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1 Il cibo dell’anima cristiana è meditare la legge del Signore giorno e notte. (S. Girolamo, Lett V.2) Camminate nelle Sacre Scritture secondo lo Spirito e non secondo il vostro sentire. Lo Spirito di Sapienza e di Intelligenza ha di che accendere il lume della scienza e infondere il sapore della grazia. Nello Spirito non vi è posto per l’errore né per la tiepidezza. (S. Bernardo, Serm. sul Cantico, VIII,6) Nota esplicativa Questi spunti su alcuni brani di Vangelo sono il frutto della Parola letta e ascoltata durante la Celebrazione Eucaristica vespertina della comunità monastica Si sono lasciati volutamente nello stile parlato, immediato e colorito fatto di domande e risposte, esempi e personalizzazioni che aiutano a cogliere le varie sfaccettature della Parola. Troverete che ci sono vari errori di ortografia e di punteggiatura. Alle volte le espressioni ed il periodare non sono chiari e sintatticamente non ben espressi. Vi chiediamo di scusarci per la non esattezza e, se avete la bontà e la voglia di comunicarceli, vi ringraziamo. È un cammino a piccoli passi fatto nello Spirito Santo, con l‟aiuto dell‟“Abbas” che conduce a un incontro sempre più profondo con il Signore e con se stessi.

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Il cibo dell’anima cristiana è

meditare la legge del Signore

giorno e notte.

(S. Girolamo, Lett V.2)

Camminate nelle Sacre Scritture

secondo lo Spirito

e non secondo il vostro sentire.

Lo Spirito di Sapienza e di Intelligenza

ha di che accendere il lume della scienza

e infondere il sapore della grazia.

Nello Spirito non vi è posto per l’errore

né per la tiepidezza.

(S. Bernardo, Serm. sul Cantico, VIII,6)

Nota esplicativa

Questi spunti su alcuni brani di Vangelo sono il frutto della Parola letta e

ascoltata durante la Celebrazione Eucaristica vespertina della comunità monastica

Si sono lasciati volutamente nello stile parlato, immediato e colorito fatto di

domande e risposte, esempi e personalizzazioni che aiutano a cogliere le varie

sfaccettature della Parola.

Troverete che ci sono vari errori di ortografia e di punteggiatura. Alle volte le

espressioni ed il periodare non sono chiari e sintatticamente non ben espressi. Vi

chiediamo di scusarci per la non esattezza e, se avete la bontà e la voglia di

comunicarceli, vi ringraziamo.

È un cammino a piccoli passi fatto nello Spirito Santo, con l‟aiuto dell‟“Abbas”

che conduce a un incontro sempre più profondo con il Signore e con se stessi.

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PREMESSA

In questo opuscolo vi sono degli spunti di riflessione sui brani di Vangelo di

Luca nelle Domeniche e di Matteo nei giorni feriali dalla I alla V settimana del

Tempo ordinario. Queste omelie pubblicate nell‟anno C 2019 sono state

pronunciate nell‟anno C 2016.

La “riflessione” non è intesa come “esercizio mentale”, ma nel senso più

semplice, anche se più impegnativo, di cui parla san Paolo: “Noi tutti, a viso

scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo

trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione

dello Spirito del Signore” (2Cor 3,18).

La riflessione, perciò, è specchiarsi!

Lo specchio è il Signore, vera e unica immagine dell‟uomo. Quindi il

Signore, che è lo specchio, riflette il mio “io”, che non è mai conforme alla Sua

immagine.

La Parola di Dio è la luce che proviene dallo specchio, porta con sé lo Spirito

e stimola, chi vi si specchia, a pulire qualche sozzura che sta sul suo volto (cfr Ez

36,25).Tra il Signore e la Parola, che Egli ci rivolge, ci sono io.

Se vuoi renderti un po‟ più conforme a quanto appare nello specchio, puoi

seguire queste indicazioni che la Parola ti propone. A te la scelta: se sei schifato

dalla tua sozzura, puoi fuggire da queste riflessioni, altrimenti puoi lentamente e

dolcemente lasciarti pulire, affinché la bellezza, che è sul volto del Signore, si

imprima un poco di più sul volto del tuo cuore.

BATTESIMO DEL SIGNORE - DOMENICA C

(Is 40, 1-5. 9-11; Sal 103; Tt 2, 11-14; 3, 4-7; Lc 3, 15-16. 21-22)

Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a

Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi

battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno

di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e

fuoco”.

Quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto anche lui il

battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in

apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: “Tu sei il mio

figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”.

In questa domenica festeggiamo il battesimo di Gesù, che conclude il tempo

di Natale; da domani ricominciamo il tempo ordinario. E come ci viene spesso

ricordato, riguardo al battesimo, sembra un po' strano che sia Gesù a farsi

battezzare, come gli fa notare lo stesso Giovanni il battezzatore, il Battista; che gli

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dice nell'altra versione di Matteo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te

e tu invece vieni da me a farti battezzare”. E sappiamo infatti che il battesimo toglie

tutti i peccati e Gesù non ne aveva di peccati; quindi non aveva proprio bisogno del

battesimo. Eppure, quando Gesù entra nell'acqua del fiume Giordano, avviene

qualcosa di straordinario, come diremo poi nel prefazio.

Lui che è il creatore del mondo, che è senza peccato, lavandosi nel fiume

Giordano ha lavato i nostri peccati; li ha presi su di sé e li ha inchiodati sul legno

della croce, come abbiamo cantato negli inni di stasera, di questa mattina e anche

nelle antifone di questo giorno. E tutto questo perché il battesimo che festeggiamo

oggi è figura del vero battesimo di Gesù, che è la sua morte in croce. Ed è proprio

questo battesimo che Gesù ha desiderato per tutta la vita, poiché, attraverso la

sofferenza, ci avrebbe comunicato la sua vita divina. Ed è proprio puntando

unicamente alla comunicazione di questa vita, che Sant'Agostino esce con quella

bellissima frase che è riportata anche nell'opuscolo sulla croce, frase che ho già

ripetuto alcune volte, e dice: Quale meraviglioso genere di morte è mai questo? Per

l'insuperabile abbondanza di delizie che essa conteneva, la sua vita divina, sarebbe

stata una cosa di nessun valore la stessa assenza di tormenti.

Ciò che caratterizza la morte in croce del Signore non è principalmente la sua

sofferenza che ha dovuto patire per la redenzione nostra. Infatti, questa sofferenza è

una conseguenza del peccato dell'uomo, che Cristo ha assunto facendosi simile a

noi. Questo ovviamente non vuol dire che la morte in croce di Gesù sia stata una

finzione, una passeggiata, come documenta proprio la Sindone, ad esempio. O

anche, mi veniva in mente in questi giorni il film di Mel Gibson sulla passione di

Cristo, in tutta la sua crudezza. Però non è la realtà fondamentale della croce, come

invece sembra apparire in quel film. L'aspetto centrale della croce, dice ancora

padre Bernardo - sentite - è la sua gioia piena che proviene del comunicare la sua

vita agli uomini. E purtroppo questo aspetto, anche semplicemente direi a livello

artistico, non viene quasi mai messo in risalto. Si vede la morte Gesù che è questo

battesimo di sangue nel suo aspetto umano, di sofferenza. E questo, come dicevamo

adesso, è doveroso come del resto hanno fatto anche i vangeli sinottici; perché in

quel momento supremo Gesù portava il peso di tutti i peccati.

Per l'uomo, che non conosce il mistero della croce, cioè del battesimo, ogni

croce è fonte solamente di sofferenza, rimane una tragedia. Per Cristo, invece, e per

ogni cristiano che non solo conosce questo mistero ma cerca di entrarvi (perché non

basta conoscerlo), diventa un'estasi, proprio nel suo senso etimologico di uscir fuori

che per Gesù è stato l'uscir fuori del suo Spirito per comunicarlo a noi; mentre per

noi la croce ha lo scopo di uscir fuori della nostra morte, per accogliere la sua vita,

la vita del Signore. E tutto questo, superando la sofferenza che la croce produce,

porta alla gioia, porta al sorriso; proprio come una donna quando partorisce si

rilassa, perché dopo che è passata la sua ora, la sua sofferenza, è venuto al mondo il

frutto di quella gioia che è suo figlio, che è un figlio sempre prediletto.

Anche per Gesù la morte è il momento di rilassamento, del sonno; un sonno,

però, piena di gioia perché è venuta al mondo la Chiesa, cioè ognuno di noi, che

siamo figli prediletti in Cristo. E, come diceva il Santo curato d‟Ars, e che abbiamo

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ripetuto qualche domenica fa: se noi amassimo un po' di più il Signore, ameremmo

un po' di più anche le nostre croci. Addirittura, lui dice che le desidereremmo. E ne

faremmo la nostra gioia, saremmo felici di poter soffrire per amore di Cristo che ha

tanto voluto soffrire per noi, per comunicarci proprio questa vita divina.

Lunedì della I settimana del Tempo Ordinario

(Mc 1, 14-20)

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il

vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;

convertitevi e credete al vangelo».

Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di

Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro:

«Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito, lasciate le reti, lo

seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e

Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. Li chiamò. Ed essi, lasciato il

loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono.

Ieri abbiamo concluso il periodo natalizio festeggiando il battesimo di Gesù; e

dicevamo che questo battesimo di Gesù nel fiume Giordano è figura del vero

battesimo che è la sua morte in croce. E‟ un battesimo che Gesù ha tanto desiderato

perché, pure passando per quella morte che è stata veramente una morte tremenda,

ignominiosa, però comunicava a noi la sua vita divina. E dicevamo anche noi

durante la cena che non è tanto la morte in sé che il Signore desidera nella croce,

nella sofferenza fine a se stessa ma, dopo questo passaggio, questa trasmissione del

suo Spirito in noi, proprio perché anche noi diventassimo partecipi di quella stessa

carità che vive in Lui e diventassimo uno con Cristo. E questa carità, questo Spirito

Santo noi l‟ abbiamo ricevuto nel giorno del nostro battesimo. Ma questo battesimo

non deve essere relegato negli archivi del parroco, come si fa per il certificato che

tutti tiriamo fuori in certe occasioni; ma il battesimo è proprio questa vita che, per

non morire, deve rinnovarsi, deve crescere continuamente.

E questa crescita avviene fondamentalmente in due modi: da una parte c‟è

l‟azione di Dio e d'altra parte c'è la cooperazione nostra. L‟azione di Dio si attua

attraverso la liturgia, attraverso i sacramenti; e questi sacramenti nutrono,

vivificano questa vita divina che è in noi, specialmente adesso, proprio con

l'eucarestia. Infatti, dicevamo proprio ieri che l'eucarestia si potrebbe dire il

battesimo quotidiano, in cui il sangue di Cristo ci lava dei peccati e il corpo di

Cristo nutre e fa crescere la vita divina. Però non basta questo, perché è necessaria

la nostra cooperazione. E il Vangelo di oggi, con cui iniziamo anche il tempo

ordinario, ci presenta quella parolina che un è po' ostica per le nostre orecchie un

po' suscettibile, che è proprio la conversione. E la conversione è questo desiderio,

desiderio di accogliere questa abbondanza di delizie; e avviene non fermandoci

all'aspetto di rinuncia che c'è e tante volte non è facile superarla; ma puntando

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diritto a questa meta che è la sua gioia in noi.

E dovremmo fare un po' come ha fatto proprio Gesù, che non ha guardato la

sofferenza che doveva patire ma, per amore nostro, ha disprezzato l'ignominia, dice

la lettera agli Ebrei; mentre noi, che conosciamo poco e quindi amiamo anche poco

questa vita, appena dobbiamo fare un passo più lungo spesso ci tirano indietro,

abbiamo paura. Allora chiediamo allo Spirito questo desiderio, che cresca questo

desiderio in noi senza lasciarsi troppo influenzare dalle nostre paure; proprio per

essere riempiti e diventare una cosa sola col Signore Gesù.

Martedì della I settimana del Tempo Ordinario

(Mc 1, 21-28)

In quel tempo, nella città di Cafarnao Gesù, entrato proprio di sabato nella

sinagoga, si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché

insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi.

Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si

mise a gridare: «Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so

chi tu sei: il santo di Dio». E Gesù lo sgridò: «Taci! Esci da quell’uomo». E lo

spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da

timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Una dottrina nuova

insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!».

La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea.

Abbiamo iniziato ieri il tempo ordinario; e Gesù ci invita subito alla

conversione. E dicevamo ieri che è una parola un po' ostica, che ci sentiamo ripetere

continuamente in tutte le tonalità; ma alla quale rischiamo di non dare troppa

importanza, proprio i nostri orecchi ci hanno fatto un po' il callo; e di solito, quando

lo sentono, subito la applicano agli altri. Eppure, la conversione del cuore sarebbe

tutta nel nostro interesse perché, oltre che a conformarci al Signore Gesù, ci

libererebbe da tante nostre schiavitù alle quali siamo attaccati e le quali ci fanno

soffrire. Ed è anche vero che, se uno entra in questo processo di evangelizzazione

del profondo - lo diceva una psicologa - e pensa di trovare subito questa pace

interiore, questa libertà, magari il Signore che è pronto lì ad accoglierlo a braccia

aperte, tutte queste belle cose, si pensa che sia così, si sbaglia, si sbaglia di grosso.

Infatti, quando uno inizia questo cammino di discesa nel profondo subito

trova Satana che gli si oppone. Un po' come Gesù che, dopo aver proclamato la

conversione nel Vangelo di ieri, trova questo uomo posseduto che lo insulta. E dove

lo trova? Non lo trova sulla piazza, ma lo trova proprio nella sinagoga, cioè

potremmo dire nel luogo più sacro, insieme al tempio, della religione ebraica. E mi

viene in mente, pensando a questo quest'uomo posseduto da Satana, a Costanza

Miriano. Forse qualcuno la conosce, penso che ne avete sentito parlare; e lei a un

incerto punto usa l'immagine molto espressiva di un drago che sta dentro di noi, sta

dentro ognuno di noi. E‟ un drago che non è mai morto, fino proprio che anche noi

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tiriamo le cuoia; e questo drago, che di solito sonnecchia perché non è troppo

disturbato, quando sente che si avvicina Gesù per rovinarlo, cioè per convertirci,

allora si mette in guardia; inizia a drizzare le antenne; e, se per caso qualcuno si

avvicina un po‟ troppo, lo brucia.

E così penso sia anche un po' nostro io. Finché viene accarezzato, coccolato

noi siamo le persone più amabili di questo mondo. Ma è come un po' il lupo di

cappuccetto Rosso: appena qualcuno dice qualcosa che non mi garba tanto, allora è

meglio stare un po' a una certa distanza, perché altrimenti finiamo male. Eppure,

pensavo che i primi ad essere bruciati da questo drago siamo proprio noi; perché

questo fuoco che abbiamo dentro non è spesso il fuoco dello Spirito che c'infiamma,

o che si infiamma per le cose di Dio; ma è un fuoco che brucia il bosco, che devasta

tutto. Nello stesso modo, i primi che trarremmo vantaggio se, con l'aiuto di Gesù,

riuscissimo a chiudere le fauci un po' di questo drago, saremmo ugualmente noi;

perché potremmo passeggiare in questo bosco del nostro cuore senza paura di essere

assaliti da animali feroci. E allora chiediamo al Signore di mandarci l'acqua dello

Spirito, che raffreddi un po' questi bollenti spiriti che sono dentro di noi.

Mercoledì della I settimana del Tempo Ordinario

(Mc 1, 29-39)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, si recò subito in casa di Simone e

di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a

letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò

prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli.

Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli

indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano

afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di

parlare, perché lo conoscevano.

Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un

luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle

sue tracce e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro:

«Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo

infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe

e scacciando i demoni.

Nel Vangelo di ieri Gesù scacciava un demonio nella sinagoga; e dicevamo che

in ognuno di noi abita un demonio. Facevamo l'esempio del drago, un drago che si

oppone alla conversione, che fa di tutto, fa fuoco e fiamme perché non entriamo in

contatto con quest'acqua viva dello Spirito che sgorga nel profondo del nostro

cuore. E quel che dicevo non è solamente un'esperienza personale, anche se può

essere limitata; ma è comprovato da maestri nello spirito. E già ieri pensavo un po'

anche a Sant'Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti il quale nei suoi esercizi

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spirituali, tra le regole per sentire e riconoscere i vari movimenti dell'anima ( lui le

chiama emozioni ) afferma che, riporto come dice lui: in coloro che si impegnano a

purificarsi da loro peccati e che procedono di bene in meglio nel servizio di Dio-

cioè affinché si convertano, in poche parole - è proprio dello spirito cattivo , cioè

di questo drago interiore, rimordere, rattristare, porre difficoltà e turbare con false

ragioni, per impedire di andare avanti, cioè, secondo l'immagine, scendere nel

profondo dove abita lo Spirito Santo.

E tutto questo perché questo drago non vuole mollare la preda, cioè noi. E,

generalmente, non è che deve fare molta fatica, perché il nostro impegno di

convertirci non è spesso granché; e anzi, al contrario, pensavo proprio che chi trova

sempre tutto troppo facile c‟è un po' da dubitare che vada nella direzione giusta;

perché in quei casi dalle fauci del drago, invece di uscire un fuoco divoratore, esce

un venticello proprio come in questi giorni qua, che ti spinge, ti far correre più in

fretta sulla via della perdizione. E poi magari ti capitano delle cose che non avreste

mai pensato di fare. Oltre a questo drago c'è per fortuna anche un, chiamiamo, un

San Giorgio che è il Signore Gesù (San Giorgio è quello che ha ammazzato il

drago) e il Signore Gesù, o San Giorgio, con la spada dello Spirito vuole scacciare

questo ospite indesiderato e aiutarci nella nostra conversione.

E anche qui Sant'Ignazio, sempre in queste regole di discernimento, afferma che

in coloro che desiderano convertirsi c'è uno spirito buono il quale dona coraggio

ed energie, consolazione e lacrime, ispirazioni e serenità; in che modo?

diminuendo e rimuovendo ogni difficoltà, per andare avanti nella via del bene. E

pensavo che è un po' quello che fatto anche Gesù nel Vangelo di oggi, cioè che

viene incontro alle necessità spirituali e anche materiali di tutti quelli che sono

affetti da ogni tipo di malattie e anche di possessioni. E tra questi due spiriti che si

contendono il nostro cuore ci siamo noi; c‟è la nostra scelta quotidiana che è basata

però su una scelta di fondo; e cioè: se davvero vogliamo e in che misura vogliamo

gustare quest'acqua viva dello Spirito Santo che gorgheggia in noi. E stasera mi

fermerei qua, perché è un discorso che va approfondito; e domani, se Dio vuole,

vedremo di farlo. Però oggi mi sembra importante chiedere l'aiuto dello Spirito,

allo spirito buono; e potremmo chiedere aiuto al nostro angelo custode, perché ci

illumini sempre e ci protegga contro gli assalti di questi spiriti cattivi.

Giovedì della I settimana del Tempo Ordinario

(Mc 1, 40-45)

In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli

diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e

gli disse: «Lo voglio, guarisci!». Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E,

ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: «Guarda di non dir niente a

nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che

Mosé ha ordinato, a testimonianza per loro». Ma quegli, allontanatosi, cominciò a

proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare

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pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui

da ogni parte.

In questi giorni stiamo cercando di approfondire un tantino il tema della

conversione, cioè questa discesa del profondo di noi stessi dove abita lo Spirito

Santo. Ed è un tema che è iniziato proprio con l'inizio del tempo ordinario. E ieri,

basandoci su quello che diceva Sant'Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti, nei

suoi esercizi spirituali, dicevamo come noi siamo in un certo senso contesi da una

parte dallo spirito buono e dall'altra dallo spirito cattivo. E un po' si potrebbe vedere

come abbiamo anche letto nella prima lettura, in cui nel terreno del nostro cuore si

scontrano gli israeliti e i filistei; e purtroppo non sempre accade come nei film di

una volta, dove vinceva il buono. Infatti, gli israeliti vengono sconfitti e l'arca viene

presa. E ieri dicevamo, anche rifacendosi agli esercizi ignaziani, che lo spirito

buono, che possiamo vederlo come il nostro angelo custode, è colui che incoraggia

in questo cammino per arrivare a conoscere e a gustare in qualche modo questa

presenza dello Spirito dentro di noi, nel nostro profondo. E Sant'Ignazio dice

proprio che questo spirito buono dona coraggio ed energie, consolazione e lacrime,

ispirazione e serenità, diminuendo e rimuovendo ogni difficoltà.

E, al contrario, lo spirito cattivo come abbiamo chiamato questo drago

interiore che non è altro che il nostro io, cerca invece di impedire questa crescita; e

lo fa, dice ancora Sant'Ignazio, rattristando, ponendo difficoltà e turbando con false

ragioni. E in mezzo a questa lotta ci siamo noi, c'è il nostro cuore; e noi siamo

chiamati a scegliere con chi vogliamo stare: se con lo spirito buono o con quello

cattivo. E, riflettendo un po', una delle mie difficoltà in questo discernimento degli

spiriti è proprio quello di capire, in base a questi segni, se sono sulla strada giusta o

su quella sbagliata, visto proprio che il nostro io è abilissimo a camuffare i nostri

sentimenti. Mi spiego. Quante volte mi sento pieno di energie, magari di coraggio o

anche ispirato; e, secondo Sant'Ignazio, questo è un segno della presenza dello

spirito buono; ma invece sto compiendo magari qualcosa di non tanto buono. O, al

contrario, quante volte mi sento turbato magari sono triste; che sono, secondo

Sant'Ignazio segni dello spirito cattivo; invece mi accorgo che è lo spirito buono che

sta agendo per convertirmi.

In altre parole, non è detto che quando sono triste, sono un po' depresso sia

sempre un male; mentre, quando sono contento o allegro sia sempre un bene. E

allora come si fa a uscire da questo dilemma? Una possibile soluzione per capire da

che spirito siamo mossi è sempre un po' la solita. E‟ quella della croce la quale - e

penso sia proprio la strada migliore - è la cartina di tornasole per discernere se

stiamo camminando nella direzione giusta o quella sbagliata, se nel nostro cuore sta

vincendo lo spirito buono o cattivo. Esempio classico è quello degli apostoli che,

dopo essere stati bastonati dai farisei, se ne andarono dal Sinedrio lieti di questo

fatto, di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù. E il fatto di essere stati

percossi sicuramente li poneva in uno stato favorevole allo spirito cattivo: odio,

rabbia, vendetta e tutto quello che possiamo pensare. Ma la scelta di accogliere

queste bastonate, diciamo questa croce, per amore del nome di Gesù allora permette

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allo spirito buono di infondere coraggio, consolazione, serenità.

E così avviene anche per noi. Nella misura in cui teniamo fisso lo sguardo su

Gesù, in tutte le cose brutte e anche in quelle belle che ci capitano, acquisteremo

quella libertà e anche, possiamo dire, con la delicatezza che fa dire al lebbroso di

oggi: “Se vuoi, poi guarirmi”. E Gesù pensate che, se lo invochiamo così, ci lasci

ancora nella nostra lebbra? Non verrà di corsa ad esaudirci? E allora chiediamo

proprio a Gesù di rimanere sempre sotto il suo sguardo, per accogliere con serenità

tutto quello che ci può capitare.

Venerdì della I settimana del Tempo Ordinario

(Mc 2, 1-12)

Dopo alcuni giorni, Gesù entrò di nuovo a Cafarnao. Si seppe che era in casa

e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla

porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico

portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della

folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura,

calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al

paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati».

Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: «Perché costui

parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?». Ma Gesù,

avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro:

«Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti

sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora,

perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i

peccati, ti ordino disse al paralitico alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua».

Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si

meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».

Continuiamo la riflessione su questo cammino di conversione iniziato lunedì,

con l‟inizio del tempo ordinario; e oggi riflettiamo sull'aspetto della conversione a

cui facciamo generalmente poco caso, ci pensiamo poco. E‟ quello di essere portati,

proprio come questo paralitico. Ci pensiamo poco perché, di solito, immaginiamo

la conversione un po' come un'attività che facciamo noi; certamente con l'aiuto di

Dio, col nostro spirito buono che ci incoraggia sempre, il nostro angelo custode,

dicevamo ieri; ma di cui pensiamo comunque di essere noi i principali protagonisti.

E l'essere portati richiama, invece, una condizione di passività, quasi di

sottomissione, proprio come questo paralitico che ha dovuto, in un certo senso,

obbedire ai suoi portatori; i quali, quando sono arrivati davanti alla casa dove c'era

Gesù e hanno deciso di farlo passare dal tetto, sicuramente l'avranno dovuto legare

al letto per non farlo cadere. E questo, come tutto il resto, avrà sicuramente

suscitato delle reazioni nel paralitico; e invece è importante che lui stia tranquillo,

che si fidi dei portatori, che non voglia scendere - a parte che era paralitico, quindi

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probabilmente non poteva.

Però, anche noi quante cose vorremmo fare - e spesso le facciamo - che poi ci

fanno male. Cioè, in fin dei conti è importante che non faccia di testa sua, ma si

abbandoni il più possibile. E questo è possibile nella misura che questo uomo,

come del resto noi, soprattutto ci sentiamo paralitici, cioè incapaci di muoverci da

soli; e quindi ammalati, bisognosi di aiuto. In quel caso, dicevamo ieri,

permettiamo al nostro angelo custode di aiutarci, di venirci in aiuto. Altrimenti,

rimaniamo sempre chiusi nel nostro io, la nostra esperienza. E pensavo che noi

spesso e purtroppo facciamo come quei malati che, quando il medico ci consiglia

una terapia, una medicina non ci fidiamo; andiamo magari su Internet - come ci

diceva tante volte la Careri - a vedere se quella medicina va bene. Alla fine, magari

non la prendiamo, prendiamo una che vogliamo noi, cioè facciamo sempre di testa

nostra; e così peggioriamo la situazione.

E siamo nell'anno della misericordia. Come dice l'ultimo libro del Papa passato

da madre Fiorenza, la misericordia è il nome di Dio. Eppure, dice Papa Francesco,

se tu non la vuoi ricevere non c'è niente da fare; per riceverla devi riconoscerti

peccatore; se invece non ti riconosci peccatore, vuol dire che non ne senti il

bisogno. E se non partiamo dalla nostra miseria o, al contrario, se disperiamo

della possibilità di essere perdonati, il Papa dice che finiamo di leccarci le ferite

come un cane; e questa è una malattia narcisistica che porta all'amarezza e c'è un

piacere anche nell'amarezza, un piacere, però, ammalato. Invece la medicina

esiste, come la guarigione; ma questo solamente a condizione di muovere un

piccolo passo verso Dio o, almeno, il desiderio di muoverlo. Dio è proprio quel

padre misericordioso che è pronto con il vestito nuovo, con l'anello, con il vitello

grasso. Basta che noi gli diciamo Papà; e tutto è nostro. Allora la nostra

conversione: è vero che da una parte dobbiamo fare la nostra parte, cioè collaborare

all'azione di Dio; però, se lasciassimo fare un po' di più a Lui, eviteremmo poi tanti

problemi. E allora chiediamo proprio allo Spirito questa grazia di lasciarci portare,

fidandoci dei portatori, perché siamo sempre in buone mani.

Sabato della I settimana del Tempo Ordinario

(Mc 2, 13-17)

In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed

egli li ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle

imposte, e gli disse: «Seguimi». Egli, alzatosi, lo seguì.

Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si

misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che

lo seguivano. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i

peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Come mai egli mangia e beve

in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?». Avendo udito questo, Gesù disse

loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono

venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori».

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Siamo arrivati alla fine di questa prima settimana del tempo ordinario,

incominciata all'insegna della conversione. E oggi vorrei sottolineare un aspetto

che dovrebbe sempre accompagnare questo cammino di conversione del cuore,

questa discesa nel nostro profondo. Abbiamo Matteo che fa festa con Gesù,

convertito; cioè, Gesù che festa con Matteo. E c'è questa gioia in questo banchetto;

ed è una gioia di lasciarci convertire dallo Spirito, la gioia di lasciarsi portare un po'

sulle ali di aquila, come dice il salmo; e, soprattutto la gioia che deriva dal sapere

che il Signore gioisce sempre di noi, proprio come è descritto adesso, in questo

brano di Vangelo. E‟ una gioia che non è il piacere momentaneo, che assomiglia a

un fuoco di paglia che dura un istante e poi lascia l'amarezza, tante volte; ma che

nel cristiano dovrebbe essere proprio duratura e profonda, perché deriva dalla

partecipazione e, quindi, dal possesso del bene supremo che è Dio.

E, come dicevo anche giovedì al gruppo delle mie giovani signore, il cristiano

ha ricevuto in sorte una dignità grandissima, che è quella di essere creato ad

immagine di Dio; ma ha ricevuto una chiamata, cioè una vocazione ancora più

sbalorditiva, che è quella di diventare come Dio, di vederlo faccia a faccia. E siamo

quindi già messi in alto, proprio come cristiani, col battesimo dobbiamo solo

lasciarci sollevare su queste ali di aquila, proprio per poter vedere questo volto,

come diceva anche Santa Teresina. E, per arrivare a queste altezze, a questo

possesso di Dio, è necessario proprio fare come Matteo; cioè spossessarci di tutto:

non solo e non tanto dei beni terreni, esteriori, come abbiamo fatto noi monaci

lasciando tutto, in certo senso; ma soprattutto dei beni interiori, che è molto più

difficile. E non solo e non tanto delle cose che ci piacciono, ma quelle anche che ci

fanno soffrire; perché, come diceva ieri Papa Francesco, c'è un piacere anche

nell'amarezza, un piacere però ammalato, frutto del narcisismo che si compiace di

accusare tutto e tutti, anche Dio stesso; e non vuole mai mettersi in questione.

La gioia nasce, invece, dall'accoglienza dello sguardo di Gesù, come ha fatto

Matteo; uno sguardo e, potremmo dire quindi, anche un sorriso che il è sorriso di

Dio che noi riceviamo ogni giorno, proprio in questo momento qua,

nell‟Eucarestia. E quando uno ti fa un sorriso, generalmente uno si smolla un po‟,

soprattutto se è un bambino e soprattutto se è Dio stesso che ti guarda e ti sorride. E

allora, come dice il canto che ogni tanto facciamo; tu diventi un altro, ti trasformi,

tu diventi veramente come Dio che è gioia piena. E allora chiediamo allo Spirito

che ci riempia il cuore di questo sguardo, di questo sorriso, così che possiamo con

gioia spossessarci di tutto quello che è inutile e anche dannoso per la nostra

conversione.

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)

(Is 62, 1-5; Sal 95; 1 Cor 12, 4-11; Gv 2, 1-12)

In quel tempo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di

Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.

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Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non

hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora

giunta la mia ora”. La madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”.

Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti

ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le giare”; e le

riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al

maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono.

E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non

sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua),

chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando

sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino

buono”.

Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua

gloria e i suoi discepoli cedettero in lui. Dopo questo fatto, discese a Cafarnao

insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi

giorni.

Dio è meraviglia, è amore, bellezza, è gioia eterna, è vita eterna ed ha voluto far

partecipare noi a questo mistero, rivelandoci la sua volontà di amore mediante i

segni. Il segno fondamentale, come abbiamo ascoltato in questi giorni, è quello del

Bambino che è nato da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo, Gesù, Dio

fatto uomo. Egli dona il vino, dona la gioia della vita, ci dona il suo sangue, la sua

gioia di stare con noi, di farci vivere della vita che Lui, fattosi uomo, vive sempre

unito al Padre, poiché è il Figlio del Padre. Noi, purtroppo, non riusciamo a

comprendere questo mistero, perché sembra nascosto e allora siamo chiamati ad

avere fede come questi discepoli, che “credettero in Lui”. Hanno visto questo

segno e credettero. Che cosa? Quello che già in Maria si era rivelato: che

quell'uomo aveva lo spirito di Dio, era Dio e conteneva la potenza creatrice di Dio

che opera per la gioia dell'uomo, che gode dell'amore dell'uomo, gode della

famiglia; gode la vita che si moltiplica, perché Lui è amore e vuole con questa

potenza di amore far partecipare noi piccoli a questa festa - come avete sentito nella

seconda lettura - questa realtà dello Spirito che si diverte a dare la diversità.

Seguiamo il comportamento di Maria, Colei che crede prima dei discepoli

perché, quando sono senza vino, prima di tutto fa vedere come lei è una mamma

che si intenerisce che la gioia sta per finire. Facevano baldoria, festa, avevano

bevuto tutto il vino; e quindi cessava la festa, facevano una brutta figura gli sposi,

faceva praticamente una realtà di tristezza per loro e anche per gli altri che se ne

dovevano andare, la festa finiva male. E lei cosa fa? Si accorge, perché sta attenta.

Sapeste come Dio, attraverso questo segno di Maria, una mamma sempre attenta a

noi per la nostra felicità, desidera che non si spenga mai in noi quella gioia che Lui

ha messo nei nostri cuori, cioè la sua vita, lo Spirito Santo. Ella va da Gesù e dice:

non hanno più vino” e Lui le risponde: “non è ancora giunta la mia ora”. La

Madonna poi non comanda a Gesù; comanda ai servi, ma non comanda a Gesù, ma

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fa presente questa realtà al suo cuore, sapendo che Lui è buono e potente. Co

“Cosa c'è tra me e te, o donna? non è giunta la mia ora” richiamandosi al Padre. E

Ella, sicura dell'amore e dell'onnipotenza di suo figlio: “fate quello che vi dirà!”.

Il Signore trasforma la realtà di una gioia che stava per finire in festa più grande:

l‟acqua diventa vino, manifestando in tal modo che sua natura umana è piena dello

spirito di Dio; e dà questo Spirito buono a noi, ci dà la sua vita, la vita che Lui ha.

Ed il capotavola si meraviglia: ma come? Tutti danno il vino scadente alla fine,

perché han fatto bere all'inizio quello buono. Tu hai conservato quello buono fino

alla fine! Quanta Sapienza e bontà è manifestata da Gesù, poiché Egli è la Sapienza

di Dio, che ha assunto la nostra carne, destinata alla morte a causa del peccato, è

andato alla morte per darci il vino dello Spirito, il suo sangue. , la sua vita. Ha

offerto il corpo, la sua vita umana, sempre unita al Verbo, affinché diventasse vino

di vita per noi, per le famiglie, per tutti; perché ciò che tutto cambia e rinnova è

l'amore. E Dio è amore onnipotente, delicato, come Maria ci manifesta. Lei è lì

umile, come la mamma che serve al papà, serve ai figli per amore.

Anche fra poco avverrà un miracolo vero: il sacerdote invocherà lo Spirito

dicendo: Manda il tuo Spirito! Ed il pane ed il vino offerti vengono trasformati nel

corpo e sangue di Cristo. Ecco il vino! Il vino di gioia è il sangue di Cristo, è la vita

di Cristo, i suoi sentimenti, il suo cuore che diventa il nostro. E nella diversità noi

siamo chiamati ad accoglierci in questa luce dello Spirito. Ecco la fede della

Chiesa! E diremo: mistero della fede. E‟ un mistero da accogliere e contemplare

con la bontà, con la gioia di Maria, per gustare e godere questo vino dei forti che

vuole trasformare la nostra vita in gioia piena di pace e di dolcezza. Celebriamo

questo mistero della croce con fede; vediamo dei segni, ma dobbiamo andar dentro

di essi nella realtà significata. Questi segni poi vengono a noi; noi berremo il vino

di salvezza, mangeremo il Corpo ed il Sangue di Gesù, per essere trasformati in

Lui, per vivere questa gioia, questa luce, questa bellezza di amore.

Fate attenzione alle preghiere che diremo: “concedi di partecipare degnamente

ai santi misteri, cioè credendo, ogni volta che celebriamo questo memoriale del

sacrificio del tuo Figlio si compie l'opera della nostra redenzione. Siamo redenti

nel sangue di Cristo e fatti nuovi. E poi dice: infondi in noi, o Padre, lo Spirito del

tuo amore, dopo la comunione, perché, nutriti con l'unico pane di vita, formiamo -

ed è qui il segno che siamo figli di Dio, siamo una famiglia - un cuore solo e

un'anima sola, nell'amore onnipotente dello Spirito Santo, in Gesù. Assistiti dalla

Chiesa, da Maria, festeggiamo la vita, l'offerta di noi stessi al Padre ed ai fratelli.

Lunedì della II settimana del Tempo Ordinario

(Mc 2, 18-22)

In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno.

Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i

discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».

Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo

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sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma

verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno.

Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il

rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. E nessuno

versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono

vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi».

Abbiamo chiesto a Dio Padre di ascoltare la nostra preghiera, di unire i cuori

dei tuoi fedeli nella lode del tuo nome. Questa lode del nome del Signore - abbiamo

detto: accogli, Signore, il sacrificio della nostra lode - è un sacrificio, è una

capacità di essere offerta gradita, profumata a Dio. E senz'altro quello che chiedono

queste persone al Signore, i discepoli di Giovanni, il sacrificio del digiuno di queste

dimensioni di lasciare qualcosa, sono buone; ma Gesù fa un altro ragionamento,

dando al valore del digiuno un'altra visione. Il digiuno che il Signore suggerisce è

quello dell‟otre nuovo e del vestito nuovo, rigettando il vecchio fino alle sue radici;

perché il nostro uomo vecchio non può contenere la novità, come sentivamo ieri,

del vino che il Signore ci dà della sua vita divina, della sua vita di risorto che è in

noi. Per contenerla ci vuole un otre nuovo e un abito nuovo.

Ma perché, questo? Perché lo sposo è presente in quel momento lì che Gesù sta

parlando, ma abbiamo sentito tante volte che è sempre presente nella nostra vita,

perché la Chiesa e noi siamo il corpo di Cristo, siamo questa sposa. E San Paolo

dice che Gesù, che è lo sposo, ha voluto che la sua sposa che siamo noi, la sua

Chiesa, fosse santa e immacolate. L‟ha pulita dalle rughe, da tutto con la sua

passione, tutto ciò che era male; e le ha dato questa vita nuova, la sua vita di

risorto. Questa vita nuova, che è sempre in noi, esige appunto un cuore nuovo,

attraverso un digiuno che è differente da quello che noi pensiamo. Difatti, questo

Saul viene rigettato perché non obbedisce alla parola del Signore. Se il Signore dice

a me: “Padre Lino, Lino, tu sai che sei mio figlio prediletto, in te mi compiaccio?

Tu sei mio corpo?” Che faccio io? Ma sì, ho sentito; e poi, come mi comporto? Mi

comporto che io voglio fare come questi qui, un sacrificio al Signore. Ma dice: Ciò

che vale è la docilità al Signore, un cuore docile, sottomesso; e soprattutto un cuore

che non vada dietro alla sua volontà vecchia, al suo voler comandare lui allo sposo

cosa fare. Per cui il Signore qui ci suggerisce un digiuno che è quello di credere,

prima di tutto, che Lui ha messo in noi un cuore nuovo che è l‟otre nuovo.

Vi ricordate, domenica abbiamo letto Ezechiele, alle Lodi, dove dice: metterò in

voi un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo. Il cuore nuovo è tutta

questa realtà della struttura di Gesù risorto, l'uomo spirituale, questa dimensione

spirituale che noi capiamo poco; questa realtà nello Spirito Santo che Lui vuole.

Difatti, un sacrificio spirituale gradito a Dio, abbiamo cantato nel Salmo.

Spirituale in che senso? Dice San Paolo: perché voi che siete stati concepiti come

sposa di Cristo, nella sua realtà, dovete dare un sacrificio nello Spirito Santo che è

docilità massima all'amore di Dio che ci ha fatti nuovi in Cristo Gesù. Siamo una

creatura nuova. Per accogliere il vino nuovo dello Spirito e agire secondo lo Spirito

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Santo il nostro cuore, la nostra umanità deve essere nuova; e non ci può essere

neanche una radice, neanche per fare sacrifici, una radice di ciò che è vecchio.

Perché, se noi teniamo un pochettino del vecchio, vuol dire che non apprezziamo il

nuovo, siamo attaccati, si attaccano ai beni questa gente qui, per fare il sacrificio al

Signore. No, vale di più la parola del Signore!

Ci vuole un cuore nuovo, un oltre nuovo: i sentimenti di Cristo, l'agire di Cristo,

il pensiero di Gesù in noi. Non ce la facciamo da soli, certo. Il Signore, questa sera,

mentre preghiamo per l'unità di tutti i cristiani, chiede a noi di essere veramente

questo oltre nuovo, di volere questa novità, di obbedire allo Spirito e osservare i

comandamenti del Signore: sii paziente, mite, misericordioso, buono, pieno di

grazie, gioioso per il dono che Dio ti ha fatto. E poi diventare capaci di vedere nello

Spirito Santo noi stessi, Dio, gustare la gioia, il vino nuovo che il Signore ha voluto

porre nei nostri cuori nuovi, Questo opera adesso Gesù. Viviamo di questo pane,

gustiamo questo vino ed entriamo nella gioia di essere salvati.

Martedì della II settimana del Tempo Ordinario

(Mc 2, 23-28)

Avvenne che, in giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i

discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe.

I farisei gli dissero: «Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è

permesso?». Ma egli rispose loro: «Non avete mai letto che cosa fece Davide

quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? Come entrò nella

casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatàr, e mangiò i pani dell’offerta, che

soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni?».

E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!

Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato».

Abbiamo ascoltato, sia nella prima lettura che nel Vangelo, la presenza di

questo Davide che è nominato nelle due occasioni. Molto bello questo

accostamento, perché Gesù è chiamato Figlio di Davide; e siede sul trono di

Davide, suo Padre. Gesù fa una domanda ai Farisei e Giudei, un giorno; e dice:

“Ma come fa Davide a chiamarlo Signore, se egli è suo figlio?” Con questo

manifesta il mistero di questo Figlio dell'uomo, che è figlio di Davide. E‟ un uomo,

viene dalla discendenza di Davide, è chiamato, appunto, Figlio di Davide. Ma è

Signore; ed è Signore del sabato. E‟ Signore perché, anche in un certo senso, è

come Davide. Davide riceve da Lui, da questo Signore, la sua esistenza. Ma

quando Davide viene consacrato, viene consacrato dall'olio, come Gesù è

consacrato dallo Spirito Santo, questo Spirito che fa brillare il volto, il volto di Dio

che è questo uomo è ed ha. Chi vede me, vede il Padre, perché è fatto tutto dallo

Spirito; e Davide, anche lui bello d‟aspetto, viene consacrato come re d'Israele.

Questa situazione conferma il discorso che stiamo facendo in questi giorni,

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che la Chiesa ci manifesta: le nozze di Cana, dove viene dato questo vino che

rallegra il cuore dell'uomo, per la festa del matrimonio; per partecipare a questa

festa, è necessario avere un otre nuovo per mantenere, contenere il cuore nuovo:

oggi abbiamo, nel Vangelo il richiamo a Davide, che ha il cuore buono e vuole dare

da mangiare il pane, che solo i sacerdoti possono mangiare, per sfamare i suoi.

Quindi, Gesù dice: “Questo Davide che era mosso dallo Spirito Santo, che lo aveva

consacrato, ha agito mosso dalla bontà. Ed anch‟Io, che sono il Figlio dell'uomo, ho

la stessa bontà; e voglio che i miei figli, coloro che mi seguono, mangino quel pane

che dà forza - dice - il pane che fa crescere il vigore”, questo pane di vita che è

unito a quel vino speciale, tutto fatto, consacrato dallo Spirito Santo.

L‟uomo così può vivere una vita nuova, la vita dello Spirito. Ed ecco allora

che il Signore, questa sera, ci dà anche come esempio di un cammino con un cuore

nuovo per ricevere questo seme di vita eterna, questo pane di vita eterna che è

Cristo; perché mangiando Lui noi abbiamo la vita eterna, perché il suo sangue sia

la gioia eterna del nostro cuore. E questo è il matrimonio, lo sposalizio dell'Agnello

con la sua Chiesa che Egli vuole: una, santa, cattolica, apostolica, immacolata, tutta

permeata dall'amore. È questo cuore nuovo che fa l'unità con Dio e l'unità tra di

noi, nella vita eterna, nuova, che abbiamo. La beata Maria Gabriella, scrivendo alla

mamma l'ultima lettera prima di morire, dice: “Lo sposo mi chiama; e io sono

pronta per unirmi a Lui. Mi chiama, devo andare alle nozze eterne con Lui.”

Ella offre la sua vita, pane santo messo davanti al Signore, dà il suo sangue

perché questo Spirito che fa l'unità nella diversità possa trasformare lei in questa

offerta eterna; e possa essere fonte di vita e di amore ai fratelli nella Chiesa. E offre

volentieri all'Agnello, unita all'agnello come Maria che è la Madre della Chiesa,

offre se stessa; però mossa da questo sangue, da questa realtà di vino che ha dentro

di lei, che è lo Spirito Santo che desidera quest'incontro. Ma ha fatto del suo cuore

un cuore nuovo, per contenere questo mediante il sacrificio di sé, l‟obbedienza,

l‟amore a tutti. Un amore che preferisce, come Gesù, morire perché abbiano la vita,

piuttosto che avere la vita lei su questa terra.

Il Signore questa sera chiede anche a noi, di seguire questo Figlio dell'uomo;

di mangiare il suo pane, di nutrirci del suo vino alle nozze - ecco le nozze

dell'agnello; ecco l’agnello di Dio - perché possiamo vivere questa gioia di essere

dono; e possiamo essere un'offerta profumata sempre, nel nostro cuore, nelle nostre

azioni, affinché la Chiesa, il corpo di Cristo sia Santo e immacolato, pronto per

unirsi eternamente al suo Sposo.

Mercoledì della II settimana del Tempo Ordinario

(Mc 3, 1-6)

In quel tempo, Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. C’era un uomo che aveva

una mano inaridita, e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato

per poi accusarlo. Egli disse all’uomo che aveva la mano inaridita: «Mettiti nel

mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male,

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salvare una vita o toglierla?». Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con

indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell’uomo: «Stendi

la mano!». La stese e la sua mano fu risanata.

E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui

per farlo morire.

Gesù è in una battaglia di vita e di morte; infatti questi vogliono ucciderlo.

Quindi, c'è una realtà di morte sopra di Lui e lui guarisce, dà la vita. Vedevamo ieri

come il Signore dice che è padrone anche del sabato, è Signore del sabato ed è il

Figlio dell'uomo. Ma il Figlio dell'uomo che Lui è non lo stacca da essere il Figlio

di Dio, il Verbo di Dio eterno. E allora, il Signore qui ci manifesta in questo

Vangelo, anche nella prima lettura, che Lui sempre è con noi nella sinagoga, nella

nostra preghiera, nel profondo del nostro cuore, dove dovremmo adorare Dio

sempre (Adorate Dio - dice San Pietro - nei vostri cuori). Questa realtà, che è

interiore a noi, è una realtà che non è passiva, ma esige un'azione; esige che noi

siamo attivi nel compiere, lasciando compiere a Lui, ma nel compiere la volontà di

Dio. E quali sono gli aspetti che impediscono? Prima di tutto la prevenzione contro

Gesù. Non è che noi siamo da meno di questi farisei, tante volte.

Siamo prevenuti contro Gesù, perché Gesù disturba il nostro vecchio uomo;

disturba il nostro cuore duro – scleròs- che Gesù guarda con indignazione; cioè il

cuore è vecchio, è invecchiato; le vene invecchiate producono la sclerosi; esse si

inspessiscono e quindi non circola bene il sangue ed addirittura si spaccano. Queste

persone hanno il loro cuore che è secco, perché non fa passare la vita nella mano.

C‟è qualcosa che è secco, una mano secca, inaridita; è il cuore duro che inaridisce; è

la mia volontà propria che preferisce che muoia Gesù, piuttosto che il mio uomo

vecchio. E allora Gesù provoca: lo mette nel mezzo; cioè lo mette in una posizione

dove dice: “Bene, c'è una sfida. Voi volete sfidarmi, vi sfido anch‟io.” Lo mette nel

mezzo. E gli altri lo guardano, “Vedrai che farà così!” perché il loro cuore è duro,

non hanno la compassione del Signore. Per cui Gesù che è Figlio di Davide,

discendente di Davide, fa quello che - in un certo senso - il suo antenato ha operato.

Qui c'è una sfida che fa Davide con il gigante. Questo gigante, fratelli, è il

diavoletto; che, però, non è chissà dove. Si fa grande dentro di noi e si fa grande con

l'alleanza del nostro vecchio uomo che si pone all'azione di Dio.

Fate morire, mediante lo Spirito, le opere della carne. E Gesù, che è nel

nostro cuore, è lì che aspetta che noi Lo amiamo, crediamo in Lui, ci appoggiamo

totalmente su di Lui; e che con Lui, con questa dimensione di fede, noi abbiamo

veramente obbedire all'amore con velocità; non star lì a tergiversare con i nostri

pensieri i nostri dubbi. Questi vogliono far fuori Gesù che ha guarito un povero

malato, mossi dalla stizza per essere stati spodestati; è il demonio che suggerisce e li

fa suoi alleati! E‟ il nostro io, quando noi ci dimentichiamo che, piccoli come

siamo, abbiamo la forza di Dio, siamo vivi per la fede in Dio. Cosa fa la pietra? La

pietra è quel dardo infuocato della parola di Dio con il quale colpire la testa Satana,

cioè il nostro uomo vecchio, con la parola di Dio, obbedendo immediatamente e

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vivendo secondo lo Spirito, perché non c'è più questo modo di sentire.

Vedete come questi segni che la Bibbia usa è perché noi ci convertiamo a

questa presenza che abbiamo in noi . Gesù, mediante la potenza della fede della

Chiesa e lo Spirito Santo che viene, trasforma il pane e vivo nel suo corpo e nel suo

sangue. Nella fede, questo mistero della fede, noi riceviamo la sua forza per far

morire l'uomo vecchio. Basta, dobbiamo ucciderlo! Ma ucciderlo nel concreto. Se

facciamo così, non solo avremo la gioia di vivere nell'amore solo al Signore che è la

nostra vita; ma, addirittura, sconfiggeremo tutti i nemici e potremo avere la vittoria

nella dolcezza di questo rapporto con Gesù che è il nostro sposo che ci dice: Venite

con me, voi che siete affaticati e oppressi; e Io vi darò il riposo della mia carità, del

mio amore; e la gioia di avervi come figli come Me.

Giovedì della II settimana del Tempo Ordinario

(Mc 3, 7-12)

In quel tempo, Gesù si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì

molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall’Idumea e dalla

Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una gran folla, sentendo ciò che

faceva, si recò da lui.

Allora egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca,

a causa della folla, perché non lo schiacciassero. Infatti ne aveva guariti molti,

così che quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo. Gli

spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si gettavano ai piedi gridando: «Tu sei il

Figlio di Dio!». Ma egli li sgridava severamente perché non lo manifestassero.

Ecco questa piccola di appena 16 anni, Agnese, che ha scelto il suo Signore,

Gesù; e per Lui, che era la sua vita, la sua gioia, il suo tutto, dà la vita del corpo; E,

veramente - come abbiamo sentito anche ieri - con la spada dello Spirito,

dell‟amore. E questa vita nuova uccide, mediante la sua stessa morte, colui che della

morte è il potere, satana. Ed entra, nasce, abbiamo sentito che è nata al cielo, che

celebriamo la nascita, nasce alla vita eterna, in pienezza. E penso che lei, dopo, ha

guardato, ha visto questo suo Sposo; e ha cominciato questa gioia che non ha fine.

Cosa vuol dirci il Signore, e con questa Santa e con le scritture che abbiamo

ascoltato oggi? Che Gesù è onnipotenza d'amore; fa miracoli, la sua fama si sparge

e tutti corrono a Lui da ogni parte; e la gente gli si butta addosso per essere guarita.

E Lui si stacca, per potere parlare ed essere visto da loro.

E questo atto che Gesù fa è un atto non di distanza; ma è un atto perché noi

usciamo dal modo umano con cui vorremmo che Dio agisse con noi. Questi si

buttano addosso, sono preoccupati delle loro difficoltà. E, questo taumaturgo che

viene, Lui lo fa per l'amore del Padre, è contento di guarirli. Ma Lui vuole

manifestare chi è Lui che parla del Padre che è Dio, che è Amore, è Lui stesso. E si

manifesta parlando; si manifesta insegnando, perché capiscano col cuore, sentendo

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questa parola dolce di Gesù, questa parola profonda piena d'amore, possano capire

chi è Lui, per uscire da se stessi. Perché la potenza della guarigione Gesù la dà; ma

la dà attraverso la fede delle persone, nella sua Persona. Vuole che credano. “Credi,

tu, che posso fare questo? Credi, tu, chi è il Figlio dell'uomo?”, chiede al cieco nato.

Chi è quell‟uomo? “Sono io.” E l‟altro lo adora. Cioè, Gesù vuole che noi abbiamo

a capire quanto amore ha avuto il Padre per noi, da darci suo Figlio, per spiegarci,

per manifestarci la vita del Figlio.

Il Signore anche stasera dice a noi: “Amici miei, io vi do la mia vita.

Abbracciatemi, conoscetemi nell'amore, vivete di amore e siate umili, riconoscenti.

Siate buoni con tutti; perdonate a tutti, come io ho perdonato a voi. E, soprattutto,

guardate al mio sorriso per voi, che vi parlo; sono nel vostro cuore, vi parlo. Io sono

il Verbo che parla di amore, parla amore. Accoglietelo, per diventare anche voi,

come Me, figli del Padre che è tutto amore, è bontà e misericordia”.

25 GENNAIO - CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO

(At 9, 1-22; Sal 116; 1 Cor 7, 29-31; Mc 16,15-18)

In quel tempo, apparendo agli Undici, Gesù disse loro:”Andate in tutto il

mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà

salvo, ma chi non crederà sarà condannato.

E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio

nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i

serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le

mani ai malati e questi guariranno”.

La Chiesa ci fa ricordare e celebrare la Conversione di San Paolo. Ricordare,

nel senso che noi, per nostra natura siamo portati a dimenticare le cose

fondamentali. Quante volte noi pensiamo che siamo vivi? Solo quando abbiamo il

raffreddore o il mal di pancia, pensiamo alla vita. Allora, ricordare la conversione

vuol dire celebrare la conversione di S. Paolo; come dire ricordare la vita, celebrare

che stiamo bene. Ma siccome noi dimentichiamo facilmente la vita quando stiamo

bene, ci occupiamo a fare quello che vogliamo, che ci piace a noi. Ma la vita è

quella che ti da di agire. Ma quella la dimentichiamo. E così è stato per San Paolo e

la sua conversione richiama la nostra conversione. Abbiamo noi bisogno di

convertirci? Siamo cristiani, soprattutto siamo monaci. Sì, qualche volta, quando

facciamo qualche sgarro, andiamo a confessarci, a chiedere perdono al Signore; ma

più per la tranquillità di coscienza, per liberarci dal senso di colpa; cioè dalla noia

che sentiamo, il disgusto del dispetto contro noi stessi, per ritornare in pace, così

detta – che è un‟illusione.

Ma quante volte confessiamo che non osserviamo il primo comandamento? E

qual è il primo comandamento? Nel Vangelo c'è un episodio di quello scriba, o

rabbi o dottore della legge che Gli chiede qual è il primo e massimo comandamento

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della legge. E Gesù glielo elenca: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con

tutta l‟anima e con tutta la forza”. E poi quello, per giustificarsi, diceva: “Ma chi è il

mio prossimo?” E Gesù fa la parabola del samaritano e poi gli chiede: “Secondo te,

chi è stato il prossimo di colui che è incappato nei ladroni?” “Chi gli ha prestato

cura. Non il Levita, non il sacerdote, ma il samaritano”: “E tu va‟, fai lo stesso!”

Allora, tutto il contenuto dell'insegnamento di Paolo è il Signore Gesù che ha amato

me e ha dato se stesso per me. Lui è il nostro prossimo; è Colui che è stato vicino a

noi quando eravamo peccatori, quando eravamo morti, dice San Bernardo; quando

non esistevamo e ci ha fatto esistere. E‟ Lui.

Colui che è caduto in mano ai ladroni, pensate che non sia stato riconoscente,

se non dico abbia amato colui che l'ha soccorso? E noi, consapevoli che siamo

battezzati, che riceviamo adesso la vita del Signore, l‟incremento, il nutrimento: in

che misura Gesù, che è la nostra vita, fa l'oggetto del nostro amore, ogni giorno,

ogni momento della giornata? Come Maria. Deve fare delle meditazioni per amare

la mamma, per amare il papà? Se il Signore Gesù ci ha rigenerati; da morti che

eravamo fatti rivivere in Cristo, è Lui che è morto per noi, perché noi non lo

amiamo? Perché non è l'oggetto del nostro amore? Come Maria, se si dimenticasse

del papà e della mamma, solamente si ricorda quando ha fame. Così facciamo noi.

Allora, tutto l'insegnamento che la Chiesa ci dà, la dimensione evangelica di

annuncio eccetera, è vero.

Ma il fondamento dell'annuncio evangelico, come per San Paolo, è che Lui ha

amato e ha dato se stesso per me. E S. Paolo lo vuol comunicare agli altri, perché gli

altri fanno parte di Lui stesso, del Signore Gesù. Per cui, possiamo dire che San

Paolo, tutto il suo annuncio si riduce a questo: Anatema sit, colui che non ama il

Signore Gesù. E‟ scomunicato, cioè separato dalla vita, se non ama il Signore Gesù;

perché Lui è la nostra vita, abbiamo cantato adesso il testo ai Colossesi. Dunque,

convertirsi significa imparare ad amare Colui che ci ha amato e ha dato se stesso per

noi; e smettere di volere giustificarsi con le nostre opere, di servire la comunità

spaccando la legna o tante altre cose. Sono cose banali, necessarie; ma non sono il

motivo della vita. Il motivo è, siccome ci ha amati, Lui ci ha amati primo, lasciarci

amare e amare. Amare ed amari; amari ed amare. Questo è la conversione a cui la

festa di oggi ci invita. Siccome siamo stati amati, dobbiamo imparare ad amare.

Ma siccome noi amiamo più quello che possediamo noi, come il figliol

prodigo, che i doni di Dio, del Padre, che è il Padre che ci ha generato in Cristo

Gesù, pensiamo di essere a posto osservando qualche regola, qualche

comandamento, facendo per qualche preghiera. Ed è da questo atteggiamento che è

il sottofondo della nostra esperienza, se volete del nostro io, che dobbiamo

cambiare: da noi al Signore Gesù; perché “noi siamo morte, per Lui - dice Agostino

- ma Lui è vita, per noi”. E se Lui ci ha dato la vita, dobbiamo amare anche noi

Colui che ci ha generato. E di conseguenza, ripeto, è fuori della fede, rimane nella

morte chi non ama il Signore Gesù. E questo è la conversione che S. Paolo ha avuto

e che noi dobbiamo intraprendere e portare avanti ogni giorno. Chi non ama rimane

nella morte: chi non ama il Signore Gesù è nella morte.

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26 GENNAIO - SANTI ROBERTO, ALBERICO E STEFANO.

(Lc 22,24-30)

In quel tempo sorse una discussione, tra i discepoli: chi di loro poteva esser

considerato il più grande. E Gesù gli disse: «I re delle nazioni le governano, e

coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però

non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi

governa come colui che serve.

Infatti, chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che

sta a tavola? Eppure, io sto in mezzo a voi come colui che serve.

Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo

per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e

bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù

di Israele.

In questa celebrazione eucaristica ricordiamo tre persone: S. Roberto, Stefano

e Alberico, che, secondo la storia, sono i fondatori di Citeaux. Ma lo scopo della

Chiesa, della liturgia, in questo momento è quello di rammentarci che sono esistite

queste persone? Quanti personaggi importanti sono esistiti certamente ai loro tempi,

senza che noi li conosciamo? C‟erano i principi, c‟erano dei re, c‟erano dei

personaggi grandi; dove sono? E perché la Chiesa ci fa ricordare questo? E noi

stiamo lì a vedere perché, come erano fatti, cosa hanno fatto; e non ci domandiamo

perché la Chiesa li ricorda. E, come vedete nell‟immagine davanti, andiamo a

dipingerli con i sandali. Vi immaginate gli uomini che vivevano nella palude di

Digione che vanno coi sandali? Nel medioevo lì ci avevano solo gli zoccoli. E sono

questi i Santi che la Chiesa ci vuole ricordare? Che portavano i sandali? Cosa

assurda ai loro tempi. E allora perché li ricorda? Perché ci vuole introdurre

nell'esperienza della loro vita, perché erano vissuti in questa palude. Nel piccolo

esordio c'è un‟altra frase: perché volevano essere poveri con Cristo povero. Ma la

povertà, ai loro tempi e nella Regola, non è mai stato un voto da osservare o un

impegno da assumere. Non c‟era. Nella Regola che cosa si professa? Obbedienza, la

conversione dei costumi, la stabilità nella comunità, in comunione più che in

comunità. Ma non si accenna alla povertà.

E questi tre voti hanno la radice nel Vangelo, più o meno come sono espressi;

e sono stati codificati quando sono venuti gli ordini cosiddetti mendicanti,

predicatori, dove ognuno era libero; e allora ci volevano delle regole riguardo al

possesso dei beni. Ma loro volevano essere poveri, non perché la povertà era o è,

rimane un valore in sé. E‟ un mezzo per essere con Cristo povero, il quale con la sua

povertà ci arricchisce di tutti i doni. Allora la povertà è per diventare ricchi. E lì San

Benedetto dice: Nulla di più caro di Cristo. E ieri accennavamo, nella conversione

di San Paolo, in che cosa consiste la conversione. San Benedetto dice “Nulla di più

caro di Cristo”, nell‟ innamorarsi di Colui che ha dato a noi la sua vita, morendo in

croce per noi, per assumere, trasformare la nostra morte. Questa è la povertà. Un

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altro aspetto di questa povertà è la semplicità cistercense, come si dice, che appare

nella loro vita, appare nella loro liturgia e nei monasteri, soprattutto nelle chiese.

Perché la semplicità? Semplicità non è dabbenaggine e non è essere tonti. La

semplicità è la percezione che l'amore di Cristo riempie tutto il cuore, dovrebbe,

tutto il cuore dell'uomo. E la semplicità è un attributo specifico di Dio; perché non

c'è bisogno di niente, perché c'è la pienezza. Allora la semplicità cistercense e

cristiana della vita è il segno - il mezzo, se volete - per lasciarsi (ritorniamo allo

stesso concetto) arricchire, riempirci di Cristo. E‟ inutile che noi andiamo a piedi

nudi, e con le braghe vecchie e sporche, stracciate, per far vedere che siamo poveri.

Siamo ricchi della nostra presunzione. Vogliamo essere semplici e ci complichiamo

la vita al di sopra di ogni possibilità. E basta guardare in giro, e anche in noi. Quante

complicazioni facciamo! Il Signore ci direbbe: “Con tutte le tue preoccupazioni,

complicazioni, desideri di possedere, anche il desiderio di essere Santo, che cosa

puoi fare? Puoi aggiungere qualcosa alla tua vita?”

Allora, la semplicità, la povertà è la conoscenza che il Signore Gesù,

amandoci e morendo risorgendo per noi, ci ha donato è ricchezza che diventa

semplicità: “Voi non potete aggiungere nulla alla vostra vita” E in un altro passo

dice: “Tutto ciò che domanderete al Padre credete che vi è già stato concesso” Noi

possiamo chiedere al Padre l'esistenza, la vita, quando non esistevamo? Se ce l‟ha

data, perché ce l‟ha data? E lì il Vangelo di oggi completa la spiegazione di questa

semplicità, questa povertà: per essere recettivi, essere la madre e i fratelli del

Signore; cioè, essere recettivi della sua vita. Abbiamo cantato nell'inno che:

“permanendo nell'eterna gloria abitò tra noi”. Allora la semplicità, come dice San

Benedetto, di sapere che Dio è dappertutto, che è in mezzo a noi, che è in noi. E

nella misura che c'è questa percezione, viene la semplicità e viene la povertà. La

semplicità perché sappiamo che è il Padre ad averci amato e ci ha dato suo Figlio; e

la povertà perché fuori di Dio non c'è più niente da chiedere.

Allora i Santi che celebriamo - o meglio ci ricordiamo che esistono - non sono

esistiti, esistono in quanto sono stati poveri per ricevere la pienezza della vita del

Signore Gesù; e semplici, perché il Signore ha deciso di darcela. E‟ Lui che ha

amato noi per primo, non siamo noi che abbiamo scelto Lui. E‟ Lui che ha scelto

noi. E questa è la semplicità che dovrebbe fare la felicità della nostra vita; e

smettere di andare a cercare giustificazioni o affermazioni di noi stessi su piccole

banalità della vita. Abbiamo la pienezza di Dio in noi. Che cosa abbiamo a

arrabattarci, affannarci e a litigare e a mormorare, quando ci abbiamo tutto? O che

noi siamo consapevoli o che siamo tonti. La povertà e semplicità da noi abbracciate

sono perché veniamo riempiti dalla pienezza di Cristo Gesù.

Domenica III settimana del Tempo Ordinario (C)

(Ne 8, 2-4. 5-6. 8-10; Sal 18; 1 Cor 12, 12-31; Lc 1, 1-4; 4, 14-21)

Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti

successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin

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da principio e divennero ministri della parola,

così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli

inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti possa

rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si

diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano

grandi lodi.

Si recò a Nazareth, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di

sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia;

apertolo trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per

questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri

un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista;

per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore»

Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli occhi di tutti

nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: «Oggi si è

adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi».

Non è frequente ascoltare il Vangelo la domenica, soprattutto, come questo dove

Luca vuole stendere un racconto; e noi siamo portati a pensare che il racconto sono

storielle. E allora precisa il racconto: “degli avvenimenti successi tra di noi - che

non sono stati inventati, che ci hanno trasmesso coloro che furono testimoni fin dal

principio”. E fa accurate ricerche perché forse possiamo renderci conto della

solidità degli insegnamenti che abbiamo ricevuto. E quali sono questi

insegnamenti? Li possiamo riassumere nel Vangelo, possiamo ricordare quello che

è recente, nel Natale: perché Dio si è fatto uomo? Per comunicarci la sua vita.

Perché è nato da Maria? Per assumere la nostra mortalità. E questi sono fatti,

racconti. E perché ha assunto la nostra umanità? Per lavarci nell'acqua del

Giordano con il suo battesimo.

E, domenica scorsa, per cambiare la nostra situazione di acqua, in vino. E poi

Gesù stesso conferma. “Entrò a Nazareth nella sinagoga; si alzò, gli fu dato il

rotolo di Isaia; apertolo, trovò il passo” Un'altra traduzione dice “cercò

appositamente questo passo: lo Spirito del Signore è sopra di me” E questo Spirito

del Signore l'ha comunicato a noi col suo battesimo, con la sua morte in croce, con

il nostro battesimo. E questa scrittura si è adempiuta per noi, come avete udito con i

vostri orecchi, cioè con il battesimo. Allora, da questo fatto e di questi fatti che

abbiamo ascoltato in questo tempo di Natale, ne deriva una conseguenza: che Lui è

diventato uomo, ma per comunicarci la sua vita. E, come dice Origene, per vivere

Lui in noi e farci vivere sopra la natura. E questo è il nostro battesimo. Di

conseguenza, direbbe San Paolo, dobbiamo considerarci morti al peccato, ma

viventi in Cristo Gesù.

Quello che facciamo noi non vale niente, se non ci apre, ci dispone a lasciar

vivere il signore Gesù. E lì, nella preghiera: guida i nostri atti secondo la tua

volontà! Che cos'è la volontà di Dio? Noi siamo soliti dire, quando non possiamo

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far niente, più niente: “Che sia fatta la volontà di Dio!” Ma la volontà di Dio non è

questo; la volontà di Dio, che ha come conseguenza la creazione dell'universo, è

che ci ha scelti prima della creazione, per essere santi e immacolati al suo cospetto,

cioè conformi al Figlio suo Gesù. Questa è la volontà di Dio. Tutto il resto, se non

serve a questo, è paglia, non serve a niente. Anzi, può essere di detrimento perché

ci può anche inorgoglire: “Io sono Monaco, sono bravo; sono cristiano, non sono

come gli altri”. Questo non è volontà di Dio. La volontà di Dio è che lasciamo

vivere, ripeto, il signore Gesù; non con le nostre forze. Lui in noi agisce sopra le

nostre forze, perché ci comunica la sua vita. E nessuno la può trovare, nessuno la

può meritare, nessuno ha la pretesa di poterla avere con tutte le sue brave opere; e,

come ci dice il Signore nel Vangelo, dovete fare questo che vi comanda.

Alla fine, dobbiamo sederci e dire:” Siamo servi inutili”, perché la volontà di

Dio la fa solo Lui e a noi spetta la docilità dell'obbedienza alla carità del Santo

Spirito. Allora la preghiera continua: Guida i nostri atti - cioè tutto il nostro essere

- perché nel nome del tuo diletto Figlio…Il nome è la realtà del Signore Gesù nel

quale siamo stati battezzati, immersi. E tutto ciò che non viene da questa potenza

del battesimo - dice San Paolo - è peccato. Dobbiamo lasciare fare la cosa buona in

noi, che è la volontà del Padre che diventiamo togliendo gli ostacoli, perché questa

vita, che ci proviene dalla vera vite, possa portare frutto. Questa è la volontà del

Padre; e, come ci avverte il Vangelo, il Signore, a quelli che hanno sentito la

predicazione, hanno ascoltato i suoi insegnamenti, hanno mangiato con Lui, dirà:

Andate lontano da me, operatori di iniquità! Per cui non basta essere e dirsi

cristiani, bisogna lasciare che il Signore Gesù viva in noi.

Lunedì della III settimana del Tempo Ordinario

(Mc 3,22-30)

Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: “Costui è

posseduto da Beelzebul e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni”. Ma

egli, chiamatili, diceva loro in parabole: “Come può satana scacciare satana? Se

un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; se una casa è divisa in

se stessa, quella casa non può reggersi. Alla stessa maniera, se satana si ribella

contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire. Nessuno può

entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato

l’uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. In verità vi dico: tutti i peccati

saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma

chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo

di colpa eterna”. Poiché dicevano: “È posseduto da uno spirito immondo”.

Salvati dall'amore. Gesù ha pagato, in riscatto per noi, l'effusione di tutto il

suo sangue. Ma questo, secondo il beneplacito del Padre - cioè la volontà benevola

del Padre - l'ha operato Lui, nella gioia di salvarci. Per Gesù, la nostra salvezza, fare

grazia a noi è la cosa più importante; e non gli importava, dal punto di vista suo

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personale di essere disprezzato, ucciso e versare fino all'ultima goccia di sangue per

riscattarci, per redimerci dal potere di satana. Dentro Gesù che parla - abbiamo

sentito nel Vangelo di sabato, che vanno a prenderlo perché dicono: "E fuori di sé" -

dentro Gesù c'è la volontà di salvare l'uomo, mediante l'effusione del suo sangue,

per togliere la tenebra del peccato, del pensiero iniettato da Satana ai progenitori e

continua a iniettare: che sia vero che Dio mi ama? Che Dio mi vuole libero di

amarlo, da figlio, Lui l'Onnipotente?

È questo dubbio ha procurato tutti i nostri malanni; è questo dubbio

dell'amore, che è, non più un amore di Dio, che l'ha dato per noi, Lui l'Onnipotente

là, nella sua Gloria. Amore, è quel bambino che è nato, da poco a Natale; e che è

cresciuto per essere Gesù, Colui che salva il suo popolo dai suoi peccati, salva tutti

gli uomini da questa morte, mediante l'effusione del suo sangue. E questo è vero! Il

peccato oggi, contro lo Spirito Santo, è quello di non credere che questo sangue è

stato effuso. Vi ho spiegato l'altro giorno che, quando il sangue esce dal costato di

Cristo, esce un po' di sangue e poi l'acqua. L'acqua è l'acqua dello Spirito che lava e

che dà vita. E quest'acqua è quell'acqua che ha raggiunto noi mediante il Battesimo;

con questo segno, Gesù ha attuato questa effusione del suo sangue su di noi, che è

acqua che purifica, che dà vita. Ed è il suo amore, è tutta la sua vita. E questo sangue

è quel vino che Lui offre a noi adesso, perché continui in noi la gioia della vita;

perché Lui è la vita. E il peccato sta nel dubitare che Gesù sia tutto amore; che questa

realtà non è vera in astratto, ma è vera in me.

È qui l'incontro tra Gesù che cerca me, che è venuto per me e la mia apertura

ad accogliere questo mistero di vita nuova, di sangue nuovo, che è il suo che scorre

nelle mie vene. Voi capite bene, qui, come la realtà di Satana - che permea molta

mentalità di oggi, molti comportamenti di oggi - vuole distruggere non tanto l'uomo

come uomo (perché per satana siamo dei vermiciattoli da distruggere), lui vuole

distruggere questo sangue, che scorre nelle vene umane dei cristiani, questo vuole! E

questa bestemmia, oggi, è talmente diffusa, che non ce ne si accorge più. Quanto si

bestemmia l'amore di Dio fatto carne del suo Figlio, che ha dato a noi il suo corpo di

risorto, che è la potenza dello Spirito Santo, che ci fa vivere di Lui! Questa è la

bestemmia! La casa vera, la dimora di Dio - come vi ho spiegato qualche giorno fa -

è il nostro cuore, la nostra umanità; noi siamo tempio dello Spirito Santo. E il

demonio raggiunge il suo scopo, quando ci fa dubitare che questo sia vero per me; ci

fa badare di più al nostro peccato, ci fa badare di più all'opinione del mondo, alla

razionalità esagerata dove: chi adora satana - agli alti livelli, lo fanno tutti, ve lo

dico chiaro - dice che non esiste satana! E lo fa dire ai cristiani; e noi da sciocchi

pensiamo che abbiano ragione; e quelli ridono perché noi cadiamo nel tranello.

Noi ormai siamo tempio dello Spirito Santo; dobbiamo abbracciare, come

bambini nella fiducia di essere fatti nuovi, questo Spirito Santo, che fa nuove tutte le

cose. E allora la dolcezza, la gioia di questo vino che verseremo nel cuore nuovo,

che Gesù ci darà, che è il suo cuore, quel pane diventerà gioia di salvezza per noi; e

desiderio ardente che tutti gli uomini, tutti, siamo liberati da Satana, dal male; e

possono godere questa abbondanza immensa della grazia del sangue di Cristo,

versato per noi.

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Martedì della III settimana del Tempo Ordinario

(Mc 3,31-35)

In quel tempo, giunsero la madre di Gesù e i suoi fratelli e, stando fuori, lo

mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua

madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano».

Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando

lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei

fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».

Il Vangelo di Marco è un Vangelo che sviluppa l'annuncio che Gesù è il Figlio

di Dio. Comincia con questo annuncio, comincia così il suo Vangelo, Marco. Se vi

ricordate, qui abbiamo delle connessioni. Sabato scorso, al capitolo 3, 20 - 21, noi

abbiamo letto che c'erano i suoi, che sono venuti per prenderlo, poiché dicevano: “E

fuori di sé”. Nel mezzo, abbiamo il Vangelo di ieri, dove c'è una discussione coi

Farisei. "Questo sta usando la potenza, perché nessuno parla come Lui, nessuno ha

la sua autorità; caccia i demoni, parla con autorità, ecco, i demoni gli obbediscono".

E dopo questa lettura di ieri, dove c'è questa discussione - che dicono che Gesù

caccia i demoni - oggi continua una scena che si ripete. Vuol dire dal punto di vista

storico, che erano andati i suoi; facilmente, non c'era la madre; e allora ... perché

avranno cercato di parlare con Lui, e lui avrà detto: "Chi siete voi".

E allora tornano, perché volevano convincerlo che era fuori di sé; tra l'altro i

Farisei calcavano la mano, dicevano: "Sì è vero, questo caccia i demoni ...", e

venivano fino da Gerusalemme. La cosa si faceva seria, diventava importante; e che

questo loro parente fosse così fuori di testa, non gli piaceva proprio. E allora,

prendono la mamma con sé e dicono: “C‟ è tua mamma e i tuoi fratelli fuori”; per

potere costringerlo a uscire incontro a loro e ragionare. Il Vangelo di Pietro è quello

riportato da Marco e che l‟Apostolo ha predicato nel „42 ancora a Roma.

L‟evangelista lo scrive per i notabili romani, che chiedono di avere un testo scritto

delle predicazione da loro ascoltate. Parlando egli ai pagani comincia a spiegare la

predicazione e l‟azione di Gesù Cristo, riportando fatti e istruzioni di Lui. Pietro

non aveva avuto la possibilità di spiegare a delle persone pagane, in un modo

coordinato, il fatto che Gesù era Figlio di Dio. Marco comincia subito, col discorso

della potenza grande che si manifesta in Lui, come Pietro ha testimoniato ed

espresso: Gesù è venuto nel nome di Dio, col dito di Dio a cacciare i demoni, a

compiere miracoli e quindi è il Figlio di Dio.

Egli è Dio benedetto nei secoli che si è unito all'uomo in Cristo Gesù: il vero

Dio e la vita eterna. Ad attenderlo fuori con i parenti c‟è anche sua madre Maria,

che Lui tanto ama e dalla quale è stato tanto amato come figlio suo oltre che suo

Dio, come diciamo in uno dei Prefazi, con amore indicibile amore. Lei è tutta unita

nell'amore al Figlio, è tutta serva del Figlio, di Dio nel Figlio suo Gesù Cristo; ha

accolto la Parola, l'ha custodita, l'ha fatta crescere. Gesù intendeva se stesso come la

Parola che ella ha veramente cresciuto, aiutato, ed ora uomo che manifesta ed è il

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piano di Dio Padre. Egli era cresciuto nel cuore di sua madre, era diventato con sua

mamma uno nel compimento della volontà di Dio. Questo dovrebbe essere il

cristiano nel compiere la volontà di Dio: essere uno con Gesù. Questa realtà non è

lontano da noi o fuori da noi, è dentro di noi.

Noi vorremmo che Gesù venisse fuori, incontro a noi; dalla sua volontà di

amore per noi, dov'è venuto a salvarci dal peccato, che è quello che mette dentro nel

cuore dell'uomo l'anticristo per eccellenza, che è Satana; che viene molto ascoltato e

che cerca che si dia poca importanza a questo uomo Gesù, di cui noi cristiani siamo

abituati a sentire parlare, mentre Egli è proprio è la mia vita, è la parola viva

seminata in me. “È Lui la mia vita” - dice Paolo. È questo uomo, Gesù, morto e

risorto per me, è vivo, è me stesso, ha assunto la mia carne, il mio corpo, tutto il mio

essere, è uno con me. Per cui, chiunque fa qualcosa al fratello o alla sua umanità, la

fa, la compie all'umanità di Cristo. Se lo ama, lo fa crescere; se io lo faccio crescere

compio questo atto. Per cui, questa realtà di uscire fuori, satana la fa.

Sant'Agostino ha una frase molto forte, dove dice che ancora oggi satana

sibila, per convincere ad uscire dalla Chiesa, dalla fede della Chiesa; perché si può

essere dentro la Chiesa fisicamente, ma col cuore no! Perché non si crede che Gesù è

la mia vita; Gesù mi ama tanto, che s'è fatto uno con me, che si è fatto figlio dentro

di me. Vuole da me l'amore di una madre, l'amore di un fratello, di una sorella come

di sangue; perché Lui ha dato tutto il suo sangue per me, il suo sangue vive in me

adesso. Vedete come questa realtà è una realtà immensa che avviene dentro la storia

di queste persone, ma nella storia oggi. Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre;

avviene oggi, avviene nel nostro cuore.

E per confermarci, perché abbiamo a comprendere questo mistero d'amore, di

fede del Signore, Gesù dice: "La mia carne e il mio sangue è cibo e bevanda". Sì,

noi lo sappiamo, lo prendiamo il corpo e il sangue di Cristo; ma crediamo dopo, che

siamo il corpo e sangue di Cristo? Egli prende la nostra umanità e ci porta dentro nel

suo cuore, ci fa vivere del suo cuore, del suo amore; ci dà il cuore prima con il pane,

poi ci dà il vino, che versa dentro ad esso, il sangue che circola in noi e ci trasmette

la gioia di essere figli di Dio, come Gesù. Non ascoltiamo Satana e i ragionamenti

umani di dubbio che lui suggerisce. Accogliamo, con Maria e come Maria, questa

vita nuova che è in noi, facendo da madre, fratello e sorella, alla Parola vivente di

Dio: il Signore Gesù in noi e nei fratelli.

Mercoledì III settimana Tempo Ordinario

(Mc 4,1-20)

In quel tempo, Gesù si mise di nuovo a insegnare lungo il mare. E si riunì

attorno a lui una folla enorme, tanto che egli salì su una barca e là restò seduto,

stando in mare, mentre la folla era a terra lungo la riva.

Insegnava loro molte cose in parabole e diceva loro nel suo insegnamento:

«Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare. Mentre seminava, una parte

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cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra cadde fra i

sassi, dove non c’era molta terra, e subito spuntò perché non c’era un terreno

profondo; ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò.

Un’altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto. E

un’altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il

trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per

intendere intenda!».

Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole.

Ed egli disse loro: «A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di

fuori invece tutto viene esposto in parabole, perché: guardino, ma non vedano,

ascoltino, ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato».

Continuò dicendo loro: «Se non comprendete questa parabola, come potrete

capire tutte le altre parabole?

Il seminatore semina la parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali

viene seminata la parola; ma quando l’ascoltano, subito viene satana, e porta via

la parola seminata in loro. Similmente quelli che ricevono il seme sulle pietre sono

coloro che, quando ascoltano la parola, subito l’accolgono con gioia, ma non

hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche

tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si abbattono. Altri sono

quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola,

ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza e

tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto.

Quelli poi che ricevono il seme su un terreno buono, sono coloro che

ascoltano la parola, l’accolgono e portano frutto nella misura chi del trenta, chi

del sessanta, chi del cento per uno».

“A voi è confidato”, nel senso che ha manifestato con amicizia, nell‟intimità la

parabola del seme, almeno spero. Per cui non c'è bisogno di spiegazione della

parabola, perché il Signore la spiega Lui. Ieri sera dicevo del fatto del fico, che

Gesù cerca il frutto; non c'è, lo fa seccare. E il giorno dopo Pietro fa osservare:

“Vedi che è seccato?” E Gesù dice: “Se aveste fede come un granellino di senape, la

montagna si sposterebbe; perché tutto ciò che chiedete, dovete credere che vi è stato

dato prima ancora che lo chiediate”. E qui si inserisce la parabola. Ci è stato dato

ancora prima che chiediamo. Ci è stata data la vita, senza che nessuno la chiedesse;

ci è stato dato il campo, nel senso che nessuno lo potesse comperare. E che cos'è

questo campo?... E‟ il mondo. Tutta la bellezza, la grandezza, la fruttuosità del

mondo è il campo di Dio; compreso, sopra tutto, noi stessi. E Dio ha progettato di

seminare in questo campo, che cosa? Ci ha scelti prima della fondazione del mondo.

Dunque, il mondo, che è il campo, è stato fatto per noi; non perché ce ne

abbuffiamo, o ci rotoliamo in esso come porci. Ma perché sia il terreno in cui il

Padre vuol farci crescere, trasformarsi ad immagine del suo Figlio diletto.

Questo è il motivo per cui esiste. E segue la preghiera quarta, perché nel

prefazio è specificato il motivo per cui ha creato il mondo e perché; e come vuole

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far crescere. Per cui ci è già stato tutto donato, prima che glielo chiediamo. Allora,

qual è il problema perché non cresciamo? E‟ come Eugenio che vuole raccogliere le

patate nel mese di agosto prossimo, penso; che cosa fare? Però, se non ara mai;

soprattutto, se non mette i semi, se non lascia mettere i semi – che non dipende da

Lui, dipende da Dio – le patate non ci saranno; con tutta la fresatura, l‟aratura, la

zappatura, la concimatura, tutto: perché non c'è il seme. Ha lavorato tutta l'estate,

bravo te, e poi ci siamo dimenticati di lasciar seminare il seme! Quindi le patate non

sono cresciute. Di chi è la colpa? “Ma io ho fatto tanto, le patate non ci sono!”

E così la parabola dice: “Se non state attenti..”. Prima di tutto avere l‟idea

chiara di che cos‟è, cioè di che cos‟è fatto il terreno della nostra vita, con tutti i doni

che abbiamo ricevuto. Se non ci disponiamo - come diceva ieri il Vangelo - a

ricevere il seme, è inutile che coltiviamo, è inutile che fatichiamo ad arare e

innaffiare, o zappare, eccetera. Manca l'essenziale. E così noi. E‟ inutile che stiamo

in monastero a pregare, a fare sacrifici e a pestarci i piedi gli uni gli altri, se non c‟è

il seme da far crescere. E, purtroppo, quanto tempo sprechiamo a fare cose inutili; e

quanto poco tempo rubiamo alle nostre normali necessità per dedicarci a conoscere

questo seme che nessuno mai ha conosciuto, che occhio umano mai non vide; ma a

coloro che amano Dio, a noi l’ha rivelato. Per cui tutta l‟occupazione, che è

necessaria studiarla bene, che abbiamo tutti comandamenti, che abbiamo la Regola,

di come accogliere questo seme è importante; ma non è la principale.

La principale è il seme. Dopo è la ricettività, dopo aver preparato il terreno,

del seme. Cioè noi, con tutta la buona volontà…. E ricordatevi che il diavolo è un

astuto pedagogo: ci fa lavorare, ma ci nasconde il seme. E dopo, quando arriva la

stagione della raccolta, che il seme non ce l‟ha lasciato seminare, ride perché noi

siamo sconfitti, piangiamo, non ci sono patate; e ci ha fatto lavorare. Per cui, diceva

San Paolo: Fratelli, crescete nella conoscenza del dono di Dio che siete voi, che è in

voi ma che non viene da voi per potere crescere con rendimento a Dio di grazie.

Perché, se no, illudendoci di gettare il seme, lavoriamo solo, senza buttare il seme.

E allora ritorniamo non nella gioia, ma nel pianto, e nella delusione. D‟altra parte, è

importante - ed è questo lo scopo della parabola che il Signore fa - che noi

impariamo a conoscere la nostra strada, cioè il nostro voler fare quello che ci piace,

le nostre pietre che non fanno frutto, anche se ci danno delle belle sensazioni, le

nostre emozioni e il nostro inganno delle ricchezze; delle ricchezze anche spirituali;

queste ricchezze di cui andiamo in cerca, anche di spiritualità.

Ricordatevi che il diavolo inganna con la spiritualità, è l'essere più spirituale.

E a lui non manca; noi cerchiamo di digiunare, lui non ha mai mangiato. Noi

lottiamo contro le passioni della carne, ma lui è casto. Per cui bisogna stare attenti

anche alla spiritualità, perché il seme seminato è il mistero, è il miracolo, se volete,

dell'incarnazione. E‟ un pane, dorato, se volete, masticabile, che dà soddisfazione ai

denti; ma è lì che c‟è il Signore, la spiritualità. Spiritualità si intende per astrazione

ideologica o sentimentale o emotiva. Io questa sera posso, come è in realtà, non

avere nessuna sensazione piacevole e nello spiegare il Vangelo e nel celebrare

l‟Eucarestia; ma questo non importa niente, perché l'eucarestia, la presenza del

Signore, non dipende dalle mie sensazioni, quello che noi cerchiamo sempre.

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Vogliamo sentire, vogliamo la spiritualità. Il Signore si è fatto carne; da carne è

diventato pane e ci dice: “Non fate delle meditazioni spirituale; prendete e mangiate

e state contenti!” Allora fate attenzione alla preghiera eucaristica, soprattutto il

prefazio dice che cos'è il campo, come è il seme e come viene seminato. Qualcuno

lo fa crescere, non noi, il Padre

Giovedì III settimana Tempo Ordinario

(Mc 4,21-25)

In quel tempo, Gesù diceva alla folla: «Si porta forse la lampada per metterla

sotto il moggio o sotto il letto? O piuttosto per metterla sul lucerniere? Non c’è

nulla infatti di nascosto che non debba essere manifestato e nulla di segreto che

non debba essere messo in luce. Se uno ha orecchi per intendere, intenda!».

Diceva loro: «Fate attenzione a quello che udite: Con la stessa misura con la

quale misurate, sarete misurati anche voi; anzi vi sarà dato di più.

Poiché a chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».

Se vi ricordate, ieri sera, il Signore ha detto che ha confidato, cioè rivelato il

mistero del regno dei cieli. Ma aveva detto anche: Se non comprendete questa

parola, come potete capire le altre? Quella di stasera suppongo che avete capito,

almeno inteso qualcosa; se non altro, abbiamo capito che non abbiamo capito

niente. Altrimenti, se non avete capito quella parabola, è inutile che stia lì e

contraddire l'avvertimento del Signore, a spiegare se non avete capito la prima.

Siccome la prima è il fondamento di tutto e voi siete il campo di Dio - dice S. Paolo

- dove il seminatore è Cristo che ha seminato il seme di Dio - e siccome non

sapete, non sappiamo, che cosa contiene il seme di Dio, vi consiglio di andare a

rivedere - se trovate e dovreste trovarla una mezz'oretta - le prime quattro

diapositive del capitolo ultimo, sesto, di “Dal profondo a Te grido”, per sapere, o

meglio, rinfrescare che cos'è il campo di Dio che siete voi; che cos‟è il seme

seminato in noi; e che cos'è il frutto che porta questa sete che è lo scopo della vita

per cui siamo sulla terra.

E lì per chi non può vedere le diapositive, è chiaro che è Dio che ha il campo,

che l‟ha costruito Lui, che è la nostra vita per seminare il suo progetto: Ci ha scelti

prima della creazione del mondo; e dopo ha fatto il mondo, per seminare chi?

L'immagine del Figlio suo. Per questo ci dice la Bibbia: siamo creati ad immagine

di Dio, Cristo Gesù. E questo ce l'ha rivelato poi, manifestando visibilmente il

Figlio suo che è il seme che deve riprodurre il frutto in noi di farci conformi al

Figlio suo. Se questo l‟avete capito - e spero di sì - possiamo cercare di capire

questa parabola. Non si porta una lampada per metterla sotto il letto. Chi accende

una lampada e la mette sotto il letto o sotto il moggio? Il moggio è un contenitore,

una misura del grano che da una parte era aperto, dell‟altra aveva il fondo: si

accende la luce e si capovolge il moggio e la luce non fa più luce. Se avete

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l‟abatjour in camera, mettete su il berretto, la luce non fa più luce; o, meglio, fa

luce ma non ha nessun effetto. Noi siamo il campo di Dio dove è seminato il seme.

E ieri ce l‟ha spiegato il Signore: è inutile che cerchiamo di fare noi, correre con

le nostre attività, anche religiose, le nostre penitenze. Nel salmo, all'inizio,

nell‟antifona: Inneggiate al Signor perché è buono, inneggiate perché il suo nome è

soave. E‟ inutile che noi vogliamo arrampicare come Prometeo, andare a rubare il

fuoco agli dei; dobbiamo lasciarci attrarre dalla sua vita, del Signore. E quando noi

facciamo gli sforzi per amare vuol dire che amore non ce n‟è. Io posso prendere

uno: “Tu mi devi amare!” Quello mi dà subito un pugno. Quante sberle dà Giusi a

Maria per farsi amare? E‟ la soavità dell'amore che è stata riversata nei nostri cuori.

E allora chi ha questa sua soavità, gli sarà data. Ma questa soavità non si conquista,

si riceve. E, per ricevere, bisogna avere il desiderio. Oggi è la festa, la memoria di

San Tommaso d'Aquino; qua dice che è sublime per santità e dottrina.

Ma da dove viene la sua dottrina, la sua “Summa teologica” e tutti i suoi

opuscoli? Da dove vengono? Da una prima soavità che ha imparato a

Montecassino, sentendo i monaci cantare: “Deus in…” E dice: “Chi è questo Dio?

“Vieni in mio aiuto!”, quello che abbiamo cantato noi, che cantiamo tante volte al

giorno. E cosa cantiamo? Ci stimola a sapere chi è questo Dio che adesso ci

istruisce con la sua Parola e ci nutre con la sua vita mediante il sacramento

dell'eucaristia? Chi è? “Eh, ma io devo andare a preparare la cena…. ma io non so

se manca il pane, se ce n‟è a sufficienza…”. Stiamo lì. E quante cose futili, inutili -

speriamo non dannose - pensiamo, desideriamo durante la giornata; che ci

sembrano tanto care, tanto preziose per noi e che valgono un bel niente! Perché

manca la soavità. Dio non manda nessuno all'inferno e non costringe nessuno ad

andare in Paradiso. Invita con la soavità, e questo è l'amore.

Quando noi vogliamo affermare noi stessi perdiamo la soavità; e perdiamo Dio.

E allora questo moggio è molto robusto, è molto difficile da ribaltare. E basta che

qualcuno ce lo tocchi…, perché abbiamo paura che venga la luce; e la luce

abbiamo paura che manifesti le nostre tenebre, le nostre inconsistenze; ma ci sono.

E‟ inutile chiudere gli occhi davanti alla buca, la buca non sparisce. E noi, se

chiudiamo gli occhi, ci cadiamo dentro. Allora vale la pena, se ascoltiamo; e nella

misura con cui misurate, sarete misurati anche voi; anzi, vi sarà dato di più di

quello che pensate di perdere. Se avrete questa soavità. E, ritornando a San

Tommaso, non pensiate che San Tommaso sia stato dotato di chissà che cosa. Sì,

ha avuto tanta sapienza; ma perché ha avuto, tanta “curiositas” in latino, tanto

desiderio di Dio, di aprire gli occhi, di ribaltare il moggio; e ha gustato la soavità.

Venerdì III settimana Tempo Ordinario

(Mc 4,26-34)

In quel tempo, Gesù diceva alla folla: « Il regno di Dio è come un uomo che

getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e

cresce; come, egli stesso non lo sa.

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Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il

chicco pieno nella spiga.

Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la

mietitura».

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale

parabola possiamo descriverlo?

Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è

il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e

diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo

possono ripararsi alla sua ombra».

Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo

quello che potevano intendere. Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai

suoi discepoli, spiegava ogni cosa.

Accogliete dolcemente la Parola, che è stata seminata in noi. Dunque, la

Parola c‟è già, con la creazione, con la redenzione, con il battesimo, con

l‟Eucarestia- E la parola docilità, la docilità implica quello che dicevamo ieri:

“Inneggiante al Signore perché il suo nome è soave”. La docilità è soavità. Noi non

possiamo nulla e possiamo tutto, perché il seme è già seminato, dal fatto che noi

esistiamo: dal grembo di mia madre Tu sei il mio Dio. Ci ha messi al mondo, ci ha

fatto crescere, perché possiamo capire e vivere e gustare questa Parola di Dio che è

il Figlio suo, ci ha fatti conformi a Lui. E vuole che cresciamo fino alla piena

maturità di Cristo, per conoscere il suo dono. Ma qua il Signore ci dice queste

parabole, dicendo che parla secondo quello che possiamo intendere; e senza

parabole non parlava loro, ma in privato ai suoi discepoli spiegava ogni cosa;

secondo quello che potevano intendere

C‟è una conoscenza che avviene in privato, nell'intimità con il Signore, che è

la preghiera. Allora, la preghiera non è tanto chiedere; è tanto ascoltare sempre di

più, nella docilità, quello che ci spiega il Signore. In fondo la preghiera non è

neanche pregare, perché il Signor sa già quello di cui avete bisogno; perché Lui ha

già preparato prima della fondazione del mondo, ci ha scelti. Allora quante

preghiere, quante chiacchiere facciamo! In fondo le nostre preghiere, se non sono

dirette all‟ascolto, sono tutte una richiesta all'affermazione dei nostri bisogni e non

della realizzazione del disegno di Dio. Il Signore ci può accontentare, qualche volta,

nei nostri bisogni; ma nella preghiera dovremmo sempre dire quello che ci

suggerisce Sant'Agostino: Io ti chiedo quello che mi piace… ma attenzione a

completare quello che poi dice …ma Tu dammi ciò che mi giova! E allora, nella

preghiera è più la soavità dell‟intimità col Signore; attraverso la Parola, attraverso i

sacramenti, nella consapevolezza che siamo rinati in Cristo, che veniamo nutriti,

nella docilità e nella soavità ascoltare cosa dice il Signore.

Questo ascolto esige la consapevolezza che noi non possiamo fare nulla; ed

avremmo molto di più e facciamo certamente di più, nella misura che impariamo ad

ascoltare, a smettere di chiedere l'esaudimento dei nostri desideri di guarire, di

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rendere più simpatico il superiore, di rendere più comprensivo il fratello verso di

me. Questo non serve a niente; o, meglio, può servire a qualche cosa, se impariamo

ad ascoltare nell'intimità il Signore Gesù. Allora tutti i problemi che potremmo

avere spariscono da soli, perché non cerchiamo più ciò che piace a noi; ma

cerchiamo la gioia che il Signore vuol comunicare a noi. E alla fine si potrebbe

concludere che noi dobbiamo imparare ad ascoltare nella preghiera i gemiti dello

Spirito che desidera per noi la piena adozione a figli, cioè la redenzione a figlio,

cioè l'accettazione della falce, che è la morte.

E noi facciamo di tutto, ce ne abbiamo sempre, non siamo mai contenti,

perché? Per paura della morte. E la paura della morte vuol dire che non conosciamo

la dolcezza del Signore. Certo, la paura della morte - e non è una fantasia, dice

Sant'Agostino - è legata alla natura; ma dobbiamo pensare non tanto alla morte,

quanto all'incontro con il Signore. E questo lo impariamo piano piano nell'ascolto,

in privato, del gemito del Santo Spirito. Tutti i nostri problemi sono perché noi

abbiamo paura della morte, abbiamo paura della diminuzione di noi stessi, di non

essere capaci; e per questo ci arrabbiamo con gli altri; con gli altri - con noi stessi

perché gli altri non c‟entrano - perché non conosciamo la docilità e la dolcezza del

gemito del Santo Spirito.

2 FEBBRAIO - PRESENTAZIONE DEL SIGNORE -

(Ml 3,1-4; Sal 23,7-10;Eb 2,14-18; Lc 2,22-40)

Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosé,

portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella

Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire

in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge

del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato

di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli

aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il

Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i

genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le

braccia e benedisse Dio:

“Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i

popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”.

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.

Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovina e la

risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i

pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima”.

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era

molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era

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ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si

allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.

Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del

bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in

Galilea, alla loro città di Nazareth. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di

sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.

Celebriamo oggi la festa della presentazione del Signore al tempio, in cui

Maria e Giuseppe presentano, cioè offrono Gesù a Dio. E anche noi, come diremo

nella preghiera che reciteremo tra poco, delle offerte, siamo chiamati a fare lo

stesso. Infatti, anche noi nella processione avevamo, in un certo senso, in braccio

Gesù (la candela in mano) E in questa preghiera diremo proprio: “Accogli, o Padre,

i nostri doni e guarda la tua Chiesa - cioè tutti noi - che per tuo volere Ti offre con

gioia il sacrificio del tuo unico Figlio, agnello senza macchia per la vita del

mondo”. Che cosa significa questo? Come possiamo noi offrire Gesù a Dio, come

hanno fatto Maria Giuseppe? E nella lettura che abbiamo fatto poco fa - la lettura

degli Ebrei, molto bella - viene detto che Gesù, pur essendo Dio per natura, quindi

onnipotente e grande, ha voluto farsi piccolo come noi uomini; si è fatto un

bambino, affinché l'uomo piccolo e povero per natura diventasse grande come Dio.

E, per attuare questo progetto, però, ha dovuto liberare l'uomo dalle sgrinfie

di Satana; perché l'uomo che non è solo Adamo ed Eva, ma è ognuno di noi in

questo momento. L'uomo fin dal principio ha preferito l'amicizia di Satana a quella

di Dio. E solo che Satana non è che sia proprio il miglior amico dell'uomo; anzi,

soprattutto non ti molla tanto facilmente quando - si potrebbe dire - quando ti offri

a lui, come han fatto Adamo ed Eva. E allora Gesù ha dovuto, in un certo senso,

pagare con la sua morte il prezzo del nostro riscatto. Per cui ,il primo ad offrirsi a

Dio, come dice San Paolo, in sacrificio di soave odore è proprio Gesù; proprio

come abbiamo letto nella lettura, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui

che della morte ha il potere, cioè il diavolo; e liberare quelli - tutti noi - che per

paura della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.

E voi mi direte: “Va bene, questo qua più o meno lo sappiamo; però veniamo

al dunque, non partiamo sempre dalla genesi, dall'inizio. Cosa c'entriamo noi con

tutto questo?” E dicevamo prima, appunto, che noi dobbiamo offrire Gesù a Dio,

come han fatto Maria e Giuseppe. E qui si inserisce la profezia di Simeone, quando

dice a Maria che una spada le trafiggerà l'anima. I padri della Chiesa - abbiamo

visto anche altre volte - dicono che Maria, pur non avendo subito niente nel suo

corpo, è morta nell'anima con Gesù sulla croce. E già qualche mese fa vi avevo

citato quel bellissimo passo di San Bernardo che dice, rivolto proprio Maria, dice

così: “Certamente dopo che il tuo Gesù, che era di tutti ma specialmente tuo, era

spirato, la lancia crudele non poté arrivare alla sua anima quando, infatti, non

rispettando neppure la sua morte, la lancia gli aprì costato ormai non poteva recare

alcun danno al Figlio tuo; ma a te sì; a te trapassò l'anima. L'anima di Lui, di Gesù,

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non era più là; ma la tua non se ne poteva assolutamente staccare. Perciò la forza

del dolore trapassò la tua anima; e così, non senza ragione, ti possiamo chiamare

più che martire; perché in te la partecipazione alla passione del Figlio superò di

molto, nell'intensità, le sofferenze fisiche del martirio”.

Però, anche qui uno potrebbe dire: “Va bene, partecipiamo pure alla

sofferenza di Gesù, di Maria; però, dopo, che cosa dovremmo fare noi?” E allora

anche noi, nella misura che vogliamo essere - potremmo dire - felici, cioè il

negativo, come dicevamo prima, non essere sotto l'influsso di Satana (e ieri

vedevamo quale influsso aveva su quell'uomo posseduto, che faceva una vita

d'inferno); ma soprattutto essere felici in positivo, e cioè vivere quello che è il

progetto di Dio su di noi; e cioè diventare come Dio, perché a questo siamo stati

chiamati, questa è la nostra vocazione. Ebbene, nella misura che lo desideriamo,

dovremmo entrare in quello che Santa Giovanna di Chantal (anche qui un brano

che i miei fratelli conoscono bene) chiamava il martirio di amore; e lo descriveva

così: “Dite il vostro totale sì a Dio e ne farete la prova. Infatti l'amore divino

immerge la sua spada nelle parti più intime e segrete dell'anima, in modo da

separarci da noi stessi” un po‟ come Maria); e prosegue: “ ho conosciuto un'anima

(che era lei stessa) che l'amore ha separato da quanto le era più caro, non meno che

se persecutori a colpi di spada le avessero separato lo spirito dal corpo”.

E tutto questo è detto soprattutto per noi monaci che dovremmo essere i

consacrati, resi sacri da Dio e per Dio. E lo dico per me che ho degli scudi speciali

contro questa spada dello Spirito, ma è detto per tutti, per ogni cristiano che vuole

davvero diventare come Dio, cioè conforme a Gesù nella morte e nella

resurrezione. E, se il Signore permette che questa spada venga immersa in

profondità è perché ha fiducia di noi; e sicuramente ne avremo una grande

ricompensa., E allora chiediamo allo Spirito di venire in aiuto alla nostra

debolezza, perché la nostra offerta sia gradita al Signore, in modo da poter

accettare tutto quello che Lui vorrà operare in noi; e di farlo anche, nella misura del

possibile, con gioia.

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)

(Ger 1, 4-5. 17-19; Sal 70; 1 Cor 12,31 - 13,13; Lc 4, 21-30)

Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete

udita con i vostri orecchi».Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati

delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di

Giuseppe?».

Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te

stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua

patria!». Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche:

c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre

anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu

mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in

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Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman,

il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si

levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul

quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in

mezzo a loro, se ne andò.

Il Vangelo di oggi è la continuazione del brano di domenica scorsa, in cui

Gesù, entrato appunto nella sinagoga del suo paese, di Nazareth, legge quel passo di

Isaia, dove dice che lo Spirito del Signore è sopra di Lui, che l'ha consacrato con

l'unzione, e tutte queste cose che penso che qualcuno si ricorda. E, alla fine, Gesù

applica questa profezia, questo passo a se stesso, dicendo quella frase centrale.

Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi, che

inizia il Vangelo di oggi, infatti. E tutto questo Gesù lo fa di fronte a gente che lo

conosceva bene; lo avevano visto quando era bambino, lo hanno visto crescere,

conoscevano bene Maria e Giuseppe. Però sembra che la reazione di questi

compaesani è un po' spaesata, cioè non sanno che cosa pensare. Infatti, da una parte:

“tutti gli rendevano testimonianze ed erano meravigliati delle parole di grazia che

uscivano dalla sua bocca”; ma, subito dopo c'è quella voce quella voce un po‟

satanica, quel drago interiore che ricordate, che noi tutti abbiamo e che suggeriva al

loro cuore: “Ma chi si crede di essere costui, non è figlio di Giuseppe?”

E quindi gli chiudono la porta del loro cuore e non lo lasciano entrare. E Gesù

esce con quel proverbio dove dice che nessun profeta è ben accetto in patria. E

pensavo che questa patria, che è la terra dei padri, non è solamente Nazareth, dove

Gesù ha vissuto e cresciuto e dove adesso i suoi vicini lo rifiutano; ma, soprattutto -

come dicevamo - il loro cuore. E potremmo dire soprattutto il nostro cuore, in cui

Gesù è nato con il battesimo e cresciuto - potrebbe dire - proprio lì, nel

nascondimento per poi potersi rivelare come il consacrato di Dio, Colui che

possiede lo Spirito Santo e ce lo dona. Lo dona a noi perché vuole farci partecipi di

questa abbondanza, di questa grazia. Eppure, noi, come loro, che cosa facciamo?

Qual è la nostra reazione di fronte a un tipo così “presuntuoso”? Chi si crede di

essere secondo le nostre categorie, lo accogliamolo o lo rifiutiamo?

Anzi, Gesù sembra proprio rincarare la dose quando dice che a nessuna

vedova e a nessun lebbroso degli ebrei fu concessa la grazia. Cosa che li manda su

tutte le furie e lo vogliono gettare nel dirupo. E anche questo è detto per noi. Cioè,

anche noi spesso pensiamo che, se Gesù mi vuole bene, deve venirmi incontro nelle

mie necessità; se non mi aiuta come vorrei io, non mi ama, non si interessa di me,

mi ha abbandonato. E quindi, in pratica, sono io che lo elimino. Invece, questo è

segno che non abbiamo fede; forse neanche quel granellino che basterebbe a

spostare quello che per noi magari sono delle montagne ma che, invece, nello

sguardo di Gesù, forse solo magari un mucchietto di terra che va via con qualche

badilata. E non basta neanche essere cristiani, battezzati, magari andare tutte le

domeniche a messa; oppure venire qua: vado dai monaci che là c‟è una messa..

quella proprio una messa bella! Gesù guarda il cuore e non guarda l'apparenza. Se

nel cuore manca la fede, cioè l‟adesione personale a Gesù come Colui che è il

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consacrato di Dio, che mi consacra come Lui, mi trasforma, il resto serve a poco.

E i santi, che di fede ne avevano altro che dei granellini e per questo facevano

fare al Signore quello che volevano loro. E‟ un po' come il sacerdote che comanda -

in un certo senso - allo Spirito Santo nell'eucarestia. E lo Spirito, che non aspetta

altro, viene e trasforma il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Eppure,

questo granellino di fede pensavo che a noi dà fastidio; è un po' come quando c'è

quel granellino che va negli occhi, qualche pulviscolo; allora cosa fai? Vai subito

allo specchio, cerchi di toglierlo subito, perché al fastidio non si resiste. E anche

così la fede. Se c'è, dovrebbe distoglierci dalle nostre preoccupazioni, per farci

vivere costantemente alla presenza di Gesù nel nostro cuore; perché, se è vero che la

patria di Gesù è il nostro cuore è ugualmente vero che la nostra patria è nei cieli,

dice San Paolo, cioè, il cuore di Gesù. E nel suo cuore non siamo mai alle strette.

Dovremmo quindi allargare il nostro cuore per accoglierlo, proprio come ha

fatto Lui. E, leggendo la seconda lettura (molto bella, quella sulla carità) e

collegandola con il Vangelo, mi veniva da pensare che i compaesani di Gesù –

dicevamo prima - l‟hanno visto crescere quando era bambino, poi è diventato

adulto. E, quando era piccolo, penso che anche Gesù ragionava da bambino, parlava

da bambino e pensava da bambino. Ma poi Gesù è cresciuto, questo bambino è

cresciuto e adesso è diventato un uomo. E quello che era da bambino è stato

abbandonato, mentre i suoi compaesani - come tante volte anche noi, e lo dico io

per primo - rimaniamo spesso un po' bambini, un po‟tanto bambini; e continuiamo a

fare, a lamentarci, a fare i capricci; e non ci va mai bene niente, spesso. E, allora,

chiediamo al Signore di crescere nella fede; crescere anche nella carità, soprattutto;

e, possiamo dire, anche nella speranza fino proprio alla piena maturità di Cristo, per

potere essere noi i primi che gioiscono dei miracoli che costantemente lo Spirito

compie in noi.

Lunedì della IV settimana del Tempo Ordinario

(Mc 5, 1-20)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nella

regione dei Geraséni. Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un

uomo posseduto da uno spirito immondo.

Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato

neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva

sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo.

Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva

con pietre.

Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, e urlando a gran voce

disse: «Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro,

in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito immondo, da

quest’uomo!». E gli domandò: «Come ti chiami?». «Mi chiamo Legione, gli

rispose, perché siamo in molti». E prese a scongiurarlo con insistenza perché non

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lo cacciasse fuori da quella regione.

Ora c’era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo.

E gli spiriti lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in

essi». Glielo permise. E gli spiriti immondi uscirono ed entrarono nei porci e il

branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno

dopo l’altro nel mare.

I mandriani allora fuggirono, portarono la notizia in città e nella campagna

e la gente si mosse a vedere che cosa fosse accaduto.

Giunti che furono da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di

mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura.

Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto

all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal

loro territorio.

Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di

permettergli di stare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Và nella tua casa,

dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha

usato». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli ciò che Gesù gli

aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati.

Iniziamo questa settimana con un brano del Vangelo abbastanza angosciante,

in cui abbiamo questo uomo posseduto da Satana che gli fa fare una vita d'inferno,

facendogli delle cose davvero orribili su di lui, tanto che nessuno osava più

avvicinarsi. E, come sentiamo varie volte quando ci raccontano di esorcismi, non

sono poi cose dell'altro mondo; anche perché, anche solo guardando i giornali, tante

volte veramente sono cose che si avvicinano a questo indemoniato. E tante volte

leggi dei fatti e ti dici proprio: “Ma questo è proprio diabolico!”. E questa

devastazione che opera Satana sul corpo di questo uomo è, però, solo il segno di una

realtà e di un'opera di devastazione più profonda e nascosta che opera sull'anima; e

che, per il fatto che non si vede, non vuol dire che non esista o che sia meno

importante, anzi. E pensavo - per fare un paragone che può rendere - è un po'

proprio come l'aborto che è uno dei peccati più gravi perché è fatto a un essere

piccolo, innocente, indifeso; e non vuol dire che, dato che il feto è nascosto i nostri

occhi o perché è piccolissimo soffra di meno o non sia un vero e proprio omicidio

fatto contro una persona.

Eppure, al giorno d'oggi, non ci rendiamo conto di questo influsso che sta

proprio alla base di tutto il male che c'è nel mondo; mondo di fuori e soprattutto

dentro; e pensiamo tante volte di risolvere questo male umanamente, magari con la

medicina, con la psicologia che sono cose che non vanno sottovalutate, ma che

hanno bisogno di un livello di guarigione superiore. E Gesù è proprio il medico

celeste, è l'unica persona che può dire al demonio: “Esci dall'uomo!” E questo lo

aveva capito bene Sant' Anastasio - abbiamo fatto la festa qualche giorno fa - Lui

che era un mago persiano, quando ha voluto fare un maleficio ad una persona

battezzata, Satana gli ha detto che non poteva fare niente, perché dentro di quella

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persona viveva qualcuno, che era Gesù Cristo, che era più forte di lui. E lui si è

convertito. Solo Gesù e chi agisce in nome suo può cacciarlo via.

E, purtroppo, tanti sacerdoti - e non solo - non si rendono conto

(probabilmente ci sono anch‟io tra questi) né del pericolo che incombe sul gregge,

né del potere grandissimo che viene dato a lor. San Paolo dice che la nostra battaglia

non è contro creature umane, ma contro i dominatori di questo mondo di tenebra,

contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Però, anche se Gesù è

onnipotente, Lui non vuole prevaricare la nostra libertà, la nostra adesione; e noi,

come ci diceva oggi padre Lino tante volte ci alleiamo col nostro nemico e diciamo

a Gesù:” Che hai in comune con me? Ti scongiuro, non tormentarmi!” Facciamo un

po' come i compaesani di ieri, di Gesù, che vogliono buttarlo giù dal precipizio;

invece dal precipizio ci andiamo noi, se continuiamo a seguire i nostri comodi.

E allora dobbiamo scegliere, scegliere con chi vogliamo stare. E Gesù, che

vuole il nostro bene, continua a ripeterci di scegliere la vita, non la morte; e

combatte al nostro fianco per far uscire questo spirito immondo. E, però, ha bisogno

del nostro sì, altrimenti è impotente. E, allora, chiediamo a Gesù di non smettere di

tormentarci, cioè di non abbandonarci nelle mani di questo nemico; così che se ne

vada colui che vuole la nostra morte.

Martedì della IV settimana del Tempo Ordinario

(Mc 5,21-43)

In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò

attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della

sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con

insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia

guarita e viva». Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Ora, una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto

sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun

vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue

spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il

suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo

corpo che era stata guarita da quel male.

Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla

dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla

che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno,

per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo

ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù

rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».

Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli:

«Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto

dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!».

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E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni,

fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide

trambusto e gente che piangeva e urlava.

Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è

morta, ma dorme». Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé

il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la

bambina. Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa:

«Fanciulla, io ti dico, alzati!». Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare;

aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con

insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.

Il Signore continua a operare meraviglie; e tutti vengono sorpresi da quanto

Gesù opera. "Presi da grande stupore". E anche nell'episodio di quella donna c'è la

frase: "Disse tutta la verità". I Discepoli fanno osservare che è inutile ricercare chi ti

tocca, poiché la folla è accalcata su di Lui, ma Egli voleva sentire la verità di una

testimonianza di fede, da parte di questa donna; anche per potere manifestare, nella

sua storia, l'inutilità di tutti gli sforzi umani, di tutte le spese per poter recuperare la

salute. E questa verità, "tutta la verità", è importante; non è solamente la parte che

lei ha avuto fede e l'ha toccato con fede. Questo era nel fatto stesso che Gesù vuole

mettere in risalto, è già una situazione particolare che si sa, cioè ha fatto il miracolo,

questa è guarita. Quindi lei lo sa, Gesù lo sa, ma la gente non sa quello che è

avvenuto internamente a questa persona. Allora la verità è di questa fede con la

quale lei tocca viene evidenziata, mentre al dignitario che va da Lui, dice: "Continua

ad aver fede". La fede è potenza con cui si vede dentro alla persona, che è il Signore

Gesù, si vede Dio che opera; ma non solo Dio che opera con un senso di potenza.

Si vede tutta la sua volontà di amore, di guarigione, di amare queste creature,

che Lui ha generato come figli suoi; e di desiderare che vengano restituite alla

salute, alla vita, come questa bambina. Cioè, cogliere che questo Signore della vita

vuole veramente donarci la vita; aprirci con fiducia totale alla sua opera. Questo

uomo, continua ad aver fede - Giairo si chiama - e lui veramente ha fede. Ed è

chiaro che la fede che si ha nel cuore è quella che trasporta le montagne, che fa

tutto. Perché la fede è adesione al Signore; dalla sua persona, anche solamente con

una frangia di mantello, esce una potenza che sana tutto. Noi, tra l'altro, avremo la

possibilità di mangiare le carni immolate del nostro Signore e Dio vivente, per darci

tutta la potenza di amore, di guarigione.

Quindi è la fede, è questa apertura del cuore, con questa sicurezza che Lui

può, Lui fa. Invece in questa realtà di Giairo, abbiamo una situazione ancora più

grave: la bambina è morta; e Gesù cosa trova mentre va lì? Trambusto! Di fronte

alla morte, all'uomo. Se guardiamo anche noi stessi, guardiamo la società, quanto si

lavora tutti per vivere, si continuano ad ammazzare, a farsi del male, per vivere. Ma

questo qui, è pazzia completa! Perché la morte e la vita non sono in mano all'uomo -

nel senso del tempo della morte - ma sono nelle mani di Dio, che ha creato tutto con

sapienza e con amore. Questa è la dimensione di Dio, che si è abbassato fino ad

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assumere la nostra morte, per distruggerla. Aver fede che Gesù è risorto, e credere

col cuore che veramente è risorto, ed è la potenza della vita nuova; questo dà a noi

la giustizia. Cioè, produce in noi quella giusta realtà, idea, quel giusto progetto di

Dio Padre, che noi siamo vivi del suo amore, del suo Spirito, della sua vita eterna.

Egli Padre, noi figli nel Figlio; e questa vita è lo Spirito Santo. Ed ecco allora

che Lui, quando fa risorgere questa ragazza, "raccomandò loro con insistenza, che

nessuno venisse a saperlo"; perché questo? È perché Lui non vuole far sapere che è

la risurrezione e la vita? Lo farà alla fine con la risurrezione di Lazzaro. Qui adesso

non è il momento che loro sappiano della potenza della risurrezione, che implica la

realtà, della potenza del suo nome: Egli è Dio. Gesù da solo, con la sua mano,

prende e alza. Questa dimensione, è una realtà che il Signore vuole operare nel

nostro cuore, nel segreto; vuole che noi abbiamo ad essere segno di questa

risurrezione, ma prima dentro di noi. Se abbiamo questo amore, questa risurrezione,

questo rapporto personale con Gesù, questa vita dello Spirito; lo Spirito opera in noi

i frutti che vuol mangiare. "Dategli da mangiare"; cioè i frutti che fanno gustare e

crescere, in questa vita nuova, che noi abbiamo.

Quindi, anche oggi, il Signore ci vuole proprio immergere nella sua

misericordia piena d'amore, attraverso questa Parola donata per portarci dentro di

noi, per comprendere il mistero nel nostro cuore. "Questa Parola porta nell'interno,

perché Dio è più intimo del nostro intimo; ma noi lasciamoci portare dalla Parola,

dal fatto, dalla esortazione della Chiesa, dalla Chiesa stessa dentro a questa intimità,

questo posto segreto dove Dio abita: il nostro cuore. Ecco che lì nell'intimo Dio si

rivela a noi. E questa comunione è vita, è salute e soprattutto è gioia di dono di se

stessi, offerti al Padre nel ringraziamento; e di dono pieno d'amore offerto ai fratelli.

Mercoledì della IV settimana del Tempo Ordinario

(Mc 6,1-6)

In quel tempo, Gesù andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono.

Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga.

E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono

queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi

compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di

Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?».

E si scandalizzavano di lui.

Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i

suoi parenti e in casa sua».

E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi

ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù andava attorno

per i villaggi, insegnando.

Abbiamo oggi lo stesso Vangelo che abbiamo letto domenica; solo che

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domenica era nella versione di Luca, un po‟ più lunga e oggi è in quella di Marco,

più concisa. E questo ci porta ad approfondire un po' il tema della fede, vista anche

un po' domenica. E lo volevo fare mettendo a confronto l'atteggiamento di queste

persone con il vecchio Simeone, che abbiamo visto ieri nella festa della

presentazione al Tempio di Gesù. E questi suoi compaesani - vedevamo anche

domenica - pensano di conoscere bene Gesù, Giuseppe, Maria. E, da quanto viene

detto, lascia proprio trapelare che la sacra famiglia doveva essere stata una famiglia

normalissima, che non dava nell'occhio, come si dice; nel senso che, in particolare,

Gesù deve essere stato un uomo, un ragazzo normale se chi gli era vicino si

scandalizza, adesso che opera tutti questi prodigi.

Eppure, la loro conoscenza era solo parziale; anzi era un po' accecata, come si

dice; cioè, non si aprivano a una possibile realtà diversa da come l'avevano in testa

loro. Il vecchio Simeone, invece ha visto un bambino come tutti gli altri, come tutti i

bambini; ma non si è fermato lì (come tutti gli altri eccetto la profetessa Anna). Per

lui questo bambino era un segno che rimandava a una realtà profonda, al Messia e

cioè a Dio. E questo bambino, come anche questo uomo, Gesù, è veramente un

segno di contraddizione, abbiamo letto ieri, perché siano svelati i pensieri di molti

cuori. E di fronte a Lui non è possibile non prendere posizione, perché non prendere

posizione è già una scelta che, alla fine, è un rifiuto. E questo capita proprio, può

capitare anche noi oggi. In questo momento qui, nell'eucarestia Gesù è presente

sotto altro aspetto (ci viene sempre detto questo) e a ciascuno di noi viene chiesto di

prendere posizione, cioè di andare oltre il segno del pane e del vino; e di aderire a

Lui come Colui che, solo, può darci la vita.

E ieri, appunto, abbiamo fatto la festa della presentazione al tempio; la

Candelora la chiamiamo, proprio perché avevamo le candele in mano. E padre

Bernardo ci spiegava come la candela è segno del battesimo, quindi della luce, della

vita divina che è stata accesa in noi in quel giorno. E quindi noi, con Gesù, andiamo

incontro alla fonte della luce e della vita nella casa di Dio, quindi nel tempio, nella

chiesa, dove lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane. E noi che

siamo adulti vogliamo essere concreti, cioè con i piedi per terra; e dobbiamo fare

così, essere concreti; anche perché - stavo pensando, questa riflessione - nel corpo

umano i piedi sono veramente a contatto col terreno; ma il cuore, a livello di corpo

umano, è un po' più in alto. E così capita anche a livello più profondo.

Prima del prefazio ci verrà detto: “In alto i nostri cuori!” E tutti risponderemo:

“Sono rivolti al Signore”. E poi si dirà: “Questa è una cosa buona e giusta”.

Altrimenti, se anche il nostro cuore rimanesse per terra - sempre un esempio - ci

riduciamo alla stregua proprio degli animali che strisciano per terra, come sono i

serpenti; anzi come il serpente per antonomasia che è Satana. E penso che sia un po'

qui anche la differenza fondamentale tra il vecchio Simeone e i compaesani di

Gesù: cioè, da che spirito sono mossi, alla fine. Simeone era mosso dallo Spirito

Santo e, alla vista del bambino, si riempì di luce di gioia; e i compaesani, invece,

sono mossi da Satana; e, alla vista di Gesù, lo vogliono fare fuori. E, allora,

chiediamo al Signore che la potenza di questo sacramento ci pervada corpo ed

anima, come dice una preghiera dopo l'eucarestia, in modo che non prevalga in noi

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il nostro sentimento, ma l'azione del Santo Spirito.

Giovedì della IV settimana del Tempo Ordinario

(Mc 6,7-13)

In quel tempo, Gesù chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e

diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non

prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma,

calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche.

E diceva loro: «Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da

quel luogo. Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno,

andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro».

E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni,

ungevano di olio molti infermi e li guarivano.

Nel brano di Vangelo di ieri abbiamo visto che Gesù viene rifiutato dai suoi

compaesani, da quelli di Nazareth; e oggi sembra che voglia mettere in guardia i

suoi discepoli che questo rifiuto non riguarda solo Lui, ma riguarda anche tutti

quelli che vorranno seguire le sue orme. Infatti, dopo aver dato istruzioni di non

prendere nulla per il viaggio, tutte queste cose qua, li avverte che c'è la possibilità

che in qualche luogo non li riceveranno e non li ascolteranno. Anzi, come dice San

Giovanni che rincara la dose, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di

rendere culto a Dio. E sappiamo che non si uccide solo con le armi. E qui da noi il

rifiuto di Gesù nel Vangelo, e anche di chi lo annuncia, è una realtà che negli ultimi

tempi sta diventando sempre più sfacciata, si può dire; non solo dei pastori, dei

sacerdoti, ma anche di chi, come semplice cristiano, desidera aderirvi.

E penso che i fratelli si ricordano quello che ci diceva Riccardo, il nipote di

padre Lino: per il semplice fatto che tu sei cristiano - anzi peggio in un certo senso,

lui era anche insegnante di religione - la tua opinione vale come fosse niente, quasi

niente; proprio perché sei marchiato come cattolico, e quindi sei di parte; mentre

quel che dicono tutti gli altri, tra cui anche, non so, i gay o anche peggio, abbiamo il

dovere di accoglierlo come se fosse una cosa importante. E, se non si arriva a questi

eccessi, in tante persone anche cristiane si è però un po' prevenuti nei confronti della

Chiesa; perché vengono buttate addosso a lei tante menzogne basate su dei luoghi

comuni, che oscurano la fede di tante persone le quali ignorano la bellezza di questa

sposa di Cristo, proprio a livello storico.

Ed è vero che la Chiesa è formata da uomini peccatori, e proprio per questo

ognuno di noi - io per primo - dovrebbe dire il primo sono io di questi peccatori; e

non invece continuare a scagliare pietre contro il cielo, contro la Chiesa, sapendo

poi che ricadono sulla testa; perché la Chiesa, come recitiamo nel Credo è Santa. E,

come c'è scritto in quell'inno bellissimo all'inizio del libro di padre Bernardo su

“Liturgia e Antropologia”, dice così “Coloro che errano non si perdono, perché tu,

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Chiesa segui la via giusta; e i peccatori vengono risparmiati, perché tu preghi

ancora. Solo per te i cieli non fanno precipitare la terra; e tutti coloro che ti

offendono vivono solo di te”. Questa è la Chiesa, nella Chiesa, però, ci sono tanti

arrivisti, gente anche senza scrupoli; ma tutto questo, è qua che vorrei arrivare, non

deve essere preso come alibi da noi, per evitare la nostra conversione.

E, come dicevamo ieri, la nostra presa di posizione, cioè il nostro rapporto

personale con Dio, con Gesù, proprio nella Chiesa. E questo purtroppo capita

normalmente. E anche tra noi monaci, come tanti cristiani, l'accusa magari non è

tanto riferita contro quel prelato che sta giù a Roma, così; ma è proprio più

ravvicinata, si può dire. Magari noi pensiamo: “Ma perché devo convertirmi io, se

l'altro non lo fa? Inizi a cambiare lui, e poi magari mi cambio anch'io!” E siamo un

po' come i compaesani di Gesù che, dicevamo domenica, sono rimasti bambini,

mentre Gesù è cresciuto. E continuiamo a volere che Dio ci accontenti nei nostri

capricci. E allora, per crescere, dobbiamo quindi staccarci dal confronto e quindi

dell'approvazione degli altri, per puntare tutto su quel rapporto personale con Gesù

che ci libera da tutte le scuse per non cambiare. Chiediamo al Signore, allora, di

fissare lo sguardo su di Lui, autore e perfezionatore della fede; e di non guardare

continuamente a destra e a sinistra

Venerdì della IV settimana del tempo Ordinario.

(Mc 6,14-29)

In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome

era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per

questo il potere dei miracoli opera in lui». Altri invece dicevano: «E` Elia»; altri

dicevano ancora: «E` un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne

parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!».

Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a

causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. Giovanni

diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello».

Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma

non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su

di lui; e anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava

volentieri.

Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un

banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea.

Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali.

Allora il re disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le fece

questo giuramento: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà

del mio regno». La ragazza uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?».

Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista».

Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: «Voglio che tu mi dia

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subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista».

Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non

volle opporle un rifiuto. Subito il re mandò una guardia con l’ordine che gli fosse

portata la testa.

La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la

diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre.

I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo

posero in un sepolcro.

Nel Vangelo di ieri dicevamo del rifiuto che hanno dovuto subire Gesù e gli

apostoli e anche chi vuole seguire le sue orme, le orme di Gesù. E come anche

abbiamo cantato adesso nella antifona al Vangelo: “Come hanno perseguitato me,

perseguiteranno anche voi, perché non hanno conosciuto il mio nome” E oggi

abbiamo una conferma, nella figura di San Giovanni Battista, di fino a dove può

arrivare questo rifiuto. E questo è fatto da questa Erodìade, perché si sentiva messa

in questione da Giovanni che le rimproverava di aver lasciato suo marito Filippo,

per aver sposato il fratello Erode. E di fronte a questo rifiuto, a quest'odio, questo

rancore, Giovanni non torna indietro, non si mangia le parole per paura di quello

che gli può capitare; e infatti, poi, gli capiterà. E, dal lato opposto, abbiamo invece

Erode che è talmente preso dalla sua bella figura, dalla paura di perdere la stima

degli altri a motivo del giuramento che lui non riesce a tornare indietro di fronte

alla promessa fatta a questa ragazza, e sacrifica così un innocente.

E in questo bisogno di accettazione di Erode ci si vende gli altri, ci si

prostituisce. E, com'era detto in una diapositiva che penso che ricordate bene, miei

fratelli - “Dall'immagine all'icona” - diceva: “Divento quello che vuoi, in modo che

tu scelga di comperarmi”. E ieri il Vangelo affermava che se in qualche luogo non

vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene scuotete la polvere da sotto i

piedi. E questo non vuol dire che si devono disprezzare quelli che non accettano la

nostra testimonianza; ma, come ci viene spesso detto, significa di non lasciarsi

condizionare, influenzare da coloro che ci rifiutano o che parlano male di noi. E

questo può avvenire solo nella misura in cui siamo consapevoli che tutto quel che

siamo, tutto quel che abbiamo non è opera nostra, ma di Dio; è una questione di

gratuità: Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date!

Al contrario, se invece io mi arrogo il possesso di qualcosa, o, peggio, di

qualcuno come se fosse roba mia, a cominciare da me stesso, sono già fuori strada.

E S. Giacomo ha delle parole molto forti quando dice: Da che cosa derivano le

guerre, le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che

combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete;

invidiate e non riuscite ad ottenere. E poi conclude: O, forse, pensate che la

scrittura dichiari invano che fino alla gelosia ci ama lo Spirito che Egli ha fatto

abitare in noi? Invece noi, come dicevano ancora quelle positive, mettiamo spesso

in mostra le nostre virtù, per paura di perdere il predominio degli altri; o, peggio,

per paura di perdere la fama di santi, diventiamo vanitosi, adulatori e ingannatori.

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E tutto questo è il modo di sedurre e acquisire potere, per conquistare

l'accettazione degli altri, la lode degli uomini; e questo è proprio il lievito di farisei,

l‟ipocrisia. E di questi il primo sono io, come dicevamo ieri. E volevo concludere,

invece, questa riflessione prendendo spunto dal Santo Curato d‟Ars, che stiamo

leggendo a tavola, qual era il suo atteggiamento nei confronti di questo bisogno di

accettazione (e anche qui mette in luce la mia e la nostra inconsistenza). Lui diceva,

questo libro che era di un abate ch'era presente lì quando parlava

“Di lui è detto che non si curava affatto di quel che potevano dire o pensare sul

suo conto, qualunque fosse stata la composizione del suo uditorio - e sovente

venivano ad ascoltarlo vescovi, personaggi anche famosi, dice. Non tradì mai la

minima emozione o il più piccolo imbarazzo che potesse provenire dal timore

umano. Lui, che era tanto modesto e timido, non era più il medesimo uomo quando

doveva attraversare le file degli uditori che colmavano la chiesa nell'ora della

dottrina. Se ai piedi del pulpito ci fossero stati il Papa, cardinali o il re addirittura,

non avrebbe modificato una parola, non pensando che alle anime e non facendo

pensare che a Dio”. Chiediamo al Signore questa libertà dal giudizio degli altri, per

poter fare pienamente la volontà di Dio.

Sabato della IV settimana del tempo Ordinario.

(Mc 6,30-34)

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto

quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un

luogo solitario, e riposatevi un po'». Era infatti molta la folla che andava e veniva

e non avevano più neanche il tempo di mangiare.

Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.

Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad

accorrere là a piedi e li precedettero.

Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come

pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Nel Vangelo dell'altro ieri sera, ricordate, Gesù aveva mandato gli apostoli in

missione; e oggi ritornano e raccontano quanto hanno fatto e predicato; e saranno

stati un po‟ stanchi, quindi Gesù li porta a riposare in un luogo solitario. E‟ un po'

anche voi stasera, che avete lasciato le occupazioni dopo la giornata, dopo la

settimana; anzi i bambini sono anche a casa da scuola, perché è carnevale, quindi

hanno tempo per riposare un po' di giorni. E il Signore è contento che noi

riposiamo. Ci ha dato proprio la domenica apposta perché non facciamo come i

giapponesi, che quelli là lavorano sette giorni su sette, per tutto l‟anno. Eppure,

riposare non è poi così facile come forse vorremmo.

Anzi forse bisognerebbe proprio tornare un po' bambini per gustare questo

riposo; perché già il fermarsi - non dico col lavoro - ma semplicemente con le

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attività materiali non è che sia proprio tanto facile; perché stando fermi a non fare

niente (non dico a pregare) però restare a far niente è un po' come essere niente,

perché abbiamo identificato - un po' come i giapponesi - l'essere con il fare; e poi

perché, soprattutto, quando non facciamo niente a livello fisico si rischia di far

partire il cervello, cioè si rischia di pensare a cose serie. E allora è meglio mantenere

occupata la mente con cose magari non troppo impegnative. D'altro canto, se uno

volesse o riuscisse a superare questo livello, chiamiamolo intellettuale, c'è sempre la

dimensione emotiva, cioè le nostre emozioni e le nostre preoccupazioni.

Non so voi, ma ad esempio a me capita che, se durante la giornata ho avuto

delle emozioni forti, magari in positivo, faccio fatica a prendere sonno. Oppure, se

al contrario si tratta magari di preoccupazioni, mi sveglio durante la notte, mi

sveglio prima. E il non dormire la notte in effetti è un segno evidente che siamo un

po' sballottati, siamo fuggitivi, direbbe Sant'Agostino. Qualcun altro direbbe siamo

un po' “scentrati”, da che cosa? Siamo proprio “scentrati” dal centro del nostro

cuore che è Gesù. Ed è Lui il primo che ci chiama a stare con Lui, proprio come ci

dice stasera: “Venite in disparte nel mio cuore, riposatevi, riposatevi con me e in

me!”. Ma noi diciamo: “Ho tante cose da fare. Ho comprato il campo, i buoi. Poi

devo mettere a posto quella cosa là, non ho tempo.”

Ed è vero che alcune preoccupazioni, alcune sofferenze sono oggettivamente

difficili da portare e, quindi, da abbandonare, da lasciare. Ma penso che la maggior

parte delle nostre emozioni non le vogliamo, invece, mollare perché quelle ci fanno

sentire vivi; e quindi rischiamo di passare le notti insonni. Ma anche riguardo alle

sofferenze che non riusciamo a gestire, pensavo proprio, se ci allenassimo a stare di

più col Signore perderebbero molto della loro forza. Dice il Salmo: “Getta sul

Signore il tuo affanno ed Egli ti darà sollievo.” E tante persone che vengono qua ci

invidiano un po‟ la pace di questo posto, ed è vero. Ma, se non c'è nel cuore,

possiamo essere anche da solo sulla cima di una montagna, ma, se dentro c'è guerra,

è inutile. E, soprattutto, se non la desidero questa pace, questo riposo che è stare con

Gesù; perché Gesù è la nostra pace.

Visto che oggi è anche la memoria di Maria, Maria Rosa mistica per la quale

noi abbiamo la devozione, penso che possiamo fare nostre queste parole che dice:

Entra con tutta la massima confidenza nel mio cuore; deponi le tue miserie come

dono che vorresti fare a me e, con questo atto, troverai in me la fonte della

misericordia. La confidenza in me è il mezzo più sicuro per amare Gesù. E questo

possiamo chiedere per Miriam, oggi che è il compleanno, per il papà anche di

Riccardo che compiono gli anni, in modo particolare.

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)

(Is 6, 1-2. 3-8; Sal 137; 1 Cor 15, 1-11; Lc 5, 1-11)

In quel tempo, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genesaret e la

folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche

ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una

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barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise

ad ammaestrare le folle dalla barca.

Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le

reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non

abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. E avendolo fatto,

presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai

compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono

tutte e due le barche al punto che quasi affondavano.

Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo:

“Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. Grande stupore infatti aveva

preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto;

così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù

disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Tirate le

barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.”

Penso che siamo anche noi pieni di stupore davanti alle meraviglie che la

grazia di Dio ci ha manifestato, ci ha spiegato, oggi ci ha donato. Questa grazia di

Dio che non è stata vana in Paolo, in Isaia, in Pietro; e questa grazia di Dio che ci

raccoglie, come diremo nella preghiera, è questa grazia che ci raccoglie che è la

potenza della Parola di Dio piena di amore, di Spirito Santo, perché noi possiamo,

uniti al Cristo in un solo corpo, siamo raccolti, partecipando a un solo pane, a un

solo calice, portiamo con gioia frutti di vita . Perché colui che sta seduto sulla barca

è lo stesso che Isaia vede su quel trono altissimo, e che è dichiarato Santo, Santo,

Santo. E che è talmente splendente, puro e santo che, come fanno tutti e tre i

personaggi delle letture, sia Isaia che Pietro, che Paolo, di fronte a questa visione,

questa manifestazione si sentono impuri, incapaci come un aborto, dice: “Non son

degno, ho perseguitato la Chiesa”.

Ma la grazia di Dio ha operato in Pietro, facendogli prendere tutti questi pesci;

ha operato in Paolo, operato in Isaia, che ha scritto il suo Vangelo, ha proclamato le

meraviglie che avrebbe compiuto Colui che è l‟Eterno, il Santo. Ora, questa vita

eterna è significata proprio da questa “raccolta” straordinaria di pesci, in un modo

non normale, al di là delle capacità umane. Pietro dice che tutta la notte ha faticato,

non ha preso niente. Sentivamo tre anni fa, appunto, spiegare molto bene che di

notte i pesci vengono un po‟ alla superficie, perché cercano la luce; quand'è pieno

giorno si abbassano verso il fondo, irraggiungibili dalle reti! Eppure, sulla parola di

Gesù, lui raccoglie. La parola greca è “sunekleisan”, la stessa radice della parola

“Ekklesia”, la Chiesa, che “raccoglie, chiama a raccolta” questi pesci veri, che

sono gli uomini: Tu sarai pescatore di uomini.

E la Chiesa continua oggi quest'opera, mossa dalla grazia di Dio, raccogliere

cioè noi in un solo corpo, per diventare questa offerta viva al Padre, per potere

veramente vivere il mistero della grazia, come diremo nelle offerte: “Il pane vivo

che hai creato a sostegno della nostra debolezza diventino per noi sacramento di

vita eterna; e, ancora, frutti di vita eterna. Noi abbiamo la vita eterna perché ci

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siamo nutriti della Parola di Dio, del Vangelo. Ed ecco qui la realtà che ci viene

manifestata. Abbiamo, nelle tre letture, il vedere, il constatare il toccare. Isaia che

vede, e ascolta; ascolta ed è purificato dalla Parola e diventa l'annunciatore; la

parola diventa lui. Questo è segno di Gesù che è la Parola e che parla; ma è Lui la

Parola, è Lui il Verbo di Dio che parla. E‟ pieno di gloria, anche se è seduto sulla

barca. E questa realtà è sempre nascosta; non perché non operi, perché la raccolta

dei pesci avviene. Pietro diventa il pescatore di uomini, veramente; e Paolo diventa

questo annunciatore del Vangelo.

Ma il Vangelo è una realtà in cui si si ascolta la testimonianza di persone che

hanno visto, toccato con mano Cristo morto e risorto. Se questo annuncio viene

accolto, è la rete che ci porta dentro al regno di Dio, dentro al mistero che noi non

vediamo con questi occhi materiali, ma con l‟occhio della fede come hanno fatto

Pietro e Paolo credendo, avendo visto e creduto in ciò che hanno visto, quanto da

loro è stato poi tramandato: “Noi predichiamo quello che abbiamo visto”. Questa

testimonianza diventa una trasformazione delle persone in Cristo stesso che

annuncia; la Chiesa è il corpo di Cristo, diventa una realtà piena di Spirito Santo. La

Parola diviene una spada di fuoco che purifica; la proclamazione della morte e

risurrezione di Gesù purifica noi totalmente da tutto ciò che è impuro, come ha

operato in Isaia, Pietro, Paolo, che si sentivano indegni. Siamo purificati e resi degni

di vivere da figli di Dio. E questa luce è la Parola, la spada di fuoco che non

distrugge la persona, ma la rende viva di quella luce: realtà di gioia, di abbondanza

e, soprattutto, di comunione con Dio, in Gesù.

Egli è Colui che è venuto dal Padre e ci dona di accogliere noi stessi in questa

luce, ma basandoci su ciò che vediamo, su ciò che ascoltiamo e, soprattutto, su

questa Parola accolta nel cuore con tutta la mia vita. Se Lui è morto per me, risorto

per me, ormai io non vivo più per me stesso. La Chiesa, nella sua grande bontà, per

raccoglierci ancora, per farci crescere in questa vita divina ed eterna ci nutre prima

con la Parola e poi ci offre da mangiare il corpo e il sangue del Signore: Il pane e il

vino che hai creato diventino il sacramento di vita eterna, il corpo il sangue del

Signore, Colui che ci fa vivere della sua vita; questo è solo opera dello Spirito

Santo. Egli ci rende testimoni con la nostra vita, le parole; ma, soprattutto, col

nostro cuore pieno di questa luce, per rievangelizzare il nostro cuore. Questa parola

diventi vita per noi, questo seme di vita eterna che ci fa vivere la vita divina.

Ma allora non stiamo più li ad arrabattarci a pescare un po' di roba, per poter

vivere in questo mondo. Gli Apostoli hanno lasciato tutto! Cioè, noi dobbiamo

lasciare questa dimensione di sicurezza che poniamo su noi stessi, sui nostri

pensieri, atteggiamenti ed entrare in questa fede, vivere questa vita nuova. Allora, il

Signore non solo farà frutti di vita eterna per noi e “per la salvezza dei fratelli”. Noi

saremo Cristo che annuncia e che raccoglie, ma prima dobbiamo lasciarci

trasformare da questa spada di fuoco, per diventare tutta luce, tutta bontà; e buttar

via, coscientemente e sempre, ogni opera delle tenebre, perché la luce del Signore

splenda nei nostri cuori e nelle nostre vite.

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Lunedì della V settimana del Tempo Ordinario

(Mc 6,53-56)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata, approdarono e

presero terra a Genesaret.

Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe, e accorrendo da tutta quella

regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovunque

udivano che si trovasse. E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne,

ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia

del mantello; e quanti lo toccavano guarivano.

I Vangeli ci parlavano anche ieri, come sabato, di questa vicinanza che Gesù

ha al mare. Attraversa il lago di Galilea per andare in disparte e far riposare

discepoli. E si trova che la gente lo precede. Da questo posto, secondo Marco, fa

un'altra traversata e va dall'altra parte. Sentivamo ieri come Gesù, dalla spiaggia e

poi dalla barca parla; sul mare invece Lui fa compiere una pesca abbondante. I

discepoli hanno una raccolta abbondante di pesce “sulla parola” del Signore”. Basta

la sua parola, per compiere ciò che Lui ha detto. “Sulla tua parola getterò le reti”,

cioè basta obbedire alla parola del Signore come Parola di Dio e non come parola di

uomini per ottenere ciò che noi desideriamo ed anche più di quanto desideriamo,

anche in situazioni impossibili. Pietro getta la rete a mezzogiorno e raccoglie tanti di

quei pesci, mentre tutta la notte aveva raccolto niente; cosa non possibile per la

ragione umana; perché è contro quello che succede normalmente.

Questa sera il Signore, che ha di nuovo attraversato il lago, si trova persone

che stanno con Lui; e addirittura si raccolgono attorno a Lui, perché lo conoscono,

riconoscono che questi è Gesù e gli portano sui lettucci o altri mezzi di trasporto i

malati; chiedono a Gesù di toccare il lembo del mantello. Ma da quando in qua la

medicina giusta per guarire uno storpio, per guarire uno che ha la perdita di sangue,

uno che è paralitico, uno che è morto, basta toccare il lembo di un mantello? E‟ una

cosa molto strana. Ma cosa vuole insegnarci Marco con l'insistenza che ha su questo

toccare il mantello, su ungere i malati con un po' di olio? Vuol dire che ciò che

opera dentro a Gesù è Parola eterna di Dio che ha creato tutto; e che si è fatta uomo

in quel Gesù che loro hanno davanti; ma ad operare in quel Gesù è Dio stesso,

l'Onnipotente che ha creato con Lui e in Lui e vuole manifestare la sua bontà con la

quale Lui, con piccole cose fa in noi, piccoli, grandi cose.

Col tocco di questo mantello guarisce, perché ciò che guarisce non è tanto la

realtà materiale, ma è il senso che dà il cuore di queste persone alla potenza che

opera in quell'uomo. E Dio che opera. E‟ Dio buono, Dio onnipotente che ama loro.

Cioè loro credono che Gesù vuole, è buono, pieno di bontà per operare questo

miracolo. E questa fede, come la fede di ieri di Pietro, è raggiungere la presenza

della divinità in Gesù. San Paolo usa una frase molto grande per capire questo, che

dice così: Voi avete accolto la parola che vi abbiamo annunciato – ricordate, ieri -

non come parola di uomini, ma come Parola di Dio che opera in voi quello che

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dice. Cioè, Gesù è il nuovo uomo, è Colui che è il vero Figlio di Dio; ed è venuto a

comunicarci questa vita che è invisibile, ma reale. E questi segni di miracoli sono

per dirci: “Guarda che il tuo Signore è con te!”

Se noi crediamo a questo, ecco che i piccoli gesti che noi abbiamo nell'

eucarestia… Cosa abbiamo fatto adesso? Abbiamo ascoltato la storia di Salomone

che entra nel tempio, abbiamo ascoltato questo Vangelo. Ma questa parola non è

parola vuota; è una parola piena della presenza operante di Dio. E se noi

l‟accogliamo così, con il cuore che pensa che Dio è buono, che ama me, vuole

rapportarsi con me, ecco che noi crediamo che quel pane e vino non è più il pane e

il vino: è il corpo risorto di Gesù, pane vivo che dà la vita eterna, che dà la vita del

Padre, la sua vita a noi. Ed è per questa fede che, dopo, avendolo preso, credendo e

unendosi al Signore in queste cose piccole, noi diventiamo capaci di vivere come

Lui della carità del Padre, dell'amore del Padre; di essere gioiosi come gioioso è il

Padre, perfetti nella misericordia e nell'amore come è perfetto il Padre.

E, se arriviamo a questo punto, nulla ci può staccare da questa carità di Gesù

che è in noi, che noi abbiamo raggiunto, che splende nei nostri cuori. Cominciamo

ad avere proprio la gioia di toccare il Signore sempre nel nostro cuore; toccarlo con

il nostro cuore, con la preghiera, con cose semplici; col perdonare al fratello, con

compiere ciò che Lui ci dice, mettere in pratica la sua parola, obbedirla subito. E

così manifestiamo che in noi, che in mezzo a noi è Colui che è il Salvatore. E‟

venuto a salvarci mediante l'offerta della sua persona, perché noi possiamo vivere

da figli della luce, come il Padre è luce; figli dello splendore, della beatitudine e

della grandezza dell'amore di Dio; che è tutto amore, tutta bontà, che è vita eterna.

Martedì della V settimana del Tempo Ordinario

(Mc 7,1-13)

In quel tempo si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi venuti

da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con

mani immonde, cioè non lavate i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non

si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e

tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano

molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di

rame quei farisei e scribi lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si

comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani

immonde?”.

Ed egli rispose loro: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta

scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.

Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini.

Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”.

E aggiungeva: “Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio,

per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua

madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Voi invece dicendo:

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Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti

sarebbe dovuto da me, non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre,

annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di

cose simili ne fate molte”.

Come è dolce, Signore, abitare la tua casa; e abbiamo ascoltato nella

preghiera la richiesta fatta da noi di diventare sua stabile dimora: “Tu hai promesso

di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto sincero custodiscono la

tua Parola”. Noi sappiamo dalla Scrittura che siamo il tempio di Dio; noi sappiamo

che Gesù Cristo abita nei nostri cuori, per la fede. Noi siamo questa casa del

Signore. Il tempio che abbiamo sentito descrivere qui nel libro dei re, con

Salomone, è il luogo dove Dio è adorato e dove Dio ascolta; e dove Dio esaudisce,

viene incontro. E questo Dio che è il Signore nostro, che è il Padre del Signore

nostro Gesù Cristo ha voluto che noi diventassimo questa dimora della sua

presenza. Per cui, questa casa, non è che dobbiamo andare chissà dove per potere

adorare il Signore, parlare a Lui, ascoltare Lui, farci ascoltare da Lui, è il nostro

cuore. E Gesù ce lo dice chiaramente, nel Vangelo; ci dice: “Voi mi onorate con le

labbra, ma il vostro cuore è lontano da me” perché Dio guarda al nostro cuore, se è

retto, se è sincero e se custodisce la Parola.

Noi sappiamo tutti che Maria ha custodito questa Parola; e lei si è trovata ad

essere il tempio dello Spirito Santo che in lei faceva crescere la meraviglia di Dio: il

Figlio suo Gesù fatto uomo. E questa realtà è per noi. Per cui, il cuore è segno della

profondità della nostra persona, del nostro essere che conosce Colui che l‟ha

generato, il Padre, nel Figlio che abita in noi che è Gesù e lo ama con il cuore di

Gesù, come Gesù, come i santi. E Dio guarda questo cuore, mentre noi guardiamo

alle cose esterne, a quello che facciamo noi. Addirittura, qui noi diciamo che noi

siamo come questi Giudei che si lavano, che puliscono i piatti, i bicchieri e tutte le

pentole. “Ah, io non ci sono dentro lì!” Come no? Io penso che noi difficilmente

entriamo in questo tempio che è il nostro cuore; noi stiamo molto poco ad ascoltare

Dio e farci ascoltare da Lui. Ascoltare da Lui la sua dolce potente parola, il suo

amore e vederlo donato a noi da questo Figlio suo che vive in noi.

Questa dimensione ci fa uscire da noi stessi, mentre, con queste realtà esterne

e come fanno queste persone che smettono di amare i loro genitori per ascoltare le

tradizioni, noi dobbiamo capire che tutti noi siamo egoisti quando non conosciamo

l'amore di Dio e non accogliamo l'amore di Dio che c‟è già in noi, ma che non

lasciamo brillare, non coltiviamo, non gustiamo col cuore come il nostro tesoro. Noi

monaci veniamo sette volte al giorno in chiesa; ma il nostro cuore è veramente nella

gioia perché Dio ci ascolta, ci guarda? Il nostro cuore è sempre attento ad amare il

Signore che è in me, a farlo crescere rispettando la sua presenza, i suoi sentimenti,

la sua bontà vivendo questa bontà, dandola ai fratelli, dando la misericordia come io

la ricevo? Oppure abbiamo tutto questo modo di viverci esteriore, dipendente da

quello che pensano gli altri, da quello che noi desideriamo, che pensiamo di avere

imparato dalla nostra esperienza, che vogliamo costruire a modo nostro?

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Spesso ci dimentichiamo del dono che siamo, cioè, dimora di Dio; per

diventare stabile dimora è necessario che noi scendiamo alle fondamenta del cuore

nostro, nel profondo del cuore dove abita Dio; e credere, aderire a Lui, e guardarlo

che si è abbassato fino a noi, si è piegato su di noi, come dice Maria: “ha guardato la

piccolezza nostra”. “Dove può abitare Dio? - diceva Salomone - Nel tempio, nel

cielo, nella terra”. Dove abita? “Non puoi abitare in questa casa”. Certo, la casa

dove abita il Padre è il cuore di Figlio. Ma il cuore del Figlio ha fatto noi uno con

Lui; e in noi abbiamo il suo cuore che batte in noi, che vive in noi. Ecco la realtà

interiore a cui far caso. Certo, “come è dolce, Signore, abitare questa casa”; perché

Gesù è dolce, Gesù è misericordia, Gesù è bontà infinita.

Ci darà ora la dolcezza del suo amore, nel suo corpo, pane di vita, nel suo

sangue, che darà a noi. Gustiamo noi questa dolcezza? Capiamo quanto è dolce

questa misericordia? Ci lasciamo investire da questa misericordia, da questa

dolcezza d'amore? Se lo facciamo, diventeremo forti, stabile dimora dello Spirito

Santo che ci fa vedere, amare Dio e amare i fratelli come Gesù li ama. Siamo uno in

Gesù, siamo tempio che rende sacra ogni cosa. Qualsiasi cosa facciamo con il cuore,

con amore, è preziosa: è Gesù che la compie in noi. Questa azione produrrà in noi

dolcezza e misericordia che attireranno i fratelli e farà dire loro: “Come è bello stare

insieme tra fratelli. Lì il Signore dona la sua grazia, dona la benedizione e la vita.”

Mercoledì della V settimana del Tempo Ordinario

(Mc 7,14-23)

In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi

tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa

contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo».

Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul

significato di quella parabola. E disse loro: «Siete anche voi così privi di

intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può

contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella

fogna?». Dichiarava così mondi tutti gli alimenti.

Quindi soggiunse: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal

di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive:

fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia,

invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di

dentro e contaminano l’uomo».

Neanche gli apostoli riuscivano a capire cosa intendesse dire Gesù con questa

parabola, perché gli chiedono spiegazione e la risposta è una domanda affermativa:

" Siete anche voi così privi di intelletto?" Noi, quanto ne abbiamo di questo

intelletto? Noi che cerchiamo di far prevalere sempre il nostro giudizio, le nostre

emozioni, le nostre realizzazioni e ci sentiamo subito sprofondare nella depressione

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quando non siamo approvati! Quindi, siamo privi di intelligenza? Come dicevo ieri,

pensiamo a quelle cose che riteniamo che ci realizzano. Noi, privi di intelligenza,

diventiamo cattivi, desiderosi di avere di più, invidiosi, malvagi; ma alla base di

tutto c'è la superbia: "Mangerai di tutto, tutto è tuo, al tuo servizio, ma non

dell'albero del bene e del male"; cioè , devi sapere che tu non sei Dio.

La superbia è questo ribaltare la nostra situazione di creatura e voler essere

come Dio; "Ah! io devo avere tanti soldi in banca, devo avere tutto, ecc.; quanti

peccati gridano vendetta al cospetto di Dio! Andando giù nella Riviera ligure e

vedendo tutti quegli yacht che costano tanti soldi viene da chiedersi dove li abbiano

presi; mentre molta gente muore di fame. Noi pensiamo di essere realizzati avendo

queste cose; e questa è la stoltezza massima! Allora il problema non è di avere, o

non avere, di essere osservanti e religiosi, ma avere, non dico la sincerità del cuore,

ma il buon senso di accettare quello che si ha; è la cosa più difficile e la cosa più

pericolosa perché ci mette sempre nei guai, in contrasto con gli altri.

"Da dove vengono", dice S. Giacomo" le liti, le mormorazioni tra di voi?

perché desiderate essere grandi e non potete esserlo e allora fate guerre; “ovunque

guardo o giro - Atanasio diceva: "Immenso Dio ti vedo." - noi potremmo dire

"ovunque guardo o giro, apro la stampa e ci sono tutte quelle robe lì.", da dove

vengono? I giornali, la stampa, la televisione sono cattivi? E' cattivo il cuore

dell'uomo! E come si fa a cambiarlo? Non certamente facendosi venire i calli sulle

ginocchia! In una preghiera della messa dello Spirito Santo:" L'infusione del tuo

Santo Spirito mondi i nostri cuori e li fecondi". L‟essere fecondati viene dopo

l'essere mondati, come ci ricorda l'antifona che cantiamo sempre prima

dell'Avvento e nella Quaresima:

"Quando lo Spirito viene a purificare, nasce l'angoscia. quando lo Spirito

viene a liberare l'amore dalle tenebre della notte"; allora si chiede a Maria: "Sii

vicina”. L'angoscia è il segno dell'azione dello Spirito Santo e noi andiamo a

prendere tutti i sedativi per non sentirla! Perché non cominciamo ad essere un poco

saggi, sapendo che nessuna cosa può colmare, può realizzare la nostra vera

personalità di figli di Dio, può colmare il desiderio del nostro cuore, nella misura e

fin quando "il nostro cuore riposa in te"? Siamo stolti e superbi perché abbiamo

paura dell'azione dello Spirito Santo che butta via tutte le nostre illusioni e ci

troviamo in angoscia e l'angoscia più grande sarà la morte. Che cos'è la morte? E' il

più grande dono della misericordia di Dio; ma per il nostro "Io" è la più grande

paura che serpeggia dentro il nostro cuore.

Allora dobbiamo ringraziare lo Spirito Santo quanto suscita in noi l'angoscia

della purificazione, per poterci fecondare con la sua potenza e trasformare la nostra

morte in Risurrezione.

Giovedì della V settimana del Tempo Ordinario

(Mc 7,24-30)

In quel tempo Gesù, partito da Genèsaret, andò nella regione di Tiro e di

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Sidone. Ed entrato in una casa, voleva che nessuno lo sapesse, ma non poté restare

nascosto.

Subito una donna che aveva la sua figlioletta posseduta da uno spirito

immondo, appena lo seppe, andò e si gettò ai suoi piedi.

Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era

greca, di origine siro-fenicia.

Ed egli le disse: «Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il

pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma essa replicò: «Sì, Signore, ma anche i

cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli».

Allora le disse: «Per questa tua parola và, il demonio è uscito da tua figlia».

Tornata a casa, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.

Il Signore l'altro giorno ha preso l'esempio dei farisei per dimostrare come

noi cerchiamo di giustificarci, cioè di essere degni di stima, bravi, non dico santi,

ma di buon costume. Ma questo lo facciamo per noi; allora ci laviamo le mani per

osservare la legge di Dio di non mangiare cibo immondo. E‟ un'affermazione di noi

stessi. Il Signore ci ha anche detto che il problema non è in quello che possiamo

fare noi, ma è dentro di noi; di lì vengono tutte le cose che vorremmo non ci

fossero e viene anche la stoltezza e la superbia di credere che siamo a posto. Questa

sera il Signore ci dice che per essere a posto dobbiamo accettare di essere insultati -

nelle beatitudini lo dice chiaramente - ma essere insultati dal Signore stesso; e cosa

dice? "Vai via, non sei degna; non va bene dare il pane dei figli ai cani". Nel salmo

ricorre "sostenere l'insulto del nostro cuore". Il fatto è che noi non vogliamo

sentirci cattivi, e voi direte: "Non è vero, noi ci riteniamo peccatori".

S. Bernardo dice: "se il monaco viene rimproverato, non solo non si impegna

a cambiare, ma si indigna contro colui che lo ha rimproverato, si adira contro il

medico che desidera guarirlo". Ieri dicevamo che lo Spirito Santo, che abita in noi,

non può agire se non in quanto accettiamo l'insulto del nostro cuore e accettiamo

l'aiuto per essere liberati dalla schiavitù del nostro "io". Ma dobbiamo accettare con

serenità che il Signore ci mostri, ci faccia sentire, che noi siamo degni. Noi le

conosciamo da sempre quelle frasi, "Non siamo stati noi che abbiamo amato Dio,

ma Lui ci ha amati per primo"; ma in pratica, appena uno ci tocca ci facciamo

sentire e questo significa che noi amiamo tanto l'inganno, la superbia, la stoltezza

che sta nel nostro cuore e perdiamo la consolazione, la gioia, il dono, la guarigione

del Santo Spirito.

Noi diciamo che siamo peccatori, ma fino a che punto accettiamo di lasciarci

correggere da Dio e dai fratelli? Se non c'è questo atteggiamento di obbedienza

verso qualcuno, il Santo Spirito, la Chiesa, il superiore; se non ci lasciamo curare

dal medico che usa anche le situazioni concrete della vita, il nostro cuore sarà

sempre pieno di stoltezza. E questo non sarebbe il danno principale: soprattutto non

è vivificato, non è “letificato”, non è reso effervescente dal Santo Spirito.

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Venerdì della V settimana del Tempo Ordinario

(Mc 7,31-37)

In quel tempo, di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi

verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decapoli E gli condussero un

sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano

dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua;

guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!».

E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava

correttamente.

E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più

essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i

sordi e fa parlare i muti!».

Si potrebbe dire che il Signore era un po' eccentrico: ieri insulta una povera

donna; stasera prende il sordomuto, gli mette le dita nelle orecchie e in certo qual

modo gli sputa in bocca. Che cosa ci sta sotto? Eccetto me e Rinaldo, voi siete tutti

in buona salute; è vero? Il Signore ci dice di no: "Apri, Signore, il nostro cuore"; ci

sono delle orecchie più profonde. Noi viviamo con le parole dolci, come dice il

salmo, di chi ci inganna; e infauste, di chi ci rimprovera. Queste voci infauste o

dolci che ingannano sono quel male passato dal quale chiediamo di essere liberati.

Cioè, noi viviamo, nel nostro profondo, di conseguenza nella nostra vita, quello che

sentiamo: "Buono è il Signore eterna è la sua misericordia" ? Lo abbiamo cantato,

ma dove è andato a finire?

Noi con le orecchie sentiamo bene, ma c'è qualcosa di profondo che ostacola;

noi vogliamo sempre sperimentare il rifiuto delle cose (come quando eravamo

bambini) e continuiamo a correr dietro a quello e la Parola del Signore non entra;

entra materialmente, udiamo perché l'apparato uditivo funziona, ma non ascoltiamo

perché sotto c'è un'altra esperienza. Qualcuno di voi ha letto il libro di Tomatis, che

ha fatto l‟esperienza di una terapia con suo padre, perché era cantante e perdeva la

voce. Ma non erano le corde vocali: era qualcosa di più profondo che attraverso dei

suoni faceva emergere. Questo suono della bontà e della misericordia del Signore,

per farla emergere dovremmo avere il desiderio di andare da qualcuno a farci tirare

fuori i tappi di cerume che fanno da barriera tra quello che lo Spirito suggerisce nel

nostro cuore e quello che noi vogliamo sentire.

Dimentichiamo, lo sappiamo, ma dimentichiamo; e San Benedetto ci dice di

essere sempre consapevoli della presenza del Signore. Noi ce ne dimentichiamo

perché l'orecchio del nostro cuore è otturato e viviamo sotto l'esperienza del nostro

infantilismo. Allora, questo gesto che il Signore fa è rimasto nella catechesi e nel

rito battesimale. Se noi non sentiamo il desiderio di farci togliere questo tappo di

cerume e non riceviamo la saliva di un altro non ci liberiamo! Possiamo fare tutte

le ascesi che vogliamo e il Signore ce lo dice sempre. Siamo come i farisei

generosi, austeri, digiunatori, ma quanto tappo di cerume sul cuore! Allora

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sentiamo la parola che viene dall'esterno, ma lo Spirito, la parola di Dio è parola

che è spirito e vita. Quello che la misericordia di Dio ci ha donato con il Battesimo,

rimane lì: allora c'è questo tappo di cerume che bisogna farsi togliere e non

possiamo toglierlo da soli o con i bastoncini di cotone!

Noi vediamo le cose solo dalla nostra esperienza. Quindi, siamo i più stolti di

questo mondo, perché vediamo la nostra esperienza. Allora dobbiamo cercare

qualcuno che ci metta le dita nelle orecchie, perché questa sorgente di acqua viva

che è nel nostro cuore e che è lì che freme per venire fuori, non può sgorgare. Da

una parte sentiamo che freme e ci guida e ci spinge; d'altra parte facciamo

resistenza e allora rimaniamo sempre dubbiosi, inquieti, invidiosi, arrabbiati dei

frutti di questo cerume; mentre invece dovremmo stare nei frutti del Santo Spirito.

Sabato della V settimana del Tempo Ordinario

(Mc 8, 1-10)

In quei giorni, essendoci di nuovo molta folla che non aveva da mangiare,

Gesù chiamò a sé i discepoli e disse loro: «Sento compassione di questa folla,

perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare. Se li rimando

digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono di

lontano».

Gli risposero i discepoli: «E come si potrebbe sfamarli di pane qui, in un

deserto?».

E domandò loro: «Quanti pani avete?». Gli dissero: «Sette».

Gesù ordinò alla folla di sedersi per terra. Presi allora quei sette pani, rese

grazie, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero; ed essi li

distribuirono alla folla. Avevano anche pochi pesciolini; dopo aver pronunziata la

benedizione su di essi, disse di distribuire anche quelli.

Così essi mangiarono e si saziarono; e portarono via sette sporte di pezzi

avanzati. Erano circa quattromila. E li congedò.

Salì poi sulla barca con i suoi discepoli e andò dalle parti di Dalmanùta.

Il Signore è veramente il sommo amore, e avendoci fatti a sua immagine e

somiglianza, è solamente l'amore che ci nutre. Dio è Padre e ha voluto fare di noi

dei figli che vivono eternamente con Lui. Questo piano meraviglioso lo voleva

attuare nel suo Figlio Gesù per tutti noi, perché Dio dall'eternità voleva darci la sua

vita. Ci ha creati a immagine e somiglianza perché noi vivessimo come Lui vive,

nell'amore, nella relazione con Lui e tra di noi. Questo piano del Signore, che era

nel suo cuore, che Lui ha sempre avuto dall'eternità, lo vuole attuare nel tempo e

comincia con la creazione dell'uomo. Lo mette nel giardino. E sia nella lettura della

Genesi, sia nel Vangelo di Marco, è questione di mangiare del cibo. Dio proibisce

di mangiare del frutto dell'albero della vita e poi della conoscenza del bene e del

male. Sono due realtà: la prima è la più importante, la seconda è una realtà che Dio

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non ha, perché Dio non conosce il male, perché non ha mai fatto il male.

Nulla di tenebroso è entrato in Dio mai. E Gesù era completamente

innocente; anche la Madonna, per dono di Dio. La realtà del male, come esperienza

di male voluto da noi come peccato, Dio non ce l'ha. E difatti, in un modo ironico,

dice: Sono diventati come noi perché conoscono il bene e il male. Gesù, che è

questo pane vivo disceso dal cielo, questo frutto pieno di amore, di Spirito Santo

che avrebbe riempito i nostri cuori (e li riempie adesso nel pane e nel vino, nello

Spirito Santo), Gesù viene e assume la carne di peccato, per poter distruggere nella

sua carne il peccato; e poter dare a noi il suo corpo risorto come Spirito pieno

d'amore, di bontà che ha attraversato la passione con cui ha assunto le conseguenze

della sofferenza e della condanna del peccato, per darci in Lui il frutto che

possiamo mangiare.

Questo comportamento di Gesù viene tutto dalla compassione che Lui ha per

noi. Gesù ha il cuore come quello del Padre, ha compassione di tutti e vuole la vita,

non vuole la morte di nessuno e ha creato ciascuno di noi perché fossimo generati,

nel Signore Gesù, come figli capaci di mangiare l'amore del Padre, l'amore del

Figlio, l'amore dello Spirito Santo, questa vita. E donarla, non tenerla! Questo

mistero del piano di Dio Adamo ed Eva non lo conoscono; e c'è uno che si

inserisce per farli deviare dalla strada giusta. Cosa intendeva Dio dicendo di non

mangiarlo? Avrebbe voluto che non lo mangiassimo? Non subito poiché dovevano

crescere nella conoscenza dell'amore, per essere capaci di ricevere lo Spirito Santo

di Dio - che avevano già ricevuto, perché erano pieni della grazia di Dio e di tutti i

doni - perché questa realtà diventasse un dono d'amore ricevuto, consumato

nell'amore, che continua ad amare secondo Dio; quindi una vita divina che

trasformava il loro piccolo cuore, il nostro piccolo cuore adesso con Gesù, in un

cuore di carne, come quello di Gesù Cristo, ma di carne di risorto, che è tutto

amore, tutto spirito!

Il nostro peccato, come quello di Adamo ed Eva, è quello di non obbedire,

nella pazienza, ai tempi e ai modi che Dio ha nel donarci questo frutto. Questo

frutto non può essere mangiato, se noi non cresciamo. Dopo avere moltiplicato il

pane, Gesù fa tutto questo discorso di compassione e di rapporto con i discepoli e

poi benedice il Padre e dà da mangiare. E, nella dimensione di San Giovanni, dopo

aver dato da mangiare, spiega che questo è il segno del pane del cielo che Dio dà e

che è Gesù, che è Lui stesso, che darà la sua carne e il suo sangue da mangiare a

noi. Per mangiare questo frutto dobbiamo avere l'umiltà di confessare il nostro

peccato, la nostra indigenza di aver fame della vita eterna, della vita di Dio e allora,

con questa fame, apprezzare il dono che viene a noi e che è il Signore risorto che si

dona a noi totalmente nell'amore, nella sua compassione, che dà la sua carne.

"Ecco l'Agnello di Dio, questo è il mio corpo, questo è il mio sangue" e ce lo

dà proprio perché Lui è venuto con compassione a salvare noi che eravamo perduti,

donandoci lo Spirito Santo che ha rimesso i peccati e ci rende capaci di accogliere

il dono di Dio che è la vita del Signore in noi: è già in noi e Lui la nutre!

Dovremmo sempre aver fame e sete di questo pane di Vita Eterna; ma per poterlo

gustare deve vivere in noi, e per essere vivo dobbiamo amare noi stessi e i fratelli

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nella carità di Cristo, amare nelle prove, nei momenti di crisi, amare il Signore,

amare chi ci fa del male. In questo modo, diventiamo liberi, lo Spirito riposa in noi,

ci fa pane, ci consuma nell'amore e diventiamo pieni di pace. Allora la concordia ci

fa diventare “uno” col Signore e tra di noi. Che Maria compia questo per tutti noi.

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)

(Ger 17,5-8; Sal 1; 1 Cor 15, 12. 16-20; Lc 6, 17. 20 26)

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era

gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da

Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù

diceva:

“Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché

sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi

odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro

nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed

esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti

facevano i loro padri con i profeti.

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete

sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.

Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro

padri con i falsi profeti.

Abbiamo cantato Beato chi cammina nella legge del Signore; e il Signore

qui, nelle Beatitudini, ci dà una legge del Vangelo con esempi abbastanza chiari e

molto interessanti. Questa legge del Signore è lo stesso Signore della legge, Gesù,

che si è fatto uomo per dare a noi la possibilità di vivere, di essere degni di

diventare una dimora stabile della sua presenza, della presenza del Signore; e noi

sappiamo che nei nostri cuori abita lo Spirito Santo, che è Dio, abita Gesù stesso,

che è il Verbo di Dio fatto carne, glorioso e risorto. E abita con Lui anche il Padre.

Noi siamo questa dimora del Signore. Sulle offerte pregheremo che: Ci

purifichi e ci rinnovi questo sacramento e ottenga a chi è fedele alla tua volontà la

ricompensa eterna. La volontà del Signore è quello che ci ha detto: "Se il vostro

comportamento non supererà il comportamento dei farisei, voi non potrete entrare

nel regno dei cieli". Questa dimensione è molto importante, perché la giustizia, il

modo di fare dei farisei e anche di osservanti della legge, era quello di osservarla in

tutto quello che diceva e Gesù dice che dobbiamo essere superiori, nell'osservanza.

Ma perché? Proprio per quanto abbiamo detto prima: perché noi abbiamo

conosciuto l'amore del Padre che ha tanto amato noi da dare il suo Figlio a noi, da

riversare nei nostri cuori lo Spirito Santo, purificandoci dai peccati e dandoci

un'altra legge che non è solamente "Non uccidere" ma amare i nemici.

Gli esempi che fa qui Gesù sono per perfezionare l'azione di chi ha il cuore

nuovo, perché fatto dallo Spirito Santo, il cuore nuovo messo in noi da Gesù; ed è

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questo cuore al quale nella preghiera abbiamo accennato, "presente in noi, coloro

che ti amano". Se uno ama non ha legge; l'amore per una persona, per un figlio, per

un amico non ti fa compiere le cose perché sei obbligato dalla legge; non fai male a

chi tu ami, ma fai tutto per colui che ami, per potere manifestare il tuo amore,

perché tu godi del suo dono, della sua presenza, della sua persona, realtà che Dio ha

fatto in Gesù, nel quale Dio ha scelto di venire ad abitare in noi e con noi, di

diventare un solo spirito con noi, una sola carne con noi, questa realtà è il dono più

grande che abbiamo. Egli ci ha amato così e noi siamo chiamati ad amare. Il modo

con cui siamo chiamati ad amare è quello di accogliere, custodire con cuore retto e

sincero la Tua Parola. "Retto": cioè, non dice "si" a una cosa che è cattiva, come

abbiamo sentito nella lettura; ma dice "sì" solo al bene, perché in Gesù, nella vita di

Gesù c'è stato solo "si". Non dice "sì" all'egoismo, dice "no" all'egoismo, dice "No"

alla disperazione, all'ignoranza del dono di Dio.

Questa dimensione è possibile per noi viverla, come dice San Paolo, perché

abbiamo la sapienza divina, misteriosa che è Gesù stesso, che è il suo Spirito Santo

e Spirito di sapienza. Questa realtà l'ha posta in noi Gesù, i doni dello Spirito sono

in noi , se noi custodiamo un cuore retto che dice "Sono amato da Dio, quanto mi

ama Dio attraverso tutte le creature, Lui che è onnipotente". Come abbiamo sentito

anche nella lettura, è Colui che ha preparato tutto perché noi potessimo vivere di

che cosa? Vivere dello Spirito Santo, dell'amore di Dio, di Dio amore, vivere una

vita divina. E questo per diventare sua stabile dimora.

Lo Spirito è contristato da noi quando non amiamo Dio, quando non

crediamo, quando accettiamo nel nostro cuore un sentimento contrario allo Spirito:

d'invidia, di gelosia; e quando usiamo i doni di Dio, la mano, il piede, l'occhio per

giudicare, per condannare per far del male. Sono doni che ci ha dato Dio e noi li

usiamo male. No, questa realtà va combattuta, va tagliata, per potere entrare nel

regno dei cieli. Questo amore dello Spirito Santo che è in noi ci porta ad amare i

nemici, ad amare chi ci offende, ad amare colui che è ingrato, colui che non

conosce l'amore, magari l'abbiamo anche aiutato.

Il Signore Dio Padre, che è misericordioso, fa sorgere il suo sole sui buoni e

sui cattivi. Questo amore di Dio Padre Gesù lo ha manifestato morendo per noi

peccatori. E noi, che abbiamo ricevuto da Lui crocifisso e da Lui risorto questo

Spirito, siamo chiamati a compiere quello che dirà nel finale la preghiera dopo la

comunione: Signore che ci hai nutriti al convito eucaristico… Quale bontà, quale

immensa sapienza! Egli, che è con noi, adesso, presente nello Spirito, della Chiesa,

dà da mangiare a noi sua Chiesa, il suo corpo e sangue di risorto per la nostra gioia,

per fare “dimora” in noi, per vivere di noi e perché noi viviamo di Lui. Ebbene: Fa’

che ricerchiamo sempre quei beni. Cioè: puntare con forza su questi beni del cuore,

della vita, dell'amore che ci danno la vera vita, la vera gioia. Ci danno la

compagnia continua dello Spirito Santo e la gioia di essere figli di Dio.

Lunedì VI settimana Tempo Ordinario

Mc 8, 11-13

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In quel tempo, vennero i farisei e incominciarono a discutere con Gesù,

chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli, traendo un

profondo sospiro, disse: “Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi

dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione”.

E lasciatili, risalì sulla barca e si avviò all'altra sponda.

Quasi tutti i giorni il Signore ammonisce: "Il regno dei cieli è vicino,

ascoltate, non indurite il vostro cuore"; è un ritornello che ricorre sempre. Questa

sera il Signore si dimostra un po‟ sdegnato e, con un sospiro profondo di

disappunto, sale in barca e se ne va: perché volevano metterlo alla prova e perché

era una generazione perversa, come dice in un'altra parte. E così avviene in noi ed

attorno a noi: esigiamo di vedere segni, ma senza voler cambiare mai. Quante volte

al giorno noi ascoltiamo la parola di Dio e ci smuove poco. Venisse pure il Padre

eterno con tutti i suoi angeli non crederemmo neppure a Lui. Il problema non è che

noi non abbiamo segni, dato che il segno fondamentale - che purtroppo

consideriamo come nostra proprietà - è la nostra esistenza. Che ne abbiamo fatto

della nostra vita, della nostra intelligenza? Ci abbuffiamo dei beni che il Signore ci

ha dato, usandoli per peccare; e poi vogliamo un segno per credere.

Come diceva ieri la prima lettura: "Dio non ha dato a nessuno il permesso di

peccare"; ci ha dato dei doni ma non per inghiottirli a modo nostro! Ci ha

imbandito la tavola; però noi mangiamo tutto quello che vogliamo e poi ci

lamentiamo: "perché Dio ha permesso questo? Perché non mi esaudisce?"

Dobbiamo, cioè, stare attenti che la Parola del Signore non passi sulla testa, come

l'acqua sulla schiena dell'asino! Di lavare la testa all'asino il Signore non ha tempo

e voglia, perché il pelo dell'asino è impermeabile.

"Su chi poserò il mio sguardo?", dice il Signore. Egli vuole posare lo sguardo

sui figli dell'uomo, ma su chi ha il cuore contrito, su chi accoglie gioiosamente e

con riconoscenza la parola del Signore e si lascia trasformare dal Santo Spirito;

altrimenti Gesù se ne va! Però, quando abbiamo bisogno, preghiamo. Con il

Signore non si può giocare; non Lo si può prendere in giro; bisogna prenderlo sul

serio, perché il Signore ci ha amato sul serio e ad ogni sua parola dobbiamo aprire

bene gli occhi del cuore e custodirla, se non vogliamo morire nella nostra iniquità:

Dio non esiste perché c'è tanto male nel mondo. Il male è la dimostrazione che noi

siamo stupidi, è la dimostrazione che noi vogliamo possedere tutto da padroni.

Quante guerre e massacri nei paesi del terzo mondo - dove ci sono grandi

ricchezze naturali - con motivazioni apparentemente di umanità - ma in fondo per

appropriarsi di beni degli altri. Così noi: non possiamo accogliere il Signore se non

stiamo attenti nell'accettare l'azione, la luce, l'obbedienza interiore al Santo Spirito.

Martedì VI settimana Tempo Ordinario

Mc 8, 14-21

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In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non

avevano con sé sulla barca che un pane solo. Allora egli li ammoniva dicendo:

“Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!”. E quelli

dicevano fra loro: “Non abbiamo pane”.

Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: “Perché discutete che non avete

pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e

non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i

cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?”. Gli

dissero: “Dodici”. “E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante

sporte piene di pezzi avete portato via?”. Gli dissero: “Sette”.

E disse loro: “Non capite ancora?”.

Gesù, ieri sera, ha piantato in asso i Farisei ed è salito sulla barca, per andare

all‟altra sponda. Ma sulla barca non c‟era che un solo pane, perché avendo Egli

piantato in asso i Farisei, i discepoli non avevano potuto prendere che un solo pane.

Egli istruisce i discepoli, ma loro non capiscono niente. “Guardatevi dal lievito dei

Farisei e dal lievito di Erode”. Si riferisce – era avvenuto poco prima – alla morte

di Erode, e al fatto che aveva piantato in asso i Farisei, per dire “Ciò che muove i

Farisei e ha mosso Erode, state attenti, c‟è anche in voi. È tanto chiaro che c‟è in

voi, ma voi non capite; e dite: Non abbiamo pane”. “Perché discutete, non intendete

e non capite ancora?” Loro discutevano del fatto che avevano solo un pane, ma

Gesù parla del lievito, non del pane dei farisei o di Erode, ma del “lievito”.

In un altro passo dice “Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna

nasconde in tre staia di farina”. Ora, che cos‟è questo lievito che c‟era nei Farisei,

che c‟era in Erode, che c‟è in noi? Se guardate nella nostra, ormai cosmopolita, per

dire universale, mondiale, nostra società: che cos'è che muove tutto? Noi vediamo

le sommosse, vediamo le guerre, vediamo le critiche, vediamo le lotte tra i partiti; e

perché? Da dove viene tutto ciò? Dal lievito! Allora che cosa è il lievito? Il lievito è

la spinta vitale della vita: che cerca il bene, che cerca il successo, che cerca il

potere. Di per sé, il lievito è un dono di Dio. Però il Signore dice: “State attenti a

come lo usano i Farisei ed Erode”. Senza il lievito, non può esserci la ricerca del

piacere, dell'associazione, della convivenza; neanche gli animali vivono da soli,

vivono in branco per cercare cibo, per difendersi dagli altri animali, per esercitare

un potere per difendersi. Cioè, è la spinta fondamentale della vita. Per cui è un

grande dono di Dio! Ma il problema non sta nel lievito.

Come dice Sant'Agostino: “Non c'è nessuno che non ami, perché noi siamo

fatti per amare; non c'è nessuno che non abbia il lievito, perché il lievito è la spinta

vitale; per cui ciò che si domanda è: come lo usi il lievito”. Io vado a comperare un

pacchetto di lievito di birra dal fornaio e lo metto nella farina dalla polenta? Lo

metto nella farina di grano, di orzo, di segala? Lo metto nell'acqua? Qualcosa fa! Si

scioglie, fa qualche bollicina. Allora, questa spinta vitale che è il lievito, e che è il

regno di Dio, è quella di ricercare - quello che dice ancora Sant'Agostino: “Ci hai

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fatti per te, e il nostro cuore è senza posa se non riposa in te”.

Allora, come gli Apostoli, noi dobbiamo stare attenti e vigilanti a come lo

utilizziamo. Siccome noi siamo fuggitivi da noi stessi, siamo ingannati, illusi,

cerchiamo il bene e l'affermazione in quelle cose che ci sono state date per

crescere; e ci mettiamo sotto i piedi cose sulle quali dovremmo dominare;

mettiamo, cioè, “il carro davanti ai buoi”. Usiamo le cose che abbiamo come un

mezzo di affermazione di noi stessi, mentre ci sono date come mezzo di crescita, di

crescita nell‟amore. “Nella conoscenza - ci ha detto San Paolo - per sapere a quale

speranza ci conduce la nostra chiamata, il nostro Battesimo”. Se no, siamo

dominati da questa spinta vitale e diventiamo schiavi. “Tutte le genti hanno visto la

gloria del Signore”; tutti la vedono la Gloria del Signore: “I cieli narrano la Gloria

di Dio”. Come dice il Salmo: “L‟empio si illude nel cercare il suo lievito”, perché

non vuol cambiare! Il problema della fede oggi, non è che non abbiamo - come

diceva ieri il Signore - sufficientemente segni. È che non abbiamo nessuna voglia

di abbandonare la nostra pattumiera.

Siamo chiamati ad utilizzare un po' di più quel lievito, che il Signore ha

effuso nei nostri cuori, lo Spirito Santo, che è effervescente, che ci fa vivere la vita

in un modo nuovo, come figli di Dio. Ma attenzione che non è facile, anzi senza

l‟aiuto dello Spirito è impossibile non soccombere al lievito del piacere. Ed è

quanto è avvenuto all'inizio della nostra storia con Eva. “È buono, gradevole,

desiderabile per avere saggezza”; e fece la sciocchina. Quanto ci è costata poi

questa leggerezza; ce ne portiamo addosso ancora le conseguenze e continuiamo a

vivere da sciocchi, come la nostra madre primigenia. Ma siccome noi non

sappiamo, non lo vediamo il lievito, dobbiamo stare attenti a che cosa spunta fuori.

Alla fine della giornata, i buoni cristiani erano abituati a fare l'esame di

coscienza: “Che cosa ha prodotto il lievito oggi in me? perché mi sono arrabbiato

con quello là?”. Oggi non ci si arrabbia più con nessuno, ma si è sempre acidi fino

all'inverosimile con tutti. Da dove viene questo? Noi non lo vogliamo, ma c‟è.

Allora dobbiamo vigilare, perché c'è un altro lievito più potente, se noi aderiamo,

che opera in noi, che è il Santo Spirito.

Mercoledì VI settimana Tempo Ordinario

Mc 8, 22-26

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, dove gli

condussero un cieco pregandolo di toccarlo. Allora preso il cieco per mano, lo

condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli

impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”. Quegli, alzando gli occhi, disse:

“Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano”. Allora gli

impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e

vedeva a distanza ogni cosa. E lo rimandò a casa dicendo: “Non entrare nemmeno

nel villaggio”.

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Dopo aver attraversato il lago di Tiberiade - nel Vangelo è chiamato mare -

Gesù aveva istruito sul "lievito" gli Apostoli i quali avevano capito ben poco;

giunsero a Betsàida dove gli condussero un cieco e Gesù fa dei gesti un po' strani:

lo prende, lo conduce fuori dal villaggio, gli mette la saliva sugli occhi, e

quell‟uomo incomincia a vedere, anche se un poco annebbiato; poi gli rimette le

mani sugli occhi e alla fine dice:" Va a casa tua, ma non passare per il villaggio".

Che cosa significa questo? E' tutto legato a quanto abbiamo detto ieri "Lo conduce

fuori del villaggio", cioè lo conduce fuori dalla massa.

Noi stiamo volentieri nella grande massa, nel lievito che è dentro di noi.

Quale massa di pensieri, di desideri, di distrazioni abbiamo nella giornata! Per

questo non possiamo vedere la sapienza di Dio, il Signore Gesù che è in noi!

Bisogna che il Signore, con la sua sapienza, se noi stiamo attenti, prima di aprirci

gli occhi, ci conduca fuori da tutte queste cretinate che abbiamo dentro. Pensate un

po' a quante stupidaggini, se vi ricordate, sono passate ieri, l'altro ieri, l'altro mese

nella nostra testa e che cosa abbiamo raccolto? Allora abbiamo bisogno che il

Signore ci conduca fuori, che ci apra gli occhi. "Beati i vostri occhi perché

vedono". Sì, ma che cosa vediamo? E poi il Signore lo manda a casa sua (vuol dire

che non abitava nel villaggio): è un avvertimento che noi non amiamo la massa,

non amiamo questi desideri che ci soffocano e che ci rallegrano.

Sono molto ambivalenti: ci fanno soffrire, ma ci piacciono; ci piacciono, ma

ci fanno soffrire. E‟ un po' la nevrosi del peccato "mi piace perché è proibito; è

proibito, però mi piace". Non è il mondo che è cattivo, siamo noi che corriamo

dentro questo mondo cattivo; e questo mondo cattivo non è il creato, è il mondo del

nostro cuore dove c'è superbia e stoltezza. Lì dobbiamo evitare di entrare e, per

evitare di entrarci, dobbiamo essere vigilanti, dobbiamo sapere che il Signore ci ha

purificati con il Battesimo; ma anche dobbiamo sapere, come abbiamo cantato, che

"ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce". Dipende da noi o

ritornare nel villaggio delle nostre stupidaggini, o evitarle ed entrare a casa nostra,

cioè nel cuore, dove abita il Signore Gesù.

Giovedì VI settimana Tempo Ordinario

Mc 8, 27-33

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a

Cesarea di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: “Chi dice la

gente che io sia?”. Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri

uno dei profeti”.

Ma egli replicò: “E voi chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il

Cristo”. E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a

insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato

dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre

giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo

prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i

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discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi

secondo Dio, ma secondo gli uomini”.

All‟inizio del Vangelo di Marco, appena i demoni lo vedono, gridano: “Tu

sei il Cristo, Figlio di Dio”. Si potrebbe dire anche gli Apostoli e soprattutto Pietro,

dopo la chiamata, dopo aver visto tanti miracoli, arrivino ad esprimere le stesse

parole dei demoni. Certo Pietro, mosso dallo Spirito del Padre, afferma questo; ma,

come dice Matteo, il suo sentire umano giudica secondo gli uomini. Come i demoni

si oppone al piano di Dio; tanto che il Signore gli dirà: “Vai lungi da me, Satana!”

La sua fede è uguale a quella dei demoni, i quali dicono: “Tu sei venuto a rovinarci,

sappiamo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. E così Pietro ha la stessa fede dei

demoni. E‟ è una affermazione dura ma è reale; non l‟ho mica detto io, lo dice il

Signore: “Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Cioè, tu pensi

che il Messia non deve morire, deve regnare, cacciar via i romani, ristabilire un

regno di pace universale; costruire un paradiso qua in terra, come facciamo tutti

noi, con le nostre illusioni.

È umano, è ragionevole ma è demoniaco, perché? Perché l'uomo non è fatto -

e questo lo dimostra il fatto che tutti moriamo - per stare e avere successo su questa

terra. Gesù ci ha dimostrato che noi siamo fatti per essere trasformati a sua

immagine. Sarebbe una grande disgrazia, se noi vivessimo sempre su questa terra:

invecchieremmo sempre con gli acciacchi più numerosi. Anche tutte le nostre belle

conoscenze che abbiamo: di teologia, di esegesi, di spiritualità, di devozione ecc.;

se rimangono su un piano umano, è un fatto demoniaco. Il demonio ci insegna

anche a pregare: “Va in Chiesa a pregare, basta che tu non cambi; io ho pregato,

dunque mi dovete rispettare, non mi dovete assolutamente dire delle cose che non

sono secondo la mia preghiera, la mia devozione”.

Non è che questo sia una possibilità, è invece una ineluttabile realtà: se non ci

lasciamo trasformare dal suo Spirito a immagine e somiglianza sua, noi rischiamo

di conoscere il Signore solo come i demoni. Essere trasformati - lo dirà più avanti -

passando attraverso la croce, perdendo la nostra vita per lasciare entrare, crescere,

la vita del Signore Gesù. Noi ci comportiamo spesso così, con una fede astratta

come quella dei demoni. Potremmo anche consultare tanti libri di Cristologia e li

possiamo studiare tutti, fare delle belle tesi di laurea su di essi; ma la nostra

conoscenza rimane sempre fredda come quella dei demoni.

Ma se abbiamo un tantino di obbedienza a quello che ci dice il Signore:

“Imparate da me che sono mite e umile di cuore” - cioè a lasciarmi fare e

trasformare attraverso la croce, la risurrezione, dal Padre - allora siamo sicuri che la

nostra conoscenza del Signore supera quella dei demoni; perché, poco magari,

appena un briciolo, c‟è la Carità del Santo Spirito che ci trasforma, che ci aiuta, che

ci fa accettare - noi non vorremmo - la nostra radicale trasformazione a immagine

di Gesù. Per cui un messianismo – come c‟è sempre la tendenza anche nella Chiesa

– terreno di benessere, di aiuto - che è doveroso - non è una finalità cristiana. La

finalità del cristiano è di lasciarsi trasformare a immagine del Signore Gesù.

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E questo passa attraverso la croce, che non è quello che soffriamo noi, ma è

quello che produce il Santo Spirito. Sembra strano, ma lo Spirito Santo e la carità

di Dio ci fanno soffrire perché ci trasformano: “Se con l‟aiuto dello Spirito fate

morire le opere della carne, voi vivrete”. Lo Spirito Santo infonde sempre più nel

nostro cuore questa carità, per farci vivere e gustare la vita di figli.

22 FEBBRAIO - CATTEDRA DI SAN PIETRO, Apostolo

(1 Pt 5, 1-4; Sal 22; Mt 16, 13-19)

In quel tempo, essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo,

chiese ai suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?”.

Risposero: “Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno

dei profeti”.

Disse loro: “Voi chi dite che io sia?”.

Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.

E Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te

l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli.

E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le

porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei

cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che

scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.

Penso che il nostro cuore sia stato visitato e consolato dallo Spirito Santo,

mentre ascoltavamo queste parole, che sono parole profondamente di conforto,

negli sconvolgimenti di vita che abbiamo. Soprattutto, è necessario che noi

comprendiamo il mistero contenuto nelle due letture, soprattutto quando parla di

“timore” nella prima lettura, questo timore di cui parlavamo l'altro giorno: “Voi che

temete il Signore, confidate in Lui”.… “voi che temete il Signore, sperate i suoi

benefici: la felicità eterna, la misericordia”.

Questa dimensione è stupenda: temere il Signore e sperare in Lui! Il Vangelo

spiega questo mistero, la Parola di Dio adesso spiega: noi avremo Gesù risorto, che

con gioia si unisce a noi. Cosa fa? Nella vita nostra, dove Lui spiega che dovremo

passare tante prove - e tanti di noi sono nella sofferenza - quante cose sono

contrarie alla felicità; contrarie alla felicità, alla pace nostra, dei nostri cari; e

questo veramente ci tormenta il cuore, perché amiamo e vorremmo quasi prendere

su di noi tutta questa realtà, per darle un significato diverso, per sollevare l‟altro.

Gesù dice: “Chi accoglie un bambino - di questi piccoli come abbiamo, Lucia

e Michele - chi accoglie un bambino, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie il

Padre”. Quando Gesù muore, non muore: “Papà nelle tue mani affido il mio

Spirito”. Si affida! E la morte per Gesù, è sì morte perché prova tutta la nostra

realtà dell'assurdo della morte, della malattia, della sofferenza. L‟assurdo: Dio non

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ha creato né la morte, né la sofferenza; ma ci siamo dentro per l'invidia del diavolo,

per le nostre mancanze e quelle degli altri, ci siamo dentro, dobbiamo guardare la

realtà in faccia. E voi che siete qui presenti, so che tutti la guardate in faccia; ma

guardiamo in faccia una realtà invisibile, che è più reale della nostra esperienza, e

che è dentro la nostra esperienza. Che fa Gesù?

Prende il bambino e lo abbraccia; e mentre accoglie questa creatura, il Padre

accoglie Lui, Lui che Dio ha donato in quel bambino. E quando Lui si trova sulla

croce, si apre al Padre e si lascia abbracciare dal Padre, ed entra nella capacità, Lui,

di abbracciare, come l'ultimo di tutti, di abbracciare, di servire la vita, come fa il

Padre a tutti. Per cui, la morte non fa più paura, la malattia, la sofferenza, non fa

più paura; non nel senso che non si senta la sofferenza; ma dobbiamo pensare che

tutte le volte che siamo afflitti, specialmente voi genitori, tutte le volte che siamo

preoccupati, Gesù ci abbraccia. Abbraccia i nostri bambini in un modo invisibile, è

Lui che con il suo amore porta noi; lo fa adesso in un modo invisibile ma reale, con

un piccolo segno: pane e vino. Lui è la potenza del Risorto e trasforma la nostra

sofferenza in un abbraccio d'amore col Padre.

Gesù non ci abbandona, anzi ha accolto ciascuno di noi dal Padre, come

avesse accolto il Padre. E ciascuno di noi deve lasciarsi accogliere dal Padre,

abbracciare da Gesù, in questo atto d'amore, per diventare a sua volta capace, nel

dolore, di generare Cristo. Non nel senso di generarlo fisicamente, ma nel senso

che noi viviamo la vita di Cristo, siamo sorgente della vita del Signore in noi e per i

nostri cari, per coloro che amiamo. Lo Spirito Santo farà conoscere a noi, nel

profondo del cuore, questo mistero di amore immenso di Dio che nel Signore Gesù

ci abbraccia; e questo abbraccio è la dolcezza, la tenerezza del Padre, del Figlio,

che è lo Spirito Santo.

Sabato VI settimana Tempo Ordinario

Mc 9, 1-12

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra

un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue

vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe

renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.

Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi

stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!”. Non

sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.

Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube:

“Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!”. E subito guardandosi attorno, non

videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.

Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò

che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti.

Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire

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risuscitare dai morti. E lo interrogarono: “Perché gli scribi dicono che prima deve

venire Elia?”. Egli rispose loro: “Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma

come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere

disprezzato. Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello

che hanno voluto, come sta scritto di lui”.

Questo brano del Vangelo della Trasfigurazione conclude questa settimana.

Naturalmente, la Trasfigurazione del Signore significa la sua risurrezione. Ma il

Signore è l'Eicona, il modello su cui dobbiamo essere noi trasformati; per cui

riguarda anche noi. E dovrebbe essere la risposta a:“Chi dite voi ch'io sia?”

Abbiamo visto come, per rispondere esattamente - cioè dare questa risposta che il

Signore dà a Pietro, Giacomo e Giovanni - dobbiamo passare dietro al Signore,

perché Satana se ne vada. Cioè smettere, o meglio, crescere nella conoscenza di

Dio, liberarci della nostra ignoranza, dalle tenebre che ci tolgono, ci impediscono la

vita. Ieri il Signore ci ha insegnato il cammino da fare; che è semplicemente e

banalmente, se volete, spaventoso: “Rinunciare alla propria vita”. Tanto non

possiamo custodirla più di quanto il Signore vuole.

Ma qui dobbiamo stare attenti che tutto ciò che il Signore esige di duro, come

per Lui la croce, è perché noi cresciamo nella conoscenza, attraverso il Sacramento

e la Parola, lo splendore della gloria di Dio, che è il Signore Gesù. Che non si

manifesta nel baccano delle piazze, nella confusione di tutte le ideologie; e meno

ancora nella nostra poca voglia di essere trasformati: di vivere noi, come bravi

cattolici. Ma per lasciarci trasformare dal Signore Gesù dobbiamo passare dietro a

Lui e prendere la croce, la nostra! Non quella che noi vorremmo buttare, togliere

agli altri; noi vogliamo togliere la croce agli altri, perché non sono secondo le

nostre idee, le nostre gratificazioni. Allora diciamo: “È cattivo, non mi aiuta, non

mi stima, non mi ama”. E vogliamo togliere quella croce lì agli altri; e tenerci e

adornare la nostra, per star bene noi.

Mentre invece dobbiamo fare il contrario; la croce degli altri se ci disturba, è

il mezzo con cui lo Spirito Santo ci togliere le nostre tenebre, ci toglie la nostra

croce e ci aiuta a seguire il Signore Gesù. La Trasfigurazione del Signore Gesù è il

cammino che il Signore vuole - sei noi lo vogliamo - farci fare: cioè di arrivare

giorno dopo giorno, alla conoscenza della luce gloriosa che il Santo Spirito infonde

nei nostri cuori. Ma che non dobbiamo pensare che noi siamo in grado di spiegare:

“Caddero a terra, non sapevano più che cosa dire; erano presi dallo spavento”. Noi

quando c‟è questo barlume di luce, che c‟è tutti i momenti che ascoltiamo la Parola,

soprattutto nel Sacramento, ci stanchiamo subito, abbiamo paura. Ed è naturale,

perché così il Signore ci toglie quelle tenebre che noi non vogliamo mollare: “Nelle

tenebre - dice San Paolo - si fa tutto quello che piace, perché nessuno vede,

nessuno può giudicare perché neanche noi possiamo capirle”.

Quando ci troviamo di fronte alla luce, che il Signore fa splendere, entriamo

nel buio; è un contrasto! Illuminare le tenebre, è come entrare nel buio, perché

troviamo il nostro buio. Ecco allora che per seguire il Signore bisogna cambiare

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mentalità, bisogna prendere la propria croce di non essere all'altezza e

abbandonarci all'obbedienza, alla docilità del Santo Spirito, all'obbedienza della

Chiesa, all'obbedienza della comunità. Dove purtroppo, abbiamo sempre la

tendenza a emergere gli uni sugli altri. Così anche nelle famiglie; non c‟è molta

differenza, ci sono solo delle situazioni che non sono uguali a quelle di una

comunità religiosa. Ma il punto di fondo, di partenza di queste situazioni è lo stesso

di creatura umana. è del monaco, dello sposato ecc. Per cui possiamo dire

l'espressione di San Pietro: “Maestro, quello che dici lo dici per noi monaci, o lo

dici per tutti?” Perché San Pietro voleva “schinare”; e allora il Signore precisa: È

soprattutto per voi che ascoltate”.

Questo cammino è difficoltoso perché dobbiamo come Pietro cambiare

mentalità ogni giorno, attraverso la Parola di Dio, se la ascoltiamo come va

ascoltata; cioè per cambiare noi stessi, attraverso le difficoltà, le croci; sono esse a

liberarci dalle nostre tenebre. “Per lasciare emergere in noi l‟amore per il Signore

Gesù, che ci fa credere mediante lo Spirito Santo; e ci fa esultare di gioia indicibile

e gioiosa nella luce del suo volto”. Luce che per le nostre tenebre è oscurità; ma

che è il vento che rischiara le nostre tenebre. Nella misura che esse si diradano ci

sembrerà di cadere nel nulla, mentre invece ci rivelano lo splendore del Signore e

anche la sublimità della nostra vocazione.

VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A)

(1 Sam 26. 2. 7-9. 12-13. 22-23; Sal 102; 1Cor 15, 45-49; Lc 6, 27-38)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “ A voi che ascoltate, io dico:

Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi

maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano.

A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello,

non rifiutare la tunica.

Da a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che

volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.

Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno

lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete?

Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere,

che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per

riceverne altrettanto.

Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e

il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo

verso gl'ingrati e i malvagi.

Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro.

Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete

condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura,

pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con

cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”.

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Il Signore questa sera è qui presente in mezzo a noi, e ci istruisce su come

vivere la nostra vita di figli di Dio, perché Egli è il Figlio di Dio. Nei due salmi che

abbiamo cantato abbiamo sentito questo: Egli mi ha detto: Io oggi ti ho generato e

(il salmo 109): Dal seno dell'aurora come rugiada Io ti ho generato. Noi sappiamo

che il Signore Gesù è stato generato dallo Spirito Santo; e questa generazione fatta

dalla rugiada, dallo Spirito, dalla potenza vitale dello Spirito, Lui l'ha vissuta in

pienezza perché, sia nelle parole che nelle opere, Lui è sempre stato guidato dallo

Spirito da cui era stato generato; e questo Spirito è la dolcissima misericordia del

Padre e del Figlio che si compiace di fare dell'umanità che Gesù ha preso da Maria,

che Lui ha generato in lei, di fare di questa umanità il luogo in cui Dio manifesta

tutta la sua potenza di vita e di misericordia.

Ieri abbiamo ascoltato la trasfigurazione del Signore, abbiamo sentito che

quella è la nostra gloria: noi come Gesù siamo pieni della vita divina, siamo pieni

dello Spirito Santo che è veramente il nostro Signore, è veramente Colui che ci ha

fatti figli di Dio. E penso che Lui che ci ha fatti figli di Dio e come ha operato nel

Figlio Suo, Gesù Cristo, vuole operare anche in noi. E sentivamo ieri che Gesù

contemplava, parlando con Elia e Mosè, la sua uscita da questo mondo, la sua

entrata nella gloria del Padre; per cui Lui sarebbe andato a vivere eternamente,

portando noi con Sé, nel seno del Padre una vita divina, di beatitudine.

Questa è l'eredità riservata ai figli di Dio. E, nella preghiera dopo la

comunione, diremo proprio così: Il pane che ci hai donato, o Dio, in questo

sacramento di salvezza, sia per tutti noi pegno sicuro di Vita Eterna", di gloria

eterna. Siamo fatti per questa gloria e già lo Spirito Santo ha fatto di noi figli. E

allora Gesù ci dice: voi siete figli del Padre vostro, comportatevi come Lui: Lui fa

sorgere il sole sui buoni e sui cattivi; voi siete figli del Padre vostro celeste,

abbiamo la vita di Dio. Ma è per questa vita, per la docilità allo Spirito Santo, alla

Sua voce. Noi viviamo la vita del nostro Padre celeste; e, attenzione, continuiamo a

imitare noi i cristiani o i fratelli che si comportano male, o quelli che non si

comportano secondo Dio; e vogliamo praticamente comportarci come loro.

La Chiesa è guidata dallo Spirito Santo; noi siamo guidati dallo Spirito Santo,

siamo generati da Dio, dall'acqua e dallo Spirito. E quindi dobbiamo vivere da figli

di Dio, comportarci come lo Spirito, docili allo Spirito. Allora: lasciarci amare,

credere a chi siamo, alla nostra dignità e comportarci di conseguenza. Voce dello

Spirito e voce del nostro egoismo, voce umana, si contrastano. Noi, con tutto il

nostro essere, aiutati dalla grazia, conosciamo ciò che è conforme alla Volontà; lo

conosciamo, lo conosciamo se vogliamo conoscere; abbiamo sentito anche questa

mattina di volerlo conoscere bene, perché è la nostra gioia, la nostra felicità.

Siamo fatti per arrivare là, ma già qui diventare capaci di entrare in questa

gloria, Gesù che si trasfigura. Diceva San Paolo: non siamo andati dietro a favole

inventate da uomini, ma abbiamo visto la grandezza della Sua potenza, della Sua

gloria. Per cui, noi diciamo Cristo è questo qui. Lui testimonia a noi, nella Chiesa

lo fa adesso con l'eucarestia, questo Amore. Ascoltiamo lo Spirito, che oggi ci

chiama a convertirci all'Amore, alla misericordia sua che ci ha fatti figli; ad essere

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misericordiosi, pieni d'amore e a gioire di offrire la nostra vita, di amare il fratello.

Quando siamo costretti a uscire da noi stessi, dai nostri schemi, soffriamo e

godiamo perché in quel momento il Signore sta aprendo il nostro cuore a accogliere

la dolcezza della potenza dello Spirito Santo, per darci la Sua gioia che noi siamo

figli con Lui, Gesù, di un Padre che è tutto Amore e che è tutto Spirito Santo.

Lunedì VII settimana Tempo Ordinario

Mc 9, 13-28

In quel tempo, Gesù sceso dal monte e giunto presso i discepoli, li vide

circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro. Tutta la folla, al

vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li interrogò: “ Di che

cosa discutete con loro?”. Gli rispose uno della folla: “Maestro, ho portato da te

mio figlio, posseduto da uno spirito muto. Quando lo afferra, lo getta al suolo ed

egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di

scacciarlo, ma non ci sono riusciti”.

Egli allora in risposta, disse loro: “O generazione incredula! Fino a quando

starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me”. E glielo

portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli,

caduto a terra, si rotolava spumando.

Gesù interrogò il padre: “Da quanto tempo gli accade questo?”. Ed egli

rispose: “Dall'infanzia; anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua

per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. Gesù gli disse:

“Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”. Il padre del fanciullo rispose ad alta

voce: “Credo, aiutami nella mia incredulità”. Allora Gesù, vedendo accorrere la

folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: “Spirito muto e sordo, io te l'ordino,

esci da lui e non vi rientrare più”. E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì.

E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: “È morto”. Ma Gesù,

presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.

Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: “Perché noi non

abbiamo potuto scacciarlo?”. Ed egli disse loro: “Questa specie di demoni non si

può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera”.

Per noi è il tempo per cominciare a lavorare - dice Sant'Agostino - per essere

in grado di riposare. Riposare come? Nella fede della presenza del Signore e del

suo Santo Spirito, nella speranza che anche noi risorgeremo col nostro Signore; e

nella Carità che ci letifica, la gioia della speranza, come la chiama San Paolo. E

questo implica, ripeto con Agostino, il lavoro per acquiescere. E il Padre

misericordioso ci dà l‟aiuto per imparare a ricordare; e per essere attenti, presenti

alla voce del Santo Spirito. E per essere non soltanto attenti alla voce, ma per

conoscere e conformarsi alla sua volontà; che è quella che ci ha manifestato nel

mistero pasquale, di conformarsi al Signore Gesù nella croce, nella morte e nella

risurrezione. La croce è roba nostra, la morte pure; la risurrezione è opera del Santo

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Spirito, nel Signore Gesù.

Per cui, ripeto, dobbiamo imparare a riposare; non nel fare, ma a riposare in

questa fede che noi siamo col battesimo rinati; in questa speranza che la potenza

dello Spirito continua ad agire, anche se noi non lo sentiamo. O meglio, lo

sentiamo nella misura che lasciamo, facciamo morire le opere della carne per

lasciare che Lui porti i suoi frutti, come ci ha detto S. Giacomo. Quali sono i frutti?

E‟ quello della sapienza che viene dall'alto; che è pacifica, mite, arrendevole anche

alle difficoltà. Soprattutto arrendevole ai nostri desideri, ai nostri pregiudizi, alla

nostra affermazione. E piena di misericordia per chi come noi è in queste stessa

situazione di difficoltà di aderire al Santo Spirito; perché aderire al Santo Spirito è

semplicemente anticipare la morte del nostro io. O meglio: attuare, perché la morte

del nostro io ci libera dalla paura della morte del nostro corpo.

Nella misura che il nostro io smette di ambire, seguire i suoi desideri (che è

ipocrisia, come dice San Giacomo), il nostro spirito comincia a sperimentare la

gioia della speranza, che è già in noi. Ma per fare questo dobbiamo avere la fede,

come dice qua il Signore, pari a un granellino di senape; cioè la fede che accetta

l‟azione del Santo Spirito che smantella tutti i nostri desideri di affermazione: di

star bene, di essere ammirati, di essere accettati, eccetera. Cose che ne abbiamo

purtroppo in abbondanza e che, stoltamente, coccoliamo con tanto affetto,

pensando che è giusto. E non sappiamo, non ci accorgiamo, come si dice, che ci

tiriamo la zappa sui piedi. Cioè, volere bene a quello che sentiamo - se volete, alle

opere della carne - è odiare noi stessi. Chi ama l’iniquità odia la propria anima,

dice il libro dei Proverbi, che riprende Sant'Agostino.

Impariamo a riposare nella fede, a conoscere quello che già siamo, perché noi

siamo stati rigenerati in Cristo Gesù, siamo una sola cosa con Lui; a sperare,

(speranza che non è senza fondamento) nella potenza del Signore risorto che ci

custodisce; e nella Carità di gioire perché il Signore ci ha amato, ci ha dato se

stesso; ha dato se stesso per noi e ha riversato in noi la carità di Dio, mediante lo

Spirito Santo con il quale possiamo amare. Non c'è pace fuori di questo riposo nella

fede, nella speranza e nella Carità. E questa è la voce dello Spirito, alla quale il

Signore ci vuole avere sempre attenti. Siamo docili alla volontà del Signore che ci

vuole rendere attenti alla voce dello Spirito, per non cadere sotto la tirannide delle

nostre sensazioni, delle nostre paure, del nostro io, per godere la pace di Dio.

Martedì VII settimana Tempo Ordinario

Mc 9, 30-37

In quel tempo, Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non

voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: “Il

Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo

uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”. Essi però non

comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.

Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa

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stavate discutendo lungo la via?”. Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano

discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse

loro: “Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti”. E, preso

un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: “Chi accoglie uno di

questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma

colui che mi ha mandato”.

Chi spera nel Signore non resta deluso. Quante delusioni noi abbiamo nella

nostra vita, quanti fallimenti dobbiamo subire, quante depressioni come

conseguenza subiamo? Dunque, la conseguenza è ovvia. Che non speriamo nel

Signore; se no, non ci sarebbero queste delusioni. E per la spiegazione di questo,

potete rileggere la lettera di San Giacomo che è molto chiara, più chiaro di così!

Dovrei finire qua. Ma siamo ancora - e la preghiera ce lo ricorda - pieni di canti

dello Spirito Santo, Vieni, Spirito Santo, che, come dice San Giacomo, ci ama fino

alla gelosia; e quando uno è geloso non permette che la moglie vada a chiacchierare

con un altro troppo di frequente; e così lo Spirito Santo è geloso. Perché è geloso?

Perché Lui ci ha generati figli Dio nell‟acqua e nel sangue. Ha sostenuto Gesù sulla

croce per darci la vita. Non può essere geloso? La mamma non è gelosa, se

qualcuno le porta via il bambino?

Che cos'è che ci impedisce questa Carità dello spirito Santo che, se non

obbediamo, se non siamo docili diventa gelosia? Perché la gelosia è l'amore che

non vuole che ci si sottragga l'oggetto del suo amore. E qua il Vangelo ce lo spiega.

E Gesù ha cura, non voleva che nessuno lo sapesse, perché istruiva i suoi discepoli;

per cui voleva che non fossero disturbati. In un certo senso li porta nel deserto, li

porta in monastero. Il monastero è per non essere disturbati. Ma è vero? Guardando

un po' qua e là quante reazioni si vedono? E perché non vuole che essi siano

disturbati? Perché li stava istruendo. L'oggetto, il contenuto nell'istruzione è che

Lui dovrà morire, per risuscitare il terzo giorno. Ma loro non capiscono, perché non

era chiaro; era chiaro sapere che cosa vuol dire essere ucciso. Forse era un po' più

difficile che capissero che dopo tre giorni risusciterà. Ma capire che uno va a essere

ucciso, va alla croce: che cosa c'è di più banale da capire?

Ma non vogliono capire, perché? Di che cosa discutevate lungo la via? E‟ lì il

problema. Perché noi non capiamo il Vangelo? Perché non capiamo che Gesù è

morto e risorto per darci la vita? Perché non ce ne non importa un bel niente? E‟ lì,

perché loro discutevano di chi era il primo, il più bravo, ecc. Allora, se non

capiamo bene il Vangelo è perché la nostra speranza non è nel Signore. E

Sant'Agostino dice: non è perché è difficile capire il Vangelo, ma perché la volontà

si oppone; e perché la volontà si oppone? Perché noi amiamo altre cose. Allora,

ogni volta che non capiamo il Vangelo, non dobbiamo dire che è difficile:

dobbiamo esaminare che cosa c'è nel nostro cuore. E quando io m'arrabbio contro

qualcuno, devo vedere perché. Normalmente si dice: “perché l'altro non ha fatto

così come volevo io”. Allora che cosa c‟è sotto? Che io voglio le cose come

piacciono a me; e allora non capiamo.

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Per cui, non è che ci manca l'intelligenza, e il Santo Spirito ci ha dato i sette

doni, nella Pentecoste li ha rinnovati, almeno nella memoria. E, come ripeto

sempre, quattro di questi doni sono di conoscenza: intelletto, consiglio, scienza,

sapienza. Per cui non abbiamo la scusa che “io non capisco”. Devo cercare di

capire perché io non voglio capire. Il Signore ce lo dice: perché abbiamo altri

desideri: l'affermazione di noi stessi. Allora il Signore richiama questo episodio del

bambino, per dirci una realtà più profonda che abbiamo sentito tutto il tempo

pasquale: Voi non sapete che dovete considerarvi morti al peccato, ai vostri

desideri, ma viventi per Dio, Cristo Gesù.

“Essere cioè come bambini”. Bisogna imparare ogni giorno questa vita nuova, le

sue esigenze, i suoi desideri e le sue gioie. E inutile che noi ascoltiamo la Scrittura,

ascoltiamo tutta la Bibbia, se non ci consideriamo morti alle cose che ci piacciono,

ma viventi per Dio. Alla fine, è quello che dicevano i monaci antichi: la purezza del

cuore. La purezza nel cuore è di avere un solo desiderio: non dei beni di Dio, ma di

Dio che ci dà i beni. E i monaci dovrebbero essere esperti, almeno per professione,

forse solo con la lingua, nella ricerca di Dio. E questo significa diventare bambini;

e questo significa essere docile al Santo Spirito; questo significa non contristare lo

Spirito che ci ama fino alla gelosia. Però se non cambiamo, cosa amiamo?

Sant'Agostino dice: Tu accumula le cose, non ti preoccupare; le cose non ti

lasceranno. Sarai tu che lasci le cose. Come dice il Qoelet: Ho visto questo, quello

là, tutto è vanità. Non nel senso che è pessimismo: nel senso che non c'è cosa

stabile, bene desiderabile e duraturo se non il Signore Gesù che, mediante il suo

Spirito, ci fa conoscere il Padre. Allora chi ha questa speranza non resterà mai

deluso, perché Dio non cambia. Dio è immutabile, è eterno, è fedele, è veritiero.

Non cambia. Tutto il resto è soggetto a delusioni. Anche se vinco al lotto tanti

milioni e domani mattina, invece di alzarmi, sono stecchito (cosa non improbabile)

che ne faccio dei soldi vinti al lotto? Per cui ripetiamo spesso che il Padre, con il

suo aiuto, ci renda attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò

che è conforme alla sua volontà, cioè di vivere come figli e di godere della dolce

amicizia del Signore Gesù.

Mercoledì VII settimana Tempo Ordinario

Mc 9, 38-40

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: “Maestro, abbiamo visto uno che

scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei

nostri”. Ma Gesù disse: “Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un

miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro

di noi è per noi”.

Il Signore ha voluto - ieri abbiamo sentito - che nessuno lo seguisse, perché

voleva istruire gli apostoli che Lui doveva morire; e il terzo giorno resuscitare. Ma

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essi non capirono, perché avevano altri interessi. E dicevamo che questo era la

difficoltà di capire il Vangelo, di capire la vita; di capire la vita cristiana, di capire

il nostro battesimo, che abbiamo altri interessi. I quali, come ci ha detto San

Giacomo e il salmo conseguente, sono delle realtà ma che sono limitate; per cui

sono delle illusioni, se ci basiamo esclusivamente su quello che sentiamo, su quello

che capiamo noi, su quello che sperimentiamo noi. Perché, dice San Giacomo, Non

sapete che cosa sarà domani, Vi vantate della vostra arroganza, pensate di sapere.

E non sapete che siete come vapore, che appare per un istante e poi scompare.

Non capire questo ci porta - come ci dice il Vangelo - ad essere arroganti,

cioè a non accettare che gli altri facciano del bene, perché non è dei nostri. E in

questo senso siamo noi i dominatori, eliminando, facendo fuori tutti gli altri. E il

salmo che abbiamo sentito parla della vanità, o della morte che pone fine a tutte le

prepotenze. Allora la vita che cos'è? Come dicono oggi, è nichilismo, nulla. Ma la

speranza della fede cristiana va in altro senso, che: se non diventerete come

bambini… cioè, se non rinasciamo e se non viviamo la nostra rinascita, o il nostro

battesimo, tutto è come un vapore di un momento. Che può durare 80, 90,100 anni,

116, come la più vecchia del mondo, e poi?

Allora, dobbiamo incominciare a pensare seriamente che noi nella morte - e

questo è tutto il messaggio del tempo pasquale che abbiamo ricevuto - abbiamo una

vita nuova, siamo rinati. E, come bambini appena nati - ci dice San Pietro -

dobbiamo bramare il latte dello Spirito Santo e non lasciarci ingannare dalla nostra

presunzione di affermazione. Che poi, che cosa facciamo? Quando io la spunto

contro un fratello, che cosa ho ottenuto? Mi sono fatto valere. E che cosa hai

acquisito? L'aumento di rabbia in te e nell‟altro. E allora dobbiamo imparare a

essere nutriti dal Santo Spirito di questa nuova creatura che è in noi, che già

risplende, come abbiamo cantato nell'inno.

Nei nostri cuori c'è la luce dello Spirito Santo. La luce che ci fa conoscere che

noi siamo figli di Dio, che noi aspettiamo la piena adozione a figli, la redenzione

del nostro corpo. E‟ lì che noi siamo presuntuosi, come Giovanni qua: “non è dei

nostri”. Pensiamo noi di sapere tutto; mentre tutti sono figli di Dio, differenti da

noi; più bravi - lì siamo invidiosi - o più cattivi; e lì siamo dei presuntosi che

vogliono fare giustizia, per scappare a questo grande dono che è, che siamo

ciascuno di noi. E che costa fatica, da una parte; ma che è una grande gioia che

illumina i nostri cuori. E allora vale la pena di lottare, di litigare, di voler essere più

bravi e, quando abbiamo vinto, perdiamo questa luce di gioia che è nel nostro

cuore? Sapendo che, quando abbiamo rifiutato questa luce, abbiamo perso tutto;

perché quello che ci rimane è come un soffio di vapore che svanisce.

La morte che il Signore ci ha lasciato come castigo, come pena della nostra

scelta, è una grazia di Dio, è il segno suo di misericordia; perché impariamo a

vivere la vita nuova del cristiano, del Signore risorto in noi. Non è pensare alla

morte una tristezza; ma pensare alla morte che ci fa vivere la gioia di essere figli di

Dio. E, senza questa esperienza di gioia, la morte diventa inevitabilmente uno

scandalo. E‟ una cosa che ci fa andare in depressione o ci fa arrabbiare. O ci fa

diventare scettici, per cui crudeli. Mentre, invece, dovrebbe essere la spinta per

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pensare alla vita del Signore Gesù in noi, che adesso ci nutre con il suo corpo e il

suo sangue di Risorto.

Giovedì VII settimana Tempo Ordinario

Mc 9, 41-50

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Chiunque vi darà da bere un

bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non

perderà la sua ricompensa.

Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si

metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare.

Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita

monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo

piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser

gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è

meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con

due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.

Perché ciascuno sarà salato con il fuoco.

Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo

salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”.

Accogliete la Parola di Dio non come parola di uomini, ma quale è veramente:

Parola di Dio. Dunque, ci sono due modi di percepire la realtà: quello che

sentiamo noi e quello come la vede, l'ha fatta e la vuole attuare Dio. Qual è la più

valida? Scegliete voi. Io mi sforzo di scegliere, mi sforzo perché non è che ci

riusciamo sempre. Ed è per questo che ripeto tutta la settimana queste parole: Il tuo

aiuto, Padre misericordioso, ci renda attenti alla voce dello Spirito, perché

possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà - cioè, quello che è

veramente la realtà della nostra vita - e attuarlo nelle parole e nelle opere. Come

abbiamo visto nei vangeli precedenti, noi andiamo nell'altro senso. Non capiamo

che il Signore è venuto per assumere la nostra morte e comunicarci la sua vita. E

noi invece facciamo fatica a rinunciare alla nostra morte. Che bravi che siamo,

intelligenti! E‟ come quando io ho il mal di pancia e non voglio il medico.

Come dice Agostino: se tu rifiuti il medico, non è un danno che viene al medico,

ma un danno che viene a te. E allora il Signore ci dice di sottoporci a

un'operazione: Se il tuo occhio, la tua mano ti scandalizza, tagliala! Si tratta di

scegliere tra il piacevole e l‟utile. Tutti noi sono cose che facciamo, che abbiamo

fatto o che faremo, se camperemo. E allora perché stiamo sempre sulle nostre

sensazioni e insultiamo il medico? “Perché Dio permette queste cose?” Se la parola

di Dio è veramente Parola di Dio e ci dice che voi eravate morti per i nostri peccati

e Cristo ha subito la nostra morte. Lui - come dice Sant'Agostino - che non poteva

morire sì degnò di assumere la nostra morte per comunicarci la sua vita. Invece

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noi continuiamo a cercare di tamponare la nostra vita, almeno a livello emotivo; e

anche con la ragione, per potere continuare a viver da morti e non riuscire a

gustare, come bambini appena nati, il nutrimento che lo Spirito Santo ci dà.

La morte, la malattia, la vecchiaia non è un castigo di Dio. Dio ce lo lascia

perché l'abbiamo scelto noi; e perché sperimentiamo che alla fine - come ci ha

detto S. Giacomo - tutti i nostri beni marciscono. O, meglio, marciamo noi. E

allora, se questa è l'esperienza nostra e la parola di Dio ci dice il contrario, perché

non ci lasciamo condurre, come dice qua la preghiera, nelle parole, nelle opere e

nel modo di sentire la vita nuova che il Padre ha generato in noi quali figli suoi ?

Certo, nella vita abbiamo bisogno, come dice Sant'Agostino, del medico. Ma se noi

rifiutiamo il medico, il danno non è del medico, è nostro. E quando Lui taglia….

L'altro giorno San Giacomo ci diceva che lo Spirito che ha fatto abitare in noi ci

ama fino alla gelosia; quando non capiamo, che cosa fa? Ci sbarra la strada dei

nostri piaceri di spine. Lo fa per castigarci o perché ci ama? Se è geloso è perché ci

ama. Allora il Signore si dice delle cose assurde, che noi leggiamo o ascoltiamo;

ma a cui non diamo mai importanza: Beati voi quando vi maltratteranno e diranno

ogni male contro di voi, mentendo. Per cui, se mentono, io ho ragione, ho il diritto

di ribellarmi. E pensiamo di avere il diritto di ribellarci e perdiamo l‟azione del

Santo Spirito che ci vuole nutrire, far crescere. Cioè, la vita è molto semplice: o

cerchiamo, crediamo che siamo figli di Dio, generati dalla morte del Signore e

partecipi noi della sua vita, mediante il battesimo, l'azione del Santo Spirito.

Se non crediamo, rimaniamo nella nostra morte, non ci lamentiamo, è una scelta

nostra. Come dice la scrittura: davanti a te è la vita e la morte, scegli! E il Signore

aggiunge: Vuoi il mio consiglio? Scegli la vita. Non vuoi scegliere? Tieniti la

morte! Per cui, il Vangelo non è una cosa negativa, nel senso: se il tuo piede ti

scandalizza, taglialo! Non dice di tagliare il piede, di cavarsi l‟occhio. Ma: se. Per

cui è una scelta. Il medico non mi dice “vai all'ospedale a farti togliere

l‟appendicite, perché può infiammarsi”. Dice: “quando si infiammerà, dovrai

andare” Ma tutto per crescere, mantenere questa vita che il Signore ci ha dato.

Vi ricordate quando ho parlato del senso religioso e della fede? Il senso religioso

è quello che sentiamo noi; e la fede è quello che lasciamo operare a Dio in noi. E

Dio vuole operarci, tagliare ciò che ostacola la sua azione in noi, mediante lo

Spirito, alla cui voce vuole che chiediamo di essere attenti.

Venerdì VII settimana Tempo Ordinario

Mc 10, 1-12

In quel tempo Gesù, partito da Cafarnao, si recò nel territorio della Giudea e

oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava,

come era solito fare.

E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: “È lecito

ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha

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ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di

rimandarla”.

Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa

norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo

l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non

sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha

congiunto”.

Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento.

Ed egli disse: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette

adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette

adulterio”.

Gesù aveva scelto i discepoli da soli per spiegargli chi era Lui e che cosa era

venuto a fare, ma i discepoli non capiscono; e Giovanni s'arrabbia perché altri

fanno le cose che fanno loro. E adesso, stasera, si rivolge alla folla. La folla ascolta.

C‟è qualcuno che si crede più saggio, come sono i farisei, come possiamo esser noi,

che vogliono metterlo alla prova; e fanno questa casistica: se è lecito rifiutare la

moglie. E portano l‟argomentazione alla risposta negativa di Gesù.

L‟argomentazione è basata sulla scrittura: “E perché Mosè….?” E‟ lì che il Signore

viene alla questione fondamentale: per la durezza del vostro cuore. Non è

questione di legalità, di legge, di cultura; ma è questione di cuore. E così nella

Chiesa, nelle comunità, nelle famiglie ci sono tanti problemi che sarebbe una

banalità affrontare e risolvere. Ma con la durezza di cuore creano conflitti.

Ma i conflitti non sono nelle persone, nelle situazioni: i conflitti sono dentro di

noi. Noi vogliamo, come questi farisei, giustificare i nostri piaceri e i nostri punti di

vista; che poi è un piacere, perché è un'affermazione di noi stessi; che noi ci

arrabbiamo, perché? Perché non troviamo l‟affermazione che desideriamo. E allora,

come diceva ieri S. Giacomo, fate guerra. Una conseguenza prima che possiamo

trarre è questa, come dice il saggio nei Proverbi: Figliolo, vigila sul tuo cuore,

perché di lì esce la vita, o la morte. Nessuno può darti la morte, forse quella fisica

possono darcela; ma quella del cuore, nessuno. Solo tu. E Sant'Agostino ci dice: Se

tu non uccidi la tua iniquità, la tua iniquità ucciderà te. E quando ci arrabbiamo

vuol dire che la colpa non è degli altri. Gli altri possono essere lo stimolo per tirar

fuori quello che c'è dentro. Ma sono io che mi arrabbio.

Non è il fatto, la situazione in sé, che può essere non conforme alle mie idee, ai

miei gusti, e questa è la cosa più banale. Ma sono io, come assumo la mia

responsabilità di fronte alla situazione, che io giudico non favorevole a me. E con

quale criterio di valutazione facciamo questo? Io penso che questa sia o non sia una

cosa giusta. Io penso. Ma il Signore che cosa ne pensa? E allora, lì: Siate

misericordiosi come il Padre vostro. Il Padre nostro è un tonto, che lascia fare,

lascia andare? Chi ha il coraggio di affermarlo? Dice Sant'Agostino: Non dire che

in Dio c'è insipienza. Ma cercala dentro di te, l’insipienza. E allora qua il Signore

dice: Ma all'inizio della creazione li creò maschio e femmina. Cioè, c‟è una

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situazione iniziale alla quale noi dobbiamo ritornare per viverla.

E per questo la Chiesa, la comunità è un luogo di recupero del nostro cuore; che

dovrebbe essere normale per il cristiano, come quello che dice la preghiera di San

Bernardino: perché anche nei nostri cuori ha impresso il sigillo della sua Carità.

Allora, non dobbiamo guardare le situazioni, ma dobbiamo guardare al nostro

cuore, che è vivificato dalla Carità che lo Spirito Santo riversa nei nostri cuori; ma

alla quale noi non diamo troppo ascolto. Scelgo il mio piacere, sì; ma Dio non l‟ha

fatto così. E allora la comunità dovrebbe, secondo San Benedetto, essere il luogo di

recupero; come dice San Bernardo, di ricupero della somiglianza, per perdere la

discrepanza, la dissomiglianza che abbiamo accumulato con i nostri peccati, con le

nostre voglie. Dobbiamo ritornare con le armi dell'obbedienza a quella immagine, a

quella somiglianza con la quale, nella quale e per la quale siamo stati creati:

l‟immagine del Signore Gesù.

Sabato VII settimana Tempo Ordinario

Mc 10, 13-16

In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li accarezzasse, ma i

discepoli li sgridavano.

Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini

vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno

di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non

entrerà in esso”. E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li

benediceva.

Penso che abbiate notato la lode prima del Vangelo: Benedetto sei Tu Padre

Signore del cielo e della terra perché ai piccoli hai rivelato i misteri del regno dei

cieli. C'è un contrasto tra questo Padre Signore del cielo della terra ed i piccoli,

poiché Egli è grande. Nel salmo abbiamo cantato: Sollevate porte i vostri frontali,

entri il re della gloria! Il Signore degli eserciti è il re della gloria" E questo qui

che è il re della gloria si mette lì a perdere tempo con i piccoli! Ma è profondo

questo mistero. E? profondo perché - come dice Gesù - chi non accoglie il regno

dei cieli come un bambino, non entrerà in esso. Il mistero del cielo, come la Parola

di Dio, è una questione di accoglienza come la terra; e di penetrazione, di lasciarsi

penetrare dalla Parola, andar dentro la parola, lasciarla entrare in noi e noi entrare

nella parola. E l'esempio più grande di questa piccolezza, di questa umiltà, è Maria.

Dio Onnipotente, Salvatore ha guardato alla piccola sua serva, piccola; e questa

piccolezza ci dice che è quanto piace Dio.

Ma perché piace a Dio la piccolezza? Dice Gesù: a chi è come i piccoli

appartiene il regno di Dio; e questo regno di Dio è descritto molto bene nel salmo

23. Dio, questo Signore di tutto, del cielo e della terra, è come un monte, una realtà

Santa; e chi salirà a questo monte? Abbiamo cantato: chi ha mani innocenti e cuore

puro, chi non pronunzia menzogna; cioè: chi è limpido, aperto, semplice, ha il

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cuore puro e le mani che non han fatto il male: è il bambino. E Gesù dice: guardate

che io che sono l'Onnipotente mi compiaccio e rivelo a questi piccoli veramente il

regno dei cieli. Il regno dei cieli cos'è? E' che Dio è Padre e che abbraccia tutti noi

in Gesù; e Gesù è Lui che abbraccia questi bambini; ma abbraccia tutti noi perché

Lui ci vede, ci fa, ci vuole innocenti, puri, semplici.

La potenza che Dio data ai piccoli è grandissima. Tutta la sua potenza è al

servizio di questo piccolo pezzo di pane che si offre come vita divina umana di

risorto, eterna, a noi. E noi diventiamo questo; e non solo è fatto così, ma è fatto

con gioia, con vino di esultanza perché questa realtà ha dentro un sangue che ci

viene dato proprio; che Lui ha versato per noi che è la sua carità, perché noi

godiamo questo amore e nella gioia abbiamo la forza, l'accortezza di darlo ai

fratelli, di vederli innocenti, piccoli come noi, contenti che questo Onnipotente ci

abbraccia, perde il tempo con noi, sta con noi, gode di noi.

Questa è la gioia; dovrebbe essere la gioia mia, di un contemplativo, in noi

che siamo qui per guardare questo mistero che avviene nel nostro piccolo cuore;

ma che è fatto grande perché è il monte nel quale il Signore vuole darci il Suo

abbraccio, vuole che noi entriamo in questo mistero e viviamo di questo amore. E

allora voi capite che la vita dei fidanzati, nostra, la vita degli sposi, la vita diventa

un'altra realtà; ed è più vero questo atteggiamento di Gesù onnipotente che tutte le

nostre remore, i ma, sì, però, chi, cosa.

Obbedire! Nessuno di questi bambini si ribella o non si lascia abbracciare. Il

piccolo crede all'amore di chi, più grande di lui, non è solamente lì per schiacciarlo

o per far vedere che è grande; ma è lì perché lui possa crescere. E questa creatura

nuova, questo bambino da abbracciare, noi con Gesù in Gesù, è questo nuovo

essere, questa creatura nuova che siamo noi, che è Gesù in noi, che lo Spirito Santo

avvolge del Suo amore perché cresca; il Padre vuole che noi abbiamo a guardare al

Figlio, a credere che il nostro Signore è la nostra vita, perché questo mistero

rivelato si manifesti nella nostra vita e la gioia si diffonda in tutti i cuori.

VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A)

(Sir 27, 4-7; Sal 91; 1Cor 15, 54-58; Lc 6, 39-45)

In quel tempo Gesù disse loro anche una parabola: “Può forse un cieco

guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca? Il discepolo non è

da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro.

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi

della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la

pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli

prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza

dall’occhio del tuo fratello”.

“Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia

frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi

dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono trae fuori il bene dal

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buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male,

perché la bocca parla dalla pienezza del cuore.

Quante volte si sentono dei cristiani che dicono: “Ma il Vangelo è difficile,

io non lo capisco!” C‟è brano più concreto e semplice da capire di questo?

Ditemelo voi. Allora, il problema non è il Vangelo; il problema siamo noi che non

vogliamo capire; e questo non capire è perché, dicevamo ieri sera, ci sono due

ciechi in noi. E, come direbbe S. Bernardo parafrasando, questi due ciechi hanno

due figli: la falsità e il dubbio. Allora il Vangelo diventa difficile perché siamo

falsi, che vuol dire che non vogliamo seguire la luce che il Vangelo ci rivela della

nostra dignità di figli. Preferiamo vivacchiare nei nostri, scusate la parola, porci

comodi che ci dilettano e che ci calpestano. E da questi due figli viene poi,

appunto, la cecità. E la luce viene da che cosa? Dall‟ascolto. Perché mi dite:

Signore, Signore? Quante volte lo facciamo durante la giornata! E poi che ne

facciamo? La luce, la liberazione dalla cecità viene dall‟ascolto; sono le orecchie

che ci fanno vedere.

Se siamo ciechi, non abbiamo altro mezzo che le orecchie. A un cieco io non

posso fare leggere un libro; ma posso fare capire il contenuto se io gli parlo, gli

leggo un libro. Lui con le orecchie capisce. E‟ quello che fa il Signore con noi.

Siccome noi non conosciamo, perché siamo ciechi, nelle profondità della nostra

dignità; e non vogliamo vedere la profondità della nostra indegnità - direbbe S.

Bernardo - allora noi rimaniamo ciechi, cioè non ascoltiamo; perché - come dice

Sant'Agostino - la parola di Dio è uno specchio: Ma sta’ attento quando leggi,

perché è come quando tu ti specchi. E quando leggi e trovi qualche cosa che non è

conforme alla tua vera dignità, ma che ti piace per la tua insincerità, stai attento

di toglierlo, perché quando ritorni a rispecchiarti nella Parola non sii svergognato

perché ti ha detto e tu non hai fatto. E l'immagine dello specchio viene da San

Giacomo. Noi sentiamo la Parola, diciamo: Signore vieni in mio aiuto, accorri

verso di me! E poi, quando abbiamo ascoltato, come smemorati dimentichiamo. E

la smemoratezza non dipende dal grado d'intelligenza: dipende dalla sincerità o

falsità del cuore. E anche lì, un altro paradosso: come noi vediamo con le orecchie,

così capiamo non principalmente con la intelligenza, ma col cuore.

Quanti uomini, quante persone nel mondo hanno intelligenza più colta, più

ampia, più profonda, più efficace di noi; eppure certe cose non le capiscono.

Quanti scienziati che hanno passato tutta la vita, magari hanno ricevuto il premio

Nobel, e sono sicuri che Dio non esista. E da dove viene? Non dall'intelligenza;

questa sicurezza di tanta intelligenza che nega l'evidenza viene dal cuore. Allora,

ripeto un altro paradosso, noi capiamo nella misura che il cuore è sincero, e cioè

superiamo quei due ciechi che sono in noi: la falsità il dubbio; e aderiamo

sinceramente e profondamente, e praticamente, alla parola del Signore. L‟ ascolto

suppone l‟obbedienza; l'obbedienza suppone la sincerità del cuore. E solo col

cuore noi possiamo capire; non con gli occhi, ma mediante le orecchie che vanno

in profondità, dove si accende - direbbe Sant'Agostino - la luce eterna che ci ha

creati, che ci illumina; ma che noi teniamo soffocata, direbbe S. Paolo, nella

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menzogna della nostra ignoranza, o cecità, come volete.

Lunedì VIII settimana Tempo Ordinario

Mc 10,17-27

Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi

in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per

avere la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è

buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non

commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare,

onora il padre e la madre”.

Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia

giovinezza”. Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca:

va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e

seguimi”. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva

molti beni.

Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto

difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!”. I discepoli

rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: “Figlioli, com’è difficile

entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un

ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra

loro: “E chi mai si può salvare?”. Ma Gesù, guardandoli, disse: “Impossibile

presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio”.

L'eucarestia è proprio il luogo scelto da Dio per esprimere il suo amore per noi.

E oggi il Vangelo insiste su questo tema dello sguardo, con questo brano molto

bello del giovane ricco; il quale afferma di aver osservato tutti i comandamenti, fin

dalla sua giovinezza. E Marco ha questo piccolo inciso - tre parole - che sembra

insignificante rispetto agli altri evangelisti; ma che però è il perno di tutta la

vocazione: Gesù, fissatolo, l'amò. E questo è davvero abbastanza sconvolgente.

Potremmo dire che tutta la nostra vita, tutta questa vita che c'è data sulla terra ha il

solo e semplice scopo di cogliere questo sguardo di Gesù per me; e che è uno

sguardo proprio di amore dolcissimo, lo vedevamo ieri anche vedendo questa icona

che ho qua dietro. E se durante questa nostra vita ci impegniamo in questo, allora

abbiamo centrato il bersaglio, come si dice. E, se no, abbiamo fallito la nostra vita.

E tante persone, ci sono proprio persone che arrivate a una certa età si ritengono

dei falliti; però lo fanno per ragioni umane; mentre il vero fallimento - lo dico per

me, per primo - della nostra vita si ha solamente nel non accorgersi di quanto il

Signore ci ha amato, da sempre e per sempre. E, soprattutto adesso ci ama, proprio

in questo momento in cui ci dona tutto se stesso nell'eucarestia; nell'eucarestia dove

Lui abita, dove si condensa corporalmente tutta la pienezza di questo amore divino.

E Gesù non disdegna tutto quello che abbiamo fatto e facciamo di bene, proprio

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come questo giovane. E non si scandalizza neanche di quello che facciamo di male,

sa che siamo deboli. Ma desidera che ci apriamo a questo sguardo di amore, come

fanno queste persone della Santissima Trinità, le une per le altre.

E, come dice S. Pietro nella prima lettura: esultare di gioia indicibile e gloriosa,

mentre conseguiamo la meta della nostra fede, cioè la salvezza dell'anima. Ed è

solo in questa gioia che è possibile abbandonare tutto, perché è fondata su una

speranza viva - dice ancora San Pietro - su una eredità che non si corrompe, che è

conservata nei cieli per tutti noi. E tutte le prove da cui siamo afflitti servono

proprio a purificare questa fede, cioè questo sguardo. Purificarlo nel fuoco dello

Spirito, perché questo sguardo di amore è la cosa più preziosa che abbiamo, molto

più preziosa dell'oro, cioè di tutte le cose buone che possiamo fare noi. Lasciamo

che lo sguardo di Gesù bruci tutte le nostre impurità nel fuoco del suo amore; così

che possiamo amarlo pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credere in Lui.

Martedì VIII settimana Tempo Ordinario

Mc 10, 28-31

In quel tempo, Pietro disse a Gesù: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti

abbiamo seguito”.

Gesù gli rispose: “In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa

o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del

vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle

e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna. E molti

dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi”.

Nella preghiera abbiamo detto di questo Santo che ha servito il Signore e ha

regnato col Signore: Tu ci chiami a servirti per regnare con Te. Questo uomo, a

differenza di quel giovane che ieri ha incontrato il Signore, veramente ha ascoltato,

ha guardato; come dicevamo nel salmo, la terra del suo cuore è stato irrorata dallo

sguardo d'amore del Cristo e l'ha seguito nel servire, servire i fratelli. Non ha

voluto andare nel regno, ma ha usato di regnare al posto del padre, ha usato tutta la

sua vita, le sue ricchezze per fare del bene, seguendo Colui che è il Signore

dell'universo e che ha fatto un gesto. Lui, che era ricco, si è fatto povero per

arricchire noi; servendo a noi la Sua Vita.

Nel cantico abbiamo detto che l'agnello che è stato immolato è degno di

potenza e ricchezza, sapienza e amore, lode, gloria e benedizione. Questo agnello è

Gesù il quale è stato immolato e, prima del Vangelo, abbiamo ascoltato quel passo

dove dice appunto che: chi vorrà salvare la propria psiche, la propria esperienza di

essere vivo da sé o con le cose del mondo, o con l'approvazione dei fratelli, delle

persone, o con il potere sugli altri, chi vuole salvare questo tipo di vita, la perderà;

chi invece perde questo tipo di vita per causa mia e del Vangelo, troverà la vita

vera ed eterna. E‟ importante il Vangelo che noi abbiamo ascoltato, come ci ha

spiegato San Pietro; è stato predicato, annunciato nello Spirito Santo.

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Lo Spirito Santo che era nei profeti e adesso è in noi, nella Chiesa parla ed

illumina i nostri cuori perché possiamo conoscere lo splendore della gloria che con

il battesimo, la cresima, l'eucarestia il Padre ha fatto splendere in noi. Il Vangelo di

Cristo che splende nei nostri cuori, nelle nostre vite è il nostro Tesoro? O noi

abbiamo altri tesori? Il Signore vuole insegnarci questa sera che lo sguardo suo su

di noi è eterno; da sempre Lui ha pensato a noi, ci ha guardati nel Suo amore ed i

disegni del Signore per noi sono di vita, bontà, vita eterna nel Figlio Suo, come il

Figlio Suo. Questo sguardo d'amore che il Padre ha su ciascuno di noi per potere,

come dice Gesù, portarci nella gloria del Figlio Suo, quanto poco lo apprezziamo!

Gesù dice a noi questa sera: se tu capisci che nella mia parola, nel mio

Vangelo, nel mio dono di vita che faccio a te, che è il mio corpo e il mio il sangue,

c'è questo mio sguardo, questa mia azione d'amore dove ti abbraccio, ti faccio mio,

ti metto in me, ti faccio vivere di me e tu credi che questo è il Tesoro, in questo

modo tu diventi capace dal di dentro di regnare nella vita; già ora godi la gioia che

Dio è il tuo possesso, perché si dona a te, vive in te, la tua vita è divina. E questa

accoglienza della vita divina penso che ci darà la forza, ci dà la forza di rinunciare

a tutto ciò che è il modo di pensare umano, sentire umano che impedisce di credere

come dei bambini, di accogliere come piccoli questo mistero d'amore.

Chi non diventa come un bambino, cioè chi non si lascia permeare da questo

amore che diventa la sua vita, la sua guida, la sua luce, non può entrare nel regno

dei cieli, non può regnare con Cristo. Così pensando della nostra vita, regneremo

eternamente con Cristo. Che il signore ci conceda di capire questo e ci faccia

rinunciare, staccarci dall' attaccamento alle cose della terra; perché possiamo

puntare il nostro cuore, la nostra vita, il nostro cammino nello Spirito sulle cose che

il Padre ha preparato per noi, nella sua eterna e misericordiosa Carità.