IL BAMBINO NEL MEDIOEVO Antonia, 4 giugno 1407 (muore di peste il 5 luglio 1420) Alessandra, 13...

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126 Medico e Bambino 2/2005 L o storico Ariès (capofila degli studiosi sull’in- fanzia nell’epoca medievale e moderna) ha so- stenuto che il concetto di infanzia è emerso in prossimità dell’epoca moderna, con l’avvento della famiglia borghese. Altri, come ad esempio Demau- se, hanno asserito, invece, l’esistenza di una pro- pensione, per così dire, sentimentale del mondo adulto nei confronti dei più piccoli, già in epoca medievale. Tra la prima metà degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, anzi, c’è stata una disputa riguardo al sentimento del- l’infanzia, tra Ariès e altri due storici francesi, Flan- drin e Le Roy Ladurie. Secondo Flandrin, questo sentimento sarebbe stato diverso rispetto al no- stro, ma già presente nel Medioevo, mentre Le Roy Ladurie ha ritenuto di poter individuare un senti- mento dell’infanzia all’inizio del Trecento, anche nella società rurale e nei ceti umili, particolare che Ariès non ha tenuto in considerazione. Ora, è indubitabile che il concetto di infanzia si sia evoluto nel tempo, e non poteva essere che così; ed è altrettanto ovvio che il significato che noi attri- buiamo all’infanzia è condizionato da stereotipi mentali e culturali diversi rispetto al passato. Sa- rebbe opportuno non ridimensionare troppo, come hanno fatto alcuni storici, l’amore senza tempo di una madre e di un padre verso i figli, e nello stesso tempo saper comprendere la rassegnazione di fronte alla morte di un figlio appena nato, da parte di genitori “abituati” a superare un evento tragico ma comune, come accadeva nell’epoca qui consi- derata. La mortalità infantile Le malattie che più violentemente colpirono le po- polazioni europee dell’alto Medioevo (all’incirca dal V al X secolo) non differirono né si modificarono sostanzialmente rispetto al periodo successivo, il basso Medioevo (dal XI al XV secolo). Esse furono la lebbra, il vaiolo e la temutissima peste bubboni- ca, che da sola falcidiò, già dai secoli dell’antichità, milioni di persone. Il mercante fiorentino Gregorio Dati, autore di un “libro di famiglia”, in cui alterna pagine di “ricor- danze” familiari a conti riguardanti spese e profitti della sua attività dell’arte della seta, è un esempio eccezionale della testimonianza sull’alta mortalità infantile. Gregorio si sposò quattro volte, e in ogni matrimo- nio generò dei figli, molti dei quali morirono. Vedia- mo qui sotto il prospetto della famiglia al terzo ma- trimonio del mercante: Terzo matrimonio, con Ginevra Brancacci (di anni 21, vedova, dopo quattro anni dal precedente matri- monio, con un figlio di otto mesi), 28 maggio 1403 Figli avuti Manetto, 27 aprile 1404 (muore nel gennaio 1418) (Una bambina nata prematura), 18 marzo 1405 (muore il 22 marzo 1405, non battezzata) Elisabetta, 8 giugno 1406 (muore il 21 febbraio 1413). Antonia, 4 giugno 1407 (muore di peste il 5 luglio 1420) Alessandra, 13 agosto 1408 (muore di peste il 1 luglio 1420) Niccolò, 31 luglio 1411 (muore il 22 ottobre 1411) Gerolamo, 1 ottobre 1412 Jacopo, 1 maggio 1415 (muore il 2 agosto 1419) Ghita, 24 aprile 1416 Betta, 11 gennaio 1417 Liza, 17 luglio 1419 (muore il 19 luglio 1419) La terza moglie Ginevra muore il 7 settembre 1419, per le conseguenze dell’ultimo parto IL BAMBINO NEL MEDIOEVO DANIELA BASSO Insegnante di Lettere, Trieste 126-132 OLS 24-02-2005 14:13 Pagina 126

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L o storico Ariès (capofila degli studiosi sull’in-fanzia nell’epoca medievale e moderna) ha so-

stenuto che il concetto di infanzia è emerso inprossimità dell’epoca moderna, con l’avvento dellafamiglia borghese. Altri, come ad esempio Demau-se, hanno asserito, invece, l’esistenza di una pro-pensione, per così dire, sentimentale del mondoadulto nei confronti dei più piccoli, già in epocamedievale. Tra la prima metà degli anni Sessanta el’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, anzi,c’è stata una disputa riguardo al sentimento del-l’infanzia, tra Ariès e altri due storici francesi, Flan-drin e Le Roy Ladurie. Secondo Flandrin, questosentimento sarebbe stato diverso rispetto al no-stro, ma già presente nel Medioevo, mentre Le RoyLadurie ha ritenuto di poter individuare un senti-mento dell’infanzia all’inizio del Trecento, anchenella società rurale e nei ceti umili, particolare cheAriès non ha tenuto in considerazione. Ora, è indubitabile che il concetto di infanzia si siaevoluto nel tempo, e non poteva essere che così;ed è altrettanto ovvio che il significato che noi attri-buiamo all’infanzia è condizionato da stereotipimentali e culturali diversi rispetto al passato. Sa-rebbe opportuno non ridimensionare troppo, comehanno fatto alcuni storici, l’amore senza tempo diuna madre e di un padre verso i figli, e nello stessotempo saper comprendere la rassegnazione difronte alla morte di un figlio appena nato, da partedi genitori “abituati” a superare un evento tragicoma comune, come accadeva nell’epoca qui consi-derata.

La mortalità infantile

Le malattie che più violentemente colpirono le po-polazioni europee dell’alto Medioevo (all’incirca dal

V al X secolo) non differirono né si modificaronosostanzialmente rispetto al periodo successivo, ilbasso Medioevo (dal XI al XV secolo). Esse furonola lebbra, il vaiolo e la temutissima peste bubboni-ca, che da sola falcidiò, già dai secoli dell’antichità,milioni di persone.Il mercante fiorentino Gregorio Dati, autore di un“libro di famiglia”, in cui alterna pagine di “ricor-danze” familiari a conti riguardanti spese e profittidella sua attività dell’arte della seta, è un esempioeccezionale della testimonianza sull’alta mortalitàinfantile. Gregorio si sposò quattro volte, e in ogni matrimo-nio generò dei figli, molti dei quali morirono. Vedia-mo qui sotto il prospetto della famiglia al terzo ma-trimonio del mercante:

Terzo matrimonio, con Ginevra Brancacci (di anni21, vedova, dopo quattro anni dal precedente matri-monio, con un figlio di otto mesi), 28 maggio 1403Figli avutiManetto, 27 aprile 1404 (muore nel gennaio 1418)(Una bambina nata prematura), 18 marzo 1405 (muoreil 22 marzo 1405, non battezzata)Elisabetta, 8 giugno 1406 (muore il 21 febbraio 1413).Antonia, 4 giugno 1407 (muore di peste il 5 luglio1420)Alessandra, 13 agosto 1408 (muore di peste il 1 luglio1420)Niccolò, 31 luglio 1411 (muore il 22 ottobre 1411)Gerolamo, 1 ottobre 1412Jacopo, 1 maggio 1415 (muore il 2 agosto 1419)Ghita, 24 aprile 1416Betta, 11 gennaio 1417Liza, 17 luglio 1419 (muore il 19 luglio 1419)

La terza moglie Ginevra muore il 7 settembre 1419,per le conseguenze dell’ultimo parto

IL BAMBINO NEL MEDIOEVODANIELA BASSOInsegnante di Lettere, Trieste

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OLTRE LO SPECCHIODue malattie, ancora a carattere epidemico, furonoil “fuoco sacro” e l’influenza, apparsa nel 876, unadella tante “pesti” mortali anche nei secoli succes-sivi della storia. Altre malattie turbarono gli uominidel tempo, impotenti di fronte a esse: la malaria, latubercolosi, la diarrea, lo scorbuto, il rachitismo, la“febbre cerebrale”, il morbillo, il tifo, il tetano.La scarsa nutrizione e le condizioni di indigenzaerano gli elementi che rendevano mortali questepatologie, ora rare o irrilevanti. Nei ceti poveri il tasso di mortalità era molto piùelevato che tra i ricchi; e l’età dei bambini, fragile dinatura, era tristemente privilegiata (alcuni storicidella demografia hanno azzardato per il periodomedievale una vita media tra i venti e i trent’anni). Imedici del tempo, non meno degli autori di operedi carattere morale, si prodigavano in consigli,quanto meno quando si rivolgevano ai ceti più ele-vati che avevano materialmente la possibilità dimettere in pratica ciò che si suggeriva loro.In tempo di epidemia di peste Giovanni di PagoloMorelli, nei suoi Ricordi (sull’esempio dell’operaConsiglio contro la pestilenza del medico Tomma-so del Garbo), così istruiva il padre di famiglia be-nestante: “E togli casa agiata pella tua famiglia, enon punto istretta, ma camere d’avanzo. E nellaistate usa cose fresche: buoni vini e piccoli(leggeri), de’ polli e de’ cavretti e de’ ventri o pe-ducci di castrone coll’aceto o lattuga, o de’ gam-beri, se ne puoi avere. Istatti il dì di meriggio al fre-sco: non dormire se puoi farlo, o tu dormi così asedere. Usa d’un lattovaro (composto farmaceuticosomministrato per bocca) che fanno fare i medici diribarbero: danne a’ fanciulli, ché uccide i vermini.Mangia alcuna volta la mattina un’oncia di cassia,così ne’ bucciuoli, e danne a’ fanciulli: fa d’avernein casa, e fresca, e del zucchero e dell’acquarosa edel giulebbo (sciroppo denso di zucchero) …”.La carestia, da sola, faceva stragi. La morte per fa-me colpiva i miserabili ma anche i più deboli fisica-mente: gli anziani, le donne, e i bambini. È quantosi può leggere in una cronaca tardo-medievale diBologna: “I contadini veneron a la citade e per lafame cascavano per le contrade… et ogne domanevenia alla ghiexia (chiesa) grande molte fameie depoveri per aver lemosina, ché continuo ne davanohone domane; fra quali poveri vedivi morire molti

gioveni e puti che morivano de fame in braze allemadre loro, e una grande schiuma li vegnia a la bo-cha” (Corpus chronicorum Bononiensium). Un’altra testimonianza (Storie Pistoresi, MCCC -MCCCXLVIII) così recita: “La vittuaglia venia man-cando (dentro alla città di Pistoia assediata dal ne-mico fiorentino) …e per fame che v’era dentro ven-tarono sì spietati tra loro che lo padre cacciava li fi-gliuoli e le figliuole, e lo figliuolo lo padre, e l’maritola moglie; e molti v’ebbe che vollono morire primadi fame che venire a mano di quelli dell’oste”. All’interno della città assediata l’esasperazione perla mancanza di cibo era tale che non si guardava infaccia nessuno, neppure i parenti più stretti e la fa-me oscurava gli affetti familiari, anche quelli più so-lidi tra genitori e figli.

È meglio nascere maschio

Nel Medioevo nascere maschio o nascere femminaera cosa ben diversa. Le madri in attesa auspica-vano la nascita di un figlio maschio per le opportu-nità maggiori che la vita gli avrebbe offerto. Il figliomaschio continuava la stirpe, portava avanti il no-me della famiglia e aveva diritto di successione.L’indizio della delusione della famiglia di fronte allanascita di una femmina, specie in situazioni di indi-genza,risulta dal numero nettamente più alto di“trovatelle” rispetto ai “trovatelli”. Inoltre, fare adot-tare un figlio maschio era più facile, perché offrivaalla famiglia la possibilità di un’integrazione patri-moniale, qualora, ad esempio, egli fosse entrato daapprendista nella bottega di un artigiano.Il catasto di Firenze del 1427 fornisce dati interes-santi sul numero meno alto di femmine rispetto aimaschi nella società tardo-medievale fiorentina:ogni 100 donne c’erano 113 uomini tra zero e cin-que anni e 123 tra dieci e quattordici. Dunque, pre-sumibilmente, la mortalità colpiva molto di più lebambine rispetto ai bambini, e non soltanto fino aicinque anni, il limite critico della mortalità pediatri-ca. Il numero più alto di decessi femminili è rilevatosoprattutto nei periodi di grandi epidemie, quandoalle malattie si aggiungeva la malnutrizione. Po-tremmo azzardare l’ipotesi di una più accentuatavulnerabilità delle femmine alle quali, anche da unpunto di vista dietetico, si riservavano meno atten-zioni. È interessante considerare, per capire meglioquesti fenomeni di differenziazione, che, ad esem-pio, nelle famiglie fiorentine più abbienti del tardoMedioevo, l’età dello svezzamento avveniva piùprecocemente per le bambine, per non pagaretroppo a lungo le balie che le allattavano. Paolo daCertaldo esprimeva insegnamenti che non vorrem-mo sentire: “Il fanciullo maschio pasci bene, e vestichome puoi, intendi a giusto modo e onesto, sì fiaforte e aitante...La fanciulla femina vesti bene, echome la pasci no le chale, pur ch’abia sua vita: nola tenere troppo grassa”.Anche l’educazione delle bambine aveva intenti erisultati diversi da quelli che la madre poteva pro-porsi per educare un figlio maschio. Così suggerivaPaolo da Certaldo: “E s’el è fanciulla femina, polla ach’uscire, e none a legiere, ché non istà troppo be-ne a una femina sapere legiere, se già non la voles-si fare monacha. Se la vuoi fare monacha, mettilanel munistero anzi ch’abia la malizia di chonoscierela vanità del mondo, e là dentro imparerà a legie-

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re…E ‘nsengniale fare tutti i fatti de la maserizia dichasa, cioè il pane, lavare il chapone, aburattare echuociere e far bucato, e fare i’ letto, e filare, e te-sere borse franciesche o reclamare seta chonagho, e tagliare panni lini e lani, e rinpedulare lecalze, e tutte simili chose, sì che quando la maritinon paia una decima (sciocca), e non sia detto chevenga dal boscho. E non sarai bestemmiata, tu chel’avrai alevata”. L’obiettivo principale era di coltivare nelle figliefemmine il valore e il senso dell’unione matrimonia-le, attraverso un percorso pedagogico che accen-tuava nelle bambine il senso del pudore, della ri-servatezza, della misura, e la consapevolezza didovere un giorno essere sottomesse al marito. Neiprogrammi educativi delle famiglie urbane dei cetipiù elevati nel basso Medioevo, anche le bambineimparavano a leggere e scrivere, nonché ad essere“cortesi”, come sosteneva Dante: “Nulla cosa stapiù bene in donna che cortesia” (Convivio).

Bambini abbandonati

Durante gli eventi eccezionali, quali le carestie, maanche in tempi normali, alcune famiglie povere siliberavano dei figli appena nati. Inoltre, si allonta-navano i figli nati al di fuori del matrimonio, o quellinati da madri non maritate. Si abbandonavano an-che bambini infermi o nati deformi. Le soluzioni pernon occuparsi della vita del nuovo nato erano l’in-fanticidio o l’abbandono. Il primo, condannato dal-la società e dalla Chiesa, era considerato un reatogravissimo. Il secondo era oggetto di critica e de-precazione che variarono nel tempo, ma che nonarrivarono a definire mai nette condanne, anche sespesso dal pulpito i predicatori lo giudicavanoaspramente. Furono proprio le istituzioni ecclesiastiche a occu-parsi inizialmente degli abbandoni. I piccoli veniva-no esposti in luoghi dove potevano essere trovati,sulle soglie delle chiese, dei conventi e dei mona-steri. Più tardi, ancora in epoca tardo-medievale, epoi più compiutamente in epoca moderna, furonoenti e organizzazioni laiche a occuparsene e a ge-stire brefotrofi e orfanotrofi, ma anche ospizi eospedali dove si accoglievano bambini abbando-nati, la cui sorte rimaneva nelle mani di queste or-ganizzazioni di carità. Altre volte, forti motivazioni ideologiche di tipo reli-gioso spingevano i genitori ad affidare i propri figlialla chiesa. Erano i bambini oblati, vale a dir offerti.Spesso erano i figli cadetti di famiglie nobili chenon volevano disperdere il patrimonio, oppure fi-glie femmine dell’aristocrazia che, appena nate,entravano in convento con una buona dote, osemplicemente bambini nati in eccesso in famigliepovere e semplici. I bambini affidati a queste co-munità conventuali maschili e femminili potevanosperare di avere una vita dignitosa, di essere quan-to meno nutriti e curati, oltre che educati, e co-munque di morire meno che nei brefotrofi, dove lamortalità infantile era elevatissima.

Trotula e Dhuoda

Sono molto poche le donne dell’epoca che hannoparlato di bambini in campo medico o hanno la-

sciato scritti di carattere morale e didascalico nelcampo della lettura. Prenderemo come guida duepersonaggi, due rari esempi di una emancipazionefemminile nel Medioevo. Trotula è una figura enig-matica, avvolta nella leggenda, l’autrice del primotrattato di ginecologia attribuibile a una donna (Depassionibus mulierum ante, in et post partum).Dhuoda, esponente di una nobile famiglia germani-ca, scrisse un Liber manualis di carattere etico-pe-dagogico.Alcuni non hanno creduto che Trotula fosse vera-mente un medico, altri invece hanno dubitato che ilLiber manualis fosse stato scritto davvero dallaprincipessa Dhuoda. Ma noi vogliamo comunquecredere all’esistenza di voci femminili, così veritieree per natura vicine al mondo infantile in ogni luogoe in ogni epoca.

L’umidità, caratteristica delle donnee dei bambini

Il pensiero naturalistico medievale si basava sullateoria dei quattro elementi primari, adottata nellascuola di Ippocrate e poi elaborata e perfezionatada un medico del II secolo d.C., Galeno di Perga-mo. Nel corpo umano erano presenti quattro umo-ri: sangue, flemma, bile gialla, bile nera. A ogniumore corrispondeva uno dei quattro elementi co-smici dettati da Empedocle: aria, acqua, fuoco eterra. Ogni umore, inoltre, possedeva le stessequalità degli elementi cosmici: caldo, umido, seccoe freddo, e influenzava direttamente la salute o lamalattia dell’individuo e il suo carattere, il “tempe-ramentum”, che poteva essere impulsivo, flemma-tico, collerico e melanconico. La salute fisica e ilbenessere della psiche erano il risultato dell’amal-gama dei quattro umori, collegati a loro volta all’in-fluenza del clima, dell’ambiente, delle stagioni edelle stelle.I dettami di Galeno vennero adottati con vigore allafine del XII secolo e si imposero come guida per imedici del XIII e XIV secolo. Partendo dal presup-posto che: “L’uomo è il più perfetto di tutti gli ani-mali, così per questo stesso motivo il maschio èpiù perfetto della femmina. La causa della perfezio-ne è la maggiore quantità di calore, che è lo stru-mento principale della natura”, Galeno sostenevache la “causa di tutte le funzioni naturali” era la“qualità sana di calore”. Debolezza di calore dun-que per le donne ma anche per i bambini, la cuinatura veniva considerata anche “umida”. Il bam-bino, con la crescita, avrebbe perso l’umidità. Imedici suggerivano alimenti soprattutto liquidi,consoni alla sua costituzione umida. Riferiva Gale-no: “…a quelli che hanno costituzione umida, siaper natura sia per l’età, non una dieta contraria, macorrispondente a quella costituzione: bisogna infat-ti secondare la loro natura, non combatterla comele malattie”. La fiducia di Galeno nella dieteticatrovò forte riscontro nella medicina medievale che,facendo proprie le teorie umorali, attribuì al cibo ead appropriati regimi alimentari la capacità dell’in-dividuo di modificare e correggere, attraverso essi,il suo carattere. Queste regole dietetiche venivanosuggerite dai medici anche per programmare ilsesso del nascituro: le bevande raccomandate peravere un maschio dovevano essere calde e secchee per avere una femmina, invece, fredde e umide.

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Il caldo e il freddo, e l’umido e il secco erano attri-buti degli individui in base al sesso, ma erano an-che strumenti di base per i medici del tempo nellaformulazione delle loro diagnosi. L’umidità delbambino era penalizzante, secondo Galeno, tantoquanto lo era la freddezza per la donna; entrambenella società del tempo non godevano pari dignitàrispetto all’adulto maschio.Anche Trotula, il leggendario dottore di sesso fem-minile, riconosceva, in base alle teorie umorali, l’in-feriorità della natura femminile: “Siccome le donnesono per natura più fragili degli uomini, sono anchepiù frequentemente soggette a indisposizioni…poi-ché le donne non hanno calore sufficiente a pro-sciugare l’eccedenza di umori cattivi che si forma-no quotidianamente in loro e poiché l’innata fragi-lità non consente loro di sopportare lo sforzo diespellerli naturalmente attraverso il sudore, comefanno gli uomini, allora la natura stessa, in mancan-za del calore, ha assegnato loro una forma specialedi purificazione, cioè le mestruazioni, che la gentecomunemente chiama i fiori”.L’umidità presente in eccesso nella donna e nelbambino era responsabile delle loro malattie. Mal’umidità prevalente nel bambino era determinante,secondo Galeno, anche a livello psichico, ed era lacausa della mancanza di ragione nel piccolo indivi-duo. Crescendo, il bambino avrebbe perso, manmano, umidità e acquisito ragionevolezza.

La pediatria trasmessa dagli Arabi

Furono gli Arabi a incentivare l’autonomia della pe-diatria e della puericultura tra il IX e il XIII secolo.La ricezione della medicina araba in Occidente, apartire dalla fine dell’XI secolo (quando ci fu nel-l’Europa occidentale un grande rilancio anche nellavita intellettuale), venne favorita dal fatto che le tra-duzioni della letteratura medica riguardavano pergran parte l’opera di Galeno. Inoltre la medicinaaraba ebbe il merito di giungere alla conoscenzadegli organismi attraverso un’attenta osservazionereale, partendo dai principi dogmatici della patolo-gia umorale. Nel XII secolo fece la sua comparsa, aToledo, il Canone di Medicina del medico araboIbn Sina, detto Avicenna (938-1038), un’opera en-ciclopedica che, tradotta in latino da Gherardo daCremona, ebbe grande successo e la cui diffusio-ne negli ambienti medici dimostrò l’influenza cheebbe sulla medicina occidentale. In essa sono im-portanti i riferimenti per ciò che riguarda l’infanzia.Un altro medico arabo, Muhammad ibn Zakariya’ar-Razi, più noto nella tradizione latina come Rha-zes, vissuto nel X secolo, identificò e catalogò lepatologie infantili, muovendosi ancora nel quadrodella teoria umorale.

Concepimento, maternità e primainfanzia

Già al momento del concepimento, secondo un’o-pinione medica comune, entrambi i genitori dove-vano trovarsi in condizioni ottimali per generare unfiglio che potesse resistere alla nascita. Da qui lacondanna per quei padri e quelle madri che aves-sero procreato in stato di ubriachezza o in malattia.Trotula nel considerare la sterilità affermava: “che il

mancato concepimento può dipendere sia dall’uo-mo sia dalla donna”.Aldobrandino da Siena, medico al servizio dellacorte reale francese, che dedicò la sua opera allacontessa Beatrice di Provenza, sistemava in modoordinato le conoscenze sulla salute e sul benesseredel bambino (rifacendosi alla tradizione classica e aquella araba), nel suo Le Régime du Corps, che ri-sale alla metà del XIII secolo. La fama e la diffusio-ne di questo libro oltrepassarono l’ambiente socia-le elevato al quale era destinato. Aldobrandino pro-poneva alla donna gravida alcune regole molto ba-nali: innanzitutto doveva mantenere, durante la ge-stazione, serenità e tranquillità, evitando preoccu-pazioni o turbamenti (accidentia animae) che po-tessero riflettersi in modo negativo sul tempera-mento del nascituro e doveva dedicarsi “a tutte co-se di giocho e di sollacco”. La donna incinta, inol-tre, non doveva mangiare alimenti poco digeribili,né quelli salati o amari, perché avrebbero fatto cre-scere il bambino senza unghie e senza capelli, se-condo quanto aveva affermato Aristotele. Dovevaancora evitare di bagnarsi troppo spesso e diesporsi al sole. La letteratura ci offre alcuni esempi che riflettonol’attenzione della società per la donna in gravidan-za. Paolo da Certaldo così ammoniva: “A ciò che ladonna grossa porti il suo figliuolo a bene, sì dèemolto guardare, però ch’è di grande rischio; e peròguardasi di troppa faticha, e di bere vino pretto,ch’è quella chosa che molto le guasta. E guardasimolto di non sedere o giaciere in terra, né di statené di verno, a ciò ch’ella non pilgliasse freddo, chémolto è di grande rischio quando la donna grossapilglia freddo. Quando le viene volglia d’una chosaper mangiare, pilglila temperata mente e ragione;quando partoriscie, faccia che sia achonpangniatadi buone baglie e di donne che ne sieno use”.Generalmente non erano i medici a stare appressoalle partorienti, ma le ostetriche e le donne di casa.Trotula, come medico della scuola salernitana, nel-la sua opera De passionibus mulierum ante, in etpost partum, e precisamente nel cap. XX dove siparla delle complicanze che potevano insorgeredopo il parto, faceva una dettagliata disamina dellostato fisico di una donna che avesse partorito su-bendo lacerazioni perineali: “…vi sono donne a cui,per la difficoltà del parto, si lacerano gli organi ge-nitali. Prendi allora della radice essiccata di erbaconsolida maggiore, del comino e della cannella: ri-duci tutto in polvere e introducilo nella vulva, ed es-sa si cicatrizzerà. Similmente per alcune donne in-tervengono complicazioni nel parto per mancanzadi assistenza. Ad alcune succede che vulva e anodiventino un unico foro e un unico canale, attraver-so il quale l’utero fuoriesce, indurendosi. Per rimet-terlo a posto si interviene così: bisogna applicareall’utero vino caldo, nel quale sia stato sciolto bol-lendo del burro; con questo liquido si facciano concura fomenti, fino a quando l’utero ritorna morbido,e allora lo si rimetta delicatamente a posto. Quindisi cucia con tre o quattro punti la lacerazione traano e vulva, usando filo di seta... Per evitare di farcorrere alle donne il rischio suddetto, bisogna prov-vedere in questo modo: si prepari un panno confor-mato come una palla oblunga e lo si introduca nel-l’ano ogni volta che viene compiuto uno sforzo perfar uscire il bambino e lo si tenga fortemente com-presso contro l’ano senza alcun intervallo”.

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Le cure per il neonato riguardavano essenzialmentela sua pulizia e la sua alimentazione, Ciò che resta-va del cordone ombelicale, il “bellicionchio,” comescriveva Aldobrandino da Siena, si doveva legarecon un filo di lana, mettendovi sopra un panno untodi olio di oliva, mentre si aspettava la sua cadutadopo quattro giorni.La giornata del lattante era scandita da tre momen-ti fondamentali: quello del pasto, del sonno e delbagno. Quando si svegliava, veniva lavato in acquatiepida, poi massaggiato e frizionato con cura e fa-sciato. Le fasce venivano cambiate all’occorrenza,e come suggeriva il medico di Montpellier, Bernardde Gordon: “se il bambino in fasce piange, bisognaaffrettarsi a disfare le fasce e a cambiarle” o secon-do quanto consigliava Maino de Manieri, anch’egli,come Bernard, medico della prima metà del XIVsecolo: ”bisognerà soprattutto stare attenti a che isuoi vestiti non siano sporchi. Ogni volta che sisporcherà, bisognerà cambiarlo”.In realtà, come si comprende, l’interesse per ilbambino non mancava. Lo si si percepisce anchedalle parole di Paolo da Certaldo: “Lo fanciullo sivuole tenere bene netto e chaldo, e spesso cier-charlo e provederlo tutto a membro a membro”.

La fasciatura

Riguardo alla fasciatura del neonato, esisteva l’usodi fasciarlo e immobilizzarlo come fosse il bozzolodel baco da seta. Nei maschi si stringeva di più lafasciatura ai fianchi, nelle femmine di più al petto.Lo scopo della fasciatura era di impedire il disper-dersi del calore e dell’umidità del corpicino. Stan-do, inoltre, al francese Bartolomeo Anglico (autoredi un manuale enciclopedico nel XIII secolo), conuna fasciatura stretta, alla maniera delle mummie,si evitavano le malformazioni. Su ciò non era d’ac-cordo Aldobrandino, che sosteneva, invece, l’utilitàdi una fasciatura non troppa stretta per permettereal bambino libertà di movimento e sviluppo armoni-co delle membra. Questa tendenza venne a essereesplicita nei testi medici e pedagogici del XIII e XIVsecolo.

Andare a balia

Sulla scia di Galeno (ma anche di Avicenna), i me-dici medievali, attraverso i loro scritti, incitavano le

madri ad allattare i propri figli. Le virtù innegabilidel latte materno venivano così riconosciute da Al-dobrandino: “Sappiate che il latte che al fanciullo sidee dare e quello che è meglio e più vale, si è quel-lo della propria madre perciò che di quello medesi-mo dentro al ventre è nutricato”. Le poppate avve-nivano tre o quattro volte al giorno e, secondo al-cuni autori, dovevano essere a ore fisse, secondoaltri, quando il bambino le richiedeva. Erano opi-nioni diverse di quel tempo, che rispecchiavano deimodi di pensare differenti tra loro, ma ancor oggimolto attuali. La madre, però, non sempre allattavala propria creatura. Di fronte alla scelta o all’impos-sibilità fisica di non allattare si ricorreva all’aiutodelle balie, donne pronte a offrire il proprio latte apagamento.Il fenomeno del baliatico nel Medioevo era peròuna cosa comune anche nell’ambito degli entiospedalieri e assistenziali.Sulla scelta della balia adatta molto è stato scrittoda medici e moralisti che elencano nei loro trattatie manuali le caratteristiche che doveva avere que-sta importante figura. Fisicamente era preferibileche assomigliasse alla madre, che fosse in buonasalute, “né troppo grassa né troppo magra”, comediceva Aldobrandino, e di temperamento sangui-gno. Trotula dava alcuni suggerimenti sulla sceltadella nutrice, specificando quegli attributi fisici chedoveva possedere e le regole dietetiche cui dovevaattenersi per non “guastare” il latte: “La balia deveessere giovane, di colorito chiaro, bianca e rossa,non troppo vicina né troppo lontana dal parto. Nondeve avere macchie sulla pelle e neppure avere lemammelle flaccide o troppo grosse; il petto invecedeve essere ampio e robusto. Sia moderatamentegrassa. Non mangi cibi salati, né piccanti, né astrin-genti, non porri, né cipolle, né tutte quelle spezieche si mescolano ai cibi per insaporirli, come il pe-pe, l’aglio, la rucola; eviti specialmente l’aglio, maeviti anche di affannarsi e si guardi dal provocarsi lemestruazioni”.Il buono stato di salute della balia era la preoccu-pazione maggiore dei genitori, che temevano latrasmissione delle malattie, o l’alterazione dell’e-quilibrio psichico del bambino che avesse succhia-to latte di una nutrice “paurosa”, “adirosa” o “scio-cha” (Aldobrandino da Siena).In un passo della sua Cronica domestica, il fiorenti-no Donato Velluti così racconta: “Lamberto nac-que a dì XVIII di marzo 1341. Fu bellissimo fanciul-lo, bianco e vermiglio e colorito e di bel viso, il pri-maio anno, de’ più di Firenze: e quando andò all’u-ficio (era un antico rito di benedizione che si facevaa Firenze nel quartire di San Lorenzo il sabato san-to di Pasqua), tutti traevano a vederlo, e la balianon si potea rimedire dalle donne. Dopo il deto uf-ficio, o che fosse per esser troppo abbracciato e ri-scaldato, o per difetto di latte di balia, o perché l’a-vesse da natura e allotta uscisse fuori, gli venne euscì di dosso una pruzza (rogna pruriginosa) minutache ‘l consumava: intanto che la balia sua, che ‘ltenea a canto a sé la notte, era piena di carne e fre-schissima, se n’empiè tutta, e diventò secca e di-sfatta. Manda’gli al Bagno a Macereto: giovogli unopoco, alla balia assai. Da che tornati, temendo nonfosse cagione della balia per sua caldezza, gliel tol-si, e diello a una fanciulla temperata col lattefresco”.

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A scuola o al lavoro?Nel Medioevo non tutti i bambini frequentano lascuola; la maggior parte di essi era avviata diretta-mente a un mestiere. I bambini appartenenti ai cetielevati seguivano, ma non di regola, le scuole isti-tuite nei monasteri o nelle cattedrali. Il sistema for-mativo medievale aveva anche altre soluzioni. Tra ilX e il XI secolo si creò un sistema di educazionepromosso dai protagonisti del mondo feudale. Laformazione dei minori era attribuita al signore e allasua dama (ognuno con le sue competenze educa-tive) se il feudo era di grosse dimensioni, altrimentisi usava mandare i propri figli di sette-otto annipresso altri signori nobili, ad apprendere le buonemaniere e tutto ciò che i codici cavallereschi detta-vano. Nella nuova famiglia i fanciulli-ospiti svolge-vano compiti di paggio e di donzella, andavano acaccia, servivano a corte. I maschi, attraverso uniter di natura pratica diventavano paggi, poi scu-dieri e infine cavalieri. Le piccole nobili venivano in-vece prese in cura dalla dama, e diventando don-zelle intrattenevano la corte con danze e canti;inoltre, avevano il privilegio di servire a tavola, qua-lora appartenessero a famiglie di alto rango. Spes-so, però, erano educate nei conventi, dove veniva-no avviate allo studio religioso e all’apprendimentodel leggere e dello scrivere, dello studio del latino,nonché al ricamo e al cucito, o talvolta, all’uso diuno strumento musicale.Quando Dhuoda scriveva al figlio sedicenne Gu-glielmo, lontano assieme al fratellino che la madresi era vista togliere “ancora tenero infante”, lo rac-comandava di prendersi cura del più piccolo e lorincuorava della sua presenza ideale di madre, tra-pelando quasi un senso di colpa per non poterprovvedere direttamente all’educazione dei proprifigli : “La tua Dhuoda ti è sempre vicina per rincuo-rarti, figlio mio, e se ti verrò meno moren-do, ciò che dovrà pur accadere, avrai inmia memoria questo libretto di mo-rale, e come nel riflesso di unospecchio mi potrai avere sem-pre sotto gli occhi, leggendolocon gli occhi della mente edel corpo e intercedendopresso Dio; vi troverai ancheestesamente quanto tu midevi di dedizione amorosa. Ofiglio avrai maestri che ti daran-no insegnamenti più numerosi edi maggiore util ità, ma non(scritti) nella medesima condi-zione, con il cuore che ardenel petto, nella quale mi tro-vo io, o figlio mio primo-genito.Queste parole che io tirivolgo, leggile, sappilepenetrare, mettile inopera, e quando tuofratello, così piccoli-no, del quale ancoraignoro il nome, avràricevuta la grazia delbattesimo in Cristo, nonti rincresca mai di iniziarlo,allevarlo, amarlo e incitarlo a

operare di bene in meglio. Questo piccolo volume,questo Manuale, da me elaborato e sul quale èscritto il tuo nome, quando anch’egli sarà giunto al-l’età di parlare e leggere, mostraglielo e sii per lui distimolo nella sua lettura; egli è infatti carne e fratel-lo tuo”. Ma il piccolo Bernardo, fratello di Gugliel-mo, rimasto solo per la morte di questi, era cre-sciuto lontano dalla sua famiglia.L’educazione ricevuta nelle corti e nelle case deinobili presupponeva la fedeltà nei confronti del si-gnore e della sua famiglia. Dhuoda, in un passo delsuo Liber manualis, istruisce il figlio in tal senso:“…servilo dunque, non per piacere soltanto ai tuoiocchi, ma anche secondo la tua intelligenza, sia peril corpo che per l’anima; conservagli in ogni eve-nienza una fedeltà schietta, consapevole ed a luiproficua…non nasca e non proliferi nel tuo cuore ilpensiero di essere in alcun modo infedele al tuo si-gnore…Tu dunque, figlio mio Guglielmo… sii neiconfronti del tuo signore leale, vigile, prezioso edegnissimo nel servizio”.I figli delle famiglie appartenenti ai ceti più bassidella società, soprattutto nel mondo rurale, aveva-no scarse opportunità di studiare, anche perché,secondo l’opinione comune, per il contadino chedoveva coltivare i campi non era necessario saperleggere e scrivere. I bambini nelle campagne aiutavano i genitori adallevare gli animali domestici, a seminare e mieterei campi, e si occupavano della raccolta dei prodottidel bosco, bacche, noci, nocciole e frutta, impor-tanti integrazioni all’alimentazione contadina. Inquesto ambiente sociale, l’educazione presso terzinon era frequente, i figli crescevano accanto ai lorogenitori senza patire le separazioni che segnavanoper la vita altri piccoli individui della società medie-vale.Anche nelle realtà urbane il lavoro minorile era lanorma. Per necessità di sopravvivenza, le famiglie

più disagiate inserivano, precocemente (attornoai sette anni), i loro figli nel mondo del lavoro,

ad esempio nelle botteghe artigiane. Esistonocontratti di apprendistato del tardo Me-

dioevo in cui il maestro artigiano si im-pegnava a “docere sine fraude et in

toto suo posse”, e in cui si stabili-va l’impegno dello stesso a forni-

re al discepolo il vitto, l’alloggioe il vestiario. Di contro, da partedel piccolo apprendista c’eral’obbligo di abitare con il mae-stro e l’impegno di obbedirlo,avendo cura di custodire tut-ti i beni della bottega senzacommettere furti e frodi neiconfronti di colui che anda-

va a sostituire la figura pa-terna.I veri scolari nel Medioevoerano i chierici. Troviamoquesti discepoli nellescuole dei monasteri cheapprendono cose diversedall’allevare falconi o dalcacciare cinghiali, comeerano avvezzi i piccoli no-

bili, ma come questi impa-ravano anche le cortesie della

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OLTRE LO SPECCHIOmensa e il comportamento da mantenere a scuola.I bambini affidati al monastero, se non erano oblatidalla nascita, vi entravano generalmente a partiredai sette anni, ricevendo un’istruzione scolastica el’avviamento alla vita religiosa. A gruppi di dieci,erano affidati alla tutela di un monaco, il decanus oformarius, che li sorvegliava il giorno e la notte edera responsabile del loro operato di fronte all’aba-te. All’interno della scuola monastica non manca-va, talvolta, la severità nel far apprendere ai piccolichierici le materie di studio, le pratiche religiose e ipiccoli lavori domestici, alternati a passeggiate, o apause di gioco, consentite agli allievi.

Le illustrazioni di pag. 127 e 130 sono tratte da: A. Gial-longo. “Il bambino medievale”. Bari: Dedalo ed., 1997.Le illustrazioni di pag. 126, 128, 129 e 131 sono tratte da:“Medioevo”. De Agostini-Rizzoli, 2003:6.

Bibliografia di riferimento

Ariès P. Padri e figli nell’Europa medievale e moderna:Bari: Laterza, 1968.Bertini F. Trotula il medico. In: AA.VV. Medioevo al fem-minile, a cura di Bertini F, Bari: Laterza,1996:97-119.Cardini F. Dhuoda la madre. In: AA.VV. Medioevo al fem-minile, a cura di F. Bestini, Bari: Laterza, 1996:41-62.Dhuoda. Educare nel Medioevo. Per la formazione di miofiglio. Manuale. Intr. di Simona Garinelli, trad.it. di Ga-briella Zanoletti. Milano 1984.Duby G. Medioevo maschio, Roma-Bari: Laterza, 1988.Giallongo A. Il bambino medievale, Bari: Dedalo ed.,1990.Mazzi MS. Salute e società nel Medioevo. Firenze, LaNuova Italia Editrice, 1978.Becchi E, Julia D. (a cura di). Storia dell’infanzia dall’anti-chità al Seicento. Bari, 1996.Storia del pensiero medico occidentale. Antichità e Me-dioevo, I, 1993.

LE GIORNALE GIORNATE DI MEDICO E BAMBINOTE DI MEDICO E BAMBINOBologna, 15-16 aprile 2005 - Hotel Sheraton

SEGRETERIA SCIENTIFICA: A. Cicognani, A. Lambertini, G. Longo, F. Marchetti, F. Panizon, G. Tamburlini, A. Ventura

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA: Quickline sas, via S. Caterina da Siena 3 - 34122 TRIESTETel. 040 773737-363586; Fax 040 7606590; e-mail: [email protected]; http://www.quickline.it

Venerdì 15 aprile08.45 Saluto dei Presidenti del Congresso

prof F. Panizon e prof E. CacciariI Sessione (modera F. Panizon)

09.00-09.30 Tre presentazioni per tre specializzandi09.30-11.00 PROBLEMI CORRENTI

Quando gli esami “ci vengono addosso”Autoanticorpi per caso (R. Cimaz)Le cisti ovariche all’ecografia (G. Tonini)“Helicobacter positivo” (G. Magazzù)Piastrine “alte e basse“ (P. Paolucci)

II Sessione (modera A. Cicognani)

11.20-11.50 Cardiologia pediatrica 2005: di tutto, di più (F. Picchio)11.50-13.00 PAGINA GIALLA:

Le ultimissime dalla letteratura (A. Ventura) L’articolo dell’anno raccontato dall’Autore: G. Maggiore racconta storie di gatti e Bartonelle

III Sessione (modera A. Ventura)

14.30-14.50 Due presentazioni “giovani”14.50-16.00 “La Gazzetta dell’Emilia Romagna”

Il caso del dott. A. LambertiniIl caso del dott. L. LoroniIl caso della dott.ssa M. MaraniIl caso della dott.ssa S. BrusaIl caso del dott. L. Reggiani

IV Sessione (conducono F. Marchetti e M. Fontana)

16.20-18.30 AL DI QUA (…E OLTRE) LO SPECCHIOTavola Rotonda: Riabilitazione nutrizionale(e non solo) del bambino cerebroleso• Di che cosa stiamo parlando:- il colpo d’occhio epidemiologico (S. Amarri) - una storia, un’esperienza concreta (S. Leoni)- un genitore racconta

• Quando tutto è difficile: mangiare, respirare…vivere(A. Tedeschi)• Risposte “vere” a problemi “veri”: il caso della fami-glia del bambino cerebroleso (B. Sacher)• Cosa vorrebbe sapere un pediatra... detto da un pe-diatra di famiglia (R. Cavallo)• Cosa dovrebbe sapere un pediatra… detto da una lo-gopedista (E. Dreosto)• Le parole al (del) chirurgo: PEG, Nissen, laparoscopia(J. Schleef)• Definizione di linee guida per la riabilitazione nutri-zionale da costruire e condividere in “tempo reale” (lepropongono S. Martelossi e A. Ventura in PowerPointcon correzioni e integrazioni dal vivo)

Sabato 16 aprileI Sessione (modera F. Panizon)

09.00-09.30 Tre presentazioni “giovani” 09.30-10.30 Due farmaci

I beta2-stimolanti (M. Masi) La ciprofloxacina (F. Marchetti)

10.30-11.00 Una malattiaLa sindrome surreno-genitale (A. Cicognani)

II Sessione (introduce e modera G. Tamburlini)

11.20-12.45 Tavola Rotonda: La Pediatria cerca se stessa1. Cosa fa e cosa vorrebbe fare un pediatra ospedalie-ro (F. Pesce) 2. I difficili rapporti tra pediatra e centrospecialistico (G. Longo)3. Che cosa vorrebbe fare un pediatra di famiglia (T. dall’Osso)

12.45 Premiazione dei posterEditoriale del prof F. Panizon

13.15 Verifica apprendimento (test ECM)14.15 Chiusura dei lavori

ALL’EVENTO IL MINISTERO DELLA SALUTE HA ASSEGNATO 7 CREDITI FORMATIVI (ECM)

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