IINTERPRETAZIONI di MANZONI NiccoloTommaseo» (Baroni … · [troppo oratoria e quasi da pulpito....

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IINTERPRETAZIONI di MANZONI La ricezione contemporanea L'attività matura di Manzoni, dopo la conversione e il ripudio del classici- smo, entrò subito nel vivo del dibattito fra classicisti e romantici, che si sviluppò proprio in quegli anni ed ebbe il suo epicentro a Milano, anche se lo scrittore dapprima non vi partecipò direttamente. Quando la polemica scoppiò e registrò i suoi toni più accesi, tra il 1816 e il 1819, Manzoni aveva già composto i primi quattro Inni sacri, passati però quasi inosservati, e posto mano al Conte di Carmagnola, che sarebbe uscito di lì a poco nel 1820 con una prefazione di chiara imposta- zione romantica, in polemica contro la regola classici- stica delle unità della tragedia. Com'è ovvio, i critici di parte classicistica presero le distanze dalla teoria e dalla prassi poetica di Manzoni, che viceversa ebbe il sostegno — ma non senza qualche riserva di gusto dei letterati romantici. Tra i giudizi più interessanti va ricordato quello di Ugo Foscolo che in un saggio del 1826 sulla drammaturgia italiana contemporanea (Del- ta nuova scuola drammatica italiana) in aperta polemica con la scuola romantica, esamina il teatro di Manzoni. In particolare ne discute l'idea di una tragedia fondata sul vero storico, che gli pare inapplicabile in quanto nell'opera d'arte verità e finzione debbono mescolarsi e confondersi; nello specifico, critica il Carmagnola proprio per la sua inverosimiglianza storica: Manzoni «cadde nell'illusione di credere che il carattere per sé meschino di Carmagnola risalterebbe col sottrarre tutte le qualità nobili a' patrizi veneziani, se facesse che paressero atrocemente perfidi e iniqui per sistema, e crudeli per codardia. Gli avvenne dunque inevitabil- mente che, per mettere in opera espediente fatto, gli è convenuto alterare in danno de'Veneziani la verità storica, di cui pur studiavasi d'essere scrupoloso...». Quando poi nel 1827 uscì il romanzo, Manzoni ri- scosse un immediato successo di pubblico, che indub- biamente favorì il diffondersi in Italia del romanzo storico, anche se i narratori italiani dimostrarono come sappiamo di preferire il più "facile" e corrivo modello scottiano a quello manzoniano più rigoroso e severo. In effetti, alle ovvie riserve dei classicisti nei confronti della forma romanzo, accusato di essere un «genere ibrido», corrisposero anche riserve da parte della critica romantica: «se la novità del genere era per loro un pregio, lamentavano poi l'assenza o la scarsità di personaggi e scene drammatici e appassio- nanti e anche la scelta di un'età di decadenza come sfondo del libro invece dell'età comunale, più adatta a permettere lo sfogo di un acceso sentimento patriotti- co. Persine la scelta di protagonisti umili era ancora biasimata da un ammiratore e da un romantico come NiccoloTommaseo» (Baroni-Puppo).Tuttavia la rice- zione contemporanea non lasciò tracce profonde nel- la storia della critica manzoniana. Un caso di particolare rilievo, per la statura del per- sonaggio, fu invece quello di Johann Wolfgang Goethe che fu tra i primi lettori e critici di Manzoni poeta, drammaturgo e romanziere, e il primo a diffon- derne la fama a livello europeo, dando giudizi molto positivi della sua opera e in particolare dei Promessi sposi («L'impressione che si riceve dalla lettura è tale che si passa continuamente dalla commozione alla meraviglia e dalla meraviglia alla commozione, e da questi due grandi affetti non s'esce mai»). Discusse an- che, da addetto ai lavori, svariati aspetti della sua poe- tica e specialmente il ruolo della storia, fatta oggetto da parte di Manzoni di eccessivi scrupoli, sostenendo Goethe che il poeta rende comunque ideali anche i personaggi storici (e nel romanzo a lasciarlo perplesso sono proprio i capitoli della carestia e della peste in cui Manzoni figura come storico puro). Non molti furono in seguito gli interventi critici di rilievo: ricordiamo quello di Charles-Augustin de Sainte-Beuve in Francia e soprattutto quello di Gio- vita Scalvini in Italia, che sottolinea come fondamen- tale nell'opera manzoniana il nesso tra religiosità e senso della storia e qualifica il cattolicesimo manzo- niano come «moralistico, non dogmatico e liberaleg- giante» (Lonardi); ma poi, per converso, denuncia un eccesso di religiosità che limita il realismo dei Promes- si sposi osservando che in quel romanzo «non ti senti spaziare libero per entro la gran varietà del mondo morale; t'accorgi spesso di non essere sotto la gran volta del firmamento che copre le multiformi esisten- ze, ma bensì sotto quella del tempio che copre i fede- li e l'altare». De Sanctis: l'ideale calato e inverato nel reale La prima importante sistemazione critica organica è, al solito, quella di Francesco De Sanctis (nella Storia della letteratura italiana, nel saggio Alessandro Manzoni e per cenni nel saggio La scuola cattolico-liberale), che nel suo complessivo disegno storico fa del realismo man- zoniano un momento essenziale del graduale riawici- narsi della letteratura alla natura e alla realtà. Il massi- mo pregio dell'opera di Manzoni, in progressivo affi- namento dalle liriche alle tragedie fino al romanzo, che risulta il suo capolavoro, sarebbe proprio quello di aver trovato un equilibrio e una sintesi tra mondo ideale e mondo reale: egli insomma nel romanzo cala senza attriti e contraddizioni l'ideale (morale e reli-

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La ricezione contemporanea L'attività matura diManzoni, dopo la conversione e il ripudio del classici-smo, entrò subito nel vivo del dibattito fra classicisti eromantici, che si sviluppò proprio in quegli anni edebbe il suo epicentro a Milano, anche se lo scrittoredapprima non vi partecipò direttamente. Quando lapolemica scoppiò e registrò i suoi toni più accesi, tra il1816 e il 1819, Manzoni aveva già composto i primiquattro Inni sacri, passati però quasi inosservati, e postomano al Conte di Carmagnola, che sarebbe uscito di lì apoco nel 1820 con una prefazione di chiara imposta-zione romantica, in polemica contro la regola classici-stica delle unità della tragedia. Com'è ovvio, i criticidi parte classicistica presero le distanze dalla teoria edalla prassi poetica di Manzoni, che viceversa ebbe ilsostegno — ma non senza qualche riserva di gusto —dei letterati romantici. Tra i giudizi più interessanti varicordato quello di Ugo Foscolo che in un saggio del1826 sulla drammaturgia italiana contemporanea (Del-ta nuova scuola drammatica italiana) in aperta polemicacon la scuola romantica, esamina il teatro di Manzoni.In particolare ne discute l'idea di una tragedia fondatasul vero storico, che gli pare inapplicabile in quantonell'opera d'arte verità e finzione debbono mescolarsie confondersi; nello specifico, critica il Carmagnolaproprio per la sua inverosimiglianza storica: Manzoni«cadde nell'illusione di credere che il carattere per sémeschino di Carmagnola risalterebbe col sottrarretutte le qualità nobili a' patrizi veneziani, se facesse sìche paressero atrocemente perfidi e iniqui per sistema,e crudeli per codardia. Gli avvenne dunque inevitabil-mente che, per mettere in opera espediente sì fatto, gliè convenuto alterare in danno de'Veneziani la veritàstorica, di cui pur studiavasi d'essere sì scrupoloso...».

Quando poi nel 1827 uscì il romanzo, Manzoni ri-scosse un immediato successo di pubblico, che indub-biamente favorì il diffondersi in Italia del romanzostorico, anche se i narratori italiani dimostrarono —come sappiamo — di preferire il più "facile" e corrivomodello scottiano a quello manzoniano più rigorosoe severo. In effetti, alle ovvie riserve dei classicisti neiconfronti della forma romanzo, accusato di essere un«genere ibrido», corrisposero anche riserve da partedella critica romantica: «se la novità del genere eraper loro un pregio, lamentavano poi l'assenza o lascarsità di personaggi e scene drammatici e appassio-nanti e anche la scelta di un'età di decadenza comesfondo del libro invece dell'età comunale, più adatta apermettere lo sfogo di un acceso sentimento patriotti-co. Persine la scelta di protagonisti umili era ancora

biasimata da un ammiratore e da un romantico comeNiccoloTommaseo» (Baroni-Puppo).Tuttavia la rice-zione contemporanea non lasciò tracce profonde nel-la storia della critica manzoniana.

Un caso di particolare rilievo, per la statura del per-sonaggio, fu invece quello di Johann WolfgangGoethe che fu tra i primi lettori e critici di Manzonipoeta, drammaturgo e romanziere, e il primo a diffon-derne la fama a livello europeo, dando giudizi moltopositivi della sua opera e in particolare dei Promessisposi («L'impressione che si riceve dalla lettura è taleche si passa continuamente dalla commozione allameraviglia e dalla meraviglia alla commozione, e daquesti due grandi affetti non s'esce mai»). Discusse an-che, da addetto ai lavori, svariati aspetti della sua poe-tica e specialmente il ruolo della storia, fatta oggettoda parte di Manzoni di eccessivi scrupoli, sostenendoGoethe che il poeta rende comunque ideali anche ipersonaggi storici (e nel romanzo a lasciarlo perplessosono proprio i capitoli della carestia e della peste incui Manzoni figura come storico puro).

Non molti furono in seguito gli interventi critici dirilievo: ricordiamo quello di Charles-Augustin deSainte-Beuve in Francia e soprattutto quello di Gio-vita Scalvini in Italia, che sottolinea come fondamen-tale nell'opera manzoniana il nesso tra religiosità esenso della storia e qualifica il cattolicesimo manzo-niano come «moralistico, non dogmatico e liberaleg-giante» (Lonardi); ma poi, per converso, denuncia uneccesso di religiosità che limita il realismo dei Promes-si sposi osservando che in quel romanzo «non ti sentispaziare libero per entro la gran varietà del mondomorale; t'accorgi spesso di non essere sotto la granvolta del firmamento che copre le multiformi esisten-ze, ma bensì sotto quella del tempio che copre i fede-li e l'altare».

De Sanctis: l'ideale calato e inverato nel reale Laprima importante sistemazione critica organica è, alsolito, quella di Francesco De Sanctis (nella Storiadella letteratura italiana, nel saggio Alessandro Manzoni eper cenni nel saggio La scuola cattolico-liberale), che nelsuo complessivo disegno storico fa del realismo man-zoniano un momento essenziale del graduale riawici-narsi della letteratura alla natura e alla realtà. Il massi-mo pregio dell'opera di Manzoni, in progressivo affi-namento dalle liriche alle tragedie fino al romanzo,che risulta il suo capolavoro, sarebbe proprio quello diaver trovato un equilibrio e una sintesi tra mondoideale e mondo reale: egli insomma nel romanzo calasenza attriti e contraddizioni l'ideale (morale e reli-

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toso), a cui si ispira, nel reale (storico), che indaga e[rappresenta.Tra reale e ideale si attua una fusione, nonlima giustapposizione. «L'ideale religioso-etico penetra[dunque in tutto il materiale storico, non come unaIfcrza estranea, ma come parte pure esso di questo ma-teriale, esso pure storico, del tempo e nel tempo, dove«ente e teorico, dove operoso e militante». L'idealenel romanzo è come il sole che illumina gli oggettilenza snaturarli. L'intenzione etico-religiosa ha datolerò talvolta all'intonazione un accento e un'enfasi[troppo oratoria e quasi da pulpito. Manzoni inoltrefcpudia e liquida il classicismo senza cadere negli ec-cessi e nella corruzione del romanticismo francese e•desco, da «una forma diretta e popolare», per nulla«stratta, ai contenuti delle sue opere e al suo senti-mento religioso, che De Sanctis definisce evangelico elemocratico («È il Vangelo che consacra la democra-zia, diventata democrazia cristiana; è il Vangelo che•onsacra la libertà, diventata libertà cristiana»). Nel ro-•anzo insomma De Sanctis non trova, se non margi-nalmente in qualche tratto enfatico, quell'angustia[ideologica che vi trovava Scalvini.

Il positivismo e la polemica di Carducci La stagio-ne positivistica, al solito ricca di contributi biografici

ed eruditi, fu accesa sul piano critico da un interventoIli Giosue Carducci ispirato a un laicismo intransi-•tnte e combattivo e da uno spirito democratico, chelo portano a formulare giudizi assai severi, ancor più•he sull'opera, sull'ideologia cattolico-liberale diJManzoni, cui pure riconosce meriti artistici e il fattome «non si lasciò attrarre al sacro annegamento dal-Ifondina del misticismo» e che, «salvo qualche accesso• pietismo, fu il più nobile rappresentante di quel•ovimento di ritorno che le prime generazioni del•colo decimonono ebbero verso le antiche creden-le>. Degli Inni sacri, di cui — dice — non c'era gran bi-logno, apprezza qualche immagine delicatamente rea-Istica; dell'ode Marzo 1821 lamenta il fatto che «pareladre Cristoforo che faccia un'omelia all'imperatore•Austria su '1 dovere cristiano di lasciare libera l'Ita-la» e nota che «per alimentare l'odio e l'entusiasmo•he fece le cinque giornate ci voleva qualche cosa di•en cristiano», come i versi di Berchet; e lamenta poi«disinteresse o la tepidezza che Manzoni dimostra nei•confronti del moto risorgimentale: «Dopo il '21,luando l'Italia fu proprio sola co' suoi dolori, senzaliù iniziative prese o sperate da re o da principi, egli, illoeta che nel '18 aveva mandato un nobile accentolei coro del Carmagnola, dopo il '21, egli il poeta cri-•tiano, non ebbe più una parola per la patria. Cantò di

Napoleone; e si ricordò della fede cattolica, ma nondell'Italia che aveva dato al despota fatale la nascita ele prime e più pure glorie e argomento di pensieri erimorsi non volgari nell'esilio di Sant'Elena. Nell'/l-delchi parve magnificamente evocare da' suoi deserti lastoria del medio evo, solo per farle intonare questaammonizion disperata alla patria: "Tornate alle vostresuperbe ruine ecc." E dei Promessi sposi la morale piùchiara e più deducibile non è ella questa? che a pigliarparte alle sommosse l'uomo risica di essere impiccato;e torna meglio badare in pace alle cose sue facendoquel po' di bene che si può, secondo la direzione, iconsigli e li esempi degli uomini di Dio».

Il primo Novecento: Momigliano e ('«epopea dellaProvvidenza Tra i più notevoli interventi del primoNovecento, ancora impegnato in polemiche sull'ideo-logia manzoniana e in ricerche sulla natura della reli-giosità manzoniana (sulle sue componenti evangeli-che o sul suo preteso giansenismo), si ricorderannosoprattutto quelli di Attilio Momigliano (a partiredall'importante monografia del 1915-1919), che indi-vidua nella fede il motivo ispiratore di tutta l'opera diManzoni: «la fede equanime, senza passione, è la chia-ve miracolosa che ha aperto alla fantasia del Manzonile porte del mondo e gliel'ha spalancato dinanzi inuna chiarità contemplativa che nessun altro poeta no-stro ha conosciuto». Con una celebre formula Momi-gliano definisce / promessi sposi, che riconosce comel'opera sua più compiuta, «il romanzo della Provvi-denza» o «l'epopea della Provvidenza»: ogni fatto, ognipersonaggio rivela l'esistenza di un superiore disegnoprovvidenziale sconosciuto all'uomo. Ma Manzonisalva il libero arbitrio dicendo che alla fine è l'uomo adecidere se fare o no il bene, per questo egli scavanell'intimo dei personaggi mostrandoci il rovello del-l'innominato, la forza morale di fra Cristoforo, la fiac-chezza morale e la debolezza di don Abbondio e diGertrude, ad esempio. Il concetto e la formula criticagodranno d'ora innanzi di notevole fortuna — anchese verranno via via banalizzati, estremizzati e poi an-che precisati, discussi e confutati. Ma il saggio è riccodi altri spunti critici e osservazioni analitiche: adesempio Momigliano nel romanzo sottolinea la cen-tralità del dolore, che avvicina a Dio e permette dicogliere in tutta la sua profondità il senso della fedecristiana, ed evidenzia la pace solenne dello spirito diManzoni (è una compostezza intcriore, un'incrollabilesicurezza in una verità eterna), da cui discendono losguardo sapiente, comprensivo, fermo, pietoso che sistende su tutte le vicende umane, ma anche l'ironia e

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le pagine uinoristiche, che nascono da una fondamen-tale comprensione della relatività del mondo umano edella quasi inevitabile debolezza del nostro spirito.Momigliano ha considerazioni interessanti anche sullepagine propriamente storiche: accanto all'odissea cri-stiana di Renzo e Lucia, c'è un'altrettanto grandeepopea, quella degli errori e delle angosce di un'età(la sommossa, la peste, la superstizione che crea gli un-tori, l'iniquità della giustizia terrena alleata alla prepo-tenza, l'oppressione spagnola, il flagello della guer-ra...). Dopo quella fondante di De Sanctis, quella diMomigliano si presenta insomma come la più com-piuta monografia sullo scrittore milanese.

Croce e il «poema di una morale religiosa» Comesempre larghissima eco ebbero poi anche gli studi pri-mo-novecenteschi di Benedetto Croce (poi riunitiin A. Manzoni. Saggi e discussioni) che, a differenza dimolti suoi predecessori, mostra di apprezzare soprat-tutto VAdelchi per la vivida e tumultuosa rappresenta-zione dei sentimenti dei personaggi; invece, formulaun giudizio critico negativo del romanzo tacciandolodi moralismo e relegandolo nell'ambito dell'oratoria edella «letteratura», cioè negandogli un positivo esitosul piano dell'arte (per Croce l'arte vera, la «poesia»non deve avere fini pratici né intenti di persuasione),radicalizzando così il giudizio di Scalvini. Esaminandole prime opere manzoniane Croce pensa «che Man-zoni avrebbe potuto accentuare e ampliare sempre piùl'aspetto storico o dialettico del suo spirito, le passionie gli affetti, e lasciar accanto o sopra di essi la sua federeligiosa: la quale di per sé non portava all'angustianotata dallo Scalvini, che fu effetto invece... del rigidomoralismo che credette di dover assidere signore dellasua anima». Manzoni «avrebbe potuto essere credentee poeta di passione... anima romantica, insomma, enon solo moderato riformatore letterario in nome dialcune dottrine romantiche». / promessi sposi sonodunque «il poema di una morale religiosa, il mondoappercepito da un fermo e intransigente moralista».Con il suo enorme prestigio, in primo luogo sul pia-no metodologico, Croce finì con l'orientare a lungo ildibattito sul dilemma se nell'opera manzoniana preva-lesse la componente oratoria e della persuasione mo-rale e religiosa o viceversa una libera e poetica rappre-sentazione del mondo. La critica crociana suscitò giu-dizi opposti, ma relegò sullo sfondo altri e forse piùimportanti problemi e aspetti dell'opera manzoniana.

Russo, la felice fusione di poesia, meditazione mo-rale e oratoria Tra i due opposti poli critici si col-locò Luigi Russo, che con i suoi commenti e con le

sue letture (I personaggi dei "Promessi sposi", 1945 [malezioni universitarie del 1934-35] e Manzoni poeta anorator?, 1941) mirò da un lato, prendendo cautamentema nettamente le distanze da Croce, a definire il ro-manzo «un'opera composita, dove poesia, meditazionemorale e oratoria risultano composte e armonizzateinsieme da un'arte fittissima» e a dare un'interpreta-zione storica ed estetica ravvicinata dei testi manzo-niani raggiungendo, soprattutto in questo esame anali-tico, risultati tuttora suggestivi, che confluirono poinel suo commento al romanzo, un classico del genere.

Gramsci e il paternalismo manzoniano Importan-ti furono, poi, anche per le discussioni che suscitaronoe gli orizzonti metodologici che dischiusero, le purbrevi note di Antonio Gramsci dei Quaderni del carce-re (in parte raccolte in Letteratura e l'ita nazionali1950), che in una serrata critica ideologica delincaro-no sostanzialmente un Manzoni paternalista, che de-dica ai suoi protagonisti popolani una benevolenza di-staccata, priva di una profonda adesione umana e sen-timentale. Nel corso dei decenni successivi le letture"politiche" di Manzoni si infittirono, con una taloraradicale opposizione fra la critica cattolica, impegnataa sondare e a valorizzare le componenti religiose espirituali dell'opera manzoniana, e una critica laica ein particolare marxista che muovendo da Gramsci (maanche da Carducci e da Croce) mirava a metterne inluce piuttosto i limiti e le angustie ideologiche.

Un dibattito "anni Settanta": Manzoni progressi-sta? Ci fu tuttavia nel dibattito critico in ambitomarxista un episodio assai interessante nei primi anniSettanta (gli anni contrassegnati sul piano politico dalprogetto del compromesso storico). Alcuni studiosi diformazione marxista e organici al PCI (ad esempioCarlo Salinari) tentarono una curiosa rivalutazioneideologica di Manzoni in chiave progressista, comeintellettuale organico della borghesia liberale, giudica-ta un po' sbrigativamente come la parte sociale e poli-tica più avanzata del suo tempo, promotrice dell'unifi-cazione italiana. Ne derivarono un capovolgimentodei giudizi negativi dell'ideologia manzoniana espia-si precedentemente dalla critica d'ispirazione laica (li-berale, come Croce, o marxista come Gramsci) e l'at-tribuzione a Manzoni di una patente di "progressista"nonché letture orientate dei Promessi sposi. Ad esem-pio la lettura di Salinari rifiuta il giudizio carduccianosecondo cui la morale del romanzo è un invito allarassegnazione e lo capovolge fino a trovarvi addirittu-ra un invito alla lotta: fra Cristoforo, il cardinale, i cap-puccini, l'innominato e la stessa Lucia vengono quali-

STORI

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Beati come «uomini d'azione».I A queste prese di posizione replicarono con vigore[diversi critici (Edoardo Sanguinea, Romano Luperini[epoi soprattutto, in modo serrato e persuasivo, Seba-stiano Timpanaro) che in pratica ricondussero al clima[politico del compromesso storico il processo di riva-[lutazione ideologica di Manzoni operato da Salinari e•da altri. Il punto cruciale del discorso è il giudizio sul•orso storico: se è vero che la borghesia cattolico-li-Iberale in quel momento ha fatto la storia, non è detto•però che il corso impresso alla storia da quella classelodale sia stato il migliore possibile, e soprattutto ciò•non significa che debba essere oggi condiviso. Non iliManzoni intellettuale cattolico organico alla borghesia

vincente, insomma, ma il Leopardi intellettuale isola-Ito, laico e materialista, poteva e doveva essere preso•come il punto di riferimento nell'ambito della lettera-tura della prima metà dell'Ottocento per gli intellet-lluali laici e marxisti degli anni Settanta.I Ancora sull'ideologia manzoniana Tuttavia, no-nostante l'esasperato ideologismo "anni Settanta" di•uesto dibattito, da tempo era in atto un processo diInconsiderazione e rivalutazione delle diverse compo-nenti ideologiche della cultura manzoniana, quella fi-lluministica e quella cattolica, per intenderci. Da varie•parti si formularono giudizi più equilibrati e meno•militanti sull'ideologia manzoniana, come fa ad esem-Ipio Vittorio Spinazzola (La contraddizione dei "Promessimosi" e poi // romanzo per tutti), che in sostanza ri-ncontra una dialettica fra le due componenti che ora siproverebbero in contraddizione e conflitto fra loro, ora•giungerebbero momenti di equilibrio anche se

•precario. Fra questi studi si può ricordare soprattutto•uello esemplare di Lanfranco Garetti (Alessandromlm;oiìi milanese), secondo cui Manzoni, converten-nosi al cattolicesimo, evita i pericoli di rinuncia, ripie-Ramento in sé e di rassegnazione insiti nella conver-

ione: Manzoni riesce a dare concretezza terrena allauà conversione, deduce «dal ciclo incontaminato del-! rivelazione strumenti efficaci di terrestre persuasio-ic, di civile convivenza, di severa e talvolta anche in-ignata polemica morale e sociale»; il suo pessimismo

può essere inteso anche come un senso della misura difronte alla fiducia-illusione nelle magnifiche sorti e pro-gressive denunciate anche da Leopardi (per questoaspetto, Manzoni e Leopardi convergerebbero muo-vendo da posizioni ideologicamente opposte).

Il lieto fine e l'idillio nei Promessi sposi Nell'am-bito di questo dibattito si colloca anche quello piùparticolare sul lieto fine e sulla componente 'idillica'dei Promessi sposi, romanzo in varia misura rasserenan-te, acquiescente, secondo la morale di Renzo denun-ciata da Carducci per chi sosteneva questa tesi (pre-sente in forme anche assai più sfumate, ad esempio daClaudio Varese, Manzoni e la poetica dell'idillio). Questatesi, specie nelle sue formulazioni più radicali, vieneconfutata da vari studiosi (ad es. Fiorenzo Forti, Mati-zoili e il rifiuto dell'idillio) e nel modo forse più efficaceda Ezio Raimondi (// romanzo senza idillio, 1974), chefra l'altro discute la formula critica di «epopea dellaProvvidenza» nelle sue accezioni più semplicisticheintroducendo nel dibattito critico il concetto, anchedottrinalmente corretto, di «Provvidenza come cate-goria della coscienza». E anche da Italo Calvino (// ro-manzo dei rapporti di forza) che in modo più radicaleinsiste sul pessimismo manzoniano: «È una natura ab-bandonata da Dio, quella che Manzoni rappresenta;altro che provvidenzialismo! E quando Dio vi si ma-nifesta per mettere le cose a posto, è con la peste».

Negli anni Settanta e Ottanta, dopo una stagione diintense polemiche di natura ideologica, si intensifica-no anche le ricerche tecniche e formali, linguistiche,stilistiche, narratologiche sul romanzo nell'ambito delcospicuo rinnovamento metodologico della criticaletteraria, favorito dalla linguistica, dallo strutturalismoe dalla semiotica, producendo letture interessanti so-prattutto del romanzo. Negli anni successivi, nell'am-bito di una generale conversione della critica versometodi e problemi più tecnici e analitici, anche la cri-tica manzoniana più che pervenire a radicali muta-menti dell'interpretazione globale dell'opera manzo-niana, si è dedicata ad analisi, approfondimenti, messea punto dei più svariati aspetti di essa con risultatispesso rilevanti.

Cosetta
Formato
da: H. Grosser, "Il canone letterario: la letteratura italiana nella tradizione europea (vol.4), Milano, Principato, 2009