delle partite, nonostante la mag-gior parte dei partecipanti, impe-gnati nel torneo maschile, in quel-lo femminile e in quello juniores, non si esercitasse da oltre un an-no, e cioè dall’ultimo torneo orga-nizzato dal Club.

Ciononostante i numerosi giocatori, con una presenza di 26 persone nel torneo maschile, di 15 in quello femminile e di 5 in quello juniores, si sono lanciati nella competizione a testa bassa e con grande entusiasmo, impegnandosi in gare concitate che si sono risol-te spesso soltanto all’ultimo lan-cio, mentre un tifo da stadio ac-compagnava gli ultimi tiri dei più talentuosi. Così a metà giornata, dopo vari colpi di scena e le classifiche spesso ribaltate proprio negli ulti-mi minuti di gioco, si è giunti alla classifica finale che ha visto tra i vincitori del torneo maschile al primo posto Nino Neri con 379 punti, cui seguivano di stretta mi-sura Elio Rea al secondo posto, con appena 3 punti di scarto, e Francesco Carabillò al terzo posto; il torneo femminile è stato vinto da Rosy Gioè con 371 punti, se-guita da Irene Campagna, classifi-catasi al secondo posto, ed Elvira Piazza, giunta al terzo; infine il torneo juniores è stato vinto da Giulio Guarneri.

S

Un momento del torneo di Bowling alla Favorita di Palermo

La foto ricordo dei premiati del torneo femminile (al 1° posto Rosy Gioé, al 2° Irene Campagna e al 3° Elvira Piazza) e, in basso, di quello maschile (al 1° posto Nino Neri, al 2° Elio Rea e al 3° Francesco Carabillò)

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Ma, come dicevamo, i vincitori morali sono stati molto più numerosi, dato che nell’arco di qualche decina di punti si so-no piazzati molti concorrenti, dimostrando che torneo dopo torneo i nostri soci stanno dav-vero imparando a giocare a bo-wling e, come risultato di un momento di aggregazione e di divertimento, non c’è davvero male (a parte qualche articola-zione lasciata sul campo)! Dopo le premiazioni e l’assegnazione delle relative coppe, il gruppo si è spostato al vicino ristorante arabo Marra-kech per gustare un menù arabo a base di vari antipasti con pane azimo e coucous con carne di montone o di pollo o con verdu-

re, in un’atmosfera esotica (ben più della composta di frutta fina-le) che si accordava perfettamen-te con il nostro DNA di viaggiatori a zonzo per il mondo. Inutile dire che le cavallette nostrane si sono scatenate, in un clima di grande allegria, spazzolando le varie por-tate esotiche con notevole impe-gno, anche se molti soci di sesso maschile sarebbero ben presto rimasti distratti dalle conturbanti danze del ventre della giovane Elisa, in tema con l’esotismo del ristorante.

Ma prima della danza “uf-ficiale” della bravissima balleri-na, le signore presenti hanno a-vuto la sorpresa di vedere arriva-re, debitamente velata e ancheg-giante, una sagoma maschile che

Le classifiche finali

Torneo Maschile

Posto Socio Punti

1 Neri Antonino 379

2 Rea Elio 376

3 Carabillò Francesco 362

4 Karra Marcello 361

5 Pitré Giovanni 359

6 Campo Giuseppe 356

7 Messina Pietro 353

8 Bonsangue Francesco 344

9 Triolo Vincenzo 303

10 Guarneri Michelangelo 301

11 Amenta Emanuele 300

12 Campagna Sergio 294

12 Ferrara Emanuele 294

12 Ferreri Ippolito 294

15 Sideli Giangiacomo 287

16 Napoli Domenico 286

16 Parrino Vittorio 286

18 Parrino Giuseppe 278

19 Karra Maurizio 271

20 Inzerillo Pietro 256

20 Luca Maurizio 256

22 Carollo Giuseppe 232

23 Spadoni Giuseppe E. 208

24 Li Vigni Francesco 201

25 Oddo Marcello 200

26 Sideli Pietro 155

Torneo Femminile

Posto Socio Punti

1 Gioé Rosy 371

2 Campagna Irene 324

3 Piazza Elvira 292

4 Compagno Antonella 267

5 Bonsangue Gabriella 263

6 Carollo Melina 251

7 Tocco Giuseppina 236

8 Altea Sabina 234

9 Tumminello Anna 229

10 Carabillò Anna Maria 224

11 Costanza Rossella 210

12 Parrino Daniela 166

13 Martinis Elisabetta 159

14 Mangano Rosalba 156

15 Caristo Alida 142

Torneo Juniores

Posto Socio Punti

1 Guarneri Giulio 245

2 Parrino Willy 231

3 Ferrara Antonio 215

4 Parrino Giosè 197

5 Ferreri Francesca 170

Il vincitore del torneo juniores Giulio Guarneri, fra mamma Patrizia e papà Michelangelo, raggianti

Un’istantanea dei nostri soci al Marrakech, intenti a godersi le danze esotiche della bravissima ballerina Elisa

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IL CLUB n. 105 – pag. 18

si è dimenata per qualche attimo, svelando poi le sembianze del nostro Vittorio Parrino che, con grande ironia e simpatia, ha vo-luto cimentarsi in una personalis-sima versione di danza del ven-tre.

L’exploit di Vittorio Parrino, primo ballerino del Marrakech (a onor del vero fischiatissimo...)

E di questo le signore si sono dovute accontentare, men-tre tra gli uomini cresceva a di-smisura l’aspettativa per la sospi-ratissima danza del ventre fem-minile; così, quando pochi minuti dopo la musica araba si è diffusa nella sala e una conturbante figu-ra femminile velata ha cominciato a muoversi sensualmente, le ca-vallette di sesso maschile hanno abbandonato perfino il cibo nei piatti e tutti più o meno sono ri-masti ipnotizzati a fissare la vi-sione che di etereo aveva ben poco.

Tutti ugualmente hanno assistito con il fiato sospeso ai vari numeri di danza del ventre, splendidamente eseguiti dall’avvenente ballerina Elisa, no-stra vecchia conoscenza dall’anno scorso, mentre qualcuno ha se-riamente rischiato che le corona-rie, già provate dalla non più ver-de età, andassero in tilt, per non parlare della pressione sanguigna alle stelle e delle rotule seria-mente ipotecate – dopo il torneo di bowling – anche nel tentativo di ballare insieme all’affascinante ragazza alcuni scatenati e con-turbanti duetti.

E alla fine, quando anche gli applausi scroscianti si sono conclusi e si è giunti ai saluti, non è rimasto che darsi subito l’appuntamento per il prossimo anno, in attesa delle prossime

palle rotolanti e delle future dan-ze esotiche…

Mimma Ferrante e Maurizio Karra

Alcuni momenti di spensierata allegria al Marrakech

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IL CLUB n. 105 – pag. 19

Un week-end all’insegna del relax

La gita del 6 e 7 marzo alle Terme Acqua Pia di Montevago

mmaginate una giornata

invernale di quelle nelle quali prefe-riresti rimanere a casa al calduccio accanto al camino acceso. Avevamo lanciato nella bacheca riservata ai soci del Club un messaggio, “per il 6/7 marzo io e Rossella usciamo, chi vuole aderire si faccia avanti”. Le adesioni non si sono fatte atten-dere, una serie di telefonate ricevu-te, ed ecco che la meta scelta è stata le Terme delle Acque Pie di Montevago.

Alla partenza da Palermo già eravamo in tre camper, il cielo non prometteva bene, ma la voglia di trascorrere un fine settimana all’insegna del massimo relax è sta-ta più forte di qualsiasi altra preoc-cupazione. Le terme, situate nel territorio del Comune di Montevago (AG), come informa anche il loro sito web, si trovano nel cuore della valle solcata dal fiume Belice e go-dono quindi di una particolare e for-tunata collocazione geografica che le rende il luogo ideale per immer-gersi in una natura ricca di paesag-gi suggestivi e per regalarsi una pausa rigenerante per il corpo e per la mente. Aperte tutto l'anno, of-frono la possibilità di prendervi cura del vostro corpo sotto ogni aspetto, regalandovi un completo benessere psico-fisico. Le Terme Acqua Pia, infatti, offrono ai propri clienti la possibilità di sostare comodamente per più giorni all'interno del centro termale, grazie agli appartamenti limitrofi alla sorgente, circondati dagli agrumeti ed affiancati dal più recente borgo termale, raggiungibi-le a piedi tramite un suggestivo percorso campestre e costituito da tre ampie dimore affacciate sugli uliveti ed i vigneti circostanti. Inol-tre, il centro è dotato di un ampio parcheggio per i camper situato in un'area ricca di agrumeti.

La località termale d'Acqua Pia è un luogo ricco di storia e di tradizione che riconduce le proprie origini al seducente mondo del mi-to. Un'antica leggenda locale, infat-ti, narra la vicenda di due giovani pastori della Valle del Belice, Cinzio e Corinzia, i quali erano soliti ba-gnarsi presso la "Fonte Sacra", da cui sgorgavano, ininterrotte, le ac-que calde. Essi, un giorno, indossa-

rono le bianche vesti e discesero lungo il pendio ricoperto di ginestre che conduceva presso la sacra fon-te: celebrarono, così, un rito in onore di Venere, la quale donò loro bellezza ed immortalità, tramutan-do Cinzio in un fauno e Corinzia in una ninfa. A causa di questa antica leggenda, per molti secoli la fonte fu legata alla brama d'immortalità e fu chiamata "Fonte Sacra"; le popo-lazioni locali sfruttarono a lungo le proprietà benefiche di quelle calde acque, che sgorgavano dalla terra in mille rivoli e conferivano salute e bellezza ai bagnanti.

Come resistere, dunque, al fascino di ciò che, al nostro arrivo, si presentava davanti ai nostri oc-chi? Un semplice sguardo tra di noi, e ci siamo ritrovati tutti quanti in costume, ed a petto nudo, incuranti della pioggia che da lì a poco ci è cascata addosso, ma solo sulle no-stre teste: il resto del corpo era ormai immerso il quelle acque calde a circa 40 gradi di temperatura.

Dopo ore di immersione in acqua (nessuno di noi aveva il coraggio di uscirne fuori), final-mente “er macho” della compa-gnia (Enrico), come un eroe, u-

I

Alcuni nostri soci nell’area attrezzata delle Terme delle Acque Pie di Montevago e, in basso, in pieno relax ...a mollo in una vasca del com-plesso termale

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sciva dalla piscina e si indirizzava come un fulmine verso il proprio camper che preventivamente a-veva lasciato con la stufa accesa,

mentre tutti gli altri, quasi ...piangendo per il freddo che ci aspettava, seguivamo le orme dell’eroe.

Non vi dico l’effetto benefi-co provocato da quelle acque, ric-che di boro e fluoro, sul nostro cor-po. Tutti quanti, simili all’effetto che hanno i neonati dopo il bagnet-to, dopo avere consumato un lauto pasto, ci siamo addormentati a ronfare per quasi tre ore del pome-riggio. Al risveglio io ho trovato la mia Corinzia già pronta in costume per il bagno serale, e quindi dopo avere rimesso anch’io il mio costu-me, armati di ombrello per la scro-sciante pioggia che nel frattempo veniva giù, ci siamo recati nuova-mente in piscina.

La temperatura esterna, drasticamente abbassatasi sotto i limiti stagionali, e la pioggia che la faceva da padrona, non hanno fer-mato comunque la voglia di nessu-no di noi che, come in una bella giornata assolata, ci siamo avviati in costume, coperti da un semplice accappatoio, verso quella vasca fumante e paradisiaca.

Solo una di noi, a dispetto di coloro che tremolanti dal freddo s’incamminavano verso la meta, si presentava coperta abbondante-mente; Marily, infatti, appariva ai nostri occhi in costume, cuffia e – udite, udite! - calze di lana ai piedi! Non ho idea se è entrata in piscina con le calze, né mi sono permesso di chiedere. E che dire di Maurizio Luca che, in preda al freddo, uomo tutto d’un pezzo, alla vista di quella piscina che sprigionava vapore ac-queo verso il cielo turbolento, preso come da un miraggio, si cementava in un tuffo da guinnes dei primati. Ben presto lo stesso Maurizio si rendeva conto che gli mancava qualcosa: no, non il costume…; il tuffo in acqua l’aveva fatto con gli occhiali da vista sul naso, che all’impatto con l’acqua si erano persi all’interno della piscina.

Insomma una di quelle giornate indimenticabili che ci sia-mo imposti tutti quanti di bissare ritornando ancora alle terme. Io non conoscevo il luogo, ma ne sono rimasto profondamente colpito, sia per le bellezze del contesto, che per la professionalità dei gestori delle terme, che fanno onore alla nostra terra, spesso martoriata e ingiustamente disprezzata da colo-ro che non hanno ancora capito che la nostra Sicilia era considerata da-gli dei il paradiso terrestre.

Testo di Mimmo Romano

Foto di Nino Neri

In alto il getto di acque calde di una vasca termale. Nelle due foto in basso alcuni nostri soci nella grande piscina dove la calda temperatura dell’acqua faceva dimenticare quella esterna e la pioggia incessante

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Una scoperta inaspettata Non poteva esserci miglior inizio di primavera della gita del 20 e 21 marzo a Caltavuturo, nel parco delle Mado-nie, grazie all’accoglienza impeccabile dall’amministrazione e dell’ufficio turistico locale che ci ha permesso di esplorare le numerose e in parte inaspettate valenze artistiche, naturalistiche e … gastronomiche del territorio

apita spesso che

nell’esplorazione della nostra Sicilia ci ritroviamo davanti a piacevolis-sime scoperte frutto del nostro pa-ziente girovagare attraverso le mil-le realtà parallele che costituiscono la nostra multiforme isola. E’ suc-cesso in realtà tante volte, e così è stato anche nel corso del raduno organizzato dal Club tra il 20 il 21 marzo a Caltavuturo, cittadina del Parco delle Madonie, che ci ha ac-colto con un’ospitalità e un’organizzazione così accurata da lasciarci senza parole per la grati-

tudine, al punto che all’indomani del raduno il nostro presidente ha sentito il bisogno, confermato an-che da numerosi partecipanti, di inviare all’ufficio turistico del co-mune della cittadina una lettera formale di ringraziamento a fronte di tanto impegno. Ma andiamo per ordine: l’appuntamento per i nostri soci era per la mattina di sabato 21 marzo presso il parcheggio dell’anfiteatro, riservatoci gentil-mente dal comune, dove ci atten-devano per darci il benvenuto al-cuni componenti dell’ufficio turisti-

co guidati dalla signora Concetta Messina, che nei giorni precedenti aveva tenuto i contatti con noi per l’organizzazione in loco della no-stra gita. Dopo i saluti di rito è ini-ziata già nella tarda mattinata una prima veloce esplorazione a piccoli gruppi del centro di Caltavuturo e, in particolare, dei numerosi giaci-menti gastronomici del territorio, che ha visto le cavallette BdS im-pegnate negli acquisti del pane an-cora caldo, dei biscotti artigianali, dell’ottima carne locale, della ricot-ta, dei formaggi… e via mangian-do. Dopo il sacrosanto rito del pranzo tutto il nostro gruppo, composto da oltre cinquanta soci, si è spostato davanti al comune dove ci attendevano le nostre gui-de per andare alla scoperta del percorso monumentale della citta-dina, situata a 630 metri di altitu-dine su un panorama di vallate e di colline di grande bellezza pae-saggistica.

Il nome Caltavuturo deriva probabilmente da kalaat-abi-tur, cioè castello di Abi Tur, dal nome del condottiero saraceno che pro-prio da queste parti combatté con-tro i bizantini nel corso del IX se-colo una sanguinosa battaglia vol-ta alla conquista della Sicilia. L’abitato originario, passato poi sotto il dominio dei normanni pri-ma e degli aragonesi poi, si trova-va in una zona denominata Terra-vecchia, situata su una collina che sovrasta la cittadina attuale, nella quale gli abitanti si trasferirono pian piano a partire dal ‘500 per mancanza di acqua e di spazio nel sito originario. Ma in tutta la zona circostante vi sono tracce di fre-quentazioni umane ben più anti-che, come nel dirimpettaio Monte Riparato dove sono stata trovate tracce di un insediamento ellenico, insieme a reperti di grande valore, come il piatto d’oro massiccio, de-nominato phiale aurea, dapprima trafugato illegalmente dall’Italia e recentemente restituito dagli Stati Uniti dove era stato incautamente acquistato. Dopo il trasferimento degli abitanti nell’abitato attuale, il nuo-

C

I nostri soci davanti al parcheggio dell’Anfiteatro di Caltavuturo In basso all’interno della Chiesa della Badia

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vo paese venne arricchito da nu-merose chiese e palazzi nobiliari, in buona parte edificati con pietre e altro materiale di recupero prove-nienti da Terravecchia, oltre ad es-sere ornati da opere che in origine erano custodite nelle chiese abban-donate della città vecchia. Quindi, in un certo senso, il vecchio abitato ha continuato a vivere nel nuovo, con uno stratificarsi di pietre, ma anche di tradizioni, che ne fanno un unicum storico. A questo proposito recentemente è stata trovata un’antica mappa cinquecentesca che mostra i due borghi uno sull’alto della collina e l’altro ai suoi piedi, ancora in espansione.

Le nostre esplorazioni han-no preso il via attraverso strade ac-ciottolate in pendenza che ci hanno condotto ad ammirare dapprima la chiesa della Badia, dedicata a Santa Maia la Nuova, autentico gioiello barocco che spicca per gli stucchi candidi che ne ornano le pareti, poi la chiesa di Sant’Agostino e quindi la Chiesa Madre, intitolata ai Santi Pietro e Paolo, che custodisce un monumentale organo in legno del Seicento, oltre ad una Madonna at-tribuita a Francesco Laurana e a due tele di scuola fiamminga che raffigurano l’Adorazione dei Magi e la Deposizione.

Il giro è poi continuato fi-no a Piazza San Francesco, dove si innalza la chiesa di Santa Maria di Gesù con un pregevole crocifis-so di Fra’ Umile da Petralia e una cappelletta di gusto neoromantico, e il Convento dei Frati Minori Ri-formati che ospita il Museo Civico; al suo interno è conservata una sezione di arte sacra che mette in mostra numerosi santini, una se-zione geologica e una sezione de-

dicata ai pupi palermitani, in cui si possono ammirare i classici pala-dini di Carlo Magno, ma anche i pupi che incarnano le storie di Tri-stano ed Isotta, della passione di Cristo e delle tragiche vicende di Peppino Impastato, che fanno parte del repertorio dell’attiguo Teatro dei Pupi cittadino, associa-zione culturale presieduta da An-gelo Sicilia. Alla fine del giro pomeri-diano lo stupore serpeggiava or-mai tra i presenti, sorpresi dalla mole di tesori nascosti tra le pie-ghe di un “qualunque” paesino dell’entroterra siciliano, in grado una volta di più di stupire i visita-tori per la ricchezza delle cose da ammirare, rese perfettamente fruibili dalla passione delle guide messe a nostra disposizione. Ma a questo punto le cavallette, celate nell’animo e nelle panze dei par-tecipanti, scalpitavano per venire allo scoperto dopo tanta cultura; e il posto giusto per mettere in atto questa ormai consolidata meta-morfosi era il vicino ristorante “Al-ter ego”, dove i presenti hanno messo in moto le agguerrite man-dibole divorando ottime pizze o i gustosi piatti del menù di San Giuseppe, tipici del periodo, in un alternarsi di verdure in pastella, baccalà, paste, arrosti misti e dol-ci con miele e ricotta, spazzolati a tempo di record. Dopo un riposo notturno reso più laborioso dalle panze stracolme, la mattina della dome-nica i nostri soci, utilizzando dei pulmini messi a disposizione dal comune, si sono diretti in compa-

L’antica mappa di Caltavuturo, con in alto Terravecchia

La phiale aurea rinvenuta nell’area archeologica ellenica di Monte Ri-parato, proprio di fronte a Terravecchia, ora conservata nell’antiqua-rium di Himera

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gnia delle guide verso le pendici della zona di Terravecchia, sospesa su una collina immersa nel verde. Ovviamente parte del percorso era da effettuare a piedi, attraverso la contrada dei mannari, antichi rico-veri per pecore e capre, incasellati dai muretti a secco, dove i pastori eseguivano il ciclo della lavorazio-ne del latte per ricavarne formaggi e ricotta, recentemente recuperati per renderli fruibili come tangibile testimonianza della civiltà pastori-zia locale. Da qui, in uno scenario ol-tremodo suggestivo scandito dal verde dei prati circostanti e dai resti della città vecchia che emer-gevano dalla vegetazione, è ini-ziata la scalata verso Terravec-chia, al cui culmine emergono or-mai soltanto i ruderi di quella che una volta era una città, con le scarse rovine del castello e della vecchia Chiesa Madre intitolata a San Bartolomeo, oltre a tracce di alcuni dammusi, ad un fortino dell’VIII secolo e ad una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Ma il contesto naturalistico era ve-ramente tutto da godere; tutto questo in mezzo a un’aria salubre e profumata, di una vegetazione che rimandava a mille toni di ver-de e agli ampi scenari circostanti, dalla vallata dei mulini di Scillato al blu del mare sullo sfondo alle terme di Sclafani Bagni dalla parte opposta: E le nostre cavallette sono nuovamente uscite allo sco-perto, cominciando a raccogliere finocchietti e verdure varie da ca-lare in pentola, in un mix di cultu-ra a 360 gradi che incorpora an-che la gastronomia. Con queste premesse non potevano non essere accolte con grande soddisfazione le tappe se-guenti del giro mattutino, con la visita dapprima di un’azienda agri-cola della lavorazione del miele, con un’interessante spiegazione sull’organizzazione sociale delle api e del ciclo del miele, seguita da una golosa degustazione; e poi del Caseificio San Giovanni, dove le cavallette hanno fatto i dovuti as-saggi e poi acquistato ricotta e formaggi vari.

E’ seguito poi il ritorno all’accampamento per il pranzo domenicale, mentre nel primo po-meriggio era previsto uno spetta-colo dei pupi che, data la vicinanza della Pasqua, consisteva in una commovente e del tutto inusuale rappresentazione della Passione di

Due momenti dell’escursione all’area archeologica medievale di Terra-vecchia, abbandonata pian piano a partire dal ‘500 dagli abitanti che riedificarono il paese più a valle spesso “smontando” pietra su pietra i precedenti edifici sacri e civili

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Cristo, a testimonianza di come questo antico teatro popolare pos-sa rivivere di vita propria, “rein-ventandosi” grazie a numerosi filo-ni narrativi, mai sperimentati al tempo dei nostri antenati.

All’uscita della rappresen-tazione, toccante e davvero diver-sa rispetto alle tradizionali batta-glie epiche di paladini e saraceni, un’ultima sorpresa attendeva i presenti in piazza San Francesco, dato che il Gruppo Folcloristico lo-cale ha messo in scena apposita-mente per noi uno spettacolo di danze e canti popolari siciliani gra-zie a una trentina fra ballerini, mu-sicisti e cantati, al punto da coin-volgere anche alcuni dei nostri in danze scatenate.

L’altare maggiore della chiesa della Badia, uno dei tesori artistici che abbiamo potuto ammirare nel cor-so della visita di Caltavuturo

Ed è stato questo l’ultimo frammento di un fine-settimana riuscito magnificamente, tra i tesori artistici, naturalistici e gastronomici della cittadina di Caltavuturo, cui va il nostro doveroso grazie per un’ac-coglienza e un’ospitalità davvero straordinarie e che andrebbero pre-si ad esempio da parte di tutte le amministrazioni, soprattutto in una regione come la Sicilia in cui tutti, spesso solo a parole, sono convinti che sul turismo si debbano puntare le migliori carte per ottenere il mi-gliore riscatto socio-economico.

Testo di Mimma Ferrante Foto di Maurizio Karra

I nostri soci mentre seguono le spiegazioni sul ciclo del miele dal pro-prietario di un’azienda agricola vicina a Caltavuturo, Nelle altre foto la scena finale della Passione di Cristo rappresentata dal Museo dell’Opera dei Pupi Siciliani delle Madonie diretto da Angelo Scalia e un momento dello spettacolo di danze folcloristiche in Piazza San Francesco con cui il comune di Caltavuturo ci ha dato l’arrivederci

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IL CLUB n. 105 – pag. 25

Le nostre bambine Dopo gli aggiornamenti su Annie Classerine e Clarisse Rafara pubblicati sul precedente nu-mero del nostro bimestrale, ecco adesso le ultime notizie forniteci dalla Comunità di Sant’Egidio su su Olive N. la terza bambina adottata a distanza dal nostro Club

ome già pubblicato

nello scorso numero del nostro bimestrale, il 19 gennaio u.sc. abbiamo effettuato in favore della Comunità di Sant’Egidio di Roma i tre bonifici di 312 euro ciascuno per garantire l’adozione a distan-za delle nostre tre bambine per tutto il 2010.

Di due di esse, ambedue del Madagascar, Marina Vecchio (della Segreteria Adozioni della Comunità di Sant’Egidio) ci ha immediatamente fornito le notizie che vi abbiamo già dato nel nu-mero 104 de IL CLUB. Ecco ades-so le informazioni aggiornate che ci sono giunte su Olive N. del Ruanda, la nostra terza bambina.

Olive N. Olive gode di buona salu-

te. Frequenta regolarmente la scuola presso la Creche Amizero, dove trascorre gran parte della giornata e riceve una ricca ali-mentazione.

La piccola Olive, la terza bambina adottata a distanza dal nostro Club

I responsabili del centro Amizero, presso cui la Comunità

di Sant’Egidio sostiene i bambini adottati a distanza, ci hanno pre-gato di porgere ad ognuno dei “genitori adottivi” un ringrazia-mento particolare per il sostegno fedele ricevuto in questi anni che ha contribuito a migliorare consi-derevolmente la vita dei bambini.

Il contributo dell'adozione ha permesso il pagamento delle spese scolastiche, come la retta, l’uniforme e il materiale didattico. Mentre i bambini adottati a di-stanza che non sono ancora in età scolare frequentano una pre-scuola, con delle educatrici quali-ficate, dove possono giocare, svolgere esercizi psico-motori e numerose altre attività.

Tutti i bambini beneficia-no di due pasti abbondanti al giorno, oltre che di un sostegno alimentare che viene fornito re-golarmente anche alle famiglie. L'adozione a distanza garantisce inoltre ai bambini e ai loro fami-liari un'assicurazione sanitaria, oltre alla fornitura di medicine al bisogno.

Va detto anche che molti genitori dei bambini adottati a distanza nella comunità di Olive, fra cui proprio quelli della nostra

bambina, sono analfabeti; per questo è stato organizzato per loroo un corso di alfabetizzazione nei week-end. La famiglia di Olive e le altre famiglie dei bambini adottati a distanza salutano con affetto e ringraziano per questo aiuto.

Ricordiamo sempre che chi volesse contribuire al soste-gno delle nostre bambine può operare un bonifico sul c/c inte-stato al Club Plein Air BdS - Progetto adozioni a distanza presso l’agenzia Ruggero Settimo B del Banco di Sicilia di Paler-mo, sulle seguenti coordinate bancarie:

IT 66 E 01020 04699 000300563557

I fondi raccolti sono utilizzati e-sclusivamente a tale scopo con versamenti regolari in favore della Comunità di Sant’Egidio, nostra partner nell’ambito del progetto.

C

Olive insieme agli altri bambini adottati a distanza alla Creche Amizero in Ruanda

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IL CLUB n. 105 – pag. 26

Camper service: chi l’ha visto?

Se non sempre è facile trovare aree attrezzate e camper service realizzati da privati e Co-muni, ancora più difficile è fermarsi in un’area di servizio autostradale e poter fare carico e scarico delle acque. Eppure una norma per dotare tutte le aree autostradali di camper ser-vice esiste da tempo. Vediamo di analizzare la situazione

romocamp, l’Associa-

zione che riunisce gli imprenditori e gli operatori del turismo all’aria a-perta, assieme a Legambiente Turi-smo, iniziò nel settembre del 2003 la “Campagna nazionale per la sicu-rezza e l’accoglienza del turismo iti-nerante”, a partire dalle aree di ser-vizio delle Autostrade, campagna che poi si è allargata a tutte le aree di distribuzione carburanti della no-stra rete stradale, aventi i requisiti previsti dal D.P.R. 610/1996 (ob-bligatorietà del camper service). All’inizio del 2004 ci fu un incontro con la Società Autostrade per l’Italia (ASPI), ed in particolare con il Responsabile nazionale delle a-ree di servizio dott. Lorenzo Lo Presti ed i suoi collaboratori, nella quale occasione la Società si as-sunse l’impegno di richiedere alle nuove concessioni l’obbligatorietà degli “impianti igienico-sanitari, destinati ad accogliere i residui or-ganici e le acque chiare e luride raccolti negli impianti interni delle autocaravan” (i cosiddetti camper service), da realizzare in 5/6 anni.

Dalle comunicazioni avute in seguito e dalle verifiche fatte, la Società Autostrade ha proceduto a dar seguito agli impegni, che si sono tradotti nella realizzazione di 6 nuovi spazi attrezzati per camper già entro il 2004, altri 9 nel 2005, poi ancora altri 11 nel 2006, e via via altri ancora negli anni successi-vi, per un totale a oggi di 116 im-pianti di smaltimento e rifornimen-to operativi nelle 216 aree di servi-zio ASPI. Certo, si dirà, ma esiste-va dal 1996 un D.P.R. che lo im-poneva! State pur certi che se non ci fosse stata questa azione pres-sante, gli appoggi di Legambiente Turismo e di tutte le associazioni di camperisti, saremmo ancora a lot-tare per ottenere qualche singolo servizio.

Nei confronti della Società Autostrade per l’Italia ci sono stati comunque altri interventi per inco-raggiarla ulteriormente ad andare avanti, dato che il totale delle aree di servizio della rete ASPI è, come

dicevamo, di 216; analogamente è stata sollecitata anche l’AISCAT, che raggruppa tutte le società di gestione delle altre autostrade non facenti parte della rete gestita dalla Società Autostrade per l’Italia, a re-alizzare quanto previsto dal D.P.R. anche nel resto della rete: ebbene, oggi ci sono solo 11 camper service nelle 266 aree di servizio autostra-dali AISCAT. Così come sono state sollecitate tutte le Società di ge-stione delle autostrade di richiedere ai concessionari, o a provvedervi direttamente, la sorveglianza e ma-nutenzione permanente di questi impianti, pena il degrado e l’inutilizzo degli stessi, come pur-troppo avviene spesso oggi. Nonché una maggiore attenzione al loro po-sizionamento, in modo che siano protetti dai percorsi dei TIR, che spesso sostano davanti o che sfrec-ciano, passando vicino o addirittura sopra, recando danni e creando oc-casioni di pericolo per i camperisti e le loro famiglie.

Un’area di servizio autostradale italiana dotata di camper service

Promocamp ha anche af-frontato il problema della applica-zione del D.P.R. anche nelle aree di servizio carburanti al di fuori delle autostrade. Quelle aventi i requisiti stabiliti (10.000 mq. di superficie e ristorazione o officina) sono qui circa 3.000 (su un totale di 22.000), ma solo una decina è dotata di un camper service. Un grande obiettivo quindi, è quello di aumentare considerevolmente tale numero, cosa molto più difficile e complessa per la molteplicità di competenze, divise tra Anas, Re-

gioni, Province e Comuni. L’Asso-ciazione ha coinvolto, a questo pro-posito, oltre all’Anas (che fa la pre-istruttoria per la concessione delle autorizzazioni), tutte le Regioni, tutte le Province e 507 Comuni, che le rilasciano, chiedendo loro: a) di recepire nella Regolamenta-

zione regionale di indirizzo per il rilascio dell’autorizzazione di tali aree, le norme del D.P.R., così come di introdurre questi obbli-ghi nei Regolamenti Comunali e Provinciali, fornendo delle pro-poste precise di integrazione ai regolamenti esistenti;

b) di richiedere comunque, nelle more del recepimento della normativa, come condizione del rilascio delle autorizzazioni in corso, la realizzazione del camper service;

c) di intervenire sull’esistente per richiedere, entro un preciso periodo di tempo, di adeguare l’area agli obblighi di legge;

d) di prevedere la manutenzione permanente dei servizi, oltre a sanzioni per chi non ottempera.

Quali i risultati? Tre Regioni (Veneto, Toscana, Emilia-Romagna) hanno dato risposte positive e si sono assunte l’impegno di procede-re, molte Province e Comuni hanno dato segnali di interesse. Dalle veri-fiche effettuate, i camper service nelle aree di servizio carburanti so-no aumentati a circa 30 unità (ap-pena l’1% delle aree interessate); certamente i meccanismi automatici (Regolamenti) produrranno nei pros-simi anni altri risultati, man mano che procederanno la ristrutturazione e la costruzione delle aree di servi-zio: siamo però ancora ad una situa-zione molto insoddisfacente!

Da parte di Promocamp è stata quindi messa in atto una se-conda Campagna di sensibilizza-zione dell’Anas, Regioni, Province e Comuni, che ha coinvolto il Mini-stero del Turismo, per realizzare una rete di accoglienza nazionale per il turismo itinerante, di cui na-turalmente questo sistema di ser-vizi è parte integrante. Forse non siamo soli in questa battaglia!

P

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IL CLUB n. 105 – pag. 27

Bivani su ruote Un semintegrale di classe, comodo, veloce e anche dall’ottimo prezzo

dria è, come tutti san-

no, un marchio storico del pano-rama europeo del pleinair; per lungo tempo produttore di roulotte che hanno invaso tutti i Paesi del vecchio continente, negli ultimi anni ha sempre più intensificato la produzione di veicoli a motore, ac-crescendone la gamma conte-stualmente alla qualità costruttiva, puntando sempre più all’eleganza degli arredi interni e dotando i vari veicoli, e in particolare quelli di gamma alta come la linea Coral, di una componentistica davvero all’avanguardia, pur riuscendo a tenere sempre compatibili con le esigenze delle famiglie i prezzi dei

mezzi prodotti. La linea Coral, in particolare, si è anche arricchita di modelli interessanti e vari come il semintegrale che vogliamo pre-sentarvi in questa scheda: il Coral S690 SP. Si tratta di un veicolo stu-diato nei minimi dettagli, con di-mensioni generose (7,36 metri), vasti spazi interni ed esterni per lo stivaggio, una meccanica al top come il Ducato Fiat 3.0 da 160 ca-valli, una carrozzeria che si può richiedere sia di colore bianco che di colore silver; un mezzo confor-tevole ed estremamente luminoso grazie alle ampie finestrature late-rali e ai grandi oblò del tetto, strut-

turalmente suddiviso in un’area giorno e in un’area notte separate da una porta, come se ci trovassi-mo in un bivani su ruote. L’ampia zona living anterio-re, che sfrutta anche le poltrone gi-revoli della cabina, precede al centro l’area di lavoro, con il lavello e il pia-no cottura dietro la dinette e, dalla parte opposta, il frigo da 150 litri e la porta di accesso al bagnetto, nel quale ritroviamo lavello e wc.

Una porta con vetro infran-gibile decorato immette a sua volta nella camera da letto posteriore, così del tutto separata dal resto della cellula abitativa, e qui trovia-mo il letto matrimoniale ad isola, il

A

Adria Coral S690 SP

Tipologia: semintegrale Meccanica: Fiat Ducato 3.0 da

160 cav. (opt. 2.3 da 130 cv) Lunghezza: m. 7,36 Larghezza: m. 2,30 Altezza: m. 2,78 Posti omologati: n. 5 Posti letto: n. 4 (1 matrimoniale

a isola in coda + 1 matrimoniale ottenibile da trasformazione del-la dinette centrale)

Serbatoio acque chiare: l. 110 Serbatoio acque grigie: l. 85 WC: kasset l. 18 Riscaldamento e boiler: sistema

integrato a gas Truma Combi 4 Frigorifero: trivalente l. 150 Cucina: piano cottura 3 fuochi,

forno a gas e cappa aspirante Oblò: 2 cm. 90x60 + 2 cm. 40x40 Prezzo: € 55.000

L’esterno del semintegrale dell’Adria.

In basso l’elegante zona living anteriore

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doppio armadio ai due lati della te-stiera e tre pensili al centro. Su un angolo di questa camera è allocata la colonna doccia, a cui si ha ac-cesso tramite una porta tonda scorrevole.

In alto il vano bagnetto; in basso

la cabina doccia, a se stante, con

accesso diretto dalla camera da

letto mediante porta scorrevole

Come si può notare anche dalle immagini, ci troviamo in pre-senza di un bel semintegrale, per-fetto per la coppia, davvero fun-zionale, completo di tutto e davve-ro elegante. Il tutto a un prezzo davvero eccezionale: 55.000 euro!

Maurizio Karra

In alto la porta che divide la zona giorno dalla zona notte; si notino a

destra l’angolo cucina e a destra la porta di accesso al bagnetto. In

basso la camera da letto posteriore con letto matrimoniale ad isola

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IL CLUB n. 105 – pag. 30

Con un prezzo così... Un mansardato per famiglia a prezzi da discount

n periodo di crisi ogni

azione volta a contrastarla è sem-pre benvenuta. Questo vale in ogni settore, e ovviamente anche in quello della produzione di veicoli ricreazionali che, per logica, non sono certo da considerare beni es-senziali. Questo ha condotto anche alcune delle case costruttrici di mezzi di alta gamma, come Gotti Line, a configurare linee di prodot-to entry-level per poter affiancare ai veicoli di medio e alto target an-che veicoli di prezzo più abbordabi-le per venire incontro a un pubbli-co magari più giovane e meno propenso a investimenti di rilievo.

Questo Ilusion I 630 (un po’ come tutti i mezzi di questa nuova linea creata con un marchio ad hoc nell’ambito della produzio-ne 2010) è proprio un esempio di questa filosofia e riflette assai be-ne anche la capacità di questo produttore di provare a immettere sul mercato proposte interessanti a prezzi assolutamente concorren-ziali rispetto anche all’usato di qualche anno. Parliamo, infatti, di una mansardato di medie dimen-sioni (meno di sei metri e mezzo) con la più classica delle disposi-zioni interne, con dinette doppia davanti, vano toilette comunque con doccia separata alle spalle,

letto a castello posteriore, armadio e piano cucina con frigo basso da 100 litri sul lato destro, accanto alla porta di ingresso. Tutto questo a un prezzo - che potremmo defi-nire da discount - di appena 35.900 euro, anche interamente rateizzabili, sostanzialmente simile al prezzo di un buon usato di 4-5 anni di fascia media. Come si ottengono i ri-sparmi e quindi lo stimolo all’acquisto, con meno di 36.000 euro, di un camper nuovo da 4 po-sti comodi? Diciamo subito che non manca nulla di essenziale, ma è chiaro che si fa a meno di alcuni componenti e di accessori più co-stosi. A partire dalla meccanica, che è il Fiat Ducato seppur a car-reggiata posteriore allargata, ma nella versione da 2.2 litri e da 100

I Ilusion I 630

Tipologia: mansardato Meccanica: Fiat Ducato 2.2 100 cav. Lunghezza: m. 6,36 Larghezza: m. 2,33 Altezza: m. 3,05 Posti omologati: n. 6 Posti letto: n. 4 (1 matrimoniale

in mansarda + 1 matrimoniale ottenibile da trasformazione della dinette centrale + 2 sin-goli a castello posteriori)

Serbatoio acque chiare: l. 100 Serbatoio acque grigie: l. 100 WC: kasset l. 18 Riscaldamento e boiler: sistema

integrato a gas Truma Combi 4 Frigorifero: trivalente l. 100 Cucina: piano cottura 3 fuochi, Oblò: 1 cm. 70x50 + 1 cm.

40x40 + aeratore in bagno Prezzo: € 35.900

L’esterno dell’Ilusion I 630, veicolo di fascia entry level prodotto da GiottiLine. In basso la dinette anteriore

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cavalli, certamente meno potente di quella da 2.3 litri e da 130 ca-valli (ma il mezzo se lo può anche permettere viste le dimensioni, e in alternativa può essere scelta an-che la seconda motorizzazione). Per continuare con le finestre, che non sono quelle a filo Seitz di ulti-ma generazione. Per finire con il mobilio che, seppur gradevole e funzionale, non è di qualità simile a quello dei mezzi di fascia supe-riore. Ma vi sono punti chiari sui quali il costruttore non intende de-rogare: la qualità della scocca, per esempio, è garantita dalla vetrore-sina e da uno spessore di 70 mm. al pavimento e di 35 alle pareti e al tetto. Analogamente, la qualità del riposo è garantita dalle reti dei letti con doghe di legno; e il vano doccia è separato dal resto del ba-gnetto da una porta rigida; così come la luminosità interna accre-sciuta dal maxi-oblò a tetto sulla zona giorno: elementi, questi, tipi-ci di tanti mezzi di qualità certa-mente superiore.

Un particolare dei letti a castello posteriori

Insomma, davvero una pro-posta molto interessante e un rap-porto qualità-prezzo incredibilmente vantaggioso per l’acquirente, soprat-tutto se si tratta di una giovane cop-pia con due bambini che vuole affac-ciarsi al mondo del camperismo ac-quistando un mezzo comunque nuo-vo e non usato!

Maurizio Karra

Una panoramica della parte posteriore vista dalla porta di ingresso In basso il comodo bagnetto con vano doccia separato

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Di piazza in piazza In Boemia fra le scenografiche architetture barocche delle città, famose per le grandiose piazze che le contraddistinguono, e i grandiosi castelli circondati da una natura incontaminata

a Boemia, la regione

più occidentale della Repubblica Ceca, è terra di fortezze (hrad), costruite a protezione delle vie commerciali tra il Mediterraneo e le Alpi da un lato e i Paesi slavi e baltici dall’altro, oltre che terra di residenze principesche (zamek) che i nobili boemi fecero costruire dal ‘200 fino all’800. Ma è anche la nazione dove ogni città gareggia con le altre per la magnificenza delle proprie piazze e degli edifici barocchi dalle famose facciate co-lore pastello che ne delimitano il perimetro. Per questo uno dei viaggi più belli che si può fare alla scoperta della nostra vecchia Eu-ropa passa proprio da qui, in quel-la terra dove la cultura mitteleuro-pea unita alle radici slave della po-polazione ha dato certamente il meglio e dove un’accurata opera di restauro avviata subito dopo la ca-duta del Muro di Berlino e la fine della dominazione sovietica ha consentito di ridare lustro a una delle più belle nazioni del vecchio continente.

I castelli della Boemia meridionale

Il biglietto da visita ideale per comprendere le bellezze di questa terra è sicuramente perce-pibile fin dalla cittadina di Cesky Krumlov, prima tappa di questo nostro itinerario, situata qualche chilometro a nord del confine con l’Austria: questo splendido borgo di epoca duecentesca, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, è infatti in grado di irretire fin dal primo sguardo, disteso com’è tra le anse della Moldava con un effetto alta-mente scenografico. In effetti il fiume gira tre volte su se stesso per bagnare il centro cittadino, dando vita a numerosi scorci di grande bellezza che si possono go-dere dai vari pontincelli in legno che lo scavalcano. Nel cuore dell’abitato si trova il quartiere di Latran, forse il più antico del bor-go, scandito da stradine lastricate sulle quali si affacciano i prospetti di abitazioni dai caldi colori pastel-lo con variopinti negozi di artigia-

nato, cristalleria e gioielleria; da qui, attraverso numerosi scorci e prospettive è visibile la Torre rossa del Castello dei Rosemberg, che marchia con il suo caratteristico profilo tutta la cittadina.

In effetti il castello domina dall’alto il borgo fin dal XIII secolo, anche se il complesso venne ma-gnificamente rimaneggiato fino al XVIII secolo: vi si accede attraver-so i patii affrescati con lo stemma dei Rosemberg (una rosa a cinque punte che si ritrova ad ogni angolo della cittadina) passando accanto

ad un fossato che anche ai giorni nostri ospita una coppia di orsi, a-nimale simbolo della famiglia. Al suo interno si susseguono opulente sale di rappresentanza, la magnifica carrozza dorata usata soltanto una volta per portare doni al Papa, le ricchissime camere da letto con an-nessi spogliatoi e toilettes, il teatro e infine la magnifica Sala delle Ma-schere risalente al 1748 in cui sono raffigurate maschere di ogni gene-re che corrono lungo tutte le pare-ti, in un tripudio di colore e di alle-gria.

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Panorama di Cesky Krumlov con, a destra, il castello dei Rosemberg; in basso uno dei sontuosi interni

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La discesa verso il borgo avviene in mezzo a vetrine scintil-lanti per l’esposizione di cristallerie e di bellissimi gioielli con granati; si giunge così alla piazza principale della cittadina, la Namesti Svorno-sti, su cui si affaccia il municipio, oltre a varie facciate di costruzioni nobiliari; nei pressi si innalzano la chiesa di San Vito, di impronta go-tica, e i settecenteschi palazzi con le facciate affrescate con i temi più disparati, come quella con le finte finestre cui si affacciano uomini, donne e perfino una scimmia!

Se questa prima tappa in terra boema è già in grado di forni-re una chiave di lettura di quello che sarà il nostro itinerario da queste parti, spostandosi lungo la statale 3 di pochi chilometri si rag-giunge la vicina Ceske Budejovi-ce. Una grande piazza quadrata di 133 metri per lato rende famoso il centro storico della città; qui si in-nalza la Torre Nera, campanile iso-lato della vicina chiesa di San Nico-la, oltre alla sagoma del settecen-tesco Municipio e alle alte facciate color pastello delle case, arricchite da fregi e caratterizzate dai portici, sotto i quali si snoda un insieme di negozi di artigianato dove sono in mostra porcellane, cristallerie e gioielli che, grazie agli ottimi prez-zi, invogliano decisamente agli ac-quisti.

Il fulcro della grandiosa piazza è dato dalla settecentesca fontana monumentale di Sansone, nei pressi della quale è possibile vedere la cosiddetta pietra errante, una pietra pentaedrica su cui è in-cisa una croce che è incastrata nel

pavimento della piazza; indica il luogo in cui nel 1478 furono giusti-ziati dieci giovani, accusati di con-giura e di omicidio, e la leggenda vuole che chi passa sopra la pietra dopo le nove di sera sia destinato a smarrirsi lungo le vie cittadine. A destra della piazza si innalza poi il complesso dell’ex convento dome-nicano, con la chiesa della Presen-tazione della Vergine, accanto alla quale si trova il Magazzino del sale che ha ospitato fin dall’inizio del ‘500 il prezioso minerale, mentre nelle vicinanze si trova l’antico edi-ficio della macelleria, ai giorni no-stri sede della birreria cittadina più famosa (questa birra era così ap-prezzata anche nei secoli passati che Ferdinando I la faceva portare regolarmente alla sua corte).

Una breve deviazione lun-

go la statale 105 consente da qui di raggiungere Hlublokà, cittadina dominata dal suo imponente ca-stello. Il maniero, di origine me-dievale, è una tappa da non per-dere, anche se è stato rimaneggia-to ben tre volte, la prima nel pe-riodo rinascimentale, la seconda nel periodo barocco e la terza nell’800, allorquando rinacque in puro stile neogotico ad imitazione del castello di Windsor, con pinna-coli, torri, splendide vetrate isto-riate e trofei di caccia. E’ sempre dell’800 la ristrutturazione dell’interno, dove ancora oggi si può ammirare una teoria di splen-dide sale totalmente arredate e impreziosite da arazzi, quadri, porcellane e incredibili mobili in-tarsiati. Spiccano tra le altre la Sa-la della Lettura, illuminata da me-ravigliose finestre istoriate con scene sacre, la Biblioteca che con-tiene migliaia di volumi, la Sala delle Armi e i diversi saloni di rap-presentanza, all’interno dei quali risaltano anche splendide collezioni di porcellane e di cristalleria. Inol-tre il castello si trova all’interno di un parco in stile inglese con vario-pinti roseti e serre anch’esse in sti-le neogotico.

La statale 34 consente quindi di raggiungere Trebon, cit-tadina duecentesca che in origine era circondata da una vasta palu-de, trasformata grazie ad una no-tevole opera di sistemazione idrau-lica in una distesa di stagni per vo-lontà dei castellani, gli onnipresenti Rosenberg, già incontrati a Cesky Krumlov. Ancora oggi il paesaggio è scandito da questi suggestivi specchi d’acqua, usati come sia

La piazza centrale (Namesti Svornosti) di Ceske Budejovice

Un salone del castello di Hlublokà

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come riserve di pesci, che per sco-pi curativi, grazie agli strati di fan-go che vi si formano e che hanno capacità terapeutiche.

Il fulcro dell’abitato si sno-da attorno alla vasta piazza Masa-rik, su cui si innalza una fontana cinquecentesca e la colonna della Vergine di fine ‘700, e sulla quale si affacciano la cosiddetta casa del cavallino bianco, di impronta rina-scimentale, il cinquecentesco Muni-cipio, sorvegliato da un’alta torre, e un insieme di case dalle facciate multi-colore arricchite da fregi e affreschi. Sempre dalla stessa piazza si penetra nei cortili che intro-ducono al castello, anche questo ap-partenente ai Ro-senberg, risistema-to tra il ‘400 e il ‘500, di cui si nota-no i patii decorati, il portale seicentesco, lo scalone d’onore e la fontana prospi-ciente, con due te-ste di turchi attac-cati da un corvo, uno dei simboli del-la nobiltà ceca, in ricordo della caccia-ta dei turchi nel pe-riodo in cui l’espansionismo ot-tomano era arrivato fin qui.

Proseguen-do lungo la statale 34 raggiungiamo Jindrichuv Hra-dec, anch’essa cit-tadina di origini duecentesche, so-spesa scenografi-camente tra il fiume Nezarka e la coppia di laghi Vaigar. An-che qui il cuore dell’abitato si allar-ga in una vasta piazza, su cui si in-nalza la settecentesca Colonna della Trinità e su cui si affacciano i con-sueti edifici dalle facciate policrome e decorate, oltre al Municipio con la torre dell’orologio. Molti edifici sono stati ricostruiti dopo l’incendio av-venuto nel 1801, come la vicina chiesa dell’Assunta, mentre nei pressi una placca di metallo segnala che ci troviamo al 15° meridiano ad est di Greenwich, lungo l’asse dell’Europa orientale.

Nei pressi della piazza si innalza anche la chiesa di San Gio-vanni Battista, le cui navate sono decorate da affreschi gotici, men-tre il monumento principale della cittadina è il castello, risalente al XIII secolo, ma rimaneggiato fino al ‘600, con una facciata a due or-dini sovrapposti, un pregevole pa-tio decorato in cui si nota uno splendido pozzo dalla pregevole lavorazione in ferro battuto, un in-sieme di stanze rinascimentali con

affreschi e splendido mobilio so-pravvissute al già citato incendio, oltre ad altre sale ottocentesche e ad un gradevole giardino.

Proseguendo verso nord per una ventina di chilometri, at-traverso strade secondarie che in-troducono ad un mondo pastorale dalle connotazioni arcane in cui il tempo sembra essersi fermato in pieno ‘800, si raggiunge il castello di Cervenà Lhota, collocato sce-nograficamente su un isolotto al centro di uno stagno; anche in

questo caso si tratta di una costru-zione risalente al ‘300, ma rima-neggiata nei secoli successivi e in particolare nel ‘600, dove ha tra-scorso gli ultimi anni della sua vita il compositore Karl Ditters.

Il maniero ha una facciata rossa poco comune che, secondo la leggenda, sarebbe da collegare ad un sanguinoso episodio avvenuto nel ‘500, quando convolarono a nozze un cattolico e una protestan-te che andarono ad abitarvi; ma la

moglie, nel corso di una crisi di pazzia, tentò di distrugge-re una croce, pre-cipitando dalla fi-nestra e sporcando con il suo sangue la facciata, che fino a quel momento era stata di un classico bianco; allora il marito, per nascondere la macchia di sangue, fu costretto a tin-gerla di rosso. Sempre in relazio-ne al colore della facciata un’altra leggenda racconta che la figlia di un signorotto proprie-tario del castello abiurò la fede cri-stiana, gettando una croce dalla fi-nestra del maniero nell’acqua; subito dopo il diavolo la portò via, dipin-gendo una croce insanguinata sopra la finestra e, nel tentativo di coprire quel segno, il ca-stello venne dipinto di rosso.

Al di là delle sanguinose leggende ad esso collegato, grazie

alla sua posizione sospesa tra l’acqua dello stagno e il boschetto circostante, il maniero rimanda ad un’atmosfera di grande romantici-smo, che si apprezza anche all’interno, nel corso della visita di alcuni saloni molto estrosi, corre-dati da affreschi e sculture e con mobili e suppellettili d’epoca, come un grande tavolo da pranzo son-tuosamente apparecchiato, quasi in attesa di far accomodare com-mensali di qualche secolo fa.

Il castello rosso di Cervenà Lhota In basso la tipica cristalleria boema

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IL CLUB n. 105 – pag. 35

Praga, la magica capitale Le bellezze ammirate nel

sud della Boemia sono soltanto il prologo per innamorarsi di Praga, giustamente ritenuta una delle più belle capitali europee. La città at-tuale è il risultato dell’unione di quattro centri urbani che, nel corso dei secoli, sono sorti sulle due sponde della Moldava: di queste le più importanti storicamente sono Malà Strana (la città piccola) e Starè Mesto (la città vecchia), che conservano i maggiori tesori archi-tettonici e che si fronteggiano sulle due sponde del fiume. Le altre cit-tà nella città sono poi Josefov (il quartiere ebraico) e Novè Mesto (la città nuova), che si accalcano nella stessa sponda della Moldava attorno a Starè Mesto.

E’ nel medioevo che Praga raggiunse il suo massimo splendore, sotto il regno di Carlo IV che la tra-sformò in una stupenda città, più estesa di Parigi o Londra, promuo-vendo anche la nascita della prima università dell’Europa centrale; nel XVI secolo il potere passò agli A-sburgo che la governarono per 400 anni, continuando ad infondere nella città quella linfa vitale che si tramu-tava in splendidi monumenti e in una vita culturale di primaria impor-tanza; dopo lo scoppio della Guerra dei Trent’anni Praga conobbe una fase di declino e soltanto all’inizio del XIX secolo si ebbe la rinascita del nazionalismo. Gli avvenimenti storici più recenti ci ricordano che durante la Seconda Guerra Mondiale il paese fu occupato dall’esercito tedesco, seguito da quarant’anni di comuni-smo, terminato con la Rivoluzione di velluto del 1989.

La visita della capitale bo-ema può prendere il via da Malà Strana, situata sulla collina che so-vrasta la città vecchia, e in partico-lare dal Santuario di Loreta, copia di quello di Loreto, fatto erigere all’inizio del ‘600 da una nobildon-na boema, come simbolo della Controriforma. All’esterno la fac-ciata di impronta barocca cela un cortile porticato che ospita la San-ta Casa, sul modello della casa del-la Madonna che gli angeli avrebbe-ro trasportato in volo da Nazareth fino a Loreto; molto bella anche la chiesa della Natività, con affreschi e stucchi di grande opulenza, men-tre al piano superiore del chiostro è conservato un autentico tesoro in oggetti di culto, tra cui spicca un ostensorio seicentesco con oltre 6.000 diamanti.

Poco oltre si allunga l’antica Cittadella fortificata, che vide le sue origini già dal X secolo, ma sono dell’XI secolo le prime te-stimonianze architettoniche dell’impianto del castello reale; ai

giorni nostri l’insieme del castello si presenta come un quartiere au-tonomo di edifici di governo, con un complesso che occupa 700 stanze, 5 edifici di culto, tra cui la cattedrale di San Vito, ma anche

In alto Staromeskè, la piazza più bella di tutta Praga; al centro una ti-pica veduta ad acquarello della capitale boema; in basso il Ponte Carlo

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giardini, pinacoteche e negozi che ne fanno una città nella città, completamente autonoma. Il com-plesso è stato dal 1410 sede dei re di Boemia e si avvale di uno strati-ficarsi di stili che è proseguito per mille anni, riflettendo la variegata storia cittadina.

Vi si penetra attraverso tre corti, sorvegliate da una coppia di guardie, al cui interno si innalza la cattedrale di San Vito, del XV seco-lo, sorta su un precedente edificio religioso, la cui facciata gotica risa-le alla fine dell’800, mentre nella parte destra si scoprono ancora tracce medievali, come la magnifi-ca griglia dorata ad una finestra e la porta d’oro con tre arcate e un mosaico in cui si distingue un giu-dizio finale. L’interno è grandioso, con alte nervature che scolpiscono il tetto, la tomba imperiale del ‘500 con statue giacenti di Massimiliano I d’Asburgo e del padre Ferdinando I, e la cappella di San Venceslao, risalente al ‘300, con affreschi sulla passione di Cristo e sulla vita di San Venceslao, oltre ad una serie di splendide e imponenti vetrate istoriate di origine medioevale.

L’orologio astronomico del Munici-pio di Praga

Accanto vi è il Palazzo Reale che ospita la Sala di Vladislao di impronta tardo-gotica, mentre poco oltre si allarga la piazza su cui si affaccia la chiesa barocca di San Giorgio, e quindi la Torre delle Pol-veri, dove è ancora possibile vedere gli attrezzi usati per la fabbricazione della polvere da sparo e delle armi in genere. La visita della Cittadella

si conclude al Vicolo d’Oro, formato da un isolato popolare di minuscole casette la cui altezza interna non superava i due metri e mezzo, che prende il nome da alcune botteghe di battiloro del ‘600, dove dimorò tra il 1916 e il 1917 Franz Kafka. L’aspetto da case delle bambole, dovuto alle minuscole dimensioni e ai colori variegati delle facciate, fa del vicoletto una tappa irrinunciabi-le nel tour cittadino, senza trala-sciare il fatto che all’interno delle casette vi sono negozi di souvenir (cristalleria, gioielli, marionette, ecc.) che accrescono l’indubbio fa-scino e interesse dell’insieme. Scendendo lungo la scalina-ta che attornia Malà Stana, circon-data da variopinte bancarelle e da artisti che dipingono vedute della città o che sbozzano in pochi minuti ritratti dei turisti, si giunge quindi a Ponte Carlo, il più antico ponte che unisce Malà Strana a Starè Mesto, famoso perchè da qui passavano i cortei per le incoronazioni. Venne impostato nel 1357 come tratto cen-trale della Via Reale attraverso la Moldava con una struttura gotica a 16 piloni, ed è scandito dalle nume-rose statue settecentesche che lo incorniciano. Ad ogni ora del giorno è presente un’umanità vociante di ogni nazionalità, che scorre inesora-bile come il lento fluire della Moldava e fa da contraltare a estemporanee mostre di artisti di strada, mini stand di souvenir e musicisti che suonano arie classiche. Dall’alto del ponte si può chiaramente vedere sulle facciate delle abitazioni sotto-stanti il segno dell’inondazione del 14 agosto 2002, che portò il fiume a 7,70 metri oltre il suo normale livel-lo, con il conseguente straripamento e inondazione di tutta la parte della città più vicina alla Moldava.

Sulle stradine medievali di Starè Mesto si affacciano sontuosi negozi che mettono in mostra splendidi gioielli in granati e am-bra, cristallerie, matrioske e por-cellane, in un insieme di grande bellezza, ma dai prezzi decisamen-te elevati. All’improvviso si spalan-ca davanti agli occhi la meraviglio-sa Staromeskè, la piazza più bella di tutta Praga, delimitata da edifici d’epoca su cui spicca il monumento a Jan Hus, l’alta mole del Municipio con la Torre dell’Orologio astrono-mico, da cui si gode una vista spettacolare sui tetti della città, e dalla quale le statue degli apostoli si affacciano allo scadere di ogni ora, dalle 8 alle 21.

La tipica porcellana boema

Tutto attorno si allungano costruzioni che vanno dal ‘400 all’800 e che danno vita ad un ca-leidoscopio di stili e di colori di grande fascino, in cui si susseguo-no decorazioni, fregi, affreschi e stucchi da esplorare con il naso all’insù, mentre nella parte oppo-sta della piazza si innalza la sago-ma della chiesa di Santa Maria di Tyn, uno dei più imponenti edifici gotici cittadini, con le sue alte torri di 80 metri, risalenti al ‘400, men-tre l’interno è una commistione di gotico e barocco che si riverbera nella profusione di stucchi, di altari dorati e di affreschi. Da qui non è lontana Novè Mesto, con la centra-lissima Piazza San Venceslao, la stessa in cui nel 1968 si diede fuo-co Jan Palack per protestare contro l’invasione russa che chiuse drammaticamente il tentativo poli-tico portato avanti dai cechi per un “comunismo dal volto umano” (la cosiddetta “Primavera di Praga”). L’ultima città nella città è Josefov, l’antico ghetto ebraico, dove meritano una visita in parti-colare l’antica Sinagoga, il Cimitero ebraico e il relativo museo: all’interno della Sinagoga si posso-no leggere sulle pareti i nomi di alcuni dei sei milioni di ebrei truci-dati barbaramente nei campi di concentramento; nel Cimitero si trovano 12.000 tombe, quasi tutte di epoca precedente alla Seconda Guerra Mondiale, poste su tre stra-ti sovrapposti; e infine in una co-struzione attigua al Cimitero si possono vedere una serie di dise-

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gni realizzati da bambini ebrei nei campi di sterminio che per la loro vivezza e il loro candore lasciano ancora una volta gli occhi lucidi e il nodo in gola per la rabbia e l’assurdità di tutte queste vittime sacrificate così spietatamente. La visita si conclude quindi al Museo ebraico, che ospita bellissimi og-getti sacri in argento, quadri, libri e abiti da cerimonia, mentre alle spalle del cimitero ebraico si di-parte una serie di viuzze dall’indubbio fascino che ospitano incredibili negozi di antiquariato e bancarelle specializzate in Stelle di David, Golem e candelabri a sette braccia tipici della cultura ebraica.

E non sono meno affasci-nanti le magnifiche facciate liberty che ricamano la città più moderna, con vezzose fanciulle in pietra che sorreggono portali e balconi, in mezzo ad una profusione di fiori e di decorazioni che, nel lasciare die-tro le atmosfere rarefatte della splendida Praga, contribuiscono a riempire gli occhi e l’anima delle bellezze assaporate e godute con tutti i sensi nel corso del tour cit-tadino.

Fra antiche terme e storiche cittadine

Dopo i fasti e le emozioni di Praga, il nostro itinerario ci por-ta verso ovest - lungo le statali 1 e 6 - fino a raggiungere Karlovy Vary, da secoli uno dei maggiori centri europei di villeggiatura cu-rativa; il borgo è un insieme di ville ottocentesche caratterizzate da influssi liberty e schierate sul lungofiume, noto con il nome te-desco di Karlsbad, che significa Terra di Carlo, perché sarebbe stato l’imperatore Carlo IV, o me-glio uno dei suoi cani da caccia, a scoprire nel 1358 il primo zampillo da cui è nata la sua fama di cen-tro termale, meta dell’aristocrazia della Belle Epoque prima e della nomenclatura russa poi. Le sue acque sgorgano ogni giorno da un’ottantina di fonti con 6 milioni di litri di acqua ad alto contenuto minerale, di sapore salato, con una temperatura che va dai 30° ai 73°, che serve a curare patologie dell’apparato digerente, come l’obesità e il colesterolo, e che va sorbita da appositi boccali con una stretta cannula che permette di bere solo a piccoli sorsi.

Il salotto cittadino è attor-no al lungofiume, dove si alterna-

no le terme di varie epoche, come la Mlynskà Kolonada, il lungo co-lonnato corinzio, detto del mulino, o come la Vridelni Kolonada, la più antica e più calda delle fonti cittadine, al cui interno il Vridlo (lo zampillo), simbolo stesso delle terme cittadine, sgorga ad una temperatura di 73° e ad

un’altezza di 12 metri, circondato da un vapore costante dovuto alla temperatura dell’acqua. Diversi altri edifici termali e splendidi ho-tel (come lo storico Grand Hotel Pupp) ornano il lungofiume, men-tre nelle arterie pedonali circo-stanti prospettano anche qui nu-merosi negozi di cristalleria e por-

Notizie utili

L’itinerario: si snoda dal confine meridionale con l’Austria alla capi-tale Praga e poi verso ovest fino al confine tedesco, attraverso buone statali e qualche tratto autostradale attorno alla capitale; per circola-re in autostrada è obbligatoria la “vignetta” che si acquista al confine e presso i distributori di carburante a 10 euro; i veicoli hanno l’obbligo di circolazione con i fari accesi sia di giorno che di notte sulle strade extraurbane. Cambio e costo della vita: da quando la Repubblica Ceca è entrata a far parte della Comunità Europea, i prezzi sono aumentati sensibil-mente (soprattutto a Praga), facendo almeno in parte diminuire la convenienza degli acquisti di prodotti tipici, come cristalli e gioielli. Al cambio ufficiale 1 euro vale circa 27 corone, ma il cambio varia molto da banca a banca e tra i vari uffici cambio. L’euro è comunque spesso accettato negli acquisti se non richiesto espressamente al posto delle corone, che nel giro di pochi mesi andranno comunque in pensione. Soste e pernottamenti: il campeggio libero non è ben tollerato, in particolare nelle grandi città; oltre ai campeggi, vi sono anche nume-rosi parcheggi custoditi a pagamento in cui è permesso il pernotta-mento, anche se non sono forniti di servizi. I nostri consigli: • Cesky Krumlov: parcheggio n.1 a pagamento ai piedi del Castello

dei Rosenberg; • Ceske Budejovice: parcheggio custodito di Marianske Namesti,

all’incrocio tra le vie Husova e Preszkà: • Hlublokà: parcheggio a pagamento nella parte bassa

dell’abitato; • Trebon: camping “Autocamp Trebon”, sul lago a 1,5 km. dal

centro; • Jindrichuv Hradec: parcheggio del centro, sulla Bezrucova, vicino

al lago; • Cervenà Lotha: parcheggio del castello; • Praga: camping “Kotva Branik”, a sud di Praga, raggiungibile a-

gevolmente dalla N.4 uscita Branik, uno dei più belli della città, proprio sulle rive della Moldava; da qui a bordo del tram 3 o 17 si raggiunge Stare Mesto, la città vecchia, e con il tram 22 o 23 si giunge a Malà Strana e la cittadella;

• Karlovy Vary: parcheggio P6, a pagamento, nella parte alta della cittadina, in Sturova 1274, di fronte l'Hotel Martell (ex Slavia);

• Cheb: parcheggio a pagamento “Monika”, di fronte il supermerca-to Billa, sulla Evropska, a 300 metri dal centro.

Orari di musei e monumenti: i principali monumenti, così come i negozi, aprono alle 9 e chiudono tra le 17 e le 18. Cucina: sono ottime le zuppe, a base di patate e funghi, di carne, o di uova, e tra i secondi la svichova, ossia lacerto di vitello, accompa-gnato da salsina e pane aromatizzato, e il più famoso gulasch, spez-zatino di carne speziato. Il panino più gettonato è quello con i wur-stel, che si può acquistare per poche corone sulle bancarelle che si trovano un po’ ovunque. Informazioni: Ente Turismo della Repubblica Ceca, Piazza Caiazzo n. 3 - 20124 Milano - tel. 02.669927237. Sito web: www.webit.cz, e-mail: [email protected].

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cellana boema e gioiellerie che espongono granati e ambra per tutte le tasche.

Riprendendo la statale 6 sempre verso ovest, prima del confine con la Germania si giunge a Cheb, cittadina a metà tra il mondo tedesco e quello slavo, al punto che ha anche un nome ger-manico (Eger). Il suo abitato è caratterizzato da un notevole pa-trimonio artistico e architettonico che si allarga attorno alla piazza centrale, circondata da edifici d’epoca affrescati, su cui si affac-cia il Municipio con la Torre dell’Orologio, la cinquecentesca fontana con la statua di Orlando e lo Spalicek, un complesso di pic-cole case del ‘500 di origine e-braica, le cui pareti laterali sem-brano incurvarsi e che sono sepa-rate da uno stretto vicoletto.

Poco oltre si innalza la Parrocchiale e ancora più avanti il castello, risalente al XII secolo (cioè ai tempi di Federico Barba-rossa), su cui svetta la Torre Ne-ra, ricoperta di blocchi di lava. Ai margini della piazza si scorge la costruzione decorata da fregi dell’ex Municipio che ospita il Mu-seo civico, casa del borgomastro locale e luogo dell’uccisione di un importante uomo politico, Wal-dstein, reo di tradimento nei con-fronti della corona.

E, a proposito di congiure e di condanne, il primo fine-settimana di settembre ha luogo nella cittadina la rievocazione sto-rica di questo episodio sanguino-so, con un corteo storico di solda-ti e vezzose damigelle in costume che continua fino a sera inoltrata e che si conclude con coloratissi-mi fuochi d’artificio. In questa oc-casione l’intera piazza viene riempita di allegre bancarelle che mettono in mostra leccornie loca-li, dolci e wurstel, mentre i figu-ranti in costume medievale danno all’insieme una parvenza realisti-ca da salto indietro nel tempo davvero gradevole.

E tra saltimbanchi e man-giatori di fuoco, la dimensione da favola che ci ha accompagnato nel corso del nostro itinerario tro-va il suo giusto epilogo, mentre la magia di questi luoghi magnifici continua a catturare la mente e l’anima…

Mimma Ferrante e Maurizio Karra

Le terme di Karlovy Vary. In basso la cittadina di Cheb in festa

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In Basilicata sulle orme di Federico II Alla scoperta del Vulture, dove l’ambiente incontaminato fa da contrappunto ai magnifici castelli dell’imperatore svevo

l Vulture è un’area

dell’odierna Basilicata, nella parte nord-occidentale, caratterizzata da verdissimi boschi, suggestivi la-ghetti e fiumi tumultuosi; un’area di origine vulcanica da sempre par-ticolarmente fertile per le coltiva-zioni agricole (in primis i vigneti), tanto da aver attirato fin dai tempi più remoti popolazioni che qui si sono stabilite stratificandosi l’una sull’altra. A questo si aggiunga l’importanza strategica di queste terre, diventate direttrici di colle-gamento fra l’odierna Campania e la costa adriatica pugliese e si comprenderà ancor di più la ragio-

ne per cui nel medioevo vi fu pro-prio qui un moltiplicarsi di fortifica-zioni e di castelli, meticolosamente riorganizzati dall’imperatore svevo Federico II, che volle così fortifica-re il suo potere nell’Italia meridio-nale creando anche qui alcuni luo-ghi di “delizie” per i suoi soggiorni e le battute di caccia. Sappiamo bene quanto Fe-derico II amasse tutto il sud d’Italia. Quanto alla Basilicata, l’imperatore la conobbe per la prima volta nel 1221 e se ne innamorò subito fa-cendosi sedurre dai suoi scenari grandiosi, dalla fertilità delle campa-gne e dall’abbondanza della selvag-gina che lui si dilettava a cacciare.

Fu così che questo grande uomo, per molti versi una figura in antici-po sui tempi, diede l’impulso alla costruzione di numerosi manieri, alcuni dei quali gli servivano per far riunire la corte ed emanare leggi, come quello di Melfi, altri come residenze di caccia, come quello di Lagopesole, altri ancora come residenza domestica, come quello di Venosa. Ed è altrettanto indubbio che questi castelli, che hanno poi lasciato una forte im-pronta monumentale nella storia e nell’architettura della zona, furono all’epoca di Federico dei grandi centri di promozione della cultura, grazie alla sua capacità di grande innovatore e di fine letterato, aper-to anche alle influenze della cultu-ra araba, alla sua grande statura politica, che lo portò a fondare a Napoli la prima università “statale” del mondo occidentale, nonché alle sue doti di legislatore, grazie a cui fu promulgato il primo testo orga-nico di leggi scritte in età medieva-le di argomento penale e civile.

Il nostro itinerario prende il via appena a nord di Potenza allor-quando, lasciata la statale 93, si imbocca la 658; la prima tappa è a Castel Lagopesole, dominato dalla massiccia ed elegante mole del castello, che svetta ad 830 me-tri di altezza e che è uno dei più grandi della Basilicata. Risalente all’inizio dell’XI secolo e già impor-tante per un incontro avvenuto nel 1137 fra Lotario II di Sassonia e Papa Innocenzo II, il maniero ven-ne risistemato da Federico II fra il 1242 e il 1250 con una pianta ret-tangolare delimitata da torri ango-lari, al cui interno l’imperatore passò negli ultimi anni della sua vita numerosi momenti di riposo e di svago, grazie alle battute di cac-cia che da qui prendevano il via. La bellezza del castello, circondato da fresche sorgenti e boschi rigogliosi, venne apprezzata più tardi anche da Carlo I d’Angiò, che lo dotò di un acquedotto, di scuderie e perfi-no di una sorta di piscicoltura me-dievale, facendo trasportare in ap-positi barili diecimila anguille, get-tate poi nel laghetto antistante il castello.

I

In alto Castel Lagopesole. In basso i laghi di Monticchio

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Il complesso, grande più o meno quanto un campo di calcio, è racchiuso all’esterno da un podero-so muro a bugnato, con torri qua-drate, e ha all’interno due cortili su cui si affaccia la zona residenziale. Nei piani superiori si trova la cap-pella di ispirazione svevo-angioina e i saloni residenziali caratterizzati da capitelli scolpiti con motivi zo-omorfi (uccelli svolazzanti, orsi e cinghiali da cacciare). Alcune sale ospitano un interessante museo di archeologia medievale con varie suppellettili, ritrovate attorno al fossato del maniero nel corso dei restauri, che ci danno uno spacca-to della vita quotidiana della corte; oltre a monete e vari arnesi della vita quotidiana si ammirano anche piatti e altre ceramiche di foggia medievale, con i resti dei cibi di tanti secoli fa trovati nei rifiuti get-tati nel fossato, cosa che permette di fare interessanti ipotesi sulla dieta quotidiana degli abitanti del castello, che consumavano tutti i tipi di carni, in particolare ovine e bovine, nonché pesce, ostriche e perfino testuggini.

Continuando sulla S.S.658 fino a Rionero in Vulture e imboc-cando quindi per pochi chilometri la S.S.167, attraversando uno sce-nario di grande suggestione denso di boschi incontaminati, si rag-giungono i Laghi di Monticchio, il grande e il piccolo, che occupano un cratere spento del Vulture, a 650 metri di altitudine. Il Lago Pic-colo si può attraversare in barca per ammirare le numerose ninfee; vicino al lago si trovano i resti del-la chiesa di Sant’Ippolito, la cui co-struzione originaria è databile at-torno al X secolo, che fu abbando-nata dai monaci benedettini nel 1456 a causa di un terremoto. Un piccolo istmo separa il lago Piccolo dal Lago Grande, circondato da una strada assai panoramica, che sale e scende immergendosi nel bosco lussureggiante, dominato da ontani, pioppi e castagni, che co-stituisce la Riserva Naturale Orien-tata delle Grotticelle.

A fare da sentinella a que-sto paradiso naturalistico dall’alto di un belvedere vi è l’Abbazia di San Michele, meta di pellegrinaggi e nata nel X secolo intorno ad e-remitaggi basiliani; l’attuale co-struzione risale al ‘700, ma con-serva l’edicola di San Michele, pic-cola nicchia con affreschi bizantini.

Poco più a nord ecco Melfi, centro dauno e poi romano, che

acquistò importanza in epoca me-dievale quale punto di incontro tra le zone di influenza bizantina e longobarda, tanto da divenire nel 1059 capitale del ducato di Puglia e teatro, trent’anni dopo, del con-cilio con il quale Papa Urbano II organizzava la lega per la prima Crociata. L’abitato, cresciuto e-normemente alla fine del ‘900 per la realizzazione di una vasta area industriale sviluppatasi anche nell’indotto allo stabilimento della FIAT, è dominato dall’imponente mole del castello, situato nel punto più alto della cittadina, dove nel 1231 Federico II promulgò le Co-stituzioni Melfitane, grazie alle quali rafforzava il suo stato, crean-do una burocrazia di funzionari sti-pendiati che fossero in grado di or-ganizzare un sistema fiscale; ma grazie a questa legislazione l’imperatore emanava anche leggi rivoluzionarie, come quella che con-

cedeva per la prima volta alle don-ne il diritto di successione nei feudi.

All’interno del maniero, nel quale si penetra attraverso un in-gresso molto scenografico, è ospi-tato il Museo Nazionale Archeologi-co del Melfese, che raccoglie mate-riale rinvenuto nelle necropoli del territorio del Vulture, tra le cui o-pere più interessanti spicca il sar-cofago di Rampolla, risalente al II secolo d.C. e realizzato da mae-stranze dell’Asia minore; non man-cano collezioni del periodo arcaico dell’VIII-VI secolo a.C., con reperti in ferro e ambra, ceramiche del V secolo a.C., e reperti sanniti in a-vorio del IV secolo a.C.

Poco più a valle si innalza il Duomo, la cui prima edificazione fu voluta da Roberto il Guiscardo nel 1056, affiancato da un magnifico campanile rimasto nel suo origina-rio aspetto normanno; la chiesa ospita all’interno un grandioso tet-

La porta venosina di Melfi e, in basso il castello federiciano

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to barocco a cassettoni, oltre a pregevoli brani di affreschi con sto-rie del Vecchio Testamento e con una particolare Ultima Cena. Ac-canto al Duomo si erge il Palazzo del Vescovado, reso d’aspetto ba-

rocco per il rifacimento realizzato nel ‘700, con splendidi saloni in-terni. Corso Garibaldi, che si dipar-te dal complesso del Duomo e su cui prospettano numerosi edifici nobiliari, si conclude davanti la Porta Venosina, affiancata da due torri cilindriche, attraverso la quale faceva il suo ingresso nella cittadi-na Federico II, che poi è l’unica rimasta fino ai nostri giorni delle quattro porte che interrompevano la cortina muraria originaria del periodo normanno. Alla periferia cittadina, nei presi del cimitero, si erge infine la chiesa rupestre di Santa Margherita, interamente af-frescata, che ospita la rappresenta-zione di Federico II in abiti da fal-coniere, insieme alla sua famiglia.

Ad una ventina di chilometri verso est, percorribili prima lungo la S.S. 93 e poi imboccando la 158, si raggiunge quindi Venosa, altro im-portantissimo centro del Vulture, la cui storia risale ad oltre 2000 anni fa, quando era una colonia romana e si chiamava Venusia. Nel 65 a.C. proprio qui ebbe i natali Quinto O-razio Flacco, uno dei più illustri poe-ti romani, tuttora simbolo e figlio illustre della cittadina.

Ma già all’entrata di Veno-sa si notano chiaramente le tracce dell’antico insediamento romano con i resti di strutture di età re-pubblicana e imperiale sintetizzati in un grande edificio termale, in una domus del II secolo a.C. e in un anfiteatro del I secolo d.C. Da-vanti il parco archeologico, come a rappresentare il percorso ininter-rotto della storia, si erge maestosa l’abbazia della SS. Trinità di origine

paleocristiana, uno dei più interes-santi monumenti medievali del sud d’Italia, formata da tre parti distin-te: la chiesa vecchia, dell’XI seco-lo, al cui interno sono stati ritrovati affreschi bizantineggianti e la tom-ba di Abelarda, moglie ripudiata di Roberto il Guiscardo; il palazzo ab-sidale, caratterizzato da arcate e finestre a bifore; e la chiesa nuo-va, iniziata nel 1135 in forme ro-maniche dietro l’abside della chie-sa vecchia, utilizzando materiale di spolio del vicino anfiteatro romano, ma mai conclusa, di cui restano solo le mura perimetrali e le tre absidi.

Nel cuore del centro citta-dino si ammira poi la Cattedrale, eretta alla fine del ‘400, con il suo portale marmoreo del 1512 e il grandioso campanile ornato da numerosi marmi sempre di epoca romana. La fronteggia il settecen-tesco Palazzo Calvino, oggi sede comunale, che ospita i “Fasti Muni-cipali”, tavola marmorea con i nomi dei magistrati romani dal 34 al 28 a.C., e un’urna che, secondo la tra-dizione, conterrebbe le ceneri del console Marco Claudio Marcello. E sempre in tema di reminiscenze romane, si innalzano in via Frusci i resti a pianta semicircolare di una domus patrizia del II secolo d.C., identificati tradizionalmente con la casa di Orazio, mentre nella centra-le piazza a lui dedicata si innalza un solenne monumento al poeta.

Poco oltre, nella vasta Piazza Umberto I si innalza il ca-stello, il cui aspetto attuale risale al 1470. L’edificio, circondato da un ampio fossato, è a pianta qua-

L’Aglianico, il nettare degli dei

Attorno al Vulture, anti-chissimo vulcano spentosi da migliaia di anni, nasce un viti-gno particolare, da cui si produ-ce l’Aglianico, un rosso annove-rato tra i migliori vini d’Italia e d’Europa, vino DOC dal 1971, introdotto in Basilicata dai Greci nel VII secolo a.C.

Pare che il suo nome derivi da Aglianos, che vuol dire chiaro; ed essendo di origini tanto antiche il fascino della storia si mescola con quello del-la leggenda, infatti si racconta che durante la seconda guerra punica i cartaginesi, ripiegando nell’attuale Basilicata, usassero proprio il vino Aglianico per medicare lacerazioni e ferite.

Ma ovunque nel territo-rio, sono conservate testimo-nianze delle antiche origini del vitigno, come una moneta bron-zea raffigurante la divinità di Dionisio, coniata nel IV secolo a.C. nella zona di Venosa, città nativa di Orazio, che decantò a più riprese le doti di questa me-ravigliosa terra e del suo vino.

Numerose sagre sono de-dicate all’Aglianico, come quella dell’Aglianica Wine Festival, che si svolge dall’1 al 3 settembre nel castello di Venosa, con cantine aperte, convegni, laboratori e de-gustazioni da non perdere.

L’Aglianico viene invec-chiato come minimo un anno, ha un colore rosso rubino e un sa-pore armonico, che si abbina con carni bianche e rosse e pol-lame. Qualora venga invecchiato per tre anni ha la denominazione di “Vecchio” e con un invecchia-mento di 5 anni può portare la qualifica “Riserva”.

Il castello Pirro del Balzo di Venosa

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drata con torri circolari, utilizzate nel corso dei secoli come segrete. All’interno ospita il Museo Archeo-logico che espone i materiali relati-vi alla colonia romana di Venusia, con collezioni di ceramiche e mo-nete e un lapidarium con iscrizioni latine ed ebraiche.

Lasciata Venosa, prose-guendo ancora verso est lungo la S.S. 168 si raggiunge Palazzo San Gervasio, cittadina di origine normanna, anch’essa dominata dal castello voluto da Federico II per le sue battute di caccia, che diede anche l’impulso per un fiorente al-levamento di cavalli, altra passione ricorrente dell’imperatore. Le ori-gini cittadine sono strettamente collegate proprio a quelle del suo castello, il Palatium Regium, co-struito da Roberto il Guiscardo nel 1050, di cui il borgo sviluppatosi intorno all’XI secolo, seguì le sorti. E il Palatium venne chiamato San Gervasio dal nome del santo cui era dedicata la chiesetta più antica dell’abitato.

Il maniero, con il trascor-rere dei secoli, è stato ampiamen-te rimaneggiato: si innalza ades-so, infatti, su tre piani, disposti attorno ad un cortile centrale, con due torrioni quadrangolari che in-corniciano la facciata e un loggia-to con alcune bifore ed una trifo-ra. Nel centro abitato il corso principale è dedicato a Manfredi, figlio di Federico II, perché secon-do la tradizione era la strada che il sovrano percorreva per recarsi dal Palatium alle scuderie; nel borgo si distinguono anche alcuni palazzi nobiliari del ‘700, oltre alla chiesa parrocchiale di San Nicola, in stile romanico pugliese, alla chiesa del SS. Crocifisso e al Pa-lazzo d’Errico.

Spostandosi ancora verso sud, si raggiunge Genzano di Luca-nia, il cui rossiccio palazzo munici-pale fu un tempo castello e la cui chiesa dell’Annunziata, all’estremità del centro abitato, è l’unica testi-monianza dell’antico Monastero delle Clarisse sorto alla fine del XII secolo e oggi ridotto a poco più di un rudere. Ancora pochi chilometri e si è ad Acerenza, situata su un’alta rocca che supera gli 800 metri di altezza e che spicca sulla pianura circostante come una for-tezza inespugnabile. Cittadina gre-ca e poi romana, l’abitato fu tra-sferito nella parte più alta della rocca soltanto in seguito alla crisi dell’Impero Romano con le conse-

Informazioni utili

L’itinerario: L’itinerario descritto nell’articolo si sviluppa a cerchio su un’area della provincia di Potenza attorno al Vulture. Partendo da Potenza, dopo aver percorso per 15 km. la statale 93, si prosegue sulla 658 per cir-ca 10 km. fino alla deviazione per Castel Lagopesole; da qui, rientrati sulla S.S.658, dopo altri 14 km. si è Rionero in Vulture, da dove una deviazione di pochi chilometri sulla S.S.167 conduce ai Laghi di Monticchio. Prose-guendo attorno alle pendici del Monte Vulture, la S.S.401 porta dopo me-no di 20 km. a Melfi, che è la località più settentrionale dell’itinerario stes-so. Da qui Venosa dista 25 km., da percorrere verso est su ben tre diverse statali, la 303, la 93 e infine la 168. Ancora 17 km. e si è a Palazzo San Gervasio, da dove una strada provinciale consente di raggiungere in meno di 10 km. Genzano di Lucania e, con altri 20, Acerenza. Una serie di tor-nanti riporta sulla S.S.169 in direzione di Pietragalla e con altri 25 km., chiudendo il cerchio, nuovamente a Potenza.

Dove sostare: I punti sosta consigliati sono i seguenti: • a Castel Lagopesole: punto sosta nel Piazzale di Via Signore, tel.

0971.86135; • a Melfi: punto sosta in Piazza Pasquale Festa Campanile, nel grande

parcheggio dietro il nuovo Municipio, all’ingresso del centro; • sui laghi di Monticchio: camping “Europa”, Via Lago Grande n. 28, tel.

0972.731008, aperto da marzo a novembre; • a Venosa: punto sosta nel vasto parcheggio antistante il Parco Ar-

cheologico, all’ingresso della cittadina; • ad Acerenza: area attrezzata a 6 chilometri dall’abitato, all’interno di

una boscosa area pic-nic, in Contrada Bosco San Giuliano; punto sosta nel centro dell’abitato sul piazzale del Convento di Sant’Antonio;

• a Pietragalla: punto sosta nel grande Piazzale della Civiltà Contadina, ai margini della statale, che lambisce i palmenti.

Mangiare e bere: Gli elementi di base della cucina tradizionale lucana sono i prodotti tipici dell’area mediterranea come la pasta, i formaggi, gli insaccati, le verdure, le carni di capretto e di agnello, l’olio d’oliva e il vino, il più famoso dei quali è l’Aglianico, un rosso dal lungo invecchiamento (da visitare le cantine della Cooperativa Basilium di Acerenza, in contrada Pi-poli, e la Cantina della Riforma Fondiaria a Venosa, in contrada Vignale San Felice); tra le paste ricordiamo i cavatelli, simili a gnocchi, conditi con fagioli o con pomodoro fresco e basilico e spolverati da ricotta salata, i fer-retti con i ceci, gli strascinati con sugo di carne di maiale, la salsiccia, la soppressata e i formaggi pecorini freschi e stagionati. Segnaliamo anche alcuni indirizzi per un pranzo o una cena: il ristorante “Il Pescatore”, sui Laghi di Monticchio; a Melfi “Hora Sesta”, in Via Bagno n.59; a Venosa il ristorante “I Cistercensi”, in Via San Giorgio; e “Al Duomo” ad Acerenza, in Largo Duomo, oltre al “Casone”, nel vicino Bosco di San Giuliano.

Cosa comprare: Oltre ai vini tipici e ai prodotti caseari della Basilicata, già citati e reperibili un po’ dappertutto lungo l’itinerario, per quanto ri-guarda l’artigianato più originale segnaliamo le copie in ceramica dei piatti medievali in mostra a Castel Lagopesole, in vendita presso “La bottega dei sogni”, Via SS. Trinità n.6; a Venosa sono tipiche le ceramiche artistiche del laboratorio di Giovanni Muscatiello, in Corso Vittorio Emanuele n.150; ad Acerenza l’artigianato in ferro battuto di “Pafundi”, in via Aldo Moro.

Informazioni utili: • APT di Potenza: Via Alianelli n.4, tel. 0971.21812; • Castel Lagopesole: Cooperativa Castello, tel. 0971.86083 e

0971.86175 (per visite guidate); • Laghi di Monticchio: Stazione del Corpo Forestale, tel. 0972.721031

(per visite guidate); • Melfi: Municipio, Piazza Mancini, tel. 0972.251305; • Venosa: Municipio, Piazza Municipio, tel. 0972.31655; Associazione

turistica “La quadriga”, Via Francesco Frusci, tel. 0972.36542; • Palazzo San Gervasio: Associazione Pro Loco Manfredi, c/o Muni-

cipio, Via Roma n.34, tel. 0972.44246; • Acerenza: Municipio, Via Vittorio Emanuele III n.151, tel. 0971.741811.

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guenti invasioni barbariche, allor-quando gli abitanti lo dotarono an-che di una cortina muraria per di-fendersi dallo sciame di “barbari” calati in quegli anni lungo la peni-sola italica.

Ancora oggi, passeggiando tra i suoi augusti vicoletti sui quali si affacciano antichi edifici in pietra viva, si possono rivivere sugge-stioni medievali, perfettamente ri-levabili anche nel monumento più importante della cittadina, la sua magnifica Cattedrale medievale, una delle più antiche dell’Italia me-ridionale, al punto che al nome di Acerenza segue nei cartelli cittadini quello di “città-cattedrale”. Il com-plesso religioso, consacrato nel 1080, nonostante i suoi mille anni è molto ben conservato, ed è in stile romanico-normanno; il tem-pio emana una grandiosa semplici-

tà, che si riverbera nella semplice facciata in pietra, arricchita dall’elegante portale formato da due colonnine sorrette da scimmie unite a figure umane in un grovi-glio scomposto di membra, men-tre gli stipiti della porta sono scol-piti con motivi floreali e zoomorfi; tutto l’insieme potrebbe simbo-leggiare il male, rappresentato dalle scimmie, che bisogna lascia-re al di fuori del tempio sacro, e il bene, rappresentato dalla vegeta-zione lussureggiante e dagli ani-mali e dagli angeli, presenti al di sopra delle colonnine, che riman-dano al paradiso. L’interno, scandito da tre navate, riverbera una grande semplicità, interrotta soltanto nel transetto destro da un dipinto che raffigura la Madonna del Rosario incorniciata da quindici Misteri e

nel transetto sinistro da una De-posizione, incorniciata da un’alzata d’altare in pietra. Ma è sotto il presbiterio che si nascon-de il gioiello più prezioso del com-plesso, la Cappella Ferrillo, con le volte coperte da affreschi che si inseguono anche sulle pareti, do-ve la plasticità dei dipinti calamita lo sguardo anche più disattento; le volte sono coperte dai dipinti degli evangelisti e dei dottori della chiesa, mentre alle pareti sono visibili dei probabili ritratti dei Ferrillo, importante famiglia che si occupò del restauro del complesso religioso nel XVI secolo, un ritrat-to della Madonna con il Bambino e uno di San Giorgio che uccide il drago.

All’ingresso della cittadina vi è la pregevole facciata in pietra viva della chiesa di San Vincenzo, affiancata dalla sagoma del castel-lo. Poco più avanti, risalendo lungo il corso principale, si incontra la Torre dell’Orologio con il Monumen-to ai Caduti della Prima Guerra Mondiale, e ancora oltre si notano le sagome di diversi palazzi nobilia-ri arricchiti da portali in marmo, sormontati da stemmi gentilizi. E il centro storico cittadino, perfetta-mente conservato, ha fatto sì che il comune entrasse nel progetto dei Borghi più belli d’Italia.

Lungo la strada che, chiu-dendo il cerchio, riconduce a Po-tenza, si incontra infine Pietra-galla, cittadina del XII secolo ca-ratterizzata da un imponente Pa-lazzo Ducale e, ai margini dell’abitato, dagli antichi palmenti usati dai contadini locali per la la-vorazione del vino già dal XII se-colo e utilizzati fino a quasi tutto il ‘900. Ai giorni nostri queste ori-ginali costruzioni non sono più usate e rimangono come una suggestiva testimonianza del fe-condo passato della civiltà conta-dina lucana.

Si tratta dell’ennesima tipicità di questa terra circonda-ta dalle sette cime a semicerchio del massiccio del Vulture, l’antico vulcano, che ancora oggi sorveglia i numerosi tesori am-bientali e architettonici di un territorio tutto da scoprire anche al di là delle località toccate in questo itinerario che abbiamo voluto proporvi.

Mimma Ferrante

e Maurizio Karra

La Cattedrale di Acerenza. In basso i tipici palmenti di Pietragalla

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Canicattini Bagni e il liberty

In visita a una cittadina del siracusano che ha improntato il suo volto edilizio a un liberty ridente, arioso e raffinato

l sito su cui sorge Cani-

cattini Bagni, ideale per clima, in-tensità delle colture, ricchezza d'ac-que sorgive, è ancora oggi tra i più ameni dell'entroterra siracusano. Questo territorio ha conosciuto in ogni epoca la presenza dei nuclei abitativi e reca sparse le tracce del-l'attività umana. E' significativo che la raccolta di selci più belle e più an-tiche, risalenti al paleolitico superio-re (circa 10.000 anni fa), che si con-servi al Museo "P. Orsi" di Siracusa, provenga dal territorio di questo pa-ese. In età neolitica e nell'età del rame la presenza umana è testimo-niata ai margini della regione cani-cattinese (grotte di Conzo e Chiu-sazza). L'età del bronzo conosce tracce di frequentazione della zona (tombe in località Case Vecchie).

Con l'arrivo dei greci (se-conda metà dell'XVIII sec. a.C.) e la fondazione delle colonie, la spia-nata canicattinese rappresenta uno dei passaggi obbligati tra la città di Siracusa e le sue subcolonie di A-krai e Kasmenai. E' opinione diffusa tra gli eruditi (e le tracce archeolo-giche e numismatiche non sembra-no smentirli) che di età greca clas-sica siano le opere di drenaggio e di incanalamento verso Siracusa delle acque della sorgente "Cardinale", sicuramente ardite nell'attraversa-mento dei burroni da sponda a sponda.

Ma è soprattutto con l'età ellenistica e l'età romana che lo sfruttamento più intenso del territo-rio agricolo e l'affermarsi di una e-conomia latifondista ci fa registrare nel territorio tracce di ville e fattorie dove costante è la presenza di am-bienti termali (contrada Cinque Por-te a Piano Milo, contrada Cugno Martino, contrada Bagni), dov'è at-testata nell'800 la presenza di "va-sche termali" in relazione all'antico acquedotto che attraversa la zona e di cui è facile cogliere la connessio-ne col toponimo.

La continuità culturale ed economica che unisce l'epoca tar-do-antica all’età bizantina e al pri-mo medioevo in genere fa sì che le fertili contrade canicattinesi siano caratterizzate da una ricca fioritura di villaggi agricoli col piccolo abita-

to, la chiesa, la necropoli (Sant’Elania e Cozzo Guardiole in contrada Casevecchie, Bagni e Car-dinale nella regione di nord-ovest, Petracca e Cugni di Cassero nella regione di sud-est).

Niente o quasi sappiamo di Canicattini in età araba. Eppure il nome del sito, su cui sorge il paese è arabo ("fontana netina", cioè sor-gente che sgorga in territorio di No-to, è l'etimologia più accreditata). Ad età araba con tutta probabilità si deve uno sfruttamento intensivo agricolo della zona e la valorizzazio-ne delle risorse idriche. In età nor-manna, federiciana e aragonese è ben probabile che l'avvento del lati-fondo e dei rapporti di dura sotto-missione abbia peggiorato la situa-zione economica produttiva e forse desertificato le campagne. La situa-zione non migliora nel XVI secolo sotto il dominio dei Vicerè spagnoli.

E' solo col '600, grazie alla diffusione delle idee giusnaturalisti-che, che la classe aristocratica loca-le acquista maggiore autonomia d'azione, mentre una complessa congiuntura economico-politica a-gevola nell'Isola le iniziative produt-tive. Non si trascuri il fatto, sicura-mente notevole, che all'inizio del '700 nella mappa del territorio di Canicattini del Mongitore siano indi-cati con estrema semplicità e chia-rezza non solo l'abitato, ma anche le caratteristiche organizzativo--produttive dei feudi vicini.

L'abitato moderno di Cani-cattini Bagni è comunque una di quelle "città contadine" (agrotowns) di nuova fondazione, che numerose sorsero nella seconda metà del '600, sulla fascia costiera dell'Isola. Nel 1678-1682 Mario Daniele, tito-lare del feudo di Bagni, cui erano pervenuti anche i feudi vicini di Ca-nicattini e Bosco, chiede e ottiene da Carlo II di Spagna l'autorizza-zione regia a creare un nuovo bor-go in territorio di Canicattini, a ri-dosso del vallone che lo separa dal feudo "Bagni". Volle perciò che il paese si chiamasse "Bagni di Cani-cattini" e tale denominazione dure-rà nella documentazione ufficiale fino a metà dell'800.

A poco più di un decennio dalla fondazione, il terribile sisma

del 1693 dà l'occasione a numerose famiglie, provenienti soprattutto da Noto e Palazzolo, ma anche da Sor-tino, Ferla, Buccheri, di abitare il nuovo borgo, a condizioni partico-larmente favorevoli. Nel censimento del 1714 Canicattini ha già 120 ca-se e 524 abitanti, che alla fine del secolo saranno triplicati.

Panorama dall’alto dell’odierna Ca-nicattini Bagni: si noti lo sviluppo urbano secondo assi ortogonali

L'impianto originario coinci-de con i due grandi assi viari est-ovest di via XX Settembre e via Principessa Jolanda nel tratto com-preso tra via Cavour e via Alfeo. Gli isolati sono larghi e all'interno di essi si accorpano unità abitative contrap-poste con uno spazio interno adibito a orto. Queste casette nella quasi totalità erano di tipo contadino a semplice porta e finestra incorniciate in pietra calcarea, accostate le une alle altre, con lo sviluppo interno di due ambienti. Spicca, tra un isolato e l'altro, lo spazio destinato all'edili-zia sacra (primitiva Chiesa delle A-nime Purganti sull'attuale via Princi-pessa Jolanda).

Del 1796 è la costruzione del Ponte Alfano, voluto per colle-gare il territorio del feudo al borgo e permettere l'emigrazione giorna-liera dei contadini. Il ponte, note-vole esempio di architettura civile settecentesca per la sua unica e potente arcata sullo strettissimo e profondo dirupo della Cava Cardi-nale, ha alla sua estremità ovest all'ingresso del feudo una porta monumentale e, percorrendolo a piedi, permette di godere della ve-duta di uno splendido paesaggio dai caratteristici colori di Sicilia. Nell’arco al di sopra del ponte si aprono delle nicchie delimitate da

I

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colonne in rilievo; all'interno delle nicchie sono sistemate due statue-rappresentanti Currarinu e Calama-ru, due personaggi locali che porta-no ciascuno una bottiglia e un pa-ne, che secondo un'antica leggenda erano campieri divisi da rivalità e odi personali; così un giorno si af-frontarono proprio sul ponte e al termine di una vibrante contesa fi-nirono per uccidersi a vicenda.

Il Ponte Alfano, magnifico esempio di ingegneria settecentesca, che con il suo arco è anche una delle opere d’arte più importanti di Ca-nicattini Bagni

Con la costruzione di que-sto ponte monumentale si spiega l'accrescimento verso ovest, avve-nuto proprio in quegli anni, del prosieguo degli assi di via XX Set-tembre e via Principessa Jolanda. E' certa l'esistenza in quest'area della primitiva Chiesa Madre, nel sito di quella che era già stata la cappella privata dei Daniele. La sua consacrazione al Patrono San Michele è del 1796.

Con l'avvento del nuovo secolo emerge un ceto "borghese", che si coagula attorno alle figure di alcuni potenti fattori o gabelloti (a Canicattini cosiddetti "cappelli"). Ad essi si deve l'evidenziarsi delle prime emergenze architettoniche nel panorama uniforme e ripetitivo della "città contadina". E' notevole che nel 1815 il paese adotti un nuovo piano edilizio. Il 18 ottobre 1827 un decreto di Francesco I di Borbone attribuisce l'autonomia

comunale a Bagni di Canicattini con un territorio di 700 salme, comprensivo dei feudi di Bagni, Bosco e Canicattini.

La crescita demografica nel corso del primo Ottocento è co-stante malgrado la recessione eco-nomica degli anni trenta e quaran-ta: il paese si accresce verso nord-ovest e verso sud con un reticolo di strade dritte e parallele, anche se degradanti per l'erta ripida della collina. Lo sviluppo in senso est-ovest è anche in rapporto con l'ac-cresciuta importanza dell'asse via-rio di collegamento con Siracusa e Noto, cosicché nel 1846 si inizia a tracciare la rotabile tra le due città, ultimata poi nel 1870.

Al 1837 risale la sommossa per il colera, che si tinse di colori politici e contò quattro martiri fuci-lati nel corso della dura repressio-ne borbonica del generale Del Car-retto. Nel 1848 il paese partecipa alla rivolta che infiammò l'Italia e l'Europa nonostante la paura e le conseguenze di un terremoto. Do-po l'unità, mentre la classe bor-ghese consolida le sue prerogative, a livello popolate si diffonde la re-nitenza alla leva e si intensifica il brigantaggio, piaga antica dei feu-di, che aveva già avuto un notevo-le incremento in età napoleonica: a Canicattini si tinge di eroismo e acquista colori di saga la vicenda locale del brigante Boncoraggio.

Nel corso dell'Ottocento e soprattutto nella seconda metà di esso si rinnova l'aspetto edilizio e architettonico sulla via principale (cosiddetta "piazza", ora via XX Settembre) e nelle vie più prossi-me. Nel 1881 si registra un forte aumento della popolazione che di-venterà di ben 8.871 abitanti nel 1901. Dal 1898 si istituisce una fiera di bestiame, ogni primo gior-no del mese, che si affianca alle già famose fiere dell'Assunta e di San Michele.

Dopo una vertenza giudi-ziaria, per iniziativa dell' ingegnere Salvatore Carpinteri Lombardo si ottiene nel 1898 l'incanalamento di 200 litri al secondo di acqua della sorgente Cardinale a beneficio del comune, alimentando una serie di pozzi, canali irrigui e mulini. Fra il 1880 e il 1925 nascono il nuovo Cimitero, il Campo Sportivo e la Villa comunale. Nel 1897 è costrui-ta a spese del benefattore sac. Salvatore Bombaci la chiesa di Ma-ria Ausiliatrice con annesso istituto di beneficenza.

Nei primi decenni del Nove-cento, per il forte incremento demo-grafico, il paese si accresce a est con le prosecuzioni degli assi longitudi-nali da via Vittorio Emanuele a via Solferino, nonché l'intero nuovo quartiere di Via Marconi, a sud con le vie Solferino e Roma fino a rag-giungere la sommità della collina, a nord con via Mentana e Principe Amedeo, a ovest con via Canale. Le caratteristiche degli accrescimenti sono sempre quelle dell'agrotown, ma segnate da una diversa consi-stenza della casa contadina e il facile trapasso delle unità abitative dal tipo rustico a quello piccolo borghese.

E’ proprio a questi primi an-ni del secolo, ma soprattutto al pe-riodo fra le due guerre e all'imme-diato dopoguerra, si deve il salto di qualità della vicenda edilizia canicat-tinese, a cui la cittadina deve ancora il suo volto improntato a un liberty ridente, arioso e raffinato. E' stato giustamente sottolineato dall'etnolo-go Antonino Uccello, per una realtà consimile (quella della vicina Palaz-zolo Acreide), che fu una situazione economico-sociale nuova, propria di quegli anni e spesso trascurata dalla storiografia ufficiale, quella degli e-migranti con le loro rimesse di dena-ro e i legami mai dismessi con la terra d'origine, a segnare l'impulso di una trasformazione in senso pic-colo-borghese, la quale ha nell'edili-zia la sua dimensione più evidente.

La Chiesa Madre

Se queste sono le premesse e le condizioni della fioritura del li-berty canicattinese, lo specifico di essa, peculiare di questo centro, de-ve trovare altre spiegazioni. Il visita-tore si accorgerà che il particolare tono architettonico dell'abitato si de-

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ve oltre che al perpetuarsi di valori morali, incentrati in una sorta di "re-ligione della casa", al rispetto co-stante delle norme costruttive locali, tradizionalmente esistenti, ma anche legalmente fissate e alla fondamen-tale unitarietà di progettazione ed esecuzione delle forme e delle strut-ture edilizie. Un processo che tanto più desta meraviglia, quanto più si rifletta che è durato oltre un cin-quantennio, giungendo alla fine degli anni '50.

Se alla seconda metà del-l'Ottocento appartengono edifici co-me palazzo D'Amico, in via dei Ve-spri (con la Farmacia Firrincieli), Pa-lazzo Cassarino e Palazzo Carpinteri Lombardo di via XX Settembre, del Novecento sono invece i prospetti della chiesa del Purgatorio e quelli degli edifici civili siti in via Regina Elena (al n.25, n.37, n.73, n.90, n.107), quelli di via Vittorio Ema-nuele (particolarmente interessante quello al n.251 e quello al n.328), di via Principessa Jolanda (si vedano quelli al n.134 e 177), di via Umber-to al n.222, e ancora di via Dante Alighieri al n. 42 e di via Silvio Pelli-co al n.81. Sono prospetti nei quali emerge chiaramente il senso artisti-co e innovativo degli scalpellini e delle maestranze locali che ne furo-no gli autori, con un codice di segni e di simboli, ricco di fiori che, oltre ad essere un motivo ornamentale, rappresentano un modo di vivere e di pensare: espressione di gentilezza d'animo ma anche simboli della fu-gacità della bellezza e della vita.

Il numero degli artigiani che operarono a Canicattini fra l’Otto-cento e la prima metà del Novecento

dovette essere consistente, ma oggi si ha memoria soltanto di pochi no-mi e di poche botteghe fra cui quella dei Vasquez e quella dei Bonaiuto. Ma sappiamo che questi muratori-scalpellini-artisti dell'edilizia canicat-tinese erano per lo più analfabeti o quasi perché in quel tempo non si curava molto l'istruzione; di conse-guenza apprendevano empiricamen-te le tecniche e i segreti del mestie-re. Fino a tanto che nel paese un giovane insegnante, Giovanni Privi-tera di Catania, nell'anno scolastico 1884-85 ottenne l'incarico di inse-gnamento nelle scuole elementari di Canicattini e di lì a poco aprì anche una scuola serale per insegnare a chi già lavorava. Da questa scuola vennero fuori i primi scalpellini-artisti destinati a lasciare tracce ap-prezzabili nell'architettura locale.

Uno dei maggiori usciti da questa scuola fu un certo Ajello e una delle sue opere maggiori è il prospetto della casa di abitazione sita in via Vittorio Emanuele n.251; nella sua piccolezza la costruzione è un gioiello architettonico. Le difficol-tà che l'Ajello dovette affrontare gli erano imposte dalla ristrettezza del prospetto (appena quattro metri) e dalle esigenze del committente il quale voleva che la funzionalità della casa coesistesse con la ricca decora-zione. Per conciliare queste due esi-genze l'Ajello con sapiente intuito artistico fece sì che la cornice sinuo-sa di un lato della finestra fosse la continuazione dell'architrave della porta; in tal modo riuscì ad ottene-re che il disegno costruttivo confe-risse al prospetto l'effetto di un movimento armonico tra il porton-

cino d'ingresso e l'ampia finestra che lo affianca. Un risultato in veri-tà tutto moderno e in armonia con l'arte nuova proiettata ad identifi-care la funzionalità (l'utile) con l'ornamento (il bello). L'innovazio-ne del piano terra viene però tem-perata dalla parte superiore dove i due archi a tutto sesto hanno una movenza classicheggiante. I due piani, pur nella diversità degli stili, si armonizzano in una felice sinte-si; snellezza, leggerezza e squisita eleganza sono i pregi dell'intera costruzione. Questo prospetto fu scelto per realizzare il poster-manifesto del Convegno Interna-zionale di studi sul Liberty che si tenne ad Ispica nel 1981.

Un particolare della casa costruita dall’Ajello al civico 251 di Via Vitto-rio Emanuele

Ma l’architettura di Canicat-tini non è l’unica ragione per spin-gervi a visitare questo paese. Vi so-no anche gli antichi sapori della cu-cina povera della sua gente, i pro-fumi intensi, i preparativi per le grandi occasioni, i piatti particolari per le "giornate segnalate", da gu-stare magari in occasione di qualche sagra e festa paesana: a manciata ‘i ricotta, i scacciunedda cunsati, i 'm-panati r'aiti o ri bruoccoli, i 'nfig-ghiulati ri niebbita, i cassateddi i pa-squa, u vinu cuottu i carrubba; tutte cose che vengono preparate con cu-ra e offerte a un pubblico incantato per la bontà, semplicità e raffinatez-za dei prodotti che riportano alla fragranza di un mondo antico e semplice, quello degli antichi conta-dini della zona.

Alfio Triolo

Una delle tante palazzine in stile liberty che contraddistinguono il cen-tro storico di Canicattini Bagni

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Ragalna e i suoi tesori

Una cittadina ai piedi dell’Etna che basa la sua economia soprattutto sull’agricoltura, ma che punta al turismo per la rinascita

agalna è uno di quei

paesi siciliani che conservano un bene diventato lusso: l'aria pulita. Ed è talmente buona e salubre l’aria che viene consigliata ai bam-bini. In passato era un toccasana per i malati. E' la prima cosa che sottolineano i suoi abitanti, insie-me al tasto che la qualità della vita è migliore perchè il paese è domi-nato dal silenzio più assoluto e dal-la poca delinquenza. Un cittadino del paese ci dice: «a Ragalna si vi-ve bene, e d'inverno è un paese molto tranquillo, passiamo le sera-te in casa. lo mi sposto verso la città molto raramente, solo per gravi o veri motivi. Chi è abituato al silenzio è difficile che ami i posti affollati e rumorosi».

Ragalna, comune autono-mo soltanto dal 1985, mantiene intatta la sua identità etnea ma è soprattutto un luogo di villeggiatu-ra per gli abitanti della vicina Pa-ternò, la cittadina, distante una manciata di chilometri, che d'esta-te trasforma il piccolo paese da 3.000 persone in un centro di oltre 20 mila abitanti. «Ma solo d'esta-te», ci conferma sempre il cittadi-no di poco prima. «D'inverno, in-vece, non godiamo di nessun ser-vizio e viviamo in completo isola-mento. Mancano ancora tante co-se, tra cui un diritto come l'acqua. Dai rubinetti, la notte, nei quartieri di Ragalna alta non scorre nulla. E poi mancano i servizi di trasporto. Catania è vicina ma abbiamo solo due corse di pullman al giorno; co-sì si è costretti a mantenere più automobili o accompagnare i ra-gazzi in città».

La vita di questo paesino etneo si muove attorno alle due chiese parrocchiali, quella di Maria SS. del Carmelo e quella di Santa Barbara. La prima, dedicata alla Pa-trona di Ragalna, è datata intorno al 1868. In stile ottocentesco, l’edificio ha pianta rettangolare a navata unica coperta da volta a botte. Il prospetto principale è rac-chiuso tra due grandi paraste che incorniciano il portale d’ingresso, sopra del quale s’impone il gruppo scultoreo della Madonna del Carme-lo. La scalinata e le decorazioni so-

no in pietra lavica. Accanto alla fac-ciata s’innalza il campanile a pianta quadrata e guglie d’ispirazione goti-cheggiante. Alla base, in memoria dei caduti dei conflitti mondiali, so-no state aggiunte tre lapidi di mar-mo. Una delle campane appartiene all’antica chiesa di Pastanella, della quale ormai rimangono solo le rovi-ne. All’interno, quattro altari in marmi policromi custodiscono, le immagini di San Giuseppe e di Sant’Antonio Abate e a sinistra la Madonna di Lurdes e un Crocefisso. L’altare maggiore, racchiuso all’interno dell’abside, è intarsiato in marmi policromi e decorato con motivi stile barocco.

L’altra chiesa, quella di Santa Barbara, situata nell’omo-nima piazza, venne edificata a par-tire dagli anni venti, grazie al con-tributo spontaneo dei fedeli e ter-minata nel 1965, dopo aver subito un ampliamento e numerosi abbel-limenti. Dapprima fu chiamata “chiesa nuova”, per distinguerla da quella più antica della Madonna del Carmelo, in seguito fu dedicata al culto di Santa Barbara. La facciata a capanna è divisa in tre parti: nel-le due laterali si aprono due bifore ad arco; nella terza centrale, una

serie d’archetti decorano la parte superiore e tra questa e il portone d’ingresso è collocato un rosone elegantemente decorato che porta luce all’interno. Il campanile s’innalza accanto all’edificio e uti-lizza alcune campane di un’antica cappelletta.

Con oltre 39 chilometri di estensione, Ragalna, che ha da po-co superato i 3.000 abitanti ha una curiosità: il paese ha un numero di case pari e uguale agli abitanti. Il paese potrebbe essere un fiore al-l'occhiello fra i tanti paesi etnei, ma ancora ci sarebbero alcune co-se da sistemare. A Ragalna si vive di agricoltura e si potrebbe vivere anche di turismo. Nelle campagne che s'inerpicano sull'Etna è con-servato un tesoro di palmenti, ci-sterne, masserie, testimonianze di un passato che si perde nella notte dei tempi, di quando persino i gre-ci, i normanni e gli arabi passava-no periodi di villeggiatura in questi luoghi. Per favorire il turismo il tentativo, ogni anno, è creare ini-ziative particolari come quello di "Ragalna sotto le stelle" che fa ar-rivare personaggi illustri di spetta-colo da tutto il Continente. Ma an-cora si attende il salto di qualità.

R

Alle pendici dell’Etna e immersa nel verde, Ragalna è famosa per l’aria salubre e la tranquillità; nella foto la chiesa Madre, dedicata a Maria SS. del Carmelo, della seconda metà dell’Ottocento

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I petardi vegetali

Giocando a stippiti stoppiti

scuppittuni era un ru-

dimentale giocattolo che, in passa-to, i ragazzini costruivano utiliz-zando un rametto di sambuco, la nota pianta dalle bianche infiore-scenze ombrelliformi, appartenen-te alla famiglia delle Caprifoliacea-e. Per la costruzione della piccola "arma", denominata anche scatta-gnettu o scattabbottu, i fragili rami del sambuco, della lunghezza di circa quindici centimetri, dovevano essere privati dell'abbondante mi-dollo spugnoso contenuto nel loro interno. In tal modo, nella cavità ottenuta si potevano inserire, per mezzo di un'asticciola di legno che fungeva da stantuffo (u masculu), stoppa, stoppie inumidite, palline e altri piccoli proiettili denominati stuppagghieddi.

Una estremità dello scup-pittuni veniva tappata con un dito ('ntuppata ccò itu) o con un tap-po; a questo punto era sufficiente spingere con forza u stuppag-ghieddu contro il tappo affinché quest'ultimo fosse sparato fuori con violenza. Un piccolo scoppio (scattìu, onde il nome di scattiòlu con cui il giocattolo era anche de-nominato), accompagnavo u spa-ru ed era accolto con tanta più soddisfazione quanto più era fra-goroso. Il gioco veniva ripetuto più volte, caricando u scuppittuni con altri proiettili di stoppa (bbaddi di stuppa) e, ovviamente, fino a quando il giocattolo resiste-va ai ripetuti spari.

Ancora oggi, nelle campa-gne siciliane, è possibile vedere qualche ragazzino che prepara u scuppittuni o che fa altri innocui "botti" giocando a stippiti stoppiti, facendo scoppiare i frutti di coco-mero asinino o "sputaveleno", una

pianta che cresce nei luoghi incolti o tra le macerie, nota più comu-nemente citrulicchio.

Oltre che petardi, con le piante si potevano costruire anche delle vere e proprie fiaccole vege-tali. A tal fine prestavano molto bene i densi culmi dell'ampelode-smo o ddisa che i contadini lega-vano tra loro e accendevano a mo’ di torce. I culmi da ddisa servivano anche a giocare a fare le fiaccole. Soprattutto nelle notti d'inverno, alla luce di queste torce, dette bbusi di ciàcculi, padri e figli anda-vano in giro per gli uccelli onde po-terli catturare più agevolmente.

Un altro tipo di torcia ve-getale era la cosiddetta "candela del pecoraio", ossia l'infiorescenza cilindrica, lunga e sottile della "li-sca maggiore", nota come stagna-sangu, per le sue proprietà emo-statiche. Questa pianta, detta an-che mazzasurda, tipica degli stagni e di zone acquitrinose, in autunno dopo la disseminazione veniva es-siccata, imbevuta d'olio o cosparsa di grasso e accesa per gioco dai ragazzi.

Anticamente a Palermo i contadini vendevano le loro cande-le vegetali, reclamizzandole cosi ad alta voce: "Cannni, cannili ri picu-raru, picciuotti!... ". E i ragazzi le compravano o le barattavano con cenci, ferro, piombo o altro e le portavano in giro gridando: "Luci, luci, cannila di picuraru ... ".

Vi ho raccontato di petardi e di fiaccole vegetali; concludo con gli aquiloni, anch'essi naturalmente vegetali. I ragazzini li costruivano con un'intelaiatura di cannucce, su cui era stesa della carta variopinta e li attaccavano a un lungo spago. I "cervi volanti" dalle code a strisce anellate, potevano cosi volteggiare leggeri nell'aria. Quando erano stanchi continuavano a divertirsi con un altro gioco meno movimen-tato. Su una grossa pietra appog-giavano le assi di legno adoperati dalle madri per fare asciugare la salsa di pomodoro, costruendo cosi un'improvvisata altalena sulla qua-le, dondolandosi, giocavano a bballacazzizzu.

Alfio Triolo

U U

In passato erano i vigneti a disegnare i confini del centro, oggi invece spiccano colture di-versificate, dai fichi d'india alle pere, ma soprattutto l'olio d'oli-va. E' l'esposizione, a sud dell'Et-na, che favorisce una produzione olearia di grande pregio, Si pro-duce olio biologico certificato che oltre che in Sicilia viene commer-cializzato anche al nord Italia. L'altitudine e le caratteristiche climatiche garantiscono una pro-duzione naturale. Certo in agri-coltura si potrebbe fare di più, ma ovunque si sta attraversando un periodo non felice per via de-gli alti costi di produzione. Per diffondere la conoscenza delle produzioni le Istituzioni si impe-gnano nell'organizzare delle clas-siche sagre e avvenimenti nazio-nali in cui i produttori sono sem-pre presenti, ma l'obbiettivo è e rimane quello di fare decollare il turismo legato con l'agricoltura e i suoi prodotti.

Il paese è ricco di memo-rie; nell'album dei successi storici spicca il fatto che le navi da guerra e da carico durante la dominazione araba fossero costruite proprio dal-la legna dei boschi di Ragalna. Una testimonianza dell'abilità degli abi-tanti che hanno saputo sfruttare le loro risorse.

Alfio Triolo

Proverbi siciliani Dinaru sparagnatu,

du’ voti guadagnatu

Denaro risparmiato, due volte guadagnato

Cu’ simina ventu, arricogghi timpesti

Chi semina vento, raccoglie tempeste

Ariu nettu non si scanta di trona

Cielo limpido non ha paura dei tuoni (chi è onesto non tema le cattive-rie dette dagli altri)

Aria d’impurtanza,

diploma d’ignuranza

Aria d’importanza, diploma di ignoranza

(detto delle persone piene di sé)

La collira di la sira salvila pi la matina

La collera della sera conservala per la mattina (nel frattempo sbollirà...)

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IL CLUB n. 105 – pag. 49

Terza pagina L’Italia è tutta una frana. E non solo dal lato geologico!

n Italia è caduta tanta

di quella neve e pioggia in queste ultime settimane che non si ricor-dava a memoria d’uomo. Questo fenomeno per alcuni è dovuto ai

cambiamenti climatici in atto, per altri ai capricci della nostra stella, sta di fatto che l’Italia è un paese geologicamente giovane, se si e-sclude la Sardegna, e, quindi, sog-getto a continui assestamenti. Si-tuazioni meteo particolari, come

quelle che stiamo registrando in questi mesi, destabilizzano am-bienti geologicamente fragile.

Il nostro territorio necessi-terebbe di una particolare atten-zione da parte delle autorità e dei

vari governi, invece è lasciato a se stesso, nel più grande disinteresse, anzi, nel passato recente se ne è abusato all’esasperazione. La cosa peggiore è che si è permesso a bande di speculatori senza scrupoli di costruire dove non si sarebbe

dovuto costruire, lungo gli argini di vecchi fiumi e di fiumare, lungo i pendii di montagne argillose, a po-chi metri dal mare e così via. Poi quando la natura si riappropria delle sue vie d’acqua, o quando la troppa pioggia determina ulteriori assestamenti in terreni già franosi, si impreca contro la natura, contro chi, come noi ambientalisti, già in tempi passati condannavamo di-sboscamenti insensati e specula-zioni edilizie criminali lungo le pendici di colline e montagne.

Verrebbe spontaneo af-fermare, per alcuni casi, che la di-sgrazia se la sono voluta, ma non è morale fare tali affermazioni an-che perché a volte ci sono vittime innocenti. Mai invece tra queste vittime è risultato chi su quei luo-ghi aveva speculato e lucrato.

Da un vecchio documenta-rio della BBC sulla Sicilia, girato subito dopo la guerra, si vede la costa nord della Sicilia, da Messina a Palermo, ricca di aranceti, con qualche paesino e rare case qua e la, ampie spiagge e un mare puli-to, uno spettacolo bellissimo. An-date ora a fare un viaggio sull’autostrada Messina Palermo e vi accorgerete che la costa è scomparsa sotto migliaia e mi-gliaia di case, scheletri di palazzi, villaggi turistici, periferie a dismi-sura di allora piccoli paesi. Uno scempio illogico, una vergogna mondiale per tutti noi italiani. Per non parlare poi delle coste cala-bresi colonizzate da villaggi turi-stici e infiniti scheletri di case a-busive.

Cosa rimane oggi dell’Italia? Solo il ricordo di essere stato il più bel giardino d’Europa, decantato da poeti e viaggiatori europei che venivano fino a 50 anni fa a visitarci. Solo un ricor-do. E allora la colpa dei disastri di chi è? Di una natura profana-ta, violentata e poi diventata vendicatrice, o dell’uomo moder-no “italicus” che nella sua bra-mosia di ricchezza, di avidità senza confini e di egoismo è stato capace di distruggere il giardino d’Europa?

Ennio La Malfa

I

Giampilieri superiore, una delle zone più colpite dal nubifragio che il 1° ottobre 2009 si è abbattuto sul messinese; ecco come si presenta quest’area tre mesi dopo il disastro

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IL CLUB n. 105 – pag. 50

La situazione in Sicilia Dopo tutte le frane, gli

smottamenti e allagamenti che hanno interessato quest’inverno nell’Isola soprattutto le province di Messina e di Palermo, con i fatti più gravi accaduti a Giampi-lieri e Scaletta Zanclea prima, a San Fratello poi e a Caronia in ultimo, la Protezione Civile, il Governo nazionale e quello re-gionale provano a fare un bilan-cio dei disastri.

Si scopre così che, oltre alla viabilità di entrambe le pro-vince tirreniche, i dissesti hanno interessato in particolare nella provincia di Messina i comuni di Tusa, Pettineo, Motta D’affermo, Reitano, Santo Stefano di Cama-stra, Mistretta, Capizzi, Caronia, Acquedolci, San Fratello, Cesarò, San Teodoro, Sant’Agata Militel-lo, Militello Rosmarino, Alcara Li Fusi, Galati Mamertino, Longi, Frazzanò, Mirto, Caprileone, Tor-torici, Torrenova, San Marco d’Alunzio, Santa Domenica Vitto-ria, Floresta, Ucria, Raccuja, Si-nagra, Castell’Um-berto, San Salvatore di Fitalia, Capo d’Orlando, Naso, Gioiosa Marea, Piraino, Patti, Brolo, Sant’Angelo di Brolo, Librizzi, Montalbano Eli-cona, Ficarra, Tripi, Basicò, Fal-cone, Montagna Reale, Oliveri, San Piero Patti, Castel di Lucio e Antillo; nella provincia di Messi-na, quindi, almeno il 70% dell’intero territorio è in grave dissesto idrogeologico.

In provincia di Palermo, i comuni interessati sono stati quelli di Palermo, Altofonte, Monreale, Villabate, Ficarazzi, Altavilla Milicia, Belmonte Mez-zagno, Santa Cristina Gela, Pia-na degli Albanesi, San Cipirello, San Giuseppe Jato, Partinico, Balestrate, Trappeto, Cinisi, Ca-paci, Campofelice di Roccella, Collesano, Termini Imerese, La-scari, Cefalù, Alia, Montemag-giore Belsito, Mezzojuso, Cam-pofelice di Fitalia, Villafrati, Ca-stronovo di Sicilia, Bisacquino, Corleone, San Mauro Castelver-de, Pollina, Castelbuono, Sclafa-ni Bagni, Caltavuturo, Polizzi Generosa, Gangi, Geraci Siculo, Petralia Soprana, Petralia Sotta-na, Roccapalumba, Valledolmo e Lercara.

Il rischio idrogeologico Secondo la Protezione Civile, il dissesto idrogeologico rappresenta per

il nostro Paese un problema di notevole rilevanza, visti gli ingenti danni arre-cati ai beni e, soprattutto, la perdita di moltissime vite umane. In Italia il ri-schio idrogeologico è diffuso in modo capillare e si presenta in modo differente a seconda dell’assetto geomorfologico del territorio: frane, esondazioni e dis-sesti morfologici di carattere torrentizio, trasporto di massa lungo le conoidi nelle zone montane e collinari, esondazioni e sprofondamenti nelle zone colli-nari e di pianura.

Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio a frane e al-luvioni rientra senza dubbio la conformazione geologica e geomorfologica, ca-ratterizzata da un’orografia giovane e da rilievi in via di sollevamento. Tuttavia il rischio idrogeologico è stato fortemente condizionato dall’azione dell’uomo e dalle continue modifiche del territorio che hanno incrementato la possibilità di accadimento dei fenomeni e aumentato la presenza di beni e persone nelle zo-ne dove tali eventi erano possibili e si sono poi manifestati a volte in modo ca-tastrofico.

L’abbandono dei terreni montani, l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’am-biente, l’apertura di cave di prestito, l’occupazione di zone di pertinenza fluviale, l’estrazione incontrollata di fluidi (acqua e gas) dal sottosuolo, il prelievo a-busivo di inerti dagli alvei fluviali, la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il dissesto e messo ulterior-mente in evidenza la fragilità del territorio italiano.

Il continuo verificarsi di questi episodi ha indotto una politica di ge-stione del rischio che affrontasse il problema non solo durante le emergen-ze, gestendo la riparazione dei danni e l’erogazione di provvidenze, ma che fosse imperniata su una cultura di previsione e prevenzione, diffusa a vari livelli, imperniata sull’individuazione delle condizioni di rischio e volta all’adozione di interventi finalizzati alla minimizzazione dell’impatto degli e-venti. A seguito dell’emanazione di recenti provvedimenti normativi, sono state perimetrate le aree del territorio italiano a rischio idrogeologico elevato o molto elevato. Parallelamente continuano ad essere intrapresi, promossi e finanziati numerosi studi scientifici volti allo studio dei fenomeni ed alla definizione più puntuale delle condizioni di rischio. Sono state inoltre incrementate ed accele-rate le iniziative volte alla creazione di un efficace sistema di allertamento e di sorveglianza dei fenomeni e alla messa a punto di una pianificazione di emer-genza volta a coordinare in modo efficace la risposta delle istituzioni agli e-venti. In termini analitici, il rischio idrogeologico è espresso da una formu-la che lega pericolosità, vulnerabilità e valore esposto: Rischio = pericolosità x vulnerabilità x valore. La pericolosità esprime la probabilità che in una zo-na si verifichi un evento dannoso di una determinata intensità entro un de-terminato periodo di tempo (che può essere il “tempo di ritorno”). La perico-losità è dunque in funzione della frequenza dell’evento. In certi casi (come per le alluvioni) è possibile stimare, con una approssimazione accettabile, la probabilità di accadimento per un determinato evento. In altri casi, come per alcuni tipi di frane, tale stima è di gran lunga più difficile.

La vulnerabilità invece indica l’attitudine di un determinata “compo-nente ambientale” (popolazione umana, edifici, servizi, infrastrutture, etc.) a sopportare gli effetti in funzione dell’intensità dell’evento. La vulnerabilità esprime il grado di perdite di un dato elemento o di una serie di elementi risultante dal verificarsi di un fenomeno di una data “magnitudo”, espressa in una scala da zero (nessun danno) a uno (distruzione totale).

Il valore esposto o esposizione indica l’elemento che deve sopporta-re l’evento e può essere espresso o dal numero di presenze umane o dal va-lore delle risorse naturali ed economiche presenti, esposte a un determinato pericolo. Il prodotto vulnerabilità per valore indica quindi le conseguenze de-rivanti all’uomo (perdite di vite umane, danni materiali agli edifici, alle infra-strutture ed al sistema produttivo). E il rischio è il numero atteso di perdi-te di vite umane, feriti, danni a proprietà, distruzione di attività econo-miche o di risorse naturali, dovuti ad un particolare evento dannoso; in altre parole il rischio è il prodotto della probabilità di accadimento di un evento per le dimensioni del danno atteso.

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IL CLUB n. 105 – pag. 51

Tutto qui? Sembra proprio di sì. Progetti di riqualificazione strutturale e di messa in sicurezza del territorio siciliano? Neanche a parlarne. Nel frattempo però si discute e si approva la legge re-gionale che consentirà di edificare ulteriormente gli immobili di pro-prietà, aumentandone la volume-tria anche con sopraelevazioni. Come se lo scempio perpetrato fino a questo momento delle cam-pagne e delle coste non fosse fin qui sufficiente; come se i continui abusivismi magari sanati per fare recuperare soldi ai Comuni non fossero già sufficienti; come se le tante “tragedie annunciate” con le centinaia di morti che negli anni si sono andati sommando in Sicilia non fossero ancora sufficienti; come se fosse normale che tanti Comuni concedano regolari licenze edilizie per la costruzione di im-mobili rurali (che poi diventano case di prima abitazione o ville) perfino nelle fiumare o sotto co-stoni rocciosi di cui tutti ricordano le passate frane e di cui tutti te-mono le future.

Due istantanee scattate il 2 marzo alla periferia del paese di Caronia, sui Nebrodi, anch’esso colpito da un movimento franoso con un fronte di circa 700 metri che sta interessando un costone di monta-gna e diverse contrade del paese, compresa la S.P. 168 nel tratto che dopo Caronia prosegue per il paese di Capizzi

L’angolo della poesia

Il nostro socio Ninni Fiorentino ha voluto dedicare alle recenti tragedie del messinese una sua poesia: un grido di dolore in ricordo dei defunti, ma nel contempo un atto di accusa contro chi ha consentito con le sue maldestre azioni, che tali tragedie avessero luogo

La tragedia di Messina

Nubi adagiate sul morbido mare

per frenare la pioggia torrenziale

che distrugge interi villaggi.

Le stelle vengono fuori lentamente

come candele accese con luce tremolante

e si intravedono movimenti di mani,

incerte ma forti, che scavano nel fango

in cerca di chi è affogato in un attimo.

Fango che scivola minaccioso

dalla montagna vituperata dall’uomo

e porta con sé tutto ciò che tocca

senza pietà.

Lacrime, disperazioni, tormenti

di chi è ancora in vita

in cerca di piccoli, giovani, anziani,

perduti per sempre.

Ma la montagna resta in alto

più minacciosa di prima

mentre le stelle, ancora per poco,

mandano la loro luce tremolante

come quelle mani che invano scavano

ancora alla ricerca di una speranza

che vola via attimo dopo attimo.

E tu, uomo malvagio,

che hai violentato la natura,

ti sentivi forse invulnerabile e invincibile,

al punto d’aver trasformato il prato verde

in un prato di fango?

Alza le braccia in segno di resa

e immergiti in quel fango che hai voluto.

La natura non perdona!

Ninni Fiorentino

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IL CLUB n. 105 – pag. 52

Il mio camper Anche i nostri soci parlano di camper, del loro camper: com’è, del perché l’hanno scelto, dei suoi pro e contro... Ed è come se parlassero di loro stessi!

manuele Amenta non

può non essere considerato uno dei “soci amici” per eccellenza del no-stro Club: persona di grande com-pagnia, davvero amico di tutti, per molti è un classico “uomo di pace”, per tutti anche una persona che in più occasioni si è dimostrato capace di organizzare gite e altre iniziative per il Club con immediatezza e ca-pacità, grazie al fatto che conosce bene il suo territorio, fra Ragusa e l’interno del siracusano, per il quale è ormai il punto di riferimento del Comitato di Coordinamento. Lo conobbi la prima volta ad inizio del 2002, presentatomi dall’allora direttore della sede di Si-racusa del Banco di Sicilia che mi parlò di lui, da pochi mesi camperi-sta, come di una persona di grande spessore che voleva entrare nel no-stro gruppo e che, se lo avessimo accolto, sarebbe stato in grado di dare anche un bel contributo. Così è stato, senza che mai Emanuele vo-lesse dimostrare alcunché a nessu-no, convinto assertore del piacere del fare più che di quello del dire, orgoglioso in ogni occasione di far parte del nostro Club e quindi vicino a ogni socio che ne avesse bisogno, con umiltà e affetto, proprio come ti aspetteresti da un amico.

Emanuele e Larisa davanti al loro camper

Forse è per questo che lui non ama parlare molto di sé, an-che se di cose da raccontare ne avrebbe: della sua esperienza da carabiniere del Nucleo Radiomo-bile di Roma negli anni ’70 o di quella pluridecennale di funziona-rio responsabile dell’Ufficio Tecni-co del Comune di Cassaro e poi del Comune di Buscemi, ambedue nel siracusano; per non parlare di quella, dal ’92 al ’96, di Assesso-re all’Urbanistica del Comune di

Canicattini Bagni, un’esperienza che – come precisa – gli è stata utile per comprendere meglio le esigenze degli altri e mettere a frutto la propria capacità di risol-vere i problemi e che non è mai stata vissuta nemmeno per un giorno nell’ottica della gestione di un ipotetico “potere”.

Forse è anche questa la ragione per cui, conoscendo il territorio di quella parte della Si-cilia come pochi, spesso affianca

E Carta d’identità

Socio: Emanuele Amenta Anni: 61 Residenza: Palazzolo Acreide (SR) Occupazione: Pensionato (già Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune

di Cassaro e del Comune di Buccheri (SR) Altre persone che compongono l’equipaggio: l’amata compagna

Larisa e la piccola cagnetta Faye

Caratteristiche del camper

Veicolo: Rapido 962 M Anno di acquisto: 2005 Anno di prima immatricolazione: 2005 Tipologia: motorhome Meccanica: Mercedes 3.5 con cambio semiautomatico Misure: lunghezza: m. 6,64, larghezza: m. 2,30, altezza: m. 2,90 Posti omologati: n. 4 Posti letto: n. 4: 1 matrimoniale in coda + a scomparsa Serbatoi acque chiare: l. 240 Serbatoio acque grigie: l. 100 WC: Thetford a cassetta Riscaldamento: Stufa Telair con ventilazione Boiler: a gas Frigorifero: trivalente l. 120 Cucina: piano cottura 3 fuochi Optional montati: tendalino, aria condizionata nella cellula e in ca-bina, antifurto, radio Hi.Fi., CB, navigatore satellitare, televisione e lettore DVD

Valutazione del mezzo da parte del socio

Motorizzazione veicolo (velocità/ripresa) Molto soddisfatto Impianto freni Molto soddisfatto Tenuta di strada Molto soddisfatto Spazio utilizzabile nella cellula abitativa Molto soddisfatto Impiantistica (capacità serbatoi/stufa...) Molto soddisfatto Qualità del mobilio ed eleganza arredi Molto soddisfatto Cuscineria e tappezzeria Molto soddisfatto Comodità dei letti Molto soddisfatto Comodità dei divani e dei posti a tavola Molto soddisfatto Capacità stivaggio (gavoni/armadio/ante) Molto soddisfatto Servizio WC/doccia Molto soddisfatto Cucina/piano cottura/frigo Molto soddisfatto

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IL CLUB n. 105 – pag. 53

di sua iniziativa un altro mostro sacro del nostro Club come Alfio Triolo nella organizzazione delle attività in tutta la Sicilia sud-orientale e mai si tira indietro quando c’è qualcosa da fare in concreto. Padre di una figlia ormai sposata e nonno di una nipotina di 7 anni, tutti lo conosciamo co-me inseparabile compagno dell’amata e “solare” Larisa, ori-ginaria di Murmansk - una locali-tà russa oltre il Circolo Polare Ar-tico - conosciuta a San Pietrobur-go tramite comuni amici italiani e russi, da dieci anni ormai stabil-mente in Italia, appagata dal cli-ma, dal mare e dalla cucina della Sicilia di cui ormai non può fare a meno, come lei stessa confessa. Ma insieme a loro c’è un terzo componente dell’equipaggio che non si può dimenticare: la simpa-ticissima cagnetta Faye, così chiamata da Larisa dal nome dell’attrice più stimata, Faye Du-neway. Camperisti dal 2002, dap-prima a bordo di un motorhome Mobilvetta Yacht 55, dal 2005 viaggiano su un bel Rapido 962 su meccanica Mercedes, un mo-torhome di alta gamma di cui ambedue sono entusiasti. A bor-do di questo mezzo hanno visita-to vari Paesi europei, ultimi Spa-gna e Portogallo, tornando nell’amata Sicilia sempre felici della libertà e di tutte le altre op-portunità che il camper può dare a chi ama viaggiare. E come potrebbe non es-sere così, con un veicolo come questo Rapido? Vediamolo da vi-cino: elegante, spazioso, filante nella linea e veloce grazie alla motorizzazione Mercedes al verti-ce della sua categoria, l’interno si presenta sobrio e comodo oltre misura per una coppia; davanti c’è una semidinette e vi è la pos-sibilità di ospitare a tavola quat-tro persone grazie alle poltrone girevoli della cabina. Fa da tetto alla zona living e alla cabina il letto basculante, completamente a scomparsa perché perfettamen-te incastonato fra i pensili in le-gno di ciliegio, solidi ed eleganti come tutto il mobilio interno.

Dietro questo living nella parte sinistra si trova un grande vano toilette con cabina doccia separata. Dalla parte opposta, dopo la porta di accesso alla cel-lula abitativa posta appena dietro

le poltrone della cabina, troviamo la zona cucina con piano cottura e lavello, e quindi la colonna fri-go. In coda, separabile da una porta scorrevole, l’armadio e il letto matrimoniale longitudinale rialzato, sotto il quale trova posto il grande gavone posteriore, ac-cessibile anche all’esterno da ambo i lati. Ottima è la capienza di stivaggio dei mobili e dei vari ga-voni, piccoli e grandi. E al di là di tutto quanto già Rapido abbia po-sto di serie su questo motorhome (davvero tanto), Emanuele e La-risa lo hanno dotato di tutto il necessario per trascorrervi a bor-do con il massimo relax la loro vita: dalla televisione al lettore di DVD all’inseparabile PC portatile per poter alla fine di ogni giorno visionare le tante foto scattate da

Larisa e potersi connettere trami-te chiavetta a Internet in ogni luogo.

Lo considerano per questo un compagno ideale di viaggio e ne sono entrambi letteralmente entusiasti, così come si evidenzia dalla valutazione espressa e co-me traspare in ogni caso al ritor-no da ognuno dei loro grandi viaggi o, accanto a loro, nel corso delle tante gite del Club alle qua-li, sempre con il sorriso negli oc-chi, amano partecipare con assi-duità. Sempre fedeli al valore dell’amicizia, perché una vita senza amici non sarebbe la stes-sa, come essi stessi mi confer-mano. Ovviamente con il sorriso sul volto.

Maurizio Karra

Emanuele e Larisa all’interno del loro motorhome insieme all’inseparabile cagnetta Faye

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IL CLUB n. 105 – pag. 54

Musica in camper Una voce femminile e una maschile ci danno il benvenuto in primavera, facendoci rilassare al primo timido sole dopo le tante burrasche invernali subite con i loro timbri suadenti e le atmosfere avvolgenti, e dandoci la giusta carica per sognare i prossimi viaggi

e giornate hanno ri-

cominciato ad allungarsi, facendoci respirare la prima aria di primave-ra e forse anche di vacanza, anche se ancora la variabilità climatica ci lascia in una sorta di limbo in cui i progetti dei prossimi viaggi comin-ciano a prendere corpo soltanto nella nostra fantasia, duramente provata dalla monotonia del triste e perverso inverno che abbiamo sopportato. E allora, per stimolare maggiormente la nostra capacità di sognare, è meglio affidarci alla musica che ci rasserena e nel con-tempo ci emoziona. La prima proposta riguarda un’artista britannica di grande clas-se, dalla voce pastosa e dal sound particolarmente suadente, Helen Sade Adu, in arte Sade, che ha scelto un approccio artistico molto lento, al punto che in 25 anni di car-riera ha prodotto soltanto cinque al-bum, tutti caratterizzati da un’im-pronta musicale dal sapore esotico, dovuta probabilmente alle origini ni-geriane della cantante da parte di padre, con connotazioni che vanno dal funk leggero al morbido r’n’b.

Il suo ultimo album, “Sol-dier of love”, è uscito a circa dieci anni dal precedente, a riprova del fatto che la cantante non ama an-dare veloce, come lei stessa am-mette: «Faccio un disco solo quan-do ho qualcosa da dire. Non sono interessata a pubblicare la mia musica solo per vendere». L’artista, affiancata da collaboratori storici come Paul Spencer Den-man, Andrew Hale e Stuart Mat-

thewman, affronta in questo cd temi a lei congeniali, meditando sulla fine di un amore e traendo lezioni di vita dal dolore, senza in-dulgervi e imparando a sopravvi-vere, avvolta da un suono velluta-to che sembra essere una panacea per il mal d’amore.

Si susseguono così tradi-menti e delusioni, come nel brano “The moon and the sky”, scandito dal dialogo tra chitarra e basso, amori e guerre, come in “Soldier of love”, che dà il titolo all’album, ri-cordi di giorni felici in “Morning bird”, che scorrono lievi sul piano-forte, azzardate speranze in “Be that easy”, dal sapore country-blues e guizzi di ottimismo in “Long hard road”, che ci fanno ben sperare per il futuro, perché tutto andrà bene; e con un sound così avvolgente è facile crederci. Torniamo, invece, a casa nostra per la seconda proposta che riguarda un artista talmente “no-stro” da essere nato in Sicilia, e precisamente a Catania, anche se si è spostato ormai da molti anni in Emilia Romagna per motivi profes-sionali; quel Mario Biondi che è l’autentica voce black della musica italiana. Dopo le 300.000 copie vendute e i tre dischi di platino conquistati con i due precedenti dischi, ecco arrivare il nuovo al-bum di inediti che si chiama “If”, dal titolo particolarmente significa-tivo «perché è un disco molto vin-colato al “se”, che forse non a-vrebbe mai visto la luce se non a-vessi fatto certe scelte, se non a-vessi incontrato certe persone o se non mi fossi messo veramente in gioco», come racconta lo stesso cantante jazz.

Questo album, infatti, rap-presenta un passo avanti nella sua carriera, sia negli arrangiamenti che nella scrittura dei brani, e ha visto la luce tra Roma e Rio de Ja-neiro grazie alla collaborazione di moltissimi musicisti amici; contie-ne undici pezzi inediti e tre cover, brani scelti sia per affetto che per un riscontro con gli ascolti, e tra gli originali annovera il pezzo “Be lo-nely”, una storia di vita vissuta che

insegna a non volere qualcuno a tutti i costi, e anche una canzone scritta da Burt Bacharach apposi-tamente per Biondi.

E’ innegabile che questo nuovo album si prepara ad essere un altro grande successo, come testimoniano le 70.000 copie già vendute in prevendita che gli val-gono già un altro disco di platino. Ed è davvero un Mario Biondi se-reno e profondo quello che si può apprezzare in questo album, un artista sempre più completo in grado di regalare emozioni a piene mani grazie alla sua voce calda e avvolgente, forse proprio perché è un cantante che trova fondamen-tale confrontarsi con altri artisti e che a sua volta si emoziona ad es-sere considerato da personaggi importanti dello spettacolo.

A questo proposito c’è sta-ta la recente collaborazione con Renato Zero, e ci sarà una sua partecipazione nel prossimo disco di Claudio Baglioni, oltre ad un duetto con Chaka Khan; ma nel contempo il cantante conserva nel cassetto anche tanti brani in italia-no, perché racconta che sarebbe bello avere il coraggio di osare, mettendosi in gioco, e provare ad aprirsi al mercato internazionale anche cantando nella nostra lin-gua. E per un artista catanese dal-la voce black sarebbe davvero una bella scommessa, non credete? Perché la musica è fatta proprio per questo, per abbattere i confini, sia quelli concreti che quelli meta-fisici…

Mimma Ferrante

L

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Riflessioni

Soluzione in cerca di problema

l cellulare di ultima ge-

nerazione, sì quello che produce film, foto, video-chiamate, permet-te di vedere i programmi tv, ripro-duce files mp3; il pc superpotente, con l’ultimissimo processore, su-perveloce, superaccessoriato, con sistemi bluetooth, wireless, che possa telefonare, che pesa soltanto 2 kg; la fotocamera da 20 megapixel, con il visore da 2,5 pol-lici, che scatta con un ritardo di 0,01 sec, con risoluzioni sensibil-mente alte; il navigatore satellita-re, completo di tutte le mappe del mondo, con memoria da parecchi Gb in grado di conservare foto, file mp3, rubriche telefoniche, foto fa-centi capo ad itinerari da richiama-re quando selezionati, punti di in-teresse, gestione degli autovelox, comandi vocali, utilizzo come ter-minale viva-voce in una conversa-zione con un cellullare in collega-mento senza fili; l’automobile con dieci airbag, sistemi elettronici e-sasperati, controlli sulla partenza assistita, sull’accelerazione, sul controllo di stabilità, di velocità, di frenata, sull’utilizzo dei sistemi quali accensione fari, messa in mo-to dei tergicristalli, etc etc… Ma davvero tutte queste cose ci ser-vono? O sono soltanto delle esi-genze indotte, delle necessità che ci hanno creato, ma delle quali non ne sentiamo davvero la mancanza?

Oggi più che mai, quando si decide un acquisto, bisognerebbe preventivamente decidere ciò che ci è davvero necessario e ciò di cui possiamo pacificamente fare a me-no, per evitare di acquistare qual-cosa che è super, ma non solo nella qualità o negli accessori ma anche nel prezzo, che è il massimo che il mercato può dare in quell’istante (sì, perché è solo questione di i-stanti il termine di tempo che inter-corre tra un prodotto nuovo ed uno vecchio..), ma che in relazione alle nostre esigenze si rivela spesso “e-sagerato”, con potenzialità che ma-gari non useremo mai, che non ci servono, spesso complesse, descrit-te sui libretti di corredo che ormai assomigliano sempre meno ai Bi-gnami e sempre più ai tomi del Di-ritto Privato, con serie difficoltà di approccio, se non si ha una almeno

discreta conoscenza di base di con-cetti spesso abbreviati da incom-prensibili acronimi.

Un cellulare e un PC di ultima (?) generazione: in tanti li acquistano per moda, ma quanti ne sanno sfruttare le reali potenzialità?

Una volta un prodotto na-sceva per soddisfare un esigenza, per risolvere un problema. Oggi le cose vanno diversamente. Spesso un prodotto nasce perché studiato dal marketing, dalle indagine sui consumi e sui potenziali acquirenti. In altri casi invece il prodotto na-sce perché ci sono disponibili in a-zienda i prodotti e le tecnologie per poterlo realizzare. Allora si parla di soluzione in cerca di problema.

A questo punto subentra il marke-ting che deve capire a chi può es-sere utile il nuovo prodotto e come venderglielo. Ma non sempre, co-me si diceva innanzi, l’utile è dav-vero utile. Tutto è relativo.

Facciamo l’esempio del fa-moso tunnel sotto la Manica: do-veva ridurre i tempi di attraversa-mento da alcune ore a meno di un’ora; non avrebbe sofferto dei problemi dei traghetti (scioperi, ritardi, mare grosso, nebbia); sen-za pensare che il costo del pedag-gio sarebbe stato minore di quello del traghetto. Sembrava una cosa utile. Nei fatti per anni è stato un fallimento: infilarsi in un tunnel

sottomarino di 40 km. per rispar-miare un paio d’ore non allettava nessuno; inoltre contemporanea-mente i traghetti abbassarono le tariffe annullando il vantaggio eco-nomico. Quindi utilità non c’era. Poi un giorno il sospetto di un at-tentato bloccò tutti gli aerei in par-tenza da Londra ed ecco che di colpo il tunnel diventò l’unico mo-do veloce e sicuro per raggiungere Parigi. Cosi oggi i treni sotto il tun-nel viaggiano a pieno carico e quest’opera mastodontica è oggi …utile, almeno finché non entrerà anch’essa nel mirino dei terroristi.

Luigi Fiscella

I

Cucina in camper

Tagliatelle mimosa

Ingredienti: tagliatelle, 3 limoni, prezzemolo, 3 cucchiai di olio extravergine di oliva, 2 cucchiai di parmigiano grattugiato.

Preparazione: grattugiate la scorza dei limoni in una terrina, amalgamandola insieme all'olio e al parmigiano e rimestando tutto. A parte lessate e scolate le tagliatelle, versandole nella ciotola insieme al condimento, aggiungendo un mestolino d'acqua ed il prezzemolo tritato. Amalgamate il tutto e servite ben caldo.

Petti di pollo alla pizzaiola

Ingredienti: 4 fette di petti di pollo, basilico, prezzemolo, sedano, 1 cipolla, 1 carota, qualche gambo di rosmarino, 4 pomodori per salsa, 200 gr. di fontina, 1 pizzico di origano, ½ cucchiaio di capperi, ½ bicchiere di vino bianco, olio d’oliva, farina.

Preparazione: tritate finemente gli aromi, fateli rosolare nell'olio, passate la carne nella farina ed aggiungetela nella padella con i gusti. Fate rosolare e bagnate con un po' di vino. Unite i pomodori spezzettati e fate cuocere. Unite infine anche la fontina tagliata a fettine, i capperi e l'origano ultimando ancora per qualche minuto la cottura.

Enza Messina

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IL CLUB n. 105 – pag. 56

Internet che passione

Il centro elettronico del Banco di Sicilia

ta ormai diventando

un ricordo del passato. E in realtà lo è, visto che la sua funzione at-tuale, così come l’attuale colloca-zione, non possono minimamente considerarsi affini a quelle che ricordiamo. Sto parlando del cen-tro elettronico del Banco di Sici-lia. Ovvero, per chi ne ha cono-sciuto l’evoluzione, il SEESI, il Sit, l’Usit o le altre denominazioni che lo hanno contrassegnato nel corso degli anni. Per pura fatali-

tà, nel giorno del mio complean-no, ormai trent’anni fa, ne varca-vo il cancello di via Adria per re-carmi al suo interno, “scortato” da un collega custode che ebbe la gentilezza, e certamente anche l’incarico, di venirmi a prendere. Forse alcuni ne ricorderanno me-glio l’accesso storico, cioè quello di via Serradifalco.

Sono sempre stato un in-formatico e, seppur ormai con u-n'attività formalmente diversa e più esclusivamente attinente al

mondo internet, continuo a lavo-rare al margine dell'ambito in-formatico. Anche se nel frattem-po la banca è diventata un'altra per ben tre volte. Anche se i miei nuovi, recenti e più intimi colle-ghi hanno poco più che l'età della mia figlia più grande. Anche se io e un altro collega abbiamo avuto casualmente l’onere di essere gli ultimi ad uscire dallo stabile d’acciaio e vetro (oltre che a-mianto), prima della sua definiti-va chiusura operativa…

Ho iniziato nel ruolo di operatore di sala macchine. Cioè dallo scalino più basso, anche se ai tempi si trattava di un mestie-re “sciccossissimo” e spaziale. E in effetti, talvolta ancora adesso ho qualche difficoltà a spiegare che tipo di lavoro facessi… Al massimo però ci si gongolava af-fermando che c'era da lavorare per ogni ora delle 24 di una gior-nata, perché "il computer non si spegneva mai". Cosa peraltro ve-rissima, visto che infatti si lavo-rava anche la notte. Cosa che i-noltre, però, a quasi 24 anni d’età non lasciava poi particolari strascichi. Anzi, ricordo ancora notti talvolta faticose ma altret-tanto divertenti e colme di splen-didi rapporti umani. Tutto questo tempo è stato scandito dalle tap-pe della storia della tecnologia informatica: dai gran-di mainframe IBM al “cyberspa-zio” del mondo Internet, passan-do per i primi personal computer e le prime grandi reti informati-che, quasi del tutto inesistenti in quel lontano 1980.

Quando il mio destino s’incrociò con il centro elettroni-co del Banco, per noi di quell’ambiente universalmente il S.E.E.S.I. (scritto così, in maiu-scolo e meglio ancora se con i punti), questo disponeva di due sistemi IBM 370/168 e di un 370/158. I primi due gestivano, non in tempo reale dato che non esistevano ancora i collegamenti online, le attività dell’intera ban-ca; il terzo era il cosiddetto “si-stema di test”, utilizzato dai pro-grammatori (cioè quella sorta di “casta” inarrivabile, specie agli occhi di un giovane appena as-

S

In alto, una delle due “Master Console” del sistema 370/168 in uso al vecchio centro elettronico del Banco di Sicilia all’inizio degli anni ’80. In basso la sala nastri e stampanti. Tutte le immagini di queste pagine, datate 1981, sono fotografie originali della sala macchine dello storico S.E.E.S.I., scattate dall’autore di quest’articolo.

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IL CLUB n. 105 – pag. 57

sunto, di cui ho comunque per lungo tempo fatto parte…) per testare ogni nuova procedura svi-luppata, oppure per simulare si-tuazioni critiche o di errore, in modo da poter rimediare alle non infrequenti situazioni d’ emergen-za. Non è facile paragonare un simile parco macchine con i nuovi mainframe, che ormai di fatto si identificano con infinite reti virtuali di server sparsi per il mondo. E non pretendo neppure di poter fare un simile paragone. Ma solo per dare un’idea - sem-pre che i miei ricordi non mi tra-discano, visto che non è neppure facile trovare informazioni “nu-meriche” su internet - vorrei dire che due di questi computer credo avessero insieme un potenza ela-borativa affidata a dei processori di “ben” sedici megabyte. Ma se vi possono sembrare ridicoli ri-spetto agli anche 4 GB dei mo-derni portatili, sappiate che erano invece stratosferici se paragonati ai ben 5 kB di RAM di un Com-modore VIC 20 che, da li a poco, sarebbe stato il massimo a cui si poteva aspirare in fatto di perso-nal computer casalinghi. Per ave-re un riscontro numerico imme-diato, vi ricordo che 16 MB corri-spondono a 16.384 kB (cioè 16.777.220 byte).

E’ opportuno però preci-sare che i 16 MB di memoria di quel mainframe, uniti alla capaci-tà di elaborare colossali quantità di dati, lo rendevano perfetto per la lavorazione di informazioni bancarie. Stiamo quindi parlando di una “potenza di fuoco” deci-samente non disprezzabile. Cioè il massimo della tecnologia del periodo.

Altro discorso invece va fatto per le periferiche per le quali, in realtà, guardando ai numeri d’oggi non può che venir da sorridere. Se attualmente in-fatti sono disponibili hard disk ul-tra economici, di dimensioni così contenute che possono essere

tenuti in tasca e con capacità di memorizzazione superiori al tera-bite (cioè qualcosa come 1.000 miliardi di byte e più), in quei tempi i dati venivano memorizza-ti in supporti tanto ingombranti, quanto poco capienti. Un esempio erano le unità disco IBM 3330, paragonabili solo funzionalmente a dei mega lettori di compact disc, dov’era possibile “montare” un’infinita quantità di supporti

mobili, ciascuno della capacità variabile -udite udite- dai 100 ai ben 200 megabyte!

Solo per fare un esempio, un’elaborazione esclusivamente notturna dell’epoca, della durata di circa otto ore (chi in quel pe-riodo c’era, capirà sicuramente che sto parlando della procedura di portafoglio), necessitava di una decina di tali dischi che, si-mili in peso e dimensione ad una

Le unità disco 3330 e, sotto, alcuni dischi pronti per il montaggio

Riferimenti in rete http://it.wikipedia.org/wiki/Mainframe

http://www-03.ibm.com/ibm/history/exhibits/mainframe/mainframe_PP3168.html

http://www-03.ibm.com/ibm/history/exhibits/storage/storage_3330.html

http://en.wikipedia.org/wiki/Early_IBM_disk_storage

http://it.wikipedia.org/wiki/VIC-20

http://www.helldragon.eu/marcello/galli_lezioni/C_software/evoluzione.html

http://www.grid.unina.it/Didattica/ScienzeDelloSpettacolo/slides/InformaticaDistribuitaERetidiCalcolatori.pdf

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ruota di scorta di una piccola berli-na, nel corso della notte venivano continuamente richiesti dal compu-ter, anche per pochi istanti alla volta! E in realtà, con le decine e decine di montaggi, smontaggi e rimontaggi di questi dischi, non c’era affatto bisogno di una pale-stra per tenersi in forma…

E come dimenticare le migliaia di nastri magnetici, le decine di migliaia di schede per-forate e ancora le tonnellate di carta e di toner, quest’ultimo un’assoluta novità in quei tempi, che riuscì persino a soppiantare le rumorosissime stampanti “a impatto” (ricordate quelle stampe sulla carta “continua” con i bu-chetti ai bordi?). Insomma, un mondo dove tutto era già all’avanguardia - come in ogni struttura d’eccellenza quale era il SEESI - ma che era ben lungi dalla esasperata, ma ad onor del vero comoda, miniaturizzazione odierna. Su come tutto ciò fun-

zionasse non vorrei addentrarmi ma consiglio, a chi volesse infor-marsi, la lettura degli appunti di informatica di cui trovate il link tra i riferimenti in rete.

Potrebbe sembrare che quanto sinora detto si riferisca a un argomento da considerare ormai pionieristico. Certamente lo è stato. Anche perché soppian-tato dal più moderno concetto di informatica distribuita, massi-mamente introdotto dall’avvento dei personal computer e della tecnologia client-server, che hanno di fatto polverizzato, delo-calizzandole, le attività dei grandi centri di elaborazione dati. I si-stemi 168 furono dismessi intor-no al 1982-1983, insieme al si-stema 158 che, mi pare, fu dona-to al centro di calcolo del-l‘Università di Palermo.

Di recente un collega mi ricordava un evento da me del tutto dimenticato, rammentando che fui proprio io a spegnere per

l’ultima volta quel mainframe, con uno di quei gesti ripetitivi di questo mestiere: cioè un piccolo calcio dato con il tacco della scarpa su un grosso interruttore di un pannello elettrico. Fu il momento del passaggio all’architettura di sistema IBM 3081. Un nuovo computer assai più evoluto e compatto, oltre che più veloce, dotato di nuovissime periferiche, quali ad esempio i robot capaci di montare in auto-nomia i nastri magnetici, diventa-ti più piccoli e più capienti.

In quello stesso periodo io iniziai ad occuparmi di program-mazione e in particolare delle procedure online relative ai conti correnti che, ormai, avevano vir-tualmente di fatto collegato tra loro tutte le strutture e le filiali della banca tramite i cosiddetti “Poli di informatica distribuita” di Milano, Roma e Torino. Fu l’inizio di quella già citata rivoluzione che adesso si è concretizzata con il mondo web, che ha portato la banca direttamente nelle nostre case. Attualmente non so di pre-ciso dove sia collocata l’analoga struttura, che già dal tempo di Capitalia inglobò il SEESI. Forse a Verona o in Polonia, certo an-che appena un po’ qui a Palermo.

Forse non è nemmeno im-portante saperlo. Ciò che importa è sapere di aver avuto la fortuna di poter fare uno splendido lavoro! Magari senza grandi soddisfazioni se non quelle derivanti dall’opportunità di “vivere” le tec-nologie, ma senz'altro una magni-fica attività. Che ancora è tale, an-che se forse adesso, non solo a causa dell’età, priva di quel senso di meraviglia che spero di aver minimamente trasmesso con que-ste righe.

E proprio perché adesso vi-viamo tutti l’esperienza di un mon-do che senza internet non sarebbe lo stesso, invito coloro che abbiano “memorie” del genere, ad interve-nire tra le nostre pagine portando un po’ di sano amarcord, che sia capace ancora di sbalordirci in que-sti tempi assai poco ricchi e con-vincenti. Certo, resta il fatto che sono passati ormai trent'anni! Tra-scorsi però così tanto velocemente, che non faccio che stentare a cre-derci. Chissà, forse è vero che ogni bel gioco dura poco... In apparen-za, direi!

Giangiacomo Sideli

Le unità nastro e, in basso, gli armadi con alcuni nastri magnetici

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News, notizie in breve Un progetto per gli orti urbani

Italia Nostra, che da più di cinquant’anni opera per la tutela del patrimonio storico, artistico e natu-rale italiano, ha recentemente avvia-to un percorso di collaborazione con l’ANCI – l’Associazione Nazionale Comuni Italiani – per promuovere e diffondere la coltivazione di orti ur-bani su tutto il territorio nazionale. L’avvio del progetto, che non a caso ha preso il nome di “Orti urbani”, è stato sancito dalla firma di un proto-collo di intesa, in cui le due associa-zioni si prefiggono obiettivi molto importanti:

a) intraprendere un percorso co-mune volto a restituire dignità agli orti urbani, in modo da po-terli nuovamente considerare una realtà sociale, urbanistica e storica di rilievo e sottrarli al-la marginalità e al degrado in cui spesso sono caduti;

b) incentivare la diffusione degli orti urbani come sistema per argina-re il consumo di suolo che sta di-lagando sul nostro territorio;

c) tutelare la memoria storica che gli orti recano con sé favorendo la partecipazione e l’interazione dei cittadini e quindi il recupero della conoscenze manuali e a-gricole legate alla coltivazione degli orti.

Il protocollo si chiude con l’impegno delle parti di diffondere il messaggio tra quanti aderiscono alle rispettive associazioni, anche

mediante seminari, redazione di te-sti e manuali, corsi, laboratori e qua-lunque altre iniziative di formazione e promozione. Lavorando in paralle-lo con l’Università di Perugia, si è anche giunti alla stesura di un utilis-simo documento: le linee guida per la progettazione, l’allestimento e la gestione di orti urbani e periurbani. Il documento consta di due parti. Nella prima si descrivono i tipi di ter-reno che si possono trovare nelle aree urbane o nelle immediate vici-nanze, definendo non solo il modo migliore in cui deve essere struttura-to l’appezzamento, ma anche le con-dizioni ottimali per mantenerlo (si-

stemi di irrigazione, di pulizia, di smaltimento di reflui e rifiuti). Nella seconda parte, invece, l’attenzione è puntata sulle coltivazioni: quali pian-te è meglio coltivare, quando, con che successione temporale e con che sistemi.

Se Milano è la città d’Italia capofila del maggior numero di pro-getti già realizzati o in corso di rea-lizzazione, nel sud d’Italia è la Re-gione Campania ad avere varato un piano specifico che prevede la realiz-zazione di circa 1.500 spazi, per un investimento di 1.800.000 euro, da affidare alla cura di soggetti appar-tenenti alle fasce sociali deboli, an-ziani, disabili, persone sottoposte a misure cautelari o studenti. Qui ci si propone di raggiungere contempo-raneamente anche altri obiettivi: prima di tutto l’inclusione sociale tra i soggetti destinatari e la creazione

di nuove reti solidali. Gli orti sociali possono infatti aiutare le politiche di prevenzione del disagio sociale già ampiamente collaudate in altri con-testi europei ed italiani; inoltre, la coltivazione destinata all’auto-consumo di aree pubbliche facilita la diffusione della cultura e della sensi-bilità ecologica e ambientale; infine, l’individuazione degli orti sociali co-stituisce anche occasione per i co-muni di recuperare spazi abbando-nati e di risocializzarli e renderli frui-bili alla cittadinanza.

E in Sicilia? Poche notizie ci sono sull’argomento. L’unica città nella quale pare che siano attecchiti in modo strutturale gli orti urbani è Catania, che ne conta davvero tanti: Cibali, San Cristoforo, Nesima Infe-riore, PIcanello, Fossa Creta, Acqui-cella, via Palermo, Sciara Curìa, per fare i nomi di alcuni dei quartieri che li ospitano. Anche a Favara, in provincia di Agrigento, è stato av-viato un progetto del genere su ter-reni ai margini del paese, con l’intervento dell’Università di Paler-mo. E altrove? Nessuno ne sa parla-re. Eppure potrebbero essere un’alternativa per la coltivazione di-retta e l’acquisto di prodotti naturali con più bassi costi.

I dati ufficiali sulla crisi del settore turistico

Alla BIT di Milano, inaugu-ratasi il 17 febbraio a Milano, sono stati diffusi i dati dell’Ocse sulla cri-si che ha colpito anche il settore turistico mondiale. L'impatto della crisi sul turismo è stato pesante, ma molto diverso da settore a set-tore. In generale, i flussi turistici in Italia sono diminuiti del 4,3% su base annua (-5,1% è la media in Europa); alcuni segmenti, però, so-no stati colpiti in modo molto limi-tato, o sono addirittura cresciuti in piena fase di crisi. Il rapporto Ocse, intitolato su “Trend e politiche del turismo”, precisa che il turismo in-ternazionale è stato colpito più di quello interno, i viaggi per affari più di quelli per svago, il trasporto ae-reo più degli altri mezzi.

Anche l’Eurostat conferma lo stato di crisi del settore. Tra i Pa-esi che hanno perso più turisti, tutti quelli dell'Est, i Paesi del Baltico, ancor di più Cipro (-19,7%), il Bel-gio (-16,5%) e l’Irlanda (-15,4%).

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IL CLUB n. 105 – pag. 60

La Spagna resta il Paese più visita-to, anche se nel 2009 ha visto un calo di turisti del 6,5%. Seguono Italia, Germania (che ha perso solo l'1,4%) Francia (-5,6%) e Gran Bretagna (-1,7%). Sebbene il calo di oltre 4 punti percentuali l'Italia resta comunque il secondo Paese più visitato d'Europa dopo la Spa-gna.

La Federazione ACTItalia per i mari e le coste

E’ stato recentemente siglato a Bologna, nell’ambito dell’Eudi Show, un importante protocollo d’intesa fra la nostra Federazione, VAS Onlus e NADD Europe per l’ecoturismo e la salvaguardia dei mari e del mondo subacqueo. Gli o-biettivi sono: □ promuovere iniziative di sensi-

bilizzazione, educazione, for-mazione ed avvicinamento alle attività sportive e/o ricreative acquatiche finalizzate alla mas-sima fruibilità e alla sostenibilità ambientale di tali azioni;

□ sviluppare attività di ricerca, sperimentazione e sostegno al-la massima partecipazione so-ciale nella difesa e nella valo-rizzazione della risorsa “mare”;

□ elaborare materiali informativi e percorsi conoscitivi per avvi-cinare i soci e i cittadini alle attività acquatiche nel pieno ri-spetto dell’ambiente e della biodiversità.

Il manifesto sulla campagna in difesa del mare

Per la nostra Federazione era presenta alla firma dell’accordo il vice presidente Libero Cesari, che considerando di grande importanza il protocollo d’intesa, ha affermato che «compito di ogni campeggia-tore turistico presente nelle locali-tà marine e che ama profonda-mente il mare è anche quello di difendere questo straordinario be-ne, segnalando ogni abuso ed e-ducando la cittadinanza al mag-giore rispetto che merita il mare stesso».

Nel nisseno nasce il primo museo siciliano delle solfare

Oltre due secoli di storia sociale ed economica della Sicilia Orientale sono stati segnati in ma-niera determinante dall'attività e-strattiva dello zolfo: basti pensare che all'inizio del XX secolo l'Isola ebbe il monopolio naturale di que-sto minerale, detenendo il 91% della produzione mondiale. Ebbe-ne, dopo sei anni di lavoro e un progetto costato oltre 5 milioni e mezzo di euro che abbraccia un terreno di 6 mila metri quadrati la Soprintendenza di Caltanissetta diretta da Rosalba Panvini, resti-tuisce alla pubblica fruizione uno straordinario esempio di archeolo-gia industriale: la miniera di Trabia Tallarita, che ricade nel territorio tra i comuni di Sommatino e Riesi

Il vasto altopiano gessoso-solfifero, tra i più grandi d'Europa, per anni è stato disabitato e lascia-to in stato di abbandono. La Re-gione Siciliana anni addietro ha acquisito al proprio demanio que-

sto bene etno-antropologico, per recuperare i complessi ivi esistenti, con gli annessi edifici industriali che ancora si conservano, i mac-chinari e le attrezzature utilizzate per la lavorazione del minerale. L’obiettivo è stato quello di valoriz-zare l’intera area per ricordare e fruire di un patrimonio universale, «dove la storia del genere umano s'intreccia con la storia della sua terra e delle sue ricchezze», come ha affermato la Sovrintendente Rosalba Panvini.

Con il primo lotto di lavori appena conclusi ha avuto luogo la realizzazione del "Museo delle Sol-fare di Trabia Tallarita", ubicato nell'edificio dell'ex centrale elettri-ca Palladio. Si tratta di uno spazio didattico-multimediale, unico in Si-cilia, dove sono stati ricostruiti i vari aspetti dell'attività delle minie-re di zolfo: dalle strutture edili a quelle industriali, alla vita degli uomini impiegati nelle varie fasi della lavorazione. Un percorso rea-lizzato utilizzando proiezioni in 3D, effetti sonori e percorsi interattivi.

Una panoramica esterna della mi-

niera di Trabia Tallarita

La firma del protocollo d’intesa a Bologna; a destra Libero Cesari, vice presidente della Federazione Nazionale ACTITALIA

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IL CLUB n. 105 – pag. 61

Nel plesso è anche possi-bile visitare istallazioni contempo-ranee di artisti siciliani, la mostra di pitture sul tema, la mostra fo-tografica "Sùlfaro e sulfatari", il Salone della "truscitella" con pro-dotti enogastronomici locali e una collezione di rari minerali. Il tutto, accompagnato da cantastorie che racconteranno la vita nelle minie-re - tratta anche dai versi di Igna-zio Buttitta - poeti ed ex "carusi" che testimonieranno il duro lavoro dello zolfataro.

L'apertura del sito di Tra-bia Tallarita è propedeutica all'av-vio di un distretto minerario della Regione Siciliana, con l'obiettivo di recuperare, valorizzare e met-tere in rete il patrimonio del sot-tosuolo siciliano.

Ecoturismo in Sicilia: al via un portale e una guida

Nonostante abbia 4 parchi, 6 aree marine protette e 76 riser-ve naturali, la Sicilia non è tra le mete principali dell'ecoturista. Se-condo una ricerca della Mercury, commissionata nell'ambito del progetto SiciliaNatura, il motivo è da ricercarsi nella mancanza di sinergia tra strutture ricettive, ri-storanti, produttori e nell'assenza di informazioni per il turista che vuole costruirsi il viaggio da solo.

Per colmare questi gap, SiciliaNatura ha messo on line un portale dedicato al turismo soste-nibile in Sicilia e ha pubblicato una guida con le informazioni pro-venienti dai nove SiciliaNatura point. Il sito www.sicilianatura.org, che vede tra i partner Fiavet e Fe-derparchi, contiene una rassegna completa dei parchi e delle riserve naturali dell'Isola, con schede specifiche, percorsi e informazioni dettagliate; un database sulle strutture ricettive in grado di offri-re turismo sostenibile: dall'alber-go al B&B, dall'agriturismo alla fattoria; un sistema di e-booking anche per strutture piccole o pic-colissime che altrimenti sarebbe impossibile rintracciare. Inoltre, tramite il portale, è possibile ac-quistare prodotti tipici locali in e-commerce. La guida sarà il sup-porto editoriale al portale, a metà strada tra lo strumento pratico per la visita nei luoghi descritti e una "vetrina" per parchi e riserve della Sicilia, colmo di schede aggiornate, informazioni e fotografie.

Il progetto SiciliaNatura mira a coniugare la conservazione

della natura con lo sviluppo eco-nomico sostenibile. Il percorso passa attraverso progettazioni in-tegrate che tengono conto delle caratteristiche, delle esigenze e delle aspettative locali. Una pro-grammazione integrata del terri-torio caratterizzato da elementi di valore naturalistico è stata affron-tata in modo efficace dai Fondi Strutturali 2000-2006 che hanno individuato una Rete Ecologica Nazionale comprendente non solo le aree di importanza comunitaria ma anche quelle nazionali, regio-nali e locali.

La Rete Ecologica Sicilia-na (Res), in armonia con quanto stabilito in sede comunitaria nel campo della protezione ambienta-le, tende ad una sempre maggiore sensibilizzazione delle tematiche che puntino sullo sviluppo soste-nibile e quindi alla promozione di servizi indirizzati alla valorizzazio-ne congiunta delle risorse cultura-li, naturalistiche e paesaggistiche capaci di vivacizzare le economie del territorio e soprattutto quelle dei centri minori a rischio di scomparsa. Le risorse turistiche, ambientali e culturali rappresen-tano quindi uno dei principali fat-tori di sviluppo per l’economia della Sicilia e, più in particolare, delle aree naturali nelle quali il progetto SiciliaNatura intende o-perare.

Nella gran parte dei casi si tratta, tuttavia, di potenzialità an-cora inespresse, come dimostrano i dati sconfortanti che riguardano l’afflusso turistico nel Mezzogiorno

ed il rilevante squilibrio esistente tra la domanda di lavoro espressa dal territorio e le richieste da par-te degli operatori economici, in termini di risorse umane necessa-rie alla realizzazione dei pro-grammi di sviluppo in atto come i PIT.

Stretto di Messina: da giugno nuovo balzello

Da giugno gli automobilisti che utilizzeranno sia le navi dei privati che quelle delle Ferrovie per attraversare lo Stretto di Mes-sina dovranno pagare un ecopass. La decisione è del sindaco di Mes-sina Giuseppe Buzzanca che, in qualità di commissario per l'emer-genza traffico, ha firmato un'ordi-nanza che introduce per la prima volta un ticket da aggiungere al prezzo del biglietto per l'attraver-samento dello stretto. L'obiettivo è soprattutto disincentivare il pas-saggio dei mezzi pesanti in alcuni orari poiché ci saranno delle fasce orarie in cui si pagherà l'ecopass e altre dove non sarà necessario.

La tariffa per gli automobi-listi sarà di 1,50 euro (2,50 andata e ritorno) mentre autocarri e bus di linea pagheranno 5 euro (9 an-data e ritorno) e autotreni e auto-articolati 10 euro (18 euro andata e ritorno). Ancora non si sa nulla sulla tariffa che sarà adottata per i camper. Anche i siciliani dovranno pagare questa ulteriore “tassa”, mentre ne saranno esentati solo i residenti a Messina e a Reggio Ca-labria.

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E in attesa (o nella speran-za) che un giorno possa vedere la luce l’ormai mitico “ponte”, oggi rimane l’alternativa, sempre più valida, delle “autostrade del ma-re”, cioè di quelle linee di traghet-ti che da Palermo, Catania o Tra-pani, consentono di raggiungere d’un balzo i porti di Napoli, Civita-vecchia, Livorno e Genova, proiet-tando più facilmente sul “conti-nente” ed evitando in tal modo sia di attraversare lo stretto di Messi-na sia di guidare con incredibile stress nella gincana in cui è da tanti anni ormai ridotta l’autostrada calabra, il cosiddetto “cantiere perpetuo”.

Riaperto al pubblico il Ca-stello dell’Emiro di Misilmeri Con una festa a cui hanno partecipato sbandieratori, gioco-lieri e un corteo in costume me-dievale, sabato 27 marzo è stato riaperto al pubblico, dopo anni di restauri, il Castello dell’Emiro che sovrasta dall’alto l’abitato di Mi-silmeri, grande centro agricolo a pochi chilometri da Palermo.

Sull’origine di questo ma-niero non si hanno notizie certe. E' probabile che durante il periodo arabo fosse poco più di un casale destinato ad uso agricolo e che solo verso l'XI secolo, quando la potenza araba cominciò a declina-re, fu chiuso da una cinta muraria fortificata per permettere il riparo dalle scorrerie delle fazioni arabe rivali a tutti gli abitanti delle co-struzioni circostanti. La prima no-tizia certa riguardante il castello è comunque un frammento, citato da Michele Amari, che fa parte della famosa descrizione della Si-cilia che Edrisi scrisse intorno al 1150 per ordine di Ruggero II: in esso si dice che vi erano in quei tempi a Misilmeri un fortilizio ed un valido castello, con copia d'ac-qua, di campi e di terre da semi-nare. A quell'epoca la costruzione dovette articolarsi su di una pian-ta a forma di rettangolo irregola-re, con un solo piano che seguiva la naturale ondulazione dell'alto-piano.

Il castello ebbe nei secoli varie vicissitudini. Sappiamo che Ruggero Il lo diede, con il feudo di Misilmeri, all'ammiraglio Giorgio d'Antiochia. Dal figlio di quest'ul-timo il feudo tornò al regio dema-nio nel 1172. Poi il re Pietro d'A-ragona concedette il feudo e il ca-sale a Giovanni di Caltagirone die-

tro pagamento di un censo. Fin qui esisteva solo la costruzione saracena. Verso il 1340 i Caltagi-rone vendevano il casale alla fa-miglia Chiaramonte che si accin-geva a diventare una delle casate più potenti della Sicilia. Sotto la famiglia Chiaramonte la roccaforte venne riadattata e ristrutturata. Con l'avvicendarsi di altri proprie-tari e sussistendo sempre la ne-cessita di una continua utilizzazio-ne del luogo come fortificazione, nella seconda parte del Quattro-cento si procedette a costruire dei terrapieni per aumentare le bar-riere difensive del lato sud. Alle mura più basse si accedeva me-diante sotterranei, oggi crollati.

Intanto il castello passava di proprietà in proprietà Con gli Aiutamicristo, a fine ‘400, il ca-stello conosce un periodo di splendore: grandi opere, ripetenti la maniera del gotico-catalano, vennero aggiunte da Matteo Car-

nalivari, chiamato da Noto nel 1487 proprio per i lavori di re-stauro ed ampliamento del castel-lo di Misilmeri che in quell'occa-sione cambiò la sua originale fi-sionomia chiaramontana. Ma i molti debiti contratti dalla nobile famiglia Ajutamicristo li costrinse-ro ben presto a vendere prima la Baronia di Calatafimi e poi anche quella di Misilmeri a Francesco Del Bosco. Con lui, considerato il vero fondatore dell’abitato di Misilmeri, il castello assume funzione ammi-nistrativa sul contado e si popola di un apparato burocratico: il ca-

stellano, il segreto, il giudice civile e criminale con il proprio tribunale e le proprie carceri; mentre tutta la vita cittadina si svolge attorno al castello.

Eppure, bastarono pochis-simi anni per ridurre la potenza di questa nobile famiglia al più cla-moroso fallimento dell’epoca, tra-scinando i nipoti di Francesco Del Bosco a vendere anche il castello, per poter pagare i moltissimi cre-ditori. Abbandonato del tutto, nel-la prima metà del XIX secolo il maniero fu sventrato dagli stessi misilmeresi, inconsci della sua im-portanza, senza che alcuno alzas-se la voce per impedirlo.

E così si è giunti ai giorni nostri con la fine dei restauri ini-ziati parecchi anni fa. Quello che si incontra oggi, appena superata la rampa di accesso, è un ampio ingresso pavimentato con pietre sagomate che si chiude con un co-lonnato a quattro colonne. E poi,

inaspettatamente, i graffiti risa-lenti al 1700, dentro una segreta dove erano reclusi delinquenti comuni e dissidenti: incisioni o scritte con carboncino che indica-no date, cognomi, rudimentali ca-lendari, messaggi lasciati ai po-steri su fustigazioni e percosse, croci cristiane e palme. Ma ciò che ha fatto venire in rilievo questa campagna di restauri è che occor-reranno nuovi finanziamenti per portare alla luce l’immenso patri-monio che, paradossalmente, i crolli e le macerie accumulate hanno salvaguardato.

Il castello di Misilmeri

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