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RANIERO CANTALAMESSA IL CANTO DELLO SPIRITO Meditazioni sul Veni creator ANCORA ©1998 come dicevano i Padri, la Chiesa è gravida dello Spirito Santo! Quello che occorre sono mani delicate, come di levatrice, per portare alla luce questi frutti dello Spirito che maturano in essa. Che significa in ebraico ruach? All'origine, e nella sua radice, esso significa lo spazio atmosferico tra cielo e terra che può essere calmo o agitato; uno spazio aperto, come una prateria, in cui più facilmente si percepisce il soffio del vento; per estensione, lo "spazio vitale" nel quale l'uomo si muove e respira. Ruach significa due cose tra loro strettamente collegate: il vento e il respiro. La Bibbia ama istruirci sulle realtà più spirituali servendosi dei simboli più materiali ed elementari che esistono in natura. I due "libri" scritti da Dio quello del creato, fatto di cose e di elementi muti, e quello della Bibbia, fatto di lettere e parole si illuminano e si spiegano così l'uno con l'altro. La stessa economia che si riscontra nei sacramenti: grazie al segno la parola si fa visibile e grazie alla parola il segno si fa udibile. L'immagine del vento impetuoso e del turbine serve a esprimere la potenza, la libertà e la trascendenza dello Spirito divino. Il vento, infatti, è per eccellenza nella Bibbia, ma anche in natura, l'espressione di una forza travolgente e indomabile. Esso è capace di «spaccare i monti e spezzare le rocce» (1 Re 19, 11), di «sollevare i flutti fino al cielo e sprofondarli fino agli abissi» (cf Sal 107, 25-26). Niente è capace di smuovere davvero l'oceano, ma il vento sì. Le immagini, invece, del respiro, dell'affiato o della brezza leggera, servono a esprimere la bontà, la delicatezza, la quiete e l'immanenza dello Spirito di Dio. Il respiro è ciò che vi è di più "intimo", di più vitale e personale nell'uomo. ruach, indica ciò che vi è di più intimo e segreto in Dio e quanto vi è di più intimo e segreto nell'uomo, il suo principio vitale, la sua stessa anima. San Basilio, lo Spirito Santo è colui che crea «l'intimità (oikeiosis) con Dio». Non è il luogo che crea l'intimità, ma l'amore, e l'amore viene dallo Spirito Santo. Giovanni Crisostomo Gesù «fu sempre assistito dal dolcissimo e a lui consustanziale Spirito», come Mosè, in tutta la sua vita, ebbe per compagno e consigliere il fratello Aronne. Se la debolezza può essere l'occasione per fare l'esperienza della forza dello Spirito, la solitudine può essere l'occasione e lo stimolo per fare l'esperienza di questo "dolce ospite". Per la fede, nessuno è veramente solo in questo mondo. Quando non possiamo parlare di una cosa con nessuno, possiamo imparare, a poco a poco, a

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RANIERO CANTALAMESSA

IL CANTO DELLO SPIRITO Meditazioni sul Veni creator

ANCORA ©1998

…come dicevano i Padri, la Chiesa è gravida dello Spirito Santo! Quello che occorre

sono mani delicate, come di levatrice, per portare alla luce questi frutti dello Spirito

che maturano in essa.

Che significa in ebraico ruach? All'origine, e nella sua radice, esso significa lo spazio atmosferico tra cielo e terra che può essere calmo o agitato; uno spazio aperto, come

una prateria, in cui più facilmente si percepisce il soffio del vento; per estensione, lo

"spazio vitale" nel quale l'uomo si muove e respira.

Ruach significa due cose tra loro strettamente collegate: il vento e il respiro.

La Bibbia ama istruirci sulle realtà più spirituali servendosi dei simboli più materiali ed

elementari che esistono in natura. I due "libri" scritti da Dio – quello del creato, fatto

di cose e di elementi muti, e quello della Bibbia, fatto di lettere e parole – si

illuminano e si spiegano così l'uno con l'altro. La stessa economia che si riscontra nei

sacramenti: grazie al segno la parola si fa visibile e grazie alla parola il segno si fa udibile.

L'immagine del vento impetuoso e del turbine serve a esprimere la potenza, la libertà

e la trascendenza dello Spirito divino. Il vento, infatti, è per eccellenza nella Bibbia,

ma anche in natura, l'espressione di una forza travolgente e indomabile. Esso è capace di «spaccare i monti e spezzare le rocce» (1 Re 19, 11), di «sollevare i flutti

fino al cielo e sprofondarli fino agli abissi» (cf Sal 107, 25-26). Niente è capace di

smuovere davvero l'oceano, ma il vento sì.

Le immagini, invece, del respiro, dell'affiato o della brezza leggera, servono a esprimere la bontà, la delicatezza, la quiete e l'immanenza dello Spirito di Dio. Il

respiro è ciò che vi è di più "intimo", di più vitale e personale nell'uomo.

…ruach, indica ciò che vi è di più intimo e segreto in Dio e quanto vi è di più intimo e

segreto nell'uomo, il suo principio vitale, la sua stessa anima.

San Basilio, lo Spirito Santo è colui che crea «l'intimità (oikeiosis) con Dio».

Non è il luogo che crea l'intimità, ma l'amore, e l'amore viene dallo Spirito Santo.

Giovanni Crisostomo Gesù «fu sempre assistito dal dolcissimo e a lui consustanziale Spirito», come Mosè, in tutta la sua vita, ebbe per compagno e consigliere il fratello

Aronne.

Se la debolezza può essere l'occasione per fare l'esperienza della forza dello Spirito, la

solitudine può essere l'occasione e lo stimolo per fare l'esperienza di questo "dolce ospite". Per la fede, nessuno è veramente solo in questo mondo. Quando non

possiamo parlare di una cosa con nessuno, possiamo imparare, a poco a poco, a

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parlarne con questo ospite "discreto" che è anche "consolatore perfetto" e "consigliere

mirabile".

Mosè, sul Sinai, percepì Dio nel tuono e nel vento impetuoso (cf Es 19, 18-19); Elia,

sullo stesso monte, l'Oreb, lo percepì nella brezza leggera (cf 1 Re 19, 12).

I simboli sono "funzionali"; più che dirci ciò che è lo Spirito, ci dicono ciò che fa, ed è

sotto questo aspetto che ci sono utili.

Camminare o remare contro vento: che fatica! Farlo con il vento favorevole: che gioia!

Fare le cose senza lo Spirito Santo: come è pesante! Farle con lui: come tutto è più

leggero!

Il vento feconda. Trasporta i semi dei fiori e delle piante e li depone nei calici di altri

fiori, o nella terra, perché germinino. Così fa lo Spirito Santo con il seme che è la

parola di Dio.

Non si può "incanalare" rigidamente lo Spirito Santo, neppure nei cosiddetti "canali della grazia", come se egli non fosse libero di agire anche al di fuori di essi.

«Spirito, vieni!» È la primordiale epiclesi.

Tommaso d'Aquino: «Ogni verità, da chiunque venga detta, viene dallo Spirito Santo».

Invocare su di sé lo Spirito come creatore è dunque abbandonarsi alla sovrana azione

di Dio, in totale fiducia; è mettersi nell'atteggiamento cosiddetto "creaturale" davanti

a lui, che è la base di ogni autentica religiosità. È togliere ogni condizione, ed essere

disposti a tutto. È dare carta bianca a Dio, come fece Maria quando disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38).

Lo Spirito Santo non è all'origine, ma, per così dire, al termine della creazione, come

non è all'origine, ma al termine del processo trinitario. Nella creazione – scrive san

Basilio – il Padre è la causa principale, colui dal quale sono tutte le cose; il Figlio la causa efficiente, colui per mezzo del quale tutte le cose sono fatte; lo Spirito Santo è

la causa perfezionante. Non che la forza operativa del Padre sia imperfetta, ma il

Padre vuole fare esistere per mezzo del Figlio e vuole portare alla perfezione per

mezzo dello Spirito.

L'azione creatrice dello Spirito è all'origine, dunque, della perfezione del creato; egli, diremmo, non è tanto colui che fa passare il mondo dal nulla all'essere, quanto colui

che lo fa passare dall'essere informe all'essere formato e perfetto. In altre parole, lo

Spirito Santo è colui che fa passare il creato, dal caos, al cosmo, che fa di esso

qualcosa di bello, di ordinato, pulito.

Al momento della morte di Cristo, gli evangelisti notano che «vennero le tenebre su tutta la terra» (Mc 15, 33). Era un'allusione velata al caos primordiale in cui l'umanità

era ricaduta con il peccato, giunto al suo parossismo con l'uccisione di Cristo. Scrive

un autore del II secolo:

«L'universo era sul punto di ricadere nel caos e di dissolversi per lo sgomento di fronte alla passione, se il grande Gesù non avesse emesso il suo Spirito divino, esclamando: "Padre, nelle

tue mani consegno il mio Spirito" (Lc 23, 46). Ed ecco subito, al diffondersi dello Spirito divino, come rianimato, vivificato e consolidato, l'universo ritrovò la sua stabilità».

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«Mi accorgo, Signore, che la terra del mio spirito è ancora inconsistente e vuota, che le tenebre ricoprono la superficie dell'abisso... Essa è infatti nella confusione come in una specie

di caos spaventoso e oscuro, ignorando sia il suo fine sia la sua origine e il modo della sua natura... Così è la mia anima, Dio mio, così è la mia anima. Una terra deserta e vuota,

invisibile e informe, e le tenebre sono sulla superficie dell'abisso... Ma l'abisso del mio spirito ti invoca, Signore, affinché tu crei, anche da me, cieli nuovi e terra nuova».

Per la prima creazione, noi siamo creature di Dio; per la seconda creazione, siamo

anche figli di Dio. La nuova creazione non è altro, dunque, che la nuova nascita "dall'alto", o "dallo Spirito", di cui parla Gesù nel Vangelo (cf Gv 3, 3.5). Secondo

Agostino, per la prima creazione noi siamo uomini, per la seconda siamo cristiani.

Anche il dono di essere creati è grazia, in quanto dato gratuitamente; ma ben diversa

è la grazia per cui siamo cristiani. Nel primo caso non avevamo alcun merito che ci

rendesse degni del dono, nel secondo avevamo molti demeriti che ci rendevano indegni di esso. Per questo non chiamiamo grazia la creazione, o la chiamiamo grazia

solo in senso generico, mentre riserviamo il termine grazia alla redenzione.

«Non possiamo contestare che l'uomo possa fare quaggiù delle esperienze di grazia, le quali gli danno un senso di liberazione, gli aprono orizzonti del tutto nuovi, si imprimono

profondamente in lui, lo trasformano, plasmando, anche per lungo tempo, il suo atteggiamento cristiano più intimo. Nulla vieta di chiamare tali esperienze battesimo dello Spirito».

San Serafino di Sarov diceva a un suo discepolo:

«Bisogna pregare solo fino al momento in cui lo Spirito Santo scende su di noi e ci accorda, in

una certa misura nota solo a lui, la grazia celeste. Ricevuta la sua visita, dobbiamo smettere di invocarlo. Infatti a cosa serve implorarlo dicendo: "Vieni, poni la tua dimora in noi, purificaci da

ogni macchia e salva le nostre anime, tu che sei bontà", se è già venuto?»

Ma i termini avvocato e consolatore non esauriscono il significato di Paraclito nel

quarto Vangelo, né presi separatamente, né presi insieme. Per molti versi il titolo di

"Paraclito" scelto da Giovanni per designare lo Spirito Santo somiglia a quello di Logos da lui scelto per designare il Figlio. In un caso come nell'altro, l'evangelista ha preso

dal linguaggio corrente un termine e lo ha sovraccaricato di tali e tanti significati da

inaugurare, per questi termini, una fase nuova di esistenza. Da questo momento essi

non si possono più spiegare in base alla loro etimologia, o all'uso precedente. Non si

spiega, in altre parole, Paraclito tenendo conto solo del nome; bisogna guardare anche le funzioni che gli vengono attribuite. «Il Paraclito è ciò che fa». Le funzioni

dilatano a dismisura il senso del termine, fino a creare, a tratti, l'impressione di una

certa contraddizione tra il nome e le prerogative.

Per sapere quali siano, esattamente, queste funzioni, non c'è mezzo più semplice ed efficace che leggere, uno di seguito all'altro, i detti sul Paraclito del quarto Vangelo.

Due cose emergono con chiarezza da tali testi: il Paraclito è in funzione della verità ed

è in funzione di Gesù. Le diverse attività attribuite al Paraclito –insegnare, ricordare,

testimoniare, convincere, guidare alla verità, annunciare – indicano che il suo ruolo

principale è quello dottrinale o di insegnamento e che il suo dominio essenziale è quello della conoscenza. Giovanni sembra voler quasi tradurre Paraclito con «Spirito di

verità».

Non si tratta però di due "centri" distinti – Gesù e la verità –, ma di uno solo, perché

per l'evangelista la verità non è altro che la rivelazione e la parola portata in terra da

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Gesù Cristo. «Spirito di verità» equivale, praticamente, a «Spirito del Figlio»1. Il ruolo

dello Spirito Santo, da un capo all'altro del quarto Vangelo, è quello di fare accogliere, interiorizzare, comprendere e vivere la rivelazione di cui è portatore il Figlio. È

soprattutto in questo senso che il titolo di "Paraclito" appartiene all'opera santificatrice

e illuminatrice dello Spirito.

Lo Spirito non è solo il dono, o l'insieme dei doni, ma il distributore libero ("come

vuole") e consapevole di essi.

lo Spirito Santo ha bisogno di noi, per essere Paraclito. Egli vuole consolare,

difendere, esortare; ma non ha bocca, mani, occhi per "dare corpo" alla sua

consolazione. O meglio, ha le nostre mani, ì nostri occhi, la nostra bocca. Come

l'anima agisce, si muove, sorride, attraverso le membra del nostro corpo, così lo Spirito Santo fa con le membra del "suo" corpo che è la Chiesa e che siamo noi.

«Consolatevi a vicenda», raccomandava Paolo ai primi cristiani (cf 1 Ts 5, 11) e

tradotto alla lettera il verbo vuole dire "fatevi paracliti" gli uni degli altri. Diceva il

cardinal Newman in un discorso al popolo:

«Istruiti dalla nostra stessa sofferenza dal nostro stesso dolore, anzi, dai nostri stessi peccati,

avremo la mente e il cuore esercitati a ogni opera d'amore verso coloro che ne hanno bisogno.

Saremo, a misura della nostra capacità, consolatori a immagine del Paraclito, e in tutti i sensi che questa parola comporta: avvocati, assistenti, apportatori di conforto. Le nostre parole e i

nostri consigli, il nostro modo di fare, la nostra voce, il nostro sguardo, saranno gentili e tranquillizzanti»

La parola "amore" indìca sia l'amore di Dio per noi, sia la capacità nuova di riamare

Dio e i fratelli. Indica «l'amore per cui diventiamo amanti di Dio». Lo Spirito Santo non infonde, dunque, in noi solo l'amore, ma anche l'amare. La stessa identica cosa si

deve dire a proposito del dono: venendo in noi, lo Spirito non reca solo il dono di Dio,

ma anche il donarsi di Dio. Lo Spirito Santo è davvero l'acqua viva che, ricevuta,

«zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 14), cioè rimbalza e si effonde su chi sta intorno.

Alla fine della vita solo ciò che abbiamo donato ci resterà in mano, trasformato in qualcosa di eterno. Una poesia di Tagore presenta un mendicante che narra la sua

storia. Volta in prosa, dice:

«Ero andato mendicando di uscio in uscio, lungo il sentiero del villaggio, quando apparve in lontananza un cocchio d'oro. Era il cocchio del figlio del re. Pensai: "È l'occasione della mia

vita". Sedetti spalancando la bisaccia e aspettando che l'elemosina mi venisse data, senza che neppure la dovessi chiedere, anzi che le ricchezze piovessero in terra attorno a me. Ma quale

non fu la mia sorpresa quando, giunto vicino, il cocchio si fermò, il figlio del re discese e,

stendendo la mano destra, mi disse: "Che cos'hai da donarmi?". Qual gesto regale fu mai quello di stendere la mano a un mendicante! Confuso ed esitante, presi dalla bisaccia un chicco

di riso, uno solo, il più piccolo, e glielo porsi. Ma che tristezza a sera, quando, frugando nella mia bisaccia, trovai un piccolo chicco d'oro, uno solo. Piansi amaramente di non aver avuto il

coraggio di fargli dono di tutto».

Nessuno può decidere se nascere o meno, mentre ognuno può decidere se rinascere o

meno. Infatti, la nuova vita suppone l'atto di fede; si ottiene «attraverso l'opera

santificatrice dello Spirito e la fede nella verità» (2 Ts 2, 13). In un certo senso, per la fede noi diventiamo padri di noi stessi.

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L'acqua scende sempre, non sale mai; va sempre a occupare il posto più basso. Così lo Spirito Santo: egli ama visitare e riempire chi sta in basso, chi è umile e vuoto di

sé.

lo Spirito Santo riempie e inonda il fondo delle nostre anime, dei nostri cuori e delle

nostre menti, tutto quello che trova. Egli li ricolma di grande benessere, grazie, amore

e doni indescrivibili. Riempie le valli e le profondità che gli vengono aperte»

lo Spirito Santo è designato con due simboli tra loro diametralmente opposti: l'acqua e

il fuoco. Situandosi agli estremi, gli opposti hanno il vantaggio di creare tra loro uno

spazio illimitato, di dilatare all'infinito l'orizzonte, che è appunto ciò che si richiede per

parlare delle cose divine.

«Grazie al calore, tutto matura;

grazie allo Spirito, tutto viene santificato: un simbolo evidente!

Il calore scioglie il gelo dei corpi: così lo Spirito Santo l'impurità dei cuori.

Al primo calore, saltellano i giovani vitelli in primavera:

così i discepoli quando lo Spirito venne su di loro. Il calore rompe i ceppi dell'inverno che tengono prigionieri fiori e

frutti: grazie allo Spirito Santo viene infranto il giogo del maligno che impedisce alla grazia di sbocciare.

Il calore ridesta il seno della terra addormentata: così fa lo Spirito Santo con la Chiesa».

Tre cose, dette dello Spirito Santo nel Nuovo. Testamento, colpiscono in modo

particolare Agostino: lo Spirito Santo è dono, comunione e gioia.

Il Padre è, nella Trinità, colui che ama, la fonte e il principio di tutto; il Figlio è colui

che è amato; lo Spirito Santo è l'amore con cui si amano. Non è certamente che un'analogia umana, ma è senza dubbio quella che meglio ci permette di gettare uno

sguardo nelle profondità arcane di Dio.

«Ci siamo chiesti più volte [...] quale bisogno avvertiamo, primo e ultimo, per questa nostra Chiesa benedetta e diletta. Lo dobbiamo dire quasi trepidanti e preganti, perché è il suo

mistero e la sua vita, voi lo sapete: lo Spirito, lo Spirito Santo, animatore e santificatore della

Chiesa, suo respiro divino, il vento delle sue vele, suo principio unificatore, sua sorgente interiore di luce e di forza, suo sostegno e suo consolatore, sua sorgente di carismi e di canti,

sua pace e suo gaudio, suo pegno e preludio di vita beata ed eterna. La Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste; ha bisogno di fuoco nel cuore, di parola sulle labbra, di profezia

nello sguardo [...]. Ha bisogno, la Chiesa, di riacquistare l'ansia, il gusto e la certezza della sua verità [...]. E poi ha bisogno, la Chiesa, di sentire rifluire per tutte le sue umane facoltà l'onda

dell'amore, di quell'amore che si chiama carità, e che appunto è diffusa nei nostri cuori proprio dallo Spirito Santo che a noi è stato dato».

La Pentecoste non fu però un evento solo oggettivo, un cambiamento profondo, ma inavvertito e inconscio; fu un evento anche soggettivo, una esperienza. Il passaggio

dal cuore pieno di timore dello schiavo al cuore pieno d'amore del figlio, non avvenne

senza sentire nulla, in regime di "anestesia" totale, come avvengono i trapianti di

cuore! Gli apostoli fecero, al contrario, un'esperienza travolgente dell'amore di Dio: di

essere amati da Dio e di amare Dio. Furono letteralmente "battezzati" nell'amore.

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L'amore di Dio crea l'estasi, l'uscita da sé. Fermarsi al primo movimento, essere solo

destinatari dell'amore di Dio e non anche ripetitori, canali, di esso, sarebbe come voler fermare il corso di un fiume: esso diventerebbe palude, acquitrino. Come la pioggia

cade dal cielo e non vi ritorna senza aver prima irrigato e fatto germogliare i semi

della terra (cf Is 55, 10 s), così l'amore di Dio, effuso nei nostri cuori, non deve

tornare a lui senza aver prima compiuto ciò per cui Dio l'ha effuso e aver portato il suo

frutto.

Il Nuovo Testamento non ha esitazioni nel presentare Gesù come l'Unto di Dio,

nel quale tutte le unzioni antiche hanno trovato il loro compimento. Il titolo di

"Messia", o Cristo, che significa, appunto, Unto, è la prova più chiara di ciò. Ma

lo troviamo anche affermato esplicitamente: «Dio unse di Spirito Santo e

potenza Gesù di Nazaret» (At 10, 38). «Cristo non è stato unto certamente con lo Spirito Santo quando lo Spirito discese su di lui,

appena battezzato, sotto forma di colomba; in quel giorno egli ha voluto prefigurare il suo corpo, cioè la Chiesa, nella quale si riceve lo Spirito Santo, in particolar modo ricevendo il

battesimo. Ma bisogna comprendere che Cristo è stato unto con questa mistica e invisibile unzione nello stesso momento in cui il Verbo di Dio si è fatto carne».

Più che un sacramento unico, l'unzione è presente nella Chiesa come un insieme

di riti sacramentali. Come sacramenti a se stanti, abbiamo la cresima (che attraverso tutte le trasformazioni subite, risale, come attesta il nome, all'antico

rito dell'unzione) e l'unzione degli infermi; come parte di altri sacramenti,

abbiamo: l'unzione battesimale e l'unzione nel sacramento dell'ordine.

«Il mio riavvicinamento alla Chiesa fu dovuto alla cresima che ricordo come un momento decisivo della mia vita. Il giorno in cui ricevetti questo sacramento cambiò qualcosa in me. Nel

momento in cui il vescovo mi unse la fronte sentii un improvviso fremito al cuore e un grande calore nell'anima, come se si fosse acceso un fuoco spento da tempo. Ma quello che mi

impressionò fu il senso di gioia che mi invase, qualcosa mai provato prima».

«Da qualche tempo, nel mettermi in preghiera, invoco lo Spirito Santo su di me. Allora mi sento

venire addosso una forza, una dolcezza (non so come chiamarla), qualcosa che mi attraversa tutto, dal capo ai piedi, anima e corpo, e quando è passato, mi lascia una grande pace e

desiderio di pregare ancora».

«Il Signore ha ricevuto sul suo capo un'unzione profumata (myron), per spirare sulla Chiesa

odore di incorruttibilità».

Se lo Spirito soffia dove vuole e distribuisce i suoi carismi come vuole, egli soffia anche quando vuole. Non si può negare allo Spirito la libertà di soffiare

in certe epoche e ambienti più, o diversamente, che in altri. Vi sono epoche in

cui la presenza dello Spirito si intensifica e si fa più visibile.

L'umiltà custodisce i carismi. I carismi sono operazioni dello Spirito Santo,

faville del fuoco stesso di Dio affidate a noi, per la Chiesa. Come si fa a non far bruciare questo tesoro e a non bruciarsi le mani con esso? Ecco il compito

dell'umiltà. Essa permette a questa grazia di Dio di passare e di circolare dentro

la Chiesa e dentro l'umanità, senza disperdersi o contaminarsi. Più è alta la

tensione e potente la corrente elettrica che passa attraverso un filo, più deve

essere resistente l'isolante che impedisce alla corrente di scaricarsi al suolo o di provocare corti circuiti. L'umiltà è, nella vita spirituale, il grande isolante che

permette alla corrente divina della grazia di passare attraverso una persona

senza dissiparsi, o, peggio, provocare fiammate di orgoglio e di rivalità.

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Agostino ha fondato su questo la sua opera La città di Dio. Nel mondo

sono in costruzione due città: la città di Babilonia, fondata sull'amore di sé

spinto fino al disprezzo dì Dio, e la città di Dio, la Gerusalemme nuova, fondata

sull'amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé. Ognuno è chiamato a scegliere in

quale dei due cantieri vuole operare. Ogni iniziativa pastorale, ogni missione, ogni impresa religiosa, anche la più santa, può essere o Babele o Pentecoste. È

Babele se uno cerca in essa la propria affermazione, di farsi con essa un nome;

è Pentecoste se cerca con essa la gloria di Dio e l'avvento del suo regno.

L'anima, illuminata dalla grazia, è come l'aria rischiarata dai raggi del sole.

…noi possiamo sempre chiedere allo Spirito Santo di guarirci. Ma se egli non lo fa, non

siamo costretti a concludere che non abbiamo fede, che Dio non ci ama, che ci

castiga, ma solo che ci vuole fare un dono più prezioso, anche se più difficile da accogliere. La salute recuperata, un giorno si perderà di nuovo, ma il merito di aver

sopportato con pazienza resta in eterno.

Ireneo diceva che lo Spirito Santo è quell' "albergatore", a cui il buon samaritano,

Cristo, affida l'umanità ferita, perché si prenda cura di lei.

A differenza dei carismi, che sono opera esclusiva dello Spirito, che li dà a chi vuole e

quando vuole, i frutti sono il risultato di una collaborazione tra la grazia e la libertà.

Sono i prodotti che la terra della nostra libertà produce quando accoglie la rugiada

dello Spirito.

…a differenza dei doni dello Spirito che sono diversi da persona a persona, i frutti dello

Spirito sono identici per tutti. Non tutti nella Chiesa possono essere apostoli, profeti,

evangelisti, ma tutti indistintamente, dal primo all'ultimo, possono e debbono essere

caritatevoli, pazienti, umili, pacifici.

Sant'Ignazio di Antiochia, andando a Roma per subirvi il martirio, scriveva: «Io sento

dentro di me un'acqua viva che mormora e dice: Vieni al Padre!». È così che lo Spirito

Santo opera il "ritorno a Dio" di tutte le creature: attirandoci al Padre, suscitando la

nostalgia di lui, mettendo nel cuore dei redenti un desiderio ardente di vedere il suo

volto. Lo Spirito Santo è «la scala della nostra ascesa a Dio».

«Lo Spirito Santo orienta, mediante l'amore, tutta la vita di Gesù verso il Padre nel

compimento della sua volontà. Il Padre invia il suo Figlio (Gal 4, 4) quando Maria lo concepisce per opera dello Spirito Santo (Lc 1, 35). Questi manifesta Gesù come Figlio del Padre nel

battesimo riposando su di lui (cf Lc 3, 21-22; Gv 1, 33). Spinge Gesù nel deserto (cf Mc 1, 12)

da cui egli ritorna "pieno di Spirito Santo" (Lc 4, 1). Egli trasalisce di gioia nello Spirito e benedice il Padre per il suo benevolo disegno (cf Lc 10, 21). Sceglie i suoi apostoli "sotto

l'impulso dello Spirito Santo" (At 1, 2). Scaccia i demoni con lo Spirito di Dio (Mt 12, 28). Si offre egli stesso al Padre "mediante uno Spirito eterno" (Eb 9, 14). Sulla croce "consegna il suo

spirito" nelle mani del Padre (Lc 23, 46). È "in lui" che discende agli inferi (cf 1 Pt 3, 19); è per mezzo suo che è risuscitato (cf Rm 8, 11) e "costituito figlio di Dio con potenza" (Rm 1, 4)».