Il binomio Nazione-Famiglia nel discorso politico americano
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA
TOR VERGATA
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN
LINGUE NELLA SOCIETA' DELL'INFORMAZIONE
TESI IN LINGUA INGLESE
IL BINOMIO NAZIONE-FAMIGLIA NEL DISCORSO
POLITICO AMERICANO
Relatore: Sandra Petroni Chiar.ma Prof.ssa
Laureando: Mirko Saveriano Matr.: 0082213
Anno Accademico 2010-2011
3
INDICE
INTRODUZIONE ............................................................................................................... 5
CAPITOLO I. La metafora concettuale e la blending theory ............................................. 7
1.1 Lingua, linguaggio e linguistica generale ................................................................. 7
1.2 La linguistica cognitiva e la non autonomia del linguaggio ...................................... 7
1.3 La teoria della metafora concettuale ......................................................................... 8
1.4 Classificazione delle metafore concettuali .............................................................. 11
1.4.1 Le metafore strutturali ...................................................................................... 11
1.4.2 Le metafore ontologiche .................................................................................. 12
1.4.3 Le metafore di orientamento ............................................................................ 13
1.5 Gli image-schema ................................................................................................... 14
1.6 Le metafore a livello specifico e a livello generico ................................................ 15
1.7 La blending theory .................................................................................................. 15
1.8 Differenze tra domini concettuali ............................................................................ 16
1.9 I limiti della metafora concettuale ........................................................................... 17
1.10 Come lavora la blending theory ............................................................................ 20
1.11 Tipologie di collegamento tra gli spazi d'ingresso ................................................ 21
1.12 Cosa rende metaforico un blending ....................................................................... 22
1.13 Teorie differenti ma complementari ...................................................................... 23
CAPITOLO II. La metafora nelle argomentazioni politiche ............................................ 25
2.1 La persuasione e la retorica dei politici ................................................................... 25
2.2 La metafora e i discorsi politici ............................................................................... 28
2.2.1 La metafora e i suoi “alleati” ........................................................................... 29
2.3 La personificazione di una nazione ......................................................................... 31
2.4 Gli stati “amici” e “nemici” .................................................................................... 34
2.5 Lakoff e il concetto di nazione-famiglia ................................................................. 36
2.5 Le nazioni “adulte” e le nazioni “bambine” ............................................................ 38
2.6 Giustificare una guerra e reputarla “giusta” ............................................................ 40
4
CAPITOLO III. La ricerca e i risultati .............................................................................. 43
3.1 Il metodo di ricerca e il corpus ................................................................................ 43
3.2 La nazione è famiglia .............................................................................................. 44
3.3 Ronald Reagan (1981-1989) ................................................................................... 49
3.4 George Bush (1989-1993) ....................................................................................... 57
3.5 William J. Clinton (1993-1997) .............................................................................. 62
3.5 George W. Bush (2001-2009) ................................................................................. 69
3.6 Barak Obama (2009) ............................................................................................... 76
CONCLUSIONE .............................................................................................................. 82
BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................. 84
RINGRAZIAMENTI ........................................................................................................ 86
5
INTRODUZIONE
Oggi la politica è la principale fonte di argomenti che riguardano la vita di molte
persone e pertanto è necessario che venga mostrato cosa si nasconde dietro quelle
che sembrano essere semplici affermazioni. Lakoff sostiene nel suo libro “Don’t
think of an elephant!” che i presidenti americani gestiscono il loro governo
facendo riferimento ad una specifica metafora concettuale che vede una nazione
come una famiglia: i cognitivisti dimostrano che la mente umana ha la tendenza a
rappresentare metaforicamente grandi organizzazioni, gruppi sociali o enti
nazionali in termini di gruppi più piccoli come appunto la famiglia, all’interno
della quale la posizione egemone è quella del presidente stesso.
Lakoff, inoltre, afferma che esistono due modelli precisi a cui i presidenti
americani fanno riferimento e sono quelli del “padre severo” e del “genitore
premuroso”. Sono entrambi del tutto validi ma, chiaramente, hanno metodi
educativi ben differenti: il primo è molto più severo, rigido e rigoroso nel rispetto
delle regole e adotta come metodo educativo la punizione; il secondo, invece, è
più disponibile al dialogo, premuroso appunto, e come metodo di educazione
preferisce la responsabilizzazione dei figli alla punizione, proponendo l’empatia
come codice comportamentale valido sia all’interno del nucleo familiare che
all’esterno. Lakoff ritiene inoltre che, tra i due, il modello che riscuote più
successo sia quello del padre severo. Probabilmente questo è dovuto al fatto che in
un contesto socio-economico in deficit, dove l’insicurezza e la paura per il proprio
futuro regnano sovrane, è necessario che un adulto assuma un atteggiamento
molto più severo e che si dimostri all’altezza del compito che gli è stato affidato
riportando ordine e disciplina. Questo tipo di scelta andrebbe ad influire
sull’immagine del presidente stesso che, in questo modo, viene rappresentato
come una persona sicura di sé, responsabile e che sappia riportare la serenità nel
suo Paese conquistando così la benevolenza del suo popolo. In questo contesto è
possibile anche capire i motivi per cui la metafora concettuale che vede una
nazione in termini di una famiglia sia molto efficace: il fatto stesso che esiste una
relazione tra il presidente e i cittadini con le figure del capofamiglia e dei figli fa
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presupporre che ci sia un rapporto di fiducia che lega le due parti. Inoltre, è da
considerare anche che negli Stati Uniti d’America il capo di stato è eletto
direttamente dal popolo e per questo, ragionando in termini metaforici, è chiaro
che un genitore, severo o premuroso che sia, agisce sempre e comunque
nell’interesse dell’intera famiglia. Partendo da questo presupposto, quindi, risulta
più facile capire il motivo per cui il ricorso alla metafora diventa una delle
strategie retoriche più utilizzate nel linguaggio politico: grazie ad essa è possibile
sia spiegare il proprio modo di vedere il mondo, sia convincere gli altri che quello
è l’unico ammissibile, mostrando quindi tutto il suo potere persuasivo.
Le fasi di lavoro per realizzare il presente scritto sono state tre ed è proprio per
questo motivo che è stato deciso di suddividere l’elaborato in tre capitoli. Nel
primo verranno confrontate due teorie che riguardano la metafora concettuale: la
prima è quella risalente agli anni '80 di George Lakoff e Mark Johnson i quali,
attraverso il loro libro Metaphors We Live By, spiegano per la prima volta in che
modo dei concetti astratti vengono compresi ed elaborati dalla mente umana in
termini di altri concetti concreti, ponendo quindi delle relazioni unidirezionali tra
due rappresentazioni mentali; la seconda è quella più moderna di Gilles
Fauconnier e Mark Turner i quali, pur condividendo molti aspetti della teoria
originaria, hanno dimostrato che è possibile porre delle relazioni tra più spazi
mentali e soprattutto che esiste una multidirezionalità di tali connessioni. Nel
secondo capitolo, invece, verrà mostrato attraverso delle citazioni di noti uomini
politici, quali Churchill e G.W. Bush, come la metafora abbinata ad altre strategie
linguistiche, può rivelarsi uno strumento utile per influenzare il giudizio del
pubblico. Nel terzo ed ultimo capitolo, a supporto delle teorie di Lakoff, verranno
analizzati e commentati i discorsi inaugurali dei presidenti americani da Ronald
Reagan a Barak Obama mettendo in evidenza le peculiarità linguistiche e
semantiche che li caratterizzano.
7
CAPITOLO I. La metafora concettuale e la blending theory
1.1 Lingua, linguaggio e linguistica generale
La linguistica è una disciplina descrittiva che studia scientificamente il linguaggio
umano, cioè studia gli elementi che influenzano il linguaggio di un uomo che
compie un certo tipo di discorso. Per descrittiva si intende che il compito della
linguistica non è quello di spiegare ciò che si può dire o meno, ma ciò che
effettivamente si dice. Per quanto riguarda il linguaggio, in questa trattazione
viene inteso come linguaggio naturale ossia come il sistema di comunicazione
usato dall'uomo per trasmettere informazioni ad un destinatario. Quindi è
differente dalla definizione di lingua con la quale intendiamo la forma che assume
questo sistema di comunicazione all'interno di una comunità linguistica.
Negli ultimi decenni, con gli studi di Lakoff e Johnsonn, la linguistica generale ha
ampliato i suoi obiettivi, tentando così di spiegare in che modo un certo tipo di
linguaggio viene utilizzato per rappresentare concetti che l'uomo crea all'interno
della sua mente. Cerca, inoltre, di sottolineare gli elementi che collegano questi
concetti astratti alle espressioni linguistiche che vengono effettivamente utilizzate.
Con queste motivazioni la linguistica inizia a lavorare a livello cognitivo, cioè
spiega in che modo la mente umana raccoglie informazioni dal mondo esterno per
rielaborarle successivamente. E' per questo che prende il nome di linguistica
cognitiva.
1.2 La linguistica cognitiva e la non autonomia del linguaggio
Nella linguistica cognitiva il linguaggio non è visto come un qualcosa di
autonomo, quindi non può esserci una facoltà linguistica che sia indipendente
dalle capacità cognitive umane. Questo significa che la mente non è modulare,
cioè non è strutturata in moduli autonomi dedicati a facoltà diverse dell'essere
umano. Il fatto che nella linguistica cognitiva il linguaggio non sia autonomo, non
implica che non c'è possibilità per un uomo di apprenderlo, infatti questo processo
8
deriva da altre capacità cognitive precedenti che si aggiungono con lo sviluppo
fisico e sociale dell'uomo (Langacker, 1999a, p. 26):
"Of course, I am not assuming pure induction starting from a
blank slate. The acquisition process is part and parcel of the
physical, cognitive, social and cultural development of the
language learner, and reflects an innate predisposition to learn
language. This predisposition most likely represents the
specialization and adaptation for language of more basic and
general structures and abilities."
Le capacità cognitive sono condizionate dalle dimensioni fisiche dell'essere
umano. Infatti, la mente è tutt'uno con il corpo, come si dice in gergo è embodied,
ed è influenzata da due fattori: il primo è quello della sua grandezza fisica e il
secondo è quello della dimensione, della struttura corporea in generale e dalle
leggi del mondo circostante, come per esempio la forza di gravità. La linguistica
cognitiva si pone l'obiettivo di indagare la relazione tra struttura del linguaggio e
la sua motivazione cognitiva. Le dimensioni interne ed esterne all'individuo sono
fondamentali per strutturare il linguaggio, perché determinano i tipi di metafora
che daranno poi luogo alle forme grammaticali.
1.3 La teoria della metafora concettuale
Si inizierà ad introdurre il concetto di "metafora concettuale" analizzando le sue
origini attraverso lo studio della prima teoria realizzata da Lakoff e Johnson a
partire dagli anni '80, sottolineando le caratteristiche principali e la sua
classificazione riportando esempi tratti da varie opere di analisi linguistica, e del
confronto con un'altra teoria più moderna come quella della blending theory i cui
padri fondatori sono Fauconnier e Turner che dal 1994 analizzano in maniera più
9
dettagliata l'uso della metafora concettuale in particolari contesti della vita
quotidiana.
Gli studi sulla metafora hanno avuto un forte impulso negli ultimi anni, anche in
ambiti diversi della linguistica. Grazie alla sua natura concettuale, la metafora
ricopre un ruolo fondamentale nella linguistica cognitiva e permette uno studio
più accurato del significato delle forme grammaticali. La teoria della metafora
concettuale viene elaborata soprattutto da Lakoff e Johnson negli anni '80, i quali
affermano che la metafora rappresenta la connessione tra la semantica, che per
natura è astratta e propria di un codice complesso come la lingua, e la base
cognitiva che informa la nostra conoscenza. Da questo punto di vista, la metafora
è descritta come uno strumento cognitivo che permette ad un dominio concettuale
concreto, definito come dominio di partenza, o source domain, di interpretare ed
elaborare concetti più astratti appartenenti a un dominio di arrivo, chiamato target
domain.
E' molto importante fare una distinzione tra metafora concettuale e espressione
linguistica metaforica: quest'ultima è composta da parole o espressioni
linguistiche che provengono direttamente da un linguaggio o una terminologia di
un dominio concettuale più concreto.
Consideriamo gli esempi seguenti:
AN ARGUMENT IS WAR
Your claims are indefensible.
I demolished his arguments.
He shot down all of my arguments.
LOVE IS A JOURNEY
Look how far we've come.
I don't think this relationship is going anywhere.
We'll just have to go our separate ways.
THEORIES ARE BUILDING
Is that foundation for your theory?
We need to construct a strong argument for that.
The theory needs more support.
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Dallo schema sopra possiamo notare come sia strutturata la metafora concettuale:
l'elemento A è B, dove B è compreso attraverso termini selezionati dal dominio
concettuale di A. Nel primo esempio, la metafora concettuale è "AN
ARGUMENT IS A WAR" dove l'elemento A è rappresentato da ARGUMENT e
l'elemento B da WAR. L'espressione metaforica linguistica invece è la messa in
pratica della metafora concettuale come può essere appunto la frase "Your claims
are indefesible".
C'è un insieme di corrispondenze tra il source domain e il target domain: agli
elementi costituenti del primo dominio corrispondono altri elementi del secondo.
Questo gruppo di relazioni viene definito col termine mappings. Osserviamo
l'esempio seguente relativo alla metafora concettuale LOVE IS A JOURNEY :
Source domain: JOURNEY Target domain: LOVE
The travelers => The lovers
The vehicle => The love relationship itself
The journey => Events in the relationship
The distance covered => The progress made
The obstacles encountered => The difficulties experienced
Decisions about which way to go => Choices about what to do
The destination of the journey => The goal(s) of the relationship
Dallo schema sopra indicato possiamo capire quanto sia importante conoscere una
metafora concettuale e l'insieme delle relazioni che collegano i due domini in
quanto sono queste che forniscono gran parte del significato delle espressioni
linguistiche metaforiche di una particolare metafora concettuale.
Come accennato in precedenza, la natura del source e del target domain è diversa.
Il primo riguarda elementi che appartengono al mondo concreto e pertanto include
elementi che si riferiscono ad argomenti come il corpo umano, salute e malattia,
animali, macchine e strumenti, edifici e costruzioni, piante, giochi e sport, cibo,
transazioni economiche, luce e oscurità. Il secondo invece si riferisce ad elementi
astratti della vita quotidiana come le emozioni, desideri, società, religione,
politica, economia, relazioni umane, tempo, vita e morte.
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E' importante notare che le metafore concettuali hanno una caratteristica
fondamentale, quella, cioè, di essere unidirezionali: partono dal dominio concreto
e vanno verso il dominio astratto e questo permette di spiegare concetti intangibili
del target domain, e quindi difficili da comprendere, attraverso elementi concreti
appartenenti al source domain.
1.4 Classificazione delle metafore concettuali
Esistono vari modi per classificare una metafora concettuale a seconda del punto
di vista dal quale la si analizza. In base alla loro funzione cognitiva, esse si
distinguono in strutturali, ontologiche e di orientamento.
1.4.1 Le metafore strutturali
Nelle metafore strutturali, il source domain fornisce una buona struttura del
concetto del target domain. La funzione cognitiva di questo tipo di metafora è
quella di permettere al parlante di comprendere un concetto A tramite il
significato della struttura del concetto B. Per esempio, nel caso della metafora
TIME IS MOTION possiamo comprendere la nozione di tempo attraverso
elementi di base come oggetti fisici, la loro posizione e la direzione del loro
movimento.
Ma c'è anche una condizione di fondo che si applica a questo esempio: il tempo
presente è allo stesso livello di un osservatore canonico. Quindi dati gli elementi
di base e analizzata la condizione di fondo, otteniamo il seguente insieme di
mappings:
I tempi sono oggetti.
Il passare del tempo è movimento.
I tempi futuri sono davanti all'osservatore, mentre quelli passati sono
dietro.
Un oggetto è in movimento, le altre sono ferme.
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La metafora TIME IS MOTION nella lingua inglese è concepita in due modalità
diverse: la prima è TIME PASSING IS MOTION OF AN OBJECT e la seconda
TIME PASSING IS AN OBSERVER'S MOTION OVER A LANDSCAPE.
Queste due versioni possono essere analizzate in esempi come:
TIME PASSING IS MOTION OF AN
OBJECT
TIME PASSING IS AN ABSERVER'S
MOTION OVER A LANDSCAPE
The time for action is arrived. He passed the time happily.
I'm looking ahead to Christmas. We're coming up on Christmas.
The time will come when ... We're getting close to Christmas.
On the preceding day ... There's going to be trouble along the road.
Nel primo caso, l'osservatore è fisso e i riferimenti temporali sono oggetti
indipendenti che si muovono in varie direzioni. Nel secondo invece, i tempi sono
fissi ed è l'osservatore che si muove in relazione al tempo.
Da quanto detto, si capisce quanto queste metafore siano importanti perché
forniscono un tipo di struttura che ci permette di comprendere espressioni che
fanno riferimento a concetti astratti.
1.4.2 Le metafore ontologiche
Le metafore ontologiche, rispetto a quelle strutturali, forniscono una minore
struttura cognitiva. La funzione principale di questo tipo di metafore è quella di
dare un valore ontologico ai concetti astratti. Questo significa che noi concepiamo
le nostre esperienze in termini di oggetti, sostanze e contenitori senza però
specificare esattamente a che tipo di oggetti, sostanze o contenitori si intendono.
In altre parole, le metafore ontologiche permettono di vedere una struttura ben
delineata dove essa è molto sottile o addirittura assente:
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Source Domain Target Domain
PHYSICAL OBJECTS => NONPHYSICAL OR ABSTRACT
ENTITIES (e.g., the mind)
=> EVENTS (e.g., going to the race),
ACTION (e.g., giving someone a call)
SUBSTANCE => ACTIVITIES (e.g., a lot of running in the
game)
CONTAINER => UNDELINEATED AND PHYSICAL
OBJECTS (e.g., a clearing in the forest)
=> PHYSICAL AND NONPHYSICAL
SURFACES (e.g., land areas, the visual
field)
=> STATES (e.g., to be in love)
Dagli esempi sopra citati notiamo come concetti astratti prendono vita, o
comunque acquisiscono qualità attribuibili ad un essere vivente. Questa
importante caratteristica è chiamata personificazione e permette, appunto di
assegnare abilità umane a entità astratte. E' molto utilizzata in letteratura, ma è
molto frequente anche nell'uso quotidiano come mostrano le espressioni seguenti:
Life has cheated me.
Inflation is eating up our profits.
The computer went dead on me.
Cancer finally caught up with him.
La personificazione, come si può notare, utilizza uno dei domini di partenza più
produttivi che esistono: noi stessi, o meglio, il corpo umano. Tramite l'ausilio di
questo strumento, possiamo comprendere meglio concetti legati ad entità astratte.
1.4.3 Le metafore di orientamento
Le metafore di orientamento, rispetto alle precedenti, forniscono una struttura per
i concetti d'arrivo ancora più minuta e la sua funzione è quella di rendere i
concetti astratti in maniera coerente con il nostro sistema concettuale. Il termine
"orientamento" deriva dal fatto che molte metafore che hanno questa funzione
utilizzano parole che si riferiscono all'orientamento spaziale umano come
"up/down", "center/periphery", e così via.
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Osserviamo lo schema seguente:
MORE IS UP; LESS IS DOWN: Speak up, please. Keep your voice down,
please.
HEALTHY IS UP; SICK IS DOWN: Lazarus rose from the dead. He fell ill
CONSCIOUS IS UP; UNCONSCIOUS IS DOWN: Wake up. He sank into a coma.
CONTROL IS UP; LACK OF CONTROL IS DOWN: I'm on top of the situation. He's under my
control.
HAPPY IS UP; SAD IS DOWN: I'm feeling up today. He's really low these
days.
VIRTUE IS UP; LACK OF VIRTUE IS DOWN: She's an upstanding citizen. That was a
low-down thing to do.
RATIONAL IS UP; NONRATIONAL IS DOWN: The discussion fell to an emotional level.
He couldn't rise above his emotions.
Leggendo gli esempi notiamo come cambia la valutazione delle espressioni usate.
Infatti, le formule utilizzate con un orientamento verso l'alto hanno un valore
positivo, mentre quelle che hanno un orientamento verso il basso sono valutate
negativamente.
1.5 Gli image-schema
Le metafore si possono fondare sia su conoscenze personali che su immagini.
Infatti, un altro importante strumento della linguistica cognitiva è l’image-schema,
nel quale non ci sono elementi concettuali da trasferire dal dominio di partenza
verso quello di arrivo, ma elementi concettuali provenienti da immagini della
nostra esperienza di vita. Lo stesso Johnson definì gli image-schema "dinamic
patterns that function somewhat like the abstract structure of an image, and
thereby connect up a vast range of different experiences tha manifest the same
recurrent structure" (1987, p. 13).
Alcuni esempi di metafore basati su image-schema sono:
Image-schema Estensioni metaforiche In-out I'm out of money
Front-back He's an up-front kind of guy
Up-down I'm feeling low
Motion He just went crazy
15
Una cosa molto importante da dire è che questi possono essere utilizzati come
basi per spiegare altri tipi di concetti. L'esempio relativo al movimento ci guida
verso il concetto di un viaggio al quale partecipa un individuo che parte da un
luogo e compie un determinato tragitto fino al punto d'arrivo.
1.6 Le metafore a livello specifico e a livello generico
Le metafore concettuali possono essere classificate anche secondo il loro livello di
generalità. In questo contesto, possiamo distinguere due tipi di metafore: il primo
fa riferimento a concetti di livello specifico, mentre il secondo a quelli di livello
generico. Metafore come LIFE IS A JOURNEY, AN ARGUMENT IS WAR,
IDEAS ARE FOOD sono strutturate con elementi molto dettagliati (nel caso del
JOURNEY notiamo elementi come la strada, i viaggiatori, la meta, il mezzo) e
pertanto le classifichiamo come metafore di livello specifico.
Per quanto riguarda metafore come EVENTS ARE ACTIONS, GENERIC IS
SPECIFIC, possiamo dire che sono caratterizzate da una struttura molto semplice
con pochi elementi concettuali e con proprietà elementari. Pertanto sono definite
metafore di livello generico.
1.7 La blending theory
Finora abbiamo visto come la teoria della metafora concettuale, che ha origine
negli anni '80 con Lakoff e Johnson, sia divenuta oggetto di studio della
linguistica cognitiva. Questa, però, si è sviluppata in diversi campi ed ha ampliato
i suoi orizzonti con quella che viene chiamata blending theory, o meglio
integrazione concettuale e condivide molti aspetti con la sua forma originaria:
entrambe le teorie parlano della metafora come un fenomeno puramente
linguistico, includono proiezioni sistematiche di linguaggi, immagini e strutture
inferenziali tra i domini concettuali e così via. Tuttavia, ci sono delle differenze
16
sostanziali tra le due teorie. Quella della metafora concettuale, che d'ora in poi
chiameremo CMT, pone delle relazioni tra due rappresentazioni mentali, mentre
la teoria del blending, che chiameremo BT, ne permette un numero maggiore;
inoltre, la CMT ha definito la metafora come un fenomeno strettamente
unidirezionale a differenza della BT che invece la descrive in maniera
multidirezionale.
1.8 Differenze tra domini concettuali
Come già accennato, nella CMT le metafore concettuali sono analizzate come
relazioni stabili e sistematiche tra due domini concettuali. Consideriamo la
seguente espressione:
The committee has kept me in the dark about this matter.
Gli elementi dei domini di partenza e di arrivo sono stati scelti attraverso una
combinazione tra il linguaggio utilizzato e una metafora concettuale pertinente,
con una mappatura di relazioni che ci indicano in che modo si delineano i due
domini. Ed è proprio grazie a quest'ultima che riusciamo a capire che l'ignoranza è
associata con l'oscurità, così come altre condizioni precludono la vista. Infatti,
stabilita la connessione tra percezione visiva con l'attività intellettuale, quasi ogni
concetto relativo ad una visione dell'esperienza viene associato ad un interlocutore
con delle idee chiare su un determinato argomento.
In questo contesto, la BT si comporta diversamente in quanto l'unità di base
dell'organizzazione cognitiva non è il dominio concettuale, ma lo spazio mentale,
una struttura di rappresentazione parziale e temporanea che i parlanti creano
quando parlano di situazioni presenti, passate e future oppure pensano a
determinate immagini. Gli spazi mentali non sono equivalenti ai domini, ma
dipendono comunque da essi, infatti rappresentano particolari scenari che sono
costruiti da domini specifici.
17
Mentre nella CMT la mappatura delle relazioni avviene tra due strutture
concettuali, la BT fa prettamente uso di ben quattro modelli spaziali. Questi sono
composti da due spazi di ingresso (che in genere erano associati ai domini di
partenza e di arrivo), più uno spazio generico, che comprende una struttura
concettuale condivisa dai primi due, ed infine lo spazio "misto" dove gli elementi
dei due spazi di ingresso si combinano e interagiscono tra loro. Va sottolineata,
però, una delle caratteristiche principali di questa organizzazione: il materiale
viene proiettato dai domini di partenza e di arrivo direttamente nello spazio
"misto" e questo va in contrasto col modello della CMT la cui mappatura era
unidirezionale in quanto era proiettata dal dominio di partenza verso quello di
arrivo.
1.9 I limiti della metafora concettuale
La BT ha il vantaggio di poter spiegare fenomeni che la CMT con i suoi soli due
domini non è in grado di fare. Osserviamo l'esempio seguente:
This surgeon is a butcher.
L'espressione fa riferimento ad una sorta di incompetenza del chirurgo e per farlo
cerca di utilizzare elementi provenienti dal dominio della macelleria per arrivare
al dominio d'arrivo della chirurgia attraverso una serie di relazioni tra le due parti:
Macellaio <==> Chirurgo
Animali <==> Esseri umani
Merce <==> Paziente
Mannaia <==> Bisturi
18
Il macellaio, senza nulla togliere al prestigio del chirurgo, è comunque
competente nel suo lavoro e deve essere pertanto rispettato. In questo caso quindi,
il concetto di incompetenza non viene trasferito dal dominio di partenza a quello
di arrivo. In che modo, allora, scegliamo la figura del macellaio come
un'appropriata immagine per un chirurgo? E come fanno questi elementi
selezionati a comunicare la nozione di incompetenza? La risposta potrebbe essere
spiegata dal fatto che la selezione dell'immagine di partenza e l'interpretazione
della frase dipendono parzialmente dal contrasto tra chirurghi e macellai. Questo
fattore è un meccanismo che la CMT non è in grado di spiegare. La BT invece,
grazie al suo modello dei quattro spazi, è in grado di motivare il concetto di
incompetenza.
In primo luogo, il blending ottiene alcune strutture da ogni spazio di ingresso.
Dallo spazio input d'arrivo, realizzato dal dominio della chirurgia, eredita alcuni
elementi come l'identità di una particolare persona che deve essere operata, per
esempio colui che parla, l'identità di un altro individuo che deve effettuare
l'operazione e quindi il luogo in cui avverrà l'operazione stessa.
Dallo spazio input di partenza, invece, che è guidato dal dominio della macelleria,
ricava il ruolo del macellaio e le attività inerenti al suo lavoro. Nello spazio
generico, vengono condivise alcune proprietà come il fatto che entrambe le figure
lavorative utilizzano strumenti affilati e taglienti per operare su altri esseri.
19
Osservando attentamente lo schema si nota che l'incongruenza del risultato
perseguito dal macellaio con quello del chirurgo porta alla conclusione finale che
il chirurgo è un incompetente. Questa proprietà che deriva dal blending non può
essere ricavata dall'analisi della CMT sulle corrispondenze del dominio di
partenza a quello di arrivo.
20
1.10 Come lavora la blending theory
Le analisi su una metafora concettuale da parte della BT sono basate su tre
processi: composizione, completamento ed elaborazione.
La fase della composizione si riferisce alla proiezione del contenuto di ogni
singola entrata nello spazio misto. A volte questo processo include la "fusione"
degli elementi dei vari input, come nel caso del chirurgo che acquisisce delle
caratteristiche del macellaio. La rappresentazione derivante dalla composizione
potrebbe non essere del tutto realistica, infatti non è ammissibile che un macellaio
possa operare su paziente in una sala operatoria, ma possiamo comunque
manipolare e costruire un'immagine mista affinché la mente crei uno scenario
attendibile.
La seconda fase, cioè del completamento, è quella in cui si compila un modello
all'interno dello spazio misto che verrà poi evocato quando la struttura proiettata
dagli spazi d'ingresso coincide con le informazioni presenti nella nostra memoria
a lungo termine. Per esempio, quando proiettiamo mentalmente un macellaio in
una sala operatoria, introduciamo la nozione di incompetenza per dare un senso
alla scena immaginata: l'idea di un movimento inappropriato e maldestro richiama
alla nostra mente la figura di una persona incompetente. Per questo motivo, spesso
il processo di completamento è fonte di nuovi contenuti deducibili, appunto,
all'interno dello spazio misto.
L'elaborazione, infine, è la prestazione simulata dell'evento a livello mentale. In
questa fase potremmo immaginare la figura del macellaio in una sala operatoria
che opera sul corpo di un paziente, fino ad arrivare ad una scena più violenta in
cui il macellaio fa a brandelli un corpo come se fosse carne di origine animale.
Una volta stabilite tutte le connessioni della nostra conoscenza riguardo alle
operazioni chirurgiche e alla macelleria, siamo in grado di immaginare scenari che
si dilungano verso innumerevoli prospettive.
21
All'interno di ognuna di queste fasi c'è un potenziale contenuto che non può essere
ricavato semplicemente attraverso gli spazi d'ingresso. Nuovi frame e
caratteristiche nascono tutti quando si combinano elementi provenienti da spazi
mentali distinti.
1.11 Tipologie di collegamento tra gli spazi d'ingresso
Osservando con attenzione le modalità di analisi della BT si può notare
l'importanza delle connessioni tra i due spazi d'ingresso, in quanto è questa rete di
relazioni che permette di costruire il blending finale. E' per questo motivo che è
necessario approfondire le tipologie dei collegamenti tra le controparti.
La prima forma di collegamento, come nel caso di un individuo "kept in the dark
by the committee", la relazione è tra due identità: la prima si riferisce al soggetto
"tenuto nell'oscurità" presente nel primo input e la seconda a quello che "non è
informato sui fatti". In questo caso, lo stesso soggetto è rappresentato in entrambi
gli spazi d'ingresso e sono collegati tra loro in modo tale che possano aiutarci a
capire e interpretare il risultato finale del blending.
Un altro tipo di connessione tra spazi mentali diversi è quella che si riferisce al
ruolo e al valore delle controparti. Ricordiamo l'esempio del chirurgo e del
macellaio che vengono accostati per via di alcuni elementi in comune. In questo
contesto, è fondamentale l'uso di strumenti come la somiglianza e l'analogia che
giocano un ruolo importantissimo nell'integrazione concettuale, pertanto il
chirurgo e il macellaio condividono la struttura generica di un individuo che
utilizza un attrezzo affilato per svolgere il proprio lavoro.
Esiste un terzo tipo di connessione e si riferisce a tutte quelle metafore che non
sono basate né su somiglianza né su analogia, ma sono fondate su relazioni
d'esperienza. Proprio per questo motivo vengono definite metafore primarie.
22
Un esempio potrebbe essere HAPPINESS IS BRIGHTNESS, in cui la felicità è
associata al calore e all'aumento della visibilità, entrambi aspetti di una particolare
dimensione di esperienza.
Un ultimo tipo di collegamento tra gli spazi mentali è quello dell'associazione
metonimica. Per esempio, quando pensiamo alla morte come uno scheletro con
una falce utilizziamo un'elaborata immagine metaforica che si ricava dall'aggiunta
di dettagli derivati da una mappatura anch'essa metaforica: gli scheletri appaiono
in scenari in cui la morte è il concetto di fondo e grazie al principio di relazione
metonimica, lo scheletro diventa inevitabilmente il soggetto più vicino
all'immagine della morte.
1.12 Cosa rende metaforico un blending
Finora è stato spiegato come la BT opera sulle espressioni metaforiche, ma non è
stato riferito in che modo una proprietà del blending rende metaforica
un'espressione linguistica. Alcune volte il risultato finale dipende dalla relazione
tra le controparti dettate da associazioni metaforiche convenzionali, ma ci sono
aspetti della loro struttura, del loro contenuto e della loro impostazione linguistica,
che le rendono metaforiche ai nostri occhi.
Gli spazi d'ingresso proiettano nel blending gli elementi più importanti che
verranno poi fusi in un'unica entità. Quindi un singolo elemento corrisponde ad un
altro in ognuno degli spazi d'ingresso.
23
Molto importante è la questione legata alla fusione nel "framing", che è una
variante del processo di integrazione concettuale. In questa circostanza si
identifica una particolare entità in una struttura concettuale più ampia. Per
esempio, la frase "Carl is a bachelor" è il risultato di un processo concettuale che
prevede un uomo di nome Carl associato al nostro modello culturale di una
persona celibe, che a sua volta deve fare riferimento ad un nostro modello di
matrimonio. Il risultato finale di tale operazione è che il soggetto della frase, Carl,
viene fuso con la struttura del ruolo di essere celibe. Questo esempio, così come i
frame in generale, non viene percepito in senso metaforico in quanto è solo una
semplice variante della fusione, infatti alcuni elementi delle relazioni tra gli spazi
mentali vengono combinati attraverso il processo di composizione all'interno dello
spazio misto.
I blending metaforici invece coinvolgono differenti tipi di fusione e talvolta alcuni
aspetti importanti provenienti dalla struttura di un dominio d'ingresso non
vengono inseriti all'interno del blending e quindi ignorati. Questo è necessario
perché nella maggior parte delle espressioni metaforiche l'elemento incompatibile
tra il dominio di partenza e quello di arrivo è ciò di cui abbiamo bisogno per dare
alla frase un valore metaforico.
1.13 Teorie differenti ma complementari
Dopo aver illustrato il metodo di lavoro di entrambe le teorie, qualcuno potrebbe
decidere di seguirne solo una in quanto queste hanno una differente visione della
metafora. Del resto, abbiamo potuto constatare che la CMT si concentra su
strutture di modelli ricorrenti del linguaggio figurativo, mentre la BT focalizza la
sua attenzione su casi particolari individuali. Inoltre, la CMT spiega in che modo
operano le strutture di conoscenza rappresentate nella memoria a lungo termine, a
differenza della BT che analizza l'evoluzione diretta delle rappresentazioni
mentali del parlante.
24
Se si riuscisse a trovare dei collegamenti che rendano la CMT e la BT più vicine,
il risultato finale dell'analisi di una metafora sarebbe stupefacente. Infatti, con gli
strumenti della blending theory, quali il legame tra le identità, la relazione per
somiglianza e analogia, è possibile spiegare in dettaglio concetti mentali che la
CMT analizza nelle sue forme più ristrette del dominio fonte e quello di arrivo.
Inoltre la CMT ha sottolineato l'importanza delle metafore per quanto riguarda la
struttura dei concetti astratti con dei modelli cognitivi che derivano da un dominio
di partenza più concreto. In questo senso la BT ha sviluppato un'abilità nello
spiegare gli stessi concetti astratti con un altro strumento che è, appunto, lo spazio
misto dove conferiscono le caratteristiche più importanti utili alla comprensione
dell'espressione metaforica.
Le due teorie continuano ed essere diverse, ma parallele, in quanto hanno in
comune l'obiettivo di spiegare gli stessi concetti: i sostenitori della CMT tentano
di ottenere delle generalizzazioni attraverso una grande varietà di espressioni
metaforiche, mentre i sostenitori della BT si concentrano su esempi individuali
particolari.
La base del problema sta nel fatto che la CMT è utile all'impostazione iniziale
della struttura dei due domini, quindi continuerà a porsi domande come quali
concetti sono convenzionalmente legati ad altri, come e perché questi legami
nascono e, infine, in che modo la mappatura delle relazioni deve essere costruita.
Dall'altro lato, invece, la BT mostra tutta la sua forza nel dimostrare in che modo
si crea un blending metaforico, cioè attraverso uno schema basato su quattro spazi
dai quali vengono selezionati gli elementi più importanti che daranno origine
all'espressione metaforica. L'obiettivo del confronto tra le due teorie era quello di
dimostrare che per comprendere a pieno titolo una metafora necessitiamo di una
completa conoscenza sia del modello della metafora concettuale che del modello
specifico del blending concettuale. Questo perché, dal mio punto di vista,
entrambi i modelli si completano a vicenda: il primo fornisce una struttura
generale che servirà al secondo per analizzare più a fondo una determinata
espressione linguistica metaforica utilizzando tecniche più specifiche.
25
CAPITOLO II. La metafora nelle argomentazioni politiche
2.1 La persuasione e la retorica dei politici
In questo capitolo si mostrerà il modo in cui i politici usano la metafora come uno
strumento utile a trasferire il loro modo di pensare affinché questo possa essere
condiviso dalla maggior parte delle persone confermando, quindi, la loro
leadership. Ma in cosa consiste questa superiorità di alcuni politici su altri? Burns
lo spiega dicendo:
“Leadership over human beings is exercised when persons with
certain motives and purpose mobilize, in competition or conflict
with others, institutional, political, psychological, and other
resources so as to arouse, engage, and satisfy the motives of
followers.” (1978: 18)
Si può dedurre, quindi, che nei più solidi stati democratici il linguaggio è lo
strumento che viene utilizzato per mobilitare una massa di persone quanto più
ampia possibile ed è proprio grazie alla loro capacità linguistica che i leader hanno
la possibilità di legittimare la loro superiorità.
Il pubblico, però, non sempre è così facile da conquistare. Quasi sempre si ha la
tendenza a giudicare i propri rappresentanti politici dalla loro “estetica”, cioè dai
loro atteggiamenti, dalla loro gestualità, dal loro modo di vestire ma soprattutto da
impressioni complessive che coinvolgono la moralità del politico in questione,
come per esempio l’onestà e l’affidabilità. In questo contesto la scelta
comportamentale da parte dei politici cambia anche a seconda del mezzo di
comunicazione utilizzato per esporre le proprie idee e i propri valori. Basti
pensare al fatto che un intervento in televisione è ben diverso da uno fatto in
radio, in quanto la gestualità in quest’ultimo non è visibile e, pertanto, non
giudicabile. Ciò che conta in questo caso è la capacità persuasiva del loro discorso
ed è proprio qui che entra in gioco il linguaggio metaforico e con esso la retorica.
26
Non si confonda, però, quest’ultima con la capacità di persuasione. Anche se
minima, la differenza è fondamentale: la retorica si riferisce all’atto di
comunicazione solamente dal punto di vista di chi ascolta, mentre la persuasione
si riferisce sia alle intenzioni di chi parla sia ai risultati positivi che da essa
derivano1. E’ ovvio, quindi, che il pubblico è persuaso solamente nel caso in cui la
retorica del parlante ha avuto successo.
Nei discorsi politici, ogni evento comunicativo ha come scopo quello di
persuadere la maggior parte delle persone che ascoltano per conquistare la loro
fiducia e di conseguenza il loro appoggio per eventuali manovre di governo o
semplici elezioni. A titolo di esempio, le campagne elettorali nelle grandi piazze
di città e paesi non sono altro che eventi comunicativi organizzati con lo scopo di
ottenere, e quindi persuadere, il giudizio positivo del pubblico.
La persuasione, però, è un processo comunicativo interattivo nel quale colui che
invia il messaggio punta a influenzare le credenze, attitudini e i comportamenti di
chi ascolta. E’ importante distinguere in maniera chiara i diversi ruoli che
intervengono nel processo comunicativo. Il primo è attivo ed è quello interpretato
da colui che invia il messaggio il quale è caratterizzato da una proprietà
persuasiva, che non è il risultato di un fenomeno casuale, ma scaturisce dalle
intenzioni del parlante. Lo stesso Jamieson afferma:
“Intention is a kind of focussing device in the imaginative
consciousness; it concentrates and thus it excludes; it is a
selective device, selecting an image to be raised into
consciousness from a range of alternatives. Without intention,
nothing has prominence, therefore one has to intend when one
imagines.” (1985: 49)
1 A tal proposito si distinguano l’atto illocutorio inteso come l’azione che viene effettivamente
compiuta proferendo l’enunciato (affermazione, promessa, ordine, avvertimento, ecc.) e l’atto
perlucutorio corrispondente all’obiettivo intrinseco ottenuto con l’atto illocutorio.
27
Il secondo ruolo è quello passivo di colui che ascolta e, se la persuasione ha
successo, il messaggio deve coincidere con le sue volontà e le sue necessità.
Affinché il messaggio persuasivo abbia successo, il parlante ha a disposizione due
diverse strategie che influenzano il giudizio del pubblico, cioè quelle di
confermare o mettere in discussione le credenze, attitudini o comportamenti di
coloro che ascoltano.
Un buon “persuasore”, per definirsi tale, deve essere in grado di comprendere a
pieno le necessità del suo pubblico e capire i valori che lo mobilitano, per poi
aggiungerne di nuovi e fare in modo, poi, che questi vengano accettati. Questo
processo, però, non è facile da attuare come si può immaginare: le persone, infatti,
tendono a rigettare i cambiamenti perché comportano ulteriori rischi che possono
potenzialmente compromettere un eventuale equilibrio socio-economico già
precario. Jowett e O’Donnell lo spiegano in questo modo:
“People are reluctant to change; thus, in order to convince them
to do so, the persuader has to relate change to something in
which the persuadee already believes.” (1992: 22-3)
A seguito di uno studio linguistico sui discorsi politici, si evince che uno degli
strumenti più utilizzati per persuadere gli ascoltatori sia la metafora, considerata
dagli stessi Jowett e O’Donnell una vera e propria “àncora”, un punto di partenza
per un cambiamento che rappresenta qualcosa che è già largamente accettato da
un’intera comunità.
La metafora, nei discorsi politici, è fondamentale perché permette ad un
potenziale leader di comunicare attraverso quella che viene definita da Jowett e
O’Donnell “the voice within”, una voce interna che crea rappresentazioni
evocative negli ascoltatori suscitando delle emozioni che li porteranno ad avere un
feeling con colui che parla, ammesso che la persuasione abbia successo. Nel
paragrafo successivo capiremo meglio come prende forma questo processo e
28
perché è così importante la metafora come mezzo di comunicazione in ambito
politico.
2.2 La metafora e i discorsi politici
Capita quotidianamente di ascoltare in tv o in radio degli interventi da parte di
alcuni politici che usano espressioni puramente metaforiche, ma difficilmente ci si
chiede per quale motivo siano così diffuse e soprattutto in che modo vengano
selezionate alcune metafore piuttosto che altre. Innanzi tutto va precisato che la
metafora è strettamente legata all’ideologia e al mito.
Jonathan Charteris-Black, infatti, ci propone degli elementi comuni come, per
esempio, quello della funzione di persuasione del discorso o delle potenzialità
espressive che coinvolgono chi ascolta sia a livello emotivo che a quello
cognitivo. Egli, inoltre, afferma:
“They differ in the extent to which appeals is made to conscious
cognition or to unconscious association. As with reasoned
argument, ideology appeals through consciously formed set of
beliefs, attitudes and values while myth appeals to our emotion
through unconsciously formed sets of beliefs, attitudes and
values.”
Da questa affermazione, si può capire l’importanza della metafora che, in questo
contesto, risulta essere lo strumento di mediazione tra cognizione ed emozione,
col fine di creare una prospettiva morale sulla vita. In altre parole, la metafora
utilizza un certo tipo di linguaggio per suscitare delle emozioni inconsce che
influiranno sui valori che diamo alle nostre idee per reputarle, infine, giuste o
sbagliate. Tutto questo avviene grazie a delle associazioni, negative o positive,
che vengono trasferite dalle parole utilizzate alla metafora finale.
Una volta chiarito questo, il motivo per cui viene utilizzata la metafora come
strumento cardine per influenzare il giudizio del pubblico diventa ovvio:
29
legittimare le manovre di governo facendo leva su un sistema di valori morali,
sociali e culturali preesistenti nella mente umana.
2.2.1 La metafora e i suoi “alleati”
I politici molto spesso, oltre alla metafora, si avvalgono anche di altri strumenti
linguistici per essere sempre più persuasivi e riscuotere maggiore successo col
fine di legittimare le proprie idee. I potenziali leader, infatti, hanno la tendenza ad
usare la metafora per dare un valore positivo al loro modo di fare politica e di
conseguenza cercano di screditare quello di eventuali concorrenti e oppositori. Lo
stesso Chilton spiega quanto segue:
“Political discourse involves, among other things, the
promotion of representation, and a pervasive feature of
representation is the evident need for political speakers to imbue
their utterances with evidence, authority and truth, a process
that we shall refer to in broad terms, in the context of political
discourse, as legitimisation”. (2004: 23)
Rendere legittime le proprie idee non è l’unica strategia attuata dai politici, infatti
nella maggior parte dei casi troviamo anche espressioni di delegittimazione, cioè
frasi che intendono mettere in cattiva luce le idee e le opinioni degli altri. Questo
può avvenire attraverso una presentazione negativa delle politiche degli
oppositori, attaccando la loro razionalità e il loro buon senso.
Fare politica, linguisticamente parlando, significa suscitare delle emozioni
particolari nella coscienza di chi ascolta attraverso atti di comunicazione, cercare
di inserire nella mente del popolo una visione del mondo che il popolo stesso non
è abituato a vedere e apportare nuovi valori e credi socio-culturali affinché questi
vengano accettati dalla comunità. In tutto questo la metafora, grazie alle proprietà
della “voice within”, sembra essere l’unico strumento in grado di influenzare il
30
giudizio del pubblico suscitando nuove emozioni e portando al successo le
intenzioni persuasive del parlante.
Un’ulteriore strategia usata dai politici per conquistare un pubblico più ampio è
quello che riguarda la relazione del contrasto semantico. Associando le metafore
ad espressioni che danno un valore positivo o negativo ad eventuali manovre
politiche si mettono in evidenza sia le cose giuste che quelle sbagliate. Questo
contrasto tra bene e male guida chi ascolta verso l’accettazione delle idee che il
parlante cerca di trasmettere fino ad esserne completamente persuasi. Questa
strategia fu di vitale importanza per molti importanti uomini politici del calibro di
Winston Churchill che approfondiremo nei prossimi paragrafi.
Le tipologie di metafore più gettonate nei discorsi politici sono essenzialmente
due, cioè quelle che definiamo “metafore del viaggio” utilizzate, ad esempio, nel
primo capitolo riguardo alla metafora concettuale LOVE IS A JOURNEY, e le
personificazioni.
Le prime sono molto utilizzate perché evocano un concetto relativo ad un tragitto
da compiere la cui meta è stabilita dagli obiettivi che il politico in questione
intende raggiungere. Inoltre, il viaggio ha uno scopo ben preciso: dare la certezza
agli ascoltatori che si ha un programma di marcia pianificato al minimo dettaglio,
il che trasmette anche una sensazione di maggiore sicurezza ed un minor rischio.
Il fine ultimo di questo tipo di metafora è, prima, quello di dare un valore positivo
alle politiche proposte dal potenziale leader e, dopo, far giudicare negativamente
dal pubblico la possibilità di non essere rappresentati da egli stesso.
Le personificazioni sono anch’esse molto frequenti nei discorsi politici perché
permettono di attribuire sentimenti ed attitudini umane ad entità politiche astratte
come gruppi sociali specifici o ad uno Stato. Non è un caso se nella totalità delle
metafore utilizzate da Churchill il 39% delle occorrenze è occupato dalle
personificazioni che vede la Germania come il nemico nazista e la Britannia come
l’eroe che lotta contro il male.
31
2.3 La personificazione di una nazione
A volte succede che i leader di diversi partiti politici tendono a parlare delle
proprie idee facendo riferimento allo Stato in cui operano come se fosse un’entità
umana in carne ed ossa. Uno dei più grandi esponenti della personificazione in
contesto politico è Winston Churchill, il quale aveva l’obiettivo di creare il mito
dell’eroe rappresentato dalla Gran Bretagna e dai suoi alleati, contrapposto a
quello della Germania nazista di Hitler che rappresentava il male da sconfiggere.
Questo è possibile verificarlo analizzando, per esempio, uno dei suoi discorsi da
Primo Ministro:
“Side by side, unaided except by their kith and kin in the great
Dominions and by the wide empires which rest beneath their
shield – side by side, the British and French people have
advanced to resque not only Europe but mankind from the
foulest and most soul-destroying tyranny which has ever
darkened and stained the pages of history. Behind them – behind
us – behind the Armies and Fleets of Britain and France –
gather a group of shattered States and bludgeoned races: the
Czechs, the Poles, the Norwegians, the Danes, the Dutch, the
Belgians – upon all of whom the long night of barbarism will
descend, unbroken even by a star of hope, unless we conquer, as
conquer we must; as conquer we shall.” (19 maggio 1940)
Come possiamo vedere, nella retorica di Churchill le varie nazioni sono
concettualizzate come esseri umani che partecipano alla guerra con vesti diverse a
seconda del contesto sociale in cui si trovano e quindi vengono classificate come
eroi, vittime e malfattori. Ma quali sono i motivi che spingono Churchill ad usare
quelle espressioni? Perché usa in maniera così frequente la metafora
NAZIONE/STATO E’ PERSONA? A cosa punta quando, nel suo discorso,
chiama in causa anche le altre nazioni europee? Le risposte, in fondo, non sono
così difficili da trovare considerando il momento storico in cui tali parole sono
state pronunciate.
32
Partiamo dall’inizio: Churchill aveva bisogno che il suo pubblico rafforzasse il
senso di patriottismo e che sviluppasse un forte senso del dovere nei confronti
della propria nazione. Per questo motivo ha richiamato il concetto di un eroe che
combatte il male. L’eroe in qualsiasi favola combatte il malfattore non per
ottenerne un beneficio, ma per sottolineare i buoni intenti delle sue azioni. La
motivazione che spinge invece a descrivere così dettagliatamente tutte le nazioni
coinvolte nella guerra è che bisognava creare una maggiore solidità e coesione
sociale facendo leva sull’empatia, un sentimento che permette ad un individuo di
comprendere le emozioni altrui.
Precedentemente è stato spiegato il motivo che porta un politico a fare un
confronto tra bene e male, cioè quello di persuadere il pubblico affinché accetti le
sue idee dando loro un valore positivo e, quindi, discriminando le altre.
Churchill fa ampio uso di questa tecnica, infatti passa da personificazioni di entità
astratte che hanno una valutazione negativa e che sono legati a soggetti anch’essi
giudicati negativamente, a personificazioni che al contrario sono valutate
positivamente, come la libertà, e che sono collegate a soggetti giudicati in maniera
positiva, come appunto la Gran Bretagna e i suoi alleati.
Lo schema seguente è il risultato di un’analisi di Charteris-Black su una serie di
discorsi fatti da Churchill durante i conflitti militari:
Valutazione positiva Totale Valutazione negativa Totale
Nazione/Gruppo politico
France (9)
nations (5)
countries (4) British nation (4)
41 Japan
Germany 3
Concetti astratti
destiny (4)
freedom (4)
justice (2) progress (2)
history (2)
21
Death (4)
war (3)
disaster (2)
woe (2)
17
Gruppi sociali
we/us (11) mankind (4)
motherland (2)
22 foe (3) enemy
evil doers
5
Gruppi militari
British army
French army Navy
9 Gestapo
German Aircraft 2
Ideologia western
democracies 1
Nazi regime
Communism Tyranny (5)
8
Altro 11 4
Totale 105 39
33
Come possiamo notare, Churchill tende a sottolineare molto di più gli elementi
considerati positivi, in particolar modo coinvolge il popolo utilizzando parole
come we o us col fine appunto di rendere partecipe al conflitto anche chi non è in
prima linea, rafforzando così l’unità nazionale e risollevando il morale per chi,
invece, si trova sul campo di battaglia.
Anche se in numero di occorrenze decisamente superiore, la semplice
personificazione di una nazione non è l’unica strategia di Churchill. Egli, infatti,
la abbina alle journey metaphors, cioè utilizza anche forme linguistiche come
road, path, journey, toiling up a hill, forward e march. Si osservi un estratto del
discorso “The Price of Greatness is Responsability”:
“We may be quite sure that this process will be intensified with
every forward step the United States make in wealth and power.
Not only do we march and strive shoulder to shoulder at this
moment under the fire of the enemy on the fields of war or in the
air, but also in those realms of thought which are consecrated to
the rights and the dignity of man. I like to think of British and
Americans moving about freely over each other’s wide estates with
hardly a sense of being foreigners to one another.” (3 settembre
1943)
Da queste parole si può ricavare la metafora concettuale a cui Churchill faceva
riferimento: BRITAIN AND USA ARE TRAVELLING COMPANIONS.
Chiarito questo concetto lo scopo di Churchill appare più chiaro, cioè far scendere
in campo gli Stati Uniti d’America per combattere insieme il male, rappresentato
dalla tirannia nazista di Hitler. E’ importante capire, però, le funzioni che hanno
queste espressioni dal punto di vista linguistico-cognitivo: la prima è quella di
rendere chiaro il concetto che c’è una meta da raggiungere che è, appunto, la
vittoria della guerra e la sconfitta della Germania; la seconda è quella di fornire
l’idea di un viaggio da dover percorrere con qualcun altro che, nel caso specifico,
quel “compagno” è rappresentato dagli Stati Uniti d’America; l’ultima funzione è
34
quella di autorizzare tutti i potenziali alleati ad entrare nel suo territorio. Queste
tre funzioni risaltano quelle che sono le vere intenzioni di Churchill: chiedere
aiuto a chiunque possa dare il minimo supporto.
A seguito di quanto detto finora, dovrebbe essere chiaro che la retorica di
Churchill è prettamente persuasiva, ricca di concetti e intenzioni ben definite che
implicano una reazione emotiva e comportamentale in chiunque lo ascolti. Non è
un caso, infatti, che gli Stati Uniti abbiano deciso di entrare in guerra in soccorso
degli Stati europei e lottare contro la Germania di Hitler. A tale proposito non si
intende affermare che solo grazie ai discorsi di Churchill gli americani hanno
deciso di partecipare al conflitto ma, ragionando esclusivamente a livello
linguistico-cognitivo, si potrebbe dire che tali parole avrebbero persuaso
chiunque.
2.4 Gli stati “amici” e “nemici”
Continuando a ragionare sulla metafora concettuale che vede gli stati come
persone, questi possono essere classificati anche in base alla natura della relazione
che lega gli uni agli altri pertanto possono definirsi “stati amici” e “stati nemici”.
Nel paragrafo precedente è stato illustrato il metodo di comunicazione di
Churchill: egli rappresentava la Gran Bretagna e i Paesi alleati come se fossero
persone legate tra loro da vincoli di fratellanza e amicizia oltre che da un obiettivo
comune, mentre considerava la Germania, l’Italia e il Giappone degli stati
“nemici”. Si osservi la frase seguente:
“The road to victory may not be so long as we expect. But we
have no right to count upon this. Be it long or short, rough or
smooth, we mean to reach our journey’s end.” (10 agosto 1940)
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Dopo aver analizzato la retorica di Churchill, in questa frase si potrebbe
interpretare la parola we come un modo per appellarsi non solo alle persone che
appartengono al suo Paese, ma anche a quelle degli stati “amici”, cioè a tutti i suoi
alleati. La motivazione che spinge Churchill a tale scelta linguistica è proprio
quella di scatenare una reazione interna che permettesse, a chi ascolta, di
considerare i soldati alleati non come dei forestieri venuti da chissà dove per un
motivo sconosciuto, ma come dei veri e propri amici, se non addirittura parenti,
giunti da lontano per sostenerci.
Questo senso di attaccamento e fiducia reciproca permetteva a tutti di sentirsi più
protetti, più forti. In quel momento storico, gli anni della Grande Guerra, in cui
tutti erano costantemente in pericolo di vita, tali parole suonavano come una dolce
melodia per diversi motivi: primo fra tutti, perché un incoraggiamento a non
arrendersi mai trova sempre un riscontro positivo in chi lo riceve o quanto meno
adempie alla sua funzione; il secondo motivo è quello che riguarda la reazione
non solo morale delle persone che ascoltano, ma anche comportamentale. E’ un
po’ come andare a correre in un parco senza avere la possibilità di ascoltare una
buona musica. Si può correre lo stesso, ovvio, ma una canzone può dare il giusto
ritmo, il giusto passo, migliorando così i nostri tempi e la nostra resistenza.
Sembra chiaro che l’obiettivo di Churchill fosse proprio questo: incoraggiare i
propri soldati e quelli degli stati “amici” a spingere sempre di più verso la fine del
“viaggio” e quindi alla sconfitta della Germania e di tutti gli stati “nemici”.
Anche l’espressione “we march and strive shoulder to shoulder” ha il suo valore
in questo contesto. Con chi si marcia e ci si batte spalla a spalla? Perché vengono
usate queste parole? Il verbo stesso, “battersi”, fa presupporre che ci sia un
nemico, qualcuno o qualcosa che deve essere sconfitto indipendentemente dalla
motivazione. E’ chiaro che nel contesto in cui tali parole furono pronunciate ci si
riferiva ad Hitler e i suoi alleati, ma ciò che sorprende è il processo cognitivo che
Churchill scatena nella mente della gente affinché tutti si sentano membri di un
unico popolo, aumentando il senso di protezione e devozione nei confronti dei
soldati alleati, un sentimento che si può avere solo nei confronti di un “amico”.
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2.5 Lakoff e il concetto di nazione-famiglia
Negli ultimi anni il linguaggio politico è cambiato notevolmente, non si cerca più
il consenso attraverso la semplice spiegazione dei programmi, ma si convince la
gente ad accettare un determinato tipo di frame, che è un insieme di concetti
associati ad altri nella mente dei parlanti che determinano il significato di ogni
singola parola, facendo leva sui valori morali che coinvolge qualsiasi essere
umano, come per esempio la famiglia. Non è un caso se lo stesso Lakoff ci fa
notare come la gente comune vota più per affermare e difendere la propria identità
piuttosto che per interesse personale.
Come già detto in precedenza, i politici odierni puntano a comunicare un
determinato frame e cercano di renderlo condivisibile dalla maggioranza degli
elettori. Una delle riflessioni proposte da Lakoff nasce da una dichiarazione di
Bush il quale, durante uno dei suoi discorsi in pubblico, ha utilizzato
un’espressione che faceva riferimento ad un ipotetico “permesso scritto” per poter
difendere gli Stati Uniti d’America da eventuali attacchi terroristici. A questo
punto la domanda sorge spontanea: perché Bush ha parlato di “permesso scritto”?
A chi si chiede questo “permesso” e perché deve essere scritto? Lakoff suggerisce
delle risposte dicendo che tali espressioni fanno riferimento ad uno studio molto
accurato dei valori della famiglia. Infatti, si parte dal presupposto che tutti
condividiamo la metafora concettuale della NAZIONE E’ FAMIGLIA e lo
dimostrano espressioni metaforiche linguistiche come “padri fondatori” o “i
nostri figli in guerra”. Questa metafora ci suona piuttosto naturale perché
generalmente si pensa ai grandi gruppi sociali, come appunto le nazioni, in termini
di famiglie o piccole comunità.
Spiegato il legame che esiste tra i concetti di NAZIONE e FAMIGLIA si può
proseguire con la prossima analisi. Nelle più grandi comunità democratiche
esistono diverse idee di nazione e questo porta inevitabilmente a seguire
determinate mentalità, a preferire alcuni valori ed atteggiamenti non
ammettendone altri. In effetti c’è un motivo se negli Stati Uniti, per esempio, ci
sono due maggiori correnti di pensiero ossia quello conservatore e quello
37
progressista. Entrambi fanno riferimento a modelli di famiglia completamente
differenti: quello conservatore è strutturato su una mentalità che vede un “padre
severo” a capo della gerarchia familiare, mentre quello progressista si basa sulla
figura del “genitore premuroso”.
I presupposti e gli obiettivi di entrambi i modelli sono del tutto validi ma è ovvio
che il metodo educativo è molto differente. Il “padre severo”, infatti, è
consapevole che il mondo è un posto pericoloso dove la vita non è sempre facile
perché c’è sempre chi ti vuole far del male o che vuole avere sempre la meglio;
per questo motivo c’è bisogno di un padre forte che sia in grado di proteggere la
propria famiglia, sostenerla sempre e trasmettere ai propri figli il senso del dovere
e la facoltà di saper scegliere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ma qual è lo
strumento che permette ad un “padre severo” di educare i propri figli? La risposta
può sembrare naturale per chi è già genitore: la punizione. Punire i figli quando
sbagliano significa fargli ricordare che se commettono un errore ci saranno delle
conseguenze e anche gravi. Il tutto, quindi, è finalizzato a far accrescere in loro
una sorta di moralità ed etica che li guiderà verso il successo e uno status di
autosufficienza. Da questa analisi cognitiva del modello del “padre severo”
capiamo quindi che l’etica è strettamente legata al concetto di prosperità che
permette appunto la ricerca dell’interesse personale.
Il modello del “genitore premuroso” parte da presupposti completamente
differenti. Infatti, non si parla più di “padre” o “madre”; non si fa più distinzione
tra i sessi perché entrambi hanno un ruolo importante nel nucleo familiare. Anche
gli obiettivi educativi sono diversi, in quanto i figli devono diventare a loro volta
persone premurose e rispettose verso gli altri. Gli strumenti educativi utilizzati da
questo modello, affinché i più piccoli crescano secondo una certa disciplina, sono
l’empatia, quindi l’identificarsi con gli stati d’animo di un’altra persona, e il senso
di responsabilità. Perché chiamiamo questo modello “premuroso”? La risposta è
semplice: a differenza del “padre severo”, la disciplina si insegna attraverso il
dialogo piuttosto che con le punizioni, si proteggono i figli da qualsiasi attacco
esterno e in qualsiasi altra circostanza anche se questo comporta una sorta di
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dipendenza da parte dei figli verso i genitori. Il tutto, però, è finalizzato al
raggiungimento della loro felicità. E’ quindi una responsabilità morale. Ma non è
l’unico valore che il modello del “genitore premuroso” offre. Come ho già detto,
esiste anche quello della comunicazione, della sincerità reciproca e quello della
libertà di realizzare una vita soddisfacente.
A questo punto ci potremmo chiedere come si fa a convincere la gente che un
modello è quello giusto e l’altro è sbagliato. Uno dei motti dell’Illuminismo è che
“la verità rende liberi e se si raccontano i fatti alla gente, poiché le persone sono
fondamentalmente razionali, queste arriveranno alle conclusioni giuste”.
Purtroppo, però, le scienze cognitive ci hanno dimostrato che la gente non ragiona
così; le persone utilizzano i “frame”, cioè fanno riferimento ad una visione del
mondo già presente nella loro mente in cui si identificano loro stesse, e quella per
loro è l’unica verità ammissibile. Per essere accettata, quindi, la verità deve
rientrare nei frame mentali di quelle persone perché altrimenti la persuasione non
si concretizza e, come si dice in gergo popolare, “si parla al vento”. Spiegato
questo, risulta ovvio che non possiamo cambiare idea su qualcosa solo perché ci
viene detto che è giusto.
2.5 Le nazioni “adulte” e le nazioni “bambine”
Si torni, ora, alla questione legata all’espressione metaforica utilizzata da Bush a
proposito del “permesso scritto”. La sua strategia era quella di collegare più
concetti metaforici per dare un ulteriore potere persuasivo all’espressione stessa.
Infatti, Bush ha collegato la metafora LA NAZIONE E’ UNA PERSONA ad
un’altra metafora che è quella degli STATI SONO ADULTI/BAMBINI.
Il permesso scritto in genere lo chiedono gli adolescenti per poter uscire da scuola
o per fare un’attività specifica che richiede, appunto, un’autorizzazione da parte di
un adulto. Bush continua il suo discorso affermando che gli Stati Uniti d’America
non devono chiedere permessi speciali perché loro sono gli “adulti” e gli adulti
39
sanno sempre cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ma perché ha voluto sottolineare
con così tanta forza l’importanza del ruolo che il suo Paese gioca nella politica
interna ed estera? Egli voleva comunicare che la sua visione del mondo e il
modello a cui fa riferimento è proprio quello del “padre severo” e il suo obiettivo
era quello di innescare un meccanismo che permettesse di vincere le elezioni.
E’ stupefacente il processo cognitivo scatenato nella mente degli elettori che ha
portato, poi, alla vittoria dell’amministrazione Bush. Il tragico evento dell’11
settembre è stato il pretesto che ha permesso di dichiarare guerra al terrorismo.
Ma su quali valori o emozioni ha fatto leva Bush per ottenere il voto favorevole
dei suoi elettori? Lakoff afferma che la paura influenza la mente umana
spingendola ad adottare il modello del padre severo in modo tale da giustificare la
punizione come strumento di educazione. Questo concetto è importante perché,
per dichiarare guerra al terrorismo, si presuppone che la popolazione sia
costantemente terrorizzata e sotto pressione, e più la gente ha paura, più tende ad
attaccare. Per Bush, quindi, era fondamentale che i suoi elettori mantenessero
sempre attivo il frame della guerra in quanto l’incertezza e la paura li avrebbero
spinti a vedere la politica attraverso il modello del padre severo e, quindi, ad
approvare le sue manovre di governo.
A questo punto, tenendo sempre presente il frame della famiglia, ci si potrebbe
chiedere chi fossero in realtà i “figli”. In politica interna questi sono rappresentati
da organizzazioni, gruppi sociali, imprese, comunità religiose ecc. che hanno
bisogno di regole ben precise per operare perché altrimenti regnerebbe l’anarchia
e sarebbe eticamente scorretto; ma in politica estera possono anche essere
rappresentati dalle nazioni in via di sviluppo, che non hanno la solidità economica
e militare delle grandi potenze come quella degli Stati Uniti e quindi sono
considerate delle “bambine” che hanno bisogno di essere accudite ed educate.
Anche in questo contesto l’affermazione di Bush riguardo al “permesso scritto”
trova i suoi risvolti: l’America è un adulto e nessuno sa meglio di lei come
bisogna operare in qualsiasi settore, mentre tutti gli altri Paesi sono dei bambini da
40
educare, ai quali devono essere spiegate le buone maniere per farli crescere sani e
forti, raggiungendo così il proprio interesse.
Le motivazioni che hanno spinto Bush a richiamare il frame del padre severo sono
numerose, ma il concetto di fondo è sempre lo stesso: dimostrare di saper
mantenere uno status di autorità morale in ogni settore. D’altronde, qualsiasi
genitore ha il dovere di dire ai propri figli cosa è giusto e cosa è sbagliato e
sarebbe del tutto illogico e immorale il contrario. I figli, quindi, devono obbedire
senza discutere. La comunicazione è a senso unico. Se applichiamo questo
concetto alla politica di Bush significa che gli Stati Uniti non possono, e non
devono, rinunciare alla loro sovranità. Non possono rinunciare ad essere genitori,
è contro le leggi della natura.
2.6 Giustificare una guerra e reputarla “giusta”
Abbiamo visto come la metafora concettuale della NAZIONE E’ FAMIGLIA sia
di vitale importanza nella politica estera, soprattutto in quella statunitense.
Attraverso gli studi di Lakoff, è stato possibile analizzare con maggiore attenzione
i discorsi dei politici americani riguardo a decisioni di importanza internazionale
come quello della dichiarazione di guerra all’Iraq. Molti cittadini americani sono
ancora convinti che dietro l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre ci sia la
mano di Saddam Hussein. Oggi, dopo le varie indagini delle autorità competenti,
siamo in grado di affermare che il mandante di tale genocidio era il capo di al
Qaeda Osama Bin Laden che con l’Iraq non aveva nulla a che vedere. Ma come
mai, allora, la gente era così disinformata sui fatti? La spiegazione è piuttosto
semplice se si analizza quelle che sono state le comunicazioni da parte dei media,
dei giornali e soprattutto dell’amministrazione Bush. La strategia adottata, infatti,
era proprio quello di diffondere la voce che esistesse un legame tra Bin Laden e
Saddam Hussein, nonostante fosse risaputo che i due non fossero in buoni
rapporti. Tale mossa centrò il bersaglio: il 40% della popolazione americana ha
accettato questo fatto ritenendolo veritiero solo perché è stato comunicato ed
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esposto come tale. Ma quale è stata la strategia adottata da Bush dal punto di vista
sia linguistico che cognitivo che ha permesso alla gente di credere che quella
guerra sarebbe stata “giusta”? La risposta verte su un modello che, grazie alla
metafora della NAZIONE E’ FAMIGLIA, si basa su due schemi narrativi tipici
dei racconti di fiabe: l’autodifesa e il salvataggio.
Ci sono delle figure che in entrambi i casi sono costanti: c’è un eroe, una vittima e
un cattivo. Nello schema dell’autodifesa il ruolo dell’eroe e della vittima
coincidono e in entrambi i modelli il cattivo è sempre irrazionale. L’obiettivo
dell’eroe è quello di sconfiggerlo o ucciderlo. La storia inizia con un delitto da
parte del cattivo e prosegue con le imprese dell’eroe per ristabilire la pace. In
contesto politico, il paese-eroe reputerà “giusta” un’ipotetica guerra sia con lo
schema dell’autodifesa che con quello del salvataggio.
Riguardo alla dichiarazione di guerra di Bush all’Iraq, c’era la necessità di
dimostrare che Saddam Hussein stesse tramando contro la sicurezza del popolo
iracheno, in modo tale che gli Stati Uniti d’America potessero intervenire col
ruolo dell’eroe innescando, quindi, il modello del salvataggio. Il risultato di tale
processo psicologico è che la guerra contro l’Iraq, da molti giudicata irrazionale in
quanto motivata solo da scopi di lucro per il controllo del petrolio e dell’economia
mondiale, è stata giudicata “giusta”. Ovviamente la maggior parte del popolo
americano conosceva bene i fatti, sapeva che non era il popolo iracheno che aveva
bisogno dell’intervento degli Stati Uniti e soprattutto che non c’erano armi di
distruzione di massa pronte per essere usate contro di loro, di conseguenza anche
lo schema dell’autodifesa non sussisteva. Ma come mai allora la gente non ha
fatto una scelta più razionale? Ancora una volta le scienze cognitive danno una
chiara risposta: le persone ragionano per frame e per metafore attraverso alcuni
modelli impressi nella sinapsi del nostro cervello presenti sotto forma di circuiti
neuronali. Abbiamo già detto precedentemente che se un fatto, per quanto
veritiero esso sia, non coincide con i frame presenti nella nostra mente esso viene
rifiutato e quindi ignorato. Ogni paese-persona cerca di raggiungere i propri
interessi e quando è necessario utilizza la forza militare per difenderli. E’
42
sicuramente questa motivazione che ha spinto la maggioranza degli americani a
reputare la guerra in Iraq “giusta”; era l’unico modo per continuare ad avere il
controllo sui flussi di petrolio dal paese che, in numero di riserve, è secondo solo
all’Arabia Saudita. Questo avrebbe garantito agli Stati Uniti una duratura
egemonia mondiale sia politica che economica.
I modelli dell’autodifesa e del salvataggio non sono indipendenti da quello che
viene chiamato il modello dell’attore razionale secondo il quale ogni paese-
persona agisce in maniera razionale per preservare i propri interessi. Fu proprio
per questo motivo, per esempio, che al termine della guerra del Golfo sulle pagine
del New York Times quel conflitto fu definito un “affare”. Di principio, tale
affermazione può sembrare assurda e a dir poco immorale considerando il numero
delle vittime innocenti rimaste coinvolte durante il conflitto; ma ha una sua
spiegazione. L’attore razionale cerca di raggiungere i suoi obiettivi
massimizzando i profitti e minimizzando costi e perdite. I soldati sono parte
integrante dei beni di un paese così come la strumentazione bellica e il denaro
impiegato. Siccome in quella guerra gli Stati Uniti hanno subito poche perdite, il
risultato, continuando ad usare termini tipici dell’economia, è stato un
“investimento” e quindi un “affare”.
Da quanto si è detto fino ad ora, è stato possibile dimostrare come le persone
ragionano seguendo i propri frame concettuali e quasi sempre, in argomentazioni
politiche, sono del tutto inconsci. Non ci rendiamo conto che il nostro modo di
pensare è puramente metaforico e il linguaggio dei politici è sempre il risultato di
un lungo processo cognitivo strutturato su schemi precisi. L’obiettivo di tale
trattazione è proprio quello di spiegare il funzionamento di questi processi
cognitivi analizzando, in particolare, il frame della nazione-famiglia attraverso gli
interventi dei presidenti americani da Reagan ad Obama. Ma per questo
approfondimento si rimanda al capitolo successivo.
43
CAPITOLO III. La ricerca e i risultati
3.1 Il metodo di ricerca e il corpus
Nel capitolo precedente sono state esposte alcune delle strategie linguistiche
adottate dai più importanti politici del mondo, come le personificazioni, la tecnica
del confronto tra il bene e il male, la creazione dell’immagine dell’eroe e del
cattivo, ed è stato mostrato come le metafore vengono integrate con esse. In
particolare, si è parlato di Lakoff e dei suoi modelli concettuali che vedono una
nazione intera in termini di piccole comunità, come le famiglie, con le figure del
padre severo e del genitore premuroso.
In questo capitolo, invece, verranno analizzati i discorsi inaugurali di inizio
mandato degli ultimi presidenti americani a partire dal 1981 con Ronald Reagan
fino al 2009 con Barak Obama con l’obiettivo di dimostrare che, effettivamente, il
modello nazione-famiglia è molto delineato nella mente dei presidenti presi in
esame. A tal proposito, non si ha la presunzione di mettere in discussione ciò che
Lakoff ha esposto nel suo libro “Non pensare all’elefante!” riguardo al modo di
concettualizzare la nazione come una famiglia, piuttosto si darà un’ulteriore
conferma alle sue teorie attraverso un’analisi testuale effettuata su un corpus
ottenuto grazie al sito internet http://www.presidency.ucsb.edu/index.php, che
raccoglie, in un archivio online, tutti gli interventi pubblici fatti dai presidenti
degli Stati Uniti d’America, da quelli in televisione a quelli radiofonici, dalle
semplici interviste ai quotidiani comunicati stampa.
Il sito internet sopra citato è fornito anche di un modulo di ricerca che permette di
filtrare i documenti attraverso l’uso di parole chiave o tipologia di documento
come ordini esecutivi, comunicati stampa, proclamazioni ecc. Tale modulo, però,
ha dei limiti per i fini di tale trattazione in quanto non permette di fare ricerche dal
punto di vista semantico e, quindi, si è scelto di analizzare solo i discorsi
inaugurali in quanto, generalmente, questi permettono di capire meglio quello che
è il modo di pensare e la personalità del presidente in esame, nonché il suo modo
di concettualizzare la nazione come una famiglia. Si procederà, quindi, con
l’analisi delle scelte adottate da ogni singolo presidente sia dal punto di vista
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linguistico che semantico e verrà spiegato come queste si integrano coi modelli
del padre severo o genitore premuroso proposti da Lakoff.
3.2 La nazione è famiglia
Prima di iniziare ad analizzare i discorsi presidenziali, è necessario spiegare la
metafora concettuale che vede una nazione in termini di una famiglia. Di seguito,
quindi, si riporteranno degli schemi così come è stato fatto nella prima parte di
questa trattazione col fine di sottolineare gli elementi sui quali si basa la metafora
NAZIONE E’ FAMIGLIA.
Nel primo capitolo si è parlato di come le teorie della metafora concettuale e
quella del blending siano entrambe valide per poter comprendere in modo chiaro
una specifica espressione metaforica. Attraverso la prima teoria, si è in grado di
riconoscere sia il source domain che il target domain, che nel nostro caso
corrispondono rispettivamente alla famiglia e alla nazione. La struttura mediante
la quale la metafora concettuale si costruisce è quella che vede l’elemento A
compreso attraverso l’elemento B. Quindi il risultato di tale processo sarebbe il
seguente:
A B
LA NAZIONE E’ UNA FAMIGLIA
(target domain) (source domain)
Come si può notare, il source domain è rappresentato dalla famiglia in quanto è
l’elemento che permette di comprendere il concetto di nazione che è appunto il
target domain. Questo avviene perché ci sono degli elementi che legano il
concetto della nazione a quello della famiglia. Si osservi lo schema seguente:
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Source domain: FAMIGLIA Target domain: NAZIONE
Capofamiglia => Presidente
Membri del nucleo familiare => Cittadini
Regole comportamentali => Leggi/manovre di governo
Crescita e sviluppo dei figli => Prospettive di crescita in ogni
settore
Così come è stato affermato nel I capitolo, però, la semplice schematizzazione di
una metafora concettuale attraverso questo sistema risulta essere molto limitata in
quanto non mette sempre in risalto gli elementi che costituiscono la metafora. Per
questo motivo, è necessario approfondire tale struttura attraverso il modello
adottato dalla blending theory. Si osservi lo schema seguente:
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Come si può notare, la struttura è decisamente diversa e molto più esplicativa.
Attraverso questo modello, infatti, il source e il target domain si inseriscono
all’interno degli spazi d’ingresso. Oltre ai soggetti coinvolti, è possibile elencare
anche altri elementi che li caratterizzano come gli strumenti di controllo e il ruolo
al vertice della gerarchia. A questo punto ci si potrebbe chiedere in che modo,
allora, la nazione viene accostata alla famiglia. La risposta è dettata non solo dagli
elementi in comune, ma anche dall’unico contrastante, ossia quello dell’area di
influenza, che in un certo senso può risultare essere quello più importante in
quanto permette di considerare, così come affermano le scienze cognitive, una
nazione in termini di gruppi più piccoli come appunto la famiglia.
Le corrispondenze tra i due spazi d’ingresso, quindi, risultano abbastanza chiare
ma nonostante tutto si reputa necessario commentarle in quanto ci sono delle
considerazioni importanti da fare. Per quanto la teoria della metafora concettuale e
quella del blending provino a spiegare le metafore attraverso i modelli riportati in
questa trattazione, queste risulteranno essere sempre incomplete o riduttive.
Secondo la blending theory questa ipotesi nasce dal fatto che una metafora è il
risultato di vari e a volte moltissimi frame collegati tra loro. Basti pensare alla
definizione stessa di nazione: molti la definiscono come una comunità di individui
che condividono alcune caratteristiche comuni quali la lingua, il luogo geografico,
la storia ed un governo, ma non sarebbe scorretto pensare ad essa come una tribù
o una confederazione di tribù che condivide lingua e area geografica, come può
essere quella degli indiani nord-americani o, per finire, un semplice contratto
sociale in cui vari popoli si riconoscono attraverso una costituzione comune.
Dal concetto di nazione deriva anche quello di Stato, il quale garantisce attraverso
un codice scritto, le leggi per esempio, un ordinamento giuridico e ne afferma la
sovranità.
Tale processo è applicabile anche al concetto di famiglia: il mondo occidentale è
abituato a pensare ad essa come un gruppo di persone che condividono legami di
sangue o legali, come il matrimonio o l’adozione, ma esistono anche altre
definizioni di famiglia come può essere quella del contratto tra un uomo e una
donna nel rispettarsi l’un l’altro col fine di salvaguardare l’unità familiare. Si
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potrebbe continuare a lungo nell’elencare tutte le definizioni possibili di famiglia,
infatti ogni disciplina scientifica ne ha una versione propria e questo non fa altro
che confermare la presenza di diversi frame concettuali legati da uno o più
elementi comuni.
Un altro fattore che unisce i concetti di nazione e famiglia è quello che, in
entrambi, vengono stabiliti dei “mezzi amministrativi”, cioè esistono delle regole
che tutti devono rispettare.
Nel caso di una nazione gli strumenti di controllo sono rappresentati dalle leggi
scritte approvate dagli organi di competenza e che permettono al Paese di
raggiungere determinati risultati come l’incremento delle risorse finanziarie, il
miglioramento della situazione economica, aumento della produttività delle
industrie, ecc.. Nella famiglia, le leggi trovano una perfetta corrispondenza in
quelle che sono le regole comportamentali che un adulto rivolge ai suoi figli.
Infine, l’ultima corrispondenza tra nazione e famiglia riguarda il ruolo al vertice
della gerarchia. Come mostrato in precedenza, si ha da un lato la figura di un
presidente e dall’altra quella del capofamiglia che, secondo i modelli di Lakoff,
possono fare riferimento al padre severo o al genitore premuroso.
Ai fini di questa ricerca si è scelto di contestualizzare la metafora concettuale
NAZIONE E’ FAMIGLIA limitandola esclusivamente ai discorsi inaugurali di
inizio mandato degli ultimi presidenti degli Stati Uniti d’America. Per questo
motivo, è importante mostrare in che modo la figura presidenziale può essere
associata a quella di un capofamiglia o come la nazione stessa sia molto simile ad
un “grande” nucleo familiare. Lo schema seguente permetterà di comprendere
meglio quanto appena affermato:
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Come si può notare, il ruolo del presidente è egemone rispetto a quello dei
cittadini così come lo è quello del capofamiglia nei confronti dei figli. Entrambi,
quindi, hanno il compito di fare da “moderatore” per mantenere l’ordine e la
disciplina all’interno della loro area di influenza.
Lakoff, inoltre, sostiene che ad ogni tendenza politica corrisponde un modello
genitoriale ben preciso. Negli Stati Uniti d’America il contesto politico è
caratterizzato principalmente da due correnti di pensiero che vedono contrapposti
gli ideali dei conservatori da quelli dei progressisti che secondo il linguista
corrispondono rispettivamente ai modelli del padre severo e del genitore
premuroso.
Il riferimento ai due modelli da parte dei presidenti americani implicano delle
scelte linguistiche ben precise, come per esempio quelle che riguardano i
riferimenti alla nazione/famiglia attraverso parole come we, our e us in
contrapposizione a quelle che vengono usate per parlare a nome del
presidente/capofamiglia come I, my e me.
A seguito dell’analisi effettuata sul corpus, infatti, si può affermare che la scelta di
tali riferimenti è di fondamentale importanza per distinguere la figura del
presidente, e quindi del capofamiglia, da quella dei cittadini che sono
rappresentati come i figli. Sia ben chiaro, però, che non si intende dire che parole
come we o I siano elementi metaforici, ma è ovvio che fanno riferimento a schemi
precisi che, invece, ne mostrano tutte le caratteristiche. Lo schema seguente
riassume quanto appena affermato:
Target domain:
NAZIONE
Source domain:
FAMIGLIA
WE, our, us: NAZIONE <=> TUTTI I MEMBRI DELLA
FAMIGLIA
YOU, your: CITTADINI <=> FIGLI
I, my, me: PRESIDENTE <=> CAPOFAMIGLIA
THEY, their: ALTRE NAZIONI <=> ALTRE FAMIGLIE
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Nei prossimi paragrafi si dimostrerà che il ruolo del presidente è ben distinto da
quello dei cittadini e sarà una caratteristica comune di tutti i discorsi analizzati in
questa trattazione.
3.3 Ronald Reagan (1981-1989)
Ronald Reagan sale alla presidenza degli Stati Uniti d’America nel 1981 come
rappresentante dei repubblicani conservatori. Così come tutti gli altri, anche lui
sin dal principio del suo primo discorso inaugurale si preoccupa della situazione
economica del Paese, quasi come un adulto di una famiglia che deve far fronte a
seri problemi economici che impediscono la crescita e lo sviluppo del nucleo
familiare stesso. Prova di quanto detto è la citazione seguente:
“The business of our nation goes forward. These United States are
confronted with an economic affliction of great proportions. We suffer from
the longest and one of the worst sustained inflations in our national history.
It distorts our economic decisions, penalizes thrift, and crushes the
struggling young and the fixed-income elderly alike. It threatens to shatter
the lives of millions of our people.”
Come si può notare dalle parole in grassetto, Reagan utilizza riferimenti in prima
persona plurale per parlare della nazione, della sua situazione economica e dei
problemi che la affliggono ma, come è stato affermato precedentemente, la
nazione ha tutte le caratteristiche di una famiglia. Quindi da questo punto di vista,
si può sottolineare il fatto che con we il presidente si rivolge al “grande” nucleo
familiare di cui lui stesso fa parte. Questo, però, non è l’unico caso in cui viene
fatto un riferimento alla nazione in termini di una famiglia, anzi si ripropone per
tutto il suo discorso. Si osservi lo schema seguente:
(1) “But great as our tax burden is, it has not kept pace with public spending.
For decades we have piled deficit upon deficit, mortgaging our future and
our children's future for the temporary convenience of the present.”
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(2) “Why, then, should we think that collectively, as a nation, we're not bound
by that same limitation? We must act today in order to preserve tomorrow.
And let there be no misunderstanding: We are going to begin to act,
beginning today.”
(3) “The economic ills we suffer have come upon us over several decades.
They will not go away in days, weeks, or months, but they will go away.
They will go away because we as Americans have the capacity now, as
we've had in the past, to do whatever needs to be done to preserve this last
and greatest bastion of freedom.”
(4) “In this present crisis, government is not the solution to our problem;
government is the problem. From time to time we've been tempted to
believe that society has become too complex to be managed by self-rule,
that government by an elite group is superior to government for, by, and of
the people. Well, if no one among us is capable of governing himself, then
who among us has the capacity to govern someone else? All of us together,
in and out of government, must bear the burden. The solutions we seek
must be equitable, with no one group singled out to pay a higher price.”
(5) “We hear much of special interest groups. Well, our concern must be for a
special interest group that has been too long neglected. (…) It is made up
of men and women who raise our food, patrol our streets, man our mines
and factories, teach our children, keep our homes, and heal us when we're
sick—professionals, industrialists, shopkeepers, clerks, cabbies, and truck
drivers. They are, in short, "We the people," this breed called Americans”
(6) “Well, this administration's objective will be a healthy, vigorous, growing
economy that provides equal opportunities for all Americans, with no
barriers born of bigotry or discrimination. Putting America back to work
means putting all Americans back to work. Ending inflation means freeing
all Americans from the terror of runaway living costs. All must share in
the productive work of this "new beginning," and all must share in the
bounty of a revived economy. With the idealism and fair play which are the
core of our system and our strength, we can have a strong and prosperous
America, at peace with itself and the world”
(7) “So, as we begin, let us take inventory. We are a nation that has a
government—not the other way around. And this makes us special among
the nations of the Earth. Our government has no power except that
granted it by the people.”
(8) “It is rather to make it work--work with us, not over us; to stand by our
side, not ride on our back.”
(9) “If we look to the answer as to why for so many years we achieved so
much, prospered as no other people on Earth, it was because here in this
land we unleashed the energy and individual genius of man to a greater
extent than has ever been done before. (…) The price for this freedom at
times has been high, but we have never been unwilling to pay that price.”
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(10) “Our forbearance should never be misunderstood. Our reluctance for
conflict should not be misjudged as a failure of will. When action is
required to preserve our national security, we will act. We will maintain
sufficient strength to prevail if need be, knowing that if we do so we have
the best chance of never having to use that strength.”
(11) “The crisis we are facing today does not require of us the kind of sacrifice
that Martin Treptow and so many thousands of others were called upon to
make. It does require, however, our best effort and our willingness to
believe in ourselves and to believe in our capacity to perform great deeds,
to believe that together with God's help we can and will resolve the
problems which now confront us.”
Come si può notare, in tutte queste citazioni si distingue chiaramente una delle
identità dei soggetti coinvolti nella metafora concettuale presa in esame in questa
trattazione e cioè quella del popolo americano che in senso metaforico
corrisponde alla totalità dei membri di un’unica grande famiglia. Già nella prima
citazione, infatti, si può vedere come la parola our sia accostata a children, figli
per l’appunto. E’ chiaro a questo punto che il presidente si rivolge alla sua nazione
come se tutti facessero parte del suo stesso gruppo familiare, altrimenti non
avrebbe senso considerare “propri figli” persone che paradossalmente nemmeno si
conoscono.
Nelle citazioni (4) e (6) si può notare anche come il presidente cerca di esporre le
proprie idee su come poter affrontare i problemi che gli Stati Uniti sono costretti a
fronteggiare, proprio come fa un adulto all’interno di una famiglia. Infatti, in (4)
Reagan afferma che tutti devono impegnarsi affinché la nazione, e quindi la
famiglia, possa tornare a crescere e progredire. In (6), invece, con “this
administration's objective” è come se si ponesse a capo dell’intero nucleo
familiare, presentandosi quindi come una vera e propria guida spirituale. E’ molto
importante, però, che si coinvolga tutti ad agire affinché la rinascita della nazione
sia possibile e proprio per questo Reagan in (11) cerca di rafforzare il senso di
unità tra i cittadini, proprio come fa un genitore verso i suoi figli.
Bisogna dire, però, che ci sono occasioni dove la figura del presidente è separata
da quella dei cittadini, proprio a sottolineare la differenza dei ruoli che
distinguono i “grandi” dai “piccoli”. Si osservino le seguenti citazioni:
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(12) “You and I, as individuals, can, by borrowing, live beyond our means, but
for only a limited period of time.”
(13) “It is my intention to curb the size and influence of the Federal
establishment and to demand recognition of the distinction between the
powers granted to the Federal Government and those reserved to the States
or to the people.”
(14) “Now, so there will be no misunderstanding, it's not my intention to do
away with government.”
(15) “I do not believe in a fate that will fall on us no matter what we do. I do
believe in a fate that will fall on us if we do nothing.”
(16) “To paraphrase Winston Churchill, I did not take the oath I've just taken
with the intention of presiding over the dissolution of the world's strongest
economy. In the days ahead I will propose removing the roadblocks that
have slowed our economy and reduced productivity.”
(17) “I'm told that tens of thousands of prayer meetings are being held on this
day, and for that I'm deeply grateful. We are a nation under God, and I
believe God intended for us to be free. It would be fitting and good, I think,
if on each Inaugural Day in future years it should be declared a day of
prayer.”
Come si può notare, la posizione del presidente è ben diversa da quella dei
cittadini. Reagan in questo senso rappresenta il capofamiglia, l’adulto che sa cosa
è giusto fare e cosa no. Questo lo capiamo già dalle citazioni (12), (13) e (14)
dove il presidente si rivolge prima ai cittadini/figli utilizzando you e
successivamente spiega come andrà ad “educare” i suoi figli dicendo “It’s my
intention” invece, per esempio, di “It’s our intention”.
Nella citazione (16), inoltre, si può notare come la posizione del capofamiglia sia
nettamente superiore a quella degli altri in quanto vengono usati riferimenti in
prima persona singolare per esporre le intenzioni del presidente, come nel caso di
“I will propose”, mentre si utilizzano quelli in prima persona plurale come “our
economy” per riferirsi a ciò che è comune a tutti. Tutto questo sembra quasi
rispecchiare una situazione in cui un genitore si rivolge ai suoi figli dicendo
“decido io per il bene di tutti”.
Così come è stato affermato nel secondo capitolo di questa trattazione, le nazioni
possono essere considerate “amiche” o “nemiche” a seconda del tipo di relazione
53
che intercorre tra loro. Questo è visibile anche attraverso i discorsi presidenziali
presi in esame per tale ricerca. Si osservino le citazioni seguenti:
(18) “To those neighbors and allies who share our freedom, we will strengthen
our historic ties and assure them of our support and firm commitment. We
will match loyalty with loyalty. We will strive for mutually beneficial
relations. We will not use our friendship to impose on their sovereignty,
for our own sovereignty is not for sale.”
(19) “As for the enemies of freedom, those who are potential adversaries, they
will be reminded that peace is the highest aspiration of the American
people. We will negotiate for it, sacrifice for it; we will not surrender for
it, now or ever.”
Sembra chiaro che è necessario assumere un certo comportamento anche con chi
non è considerato parte integrante della famiglia, come per esempio dei vicini o
degli amici. In queste due citazioni è interessante notare le identità dei soggetti
coinvolti: si utilizza we per indicare la “famiglia americana”, mentre usa they,
their e them per indicare le “famiglie amiche/nemiche”.
Nel suo secondo discorso inaugurale Reagan continua a distinguere il suo ruolo di
capofamiglia da quello degli altri e lo fa sin dalle prime battute quando afferma
quanto segue:
“There are no words adequate to express my thanks for the great honor
that you've bestowed on me. I'll do my utmost to be deserving of your
trust.”
E’ evidente quindi la differenza tra le identità dei soggetti che intervengono nei
suoi discorsi che sono appunto quelle del presidente/capofamiglia e dei
cittadini/membri del nucleo familiare. Tale distinzione diventa ancora più netta
quando Reagan dice:
(20) “When I took this oath 4 years ago, I did so in a time of economic stress.
Voices were raised saying that we had to look to our past for the greatness
54
and glory. But we, the present-day Americans, are not given to looking
backward. (…)
Four years ago, I spoke to you of a New Beginning, and we have
accomplished that. But in another sense, our New Beginning is a
continuation of that beginning created two centuries ago when, for the first
time in history, government, the people said, was not our master, it is our
servant; its only power that which we the people allow it to have.”
(21) “Well, with heart and hand let us stand as one today—one people under
God, determined that our future shall be worthy of our past. As we do, we
must not repeat the well-intentioned errors of our past. We must never
again abuse the trust of working men and women by sending their earnings
on a futile chase after the spiraling demands of a bloated Federal
Establishment. You elected us in 1980 to end this prescription for disaster,
and I don't believe you reelected us in 1984 to reverse course.”
(22) “We've come to a turning point, a moment for hard decisions. I have asked
the Cabinet and my staff a question and now I put the same question to all
of you. If not us, who? And if not now, when? It must be done by all of us
going forward with a program aimed at reaching a balanced budget. We
can then begin reducing the national debt.”
Come si può notare in queste citazioni, vengono distinte ben tre identità che
corrispondono esattamente ai ruoli dei componenti di una famiglia. Lo schema
seguente ne riassume le caratteristiche:
Target domain Source domain
I => Presidente <=> Capofamiglia
We, our => Nazione <=> Intero nucleo familiare
You => Cittadini <=> Figli
Una cosa molto importante da dire è che ci sono casi in cui Reagan, mentre parla
di quelle che sono le prerogative della politica estera, non utilizza più we per
riferirsi alla sua nazione, e quindi alla “famiglia americana”, ma agli adulti di tutte
55
le altre famiglie del mondo. Con le seguenti citazioni sarà più semplice
comprendere quanto appena affermato:
(23) “There is only one way safely and legitimately to reduce the cost of
national security, and that is to reduce the need for it. And this we're trying
to do in negotiations with the Soviet Union. We're not just discussing
limits on a further increase of nuclear weapons; we seek, instead, to
reduce their number. We seek the total elimination one day of nuclear
weapons from the face of the Earth.”
(24) “Now, for decades, we and the Soviets have lived under the threat of
mutual assured destruction—if either resorted to the use of nuclear
weapons, the other could retaliate and destroy the one who had started it.
Is there either logic or morality in believing that if one side threatens to
kill tens of millions of our people our only recourse is to threaten killing
tens of millions of theirs?”
(25) “I have approved a research program to find, if we can, a security shield
that will destroy nuclear missiles before they reach their target. (…) We
will meet with the Soviets, hoping that we can agree on a way to rid the
world of the threat of nuclear destruction.”
Come si può notare in (23) e (24) la funzione di we cambia completamente.
Infatti, non vengono più presi in considerazione i cittadini americani, ma si fa
riferimento ai “grandi”, agli adulti, e in politica estera di certo i semplici cittadini
non possono definirsi tali. Piuttosto, l’obiettivo era quello di fare riferimento ai
grandi capi di stato e, nel caso specifico, si puntava all’Unione Sovietica.
La citazione (25) è un po’ una conferma di quanto appena detto. Reagan ritorna a
parlare in prima persona singolare quando si parla di prevenzione da attacchi
nucleari, come a sottolineare che certe decisioni spettano unicamente a lui in veste
di presidente e quindi di capofamiglia. Subito dopo, invece usa we per comunicare
ai figli che i “grandi” stanno cercando un accordo coi vicini per una pacifica
convivenza.
56
Finora sono state analizzate soltanto le identità dei soggetti coinvolti nella
metafora NAZIONE E’ FAMIGLIA all’interno dei discorsi inaugurali di Reagan,
ma queste non rappresentano gli unici elementi che accomunano i due domini. E’
stato detto che anche gli strumenti di controllo fanno parte dello spazio misto della
blending theory, i quali sono rappresentati da un lato dalle leggi, o nel nostro caso
dall’esposizione dei programmi di governo, e dall’altro dalle regole che un
genitore rivolge ai suoi figli. Per giudicare in che modo i presidenti impongono la
propria autorità si è scelto di analizzare le forme verbali utilizzate nei momenti in
cui vengono esposte le manovre di governo da attuare.
In questo contesto si può dire che Reagan fa scelte ben precise. A seguito di
un’analisi approfondita sul corpus, infatti, risulta che il numero di occorrenze dei
verbi modali must e will utilizzati con funzione deontica, quindi con valore
d’obbligo, è nettamente superiore a quello dei verbi “esortativi” che prevedono il
costrutto let us seguito dalla forma base del verbo.
Si osservi lo schema seguente che riassume il numero delle occorrenze dei modi
verbali maggiormente utilizzati:
Quella di Reagan è una posizione di comando rispetto a quella dei cittadini e per
tale ragione i verbi con will vanno interpretati come fossero degli obblighi. Questo
dato permette di sottolineare il fatto che il presidente, almeno nel suo primo
0
5
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MUST + VERBO WILL + VERBO LET US +VERBO
1° discorso inaugurale
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discorso, tende ad imporre le sue regole attraverso un tono più pacato, utilizzando
will invece di must, facendo recepire queste più come un insegnamento che come
regola vera e propria.
Nel secondo discorso, invece, Reagan assume un atteggiamento più rigido e
severo. Infatti, il numero delle occorrenze delle forme verbali si inverte:
Come si può notare dallo schema, l’atteggiamento di Reagan diventa decisamente
più rigoroso preferendo l’uso di must invece di will. Questa scelta evidentemente è
dettata dal fatto che, come padre severo, Reagan doveva insegnare ai suoi figli la
disciplina e l’importanza del comportarsi in maniera etica. Pertanto, la scelta di
must + verbo in funzione deontica era fondamentale.
La questione legata ai verbi non sono gli unici indici che permettono di
classificare Reagan come padre severo. Infatti, fa spesso riferimento a valori e
ideali tipici di questo modello, come quello della libertà sia personale che
collettiva, quello del coraggio di mettersi sempre in competizione e l’uso della
forza in caso di necessità che corrisponde, in un contesto familiare, alla punizione
di un padre verso i suoi figli.
3.4 George Bush (1989-1993)
Per quanto riguarda George Bush si può dire che il modello della famiglia si
applica in maniera simile a quello di Reagan. I riferimenti alle identità dei soggetti
0
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MUST + VERBO WILL + VERBO LET US +VERBO
2° discorso inaugurale
58
rimangono invariati ma, a differenza del suo predecessore, Bush molto spesso
parla ai giovanissimi, richiama il ricordo degli antenati e soprattutto si riferisce
alla situazione economica degli Stati Uniti d’America come se fosse una sorta
eredità. Osserviamo le citazioni seguenti:
(1) “There is a man here who has earned a lasting place in our hearts and in
our history. President Reagan, on behalf of our nation, I thank you for the
wonderful things that you have done for America.”
(2) “I've just repeated word for word the oath taken by George Washington 200
years ago, and the Bible on which I placed my hand is the Bible on which
he placed his. It is right that the memory of Washington be with us today not
only because this is our bicentennial inauguration but because Washington
remains the Father of our Country. And he would, I think, be gladdened by
this day; for today is the concrete expression of a stunning fact: our
continuity, these 200 years, since our government began.”
(3) “My friends, we are not the sum of our possessions. They are not the
measure of our lives. In our hearts we know what matters. We cannot hope
only to leave our children a bigger car, a bigger bank account. We must
hope to give them a sense of what it means to be a loyal friend; a loving
parent; (…). And what do we want the men and women who work with us to
say when we're no longer there? That we were more driven to succeed than
anyone around us? Or that we stopped to ask if a sick child had gotten
better and stayed a moment there to trade a word of friendship?”
(4) “I have spoken of a Thousand Points of Light, of all the community
organizations that are spread like stars throughout the Nation, doing good.
We will work hand in hand, encouraging, sometimes leading, sometimes
being led, rewarding. We will work on this in the White House, in the
Cabinet agencies. I will go to the people and the programs that are the
brighter points of light, and I'll ask every member of my government to
become involved.”
(5) “Our children are watching in schools throughout our great land. And to
them I say, Thank you for watching democracy's big day. For democracy
belongs to us all, and freedom is like a beautiful kite that can go higher and
higher with the breeze. And to all I say, No matter what your circumstances
or where you are, you are part of this day, you are part of the life of our
great nation.”
Ciò che si vuole mettere in risalto, oltre ai vari riferimenti alla nazione in termini
di una famiglia, è che Bush in (1), per esempio, si rivolge al suo predecessore
Reagan come per sottolineare il cambio generazionale che stava avvenendo.
Infatti sembra quasi che il “vecchio capo” lascia il posto a quelli che un tempo
59
erano i giovani da accudire e che ora hanno raggiunto la piena maturità. Così
come evolve una famiglia, anche una nazione prosegue il suo percorso di
maturazione attraverso il cambio del suo massimo rappresentante, il presidente
appunto. Non è un caso, infatti, se Bush in (2) parla di una continuità di governo
che risale a ben due secoli prima.
Una parte molto interessante del suo discorso inaugurale è quella in cui parla della
situazione economica del Paese. Come si può vedere dalla citazione (3) Bush
sembra quasi preoccuparsi del futuro dei giovani come se tutto dipendesse dalle
sue azioni. Da questo punto di vista, si potrebbe avvicinare il concetto di
situazione economica a quello che potrebbe rappresentare una sorta di eredità che
un genitore lascia ai suoi figli. Tale ragionamento permetterebbe di giustificare
espressioni come “We cannot hope only to leave our children a bigger car, a
bigger bank account”.
Come è stato detto precedentemente, Bush da buon capofamiglia si rivolge anche
ai giovanissimi della “grande famiglia americana” e lo fa attraverso espressioni
come “our children”. Anche lui quindi, così come faceva Reagan, considera i suoi
cittadini come se fossero parte integrante del suo nucleo familiare. In (5) questa
caratteristica è ben visibile, soprattutto quando si riferisce al suo Paese utilizzando
espressioni come “our great nation” che in senso metaforico può essere inteso
come “our great family”.
Proseguendo con l’analisi del discorso inaugurale di Bush è possibile notare
alcuni casi in cui il ruolo del presidente/capofamiglia viene separata da quello dei
cittadini/membri del nucleo familiare. Ciò è dimostrabile attraverso queste
citazioni:
(6) “I come before you and assume the Presidency at a moment rich with
promise. We live in a peaceful, prosperous time, but we can make it
better.”
(7) “We don't have to talk late into the night about which form of government
is better. We don't have to wrest justice from the kings. We only have to
summon it from within ourselves. We must act on what we know. I take as
my guide the hope of a saint: In crucial things, unity; in important things,
diversity; in all things, generosity.”
(8) “No President, no government can teach us to remember what is best in
what we are. But if the man you have chosen to lead this government can
60
help make a difference; if he can celebrate the quieter, deeper successes
that are made not of gold and silk but of better hearts and finer souls; if he
can do these things, then he must.”
(9) “I have spoken of a Thousand Points of Light, of all the community
organizations that are spread like stars throughout the Nation, doing good.
We will work hand in hand, encouraging, sometimes leading, sometimes
being led, rewarding. We will work on this in the White House, in the
Cabinet agencies. I will go to the people and the programs that are the
brighter points of light, and I'll ask every member of my government to
become involved.”
(10) “A President is neither prince nor pope, and I don't seek a window on
men's souls. In fact, I yearn for a greater tolerance, and easygoingness
about each other's attitudes and way of life.”
Come si può notare, la posizione del presidente è decisamente diversa da quella
dei cittadini e in più occasioni i riferimenti alle identità dei soggetti sono ben
marcati. Infatti in (6) e (7) troviamo I, riferito alla figura del presidente e quindi
del capofamiglia, we che corrisponde all’intero nucleo familiare, ed infine you
quando si rivolge esclusivamente ai cittadini, e cioè ai figli, quindi ad esclusione
del presidente.
Nonostante la distinzione dei ruoli sia piuttosto ovvia, va detto che Bush non si
mostra così autoritario come può sembrare. Infatti in (8) e in (9) spiega
chiaramente che non intende mantenere il suo ruolo egemone per imporre le
proprie regole, ma cerca in ogni caso di dialogare con i suoi cittadini così come fa
un padre con i suoi figli e con tutte le persone a lui vicine. La citazione (10) non è
altro che una conferma di quanto appena affermato: non vuole affermare la sua
superiorità ma pretende dai suoi figli che ci sia un maggiore rispetto l’uno nei
confronti dell’altro.
A proposito di tolleranza e atteggiamenti da assumere nei confronti del “vicinato”,
Bush non perde occasione per comunicare ai giovani della “famiglia americana”
come intende procedere riguardo alle questioni legate alla politica estera. Si
osservino le seguenti citazioni:
(11) “To the world, too, we offer new engagement and a renewed vow: We will
stay strong to protect the peace. The offered hand is a reluctant fist; once
made -- strong, and can be used with great effect. There are today
Americans who are held against their will in foreign lands and Americans
61
who are unaccounted for. Assistance can be shown here and will be long
remembered. Good will begets good will. Good faith can be a spiral that
endlessly moves on.”
(12) “Great nations like great men must keep their word. When America says
something, America means it, whether a treaty or an agreement or a vow
made on marble steps. We will always try to speak clearly, for candor is a
compliment; but subtlety, too, is good and has its place. While keeping our
alliances and friendships around the world strong, ever strong, we will
continue the new closeness with the Soviet Union, consistent both with our
security and with progress. One might say that our new relationship in
part reflects the triumph of hope and strength over experience. But hope is
good, and so is strength and vigilance.”
Come è possibile notare, quando si parla di politica estera i cittadini, che in questa
ricerca sono rappresentati come i giovani di una famiglia, vengono completamente
esclusi. Infatti, come è stato per Reagan, in questi casi we non fa più riferimento
all’intero nucleo familiare ma agli adulti, a coloro che hanno il potere decisionale,
ai capofamiglia. D’altronde sono i genitori a dover insegnare ai figli come ci si
comporta con i “vicini”.
A proposito di regole, per quanto riguarda le forme verbali più utilizzate quando si
parla di manovre di governo da mettere in atto Bush mantiene la posizione del suo
predecessore. Si osservi il grafico seguente:
Sembra evidente, quindi, che Bush comunica le sue regole utilizzando forme
verbali con will piuttosto che con must ma, si ricordi, che entrambi hanno un
valore d’obbligo. La differenza sta semplicemente nel fatto che will esprime un
livello di severità minore rispetto a must, quindi è recepito non come
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MUST + VERBO WILL + VERBO LET US +VERBO
1° discorso inaugurale
62
un’imposizione ma come un consiglio che è giusto seguire. Come è stato
dimostrato, infatti, Bush tende spesso a mostrarsi disponibile al dialogo sia con i
giovani, riferendosi a loro in maniera piuttosto diretta, che con i “grandi” delle
altre nazioni/famiglie. Ciò non esclude il fatto, però, che è disposto ad imporre la
sua autorità a chi trasgredisce le regole o si comporta in maniera sbagliata,
riflettendo così lo strumento educativo tipico del padre severo: la punizione.
3.5 William J. Clinton (1993-1997)
Come è stato visto nel paragrafo precedente, quando viene eletto un nuovo
presidente è come se avvenisse un cambio generazionale, cioè quelli che una volta
erano i piccoli da accudire, ora sono diventati adulti. Anche con Clinton, quindi, è
possibile notare questo aspetto:
(1) “My fellow citizens, today we celebrate the mystery of American renewal.
This ceremony is held in the depth of winter, but by the words we speak and
the faces we show the world, we force the spring, a spring reborn in the
world's oldest democracy that brings forth the vision and courage to
reinvent America. When our Founders boldly declared America's
independence to the world and our purposes to the Almighty, they knew that
America, to endure, would have to change; not change for change's sake but
change to preserve America's ideals: life, liberty, the pursuit of happiness.
Though we marched to the music of our time, our mission is timeless. Each
generation of Americans must define what it means to be an American.”
(2) “On behalf of our Nation, I salute my predecessor, President Bush, for his
half-century of service to America. And I thank the millions of men and
women whose steadfastness and sacrifice triumphed over depression,
fascism, and communism.”
(3) “Today, a generation raised in the shadows of the cold war assumes new
responsibilities in a world warmed by the sunshine of freedom but
threatened still by ancient hatreds and new plagues. Raised in unrivaled
prosperity, we inherit an economy that is still the world's strongest but is
weakened by business failures, stagnant wages, increasing inequality, and
deep divisions among our own people.”
Sembra chiaro che in (1), per esempio, Clinton voglia comunicare il fatto che è
avvenuto un cambiamento, infatti, non è un caso se utilizza proprio l’espressione
63
“each generation of Americans” e soprattutto è ovvio che egli si pone a capo di
questa nuova generazione, essendo lui il nuovo presidente in carica. Infatti, nella
citazione (2), così come ha fatto G. Bush, Clinton ringrazia il “vecchio capo” per
il suo lavoro come se si rivolgesse ad un anziano non più in grado di poter gestire
una grande famiglia. La conferma di quanto detto è la citazione (3) dove il
presidente parla espressamente della maturazione raggiunta da questa nuova
generazione.
Proseguendo con l’analisi del corpus si può notare che Clinton, nel resto del suo
discorso, rinuncia alla chiara distinzione dei ruoli tra quella del
presidente/capofamiglia e cittadini/membri del nucleo familiare. Infatti, le uniche
due occasioni in cui tale differenziazione è marcata sono le seguenti:
(4) “The American people have summoned the change we celebrate today. You
have raised your voices in an unmistakable chorus. You have cast your
votes in historic numbers. And you have changed the face of Congress, the
Presidency, and the political process itself. Yes, you, my fellow Americans,
have forced the spring. Now we must do the work the season demands. To
that work I now turn with all the authority of my office. I ask the Congress
to join with me. But no President, no Congress, no Government can
undertake this mission alone.”
(5) “My fellow Americans, you, too, must play your part in our renewal. I
challenge a new generation of young Americans to a season of service: to
act on your idealism by helping troubled children, keeping company with
those in need, reconnecting our torn communities. (…) In serving, we
recognize a simple but powerful truth: We need each other, and we must
care for one another.”
Come è possibile notare, in entrambe le citazioni vengono distinte tre identità
diverse, ossia quella del presidente, quella dei cittadini e infine quella della
nazione. Clinton usa riferimenti in prima persona singolare, quindi I e my per
parlare di quelli che saranno i suoi compiti da presidente, mentre invoglia i
cittadini a fare la loro parte utilizzando riferimenti in seconda persona plurale,
cioè you e your. Infine, come è stato fatto finora, viene utilizzato we per riferirsi
alla “grande famiglia americana”, cioè alla nazione.
La mancanza della chiara distinzione tra i diversi ruoli delle identità coinvolte fa
pensare a ciò che Lakoff affermava nel suo libro “Don’t think of an elephant!” e
cioè che i rappresentanti dei conservatori assumono una posizione molto più
64
autoritaria rispetto a quella dei progressisti o dei liberali e proprio per questo
Lakoff sostiene che i primi fanno riferimento al modello del padre severo mentre i
secondi a quello del genitore premuroso. Il fatto stesso che Clinton non si mette
mai al di sopra del popolo, esclusi i casi delle citazioni (4) e (5) che risultano
essere dettati più dalle circostanze che dalla volontà di sottolineare la differente
posizione dei ruoli, fa pensare che lui fa riferimento più al modello del genitore
premuroso che a quello del padre severo. Infatti, tutti i membri della famiglia sono
considerati di vitale importanza e l’autorità dei genitori lascia il posto al dialogo e
all’aiuto reciproco. Di seguito le citazioni che dimostrano quanto appena
affermato:
(6) “We earn our livelihood in America today in peaceful competition with
people all across the Earth. Profound and powerful forces are shaking and
remaking our world. And the urgent question of our time is whether we
can make change our friend and not our enemy. (…) when the cost of
health care devastates families and threatens to bankrupt our enterprises,
great and small; when the fear of crime robs law-abiding citizens of their
freedom; and when millions of poor children cannot even imagine the lives
we are calling them to lead, we have not made change our friend.”
(7) “We know we have to face hard truths and take strong steps, but we have
not done so; instead, we have drifted. And that drifting has eroded our
resources, fractured our economy, and shaken our confidence. Though
our challenges are fearsome, so are our strengths. Americans have ever
been a restless, questing, hopeful people. And we must bring to our task
today the vision and will of those who came before us. From our
Revolution to the Civil War, to the Great Depression, to the civil rights
movement, our people have always mustered the determination to
construct from these crises the pillars of our history. Thomas Jefferson
believed that to preserve the very foundations of our Nation, we would
need dramatic change from time to time. Well, my fellow Americans, this is
our time. Let us embrace it.”
(8) “To renew America, we must be bold. We must do what no generation has
had to do before. We must invest more in our own people, in their jobs,
and in their future, and at the same time cut our massive debt. And we
must do so in a world in which we must compete for every opportunity. It
will not be easy. It will require sacrifice, but it can be done and done
fairly, not choosing sacrifice for its own sake but for our own sake. We
must provide for our Nation the way a family provides for its children.”
(9) “We can do no less. Anyone who has ever watched a child's eyes wander
into sleep knows what posterity is. Posterity is the world to come: the
world for whom we hold our ideals, from whom we have borrowed our
planet, and to whom we bear sacred responsibility. We must do what
America does best: offer more opportunity to all and demand more
65
responsibility from all. It is time to break the bad habit of expecting
something for nothing from our Government or from each other. Let us all
take more responsibility not only for ourselves and our families but for
our communities and our country.”
Come si può notare, Clinton parla spesso di ciò che andrebbe fatto per continuare
a crescere in qualità di grande potenza mondiale, ma mai parla in prima persona
singolare come per imporre le sue regole da presidente/capofamiglia piuttosto si
pone allo stesso livello dei cittadini cancellando quindi ogni forma di gerarchia.
La frase finale della citazione (8) è molto importante considerando la metafora
concettuale che si sta analizzando in questa ricerca. Non può essere una
coincidenza se si paragona la nazione ad una famiglia, soprattutto se si parla dei
servizi che lo stato deve offrire ai suoi cittadini, i quali sono legati
metaforicamente alla figura dei figli. E’ praticamente un richiamo alla premura e
all’attenzione che un adulto rivolge ai più piccoli.
Non possono mancare, infine, le indicazioni su come bisogna comportarsi al di
fuori del nucleo familiare:
(10) “There is no longer a clear division between what is foreign and what is
domestic. The world economy, the world environment, the world AIDS
crisis, the world arms race: they affect us all. Today, as an older order
passes, the new world is more free but less stable. Communism's collapse
has called forth old animosities and new dangers. Clearly, America must
continue to lead the world we did so much to make.”
(11) “While America rebuilds at home, we will not shrink from the challenges
nor fail to seize the opportunities of this new world. Together with our
friends and allies, we will work to shape change, lest it engulf us. When
our vital interests are challenged or the will and conscience of the
international community is defied, we will act, with peaceful diplomacy
whenever possible, with force when necessary. The brave Americans
serving our Nation today in the Persian Gulf, in Somalia, and wherever
else they stand are testament to our resolve. But our greatest strength is
the power of our ideas, which are still new in many lands. Across the
world we see them embraced, and we rejoice. Our hopes, our hearts, our
hands are with those on every continent who are building democracy and
freedom. Their cause is America's cause.”
La parte iniziale della citazione (10) è praticamente l’espressione che forse rende
più chiara l’idea di ciò che si è affermato finora e cioè che la nazione è intesa
66
metaforicamente come una famiglia. La parola “domestic” racchiude in sé tutti i
concetti legati a quelli di un nucleo familiare: i suoi membri, una casa, un
vicinato, ecc.; sono tutti elementi che si collegano perfettamente con i ruoli che
coinvolgono una nazione.
Per quanto riguarda il secondo discorso inaugurale di Clinton, la tendenza di
eliminare ogni forma gerarchica tra presidente e cittadini risulta essere ancora più
accentuata. Infatti, c’è solo un caso in cui si distingue il ruolo del capofamiglia da
quello dei figli ed è il seguente:
(12) “To that effort I pledge all my strength and every power of my office. I ask
the Members of Congress here to join in that pledge. The American people
returned to office a President of one party and a Congress of another.
Surely they did not do this to advance the politics of petty bickering and
extreme partisanship they plainly deplore. No, they call on us instead to be
repairers of the breach and to move on with America's mission. America
demands and deserves big things from us, and nothing big ever came from
being small.”
Anche in questa occasione sembra che tale differenza di posizione sia dettata più
dalle circostanze che dalla propria volontà. Infatti, per tutto il resto del discorso
egli si pone allo stesso livello dei cittadini mentre lascia agli organi istituzionali il
compito che spetterebbe al capofamiglia. Si osservino le seguenti citazioni:
(13) “As times change, so Government must change. We need a new
Government for a new century, humble enough not to try to solve all our
problems for us but strong enough to give us the tools to solve our
problems for ourselves, a Government that is smaller, lives within its
means, and does more with less. Yet where it can stand up for our values
and interests around the world, and where it can give Americans the
power to make a real difference in their everyday lives, Government
should do more, not less. The preeminent mission of our new Government
is to give all Americans an opportunity, not a guarantee but a real
opportunity, to build better lives.”
(14) “Our Founders taught us that the preservation of our liberty and our
Union depends upon responsible citizenship. And we need a new sense of
responsibility for a new century. There is work to do, work that
Government alone cannot do: teaching children to read, hiring people off
welfare rolls, coming out from behind locked doors and shuttered windows
to help reclaim our streets from drugs and gangs and crime, taking time
67
out of our own lives to serve others.”
Come si può notare, viene nominato il governo come se fosse l’unico ad occupare
una posizione di rilievo rispetto a quella degli altri. In questo contesto, il
presidente preferisce, ancora una volta, porsi allo stesso livello dei cittadini come
per sottolineare che non c’è alcuna differenza di potere tra quello che dovrebbe
rappresentare il capofamiglia e quello che invece spetta ai figli. Ulteriore
conferma di quanto appena affermato sono le seguenti citazioni:
(15) “When last we gathered, our march to this new future seemed less certain
than it does today. We vowed then to set a clear course to renew our
Nation. In these 4 years, we have been touched by tragedy, exhilarated by
challenge, strengthened by achievement. America stands alone as the
world's indispensable nation. Once again, our economy is the strongest on
Earth. (…)Problems that once seemed destined to deepen, now bend to our
efforts. Our streets are safer, and record numbers of our fellow citizens
have moved from welfare to work. And once again, we have resolved for
our time a great debate over the role of Government. Today we can
declare: Government is not the problem, and Government is not the
solution. We—the American people—we are the solution. Our Founders
understood that well and gave us a democracy strong enough to endure
for centuries, flexible enough to face our common challenges and advance
our common dreams in each new day.”
(16) “Each and every one of us, in our own way, must assume personal
responsibility not only for ourselves and our families but for our neighbors
and our Nation. Our greatest responsibility is to embrace a new spirit of
community for a new century. For any one of us to succeed, we must
succeed as one America. The challenge of our past remains the challenge
of our future: Will we be one Nation, one people, with one common
destiny, or not? Will we all come together, or come apart?”
(17) “Our land of new promise will be a nation that meets its obligations, a
nation that balances its budget but never loses the balance of its values, a
nation where our grandparents have secure retirement and health care
and their grandchildren know we have made the reforms necessary to
sustain those benefits for their time, a nation that fortifies the world's most
productive economy even as it protects the great natural bounty of our
water, air, and majestic land. And in this land of new promise, we will
have reformed our politics so that the voice of the people will always
speak louder than the din of narrow interests, regaining the participation
and deserving the trust of all Americans.”
68
Come si può notare, la figura del presidente sembra scomparire del tutto
fondendosi con quella dei cittadini. Clinton utilizza, infatti, solo riferimenti in
prima persona plurale, quindi we, our e us per coinvolgere l’intera nazione nei
progetti importanti, mentre nomina il governo come se fosse un’entità a parte
quasi a voler prendere le distanze da tutto ciò che renda il suo ruolo più
importante di quello dei cittadini.
Per quanto riguarda invece le regole comportamentali, che in questa trattazione
vengono giudicate dal punto di vista verbale, si può affermare che Clinton, nel suo
primo discorso inaugurale, usa prevalentemente il modale must e i verbi
“esortativi” tramite il costrutto let us seguito dal verbo come dimostra il grafico
seguente:
Va precisato, però, che must non ha più quel valore d’obbligo così forte come è
stato per Reagan e G. Bush. Il fatto stesso che Clinton elimini la gerarchia che
distingue un presidente dai cittadini, fa recepire le sue intenzioni più come dei
suggerimenti che come delle imposizioni di un padre nei confronti dei figli.
Inoltre è importante considerare anche il dato relativo ai costrutti verbali con let us
seguito dal verbo. Grazie a questi, infatti, è come se il capofamiglia permettesse
una comunicazione bilaterale tra genitore e figli. Questa sua peculiarità si riflette
inevitabilmente anche nel discorso inaugurale del suo secondo mandato e il
grafico seguente mostra i risultati dei dati raccolti:
0
5
10
15
MUST + VERBO WILL + VERBO LET US + VERBO
1° discorso inaugurale
69
Come si può notare, le occorrenze dei verbi con must si riducono drasticamente,
mentre aumentano quelli con will. Questo dato è importante perché, come
mostrato con i primi due presidenti, i verbi al futuro hanno un valore d’obbligo
molto meno evidente rispetto agli altri e considerando che questi vengono alternati
ai verbi “esortativi”, seppur in numero molto ridotto, ogni regola esposta dal
capofamiglia perde buona parte della sua forza impositiva.
3.5 George W. Bush (2001-2009)
Attraverso l’analisi dei discorsi inaugurali dei presidenti presi in esame finora è
stato possibile mettere in evidenza il fatto che il ramo conservatore della politica
americana tende a distinguere in maniera piuttosto eloquente il ruolo che spetta al
presidente, cioè al capofamiglia, da quello che invece spetta ai cittadini. Reagan e
Bush, infatti, alternano riferimenti come I e my per sottolineare la posizione
egemone del presidente su quella dei cittadini, mentre usano we e our per riferirsi
all’intero nucleo familiare e cioè alla nazione americana. E’ evidente quindi che il
potere decisionale delle due parti è diverso. In Clinton questa differenza viene
abolita in quanto l’obiettivo non era quello di porsi al di sopra degli altri membri
della “grande famiglia americana” per imporre la propria autorità, ma di mettersi
esattamente al loro stesso livello, sconvolgendo ogni gerarchia.
Nel 2001 con G.W. Bush si ritorna a fare di nuovo una netta distinzione tra la
figura del presidente e quella del popolo. Si osservino le seguenti citazioni:
0
10
20
30
MUST + VERBO WILL + VERBO LET US + VERBO
2° discorso inaugurale
70
(1) “I am honored and humbled to stand here where so many of America's
leaders have come before me, and so many will follow. We have a place, all
of us, in a long story, a story we continue but whose end we will not see.”
(2) “Our unity, our Union, is a serious work of leaders and citizens and every
generation. And this is my solemn pledge: I will work to build a single
nation of justice and opportunity. I know this is in our reach because we are
guided by a power larger than ourselves, who creates us equal, in His
image, and we are confident in principles that unite and lead us onward.”
(3) “Many in our country do not know the pain of poverty. But we can listen to
those who do. And I can pledge our Nation to a goal: When we see that
wounded traveler on the road to Jericho, we will not pass to the other side.”
(4) “I will live and lead by these principles: to advance my convictions with
civility to serve the public interest with courage, to speak for greater justice
and compassion, to call for responsibility and try to live it, as well. In all
these ways, I will bring the values of our history to the care of our times.”
(5) “What you do is as important as anything Government does. I ask you to
seek a common good beyond your comfort, to defend needed reforms
against easy attacks, to serve your Nation, beginning with your neighbor. I
ask you to be citizens (…).”
Come si può notare, Bush tende a sottolineare più volte l’egemonia del suo ruolo
rispetto a quello dei cittadini, proponendosi come una vera e propria guida
spirituale. Infatti in queste citazioni si distinguono chiaramente tre identità
diverse: quella del capofamiglia con i riferimenti I e my, quella dei figli con you e
your, e infine quella dell’intero nucleo familiare con we e our Nation. Un’ulteriore
considerazione che la metafora concettuale NAZIONE E’ FAMIGLIA propone è
quella che riguarda l’esempio che gli adulti devono dare ai più giovani: attraverso
il molteplice uso di riferimenti in prima persona singolare è come se Bush stesse
insegnando ai suoi figli cosa è giusto fare e come è giusto comportarsi.
Nonostante questo, non mancano le occasioni in cui Bush si pone allo stesso
livello dei cittadini inglobando la sua funzione con i doveri del popolo:
(6) “Americans are called to enact this promise in our lives and in our laws.
And though our Nation has sometimes halted and sometimes delayed, we
must follow no other course.”
(7) “Our democratic faith is more than the creed of our country. It is the
inborn hope of our humanity, an ideal we carry but do not own, a trust we
bear and pass along. Even after nearly 225 years, we have a long way yet
71
to travel.”
(8) “While many of our citizens prosper, others doubt the promise, even the
justice of our own country. The ambitions of some Americans are limited
by failing schools and hidden prejudice and the circumstances of their
birth. And sometimes our differences run so deep, it seems we share a
continent but not a country. We do not accept this, and we will not allow
it.”
(9) “Some seem to believe that our politics can afford to be petty because in a
time of peace the stakes of our debates appear small. (…) If our country
does not lead the cause of freedom, it will not be led. If we do not turn the
hearts of children toward knowledge and character, we will lose their gifts
and undermine their idealism. If we permit our economy to drift and
decline, the vulnerable will suffer most.”
(10) “Together we will reclaim America's schools before ignorance and apathy
claim more young lives. We will reform Social Security and Medicare,
sparing our children from struggles we have the power to prevent. And we
will reduce taxes to recover the momentum of our economy and reward the
effort and enterprise of working Americans.”
In questi casi la sola identità che si riesce a distinguere risulta essere quella della
nazione, ossia della “famiglia americana”. Infatti gli unici riferimenti che si
notano sono quelli in prima persona plurale e così facendo G.W. Bush riesce in
qualche modo a coinvolgere il popolo nelle decisioni importanti e allo stesso
tempo fa pesare meno l’autorità che il suo ruolo comporta.
Anche per G.W. Bush non manca l’occasione per comunicare al “vicinato” la
posizione egemone del suo Paese:
(11) “We will build our defenses beyond challenge, lest weakness invite
challenge. We will confront weapons of mass destruction, so that a new
century is spared new horrors. The enemies of liberty and our country
should make no mistake: America remains engaged in the world, by
history and by choice, shaping a balance of power that favors freedom.”
(12) “We will defend our allies and our interests. We will show purpose
without arrogance. We will meet aggression and bad faith with resolve
and strength. And to all nations, we will speak for the values that gave our
Nation birth.”
Spesso in questa trattazione si è fatto riferimento a Lakoff e ai suoi modelli del
genitore premuroso e del padre severo. Quest’ultimo è caratterizzato dalla figura
72
predominante di un adulto che, in quanto tale, sa come bisogna comportarsi con
gli altri, pertanto non deve chiedere nessun “permesso scritto” per agire nel
proprio interesse. Queste citazioni ne sono la prova: G.W. Bush, in qualità di
adulto, è disposto ad usare la forza contro quelle nazioni che non condividono i
suoi stessi ideali e che considera quindi dei bambini da educare. A questo punto
sembra ovvio che l’unico metodo utile allo scopo è la punizione, anche perché è lo
strumento cardine del modello del padre severo, che in contesto politico non è
altro che l’impiego della forza militare.
Per quanto riguarda il discorso inaugurale del suo secondo mandato G.W. Bush
continua a distinguere i ruoli del presidente/capofamiglia da quello dei
cittadini/figli. Le seguenti citazioni ne sono la prova:
(13) “On this day, prescribed by law and marked by ceremony, we celebrate
the durable wisdom of our Constitution and recall the deep commitments
that unite our country. I am grateful for the honor of this hour, mindful of
the consequential times in which we live, and determined to fulfill the oath
that I have sworn and you have witnessed.”
(14) “At this second gathering, our duties are defined not by the words I use
but by the history we have seen together. For a half a century, America
defended our own freedom by standing watch on distant borders.”
(15) “My most solemn duty is to protect this Nation and its people from further
attacks and emerging threats. Some have unwisely chosen to test America's
resolve and have found it firm. We will persistently clarify the choice
before every ruler and every nation, the moral choice between oppression,
which is always wrong, and freedom, which is eternally right.”
(16) “Today I also speak anew to my fellow citizens. From all of you I have
asked patience in the hard task of securing America, which you have
granted in good measure. Our country has accepted obligations that are
difficult to fulfill and would be dishonorable to abandon. Yet because we
have acted in the great liberating tradition of this Nation, tens of millions
have achieved their freedom. (…) By our efforts, we have lit a fire as well,
a fire in the minds of men. (…)And one day this untamed fire of freedom
will reach the darkest corners of our world.”
(17) “All Americans have witnessed this idealism and some for the first time. I
ask our youngest citizens to believe the evidence of your eyes. You have
seen duty and allegiance in the determined faces of our soldiers. You have
seen that life is fragile and evil is real and courage triumphs. Make the
choice to serve in a cause larger than your wants, larger than yourself,
and in your days you will add not just to the wealth of our country but to
73
its character.”
E’ evidente che le identità dei soggetti sono tre: la prima, ovviamente, è quella del
presidente che tende sempre a mostrarsi come lo spirito guida attraverso i soliti
riferimenti I e my; la seconda invece è quella dei cittadini rappresentati da you e
your e infine quella che coinvolge tutta la nazione attraverso espressioni come all
Americans, this Nation e riferimenti come we e our.
Oltre alla semplice differenziazione dei ruoli, ciò che si vuole mettere in evidenza
è il fatto che G.W. Bush, soprattutto in (17), si rivolge ai giovani della “famiglia
americana” come se questi fossero tutti suoi figli. L’ultima citazione infatti
sembra quasi rispecchiare una situazione in cui un padre si rivolge ai più piccoli
per insegnare loro ad agire in maniera corretta. D’altronde gli adulti sanno sempre
cosa è giusto e cosa non lo è. Da questo, quindi, si capisce che mantenere la
gerarchia dei ruoli istituzionali, per G.W. Bush è di fondamentale importanza
affinché venga riconosciuta la sua autorità in qualità sia di presidente che di
capofamiglia. Come è stato detto in precedenza, l’uso massivo di riferimenti che
tendono a stabilire una netta divisione tra gli organi istituzionali e il popolo fa sì
che le regole del genitore vengano recepite come delle imposizioni e, in quanto
tali, i figli non le accettano in piacevolmente. Pertanto era necessario unire la
figura del presidente con quella dei cittadini per sembrare meno autoritario . Come
si può notare dalle citazioni seguenti, ogni riferimento in prima persona singolare
sparisce:
(18) “We are led, by events and common sense, to one conclusion: The survival
of liberty in our land increasingly depends on the success of liberty in
other lands. The best hope for peace in our world is the expansion of
freedom in all the world.”
(19) “America's vital interests and our deepest beliefs are now one. From the
day of our founding, we have proclaimed that every man and woman on
this Earth has rights and dignity and matchless value, because they bear
the image of the Maker of heaven and Earth. Across the generations, we
have proclaimed the imperative of self-government, because no one is fit to
be a master and no one deserves to be a slave. Advancing these ideals is
the mission that created our Nation. It is the honorable achievement of our
fathers. Now, it is the urgent requirement of our Nation's security and the
calling of our time.”
74
(20) “America will not pretend that jailed dissidents prefer their chains or that
women welcome humiliation and servitude or that any human being
aspires to live at the mercy of bullies. We will encourage reform in other
governments by making clear that success in our relations will require the
decent treatment of their own people. America's belief in human dignity
will guide our policies.”
(21) “And now we will extend this vision by reforming great institutions to
serve the needs of our time. To give every American a stake in the promise
and future of our country, we will bring the highest standards to our
schools and build an ownership society. We will widen the ownership of
homes and businesses, retirement savings, and health insurance, preparing
our people for the challenges of life in a free society. By making every
citizen an agent of his or her own destiny, we will give our fellow
Americans greater freedom from want and fear and make our society
more prosperous and just and equal.”
In queste citazioni è evidente che G.W. Bush tende a sottolineare uno degli ideali
che fanno parte del modello del padre severo, cioè quello di impartire ordine e
disciplina per permettere ai figli di crescere in maniera sana e rincorrere i propri
interessi che, in fin dei conti, sono gli stessi dell’intero nucleo familiare:
raggiungere uno status socio-economico stabile e autosufficiente. Partendo da
questi presupposti, la scelta di abolire ogni forma gerarchica e adottare riferimenti
in prima persona plurale risulta piuttosto scontata e prevedibile, oltre che
funzionale.
Per quanto riguarda la questione legata al “vicinato” G.W. Bush, da buon padre
severo, rinnova il suo impegno:
(22) “Today, America speaks anew to the peoples of the world. All who live in
tyranny and hopelessness can know: The United States will not ignore
your oppression or excuse your oppressors. When you stand for your
liberty, we will stand with you.”
(23) “Democratic reformers facing repression, prison, or exile can know:
America sees you for who you are, the future leaders of your free country.
The rulers of outlaw regimes can know that we still believe as Abraham
Lincoln did: "Those who deny freedom to others deserve it not for
themselves and, under the rule of a just God, cannot long retain it."
(24) “The leaders of governments with long habits of control need to know: to
serve your people, you must learn to trust them. Start on this journey of
progress and justice, and America will walk at your side.”
(25) “And all the allies of the United States can know: We honor your
75
friendship; we rely on your counsel; and we depend on your help. Division
among free nations is a primary goal of freedom's enemies. The concerted
effort of free nations to promote democracy is a prelude to our enemies'
defeat.”
Da queste citazioni si può notare come vengono posti gli Stati Uniti d’America al
vertice delle potenze mondiali. Infatti, soprattutto in (24), il presidente si rivolge
alle “nazioni bambine” come se fosse un adulto che insegna ai più piccoli il modo
giusto per agire e maturare in maniera etica. La stessa espressione “you must learn
to trust them” è una prova evidente di quanto appena affermato. Chi, in genere, ha
il dovere di imparare? E, soprattutto, chi può permettersi di rivolgere
un’espressione simile a qualcun altro? Le risposte a queste domande, una volta
compresa l’ideologia di G.W. Bush, risultano ovvie: i “piccoli” devono essere
educati da adulti con esperienza, esattamente come lo sono gli Stati Uniti.
Per quanto riguarda la comunicazione delle regole dal punto di vista della
modalità verbale, si può affermare che G.W. Bush preferisce l’uso dei verbi al
futuro tramite will piuttosto che il modale must in funzione deontica, cioè con
valore d’obbligo. Inoltre, anche il numero di occorrenze di entrambi i costrutti
rimane invariato nei suoi due discorsi inaugurali come mostra il seguente grafico:
E’ evidente che G.W. Bush, a differenza del suo predecessore, non utilizza verbi
“esortativi” escludendo, quindi, ogni possibilità di una comunicazione tra padre e
figli. Questo, va detto, è anche il risultato del continuo mantenimento di una
struttura gerarchica ben definita che vede il presidente, e quindi il capofamiglia, in
0
5
10
15
20
MUST + VERBO WILL + VERBO LET US +VERBO
1° discorsoinaugurale
2° discorsoinaugurale
76
una posizione più autorevole rispetto a quella dei cittadini che sono considerati
semplici membri del nucleo familiare.
3.6 Barak Obama (2009)
Così come è stato per Clinton, anche il democratico liberale Barak Obama nel suo
discorso del 2009 ha abolito ogni forma gerarchica che separasse le identità del
presidente da quella dei cittadini. Infatti le uniche occorrenze in cui vengono usati
riferimenti in prima persona singolare si trovano nella parte iniziale dove Obama,
come tutti i presidenti analizzati in questa trattazione, ringrazia il “vecchio”
capofamiglia per il lavoro svolto e dà inizio all’ennesimo cambio di generazione:
(1) “My fellow citizens, I stand here today humbled by the task before us,
grateful for the trust you have bestowed, mindful of the sacrifices borne by
our ancestors. I thank President Bush for his service to our Nation, as well
as the generosity and cooperation he has shown throughout this transition.”
(2) “Forty-four Americans have now taken the Presidential oath. The words
have been spoken during rising tides of prosperity and the still waters of
peace. Yet every so often, the oath is taken amidst gathering clouds and
raging storms. At these moments, America has carried on not simply
because of the skill or vision of those in high office, but because we the
people have remained faithful to the ideals of our forebears and true to our
founding documents.”
(3) “So it has been; so it must be with this generation of Americans.”
Come si può notare, la differenza tra le identità coinvolte non è altro che il
risultato di una formalità che prevede il passaggio di potere da un “anziano” ad un
“nuovo adulto”. Al contrario di G.W. Bush, quindi, il neo presidente non intende
affermare la sua autorità sui propri cittadini anzi, come si mostrerà in seguito,
tende a coinvolgere il popolo quasi nella totalità del suo discorso utilizzando
riferimenti in prima persona plurale eliminando, così, ogni struttura gerarchica che
tenda a distanziare il capofamiglia dai suoi figli. Si osservino le seguenti citazioni:
77
(4) “We remain a young nation, but in the words of Scripture, the time has
come to set aside childish things. The time has come to reaffirm our
enduring spirit, to choose our better history, to carry forward that precious
gift, that noble idea passed on from generation to generation: the God-given
promise that all are equal, all are free, and all deserve a chance to pursue
their full measure of happiness.”
(5) “We remain the most prosperous, powerful nation on Earth. Our workers
are no less productive than when this crisis began. Our minds are no less
inventive. Our goods and services no less needed than they were last week
or last month or last year. Our capacity remains undiminished. But our time
of standing pat, of protecting narrow interests and putting off unpleasant
decisions, that time has surely passed. Starting today, we must pick
ourselves up, dust ourselves off, and begin again the work of remaking
America.”
(6) “The state of the economy calls for action, bold and swift, and we will act
not only to create new jobs but to lay a new foundation for growth. We will
build the roads and bridges, the electric grids and digital lines that feed our
commerce and bind us together. We will restore science to its rightful place
and wield technology's wonders to raise health care's quality and lower its
cost. We will harness the sun and the winds and the soil to fuel our cars and
run our factories. And we will transform our schools and colleges and
universities to meet the demands of a new age. All this we can do. All this
we will do.”
(7) “As for our common defense, we reject as false the choice between our
safety and our ideals. Our Founding Fathers, faced with perils that we can
scarcely imagine, drafted a charter to assure the rule of law and the rights
of man, a charter expanded by the blood of generations. Those ideals still
light the world, and we will not give them up for expedience's sake.”
(8) “For we know that our patchwork heritage is a strength, not a weakness.
We are a nation of Christians and Muslims, Jews and Hindus and
nonbelievers. We are shaped by every language and culture, drawn from
every end of this Earth. And because we have tasted the bitter swill of civil
war and segregation and emerged from that dark chapter stronger and
more united, we cannot help but believe that the old hatreds shall someday
pass, that the lines of tribe shall soon dissolve; that as the world grows
smaller, our common humanity shall reveal itself, and that America must
play its role in ushering in a new era of peace.”
(9) America, in the face of our common dangers, in this winter of our hardship,
let us remember these timeless words. With hope and virtue, let us brave
once more the icy currents and endure what storms may come. Let it be said
by our children's children that when we were tested, we refused to let this
journey end; that we did not turn back, nor did we falter. And with eyes
fixed on the horizon and God's grace upon us, we carried forth that great
gift of freedom and delivered it safely to future generations.”
78
E’ evidente che per Obama non è ammissibile una distinzione tra il suo ruolo e
quello dei cittadini in quanto sono tutti membri della sua famiglia e, in veste di
genitore premuroso, per lui tutti sono allo stesso livello e hanno la medesima
importanza. Non è un caso infatti che, nonostante le grandi differenze culturali,
sociali e credi religiosi che formano gli Stati Uniti d’America, per lui non esistono
barriere che possano impedire a tutti i suoi figli di crescere e maturare. La
premura e la dedizione di Obama si può notare anche dal modo in cui si
preoccupa della situazione economica del Paese, cioè di quella che in senso
metaforico può essere considerata l’eredità di un genitore per i suoi figli. La
citazione (6) è la prova lampante di quanto appena affermato.
C’è una caratteristica particolare di Obama che è possibile notare in alcuni
momenti del suo discorso che è quella di elogiare le qualità del suo popolo
attraverso riferimenti in terza persona, quasi come se si mettesse da parte per
evidenziare le caratteristiche che fanno degli americani dei “figli modello”. Si
osservino le seguenti citazioni:
(10) “In reaffirming the greatness of our Nation, we understand that greatness
is never a given. It must be earned. Our journey has never been one of
shortcuts or settling for less. It has not been the path for the fainthearted,
for those who prefer leisure over work or seek only the pleasures of riches
and fame. Rather, it has been the risk-takers, the doers, the makers of
things--some celebrated, but more often men and women obscure in their
labor--who have carried us up the long, rugged path toward prosperity
and freedom.”
(11) “For as much as Government can do and must do, it is ultimately the faith
and determination of the American people upon which this Nation relies. It
is the kindness to take in a stranger when the levees break, the
selflessness of workers who would rather cut their hours than see a friend
lose their job, which sees us through our darkest hours. It is the
firefighter's courage to storm a stairway filled with smoke, but also a
parent's willingness to nurture a child, that finally decides our fate.”
Come si può notare in (10), l’identità del presidente si fonde con quella della
nazione e lo dimostrano i riferimenti in prima persona plurale come “our Nation”
e “our journey”. Va sottolineato anche il fatto che, a differenza di tutti i presidenti
“severi” analizzati in questa trattazione, Obama a volte depersonalizza le
espressioni utili a comunicare le sue regole. Un esempio di quanto detto è la frase
79
“It must be earned”: contrariamente a quanto avrebbero fatto Reagan, G. Bush e
G.W. Bush, l’attuale presidente non distingue il ruolo di capofamiglia da quello
dei figli ed elimina il confronto I/you, utilizzando il verbo modale must in
funzione deontica ma in forma impersonale. Questa scelta linguistica
permetterebbe di mantenere la forza impositiva di quella che potremmo definire
una regola comportamentale senza dover necessariamente rivolgersi ai figli con
riferimenti diretti come you. Anche in (11) la tendenza di Obama non cambia.
Infatti, indica ai suoi figli il modo giusto di comportarsi ricordando loro quelli che
sono i valori su cui si fonda il modello del genitore premuroso di Lakoff, ossia la
generosità verso il prossimo, la gentilezza e il coraggio di affrontare situazioni
difficili. Quello che si vuole mettere in evidenza è che Obama non impone in
nessun modo la sua autorità sui figli e quindi vengono sempre evitati riferimenti
diretti.
Tutt’altra faccenda, invece, è quella che riguarda i rapporti col resto del mondo. Si
osservino le seguenti citazioni:
(12) “(…)And so to all the other peoples and governments who are watching
today, from the grandest capitals to the small village where my father was
born, know that America is a friend of each nation and every man,
woman, and child who seeks a future of peace and dignity, and we are
ready to lead once more.”
(13) “Guided by these principles once more, we can meet those new threats
that demand even greater effort, even greater cooperation and
understanding between nations. We will begin to responsibly leave Iraq to
its people and forge a hard-earned peace in Afghanistan. With old friends
and former foes, we will work tirelessly to lessen the nuclear threat and
roll back the specter of a warming planet. We will not apologize for our
way of life, nor will we waver in its defense. And for those who seek to
advance their aims by inducing terror and slaughtering innocents, we say
to you now that our spirit is stronger and cannot be broken. You cannot
outlast us, and we will defeat you.”
(14) “To the Muslim world, we seek a new way forward based on mutual
interest and mutual respect. To those leaders around the globe who seek to
sow conflict or blame their society's ills on the West, know that your
people will judge you on what you can build, not what you destroy. To
those who cling to power through corruption and deceit and the silencing
of dissent, know that you are on the wrong side of history, but that we will
extend a hand if you are willing to unclench your fist.”
(15) “To the people of poor nations, we pledge to work alongside you to make
80
your farms flourish and let clean waters flow, to nourish starved bodies
and feed hungry minds. And to those nations like ours that enjoy relative
plenty, we say we can no longer afford indifference to suffering outside
our borders, nor can we consume the world's resources without regard to
effect, for the world has changed, and we must change with it.”
Come si può notare l’atteggiamento di Obama è decisamente diverso quando si
tratta di politica estera. Questo potrebbe essere giustificato dal fatto che un
genitore premuroso è disposto a difendere i propri figli da qualsiasi minaccia
esterna con tutte le sue forze. Infatti, specialmente in (13) e (14), le identità dei
soggetti coinvolti sono essenzialmente due: quella della “famiglia americana” con
we e our, e quella che comprende tutte le altre famiglie del “vicinato” con you e
your. Sembra evidente che Obama cerca in tutti i modi di affermare la superiorità
degli Stati Uniti nei confronti del resto del mondo. Non è un caso infatti che,
nonostante la prima scelta sia quella del dialogo, il presidente è disposto ad usare
la forza in caso di necessità ed espressioni come “we will defeat you” ne sono la
prova. Oltre a mostrare il suo potere dal punto di vista bellico, Obama evidenzia la
sua superiorità anche nei confronti di tutti i popoli in difficoltà socio-economiche,
per esempio proponendosi come l’adulto in grado di insegnare loro come rendere
le fattorie più efficienti o mantenere le acque più pulite. A questo punto risulta
anche più chiara la considerazione di Obama per i suoi “vicini”: esistono, come
per tutti i presidenti analizzati in questa ricerca, delle famiglie “amiche” e altre
“nemiche”. E’ ovvio che la natura di tali relazioni dipenda esclusivamente
dall’atteggiamento che queste hanno nei confronti della sua nazione, o meglio
della “famiglia americana”.
Dal punto di vista verbale Barak Obama sembra comunicare le sue regole
adottando principalmente i verbi futuri con will e con il modale must in funzione
deontica:
81
Così come è stato per Clinton, va sottolineato che anche Obama ha cercato di
eliminare ogni forma gerarchica che ponesse la sua figura più in alto rispetto a
quella dei cittadini e, nonostante le forme verbali più utilizzate siano indice di
severità, le regole che il capofamiglia rivolge ai suoi figli vengono recepite come
dei consigli. Inoltre va ricordato che Obama a volte depersonalizza le sue
indicazioni e questo gli consente di porsi più come un confidente che come un
genitore, che per natura ha un ruolo egemone rispetto a quello dei più piccoli.
0
5
10
15
MUST + VERBO WILL + VERBO LET US + VERBO
1° discorso inaugurale
82
CONCLUSIONE
Più volte Lakoff ha affermato che una nazione viene intesa dalla mente umana in
termini di gruppi più piccoli, come una famiglia. Da questi presupposti si è
proceduto col mostrare gli elementi che permettono alla metafora NAZIONE E’
FAMIGLIA di concretizzarsi. Grazie ai risultati ottenuti da tale ricerca, infatti, è
stato possibile provare che, in effetti, esistono diverse relazioni che legano i due
domini concettuali: in entrambi troviamo una figura dominante, cioè quella del
capofamiglia e quella del presidente; una figura subordinata, che fa riferimento da
una parte a quella dei figli e dall’altra a quella dei cittadini; uno strumento di
controllo che permette di associare le leggi di una nazione ad un regolamento
comportamentale dettato da un genitore e, infine, un’area di influenza che lega i
confini territoriali alle mura domestiche.
Attraverso l’analisi dei discorsi inaugurali degli ultimi presidenti americani è stato
possibile dimostrare che questi hanno un modo di intendere la politica come se
questa fosse qualcosa di simile alla gestione di una comune famiglia. Lo scopo di
tale trattazione, infatti, è quello di confermare ciò che Lakoff sostiene nel suo
libro Don’t think of an elephant! riguardo ai modelli genitoriali che i presidenti
americani adottano come riferimento: i rappresentanti del ramo conservatore
assumono un atteggiamento da padre severo impartendo delle regole ben precise
ai propri figli e, in caso di trasgressione, la punizione risulta essere lo strumento
più efficace per infondere una certa disciplina; i rappresentanti dei liberali, invece,
adottano il modello del genitore premuroso grazie al quale si tende sempre a
cercare il dialogo coi figli permettendo così una comunicazione bilaterale. Per tale
motivazione, quindi, si può affermare che Reagan, G. Bush e G.W. Bush sono
padri severi in quanto nei loro discorsi prevale una netta separazione dei ruoli
attraverso il confronto di riferimenti come I/you/we che, abbinato a costrutti
verbali con valore d’obbligo, stabilisce la superiorità degli adulti sui più giovani;
Clinton e Obama, invece, grazie alla fusione dei loro ruoli con quello dei cittadini,
possono essere considerati dei genitori premurosi in quanto cercano di dare buoni
83
consigli sia ai propri figli che alle persone in difficoltà, insegnando il giusto modo
di comportarsi sia dentro che fuori dal contesto familiare.
Un ulteriore obiettivo di tale ricerca è stato quello di dimostrare che il mondo
politico moderno ragiona in termini puramente metaforici e, contrariamente a
quanto si possa immaginare, i discorsi che ne derivano non sono altro che i
risultati di una particolare metafora concettuale studiata a dovere, creata con la
chiara intenzione di persuadere chi ascolta.
84
BIBLIOGRAFIA
Casadei F., 2003, Lessico e semantica, Roma, Carocci
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Per l'archivio dei discorsi inaugurali dei presidenti americani:
http://www.presidency.ucsb.edu/index.php
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RINGRAZIAMENTI
Desidero innanzitutto ringraziare la Prof.ssa Petroni per i suoi preziosi insegnamenti e per
il tempo dedicato alla mia tesi. Inoltre, vorrei esprimere la mia sincera gratitudine ai miei
compagni di corso, in particolare Rubina, da sempre mia alleata durante la preparazione
degli esami e un’amica sincera fuori dal contesto universitario, e coloro che in tutti questi
anni si sono dimostrati degli amici leali e che mi hanno sempre sostenuto nei momenti
più difficili: Lele, Luca, Massimo, Roberta, Ilaria, Fabiana, Dalila e Lorena…grazie
ragazzi!
Per ultimi, ma non per questo meno importanti, ho desiderio di ringraziare con affetto mia
sorella Marianna per essermi stata accanto in ogni momento durante il mio percorso di
studi così come nella vita, e mio cognato Giammarco per aver condiviso con me
numerosi momenti di gioia e per essere riuscito a strapparmi dei sorrisi anche in
situazioni di maggiore stress.
Infine vorrei ringraziare i miei genitori non solo per avermi dato la possibilità di
frequentare l’università, ma anche per avermi preso per mano ed avermi accompagnato,
giorno dopo giorno, nel mio cammino della vita, per i bellissimi ricordi che custodirò per
sempre nel mio cuore, per avermi fatto credere e convincere, guardandovi ogni giorno,
che l'amore vero esiste, e per avermi trasmesso il vero significato della parola
"FAMIGLIA", che mi sarà utile quando un giorno dovrò crescere ed educare i miei figli.
Per tutto questo e per mille altri motivi che ancora ci saranno, dal profondo del cuore…
GRAZIE!
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