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1 III Convegno Nazionale di Archeologia Storia Etnologia Navale Cesenatico, Museo della Marineria, 15-16 aprile 2016 abstracts con il supporto di

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III Convegno Nazionale di Archeologia Storia Etnologia Navale

Cesenatico, Museo della Marineria, 15-16 aprile 2016

abstracts

con il supporto di

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Venerdì 15 aprile

Relazione speciale dall’Albania, Paese ospite al Convegno

Zamir Tafilica, Tipologia dei natanti tradizionali nelle acque di Scutari (Albania) Le acque interne di Scutari hanno una lunga storia del navigazione fluviale e della pesca. La classificazione dei natanti secondo il destinazione, la funzione e la forma . Il “rreshiqi” ė un natante primordiale. Il “Trapi” delle montagne si presentono delle varie forme. Ma più interessanti sono quelli di Drino. “Lundra” è la barca tradizionale di trasporto più importante sulla Boiana e sul Lago di Scutari. 20 m. di lunghezza e 2.5 m. di larghezza, armato con timone e vela quadrata, ha una forma elegante, di prua sottile e allungato. La sua origine viene dal lembos illirico e tramite una lunga storia arriva fin la seconda guerra mondiale. Attualmente si trova solo nella memoria dei vecchi scutarini, nelle vecchie fotografie di “Marubi”, oppure sotto le acque della Boiana. La provincia di Kraja, ricchissima di querce, ospitava la comunità dei famosi barcaioli.

Archeologia navale

Maria Antonietta Fugazzola Delpino, Nuove immagini di natanti neolitici I vasai che operarono nel villaggio perilacustre del Neolitico Antico de La Marmotta, situato nel Lazio, a Nord di Roma, fabbricarono anche una serie di modellini fittili di imbarcazioni. Dall’analisi di alcune delle diverse fogge di questa classe di reperti, contestualizzati nelle diverse zone di rinvenimento, struttura per struttura e livello per livello, sono state avanzate sia delle ipotesi sul loro possibile utilizzo sia proposte di datazione relativa ed assoluta. Dopo aver confrontato i modellini di natanti de La Marmotta con esemplari rinvenuti in siti neolitici europei e del Vicino Oriente ed averne paragonato le differenti forme con quelle di alcune reali imbarcazioni utilizzate durante diversi periodi della preistoria e della protostoria o ancora oggi in uso presso popolazioni di altri continenti, sono state avanzate delle ipotesi sui loro possibili utilizzi da parte degli abitanti del villaggio. Infine - dopo aver ricordato funzioni e forme in parte analoghe note per tempi più recenti, anche in campo etnografico - sono state fatte alcune considerazioni sulla probabile funzione simbolica delle rappresentazioni di imbarcazioni e sulle possibili forme di ritualità in uso nel villaggio neolitico.

Sebastiano Tusa, Roberto La Rocca, I relitti profondi nel mare delle Eolie Una sistematica ricerca effettuata dalla Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana in collaborazione con la Fondazione Aurora Trust e la GUE (Global Underwater Explorers) nelle acque circostanti l’isola di Panarea ci ha permesso di individuare ben quattro relitti di altrettante navi da carico databili tra il III secolo a.C. ed il III sec. d.C. I relitti si manifestano per i possenti accumuli di anfore emergenti dal fondo del mare su fondali oscillanti intorno ai m 100 di profondità. L’identificazione dei relitti è stata possibile grazie alla sistematica ricognizione dei fondali mediante side-scan sonar sulla base di transetti paralleli. Successivamente alla

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identificazione elettroacustica i relitti sono stati analizzati e documentati grazie all’utilizzazione di minisommergibili che hanno permesso agli archeologi di effettuare le necessarie analisi documentarie e le relative deduzioni interpretative. Particolare attenzione è stata rivolta la relitto denominato Panarea III databile al III sec. a.C. da cui sono stati prelevati alcuni reperti necessari per la caratterizzazione cronologica e culturale della nave. L’imbarcazione era verosimilmente partita da un porto campano e stava navigando verso la Sicilia con un carico di anfore vinarie quando si inabissò nelle acque a sud-est di Panarea in seguito a condizioni meteomarine avverse e, probabilmente, anche all’impatto con i numerosi scogli affioranti a est dell’isola. Interessanti gli oggetti inerenti la dotazione dell’equipaggio tra cui un altare circolare in terracotta, alcuni vasi cilindrici di ascendenza iberica e ceramiche a vernice nera.

Daniela Giampaola, Giulia Boetto, Vittoria Carsana, Barbara Davidde, Antonella Di Giovanni, Giulia Galotta, Chiara Zazzaro, Nuovi relitti dagli scavi del porto antico di Napoli

L’imponente operazione di “archeologia urbana” avviata a Napoli da oltre dieci anni nell’ambito dei lavori per la realizzazione delle linee 1 e 6 della Metropolitana si è rivelata un’occasione irripetibile di conoscenza del paesaggio costiero antistante il nucleo più antico della città. Durante lo scavo del pozzo della stazione della linea 1 di piazza Municipio è emerso, al di sotto di una sequenza stratigrafica di circa 13 m di profondità dall’attuale piano di calpestio della piazza, un settore del bacino portuale chiuso e protetto sfruttato come scalo/approdo. Qui sono venuti alla luce anche i resti di tre imbarcazioni: due abbandonate alla fine del I sec. d. C. accanto ad un molo (relitti Napoli A e C), la terza (Napoli B) affondata tra la fine del II sec. ed il III sec. d. C. Più di recente, l’esplorazione per il pozzo della stazione della linea 6, contiguo a quello della linea 1, ha chiarito la situazione del litorale prospicente il bacino portuale mentre l’indagine avviata nella zona di raccordo tra i pozzi di stazione e l’attuale Stazione Marittima (area 4) ha portato al rinvenimento di quattro nuovi relitti. Le imbarcazioni E e H, molto lacunose, sono state datate alla fine del II sec. a. C., mentre i relitti F e G risalgono alla fine del II sec. d. C. La relazione presenterà, in via del tutto preliminare, le operazioni di scavo archeologico, documentazione e recupero dei nuovi relitti. Queste operazioni, dirette dalla Soprintendenza Archeologia della Campania, hanno visto l’efficace sinergia di istituzioni nazionali e internazionali, quali l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma, per gli aspetti conservativi e del recupero, il Centre Camille Jullian d’Aix-en-Provence (Francia) per gli studi d’archeologia navale, il Politecnico di Milano per il rilievo tridimensionale dei manufatti. Massimo Capulli, Staci Willis, Progetto Sutiles: analisi e studio della costruzione navale di età

romana mediante cucitura. Comunicazione preliminare Come è noto a tutti gli specialisti la costruzione navale nel mondo antico prevedeva che le tavole del fasciame fossero assemblate con il metodo a tenoni e mortase o più raramente con cuciture. Questa seconda modalità di giunzione caratterizza la cantieristica di tutto il Mediterraneo unicamente in epoca greco-arcaica, mentre il mondo romano sembra confinarla al medio-alto Adriatico. Le testimonianze archeologiche di questa tradizione costruttiva, sia sotto forma di veri e propri relitti navali sia più spesso di parti di imbarcazioni riutilizzate a scopi edili-idraulici, sono stati relativamente frequenti, sia sulla sponda adriatica italiana, sia su quella slovena-croata. Ed è proprio partendo dallo studio di uno di questi scafi, ovvero il relitto Stella 1 (cfr. NAVIS V), che ci si è resi conto della parziale frammentarietà e labilità dei dati disponibili nella bibliografia disponibile; ciò considerato, si è deciso di avviare un progetto ad hoc Sutiles.

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Il progetto si pone l'obiettivo principale di raccogliere tutto il materiale inedito disponibile e, ove possibile, di accedere ai resti conservati, eseguendo nuove indagini: analisi paleobotaniche e archeometriche. L'attività di ricerca è coordinata dal Laboratorio di Archeologia delle Acque dell'Università di Udine, con il supporto dell'Institute of Nautical Archaeology, e in stretta collaborazione con le Soprintendenze Archeologiche coinvolte. In occasione del terzo Convegno Istiaen vorremmo presentare le attività svolte in Friuli e Veneto (2012-15), sia presso gli archivi e depositi delle Soprintendenze, sia sul relitto Stella 1 (2014), che sul nuovo relitto c.d. Lido III (2013-14).

Francesco Tiboni, Edoardo Riccardi, Elementi per l’analisi delle possibili alberature di età romana

Questo intervento prende spunto dall’analisi dei tre alberi di nave di età romana, rinvenuti rispettivamente negli scavi di Olbia dei primi anni 2000 e del porto di Genova due inverni fa, per fornire un quadro delle attuali conoscenze relative a questo specifico elemento strutturale delle imbarcazioni antiche. In particolare, attraverso lo studio morfo-tipologico dei reperti, si intende proporre non soltanto una contestualizzazione archeologica dei manufatti, ma anche una loro interpretazione funzionale nell’ambito dell’arte navale di età antica. Lo studio proposto in questa sede è infatti fondato non solo sui tre rinvenimenti oggetto di studio diretto da parte degli autori, ma anche su altri reperti noti attraverso indagini archeologiche condotte in ambiente subacqueo e grazie alla letteratura archeologica. Inoltre, vengono analizzati i diversi elementi desumibili attraverso l’esame di alcuni paramezzali e scasse significativi, rinvenuti su relitti di età romana nel bacino del Mediterraneo, alcuni dei quali oggetto di recenti analisi e classificazione. Dal punto di vista archeologico navale, lo scopo del presente intervento è innanzitutto chiarire quali possano essere gli elementi di discrimine per la corretta interpretazione dei manufatti, desumibili sia attraverso il confronto con l’iconografia antica che sulla base dell’esame tecnologico dei reperti. Attraverso questi appare, infatti, ormai possibile escludere la difficoltà di distinzione tra alberi e remi-timone. Inoltre, si intendono fornire elementi utili alla comprensione dei possibili sistemi di funzionamento delle diverse parti strutturali che componevano gli alberi delle imbarcazioni di età romana, quali le scale lignee, il tenone basale e le mortase, la cui funzionalità appare evidente proprio attraverso lo studio incrociato archeologico ed iconografico dei manufatti.

Marco Bonino, Simone Parizzi, Due tipi di carene antiche a confronto: forme piene e forme svasate

Lo studio e la ricostruzione di molti relitti antichi hanno permesso di identificare due forme principali di forme di carena: una con le forme piene ed un’elevata porzione di fondo piatto, l’altra con forme di carena svasate, o molto stellate, e la chiglia che sporge da sotto il fondo con un vistoso raccordo. Sono forme documentate fin dal X secolo a. C. (terrecotte da Ialisos, Rodi) e che hanno accompagnato tutto il percorso delle costruzioni navali antiche. Ad esempio, alla prima categoria appartengono gli scafi della nave di Bon Porté, dell’Anse des Laurons, della Borsa di Marsiglia, delle navi di Nemi, di Comacchio. Si possono ricondurre alla prima categoria anche le forme della sezione maestra delle navi da guerra a remi, come la cosiddetta “nave sorella” di Marsala, o le poliremi ellenistiche, benché le forme di carena globali di queste navi presentino rapporti geometrici differenti con un rapporto L/B più elevato rispetto a quelli delle navi da carico

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sopracitate. Alla seconda categoria appartengono ad esempio gli scafi della nave greca di Gela, della nave punica di Marsala, della Madrague des Giens, di Fiumicino, di Yassi Ada II. Gli studi compiuti fin ora hanno permesso di identificare alcuni criteri di disegno dei due tipi di scafi e l’applicazione dei relativi operatori geometrici nella loro conformazione, con i risvolti nelle fasi di costruzione (funzione delle tavole del primo spicchio del guscio ed i relativi allineamenti). Per una valutazione completa delle caratteristiche idrodinamiche delle carene in oggetto, che vada la di là di mere considerazioni qualitative preliminari, si è programmata la prova in vasca navale, presso l’Università di Genova, di modelli in scala 1:25 delle carene delle navi dell’Anse des Laurons (forme piene) e di Yassi Ada II (forme svasate). Si vorrebbe poter comunicare alcuni risultati già durante il Convegno. Carlo Beltrame, Elisa Costa, Il relitto tardo-antico di Santa Maria in Padovetere a Comacchio

(FE) Nell’autunno del 2014, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, decise di indagare completamente un relitto noto dal 2008. Lo scavo, completato nel settembre del 2015 e che ha messo in luce un’imbarcazione di 20 metri, è stato realizzato da due ditte private, sotto la direzione del funzionario di zona della Soprintendenza Mario Cesarano, in collaborazione con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia per la parte relativa alla documentazione. Lo scafo, databile su basi stratigrafiche all’inizio del V secolo d.C., giace sulla sponda dell’antico alveo del Padovetere. La posizione inclinata dello scafo e la consistenza argillosa del sedimento hanno permesso la conservazione integra di un fianco e della poppa dello scafo. Si tratta di un’imbarcazione a fondo piatto per la navigazione interna, costruita con una tecnica a cucitura ben nota nell’Alto Adriatico fino all’epoca tardo antica. Le tavole del fasciame esterno sono tutte cucite tranne le ultime due dell’estremità del fianco che sono inchiodate e sovrapposte, come una sorta di “clinker”. Elemento importante è la presenza della poppa completa, formata da un’asta inclinata di dimensioni importanti, ancora in posizione con i fianchi e il fondo dello scafo. Il rilievo dello scafo è stato realizzato in collaborazione con il Laboratorio di Fotogrammetria dell’Università IUAV di Venezia, che ha operato in maniera innovativa, utilizzando tecniche digitali per il rilievo tridimensionale, integrando rilievo con laser scanner, rilievo fotogrammetrico e topografico. La creazione di un modello virtuale tridimensionale, unita alla fortunata condizione di conservazione dello scafo, ha permesso agli archeologi di ricostruire la forma originaria della quasi totalità dell’imbarcazione, permettendo di conoscere la tipologia di imbarcazioni impiegate per la navigazione fluviale in questo contesto cronologico. Massimo Capulli, Il relitto di Precenicco (XI-XII secolo d.C.): lettura dello scafo e osservazioni

sull’uso dei madieri asimmetrici alternati In prossimità del corso del fiume Stella, nel mese di settembre 2012, è stata individuato lo scafo di un’imbarcazione in legno. La scoperta è avvenuta nell'ambito delle attività di tutela archeologica imposte dalla Soprintendenza ai lavori di sistemazione delle sponde del fiume presso l’abitato di Precenicco. L'immediata analisi con il carbonio 14 di alcuni campioni lignei ha consentito di stabilire che lo scafo risalisse all’XI XII secolo e di avviare un lungo iter che si è concluso con scavo e il recupero del relitto ai primi di ottobre del 2014. Il relitto di Precenicco è ciò che resta di una imbarcazione ad uso prevalente in acque interne, ma non esclusivamente fluviale. Seppur in assenza di chiglia, la forma dello scafo e la presenza della

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scassa dell’albero ne suggeriscono infatti un utilizzo anche in ambiente lagunare e forse di piccolo cabotaggio. Di grande interesse la soluzione utilizzata per le ordinate. Ognuna risulta composta da un madiere e un solo staminale; la curvatura dal lato senza staminale è assicurata dal madiere stesso che si presenta con una forma asimmetrica a “L”, ovviamente alternata. Si tratta di una testimonianza unica a oggi nel panorama europeo e che trova parziali confronti solo con alcuni dei relitti bizantini di Yenikapi. In occasione del terzo Convegno Istiaen vorrei presentare le attività svolte sul campo (scavo e recupero) e offrire una prima lettura dello scafo e dell’uso dei madieri asimmetrici alternati.

Alessandro Asta, Stefano Medas, Eros Turchetto, Indagini archeologiche nell’Arsenale di Venezia, Tese della Novissima, 2014-2015

Nell’ambito dei lavori pubblici di riassetto funzionale della banchina della Novissima dell’Arsenale di Venezia e della contestuale assistenza archeologica (a terra e in acqua), diretta dalla Soprintendenza Archeologia del Veneto, sono state individuate tra il 2014 e il 2015 diverse strutture pertinenti alle tese destinate alle costruzioni navali. Si tratta di impianti precedenti alle grandi opere di ristrutturazione condotte nell’area tra la seconda metà del XIX e gli inizi del XX secolo e finalizzate all’adeguamento dell’Arsenale nel periodo di transizione dalla cantieristica navale in legno a quella in ferro. Le strutture più antiche, riferibili al XV-XVI secolo, dunque ad un periodo contestuale e immediatamente successivo a quello della realizzazione dell’Arsenale Novissimo e della relativa Darsena (1473-1573), sono costituite dagli speroni murari degli ex-volti acquei di San Cristoforo, poi trasformati in tese a secco, e dai resti lignei di due scali a piano inclinato. Alessandro Asta, Massimo Capulli, Luigi Fozzati, Archeologia navale della Grande Guerra: i

ponti di barche del fiume Piave La Grande Guerra 1915-1918 ha avuto un teatro sanguinoso lungo l'asta fluviale del Piave, dove le truppe italiane e austriache si sono a più riprese fronteggiate. La costruzione di ponti di barche ha costituito pertanto la soluzione tecnica più logica e facile per l'attraversamento del corso d'acqua. Tuttavia, la stessa individuazione del nuovo manufatto era di tale facilità che veniva fatto oggetto di attentati e attacchi distruttivi dall'una quanto dall'altra parte. Il carattere torrentizio del Piave ha poi provveduto a seppellire sotto alcuni metri di ghiaia in area ripariale alcuni esemplari di tali barche. Segnalazioni e prospezioni hanno rivelato la presenza a più riprese di queste particolari imbarcazioni in ferro. La Soprintendenza Archeologia del Veneto e' intervenuta con una campagna di somma urgenza per lo scavo e il recupero di due imbarcazioni, rivelatesi di fabbricazione austriaca. Altri esemplari sono stati recuperati in modo avventuroso e non autorizzato da vari personaggi locali, provocandone una dispersione in musei italiani e stranieri (Austria) e luoghi all'aperto (aree monumentali a ricordo della Grande Guerra). Il saggio che qui si propone illustra lo scavo in alveo di due di queste imbarcazioni e l'elenco degli altri esemplari finora rinvenuti, nonché lo studio tecnico di tali scafi, dei quali è stato rinvenuto a Vienna il progetto originale di costruzione.

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Daniele Petrella, Il ritrovamento della flotta perduta di Kubilai Khan – la spedizione archeologica italiana in Giappone

La spedizione italiana in Giappone dell’IRIAE, guidata dal presidente Daniele Petrella, vanta una serie di primati. Il primo, quello di aver risolto uno dei dieci grandi misteri dell’archeologia internazionale. Ritrovando la flotta, non solo si è riuscito a comprendere come erano fatte le “misteriose” navi utilizzate dal Khan ma si è letteralmente riscritta la pagina di storia relativa all’importante evento, finora considerato “semi-mitico” perché conosciuto unicamente attraverso le esagerate fonti cinesi. La scoperta ha dato solidità storica all’evento, comprendendone le dinamiche. Il secondo grande primato della spedizione è che è la prima ed unica spedizione, non solo italiana, ma di un paese occidentale in Giappone. Il know how italiano è risultato fondamentale per l’esito della ricerca. Tutto questo ha fatto sì che Petrella e IRIAE fossero insigniti, nel 2014, del prestigioso premio Rotondi “Salvatori dell’Arte” nel Mondo. Il ritrovamento delle navi e stato fondamentale per comprendere la loro struttura, la sequenza costruttiva ed il loro utilizzo, completando quel complesso puzzle di informazioni provenienti dai 6 ritrovamenti di navi cinesi medievali avvenuti lungo le coste di Cina e Corea, tra gli anni ’70 e ’90. Tutto ciò grazie anche al ritrovamento di un prezioso documento, ritrovato in Cina, sull’ingegneria navale del tempo. Infine, grazie ad uno studio attento delle dinamiche dell’evento, si è compresa la tattica che avevano scelto gli invasori, le rotte che avevano seguito e perché. Ma soprattutto perché la disfatta dei kamikaze (i “venti divini” che affondarono la nave) fu il colpo di grazia al potente Impero degli Yuan e dei visionari sogni di conquista di Kubilai Khan.

Storia navale, storia della navigazione e arte marinaresca

Tommaso Gnoli, Le iscrizioni sui rostri delle Egadi tre anni dopo Il contributo fa il punto della situazione a tre anni di distanza dalla pubblicazione del primo rostro rinvenuto a Trapani, proveniente dalla battaglia delle Egadi (241 a.C.). Il ritrovamento successivo di ulteriori, numerosi, reperti e lo studio ancora in corso di tutto il materiale genera dubbi su alcune interpretazioni da me avanzate in prima istanza. Ulteriori proposte di lettura, avanzate successivamente, vanno però decisamente scartate. Si mira pertanto a mettere in evidenza quanto può essere scartato o mantenuto di quelle prime ipotesi e delle successive proposte di lettura.

Michele Giacalone, Stefano Medas, L’ acquata. Navigazione e rifornimento di acqua dolce dall’antichità ai nostri giorni

Nei portolani antichi e medievali erano ricorrenti le informazioni relative alle distanze, alle direzioni e orientamenti, agli avvisi di pericolo, alle peculiarità delle coste, alla tipologia e accessibilità dei porti, ai punti cospicui, ai punti ove poter fare acquata. Il padre domenicano Alberto Guglielmotti così definiva il termine “acquata”: «… luogo dove i bastimenti vanno per acqua da bere. Nei porti si trovano per ciò le fontane, nei viaggi si cercano fiumi torrenti, cisterne, pozzi, che si leggono anche indicati nelle antiche carte marine». In molti casi vi è una stretta relazione tra il punto di acquata e il tempio o la chiesa, che sanciscono l’importanza della risorsa e la stessa sacralità dell’acqua.

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La Fonte Aretusa, una fonte d’acqua dolce che sfocia nello specchio d’acqua del porto grande di Siracusa, è ancora oggi un luogo molto suggestivo e avvolto dalla leggenda. Nel lato opposto nella Sicilia abbiamo la Fonte della Sibilla vicino al promontorio di Capo Lilibeo, dove era possibile fare l’acquata a mare, grazie alla presenza di sorgenti d’acqua dolce che vi sfociavano. Numerosi in Sicilia sono i luoghi il cui toponimo deriva dal greco panaghia (“tutta santa”), presso i porti e i vecchi scali marittimi associati al termine di Bonagia o Acqua Santa, probabilmente per l’aspetto sacrale che investiva la pratica dell’acquata. Alcuni studiosi accostano la sacralità dell’isola di Marettimo alla ricchezza di falde di acqua dolce a mare e nell’isola. L'antico toponimo greco dell'isola, Hiera Nesos (“isola sacra”), trovò continuità nel contesto cristiano in relazione all’acqua che guarisce, soprattutto dal peccato. Nell'antichità i metodi per la depurazione delle acque erano per lo più empirici. Uno dei più attestati consisteva nel bollire l'acqua e poi buttarvi un pezzo di rame dentro per sette volte. A questo punto si poteva filtrarla e berla. Altri invece consigliavano di tenere l'acqua bollita in brocche d'argento. Insomma, benché i principi della sterilizzazione fossero oscuri, la bollitura dell'acqua era prassi comune.

Elena Albanello, Antonio Rosso, Giovanni Battista Sandonà, Pellegrinaggi medievali in Terrasanta. Le Regole del “Capitulare Nauticum”

Nel 1255 veniva promulgato a Venezia il “Capitulare Nauticum”. E’ il primo testo veneto di legge che si conosca riferito alla marineria militare e mercantile. A sua volta è una riforma di statuti precedenti, come si legge nella sua prefazione: “hac sunt statuta et ordinamenta super navibus et lignis aliis qua emendata, reformata et correcta fuerunt anno MCCLV”. Il testo, aggiornato anche in seguito, fu mantenuto dai Veneziani come unica legge all’interno della zona del Golfo adriatico, utilizzando il “Consolato del Mare” nella navigazione mediterranea. Gli autori prendono in esame e discutono dei punti legislativi e degli aspetti religiosi riferibili ai pellegrini imbarcati, ai loro diritti e doveri ed ai doveri del capitano nei loro confronti, prendendo in considerazione sia le navi noleggiate da soli pellegrini che le navi noleggiate da mercanti su cui vi erano anche pellegrini tra altri passeggeri. L’analisi di questo prezioso documento offre inedita testimonianza dell’iter transmarinus compiuto dai pellegrini medievali, evidenziando una volta di più il ruolo chiave giocato dalla Dominante in questa particolare voce dei traffici coevi. Lucia Nadin, L'Albania e l'Adriatico, da Venezia agli Ottomani ai movimenti indipendentistici L'antica vocazione marittima di una non trascurabile parte della popolazione albanese, documentata da Butrinto a Valona, da Durazzo a Scutari, a lungo protettorati veneziani, nei loro intrecci storici secolari regolati dagli statuti delle città costiere (Durazzo e Scutari), fino agli alterati nuovi equilibri adriatici durante il dominio ottomano, ai movimenti nazionali fra '800 e '900 e alla grande stagione degli studi italiani sull'Adriatico e l'Albania negli anni Trenta, fino all'auto-isolamento dell'epoca hoxiana.

Andrea Bonifacio, Albania, una marineria superstite e le sue prospettive Le peculiarità di un territorio e del suo mare, insieme al contesto socio politico, determinano le caratteristiche dei tipi navali che sviluppa la sua comunità marittima. La storia recente dell'Albania -

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in particolare il cinquantennio della dittatura comunista - ha impedito un adeguato sviluppo del settore: sono tuttavia sopravvissute attività minime, di piccolo cabotaggio lacustre e costiero e, negli ultimi anni, il paese ha avviato un percorso di avvicinamento verso l'occidente trovando proprio nell'Italia uno dei partner più importanti. A questo mutato posizionamento geopolitico non è ancora seguito il naturale ritorno all'utilizzo del mare come risorsa per la pesca e i collegamenti commerciali. La scoperta di un antico passato marittimo potrà offrire utili consigli per adottare scelte virtuose.

Reinhold C. Mueller, "La via dei fari”: l'entrata alla bocca di porto di Venezia nel primo Cinquecento

Verrà proposta un'analisi della carta della bocca di porto acclusa al contratto, negoziato nel 1529, per la manutenzione dei fari più vicini al "Castel vecchio" di S. Nicolò. La carta verrà confrontata con altra documentazione coeva per poter definire meglio il posizionamento delle barre di sabbia in continuo movimento che costituivano il problema principale del porto e della sicurezza della navigazione.

Sergio Perini, Costruttori navali chioggiotti fra ‘400 e ‘700 Le testimonianze risalenti al tardo medioevo e all'età moderna in tema di cantieristica navale conservate presso gli archivi pubblici costituiscono una modesta eredità, che consente di illuminare solo qualche aspetto dell'attività di produzione navale e delle tecniche di navigazione. Anche per una realtà fondata su una millenaria tradizione marinara, come Chioggia, le fonti primarie si riducono a rari documenti, in prevalenza inseriti delle serie notarili

Alessandra Castellani Torta, Giorgio Marinello, Il Bucintoro di Vittorio Amedeo II (1729-1731). La ricerca, l’imbarcazione e il suo apparato decorativo

La ricerca e il metodo adottato hanno consentito di chiarire le circostanze della committenza ed il significato dell’imbarcazione sabauda, commissionata a Venezia nel 1729 ed ora conservata alla Reggia della Venaria Reale. Non si tratta di una peota reale realizzata per gli svaghi di corte di re Carlo Emanuele III, ma di un Bucintoro dal grande valore storico, fatto costruire in gran segreto dal padre, re Vittorio Amedeo II, con chiari riferimenti alla prossima abdicazione e al passaggio di regno al figlio Carlo Emanuele. I fondi archivistici offrono interessanti spunti per studiosi di marineria, come le carte di bordo o il processo costruttivo

Gilberto Penzo, La ricostruzione dell'armo velico della peota di casa Savoia La peota di Casa Savoia, come è noto, è stata costruita nel 1731 a Venezia, e rappresenta una delle rarissime testimonianze di archeologia navale di questo tipo conservatesi fino ai nostri giorni. In occasione del nuovo allestimento della sala espositiva nella Reggia di Venaria a Torino ci è stata commissionata lo studio e la ricostruzione dell'armo velico nonché la ricollocazione dello scafo in

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assetto di navigazione con le forcole e i remi originali. Pertanto, dopo aver fatto alcune ipotesi ricostruttive dell'armo originale basandoci sugli inventari coevi, sono stati ricollocati l'albero e le antenne e sono stati ricostruiti filologicamente le manovre fisse e correnti, il bozzellame e la vela. La vela di 35 metri quadri è stata realizzata in cotone secondo le tecniche tradizionali ormai da tempo scomparse: cucita a mano a bigorello, dipinta con i colori dei Savoia a ferzi alternati bianco e azzurro, rinforzata tutt’attorno con sersena e meolo in canapa. Anche le sartie sono in canapa, i bozzelli e le bigotte sono in legno d’olmo e acacia. Nell'occasione sono stati rilevati e collocati in esposizione due "ferri" di gondola settecenteschi, unici esemplari di questa tipologia esistenti al mondo.

Gianfranco Munerotto, I colori della Marineria Veneziana Colorazioni e decorazioni di navi pubbliche e imbarcazioni lagunari fino alle soglie dell'età moderna, desunte da documenti ed iconografia. Nel corso della storia l'uomo ha sempre sentito l'esigenza di colorare le imbarcazioni su cui navigava: sia per farsi semplicemente notare in lontananza, da amici e nemici, sia per ragioni scaramantiche o apotropaiche (gli "occhi" presenti sulle prue fin dall'antichità, o semplicemente l'immagine del Santo tradizionale, sono sempre stati visti come una possibilità in più nel caso di avversità climatiche…) e infine solo per pure ragioni estetiche o di rappresentanza, con esempi in tutte le culture. di rado gli studi di storia navale pongono l'attenzione sulla colorazione, che pure rappresentava (e ancor oggi rappresenta) forse il primo impatto visivo di un natante e quindi motivo di memoria, e riverbera spesso tradizioni e religiosità di un popolo. Gli stessi costruttori e utilizzatori considerano marginale questo aspetto, pur tenendolo però come irrinunciabile al termine di ogni costruzione. Anche Venezia e i suoi marinai non sono sfuggiti a questa spinta naturale, quindi navi e barche nate in laguna hanno sempre sfoggiato, quale più o quale meno, delle particolari colorazioni o decorazioni. Il mondo millenario della Marineria Veneziana è stato studiato da secoli, in modo così vario e approfondito da toccare, spesso in modo esaustivo, i più diversi aspetti tecnici o storici; ho ritenuto però utile una ricerca specificamente indirizzata all'esame di tipologie e problematiche della colorazione sia delle navi veneziane come delle semplici barche pescherecce o lagunari; con riferimenti specifici alle vele, così importanti nella marineria adriatica, e alle bandiere. Questa ricerca è stata basata, come mia consuetudine, sull'esame di documenti, materiali e iconografia storica coevi alle epoche trattate, per essere al riparo da qualsiasi suggestione o tradizione infondata, pur accettando in tal modo enormi lacune relative a periodi antichi e storicamente molto importanti.

Giovanni Caniato, Lorenzo Roman, Gli archivi dell’Arsenale di Venezia dopo la Serenissima. Nuove testimonianze

Alcuni lacerti di fondi e serie archivistici dell’Ottocento relativi alla Scuola meccanici e macchinisti e a Dipartimenti e Uffici dell’Imperial regia Marina e poi della Marina Italiana, nel corso del Novecento erano pervenuti dopo alterne vicende nell’Archivio di Stato di Venezia, in condizioni di assoluto disordine e degrado. L’avvio nel 2015 di una prima campagna di messa in sicurezza, riordino e inventariazione consentirà a breve di offrire agli studiosi inedite opportunità di ricerca sulle vicende dell’Arsenale di Stato dopo l’abdicazione della Serenissima, per le quali viene dato conto in via preliminare nell’àmbito del Convegno.

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Guglielmo Zanelli, L'Arsenale del "ferro" (1866-1918)

Dopo la breve parentesi del Governo Provvisorio della Repubblica Veneta del 1848-49, l'Imperial Regia Veneta Marina austriaca si era di fatto trasferita nella base navale di Pola interrompendo un lungo processo di modernizzazione dell'Arsenale di Venezia iniziato dai francesi nel 1807 e proseguito poi dagli austriaci. Per questo alla fine del 1866 quando Venezia, a pochi mesi dalla sconfitta di Lissa, fu unita al Regno d'Italia, l'arsenale lagunare si trovava in uno stato di estremo degrado nelle strutture, con il personale demotivato e senza costruzioni navali in corso. Qualche anno prima in campo navale era avvenuto un mutamento tecnologico epocale; l'introduzione di nuove potenti artiglierie a retrocarica con canna rigata e proiettili esplosivi rivoluzionò la tattica navale e di conseguenza la costruzione delle navi da guerra. I progettisti dotarono le navi da battaglia, ormai mosse prevalentemente a vapore, di protezioni in lamiere ferrose ed in brevissimo tempo gli arsenali passarono da costruzioni in legno a costruzioni ibride ferro-legno e quindi a navi di "ferro". Il 16 marzo del 1868 Augusto Riboty, da appena un mese nominato Ministro della Marina, presentando al Parlamento (allora a Firenze) il "Piano organico per la riorganizzazione della Regia Marina" affermava che: «Il possesso della Venezia ci ha dato quell'arsenale ove convenienti e proporzionati lavori lo renderanno meglio adatto ai bisogni del nuovo materiale». Il saggio tratterà della radicale trasformazione del cantiere veneziano (infrastrutture, macchinari e personale) da medievale arsenale del "legno" a moderno arsenale del "ferro"; trasformazione che consentì al cantiere di essere durante la "Grande Guerra" uno degli strumenti più importanti della ricostruita marina sabauda e poi, dopo la rotta di Caporetto, il cuore della difesa della piazzaforte di Venezia.

Amalia Donatella Basso, Le stanze dei gondolieri nel Palazzo Reale di Venezia. Un’ipotesi di riallestimento

Pare sia giunto il tempo di pensare al riallestimento delle stanze dei gondolieri del Palazzo Reale di Venezia che da lunghi anni si auspicava. Si proporrà quindi un'ipotesi espositiva che permetta la visione di quanto ancora sopravvive delle imbarcazioni reali e del relativo “parécio”, degli indumenti dei gondolieri, delle numerose bandiere di varie nazionalità tra cui un eccezionale esemplare napoleonico. Massimo Maresca, Lo Specchio della marineria mercantile de’ Reali Domini di qua e di là del Faro al 1° Gennaio 1839, una fonte per la conoscenza della marineria meridionale preunitaria

nell'800 Lo Specchio, pubblicato nel 1841 cura del Ministero degli Affari Interni, è un registro redatto sulla base di un censimento di tutti i bastimenti presenti in ogni località marittima del regno. Compito dello Specchio era controllare di anno in anno l’aumento o la diminuzione dei bastimenti mercantili esistenti, al fine di verificare l’efficacia degli atti governativi promulgati tra il 1816 ed il 1823 per di incentivare le costruzioni navali ed il commercio marittimo. Il volume preso in considerazione, riguardante appunto il 1839, è il quinto edito per le Provincie continentali ed il primo per quelle della Sicilia. Per le tredici Provincie continentali e per le sette siciliane del Regno sono elencati la quantità delle imbarcazioni esistenti e il loro tipo o denominazione.

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La fonte consente pertanto di conoscere per ogni porto o marina l’armamento e la vocazione marittima: commercio di lungo corso, di cabotaggio costiero, pesca. Gli atti preparatori degli anni precedenti documentano, per le marine del golfo di Napoli, anche il tonnellaggio, l'armatore e il capitano, delle imbarcazioni tipiche dell’epoca. Nicole Hegener, La Vittoria di Gardone. Il grande progetto della Nave "Puglia" per il Vittoriale Nel 1921 lo scrittore, poeta e politico Gabriele D‘Annunzio acquisì la villa dello storico dell'arte tedesco Henry Thode a Gardone. Nel grande giardino di questa (9 ha) creò dal 1921 al 1923 un insieme di palazzi, case, mausoleo ecc., nel quale riuscì di inserire la prua della grande imbarcazione militare “PUGLIA”, la prima barca militare varata a Taranto nel settembre 1898. Il progetto nel 1932 fu compiuto con l‘aggiunta della scultura di una vittoria bronzea alla prua dalla parte dello scultore Renato Brozzi. L’Autrice analizza questo progetto gigantesco ed estremamente costoso, presentandolo insieme ad una pianta finora non pubblicata e alla corrispondenza del Vate col Brozzi pure inedita.

Sabato 16 aprile

Etnologia navale Valeria Li Vigni, Un’analisi diacronica del corallo dalla sua più lontana comparsa nella storia dell’uomo fino ai nostri giorni, dalle prime tecniche di recupero alla tutela e implementazione

della specie. Indagine su un patrimonio materiale e immateriale a rischio di scomparsa attraverso la documentazione degli usi e delle funzioni assolte

Dalle testimonianze si evince lo sforzo iniziale per avviare una virtuosa sinergia tra armatori, validi navigatori e conoscitori delle rotte, oltre che nella difficile gestione dei rapporti con i popoli delle sponde limitrofe, solitamente trapanesi, e gli ebrei, abili nella lavorazione della preziosa specie. “La via del corallo”, se così vogliamo definirla, ha avviato a Trapani una virtuosa sinergia tra armatori trapanesi e commercianti ebrei, una buona pratica che ha rappresentato un esempio imperituro di integrazione e cooperazione per le giovani generazioni che tutt'oggi hanno portato avanti una forte economia basata su indubbie capacità artistiche, organizzative ed economiche.

Lucia Rita Federica Valenti, Marineria siciliana. Uomini, barche, simboli e riti Nella relazione saranno esposti i risultati ottenuti dagli studi effettuati sulle decorazioni dipinte delle barche tradizionali siciliane; sarà mostrato un repertorio di segni per decorare le barche, da sempre utilizzato dalle comunità marinare, che rimanda a significati simbolici rimasti inalterati nel tempo. Saranno descritti, il profondo rispetto per il mare, testimoniato proprio attraverso la moltitudine di simboli che caratterizzano le decorazioni, l’uomo e la sua appartenenza ad una realtà marinara, coinvolti da sentimenti di devozione contaminati da superstizioni, che spesso presero il sopravvento. Segni e colori permettono di penetrare la cultura popolare e di capire le scelte scaramantiche dei marinai, che stabiliscono ancora oggi un rapporto particolare con la barca,

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considerata quasi una creatura vivente, strumento di lavoro e al contempo una protezione per affrontare i rischi della navigazione. Nelle decorazioni tradizionali si evince la persistenza di elementi arcaici radicati nel tempo e rielaborati da varie civiltà. I disegni, i colori, i simboli sono ispirati ai più vari motivi religiosi, magici e propiziatori. Sono stati ritrovati segni di natura cristiana affiancati a segni orientali. Nei simboli delle barche tradizionali, come in altre espressioni delle società marinare, persistono gli elementi arcaici, assorbiti nel tempo. Sarà mostrato, infine, come nella struttura complessiva le barche tradizionali siciliane evidenzino somiglianze e affinità con tipiche imbarcazioni provenienti dall’Adriatico, Ionio, Tirreno ed Egeo.

Nicola Bressi, Luigi Fozzati, Le imbarcazioni monossili del Golfo di Trieste. Storia, conservazione e valorizzazione

L'intervento presenta il quadro dei rinvenimenti di esemplari di zopoli o zoppoli nelle acque dell'Adriatico: le monossili, utilizzate per lo più per la pesca del tonno, sono state impiegate dalle comunità di pescatori del Golfo di Trieste e della Dalmazia fino agli venti/trenta del secolo scorso. Questa particolare tipologia di piroga, attestata per un periodo di lunga durata nell'arco di circa otto secoli, si è di recente arricchita di un terzo esemplare rinvenuto nei fondali antistanti l'agglomerato urbano di Monfalcone e Staranzano, in Provincia di Gorizia. I due precedenti esemplari sono conservati a Trieste (Civico Museo del Mare) e a Lubiana (Museo Etnografico). Entrambi costruiti ad Aurisina, il primo nel 1892 col nome di "Lisa", il secondo nel 1890 col nome di "Maria", sono stati ottenuti da un tronco di Pino rosso e sono pertanto assimilabili alle piroghe monossili di tradizione pre-protostorica, ma anche testimoniate in epoche successive, romana e medievale. L'intervento illustra la tecnologia di fabbricazione e le caratteristiche di utilizzo in acqua di mare per la pesca. Si provvede anche a documentare le fasi di restauro e di valorizzazione della "Maria". Gabriele Setti, Loreno Confortini, Le tipologie dei mulini natanti: esempi dal Po, dalla Secchia,

dall’Adige e dal Tevere. Disegni ricostruttivi attraverso i documenti d’archivio e le fotografie d’epoca

I mulini natanti erano macchine idrauliche che avevano caratteristiche costruttive analoghe, ma che variavano secondo la dimensione e la portata d’acqua del fiume. Gli studi svolti negli ultimi anni dalla nostra Associazione (Associazione Italiana Amici dei Mulini Storici) hanno raccolto queste tipologie di modelli storici che, nel loro insieme, offrono un quadro inedito sull'arte meccanica della molitura.

Marta Laureanti, Claudio Fadda, Comunità fluviale e paesaggio culturale del fiume Sile Le ultime barche tradizionali da lavoro utilizzate in Veneto e dedite al trasporto di merci lungo i fiumi e canali, sono state abbandonate tra 1974-1975 in una zona situata nel fiume Sile e chiamata "Cimitero dei burci".Il sito ospita diverse tipologie di imbarcazioni da lavoro. Barche tradizionali non più in produzione presso i cantieri locali perché la gestione dei trasporti in Italia è cambiata completamente tra gli anni '60 e gli anni '70, a favore del trasporto su strada. Il Cimitero dei Burci rappresenta questo passaggio ed è la più estesa area archeologica in Italia che ospita barche tradizionali che possono dare informazioni su relitti storicamente più antichi. La

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nostra ricerca si è imposta come il primo tentativo di dare valore al sito, recuperando documenti di archivio che attestassero la storicità dei relitti ,il più antico dei quali, fino ad oggi, abbiamo dimostrato essere del 1937. Di molti altri stiamo ancora ricercando i documenti, ma abbiamo già iniziato un dialogo con la Soprintendenza Archeologica del Veneto per avviare un procedimento di dichiarazione di interesse storico culturale. Il progetto di ricerca, iniziato nel 2014, si propone di studiare da un punto di vista archeologico, il paesaggio culturale marittimo di tutto il fiume Sile. Le comunità locali sono state coinvolte nella ricerca sin dall'inizio e di questo processo si vorrà dare risalto anche durante il Convegno. Illustreremo inoltre le metodologie e i risultati raccolti in questo primo anno di lavoro e proporremo delle comparazioni con dati di carico di imbarcazioni fluviali più antiche pervenuti da ricerche di archivio e altri dati raccolti durante i surveys effettuati sul fiume.

Eriberto Eulisse, Lungo le “strade liquide” della Serenissima. Nuove modalità per esplorare luoghi e patrimoni della navigazione interna: le App Delta del Po, Tagliamento, Bacchiglione e

Canale Battaglia Il Centro Internazionale Civiltà dell'Acqua Onlus è impegnato da alcuni anni a promuovere il patrimonio materiale e immateriale legato alla civiltà della navigazione interna lungo le storiche vie d'acqua navigabili della Serenissima (canali navigabili, fiumi e lagune). Con questo contributo si intendono presentare la metodologia sviluppata in collaborazione con il Dip.to di Geografia di Ca’ Foscari (prof. Vallerani) e i risultati di 4 progettualità volte a realizzare altrettante App per Smartphone e Tablet che riguardano: Delta del Po, Tagliamento, Bacchiglione e Canale Battaglia. Tutte le App sono accomunate dalla piattaforma web Exploringrivers.com e mirano a promuovere la fruizione delle vie d’acqua navigabili in ottica di eco-turismo sostenibile, grazie a una serie di itinerari percorribili con mappe interattive dagli utenti “in mobilità” (in barca, kayak, bici, cavallo e a piedi). Tutte le App sono scaricabili gratuitamente dagli store ufficiali Apple e Android. Le App sono pensate sia per le comunità locali sia per i turisti, onde rinsaldare i valori identitari della navigazione interna e far riscoprire patrimoni e frammenti di una Civiltà dell'Acqua troppo velocemente dimenticati, ma che oggi costituiscono ancora un importante volano di crescita economica sostenibile. Giovanni Panella, Guido Rosato, Un’imbarcazione per un porto di antico regime: le chiatte del

porto di Genova Le chiatte sono state uno dei simboli del porto di Genova per quasi un secolo. Nate dall’evoluzione delle barche da trasporto portuali, dette pernacin, già citate in testi secenteschi, le chiatte diventano importanti, aumentando esponenzialmente di numero dalla metà Ottocento, quando gli spazi per l’attracco delle navi alle banchine e i magazzini dove depositare la merce in transito risultano insufficienti. Queste imbarcazioni, mosse prima da gozzi a remi, poi da rimorchiatori a vapore, diventeranno allora necessarie non solo per movimentare le merci dalle navi alle banchine, o viceversa, ma per custodirle e immagazzinarle. Le chiatte vedranno tutte le grandi trasformazioni del porto, dalla fine dell’Ottocento agli anni Ottanta del Novecento, quando anche il loro ultimo attracco sarà eliminato per dare spazio ai nuovi traffici dei traghetti e delle imbarcazioni da diporto. Perse del tutto le chiatte in legno, rimarranno solo le più recenti, in ferro, a ricordare la loro storia nella passeggiata urbana chiamata, appunto, “l’isola delle chiatte”, un’invenzione di Renzo Piano per l’Esposizione Colombiana del 1992.

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Chiara Zazzaro, Il contributo italiano allo studio delle imbarcazioni tradizionali del Mar Rosso e

del Golfo Persico: fascino letterario, testimonianze storiche e studi recenti Le imbarcazioni tradizionali in legno del Mar Rosso e del Golfo Persico sono comunemente conosciute con il nome di “sambuchi” in italiano, dhow in inglese e boutre in francese, in arabo hanno invece nomi diversi in base alle differenti destinazioni d’uso e alla forma dello scafo. Fino a non molto tempo fa i sambuchi erano un elemento predominante e caratterizzante del paesaggio marittimo dello Yemen, Eritrea, Gibuti, Arabia Saudita, Oman, Qatar, Emirati e Kuwait. Paesi, questi ultimi, che prima della scoperta del petrolio e del gas, avevano un’economia basata principalmente sul commercio marittimo, sulla pesca delle perle e sul pescato. Viaggiatori e avventurieri come Henry de Monfreid e Alan Villiers hanno subito il fascino di queste imbarcazioni lasciando testimonianze uniche, letterarie e fotografiche, proprio prima del passaggio dalla vela al motore. Oggi queste barche stanno del tutto scomparendo lasciando velocemente il posto alle grandi navi container e alle imbarcazioni da pesca in vetroresina. L’autore intende illustrare lo stato degli studi sull’argomento, gli sforzi che alcuni paesi stanno compiendo per preservare le antiche tradizioni costruttive navali, le recenti ricerche d’archivio e la propria esperienza sul campo condotta in collaborazione con i colleghi dell’Università di Exeter nell’area del Mar Rosso e del Golfo Persico.

Fabio Fiori, Moscone o pattino? Storia di una barca da spiaggia Sfogliando, anche distrattamente, un catalogo di vecchie cartoline balneari del primo Novecento italiano salta immediatamente agli occhi una diffusissima barchetta a remi. E' un piccolo catamaran, direbbero francesi e inglesi, a cui invece gli italiani hanno dato un nome proprio. Anzi due nomi! Perché sul Ligure e sul Tirreno lo chiamano pattino, mentre in Adriatico è il moscone. Va detto che anche sulle rive spagnole del Mediterraneo il patìn ha una lunga storia, soprattutto nella versione a vela. Ma rimanendo in Italia, nei vocabolari la parola pattino appare per la prima volta nel 1891. E' Policarpo Petrocchi che la inserisce nel suo "Novo dizionario universale della lingua italiana", dove si legge: "PATTINO, s.m. T. mar. Due travi con un panchettino sopra che serve per andarci come in barchetta (P.)". Sarà invece lo scrittore Alfredo Panzini, che trascorreva le vacanze a Bellaria, a sdoganare il termine adriatico moscone nel suo "Dizionario moderno", nella edizione del 1923, definendolo "galleggiante da spiaggia". Più articolata la descrizione data nell'edizione del 1950: "Moscone: Chiamano così sul litorale adriatico una specie di piccola imbarcazione per diporto, da spiaggia e per bagno. E' formato di due galleggianti su cui poggiano uno o due sedili". Definizione che si completa con una domanda e la relativa risposta: "Perché mosconi? Per analogia di aspetto, come ditteri, mosche chiare sull'azzurro del mare". In questo lavoro si ripercorrerà, attraverso fonti iconografiche e letterarie, la storia di una barca minore, per dimensioni, ma diffusissima e soprattutto importantissima nella scoperta del mare di generazioni di italiani. Una barca che, al pari della bicicletta con cui condivide storia, finalità ed essenza ecologica, meriterebbe di essere riscoperta e valorizzata.

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Davide Gnola, Il ritorno della Falcia. Una barca tra conservazione e didattica, in ricordo di Siro Ricca Rosellini

L’intervento riferisce del “ritorno a casa” della “Falcia”, la lancia romagnola fatta costruire dal Prof. Siro Ricca Rosellini nel 1949 al famoso cantiere Della Santina di Cattolica, e poi tenuta per molti anni in porto a Cesenatico per navigare e pescare. Siro Ricca Rosellini è stato uno dei protagonisti della nascita del Museo della Marineria di Cesenatico, insieme a Bruno Ballerin e al primo gruppo di pionieristici studiosi della marineria tradizionale. A lui non solo il museo, ma tutta la comunità dei ricercatori sulla marineria tradizionale deve molto, sia per la sua grande competenza e capacità didattica, che si ritrova nei suoi fantastici disegni di barche, vele, dettagli, sia per la sua umanità e gentilezza che ancora oggi ricordiamo con grande affetto. Quando Siro decise di disarmare la sua lancina, nei primi anni ’70, il museo di Cesenatico ancora non esisteva, e quindi la barca venne donata al Museo Etnografico di Palazzo Gaddi di Forlì, dove egli viveva. Ma quando il Museo della Marineria venne realizzato, si iniziò a pensare che il migliore destino di quella barca fosse prima o poi di tornare nella sua Cesenatico. Negli ultimi anni, poi, il museo di Palazzo Gaddi rimase chiuso, e quindi, dietro suggerimento del figlio di Siro, il dott. Salvatore Ricca Rosellini, si iniziò a pensare a come concretizzare il deposito della barca da parte dei Musei Civici di Forlì al Museo della Marineria di Cesenatico, che si è poi realizzato tra 2014 e 2015 grazie alla colllaborazione tra le due Amministrazioni e i due Musei, risolvendo anche qualche non piccolo problema tecnico (l’estrazione della barca da una stanza al pian terreno di un palazzo storico), e dando vita anche ad una parallela attività didattica che ha avuto anche un prestigioso riconoscimento nazionale.

Stefano Medas, Va’ a l’orza! In ricordo dell’amico Riccardo (Dino) Brizzi A pochi mesi dalla sua scomparsa, desideriamo ricordare il caro amico Riccardo (Dino) Brizzi, uno dei più grandi estimatori e conoscitori della marineria tradizionale romagnola. Chi l’ha conosciuto bene non può non essere rimasto profondamente colpito, affascinato da quest’uomo. Se dovessero chiedermi a bruciapelo chi è stato, potrei rispondere tante cose: neurochirurgo di fama internazionale, eccellente pittore, raffinato scrittore, inventore instancabile, navigante vero, ricercatore assoluto; insomma, un grand’uomo. Risponderei, però, che è stato innanzitutto un maestro e sicuramente un poeta. Un maestro, perché applicava metodo ad ogni cosa, perché sapeva rendere semplici i concetti più difficili e sapeva indicare la via giusta. E poi ascoltava, meditando con attenzione su quello che avrebbe risposto. Un poeta, perché nello scrivere aveva un talento innato, unito alla capacità di saper cogliere l’essenza, il cuore di ogni argomento, con una prosa concisa, sempre chiara e vibrante, senza gravare inutilmente le frasi. Nei suoi scritti, sempre pervasi da una sottile ironia, non v’è mai traccia di banalità. La passione per il mare e per le barche lo contagiò fin da bambino e, col tempo, lo portò a produrre una serie di lavori di assoluta bellezza, da tutti i punti di vista (il suo Trattato dei trabaccoli è un piccolo manuale di marineria tradotto in forma letteraria). Al loro interno c’è molto più della tecnica e della pratica del navigare. Ci sono dentro la realtà concreta di un mondo finito, quella degli uomini e del loro ambiente, del loro modo di pensare e di essere. Sono immagini di impareggiabile valore storico e antropologico, che hanno arricchito e arricchiranno sempre non solo gli appassionati del mare, ma anche chi ha fatto del mare e della marineria un soggetto di studio.

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Sezione Poster e video presentazioni

Marco Bonino, Alcuni progressi dell’Atlante delle barche tradizionali in Italia Le ricerche, ormai trentennali, mie e dei miei colleghi, tese alla costruzione di un atlante delle barche tradizionali in Italia, hanno portato ad identificare una buona parte di questo patrimonio, soprattutto per il periodo dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento e a concludere il catalogo di molte aree tradizionali, tra le quali:

- Regione centrale interna. - Sicilia. - Valle del Po.

Per le prime due si propone una carta di distribuzione dei tipi navali, mentre dell’ultima un esempio della grafica di Loreno Confortini, con abbiamo curato il volume Antiche barche e battèlli del Po, in corso di pubblicazione.

Andrea Cafà, Tito Mancini, I viaggi antartici del Comandante Giovanni Ajmone Cat e il motoveliero “San Giuseppe Due”

II Com.te Giovanni Ajmone-Cat (Roma, 5 marzo 1934 - Como, 18 dicembre 2007) fu figlio del Generale Mario primo Capo di Stato Maggiore della nuova Repubblica. La mamma, la Contessa Carlangela Durini. Ad Anzio il giovane Giovanni appena dodicenne comincia a dedicarsi con impegno all'arte marinara. La vita dura del marinaio lo metteva alla prova con determinazione e sacrificio e segnava il suo cammino formando il suo giovane carattere. L’esperienza vissuta sul litorale laziale fu importante patrimonio di conoscenza che lo portò in seguito a prediligere imbarcazioni a vela latina. Il Comandante Giovanni Ajmone Cat Navigatore Esploratore Antartico fu il primo italiano a piantare il tricolore in Antartide percorrendo oltre 20000 miglia usando le tecniche della vecchia marineria. Per le sue imprese si fece costruire a Torre del Greco dalle abili mani dei maestri d'ascia Gerolamo e Giuseppe Palomba il Motoveliero “San Giuseppe Due” che fu varato il 10 Agosto del 1968. Il primo viaggio 1969-1971 ebbe una durata di tre anni definita dal Comandante esplorativo e utile a eseguire il secondo nella 1973-1974. La Spedizione Scientifica Antartica ltaliana con il patrocinio della Marina Militare Italiana con un equipaggio formato da quattro Sottufficiali c dalla Lega Navale Italiana. In seguito, nel 1979, il Comandante Ajmone Cat consegui la Maturità Tecnica Nautica, sostenendo l’esame di maturità presso 1’Istituto Tecnico Nautico Statale di Torre del Greco, ottenendo il Diploma di Aspirante al Comando di Navi Mercantili sino a raggiungete il titolo di Capitano superiore di Lungo Corso Al comando della sua feluca partecipò con successo nel 1992 alle Colombiadi, in memoria di Cristoforo Colombo, in occasione del 500. anniversario della scoperta dell’America. Nel 1996 presee parte alla regata dei grandi velieri, Cutty Sark, gemellandola con il veliero venezuelano "Simon Bolivar". Il Comandante Ajmone Cat rappresenta il personaggio che ha raccolto intorno a sé importanti istituzioni e autorevoli Università e Associazoni. Sara Campagnari, Alain Rosa, Bastiglia - Un'Ancora a rampino dal fiume Secchia: cronaca di

un rinvenimento Il presente contributo è parte di un più ampio lavoro di recupero e classificazione tipologica di ancore con valenza storico-archeologica, provenienti dai fondali marini e da acque interne della regione Emilia Romagna. In questo caso si tratta di un’ancora a quattro marre recuperata nell’alveo

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del fiume Secchia, nel comune di Bastiglia in provincia di Modena. Il ritrovamento casuale è avvenuto durante un’escursione fatta da un gruppo di abitanti del luogo, cultori della storia del proprio territorio, lungo la sponda ovest del fiume in un momento di forte magra, quando si sono imbattuti nei resti insabbiati di una non ben identificata imbarcazione e in un’ancora poco lontano da quella.

Caterina Cornelio, Roberto Monaco, La nave romana di Comacchio: “una sfida di conservazione e valorizzazione”

Le analisi microbiologiche, fisiche e chimiche effettuate nel 2015 su un campione di legno dell’imbarcazione romana di Comacchio di età augustea hanno rivelato un buono stato di conservazione del relitto recuperato nel 1981 attraverso uno scavo terrestre. I risultati, in continuità con i dati delle analisi effettuate nel 2004, consentono di elaborare una proposta di permanenza del relitto nella struttura attuale, con migliorie tecnico-impiantistico ed estetico-museografiche e monitoraggio delle condizioni dell’imbarcazione.

Giovanni Panella, Un progetto per lo yacht Elettra , la nave di Marconi Se a oggi non sussistono le condizioni per proporre la costruzione ex novo di una copia dell’Elettra, si può però svolgere una ricerca preliminare sui costi e sui benefici che potrebbe comportare tale operazione. Tale tema potrà essere oggetto di una o più Tesi di Laurea Magistrale del Dipartimento di Architettura di Genova. Prerequisito di un tale lavoro sta nel mettere a fuoco i possibili utilizzi della nave, anche in funzione della copertura dei costi di gestione. E’ opportuno che ciò avvenga coniugando considerazioni gestionali con soluzioni progettuali: una volta definiti i possibili utilizzi si può passare alle soluzioni di allestimenti interni.

Claudia Raimondo, Il capòtt del Pescatore Adriatico A partire dalla immagine del Pescatore Romagnolo raffigurata nel libro di Emma Calderini del 1934 sul Costume popolare in Italia, l’intervento ricostruisce la tipologia del caratteristico abbigliamento utilizzato dai pescatori adriatici, mettendone in luce le particolarità del taglio e dell’utilizzo del tessuto, nonché i caratteri rituali e culturali.

Fosco Rocchetta, Camillo Manfroni (1863-1935) eminente storico della Marina Italiana Il saggio si propone di rinnovare la memoria di uno fra i più autorevoli studiosi della Marina Italiana, e di evidenziarne il fondamentale apporto alla storia ed all'arte militare, dal medioevo ai primi decenni del Novecento. Laureatosi nell'Università “La Sapienza” di Roma, fu Professore di italiano e storia nell'Accademia navale di Livorno, insegnando poi storia moderna in diversi atenei: Genova, Padova e Roma. Senatore del Regno d'Italia, ha ricoperto numerose cariche, tra cui: membro effettivo dell'Istituto veneto di scienze lettere ed arti, fondatore della Lega navale italiana, membro dell'Istituto fascista di

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cultura, membro della Società romana di Storia patria, membro dell'Istituto coloniale italiano, accademico dei Lincei. Tra le principali opere: Storia della marina italiana (3 voll. ,1889-1902); Storia della marina italiana durante la guerra mondiale 1914-1918 (1923); Cristoforo Colombo. Cenni biografici. Il grande genovese e la modernissima critica (1925); Il primo viaggio di Antonio Pigafetta (1928); L'Italia nelle vicende marinare della Tripolitania (1935). Romano Schiavi, La storia del pontone armato “Faà di Bruno” e delle tredici ragazze di Marotta L’episodio è noto come quello delle “Undici Ragazze di Marotta”: le figlie di pescatori, che il 18 novembre 1917 prestarono coraggiosamente soccorso al pontone armato “Emilio Faà di Bruno” che, sorpreso da una violenta tempesta, si era arenato (probabilmente volutamente per non fare la fine del Cappellini ndr) sulla costa di Marotta e stava per affondare. Le giovani marottesi, che furono insignite della medaglia di bronzo al valore, sono ricordate in un monumento dei giardini sul lungomare Faà di Bruno.

Philippe Tisseyre, Nuovi dati archeologici dalla provincia di Catania Nel corso degli ultimi anni, la ricerca della Soprintendenza del mare nel zona di Catania ha permesso di incrementare i darti archeologici, e di lanciare nuove problematiche di studio. In questa sede presenteremmo tre dati principali, in ordine cronologico: nuovi ritrovamenti di anfore corinzie da Acicastello, il relitto di Acitrezza e il percorso archeologico di Acicastello, nell'ambito dell'applicazione della convenzione Unesco sulla musealizzazione in situ.

Nicolò Zen, Resistenze di palude. Sulle tracce di un fossile vivente Delle paludi del tartaro, più o meno coincidenti con le Valli Grandi Veronesi, restano ben poche tracce, dopo il completamento della bonifica con l'ultimo intervento del 1970. Eppure è accertato che queste paludi sono state popolate con continuità già in epoca neolitica. Ricordano gli anziani di Gazzo Veronese, e certamente accadeva anche nel neolitico, dal casone fatto principalmente di canne palustri con una struttura lignea elementare, non si usciva a piedi, si usciva in barca, perché buona parte dell'anno tutto attorno c'era acqua. E con la barca ci si procurava da mangiare, ci si procurava il necessario per curarsi e per fabbricare tutto quel che serve in una casa, come i letti, le sedie, i cesti, ed il tetto della casa stessa. La palude forniva tutto ciò ed una barca era la cosa più naturale per spostarsi. I frutti della palude poi sono sempre stati una buona merce di scambio. Di questo mondo antichissimo, scomparso in meno di un secolo di bonifiche, resta ancora una flebile traccia vivente: la sandola del Tartaro.