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ROBERTO MICHELS II BOICOTTAGGIO SAGGIO SU ÏÏN ASPETTO DELLE CRISI GIULIO EINAUDI EDITORE - TORINO

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ROBERTO MICHELS

II BOICOTTAGGIO

S A G G I O

SU ÏÏN A S P E T T O D E L L E C R I S I

GIULIO EINAUDI EDITORE - TORINO

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- I m i t i .

JANNACCONE Dop. 2 5 9 .

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P R O B L E M I C O N T E M P O R A N E I in.

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Q U E S T A C O L L E Z I O N E E S C E A C U R A DEL-L A R I V I S T A " L A R I F O R M A S O C I A L E , ,

P R O P R I E T À L E T T E R A R I A R I S E R V A T A

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R O B E R T O M I C H E L S

IL BOICOTTAGGIO S A G G I O

SU U N A S P E T T O D E L L E C R I S I

1 9 3 4 GIULIO EINAUDI, EDITORE - TORINO

N.ro INVENTARIO PK E - \ 6 o i l r

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I N D I C E

Prefazione Pag. 9

Introduzione » u

I. BOICOTTAGGIO ECONOMICO E CRISI POLITICHE.

1. Tipologia del boicottaggio » 19

a) Boicottaggio diretto » 19 b) Boicottaggio indiretto » 37

z. Analisi delle possibilità di successo del boi-cottaggio » 47

a) Elementi obbiettivi (economici) » 48 b) Elementi soggettivi (psicologico-poli-

tici) » 55

3. L'esemplificazione indiana » 71

II. BOICOTTAGGIO E CRISI ECONOMICHE.

1. Alcune considerazioni sul commercio mondiale » 91

2. Effetti del boicottaggio » 109

Considerazioni finali » 121

Indice dei nomi » 131

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P R E F A Z I O N E

La ragione d'essere di questo scritto che presento oggi al pubblico italiano, sta nell'osservazione suggeritami dai fatti che, tra i

fenomeni politico-economici di rilievo, uno sia sfuggito quasi inte-ramente all'analisi scientifica, forse anche perchè, ai teorici di una economia automatica e agnostica, l'argomento stesso, passionale, poteva sembrare non sufficientemente degno di discussione: il boi-cottaggio internazionale.

Ora, l'importanza del fenomeno boicottistico risiede appunto in questo, che esso è un fenomeno doppiamente ricollegato colle crisi che - da molti decenni - a cicli travagliano il mondo. Perchè, se la genesi del boicottaggio è dovuta prevalentemente a crisi e contrasti d'ordine politico, i suoi effetti si irradiano fortemente sulle crisi economiche; convincimento questo che un recente viaggio in In-ghilterra ed alcune ricerche svolte nel British Museum e nella Lon-don School of Economics mi hanno pienamente confermato. Nelle pagine seguenti mi sono proposto di lumeggiare questo duplice aspetto del boicottaggio.

ROBERTO M I C H E L S .

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I N T R O D U Z I O N E

Storicamente parlando, il boicottaggio riveste tre forme essenziali. diverse. La prima era quella dell'ostracismo contro una persona mal vista, alla quale vennero a volta a volta negati il saluto, i viveri, i servigi. L'atto iniziale si ricollega infatti alla persona di un certo Mr. Boycott. Esso fu un modo di manifestare il sentimento di repulsione di una popolazione contro una persona invisa, che si volle obbligare, col non fornirle più i mezzi di sussistenza, a la-sciare il campo libero e ad andarsene dalla contrada (i). Divenne questa la forma di lotta adottata dagli irlandesi contro i loro oppressori inglesi, gli Ulster Orangemen, gli

( I ) B O T E R O riferisce che una tribù indiana del Perù, allo scopo di disfarsi dei coloni e degli impiegati spagnoli, si rifiutò di coltivare i suoi campi, di modo che gli spagnoli non avendo più da mangiare, furono costretti ad allontanarsi. È vero però che le' prime vittime di tale ostruzionismo furono i membri stessi della tribù. ( G I O V A N N I

B O T E R O , Relazioni del mondo nuovo, in « Relation! universali ». Venezia, 1 6 5 9 Bertani P- 541).

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12 IL BOICOTTAGGIO

Emergencj Alen. Dopo il 1880, il boicottaggio assurse all'ono-re di figurare come uno dei mezzi tattici più decisivi del ri-sorgimento nazionale dell'isola verde contro lo straniero. Nello stesso periodo venne anche coniato il verbo inglese to boycott, boicottare, che dovette presto entrare pure nelle altre lingue europee. Solo più tardi il metodo del boicot-taggio si introdusse anche nel movimento operaio, come manifestazione della lotta di classe (boicottaggio di certe imprese: a) da parte degli operai consumatori che si asten-gono dalla compera dei relativi prodotti, o b) da parte degli operai produttori che si astengono dall'assumere impieghi offerti loro nelle imprese medesime). Più tardi ancora, il boicottaggio assunse un terzo aspetto, quello di lotta nazio-nale sul campo degli scambi internazionali (1). Così, in un primo tempo il boicottaggio assunse l'aspetto di lotta contro un consumatore. Ma la vera storia del boicottaggio è una storia di lotte contro il produttore, e contro il commerciante ed il mediatore che stanno dietro di lui. Col termine boicottaggio s'intende l'azione astensionista, premeditata, permanente, sistematica e intenzionalmente assoluta, da parte di gruppi, nazionali o sociali, di compra-tori, riguardo ad ogni compra o ad ogni consumo di date merci o di determinati gruppi di merci.

(1) Cfr. l'articolo Boycott nella Encydopedia Britannica, 11 ed., Cambridge, 1910, Univer-sity Press, voi. IV, p. 355.

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INTRODUZIONE '3

Il boicottaggio è una forma di ostracismo, non di per sè soggettivo, ma obbiettivo. È una messa all'indice, perchè colpisce d'interdetto la rivendita e la compera di prodotti di una data provenienza; di fronte all'industria straniera, importatrice, che si intende colpire, è, come dicono i tede-schi, un Kundenent^ug, in ultima analisi una Ent^iehung der eigenen Kaufkraft. Epperò, il boicottaggio è, per antonomasia, a limite, totalitario; non bada alla qualità, nè estrinseca, nè intrinseca, della merce. Causa ed oggetto del boicottaggio non consistono quindi già nella difesa contro una merce cattiva, ma piuttosto, oseremmo dire, contro uomini cat-tivi o supposti tali, che andrebbero puniti nei loro prodot-ti. Il boicottaggio nazionale è un'arma civile collettiva, ufficiosa o anche del tutto spontanea, contro un'offesa ricevuta da una potenza estera. E quindi di indole economica, perchè costituisce una risposta economica data a provvedi-menti quasi sempre di natura politico-nazionale, e solo più raramente anche di politica commerciale. Senonchè, questa risposta economica, nata da crisi politiche interna-zionali, è pregna di volontà politica, e quindi ricca di politici riflessi e di politiche ripercussioni. Il numero di movimenti boicottistici è illimitato. Citeremo qui soltanto alcuni dei più noti:

i. - Esempi di boicottaggio politico: quello dei danesi contro le merci tedesche, come misura di rappresaglia per le dispo-sizioni restrittive germaniche prese nel nord dello Schleswig

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14 IL BOICOTTAGGIO

a danno della lingua danese (1897); quello russo-polacco contro la merce dei pangermanisti nella Polonia tedesca (1912-13); quello parziale rivolto dagli inglesi contro le merci germaniche a seguito del telegramma di Guglielmo II al pre-sidente Kriiger (1897); il boicottaggio anti-austriaco in Tur-chia dopo l'annessione della Bosnia Erzegovina (1908); il boicottaggio della birra ceca di Pilsen da parte della Germania (1909).

2. - Boicottaggi d'indole politico-economica: quello dei greci rivolto contro le merci francesi, per rappresaglia contro il trattamento doganale usato dai francesi all'uva passa di Corinto (1883); il boicottaggio degli olandesi contro le merci tedesche, che ebbe inizio come rappresaglia contro la convenzione germanica colla Finlandia circa l'importa-zione del burro e l'aumento delle tariffe di entrata, applicate ai prodotti agricoli olandesi.

3. - Dopo la guerra mondiale, nomineremo, oltre i movi-menti lunghi e pertinaci organizzati contro gli europei nei paesi dell'Asia (di cui tratteremo ancora), il boicottag-gio ungherese organizzato nel 1920 contro le merci austria-che per la cessione del Burgenland; il boicottaggio tedesco contro i prodotti francesi nel periodo dell'occupazione della Ruhr; i boicottaggi organizzati dai commercianti e dallo stesso pubblico ebreo, e anche semplicemente demo-cratico, in Polonia, in Rumenia, ed in ispecial modo in

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INTRODUZIONE 15

Inghilterra (non ancora del tutto estinti) contro i prodotti tedeschi, come reazione contro la persecuzione inflitta agli ebrei in Germania dopo l'avvento al potere di Adolfo Hitler e dei suoi seguaci nazisti; che poi tal movimento boicottistico anti-antisemita, a malgrado di ogni precau-zione presa dai boicottanti medesimi, è fatalmente destinato a danneggiare, oltre gli interessi dei produttori e commer-cianti tedeschi antisemiti, anche quelli tedeschi semiti, è una cosa ovvia, anche perchè i criteri discrezionali teorici in pra-tica non riescono attuabili. Dopo il noto discorso di Barthou, tenuto a Bucarest nel giugno 1934, nel quale l'uomo di stato francese garantiva, a nome della Francia, lo statù quo del territorio rumeno contro ogni aspirazione revisionistica dei magiari, i gior-nali ungheresi pubblicavano che il circolo Liportvares aveva preso l'iniziativa del boicottaggio delle merci francesi (x).

4. - Già nel 1905 scoppiò in Cina un boicottaggio - che fu il primo tentativo del genere in Asia - contro le merci ameri-cane, come protesta contro le crescenti difficoltà intrapposte negli Stati Uniti contro l'immigrazione dei gialli. Si ebbe, nel 1907, un secondo tentativo, anche se meno generale.

(1) In Italia, il metodo del boicottaggio è stato scarsamente applicato, forse più scarsamente che in quasi tutti gli altri paesi. Salvo per una brevissima, incomple-tissima ed inconcludentissima parentesi consistente nel tentativo solitario di qualche ditta dell'Alta Italia contro i prodotti della moda francese, dopo gl'incidenti del Carthage e del Manouba, nel 1911 , il boicottaggio non vi ha mai attecchito.

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18 IL BOICOTTAGGIO

Contro le merci giapponesi poi i cinesi si rivolsero più volte, nel 1908, 1919 (quando Zingtao rimase giapponese), nel 1927, nel 1951; anche contro l'Inghilterra i cinesi ope-ravano nella stessa maniera nel luglio 1931. In tutto si contano, in Cina, fin al giorno d'oggi, ben nove boicot-taggi internazionali (1).

5. - Tutto ben considerato, si può asserire che per due terzi dei boicottaggi politici, la causa più profonda è d'ordine irre-dentistico. Due terzi dei boicottaggi politici, nascono come protesta per maltrattamenti inflitti da parte di stati esteri, a forti nuclei di connazionali rimasti fuori dei confini della patria. Una parte non indifferente dei boicottaggi politici si ricollega quindi colle contese per l'attuazione del principio di nazionalità o, se vuoisi, colla lotta contro l'imperialismo politico. Ma non può essere scopo di questo nostro libro, entrare in merito dei singoli casi, meno ancora di indicare gli eventuali rimedi suscettibili di prevenire, in un pros-simo o lontano avvenire, il ripetersi dei casi (2).

(1) C. F. REMER, A Study of Chinese Boycott. With special reference to their economie effectiveness. Baltimore, John Hopkins, p. 250, 252. (2) Non ci siamo occupati in questo libro dell'aspetto corporativo della questione da noi trattata. Ben si comprende che una forma classista del boicottaggio, in re-gime corporativistico, sarebbe, politicamente e economicamente, inammissibile. Cor-porativismo e boicottaggio interno sono contradizioni in lerminis. Senonchè, noi ab-biamo trattato, in questo scritto, il boicottaggio solo dal punto di vista internazionale, quello cioè non destinato a turbare la quiete della compagine nazionale, ma che co-stituisce invece uno dei più potenti mezzi di pressione, non privo di efficacia, per la lotta tra le nazioni.

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BOICOTTAGGIO ECONOMICO E C R I S I P O L I T I C H E

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1. Tipologia del boicottaggio

A) BOICOTTAGGIO DIRETTO

i. - Il boicottaggio è sempre un sintomo di crisi. In parti-colare, esso è il simbolo di una latente crisi politica interna-zionale. Il boicottaggio essendo diretto contro uno stato straniero che va punito, esso vuol danneggiare i produttori appartenenti a tale stato, perchè, nella loro qualità di espor-tatori, sono i rappresentanti economici più a portata di mano. Ostaggi, quando il commercio non si fa per commissione, diventano però a loro volta anche gli importatori indigeni, i negozianti ed i venditori al dettaglio nazionali. Si è voluto distinguere tra due tipi di boicottaggio, quello primario e quello secondario, il primo rivolgendosi contro il produt-tore (l'esportatore straniero), il secondo contro l'importa-

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tore ed il rivenditore, il negoziante, a qualunque nazione appartengano; non è chi non veda quanto sia aleatoria una tale distinzione cronologica. Il boicottaggio sempre si estende dalle merci boicottate a tutti i connazionali che sono in relazioni di affari coi pro-duttori del paese boicottato, e prende di mira quanti, riven-dendo le merci boicottate, tentano di violare la disciplina nazionale. Possono dunque essere fatti segno di boicottaggio individui o gruppi di individui, sia nella loro qualità di membri della collettività statale estera cui appartengono, sia come collaboratori di questa collettività. In questo modo l'ostracismo allarga forzatamente il suo campo d'azione. Non è però affatto indispensabile che gli uomini o le sfere straniere colpite sieno essi stessi, perso-nalmente o politicamente, responsabili del danno o del torto che, nella mente dei boicottanti, è stato il movente del boicottaggio organizzato. È anzi possibilissimo che essi, sia personalmente che politicamente, condannino questo movente, e lo condannino perfino in seno al proprio partito politico di cui sono aderenti. Il boicottaggio diretto va spesso - come si esprime il Go-thein - alla ricerca di un capro espiatorio, anche se inno-cente. Quando nella Polonia russa nel 191 z-i 3, in seguito alle mene dei pangermanisti nella Posnania, vennero boi-cottate le merci tedesche, non si tenne conto, dai polacchi, del fatto che gli industriali ed i commercianti tedeschi,

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s- TIPOLOGIA DEL BOICOTTAGGIO 59

che furono i primi a subirne le conseguenze, non erano affatto corresponsabili delle rigorose misure legislative prese dal loro governo (i). Ci sarebbe tuttavia da fare un leg-gero ritocco al sopracitato detto di Gothein che peraltro è assai giusto, e cioè che nel caso esaminato si trattava in verità di una legittima difesa, fatta da parte dei polacchi, le cui armi dovevano fatalmente rivolgersi contro la parte più accessibile del nemico.

2. - Il boicottaggio parte talvolta da un principio errato in quanto unilaterale, e cioè dalla supposizione che solo il venditore sia interessato al commercio, e che poco conti se questi venga danneggiato. Non si considera infatti che il compratore stesso si ferisce colle proprie armi quando ri-nunzia a servirsi di un fornitore che lo aveva sempre sod-disfatto.

3. - La storia dei movimenti boicottistici enumera molte

altre forme. Può diventare, per es., oggetto di boicottaggio

perfino la stessa merce nazionale, allorquando passa per

le mani di venditori stranieri. In questo caso, scopo essen-

ziale dell'azione, al quale viene posposta la stessa liberazione

del mercato interno dalla merce estera, diventa il boicot-

taggio del venditore straniero; in altri termini, la lotta contro

i mercanti stranieri è l'azione predominante, mentre la costi-

ci) G E O R G G O T H E I N , Der internationale Warenboycott, nel « Marz », III (1913), p. 210.

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tuzione del monopolio mercantile nazionale viene pospo-sta; subordinazione che naturalmente è solo di natura tattica, non potendo evidentemente significare una rinun-zia alla preferenza della propria merce. Per citare un esempio, nel movimento di boicottaggio intrapreso nella prima-vera del 1930 dagli indiani contro l'Inghilterra, si verificò questo fatto che nella città di Kawpore il boicottaggio fu esteso anche a quei negozi inglesi che vendevano esclu-sivamente prodotti indiani.

4. - Spesso il boicottaggio sino dall'inizio prenderà di mira non tanto le merci (o almeno non queste soltanto), quanto le persone appartenenti allo stato boicottato. I boicottaggi non vengono sempre determinati da combinazioni di lotte economiche acute. Possono anche essere il risultato della malvisa preponderanza, in dati rami della vita economica nazionale, di elementi stranieri, e rispondere perciò alle esigenze di gruppi nazionali che hanno interesse, minac-ciando il boicottaggio, di por fine a tale stato di cose. In questo modo sorse, in alcuni ambienti svizzeri, dopo la guerra mondiale, la proposta di boicottare quei negozi e caffè che, sebbene eserciti da svizzeri autentici, nell'assu-mere il personale di vendita davano la preferenza a stra-nieri (1). In questi casi si tratta di un boicottaggio imper-fetto o di indole derivata.

(1) Schweizerische Republikanische Blätter, del 25 dicembre 1920, n. 22.

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TIPOLOGIA D E L BOICOTTAGGIO 23

5. - L'arma del boicottaggio può anche prendere di mira, al di là del bene o del male, mercanti o negozianti di altre razze, che pur sono in pieno possesso della cittadinanza del paese boicottante. Nell'ante-guerra, ai funzionari tedeschi di nuova nomina destinati in Posnania, venivano conse-gnati ufficialmente degli elenchi di negozianti germanici, coll'obbligo di fare i loro acquisti esclusivamente presso di questi, evitando in modo assoluto di servirsi dei po-lacchi (1). Qui conviene accennare anche agli analoghi ten-tativi fatti dagli antisemiti, sia in Germania che in Francia, con ingiunzioni di questo genere: « Cittadini tedeschi, non comprate dagli ebrei!»; oppure dai francesi: «Français, n'achetez rien aux youpins!». Nel 1902 il giornale parigino Antijuif arrivò perfino a pubblicare alcune liste di ditte cristiane, col nome e l'indirizzo preciso dei loro impiegati di commercio ebrei, ingiungendo ai datori di lavoro di disfarsene subito (2).

Conviene insistere, nella tipologia delle varie forme di boi-cottaggio, sul tipo che non esiteremo di qualificare qual tipo antropofago. E cosa particolare alla Germania quello di mettere ogni tanto lo stato e i suoi organi diretti in servizio di mosse boicottistiche dirette contro una parte degli stessi suoi cittadini. Alla mala condotta del governo

( 1 ) L E O P O L D VON W I E S E , Biographie, in Die Volksmrtschaftslehre der Gegenwart in òelbstdarstellungen, Leipzig, 1929, Meiner, p. 213.

(2) G É R A U L T - R I C H A R D , Le dernier vestige, nella « Petite république socialiste >, X X V I I n. 9654.

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di Guglielmo II contro i suoi sudditi polacchi, si aggiun-gono invero i boicottaggi ufficiali organizzati contro gli ebrei da Hitler. Col pretesto, politicamente parlando pue-rile, di dover far fronte « alla campagna antitedesca scate-natasi sulla stampa di alcuni paesi esteri», facendola ces-sare coll'incutere spavento ai loro protetti, venne procla-mato per il i ° aprile 1933 il boicottaggio contro gli ebrei. Un comitato organizzatore formato dal partito che teneva nelle sue mani il timone dello stato invitò la popola-zione in tutto il Reich alla diserzione dai negozi appar-tenenti ai concittadini ebrei ed a colpire coll'astensione, rendendoli inaccessibili alla clientela, anche gli studi dei professionisti: medici, dentisti, avvocati di fede o di estra-zione ebraica. Ne seguì che, in seguito alle minaccie, 1 proprietari ebrei dei grandi empori, i Warenhaus, credettero opportuno di non aprire neppure le loro porte, quantunque per completare la beffa, fossero costretti a pagare egual-mente i loro impiegati. Altri tennero aperti i loro negozi, ma inutilmente. Corrispondenti di giornali italiani fascisti riferirono quanto segue: « Nazional-socialisti con cartelloni recanti la scritta: tedeschi, difendetevi non acquistando dagli ebrei!, altri affacendati nel distribuire fogli volanti, militi dei reparti d'assalto che sorvegliano gli ingressi e mettono in guardia gli eventuali acquirenti dall'entrare nei negozi. Questo è il quadro che si rinnova per ogni strada » (x).

( 1 ) D E S I L V A nel «Lavoro fascista» del 2 aprile 1933-xii.

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Per soprammercato, i cittadini ebrei (anche se battezzati) furono impediti quel giorno di entrare nella borsa (ove per la prima volta si videro invece circolare delle camicie brune), nelle biblioteche e nelle scuole. Però le autorità naziste davano molto peso alla constatazione esplicita che, dietro le loro insistenze, anche alcuni corrispondenti stra-nieri ingenuamente tenessero a comunicare ai loro gior-nali, che i dimostranti e gli organizzatori ufficiali del boi-cottaggio si erano astenuti rigorosamente dal malmenare i boicottati assenti.

Però, sotto la passione politica, impregnata di odio di parte, che è il movente di questo genere di tentativi di boicot-taggio, si nasconde spesso l'invidia di concorrenti meno fortunati: «Car le juif», osserva un economista di valore, « a réussi presque partout. À notre époque de concurrence universelle, il s'est montré, dans tous les domaines, un concurrent redoutable; et c'est ce qu'on lui pardonne le moins. L'antisémitisme dissimule ici une sorte de protec-tionnisme sui generis. Ce qu'il poursuivit dans le juif, c'est un concurrent, et un concurrent bien doué» (i).

6. - I movimenti boicottistici, aventi per scopo di danneg-giare certi produttori o venditori, acquistano appunto una particolare violenza allorquando si svolgono in stati abi-tati da popoli di nazionalità diversa. In tal caso il sentimento

(i) A N A T O L E L E R O Y - B E A U L I E U , L'antisémitisme. Paris, 1897, Calman-LEVY, p. 56.

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di solidarietà dei due gruppi antagonistici contribuisce ad alimentare vieppiù azioni di boicottaggio, perchè ognuno d'essi tende a sostenere le merci del proprio gruppo etnico ed a scartare quelle dell'altro; come avvenne in Posnania, fra tedeschi e polacchi, perchè questi ultimi cercavano di rendere, alla men peggio, occhio per occhio e dente per dente (i); o nella variopinta monarchia austro-ungarica, ove i boicottaggi dei cechi contro le merci austro-tedesche, o degli austro-tedeschi contro le merci ceche erano all'or-dine del giorno (2).

7. - Havvi anche un boicottaggio come emanazione di pro-duttori ed esercenti contro la clientela. In Germania ed in Austria si vedono nel - centro delle grandi città, alle porte di molti ristoranti, tra eleganti e meno eleganti, dei cartelli con scritti: Der Eintritt ist den Juden verboten! Die Juden sind nicht erwünscht! (è vietato l'ingresso agli ebrei, o: qui gli ebrei sono indesiderabili). Il divieto è, a primo acchito, inaudito ed illogico: inaudito perchè contrasta colla legge sul carattere della pubblicità degli esercizi, ove tutti hanno il diritto di servirsene; come infatti un autore inglese cita, tra i motivi contrari al boicottaggio, che « Se Tizio offre merci in vendita al pubblico - e ciò fanno tutti i commer-

( 1 ) Cfr., per quanto riguarda la Polonia dell'ante-guerra, W A L D E M A R M I T S C H E R L I C H ,

Der Nationalismus Westeuropas. Leipzig, 1920, Hirschfeld, p. 122 ss. (2) F R I E D R I C H H E R T Z , Das Zeitalter des Boykotts. Oesterreichischer Volkswirt (Vienna), del gennaio 1909; lo stesso: Die Produktionsgrundlagen der oesterreichischen Industrie vor und nach dem Kriege, 4» ed., Vienna, 1918, Verlag für Fachliteratur, p. 102.

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danti - egli ha l'obbligo legale di fornirle a chiunque, offre in pagamento contanti » (i). Ed è illogico, perchè contrasta rolla-legge economica del proventò "massimo. Eppure" un tale fenomeno -si spiega molto bene psicologicamente, per lo spirito di fanatismo politico e la irruenza razzista; inoltre molte volte tali restrizioni volontarie in riguardo alla clientela celano malamente una speculazióne; il trattore o l'albergatore, rinunciando, in modo chiassoso, alla clien-tela ebraica, può anche essere spinto dalla spefanza di' crearsi in- tal maniera, in favore della sua azienda, una forza attrattiva per la clientela cristiana, se non più ricca, certo più numerosa-di quella alla quale ha rinunciato.

8. - Di rimbalzo ih boicottaggio può colpire, indirettamente, anche i paesi neutrali. Durante la guerra, il boicottaggio passò nei suoi effetti dai paesi belligeranti" ai paesi neutrali, colpendone dapprima solo le ditte nemiche, o le loro filiali o succursali, più o meno mascherate, residenti nei. paesi neutrali, ma in seguito anche le ditte di' neutri -autentici, quando vendevano, o erano sospette di vendere,, al nemico. "A seconda che queste avevano la fama di essere germanofile o simpatizzanti coll'Intesa, venivano dall'uno o dall'altro gruppo di belligeranti boicottate e segnate sulla lista nera (2).

( 1 ) J O H N B E R T R A M A S K E W , Pros and Cons. A nempafier readers and debaters guide to the leading controversies of the day {politicai, social, religious, etc.), Swan Sonnenschein, 3a ed., London, 1903, p. 29.

(2) G E O R G B R O D N I T Z , Das System des Wirtschaftskrieges. Tübingen, 1920, Mohr-

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9. - La conseguenza immediata del boicottaggio delle merci estere è che la merce già importata rimane accatastata nei magazzini o nelle retrobotteghe dei negozi, come zavorra inutilizzabile, e costituisce quindi un peso morto alla cir-colazione. L'ammontare finanziario del danno che le case importa-trici vengono a risentire dal boicottaggio delle merci estere, è evidentemente in proporzione alla quantità di capitale da esse investito nel bene divenuto invendibile; ma l'en-tità del danno dipende pure da molti altri fattori. Se la vendita della merce avviene soltanto per commissione, le perdite subite dalle ditte importatrici si riducono a poca cosa. Nel caso invece che il boicottaggio si prolunghi, e per con-seguenza rimangano in giacenza provviste di merci boicot-tate precedentemente ordinate e non restituibili, le ditte vengono a trovarsi in grave imbarazzo. Allora i rivenditori difficilmente si sottraggono alla tentazione di smerciar le merci ugualmente (1). La paura dei commercianti di venire fatto segno di boicot-taggio per una crescente intolleranza della clientela fa anche sì che essi spesso cercano di spicciare la vendita più che possono e che a tal uopo ricorrono all'abbassamento dei prezzi, per rendere più accessibile e più gradita al pubblico la vendita stessa (2). Inutile insistere sul fatto che

(1) Cfr. p. 55-56 di questo nostro scritto. ( 2 ) R E M E R , p . 2 2 8 .

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una tale vendita non abbia nulla da vedere col àimping col quale è stata talora scambiata.

10. - Trascorso il secondo periodo del boicottaggio, quello cioè in cui col tacito consenso del pubblico la merce boi-cottata sarà in qualche maniera felicemente smaltita, subentra una terza fase, in cui il movimento diviene veramente pericoloso per la parte boicottata. Ciò si verifica quando cessano le ordinazioni e si inizia nel paese boicottante un processo di concreta eliminazione della merce boicottata, mediante la sua sostituzione con merce fabbricata dalle ditte concorrenti indigene oppure- dalle ditte di terze nazioni -tertiarum gaudentìum (1).

1 1 . - Conviene fissare l'attenzione ancora sopra il fatto già notato, che cioè è bensì vero che il boicottaggio viene intrapreso contro le merci, ma che è anche vero che dietro queste vi sono sempre gli uomini che vanno bersagliati. Ne viene che nella mentalità degli aggressori cose e persone si confondono al punto di costituire quasi un'unità. Tant'è vero che, qualora gli uomini odiati siano invisibili, alla -merce viene perdonata, a lungo andare, la sua provenienza. L'odio personale verso il nemico è più durevole dell'avver-sione rivolta contro le sue merci, appunto per la natura impersonale di queste. Tale fatto corrisponde ad una legge

(1) Cfr. p. 51 ss. del nostro scritto.

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psicologica, alla quale Goethe ha dato espressione, un po' rude, facendo dire al suo Brander nel Faust che .« ogni vero . tedesco beve volentieri i vini francesi, ma non può soffrire' i francesi ». Si può anche comprendere che ancora oggi un gran numero di Francesi, appartenenti a famiglie tuttora in lutto per la perdita dell'unico, figlio alla guerra,. o che abbiano avuto tutti i loro beni e la casa distrutti dai tedeschi, non sappiano vincere la propria ripugnanza e stringere la mano ad un « boche ». Ciò nondimeno accade che queste stesse famiglie, ora che è svanito il primitivo furore, non pensano neppure più da lontano di astenersi, per principio, dall'acquistare merci di provenienza germanica. Il vantaggio della miglior qualità e del buon mercato vince in tal caso anche il più tenace risentimento. Strésemann durante la guerra emise un concetto analogo, dicendo che la Germania poteva restare del tutto tranquilla riguardo alla eventualità di un boicottaggio dei suoi prodotti nel dopo-guerra: « Nessuno ha mai comprato merci tedesche per amore della Germania, - e s c l a m ò - , ma perchè il compratore straniero vi ha trovato il suo tornaconto, in quanto si è persuaso della miglior qualità e del minor costo della merce offertagli; e così sarà anche in avvenire » (i). Alcuni economisti francesi si lasciarono invece cullare da una lusinga del tutto diversa. Nella primavèra del 1918, gli economisti ed uomini politici

( I ) G U S T A V S T R E S E M A N N , Enghnds Wirtscbajtsh'ieg gegen Deutscbland. Stuttgart, Berlin, 1915, Deutsche Verlagsanstalt, p. 36.

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più in vista della Francia si riunivano, in una seduta del Comitè national d'études sociales- et "pòlitiques, per venire in chiaro se si dovesse, dopo la pace conclusa, si o no concedere alla Germania le materie prime per la fabbricazione delle sue

-merci (1). Charles Gide - che durante la guerra pur attaccava a fondo, del resto con grande coraggio e senza essere distur-bato dalla censura, i pregiudizi correnti - opinava che la Germania avrebbe avuto, anche più fortemente, da temere, per lo scambio delle sue- merci, l'opinione pubblica stra-niera dopo la fine delle ostilità. La stessa clausola che egli proponeva d'inserire nel trattato di pace dopo la vittoria, e cioè quella di vietare il boicottaggio delle merci germaniche, non avrebbe il potere di garantire alle merci tedesche l'esito nei paesi dell'intesa. La supposizione fatta da parte ger-manica che esse avrebbero indubbiamente ed in ogni caso riacquistato, dopo la guerra, la clientela mondiale, non te-stimonierebbe altro se non l'assoluta incapacità di pene-trazione psicologica che distingue il popolo tedesco. Non doveva infatti sfuggire ai tedeschi che il tanto sangue innocente belga, francese, inglese, versato per loro colpa

(1) Cfr. L'arme économique et le contróle des matiires premières. Paris, 1918. Stampa privata; cfr. per es,, p. 42, 66; Y V E S G U Y O T , Les conditions économique's de la paix, in Le libre-échange international. Six conférences organisées en 1918 par la Ligue du Ebre-échange. P'aris, 1918, Alcan, pV 169; W I L H E L M - M E ' I L E ' , Welt-und' iólKsm'rt-scbaf,diche Probleme. Wirtschaftsbetrachtmgen im Kriege. Estratto .dallo Jahrbuch des.. Nordostschweizerischen Schiffahrtsverbandes, 1915. Frauenfeld, 1916, p. 61; B E R N -

• H A R D H A R M S , Völkerrechtliche Sicherungen der wirtschafliehen Verkehrsfreiheit in Frie-denszeiten. Jena, 1918, P.-29, Fischer.

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(come quello del capitano Fryatt e di miss Cavell) avrebbe avuto per effetto di imprimere sulla merce di esportazione tedesca un marchio indelebile impedendo lo smercio dei prodotti made in Germany. Questo marchio sarebbe bensì col tempo impallidito, ma solo nel caso che la guerra sortisse per la Germania esito sfavorevole, poiché in caso contrario nulla avrebbe potuto proteggere i tedeschi contro il boicottaggio internazionale. Questa sarebbe forse in grado di assicurare sì alle sue merci il libero ingresso nei territori delle nazioni ex-nemiche, ma nessuno avrebbe poi potuto costringere i consumatori a comperarle (i). Infatti durante la guerra, in alcuni stati dell'intesa, si riteneva che il mezzo più sicuro per punire i tedeschi dopo la conclusione della pace, sarebbe stato il boicottaggio delle loro merci, toccandoli così nel loro punto più vulnerabile. A tale uopo si erano formate in Francia delle leghe di compratori, che facevano assumere ai loro aderenti l'impegno solenne di astenersi per sempre dall'ac-quisto di merci tedesche. In Inghilterra, in un « pamphlet » pubblicato àrAY Anti-German League, venne espresso, in tono minaccioso, la speranza che gli inglesi non avrebbero mai più comprato dai tedeschi giocattoli, pianoforti, sapone ed ottoni, nè che sarebbe d'orinnanzi concepibile che case in-glesi si abbassassero fino ad assumersi rappresentanze di

( I ) C H A R L E S G I D E , ha Quàdruple Entente économique, in «Scientia», Milano, 1917, Voi. X X I , n. 57.

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ditte tedesche (i). Allo stesso scopo sorgevano, in Francia, anche delle associazioni che, oltre all'obbligo anzidetto, richiedevano ai loro associati di astenersi anche da ogni relazione personale coi cittadini dell'impero, e di non im-piegare altresì nelle proprie aziende mano d'opera tedesca, nonché di rinunziare, durante i viaggi negli stessi paesi neutrali, a frequentare alberghi tenuti da tedeschi, o anche solo serviti da personale tedesco. Una di queste associazioni si chiamava Patrie, un altra Souvene^-vous. A questo movimento si unirono anche altre associazioni, già da lungo tempo esistenti e di vasta influenza, come il Touring-Club de France e la Ligue sociale des acheteurs (2). Parimenti, nel 1905,1 boicot-tanti cinesi avevano deciso di mettere a bando ogni loro con-nazionale che mantenesse relazioni con un americano (3). Ci troviamo con ciò di fronte a due concetti diametral-mente opposti di economia commerciale, quello rigidamente economico e quello psicologico. Il primo ritiene che i fattori determinanti l'acquisto stanno solo nella qualità della merce e nel suo costo e che l'odio o la simpatia reci-proca dei popoli vi sono, nei traffici, del tutto assenti. L'altro concetto sostiene il punto di vista opposto.

(1) F R A N Z E U L E N B U R G , Weltwirtschaftliche Möglichkeiten. Berlin, 1916, S. Vischer, P- 32-(2) C A R L E S G I D E , La politique commerciale après la guerre. « Revue d'économie politique», Paris, 1917, p. 6. (3) G I U S E P P E P R A T O , Il protezionismo operaio. L'esclusione del lavoro straniero. Torino, 1910, S.T.E.N., p. 27.

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12. - Durante te guerra mondiale molti- prevedevano -ed in parte tale previsione si è anche avverata nell'imme-diato dopo-guerra - che la fratellanza delle armi avrebbe aperta la via ad una intensificazione delle relazioni commer-ciali tra gli alleati. I francesi, per esempio, si diedero molto da fare per conquistare coi loro prodotti i mercati dell'Im-pero britannico. Il ministro Jean Cruppi contava, per rea-lizzare tale aspirazione, su « un personnel de. diplomatie économique de premier ordre, un débouché colossal et des sympathies réelles » (i). Entrando nel maggio 19x5 nella guerra mondiale, gli italiani nutrivano per molto' tempo la speranza che la grave perdita dei mercati centro-europei, per la esportazione della frutta, che era necessariamente da aspettarsi, avrebbe potuto essere compensata da un corri-' spondente aumento dell'esportazione di frutta in Inghilterra. Si contava sulla buona volontà dell'Inghilterra di rime-diare coi propri acquisti al danno risentito dall'Italia dal divieto di esportazione agrumaria italiana in Germania ed in Austria-Ungheria. Ma il conto, come avvenne del resto, per antonomasia, a molte altre speranze del tutto aleatorie, era stato fatto senza l'oste. Infatti gli aranci ed i limoni italiani si sarebbero potuti affermare sui mercati inglesi, nella quantità voluta, solo a condizione che l'Inghilterra avesse contemporaneamente rinunziato alla importazione di

(1) J . C R U P P I , La France et le marche anglais, nel « Matin », XXXII , n. 11449, 3 luglio 1915.

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questi articoli dai paesi neutri. Viceversa l'importazione della frutta dalla Spagna non solo non fu ostacolata, ma venne fi-nanco favorita, perchè gl'inglesi consideravano l'aumento della esportazione spagnola come un mezzo atto a neutra-lizzare in via commerciale l'influenza politica che i tedeschi esercitavano sui clericali e sui conservatori spagnuoli.. L'im-portazione italiana urtò quindi contro una concorrenza -del tutto .imprevista, e non trovò perciò più il suo tornaconto sui mercati inglesi (i). Quale influenza poi possa esercitare, anche .in tempo di pace, il fattore emotivo sulle relazioni commerciali, è dimostrato da alcune statistiche, per es., da quelle indicanti il peso della esportazione di oggetti d'addobbo per l'albero di Natale dalla Germania in Francia che si è visto notevolemente diminuire negli anni 1910-11 durante il conflitto per il Marocco, calando da quintali 19.601 a quintali 15.448(2).

13. - Teoricamente il punctum controversia? potrebbe anche consistere nella possibilità che i prodotti esteri rechino offesa al gusto, o al pregiudizio, della clientela nazionale. Certo, in concreto, non sempre havvi una tale impressione. Anzi, ognuno sa che, appena la guerra ultimata, le vetrine dei negozi italiani si riempivano - di nuovo della peggior

( 1 ) F I L I P P O M E D A , Relazione generale del movimento delle esportazioni dall'inizio delia-guerra.europea al J J dicembre 1917. Atti parlamentari. Roma, 1917, Tip. della Camera -dei deputati, p. 751. (2) Das Deutschtum im Auslande, 1912, Fase. 1 1 , pag. 553.

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camelote tedesca, senza che a nessuno fosse venuto in mente di levare le braccia al cielo o di chiudere ermeticamente, di fronte a tanti orrori, il borsellino.

14. - Avviene che l'arma del boicottaggio popolare e nazio-nale contro un prodotto straniero venga affilata da un contrasto sociale. Allora il boicottaggio appare come mezzo di una lotta di classe internazionale con cui i consumatori di un paese A procurano di castigare i produttori di un paese B, non perchè abbia fatto cosa ingrata al proprio paese A, ma perchè ha leso gli interessi o i sentimenti della classe operaia del paese B medesimo. Trattasi allora di lotte di simpatia, o di solidarietà, che assumono carattere di grande affinità con certi scioperi, pur essi qualificati di solidarietà e di simpatia, coi quali gli operai di un paese A protestano contro le sofferenze imposte ai loro compagni nel paese B. Nel 1909, in Inghilterra le masse operaie boi-cottavano i prodotti spagnuoli per protestare contro l'ese-cuzione di Francisco Ferrer. Nel 1920, la Federazione sindacale internazionale di Am-sterdam lanciò l'appello agli operai di tutto il mondo di boicottare le merci ungheresi in protesta contro le misure repressive prese dal governo di Horty contro i comunisti magiari (1).

(1) H A R R Y W. L A I D L E R , Boycott, nella Enciclopédia of the Social Sciences. New-York, 1931, Macmillan, voi. II. p. 666.

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1 5 . - Nei paesi anglosassoni pare che talvolta il boicottaggio serva di arma moralista. Nei primi anni del secolo, i fabbricanti di cioccolatto in Inghilterra hanno con molto accanimento perseguitato il cacao portoghese, perchè nelle colonie por-toghesi il lavoro nelle piantagioni di cacao viene eseguito da una mano d'opera non del tutto libera. Nel 1909, la Lega inglese dei boicottanti riuscì anche ad attecchire negli Stati Uniti d'America, ove numerose ditte di cioccolatieri si impegnarono di non servirsi più dello slave chocolade (cioccolatto schiavista) dei portoghesi (1); non si vede però bene, se questo movimento sia stato iniziato proprio per un movente idealista, o piuttosto per un secondo fine di sempre vive invidie concorrenziali da parte di altri pro-duttori della stessa materia prima.

B) BOICOTTAGGIO INDIRETTO

1. - Alla crisi dell'esportazione ' europea ha sommamente contribuito il risveglio nazionale verificatosi nelle colonie ed in altri paesi extra-europei, ed in special modo in India, dove era fortissimo sotto la direzione del mahatma Gandhi. Fino dalla metà del X V I I I secolo, il compratore inglese ci

( 1 ) C H R I S T I A N C O R N É L I S S E N , Traité général de science économique, tome I H : Théorie du capital et du profit, vol II, Paris 1926, Giard, p. 189.

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viene descritto come guidato nei suoi affari da una menta-lità puramente nazionalista. Un competente scrittore francese del tempo opina che' in Inghilterra il commercio gode di una speciale considerazione, e che ivi il patriottismo è così profondamente radicato che ogni cittadino si sente in obbligo di contribuire al progresso industriale della nazione, dando senz'altro la preferenza alle merci inglesi su qualunque merce di provenienza estera, anche se egli fosse pienamente con-vinto della superiorità qualitativa di queste ultime (x). Diversamente accadde presso gli svizzeri. - Nel « Quadro del cantone di Glaro » . del. 1851, si deplorava vivamente che' l'abitante del Glaro, sia che appartenesse alle sfere superiori che a quelle inferiori della cittadinanza, non usasse mai, salvo poche eccezioni, panno fabbricato nel paese, ma preferisse invece di coprire il proprio fabbisogno in Francia, in Inghilterra, in Germania, introducendo in questo modo dall'estero per un valore approssimativo di 130.000 fiorini di stoffe (2). Anche in altre nazioni, per es. in Germania ed in Italia, i gusti particolari di vaste sfere di compratori hanno fatto sì che alcune categorie di merci proprie, almeno fino a ieri, non potevano trovar esito sul mercato interno se non quando i' manufatti dei rispettivi paesi erano prima spediti in Inghilterra, per essere venduti poi, al loro ritorno,

( 1 ) J O S E P H C O S T E R , Lettres d'un citoyen à un magistrat sur /es raisons qui doivent affran-chir le commerce. Paris, 1762, p. 242. (2) Pag. 461, citato da B E R N H A R D B E C K E R , Ein Wort iiber die Fabrikindustrie. Basel, 1838, Schweighauser, p. 103.

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come roba inglese, ai concittadini-(i). L'atteggiamento del compratore di fronte' alla merce estera subisce grandi oscillazioni dovute ai presupposti psicologici diversi. Talora gruppi di consumatoxi hanno formato delle apposite leghe internazionali, aventi per i-scope di cooperare colla potenza del consumo aì miglioramento sociale della classe dei produttori salariati (2). Tali leghe dei compratori fanno -appello -alla coscienza sociale dei consumatoxi per destare in essi la cosiddetta « coscienza morale del compra-

. .. tore».(3) coll'intentò -di indurli à-non .acquistare se non quelle merci che sono fabbricate da stabilimenti che forni-scono ai loro operai le condizioni di lavoro già dalle leghe

( 1 ) F E D E R I C O G A R L A N D A , La Ter^a Italia; Lettere di un'Yankee. Roma, Soc. Laziale, ed.; p. 300. —.Già durante la rinascenza gli italiani y lagnavano della veodi©di

merci che venivano loro offerte come di importazione straniera, mentre erano fabbri-cate in Italia Q A K O B B U R C K H A R D T , Die Kultur der Renaissance in Italien. Leipzig-, 1877, Seemann, II, p. 98). — Nel settembre del ic,i 5, il tribunale eccezionale di guerra tedesco si occupò di un caso interessante. Si trattava dell'ostessa di un villaggio alsaziano la quale aveva venduto alle truppe tedesche sigari portanti una fascetta coi colori francesi e colla marca « Delcassé ». Nel .processo che finì coll'assoluzione del-l'accusata, venne provato che una ditta Martin Brinkmann, di Brema, ancora prima della guerra, aveva lanciato in Alsazia Lorena una grossa partita di sigari colla marca suddetta. (Basler Nachrichten del 18 settembre, 1915, n. 474). (z) Cfr. Ligue sociale d'acheteurs, Congrès tenu à Genève en septembre 1908. Fri-bourg (Suisse), 1909.

(3) « Realizza la morale del compratore colui che si astiene dal leggere quei giornali che, mentre nelle prime pagine abbondano di moralità, nelle pagine delle inserzioni contengono avvisi matrimoniali, offerte di camere private, oppure dei così detti articoli igienici; e nello stesso modo colui che boicotta un dato teatrino perchè le rimunerazioni date alle attrici sono talmente basse, che sono insufficienti al puro necessario per vivere e non possono servire a procurare loro la guardaroba teatrale occorrente» ( F E L I X C L A U S S , Kaufermoral, Jena, 1913, Fischer, p. 1).

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stesse approvate. Per raggiungere tale intento, queste leghe, valendosi di elenchi di fabbriche e di negozi che sottostanno alle condizioni suddette, applicano alle merci, da questi prodotte od offerte in vendita, contrassegni speciali. Se-nonchè, non solo i consumatori, ma anche gli operai pro-duttori medesimi si servono della potenza che dà il consumo ai fini della lotta sociale contro gli imprenditori. L'idea di individuare le merci secondo la loro provenienza è nata in America nel 1869, da parte degli operai addetti alla produ-zione, quando misero in uso il cosiddetto «label», metodo che si basava sulla influenzabilità delle masse, simpatizzanti-o addirittura composte dagli operai medesimi, ai quali l'applicazione delle marche di riconoscimento doveva servire a garantire che le merci erano veramente prodotte da im-prese che si attenevano alle condizioni poste dai sindacati (1). Al tempo stesso il « label », come simbolo di merce prodotta sotto il controllo sindacale da operai qualificati, serviva anche per garantire al compratore la bontà della merce, fa-cendo in tal modo proseliti per il concetto sindacalista del closed shop (2). Queste tendenze ci interessano ai fini del

(1) Amerikareise deutscher Gewerkschaftsführer. Berlin, 1926. Verlag des deutschen Gewerkschaftsbundes, p. 234; F É L I C I E N C H A I A A Y E , Syndicalìsme révolutionnaìre et syndicalisme riformiste. Paris 1909, Alcan. p. 49. (2) Per conseguenza, allo scopo di tenere alta la qualità della merce per mezzo del « label », si ricorre a misure come quelle adottate, secondo le notizie che si hanno in proposito, dai cappellai di Baltimora: « I cappellai provvedono che tutti i membri addetti al collaudo dei cappelli, distruggano tutti i « labels » che si trovano nei cap-pelli rifiutati e destinati ad essere venduti al ribasso » ( E R N E S T R. S P E D D E N , The Trade Union Label. Baltimora, 1910, John Hopkins Press., p. 58).

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problema che ci siamo posti, solo in quanto esse costitui-scono un fenomeno parallelo a quello che si riscontra nel campo delle relazioni internazionali commerciali, lad-dove tuttavia il criterio distintivo, anziché essere orizzontale, come di classe, si presenta verticale e nazionale. Conviene considerare il problema anche sotto il suo aspetto psicologico, tanto più che questo è solo parzialmente congruo a quello economico. Il punto di partenza sta in primo luogo nel pensiero che, almeno dal lato capitalistico privato e da quello capitalistico di categoria, una merce il cui costo di produzione all'interno sia più a buon mercato che all'estero, dovrebbe essere fabbricata solamente all'interno, e che perciò sarebbe un errore persistere a rinunciare ad un ramo di produzione per il solo fatto che la merce proveniente dal corrispondente ramo di produzione all'estero potrebbe venir pagata con un articolo diverso di produzione nazionale di costo ancora inferiore. In realtà una simile soluzione con-traddirebbe ad alcune esperienze fatte durante lo sviluppo economico australiano, che per molto tempo aveva servito da modello all'applicazione delle teorie politiche commerciali di Ricardo. A queste teorie si opponeva anche il principio nazionale nell'economia che prima di ogni altra cosa trova il suo so-stegno nel concetto dello stato belligerante come « self-sup-porting state», e cioè nel giustificato timore che invade gli stati anche in tempo di pace, di non poter affrontare la guerra senza il sostegno dell'autarchia.

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2.-1 mezzi e le vie per informare la clientela circa l'origine nazionale della merce sono adunque o di indole privata o di indole statale. Essi possono consistere: ci) in un segno di riconoscimento da applicarsi alle merci importate dall'estero; b) in un segno di riconoscimento da applicarsi alle merci prodotte dalla industria nazionale stessa, ad a)\ Lo stato inglese, nel periodo 1882-1887, emise dei cosidetti « Merchandise-Market-Acts », mediante i quali veniva imposto agli importatori di applicare una marca di distinzione a tutte le merci di produzione estera messe in vendita sul mercato inglese. a b\. Nell'anno 1900 la « Canadian Manufacture Association » prese la tipica risoluzione di « promuovere un movimento nell'intento di incitare sistematicamente il popolo canadese all'amor patrio, affinchè esso d'ora in avanti dia la prefe-renza ai prodotti locali ». Poco dopo, durante l'esposizione industriale di Toronto, i produttori canadesi applicarono alle merci da loro esposte una etichetta colla dicitura « Made in Canada ». Da ciò ebbe inizio il cosiddetto « Made in Canada Movement » che volle spingere il compratore ad acquistare soltanto le merci fabbricate nel Canadà. Ben presto questo movimento venne contrastato però da un movimento nuovo che, sebbene fosse anch'esso avverso alla merce straniera, volle dare alla parola « straniera » un significato diverso. Infatti, per merce « straniera » doveva

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intendersi soltanto la merce estera nel senso politico della parola, e cioè il manufatto fabbricato in paesi non facenti parte dell'Impero britannico, e quindi quello tedesco, fran-cese, americano, ecc., mentre quello inglese doveva usufruire degli stessi diritti dei prodotti canadesi (i). Questo secondo movimento contrario finì naturalmente col far cadere il privilegio di cui le merci canadesi avrebbero dovuto godere.

Dopo la fine della guerra mondiale e la costituzione dello Stato libero d'Irlanda, gli irlandesi cominciarono a contrasse-gnare le loro merci in lingua gaelica «Deànta in-Eìrenn » (2). La protezione della merce nazionale mediante il sistema della marcatura, indipendentemente dal modo come può essere conseguita, e cioè, o mediante un contrassegno ap-plicato alla merce di provenienza nazionale o invece alla merce di provenienza estera, non è per sè stessa necessaria-mente ricollegata all'aumento del prezzo della merce impor-tata, nè offre un impedimento qualsiasi d'indole tecnica allo smercio dei prodotti esteri. Un tale sistema non mette affatto in moto il congegno delle tariffe doganali, che ha lo scopo di assimilare il prezzo un poco più elevato delle merci nazionali a quello delle merci estere più a buon mercato. Infatti le misure inglesi del « Made in Germany » coincidono,

( 1 ) E D W A R D P O R R I T T , Sixty Years of Protection in Canada, Londra, 1908, Macmillan, p. 423.

(2) J O S E F G R U N Z E L , Der Boycott als handelspolitische Waffe, nel «Weltwirtschaftli-ches Archiv », 1927, p. 237.

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nel tempo, precisamente col periodo liberistico del commercio inglese, durante il quale i prodotti germanici potevano senza alcun impedimento inondare i mercati britannici. La protezione delle merci indigene col sistema del contrassegno consiste piuttosto in un appello psicologico al patriottismo delle masse dei compratori, in virtù del quale si presume di ottenere un risultato favorevole di indole economico-poli-tica per la produzione nazionale. Tutto sommato i due metodi sopra indicati possono sì talvolta raggiungere lo scopo voluto, ma non è detto che 10 raggiungano con certezza, e ciò specialmente per due ragioni. Prima di tutto la presenza di influenze d'ordine psicologico al momento dell'acquisto può essere conside-rata soltanto come probabile, ma non può venir dimostrata: la statistica tace intorno ai vari moventi che inducono a comperare (i). In secondo luogo è poi da osservare che tanto il sistema di contrassegnare le merci nazionali, quanto quello di con-trassegnare le merci estere, possono in certi casi servire anche di reclame per la produzione straniera, inducendo 11 compratore a desistere dall'acquisto dei prodotti nazionali. Giacché il pubblico messo di fronte ad una merce di origine

(i) Si può utilizzare anche un altro metodo di ridarne, e cioè la ridarne nazionale per mezzo del cinematografo. Nel 1930, in Inghilterra, Stanley Baldwin ha dato alla luce un film parlato col titolo « Buy British! » che deve servire a ravvivare lo smercio intemo della produzione nazionale industriale. {The Daily Telegraph, n. 23319, del 3 febbraio 19130).

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nazionale, ma scadente, e ad una estera, ma eccellente, sarà sempre tentato di decidersi per quella estera. Il legislatore, come pure anche l'iniziatore privato, si fonda dunque sopra un calcolo di probabilità, la cui base non è sempre ed in ogni caso chiara e sicura; egli quindi ne sop-porta il rischio. Ond'è che può anche verificarsi che la merce estera sia talmente buona, che il contrassegno ufficiale impostole ad altro non valga che ad aumentare vieppiù la buona reputazione, e quindi ad accrescere la sua forza di esito. Si è infatti constatato che, in Inghilterra, il metodo di contrassegnare la merce col « Made in Germany » o « Made in France » si è spesso convertito in senso opposto a quello originario. Il motto di scherno « cheap and nasty », a buon mercato ma cattivo, creato sino dall'esposizione di Filadelfia del 1876 per squalificare le merci germaniche, pare si sia trasformato, in maniera del tutto inattesa, per gli effetti della « Market-Act-Legislation » inglese, nel suo contrario (1). Vi è la possibilità che, distinguendo tra la merce nazionale e quella importata, si svegli nel produttore relativo un senso nuovo di responsabilità patriottica, in guisa da incitare il suo amor proprio a fabbricare mercanzia colla maggior perfezione possibile. Contrassegni come « Made in Ger-many » o « Made in Canada » avrebbero in tal caso prodotto una conseguenza analoga a quella che viene attribuita ai

( 1 ) H E R M A N N S C H U M A C H E R , Deutschlands Stellung in der Weltwirtschaft. Leipzig, 1915 Teubner, p. 137,

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marchi di protezione industriale. Alcuni rappresentanti della scuola liberista inglese sostengono che il marchio di prote-zione industriale rappresenta una necessità per salvaguar-dare l'indipendenza dell'impresa e dar rilievo alla personalità dell'imprenditore. Mac Culloch dice: « non esiste nulla di più efficace per assicurare un lavoro ottimo ed una condotta onorevole, quanto di rendere tutte le persone direttamente responsabili delle loro azioni (i) ». Queste parole esprimono qualcosa di più che mera filosofia spicciola manchesteriana. Contro le tendenze che si manifestano nelle masse dei com-pratori, oppure negli organi statali che li rappresentano, di rendere notoria l'origine della merce, allo scopo di orientare la propria clientela in un senso o in un altro, è stato obbiettato da parte liberista che tali tendenze sorpassano l'obbiettivo dello scambio economico, essendo immemori della legge che il compratore si decide ad acquistare o a rinunziare, secondo la sola propria convenienza (2).

(X) J . R . M A C C U L L O C H , Principles of Politicai Economy; 5 A ed., Edinburgh, 1 3 6 4 ,

Black, p. 250. (2) Y V E S G U Y O T , che, nel Journal des économistes, Paris, 1 5 novembre 1904, afferma che lo stato non avrebbe alcun diritto d'interloquire in questo dilemma puramente economico.

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2. Analisi delle possibilità di successo del boicottaggio

Le probabilità di successo del boicottaggio sono legate a numerosi fattori. I punti di interdipendenza tra l'azione del boicottaggio e la sua riuscita sono i seguenti: a) elementi obbiettivi (economici): il carattere del prodotto boicottato, il genere del mercato, la sua estensione, l'elasticità della domanda, il grado d'urgenza del prodotto per l'uso, la prontezza colla quale il bene boicottato possa venire rim-piazzato da altri (surrogati). b) elementi soggettivi (psicologico-politici): il sentimento di solidarietà e di disciplina dei boicottanti,

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il fervore patriottico, a) delle masse boicottanti, b) della parte boicottata: la resistenza dello stato, la formazione di élìtes, il fenomeno razzista, gli esempi asiatici (il boicottaggio tipo).

A) ELEMENTI OBBIETTIVI (.ECONOMICI)

H a w i dei criteri di boicottabilità. Tra questi criteri molta importanza viene assunta

1. - dall'identificabilità riguardo alla provenienza delle merci. Quindi sono boicottabili le stoffe, gli oggetti artistici, i fiammiferi; mentre il carbone, la carta, il cemento, per la loro natura facilmente si sottraggono alla identificabilità, e per-tanto più facilmente sfuggono al boicottaggio (i).

2. - Di grande momento è anche il grado di conservabilità delle merci che dipende dalla loro maggiore o minore de-teriorabilità e quindi dalla maggiore o minore necessità di essere smerciate immediatamente sotto pena di una forte svalutazione; la conservabilità è un fattore capitale per la possibilità di riuscita del boicottaggio.

( I ) R E M E R , p. 226-7, 229.

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3. - Havvi anche una possibilità più o meno grande di col-pire le merci. E stato asserito che, nel caso che trattasi di boicottaggio organizzato dalla classe operaia nelle lotte di classe, il boi-cottaggio stesso non possa avere probabilità di riuscita che ove sia rivolto contro articoli di largo consumo e non contro articoli di lusso. Tale affermazione risponde al vero, perchè è conforme all'indole della vasta clientela. Una delle diffi-coltà per il boicottaggio di merce di prima necessità consiste però giust'appunto nell'impossibilità di procedere radical-mente. Può capitare che il consumatore non possa fare a meno della merce boicottata, per esempio quando si tratta di abiti confezionati di ditte monopolistiche. In tal caso si procede per forza al boicottaggio parziale, boicottando solo una parte (e quale?) dei venditori, o boicottandoli a turno, tattica che comporta solo una scarsa efficacia gene-rale (1). Nei movimenti di boicottaggio internazionali poi, quello che si potrebbe chiamare vulnerabilità della merce riguarda talora sì tipi di merce di alto valore (come, a mo' d'esempio, pianoforti) e che interessano quindi solo una clientela assai limitata. Ma in tale limitatezza sta anche circoscritta la limitatezza della pressione che tali generi di boicottaggio possono esercitare sulla politica estera.

( 1 ) A D O L F W E B E R , Der Kampf zwischen Kapital und Arbeit. Versuch einer systemati-schen Darstellung mit besonderer Berücksichtigung der gegenwärtigen Verhältnisse. Tübin-gen, 1910, Mohr, p. 477.

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4. - Le probabilità del successo sono pure legate alla possi-bilità, 0 meno, di rimpiattare le merci boicottate con pro-dotti di ugual valore, o anche con surrogati, del proprio paese (1), o di terzi. Il rincaro che durante un ulteriore periodo del boicottaggio talora si verifica nel prezzo di acquisto del genere al quale appartengono le merci boicot-tate, deriva dal fatto che in dati casi la concorrenza estera può sì adempiere il suo compito di sostituire la merce boi-cottata, ma solo lentamente e con spese di trasporto spesso più elevate a causa della cresciuta distanza fra il paese d'origine ed il paese di consumo (2).

(1) Le industrie straniere boicottate, prese nel loro assieme, possono ricorrere, per riparare ai danni provenienti dal boicottaggio al loro bilancio commerciale complessivo, all'uso dei contingentamenti ed innanzitutto al tentativo di contrat-tacco, rendendo inutili le importazioni dal paese boicottante, per mezzo della creazione, nell'interno, di forti rami di surrogati. Nel periodo del tacito boicot-taggio estero contro i prodotti hitleriani, la Germania ha manifestato a più riprese, per la bocca di alcuni suoi rappresentanti più in vista, come il ministro von Neurath e lo stesso Hitler, il suo fermo proposito in riguardo alla massima utilizzazione dei surrogati chimici atti a rendere inutili le importazioni estere. Tale propaganda, tipicamente autarchica, andrebbe fatta collo stesso carattere e colla stessa intensità di quella che si usò all'epoca della guerra mondiale. Le norme di questo contro-boicottaggio avrebbero da essere le seguenti:

i° Risparmiare il più possibile materie prime ricorrendo a nuove adatte misure organizzative nelle fabbriche; 20 Risparmiare principalmente le materie prime straniere, delle quali potrebbe finire l'importazione, ricorrendo ad espedienti tecnici nella fabbricazione dei prodotti. 30 Utilizzare le nuove invenzioni per emanciparsi il più possibile dalla fornitura estera. ( 2 ) G E O R G G O T H E I N , Der internationale Warenboycott, 1. c., p. 109.

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Conviene sostar qui a parlare della parte spesso cospicua fatta negli ostracismi economico-politici, dai tertiìsgaudentìbus. Nel blocco continentale napoleonico che fu una specie di boicottaggio ufficiale e legale (e quindi non boicottaggio nel senso genuino del termine), il soppiantamento, su terzi mercati, del concorrente da parte di un altro, egualmente straniero, fu del tutto palese. Fin dal giugno 1806, « sotto il pretesto di respingere le merci inglesi si cominciò ad accordare l'ingresso esclusivo nel regno d'Italia ai velluti di cotone, alle stoffe e panni di lana, di cotone e di pelo, ad ogni sorta di piqué, di basini, di nanchini, di mussoline e molte altre manifatture di Francia » (3). Anche di esempi tolti dalla storia economica più moderna sono piene le fosse. Ne citeremo due, della recentissima storia economica dell'Asia. Tra i generi d'importazione giapponesi maggiormente col-piti dal boicottaggio cinese, la seta artificiale occupa un posto molto elevato. Però di questa neutralizzazione del concorrente l'industria cinese non sa ricavare che ben magri profitti, difettando, tuttora, in Cina le premesse per il sorgere di una industria di seta artificiale nazionale. Nè la clientela cinese è in grado di far a meno della seta artificiale, le stoffe fatte colla bellissima ed abbondante seta naturale essendo ancora

-(3) G I U S E P P E P E C C H I O , Saggio storico sull'amministrazione finanziera dell'ex-Regno d'Italia dal 1802 al 1S14. Torino, 1852, Tip. Econ., 3 A ed., p. 30. - Cfr. anche C A R L O

C A T T A N E O , Alcuni scritti, voi. Ili, Milano, 1847, per Borroni e Scotti, p. 213.

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troppo care e troppo... durature (per quelle stoffe si conta su una loro durata media di dieci anni!), mentre la donna cinese, non meno corriva al cambiamento di moda delle sue consorelle europee, preferisce servirsi piuttosto della seta arti-ficiale, meno costosa e anzitutto più addatta agli usi di moda. Così si spiega che gli effetti del boicottaggio cinese contro le merci giapponesi vanno, in questo ramo, a tutto vantaggio delle importazioni americane ed europee (i), e forse anche italiane. In India, nel periodo della lotta tra le cotonate indìgene e quelle britanniche (2), sembrò per un certo tempo (e qual-cuno ritiene che tuttora perduri) che, fra i due litiganti, il Giappone facesse la parte del fortunato terzo rivale. Già nell'anno 1927, quando i prodotti fabbricati di cotone importati dalla Gran Bretagna in India costituivano ancora i tre quarti delle importazioni totali di questi generi (3), non meno del 54 % dell'esportazione delle cotonate giappo-nesi prese, oltrecchè - come abbiamo visto - la via della Cina, quella delle Indie, e più ancora di queste che di quella. Al vero dire, il boicottaggio indiano dei vestiti stranieri doveva indifferentemente colpire tutti i paesi importatori; ciononostante, le importazioni dal Giappone continuavano ad arrivare e ad essere vendute. Per rivestire le masse mi-serabili indiane, Osaka gareggiava con Manchester. Questo

( 1 ) R E M E R , p . 2 3 6 .

(2) Cfr. p. 71 ss. di questo nostro scritto. (3) Cfr. p. 72 di questo nostro scritto.

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fenomeno era (ed è) dovuto al basso prezzo della mano d'opera giapponese, ma anche alla superiore organizzazione commerciale del Giappone di fronte all'Inghilterra. Senonchè, il nazionalismo economico degli indiani era ben lungi dall'appagarsi di una simile soluzione. Sebbene taluni scrit-tori indiani si dimostrino propensi a che venga data la preferenza, in caso di necessità, al Giappone asiatico anziché all'Inghilterra europea; il mahatma Gandhi non ammette alcu-na differenza di principio nella scelta da farsi tra le diverse importazioni estere. Oltre a ciò credevasi che le fabbriche indiane fossero perfettamente in grado di vincere la concor-renza giapponese, sia perchè la mercede corrisposta alla mano d'opera in India è anche minore che nel Giappone, sia per il minor costo della materia prima e di quella ausiliaria del combustibile. Si riteneva quindi per molto tempo che le fabbriche indiane potessero produrre dei manufatti ad un prezzo di costo anche meno caro di quello che possono offrire i giapponesi, che non hanno affatto cotone greggio e posseggono solo pochissima quantità di carbone (i). Tuttavia, a dispetto delle misure di precauzione prese, i vincitori sui mercati della vasta penisola pare siano finora lo stesso i giapponesi, il cui dumping si è dimostrato essere in questi ultimi tempi, per alcuni rami almeno, pressoché irresistibile. Conviene anzi aggiungere, a tale proposito, che la minaccia giapponese ha avuto per effetto di mitigare

(i) Cfr. E T I E N N E D E N N E R Y , Foules d'Asie, Paris, 1930, Colin, p. 24 ss.

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alquanto l'antagonismo preesistente e di avvicinare, fino ad un certo punto, gli indiani agli inglesi.

5. - Si ha notizia di una forma di boicottaggio singolare, avvenuto nella Indocina francese. Quivi la popolazione annamita di una data località tentò di boicottare gli empori cinesi, stabilitisi da poco tempo sul posto, organizzando a tal uopo negozi e banche propri. Senonchè, dinanzi alla decisione presa dai cinesi di reclamare, come rappresaglia, il pagamento immediato di tutti i loro crediti in scadenza, gli annamiti dovettero desistere dal boicottaggio. Il boi-cottaggio non è arma facile da maneggiarsi. Presuppone tatto e tattica.

6. - Altri elementi ancora possono concorrere all'efficacia del boicottaggio. Uno di questi risiede nella sua ufficiosità immanente, o piuttosto nella inesistenza di ogni coercizione statale. Nell'atto dello scambio, il compratore è sempre la parte più libera, in quanto l'uomo può essere anche costretto qualche volta a vendere, ma mai a comprare. Ecco perchè il movimento boicottistico è un affare privato; una specie di auto-aiuto, più o meno bene organizzato. Certo il boicottaggio può anche assumere iniziative e forme statali, allorquando lo stato stesso s'incarica della sua fun-zione. Senonchè, in virtù di quella divisione terminologica di lavoro che contraddistingue, a giusto titolo, la nostra

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scienza, conoscitiva, ii boicottaggio si chiama allora pro-tezionismo proibitivo o addirittura divieto d'importazione.

B) ELEMENTI SOGGETTIVI (.PSICOLOGICO-PO-LITICI).

Sotto l'aspetto psicologico-politico, le possibilità di successo del boicottaggio sono subordinate ancora a tutta una serie di altri elementi di prim'ordine:

i. - All'intransigenza ed alla disciplina delle masse sulle quali poggi il boicottaggio. Vi è a priori una grande diffi-coltà, che consiste nell'organizzare e mantenere il controllo necessario onde facilitare la rigida e disciplinata osservanza del boicottaggio. a) H a w i innanzitutto la già menzionata resistenza passiva che si manifesta nel seno del commercio medesimo. Nasce il camouflage. I venditori e commercianti nazionali, preoccupati dei danni sovrastanti, cercano di rendere irriconoscibile il luogo di origine, allo scopo di trovare ad ogni costo il com-pratore. Il mezzo normalmente usato per occultare l'origine della merce estera boicottata è quello della sua snazionaliz-zazione. Così, ad esempio, in Germania, dopo l'entrata del-l'Italia nella guerra mondiale, gli aranci italiani, diventati

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aranci ostilei, nemici, venivano spesso spacciati per aranci spagnoli. Nel blocco continentale, non solo faceva strage il contrab-bando (i), questo fratello gemello di ogni misura restrittiva negli scambi dei beni, ma prendeva il sopravvento anche l'abitudine, pur di farla fuori, di vendere la merce britan-nica boicottata sotto le mentite spoglie di merce indigena o di terza provenienza (2). In alcune pagine della voluminosa storia del boicottaggio internazionale moderno, riscontriamo dei casi piuttosto fre-quenti in cui il venditore indigeno, pur di dare alla merce estera un'apparenza nazionale, vi applicò dei marchi falsi. In occasione del boicottaggio delle birre ceche in Germania, avvenuto prima della guerra, accadde che ristoratori te-deschi vendevano scorte di questa birra, offrendola ai clienti con bicchieri, ai quali avevano attaccato dei nastrini coi colori nazionali tedeschi. Ai tessuti di cotone italiani boi-cottati in Grecia (3) vennero dai negozianti greci apposte delle etichette colla immagine di Pallade Atene. Il pubblico è tanto più ligio ad essere ingannato, in quanto la maggior parte dei compratori del paese boicottante non desidera

( 1 ) A L E X A N D E R VON P E E Z und P A U L D E H N , Englanis Vorherrschaft aus der Zeìt der Kontinentalsperre. Lispia, 1912, Humblot, p. 53, 165, 241, 277, 288, 250, 253, 324 ss.; G I U S E P P E P E C C H I O , Saggio storico sull'amministrazione finanziera dell'ex-Regno d'Italia, p. 260. ( 2 ) P E E Z , p . 2 6 0 .

( 3 ) In protesta contro la presa in possesso del Dodecanneso ( 1 9 1 1 ) .

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di meglio che di lasciarsi fare; e ciò per poter continuare nei suoi consumi abituali senza correre il rischio di esporsi alla taccia di mancanza di patriottismo o di solidarietà na-zionale. Passato che sia perciò il primo momento della mas-sima esaltazione patriottica, alle masse dei compratori del paese boicottante si addice spesso il proverbio romano: mundus vult decipi. Durante il boicottaggio organizzato nel 1897 in Danimarca contro la Germania, un negoziante di scarpe di Copenaghen annunziò alla sua clientela che, allo scopo di disfarsi della merce tedesca accumulata nei suoi magazzini, la metteva in liquidazione a prezzi molto bassi. Il pubblico non mancò di far fronte al patriottico appello e fece larghi acquisti, compiacendosi ingenuamente nel pensiero che portando scarpe tedesche avrebbe calpestato in certo qual modo, in segno di disprezzo, delle suole germaniche; intanto il furbo negoziante fece nuove ordinazioni di scarpe a ditte te-desche! (1). b) Alla disonestà dei commercianti aggiungasi, adunque, la svogliatezza di molte masse. È prezzo dell'opera ac-cennare brevemente a quanto venne considerato, quale presupposto del boicottaggio classista, dalle leghe operaie italiane. Nel congresso tenuto dalla Federazione nazionale dei contadini a Reggio Emilia nel 1907, venne votato un ordine del giorno nel quale lo sciopero e il boicottaggio

( 1 ) P A U L D E H N , Verrufe. Leipzig, 1911 , Duncker, p. 51.

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vennero dichiarati « la forma più tipica per mantenere più salde e compatte le file dell'organizzazione ». Ammettevasi tuttavia che l'uno e l'altro sono « mezzi di lotta che possono, se praticati inopportunamente, o con soverchia leggerezza, ritorcersi a danno di chi li usa ». Comunque, un tale movimento andrebbe iniziato da una lega « solo se prima ne abbia dato comunicazione ed otte-nuto l'approvazione dalla Federazione provinciale cui ade-risce, la quale, a sua volta, dovrà informare la Federazione nazionale, perchè questa possa intervenire con cognizione, per provocarne anche il rinvio a tempo più opportuno quando ragioni speciali e motivate dovessero consigliarlo »; in secondo luogo, per impedire che avvengano facili con-flitti fra lavoratori. Entro queste premesse però la regola generale consisterebbe nel non praticare il boicottaggio che nei soli centri ad alta percentuale di operai organizzati. « Per costringere gli imprenditori a non negare il loro ri-conoscimento alle organizzazioni operaie, può essere pro-clamato con efficacia, e in sostituzione di uno sciopero, il boicottaggio, massime nei periodi, in cui le condizioni del lavoro non richiedano la mano d'opera d'urgenza » (x). Il boicottaggio consisterebbe con ciò nel fare sì che le fabbriche boicottate non trovino più la mano d'opera occorrente.

(i) F A U S T O P A G L I A R I , L'organizzazione operaia in Europa. 2a ed., Milano, 1907, Soc. Umanitaria, p. 418.

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Siccome l'organo essenziale che possa esercitare il controllo è costituito dalle masse medesime, per loro natura incon-trollabili, il controllo risulta spesso inefficace. Dove ha luogo il boicottaggio, si presentano subito quelle manche-volezze proprie alle azioni di massa, che ben conosciamo dall'analisi della psicologia collettiva, e cioè: scarsa coordi-nazione, saltuarietà, malvagità, atti di tradimento, quali si verificano durante le dimostrazioni e coi saccheggi ed altri eccessi (i).

Una delle cause che condusse al fallimento del blocco con-tinentale si rintraccia nelle somme difficoltà contro le quali s'infrange la maggior parte dei boicottaggi: la scarsa soli-darietà delle masse dei consumatori che agevola, se non favorisce addirittura (come abbiamo visto) ogni genere di sotterfugi mercantili. Cade qui pure in acconcio ricordare l'esempio della lotta sostenuta con enorme accanimento ed inusitato entusiasmo dalle organizzazioni sindacali e socialiste a Berlino nel 1894, nel movimento di boicottaggio intrapreso contro la birreria Rixdorf che aveva licenziato degli operai sindacati. L'azione andò fallita anche perchè gli spacci di birra e le osterie continuavano a vendere, sotto mentite spoglie, la birra boicottata, mentre i boicottanti, da bravi tracannatoti tedeschi che erano, si erano rifiutati dall'astenersi, come pure,

( 1 ) Cfr. K E H M e L U D W I G E L S T E R , articolo Boycott, nel «Wörterbuch der Volks-wirtschaft», Jena, 1898, Fischer, vol. I, p. 445.

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per far davvero tabula rasa, avrebbero invece dovuto fare, di qualunque birra, anche non boicottata (i).

2. - La massa dei boicottanti agevola la sua azione affidandone il controllo a delle minoranze organizzate e combattive. Nella vecchia Turchia, gli « hammell » (corporazioni dei facchini dei porti), pur essendo frammischiati ad elementi greci (alquanto intimiditi dai loro colleghi turchi), avevano ottenuto d'esercitare per proprio conto il controllo delle merci estere, rendendo in tal modo preziosi servigi alla causa nazionale boicottistica turca. Talora, i boicottaggi cinesi furono ideati ed organizzati da mercanti e negozianti cinesi, parte per interesse, parte per spirito patriottico. Così avvenne nel 1905 (2). Il più delle volte però, nei boicottaggi, massime in quelli del 1919-21, la direzione morale, e talora anche effettiva era invece nelle mani degli studenti universitari, incitatori magnifici e con-trollori terribili, sempre invasi da un grande spirito patrio.

3. - L'empirica storica dimostra pure che, indubbiamente, tra le masse degli scioperanti o boicottanti operai, le donne, per poco sieno accese da sacro fuoco, costituiscono un'ele-mento di gran lunga più passionale e solidale, e quindi

( 1 ) E D U A R D B E R N S T E I N , Geschichte der Berliner Arbeiterbewegung. Berlino, 1 9 1 0 ,

Vorwärts, vol. III, p. 324 ss. ( 2 ) R E M E R , p . 2 3 8 .

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più temibile, che gli uomini (i). Le esperienze fatte colle masse boicottanti nazionaliste nei paesi asiatici, e massime in India, riconfermano appieno quest'assioma. Riguardo alle modalità del movimento boicottistico in-diano, per es., una corrispondenza francese da Bombay ci informa che nei negozi e nei ba^ars si vedono delle donne indiane, appartenenti generalmente alle classi superiori della cittadinanza, stare in piedi od accovacciate vicino ai banchi di vendita, a guisa di sentinelle alle mercanzie. Queste donne coraggiose, spesso esposte a tutti i rigori della polizia, compiono un'opera, sotto più di un aspetto paragonabile ai tentativi che gli unionisti inglesi in isciopero usano fare mediante piantonamenti di persone di fiducia davanti alle porte delle fabbriche, per persuadere i krumiri di non an-dare a lavorare rompendo la consegna (il cosidetto picketing). Le donne indiane si sono impegnate per iscritto di badare che non vengano vendute altre che merci indigene, ed a tal uopo sono state aggregate, come collaboratrici volontarie, al per-sonale di negozio. Esse indossano una uniforme di color rosso fiammante e portano attaccato alla spalla un distintivo col tricolore indiano. Quando il compratore entra nel ne-gozio, gli sorridono gentilmente, e gli offrono le rozze stoffe indiane che distendono davanti a lui. Ma se egli non si decide per la compera di quelle stoffe e chiede di vederne delle altre, non indigene, allora gli dicono che se ne può

( I ) A D O L F W E B E R , p . 4 7 8 .

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andare. Davanti alle botteghe che vendono merci inglesi, l'ostruzionismo si verifica in modo anche più convincente. Centinaia di dimostranti, col berretto bianco in testa, stanno stesi sul marciapiede in modo da formare come una siepe (i).

4. - Sotto l'aspetto politico, la base del boicottaggio è, più che economica, psicologica (2). Dal confronto tra le energie e le possibilità di successo dei boicottaggi d'ordine sociale (come mezzo della lotta di classe) con quelle d'ordine nazionale, vale a dire dal confronto tra l'astensione da un prodotto padronale, o capitalistico e l'astensione da un prodotto straniero, scaturisce l'assoluta superiorità efficiente di que-st'ultima categoria, provvista qual'è di una ben più potente forza dinamica o, come dicono gli Inglesi, di un stronger psjcho'logìcal appeal (3). Ben inteso, allorquando alla passione nazionale si unisce anche la passione economica (come nel caso indiano) (4), l'intensità, che da essa si sprigiona, riesce raddoppiata. Per chi bene guardi è però innegabile che un genuino patriottismo non si piega davanti all'economia, e che anzi riesce financo a piegare l'economia stessa alla sua volontà,

(1) « Petit Parisien » del io luglio 1930. (2) Giacché è evidente che il boicottaggio è un movimento sociale, per cui i boicot-tanti si sentono come rappresentanti di una causa comune ( L E O P O L D VON W I E S E ,

Allgemeine Sociologie, voi. I, Monaco, 1921, Humblot, p. 238). ( 3 ) H . L A I D L E R , p . 6 6 6 .

(4) Cfr. p. 71 ss. di questo nostro scritto.

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facendola suddita o partecipe delle proprie passioni. Quando prevalgono ragioni d'interesse nazionale, la legge economica del maggior utile perde di consistenza. Vediamo allora che l'aumento dei prezzi, che è spesso la naturale conseguenza del boicottaggio delle merci estere non solo è tollerato dal compratore, ma che questi vi si assoggetta come ad un dovere da compiere, beninteso solo allorché sia convinto che il suo sacrificio giovi a nuocere alla nazione nemica (1).

5. - La possibilità di successo del boicottaggio rimane però ancora suscettibile di seria discussione politica. Cade qui in acconcio un'altra osservazione che ha per punto di partenza il patriottismo dei boicottati e la forza di resistenza dello stato estero, che possono fare la pariglia all'ardore patrio delle masse boicottanti. Il boicottaggio è in grado di intaccare talmente gli interessi economici degli esportatori stranieri, da determinarli ad eser-citare una pressione sul governo del proprio paese, affinchè questi agisca nel senso voluto da coloro che esercitano il boicottaggio. In occasione della dichiarazione di boicot-taggio contro le merci germaniche, avvenuto in Danimarca nel 1897, come reazione contro l'espulsione di agitatori danesi dallo Schleswig imposto dalle autorità prussiane, i commer-cianti tedeschi colpiti perdettero le staffe. Il Konfektionär,

( 1 ) R I C H A R D S T R I G L , Die ökonomischen Kategorien und die Organisation der Wirtschaft, Jena, 1923, Fischer, p. 146,

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organo dei sarti tedeschi, giunse persino a chiedere che il proprio governo annullasse il decreto di espulsione (i). Durante la guerra anglo-boera, essendosi formata nelle colonie inglesi, in seguito al famoso telegramma di Gu-glielmo II al presidente Krueger del Transvaal (1897), un'atmosfera boicottistica anti-germanica, gli esportatori di merci tedesche, fra cui occupavano il primo posto gli espor-tatori di mantelli, per la massima parte ebrei di Berlino, subivano un danno gravissimo. Di tale danno essi, nelle loro alte lagnanze, resero responsabile la stampa tedesca, per la campagna da essa sostenuta nella guerra medesima a favore dei boeri contro l'Inghilterra (1). Può quindi nascere, da un boicottaggio ben organizzato, addirittura una specie di alleanza tra ì boicottanti ed i boicottati contro il governo di quest'ultimi, come vero responsabile del boicottaggio medesimo. Quando un movimento boicottistico diretto contro le sfere straniere economiche, tende ad imporsi ad un governo centrale veramente forte, non è facile tuttavia che esso possa conseguire gli scopi che gli organizzatori del movimento si prefiggono. Norman Angeli, a sostegno della sua tesi sulla inutilità economica di adoperare mezzi bellici nei rapporti internazionali, mette in rilievo il fatto che gli austriaci, mentre non si lasciarono per nulla inti-morire dalla minaccia di guerra da parte della Turchia,

( 1 ) D E H N , I.e., p . 5 1 .

( 2 ) D E H N , /. c., p . 4 9 .

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per l'annessione della Bosnia-Erzegovina (1908), rimasero invece in preda alla più viva costernazione, allorquando i turchi iniziarono un boicottaggio commerciale da eser-citarsi su vasta scala contro le loro merci e le loro navi mercantili (1). Angeli dimentica però che la costernazione degli ambienti commerciali viennesi non indusse affatto le autorità austriache a fare sgombrare dalle loro truppe il territorio occupato. Lord Palmerston, in un discorso tenuto il 15 novembre 1856 alla Camera di commercio di Liverpool, dichiarò che la storia dei popoli non offre alcun esempio che un governo si sia lasciato indurre ad un cambiamento del proprio indi-rizzo politico - ad es., a concludere una pace poco favore-vole - in considerazione dei danni economici subiti dai privati suoi cittadini (2).

6. - Secondo la storia dell'ultimo trentennio, sembra che, per condurre il boicottaggio verso un risultato vittorioso, le masse asiatiche siano dotate di ben più alti presupposti psicologici delle masse europee. Tali presupposti sono da sincerarsi nel più forte loro sviluppo del crowd sentimenti dell'esprit grégaire (3), che dipende dall'intenso fanatismo e dalla maggior capacità di stringere e mantenere impegni

( 1 ) N O R M A N A N G E L L , Die grosse Täuschung. Leipzig, 1910, Dietrich, p. 2 2 1 .

(2) A . P. S T É F É R I A D È S , Réflexions sur le boycottage en droit international, Paris, 1912, Rousseau, p. 29 (in riguardo alla Cina) e p. 39 (in riguardo alla Turchia). ( 3 ) S T É F É R I A D È S , p . 2 9 .

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che contraddistinguono l'asiatico dall'europeo. A questo riguardo, le varie campagne boicottistiche cinesi contro il commercio americano, inglese e giapponese sono le meglio riuscite che si conoscano. La disciplina di cui hanno dato prova le masse indigene, facendo passare in seconda linea gli interessi economici privati sia dei commercianti che dei consumatori, caratterizzano il boicottaggio cinese come « boicottaggio classico » (i). Nella metà di aprile del 1930, attenendosi alle prescrizioni del programma stabilito per il boicottaggio delle merci straniere, in molte città dell'India, - come a Madras, Cal-cutta, Bellary ed altre - furono fatti nelle strade dei grandi mucchi di stoffe estere, a guisa di piramidi, ai quali venne poi dato fuoco. A Bombay, gli impiegati indiani della borsa incitarono tutti i loro colleghi ed i mercanti delle altre città dell'impero ad astenersi rigorosamente dall'acquistare e consumare merci straniere, ed allestirono nei locali stessi della borsa una fiera campionaria fatta esclusivamente di prodotti nazionali (2). A Bombay il boicottaggio degli indiani si estese alle stesse manifestazioni culturali e sportive degli inglesi, e fu con-siderato indegno per un indiano di assistervi o di aderirvi in qualsiasi maniera. Nè va dimenticato che lo stesso sum-menzionato Congresso nazionale indiano aveva interdetto, fin

( 1 ) E T I E N N E D E N N E R Y , Foules d'Asie, p. 154. (2) «Petit Parisien» del 10 luglio 1930.

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dal 1905, per gli indiani patrioti, le scuole e i colleges inglesi. Un dato giorno nel 1930, a Bombay, i nazionalisti indiani si recarono in gruppi di sessanta maschi e trenta femmine alla stazione principale della Peninsular Railway, allo scopo di indurre la folla dei gitanti indiani a prender parte alle mani-festazioni sportive indigene, rinunciando invece alle corse a cavallo indette dagli inglesi a Puna. A tal uopo intimarono ai loro connazionali di non prendere i biglietti per questa località, e di restituire agli sportelli quelli che avessero già presi. A Rangun gli impiegati della posta, mentre esegui-vano lo spoglio della corrispondenza, applicavano sulle buste delle marche speciali col ritratto di Gandhi, le quali contenevano un appello incitante al boicottaggio delle merci inglesi. In Cina, il primo boicottaggio delle merci americane, nel 1905, fu proclamato in seguito agli oltraggi umilianti subiti, sia pur solo da parte di privati e a titolo privato, ma sempre in qualità di appartenenti ad un gruppo etnico, da alcuni cinesi recatisi per diporto all'esposizione di San Luigi nella Luisiana, e non fu che l'esplosione di un giusto risentimento contro un affronto nazionale. Il io maggio, in un comizio tenutosi a Sciangai, una potente folla cinese decise entu-siasticamente di ricorrere a tale misura di rappresaglia. L'ordine fu immediatamente trasmesso a tutti i porti del-l'impero, e subito tutti i negozi che vendevano merce americana furono messi all'indice, mentre i negozianti revo-carono le ordinazioni fatte in America, tutti i facchini si rifiu-

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tarono di scaricar le navi americane. I giornali non pubbli-cavano più le inserzioni per conto di ditte americane, nei teatri gli attori predicavano la lotta contro il nemico. A Canton, il boicottaggio era, alla fine di maggio, generale e non faceva che crescere di intensità anche quando, nell'agosto, in altre e più nordiche parti della Cina, incominciava a declinare.

In questo primo boicottaggio cinese contro l'America, si sperava che l'arrivo del segretario di Stato Taft e di miss Roosevelt a Canton potesse aprir la via ad una conciliazione: ma tutti i manifesti e tutti gli sforzi del viceré non riuscirono che a difender la persona degli illustri ospiti. Miss Roosevelt dovette restare ferma al consolato americano, senza veder neppure la città che era d'altronde pavesata di manifesti pieni delle più grossolane ingiurie contro di lei; Taft si recò ad un banchetto ufficiale e vi tenne un discorso agro-dolce, complimentoso e minaccioso in-sieme, imbarcandosi subito dopo, salutato da fischi non mai prima uditi; gli americani del seguito che s'erano arri-schiati a girare per le vie della città, erano stati tempestati di uova e frutta fradice (i).

Ovunque nell'Oriente ove tentasi d'emanciparsi dall'Eu-ropa dominatrice, tale movimento comincia d'altronde dagli indumenti. Anche nell'Irak sta sviluppandosi una corrente

( I ) R E N É P I N O N , Vivolution du boycottage, nella « Revue des deux mondes », Parigi, jo maggio 1909.

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patriottica simile a quella indiana. Essa si manifestò, per esempio, coll'abolizione, per mezzo di un decreto ministe-riale del regno, del ben noto fez- Il fez, berretto rosso dalla forma conica, era in uso da secoli presso i turchi dei ceti superiori, presso coloro insomma che avevano diritto al titolo di effendi (signore), nonché presso gli impiegati, senza distin-zione di grado, e quindi veniva portato, per il noto feno-meno tardiano dell'imitazione sociale, con molta fierezza, anche da molte persone più umili. Sotto il dominio dei turchi il fez era stato portato anche nellTrak, dove rimase in uso fino a poco tempo fa. Ora, il suddetto decreto mini-steriale del regno di Irak ordina a tutti gli impiegati del paese di portare il sidara, berretto di tela, a pieghe (che ricorde-rebbe vagamente quello degli scozzesi), il quale vien fab-bricato a poco prezzo nel paese stesso, mentre il fez, oltre ad essere molto caro e poco pratico, è di produzione stra-niera. Il sidara prese pure il posto del keffijeh, il copricapo tradizionale nell'esercito e nella polizia degli arabi. Anche la repubblica turca d'Angora ha sostituito nel suo esercito al fez un altro copricapo, il casco russo di pelo, il colbak.

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3. L'esemplificazione indiana

i . - É di alto interesse il rapporto pubblicato nel 1932 per cura del dipartimento del commercio estero inglese (Board oj Tradè) sullo stato delle relazioni commerciali tra la Gran Bretagna e l'India. L'importanza di questo rapporto deriva dal fatto, che esso esamina colla più schietta oggettività, chiarendone i molteplici fattori, l'impressionante declino del commercio britannico con l'India. L'ultima parte del rapporto considera anche gli effetti che si potevano atten-dere nel campo delle relazioni commerciali dall'abbandono della parità aurea.

Nell'anno fiscale 1931-32, la percentuale delle importazioni britanniche in rapporto al totale commercio di importazione dell'India era discesa (da 42,8 nel 1929-30) al 37,2. Tali importazioni rappresentavano, ancora nel 1920-21, il 60

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per cento di quelle totali: da allora esse erano andate conti-nuamente e sempre più sensibilmente decrescendo. La diminuzione si è soprattutto fatta sentire nell'industria tessile, ove ha avuto gli effetti più gravi: ancora nel 1927-28 i prodotti fabbricati di cotone importati dalla Gran Bretagna in India rappresentavano il 78,2 per cento delle totali impor-tazioni di tali prodotti, mentre quelli giapponesi non for-mavano che il 16,4 per cento. Nell'anno fiscale in parola la percentuale britannica discese a 58,8 e quella giapponese salì a 36,1. Il detto rapporto constata che il commercio d'esportazione dell'India era diminuito del 29 per cento e quello d'impor-tazione del 31 per cento. Non è chi non veda quanto sia stretta la correlazione tra il declino delle esportazioni e quello delle importazioni.

2. - Le ragioni essenziali della crisi grave in cui versa il commercio britannico coll'India sono tre. In primo luogo sta la scemata forza assorbitrice del mercato indiano. Tra le grandi regioni produttrici, l'India è stata una delle ultime a risentire gli effetti della depressione economica mondiale. Viceversa questi effetti si fecero poi sentire nella maniera più acuta durante il 1930-31. La stagione era stata particolarmente favorevole per l'agricoltura: i principali raccolti non avevano da lungo tempo raggiunto un livello così alto. Ma la caduta mondiale dei prezzi doveva avere effetti disastrosi in un paese come l'India, dedita qual'è

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quasi esclusivamente alla coltura dei primari prodotti agri-coli. L'India venne allora a trovarsi nella situazione parados-sale di avere un eccesso di produzione esportabile, ma che non si sarebbe potuta esportare se non col rischio di una forte perdita causata dal ribasso dei prezzi in tutti i mercati quale era provocato dalla generale mancanza di domanda. Ne risultò una grave caduta nel potere d'acquisto del con-sumatore indiano. La potenza d'acquisto, la purchasing power nelle campagne, sempre più che mediocre (i), era scesa al punto che il contadino indiano non era più in grado di pagarsi il lusso della compera di stoffe « manufatturate » (2). Il salario medio - salario nominale - dell'agricoltore (brac-ciante) indiano non risultava essere aumentato, dal 1914 al 1922, che del 33 %, mentre il prezzo delle cotonate per le quali, data l'insufficienza della produzione nazionale riguardo al consumo indispensabile, l'India dipende ancora dalla rispettiva importazione, era aumentato del 135 %. Da tali cifre chiaramente risulta quanto fosse diminuita la capa-cità d'acquisto, nell'India, riguardo ai prodotti europei, pur tenendo conto del fatto che, sotto altri aspetti, il costo di vita degli indiani non era andato crescendo nemmeno alla stregua dell'aumento del loro salario (3). Nessuna meraviglia

( ! ) D H I R E N D R A N A T H M A Z U M D A R , Die wirtschaftlich» Entwicklung Indiens unter beson-derer Berücksichtigung der sozialen Verhältnisse. Kiel, 1933, Schmidt, p. 135. (2) Cfr. p. 96 di questo nostro scritto. (3) Secondo i numeri indici di Bombay, dal luglio 1914 al 1924 il prezzo dei cereali non era aumentato che del 25 «0/.

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quindi che le importazioni, nelle Indie, si ridussero di un terzo del volume totale precedente. Tale stato di fatto non potè venir modificato neppure dalla nuova politica mone-taria inglese, la cui conseguenza consistette nella valoriz-zazione della rupia ad i scellino e 6 danari. Quanto agli effetti che l'abbandono della parità aurea in Inghilterra e del vincolo della rupia colla sterlina ebbero dal punto di vista commerciale, certamente gli industriali britannici si trovavano ormai avvantaggiati nel cambio in confronto coi paesi a parità aurea, segnatamente la Germania e gli Stati Uniti, che sono i loro più temibili rivali bianchi sul mercato indiano. Ma perchè questo vantaggio avesse potuto veramente estrinsecarsi nel campo pratico, sarebbe stato necessario che fossero aumentati considerevolmente i prezzi dei principali prodotti agricoli indiani, dal che solo sarebbe risultato un aumento del potere d'acquisto del popolo indiano col relativo aumento della domanda per i prodotti importati.

3. - In secondo ed in terzo luogo la riduzione delle impor-tazioni indiane era dovuta al vasto movimento anti-europeo, di origine assai complessa, che si delinea in India ed è tuttora in cammino. Dal lato economico questo si esplica nel sor-gere di nuove industrie indigene. Senonchè, la sua forma più acuta consiste nel movimento della disubbidienza civile, di cui il sistematico boicottaggio popolare dei prodotti bri-tannici costituisce uno degli episodi più drammatici.

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Il rapporto suddetto infatti viene alla conclusione che tra i fat-tori che agirono in senso sfavorevole sullo stato delle relazioni commerciali anglo-indiane forse il più portentoso fu quello d'ordine politico, cioè la chiusura dei mercati, la generale so-spensione degli affari e la generale mancanza di fiducia umana. Già nel 1905, il Congresso nazionale indiano aveva votato un ordine del giorno in cui venne esplicitamente proclamato il boicottaggio dei prodotti inglesi nonché di quei commer-cianti che dovessero spacciarli. Vent'anni più tardi, un disce-polo di Gandhi, Calecar, professore alla scuola fondata da Gandhi stesso ad Ahmedabad, si spinse, nel suo vangelo suadesci (detto dell'antimacchina), fino al punto di chiamare qualsivoglia traffico coll'estero delittuoso. Verso il 1925, nei riguardi dei tessili britannici, il movi-mento boicottistico indiano divenne pressocchè draconiano. Il movimento colpì però anche molti altri prodotti bri-tannici. Nella maggior parte dei mercati indiani la via si precluse ad ogni combinazione di affari nuovi; diventava perfino difficile lo smaltimento degli stocks già esistenti. L'azione boicottistica indiana lese, d'altronde, per chi ben guardi, gli interessi britannici sotto ben tre aspetti eco-nomici diversi : quello dell'esportazione (massime dal Lan-cashire), quello del commercio inglese stabilito nelle Indie e quello fiscale delle entrate doganali (1).

( 1 ) H E N R Y N. B R A I L S F O R D , Indian Question, nella « Encyclopedia of the Social Sciences ». New York, 1932, ed. Macmillan, vol VII, p. 670.

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Già nei tempi normali i mercanti indiani godono fama di essere poco fidati, malsicuri e cavillosi, ond'è che il rischio per il fabbricante europeo non cessa neppure nel caso di vendita con pagamento contro documento, perchè la merce viene spesso rifiutata col risultato che, immagazzinata dalla banca, essa dovrà poi essere svenduta per evitare spese di ritorno o di custodia (i). Non è chi non veda quanto tali abitudini di svincolamento agevolino lo scoppio e il man-tenimento del boicottaggio organizzato su basi nazionali.

4. - Nel rimanente, la soverchia sensibilità di cui l'Inghilterra diede prova di fronte al boicottaggio asiatico, oltre nell'arma insidiosa stessa, aveva il suo punctum dolens nelle condizioni generali dell'Inghilterra economica del dopo-guerra. Quando un'economia malata deve per soprammercato sopportare l'urto di forti tendenze xenofobe, il suo stato diventa pres-soché intollerabile. Questo accade infatti agli inglesi col boicottaggio indiano. I favolosi guadagni delle aziende tes-sili inglesi con succursali indiane (le quali, in virtù anche della vile mercede della mano d'opera, mercede assai infe-riore a quella europea, erano stati talvolta in grado di dare dividendi del 40 %) andavano a poco a poco svanendo. L'in-dustria inglese non era in grado, lì per lì, di coprire queste perdite coi propri guadagni interni. Così la disoccupazione andava aumentando rapidamente, e rimarrà invincibile fino

(1) Industria lombarda, 24, HI, I934. P- 5-

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a quando l'Inghilterra si ostinerà ad opporsi alla raziona-lizzazione radicale dell'industria, ed a migliorare su vasta scala e con più ampie vedute le officine ed i metodi di lavoro. Le industrie inglesi lavorano con un'attrezzatura troppo invecchiata; indi la produzione è talora di qualità scadente o, comunque, troppo cara. Lennox Lee, autorità incontestata nel mondo tessile inglese, auspica l'impiego generale dei telai automatici, metodo che incontra però anche l'opposi-zione sistematica degli operai che temono un aggravarsi della disoccupazione. I metodi preconizzati dal Lee abbassereb-bero i prezzi di costo, a seconda delle branche dell'indu-stria, filatura o tessitura, dal venticinque al trenta per cento.

Con i metodi con cui è retta l'industria oggi, sembra impos-sibile che l'Inghilterra possa pervenire a stabilire dei prezzi tali da reggere la concorrenza con quelli giapponesi (i). La radice di questo male che affligge l'industria dell'Inghilterra e che indebolisce necessariamente la sua forza di resistenza, risiede altresì in varie cause. Una delle principali dì queste consiste - secondo quanto ammettono gli stessi imprendi-tori inglesi - nella supercapitalizzazione. Questa si rivela anzitutto nel fatto che le società cotoniere inglesi impiegano i loro guadagni dell'ante-guerra e della guerra, per far appa-rire più forti i loro profitti odierni, e per mantenere alti

(i) Cfr. p. 5 2 - 5 3 di questo scritto.

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i dividendi, oppure per fare delle cospicue donazioni di azioni. Ne venne che la formazione delle riserve è stata alquanto trascurata. Altra causa deleteria allo sviluppo ulteriore delle forze produttive inglesi sta nell'egoismo dei fabbricanti che per individualismo od altre ragioni si rifiutano di sottomettersi ad una benefica disciplina. La fede-razione dei filatori ha pubblicato testé (aprile 1934) un piano di riforma che implica il controllo della produzione, un accordo sui prezzi e la soppressione delle iniziative inutili, il riscatto delle aziende improduttive grazie ad un fondo alimentato da un'imposta levata su tutte le fabbriche in attività, ed il controllo della produzione attraverso il sistema dei contingentamenti e la fissazione dei prezzi. Senonchè, i recalcitranti sono molti, e una potente casa di vendita mi-naccia di boicottare i fabbricanti se non avessero ritirato la loro adesione a progetti troppo vincolatoti. Il boicottaggio indiano ebbe poi delle ripercussioni natu-rali anche sull'economia dell'Europa continentale e quindi pure dell'Italia, sia per la diminuzione della ricchezza in-glese acquistatrice di merce estera, sia per la contrazione del movimento turistico. Se, per esempio, in Italia il movi-mento degli inglesi si è contratto nel 1927 del 15 % (1), ciò non è stato certo unicamente l'effetto dello sciopero minerario scoppiato quell'anno nei bacini del paese di Galles.

( 1 ) Cfr. A N G E L O M A R I O T T I , L'importanza economica del turismo. Firenze, 1932, Aesti, p. 30.

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5. - Il boicottaggio, messo in opera con inaudita violenza ed uno spirito di solidarietà ammirevoli (1), non era tut-tavia nè del tutto, diremo per qualità e per quantità, generale, nè, date le condizioni speciali dell'India contem-poranea, tale poteva essere. Rimasero di fatto pressoché esclusi dal boicottaggio quei prodotti inglesi che l'India non può sostituire con pro-duzioni proprie, come il macchinario, certi prodotti di ferro e di acciaio, strumenti, automobili. Nè la situazione a questo riguardo si prospettò in tutte le provincie dell'India nello stesso modo: così, per esempio, gli effetti del boicottaggio delle merci britanniche furono relativamente meno sensi-bili nelle parti meridionali, ove il commercio di Madras subì pertanto danni minori. La necessità di restringere le tendenze verso l'autarchia entro limiti realistici venne riconosciuta anche dal programma economico del Karachi Congress (panindìano), tenuto nel 1931 a Bombay, il quale sostenne il postulato dell'esclusione, dai mercati indiani, di tutti i tessuti e filati stranieri, ma dichiarò contemporaneamente di non voler spingersi fino all'esclusione di qualsiasi prodotto straniero in genere, nè vietano agli stranieri abitanti nell'India di vestirsi dei loro panni nazionali, come fanno gli americani che vie-tano il consumo dell'alcool anche agli europei residenti

(1) Cfr. p. 61, 66, 67 di questo scritto.

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nel loro paese (x). Molti prodotti di alta qualità e lo stesso capitale rimangono tuttora legati a necessità im-portatrici (2). Le stesse misure protezionistiche incontrano, nelle Indie, talora dei dubbi improntati a visioni pessimistiche, secondo le quali, svincolandosi dal protezionismo una forza attrat-tiva per l'investimento, nel paese protezionistico, dei capitali stranieri finora impiegati nelle industrie importatrici, ora colpite, il protezionismo altro non effettuerebbe se non una gravosa importazione di capitali stranieri i cui interessi andrebbero, a puro danno della patria, in favore del loro proprio paese d'origine : « Una muraglia doganale protet-tiva non funzionerebbe forse a guisa di un incoraggia-mento persistente al capitalista estero ad investire i suoi risparmi direttamente nell'India sfruttando così le risorse naturali del paese ? » (3).

6. - La prima associazione commerciale indiana indigena autonoma e non aderente a nessun altro ente, è la Società dei commercianti tessili indigeni di Bombay, creata nel 1881, seguita, nel periodo dal 1885 al 1903, da ben quattro altre fondazioni di camere di commercio indiane, tra le

( 1 ) C . N. V A K I L , Economie Programme of the Karachi Congress, pamphlet, p. 3 (London School of Economics). ( 2 ) B E N O Y K U M A R S A R K A R , Studies on applied Economics, p. 2 3 0 .

( 3 ) P. P A D M A N A B H A P I L L A I , Economie Conditions >n India. London, 1 9 2 5 , Routledge, p. 3 2 7 .

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quali quella Godawari, di Coronada, è la più importante. Alla fine del 1927 sorse una Federazione delle camere di commercio indiane (1). Sarebbe dunque già in vita, in India, un nucleo di dirigenti indigeni (2). Economisti indiani non esitano di mettere la sempre cre-scente self-sufficiency dell'India in materia di cotonate in conto al boicottaggio ed al protezionismo nazionalista (3). Ed economisti stranieri fecero altrettanto (4). Niente di più consentaneo quindi che un comitato ufficiale formatosi in Inghilterra per lo studio delle questioni atti-nenti al commercio estero, e presieduto da Sir Arthur Balfour, 1925, venne alla conclusione, interessata, che, a dispetto delle mene protezionistiche degli indiani, starebbe nel vero interesse dell'economia indiana preferire alla « sti-molazione artificiosa dell'industria », piuttosto una « inten-sificazione dell'agricoltura » (5). Non tratteremo qua il problema, se l'Inghilterra non sia responsabile essa stessa dei benefici economici raggiunti

( 1 ) B E N O Y K U M A R S A R K A R , Struktur in der ìndischen Industrie mid Wirtscbaft, nella rivista « Geopolitik », Viti, 4 (aprile 1931) p. 303. ( 2 ) S A R K A R , p . 3 0 4 .

(3) B E N O Y K U M A R S A R K A R , Studies on applied Economics. Calcutta, 1933, Chucker-werthy, p. 230. (4) E R N S T S C H U L T Z E , Pfundsturx und Weltkrise. Leipzig, 1932, Deutsche Wissensch. Buchhandlung, p. 20. (5) C O M M I T T E E ON I N D U S T R Y A N D T R A D E , Survey of Overseas Markets. Based on material, mainly derived from official sources, with regard to the conditions prevailing in various overseas markets which affect British export trade, together with statistical and other information. With an introduction by the Committee. London, 1925.

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dagli indiani, e massime anche se il suo equipment trade (costruzioni ferroviarie) (i), non abbia fortemente contri-buito a generare il risveglio delle forze latenti degli indi-geni. In caso affermativo, gli indiani verrebbero, crederei, da essa tacciati d'ingratitudine. Ricordiamo che anche i te-deschi rinfacciavano ai polacchi di non prendere nella do-vuta considerazione il fatto che tutto il progresso tecnico compiutosi in Posnania, dal telegrafo alla luce elettrica, era dovuto alla civiltà e al dominio tedesco, durato dal 1796 al 1918! Sta di fatto che l'industria indigena ha compiuto dei pro-gressi enormi (2). Tuttavia è ancora deficiente, sotto certi punti di vista, la sua suprema direzione. Notiamo per esem-pio il giudizio pessimista di P. Padmanabha Pillai: « Resta assodato che l'indiano, ora che è chiamato ad assumersi le responsabilità del governo dell'industria, si addimostra, a causa della sua assenza nelle prime fasi dello sviluppo indu-striale del suo paese, spesso manchevole nelle qualità essenziali di chi debba star a capo di industria» (3).

7. - Giunti a questo punto, sarà prezzo dell'opera illu-minare per sommi capi quel che diremo essere i concetti di

( 1 ) M O N T A G U E F O R D H A M , Britains Trade and Agrìculture, London, s. d. Alien, p. 50. (2) Quanta era la tributarletà degli indiani dall'importazione europea, risulta dal fatto che ancora nel primo decennio del secolo, essi fecero venire i loro articoli religiosi, come le statuette buddistiche, dalla Germania. ( S . M . M I T R A , Indiati progress, London 1908. Murray, p. 367. ( 3 ) P I L L A I , p . 1 8 6 ) .

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filosofia economica che ispirano quel gruppo di eletti uomini che possono considerarsi quali gli antesignani del movi-mento nazionalistico indiano (1). L'idea direttiva del risorgimento indiano è quella d'impedire con ogni possa la continuazione della decadenza della civiltà indiana, causata dalla civiltà moderna d'origine europea. Secondo gli indiani, il maggior merito dell'antica loro civiltà consisterebbe nel fatto di non aver questa mai concesso a nessuno l'uso della violenza, consistendo l'unico suo ob-biettivo nel recare ad ogni essere vivente la felicità, mentre la civiltà occidentale, al contrario, non solo si baserebbe apertamente sulla violenza, ma, pur di raggiungere i suoi scopi, non esiterebbe a falciare, spietata e sprezzante, qual-siasi intralcio infrapposto al suo cammino. Per comprendere meglio e vagliare più esattamente il grande processo storico indiano giova por mente al fatto che il credito europeo nei paesi asiatici è andato spegnendosi, dopo la guerra mondiale, sotto tutti gli aspetti: sotto quello morale, per il fatto che la guerra venne combattuta tra i popoli bianchi europei medesimi (tedeschi contro inglesi, francesi, italiani); sotto quello economico, per la persi-stente crisi economica, l'incapacità degli stati europei di signoreggiare la situazione, di proporzionare la macchina al lavoro dell'uomo, la produzione al consumo; sotto quello

(1) Cfr. l'importante inchiesta: The Swadeshi movement. A Symposium. Views of Ripre-sentative Indians and Anglo-Indians. Madras, 1907, Natesan, p. 51 1 .

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logico, per la inadempienza, ingenua al punto di essere quasi di « buona fede », delle promesse contenute nei quattor-dici punti del vittorioso programma di Wilson per quel che concerne la libertà dei popoli sottomessi. Insomma, per servirci di una penetrante frase del Pernot (i): «La guerre mondiale a offert aux orientaux l'occasion de voir l'occident au lit, c'est-à-dire d'en observer de tout près les divisions, les tares et les faiblesses ». Per raggiungere l'intento della liberazione nazionale, gli indiani hanno scorto due vie diametralmente opposte. L'una di queste ha per mèta lo sviluppo delle forze produttive proprie, portandole dallo stato latente ad uno stato poten-ziale. Rendendo la produzione indigena equivalente a quella estera, si vuol giungere in un primo tempo a competere colle merci estere sul mercato interno, poscia, in ultima analisi, col raggiungimento di un livello qualitativo superiore della industria indigena in confronto a quella estera, a di-sfarsi completamente del mercato estero. L'altra via, quella opposta, conduce bensì anch'essa alla stessa emancipazione, ma implica la rinunzia ad assimilarsi i metodi di produzione europei, mediante un voluto ritorno a forme antiquate e primitive dell'economia, da ottenersi con una diminuzione sia del grado della qualità dei prodotti, sia forse anche del

(i) M A U R I C E P E R N O T , Rôle présentement dévolu à l'Europe en Asie. Reale Accademia d'Italia. Convegno di Scienze morali e storiche (Volta, 1932). Tema: L'Europa. Relazioni, p. 52.

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quantitativo del fabbisogno stesso. Il gruppo di nazionalisti che segue la prima via si rivolge all'Europa dicendo: presto non ci tornerà più conto di ricorrere a te, perchè presto avremo portato la nostra produzione allo stesso livello tuo. L'altro gruppo invece schernisce l'Europa per la sua sovrab-bondanza di bisogni, e ritiene di non aver affatto necessità dell' economia sua. Questo ultimo gruppo si serve, a con-forto della sua tesi, di alcuni criteri' eudemonistici, addu-cendo come argomento, che l'Asia è più semplice di costumi dell'Europa ed ha meno pretese; perciò essa è più vicina a Dio; onde essa sarebbe capace di coprire il suo scarso con-sumo con proventi del suo suolo (1), anche se questa ri-nunzia dovesse costarle i più grossi sacrifizi di lusso. Laotse insegna: « Non devi apprezzare le cose rare. Ricco è soltanto colui che si contenta. Non l'aumento di appetito, ma l'assenza del desiderio è degno dell'uomo ». Anche il buddismo dispone di molte sentenze simili a questa. Per tornare alla civiltà antica, aggiungono i seguaci del Gandhi, occorre non soltanto boicottare l'importazione estera e bruciare su roghi pubblici tutti i tessuti stranieri, compresi quelli già in uso nelle famiglie, ma è necessario abolire la totalità dei mezzi strumentali di lavoro della civiltà d'occidente e le sue forme materiali. Il motto è questo: con-

(1) Cfr. l'accurato studio sulle possibilità di vita, anche cooperativistiche, della pic-cola industria e dell'agricoltura nana nelle Indie in V . G . K A M A K R I S H N A A Y Y A R ,

SmaH Sca'e Production in India. A Study on Indian Industriai Organisatìon. London, 1929, Norgate, p. 47 e seg.

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vien bastare a sè stessi, riprendendo gli antichi strumenti di lavoro indiani, e rinchiudersi in una propria attività economica indipendente. Ad una India liberata sì, ma erede pur sempre del macchi-nario moderno, Gandhi preferirebbe la stessa dipendenza sua completa dalla produzione inglese. « E sempre ancor più desiderabile comperare tessuti a Manchester che erigere in India delle fabbriche simili a quelle di Manchester. Un Rockefeller indiano non ci sarebbe per nulla più simpatico di un Rockefeller americano. Darci al macchinismo sarebbe per noi il più grande peccato: esso rende schiavi i popoli... ed il denaro è un veleno non meno potente quanto quello della lue » (i). Uno degli scopi più importanti dei patrioti indiani sta nel ritorno alla filatura e tessitura casalinga a mano, la charka, a quella tessitura di cui un tecnologo europeo, già citato dal Cognetti de Martiis, ebbe a dire che « non è ancora abbassata al grado di una semplice fabbricazione meccanica, ma è rimasta invece un'arte quale nei tempi trascorsi era in tutti i paesi. In questi apparecchi il lato meccanico è ancora molto arretrato per non dire primitivo; quasi tutto è affidato alla destrezza dell'artefice » (2). Già nella grande inchiesta inglese del 1834-35 sulla tessitura a mano, R. M. Martin menzionava le mussole del Dekkan come il più bel prodotto

(1) R O M A I N R O L L A N D , Mahatma Gandhi, Paris, 1922, Payot, p. 123. (2) S A L V A T O R E C O G N E T T I D E M A R T H S , La mano d'opera nel sistema economico. Torino, 1901, Utet, p. Lxiii.

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dell'industria tessile indiana, nella quale le manipolazioni dei tessitori erano più cospicue che in qualsiasi altra opera compiuta dalla mano dell'uomo. Ora, far rivivere la filatura e tessitura a mano equivarrebbe, secondo il Gandhi, « a ridare a milioni di capanne indiane la loro industria accessoria, rianimare l'antica arte nazionale, toglier di mezzo la degradazione del pauperismo, creare una garanzia automatica contro la carestia; nello stesso tempo tale rinascita verrebbe a privare l'Inghilterra del suo più forte mezzo di sfruttamento dell'India»; d'altronde, disse ancora il grande patriota, « quando l'India potrà vestirsi da sè, senza bisogno alcuno d'importar stoffe e macchine stra-niere, le relazioni tra India e Gran Bretagna diventeranno naturali e quasi fraterne ». Epperò, ogni indiano, il ricco come il povero, dovrebbe imparare a filare il proprio ve-stito, e confezionarsi il costume nazionale, il cosiddetto kaddar, lungo rettangolo di mussola bianca avvolta a guisa di mantello.

Quando, nel suo viaggio in Europa, Gandhi arrivò a Mar-siglia (1932), vestiva un semplice mantello, fatto di una stoffa filata e tessuta a mano da lui stesso. I satelliti del ma-hatma tenevano a far sapere a chi li interrogava che egli, durante il viaggio in Europa, non aveva mancato di conti-nuare il suo lavoro di tessitura. Ai giornalisti, Gandhi dichiarò, fra altro, questo: « Voglio dire agli inglesi che in India il lavoro artigiano deve essere incoraggiato, giacché è la base della ricchezza e del benes-

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sere del paese». Più tardi ha aggiunto: «So bene, che in Inghilterra gli operai delle fabbriche di cotone hanno detto che mi lincerebbero. Non temo dì andare fra essi; spero anzi di poter loro parlare e far loro comprendere la neces-sità dell'industria artigiana per l'India ». Tuttavia, nelle Indie britanniche, la mussola bianca tessuta a mano viene a costare più cara delle stoffe inglesi impor-tate. Epperò, anche l'importazione di macchine non tende affatto a diminuire; al contrario continua ad aumentare notevolmente, tanto da raggiungere pel 1921-22 la cifra di 2 miliardi e 300 milioni di lire italiane, suppergiù un terzo di più dell'anno precedente. D'altronde, per gli indiani, la necessità di avviarsi verso un'industria propria non sparirebbe forse neppure colla eventuale futura creazione dell'auspicata unione doganale europea. Perchè questa unione certo non dovrebbe, nè po-trebbe, a lungo andare garantire a nessuno la conservazione di territori protetti per rifugiare in essi le industrie meno adatte, mantenendosi dei mercati riservati, suscettibili a falsare il giuoco della libera concorrenza con gli altri e la costruzione, su di essi, dei prezzi differenziali a favore di un dumping europeo (1). Dimodoché, se l'industria indiana non riesce intanto di mettersi su salde basi proprie, l'unione doganale europea non farebbe che aggravare per essa il pericolo dell'inondazione di merce straniera.

( 1 ) J A C O P O M A Z Z E I , I problemi della politica doganale coloniale del dopo-guerra. «Rivi-sta internazionale di scienze sociali», 1931, p- 3^9-

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1. Alcune considerazioni sul commercio mondiale

i. - E cosa alquanto allarmante per l'industria europea, massime dal punto di vista della divisione di lavoro tra le varie parti del mondo, l'osservare come l'antico rapporto tra l'Europa, considerata quale paese d'esportazione di pro-dotti industriaH, e gli altri continenti, considerati quale antico dominio coloniale predestinato a servire da sbocco per le merci europee, vada sempre più affievolendosi. Ai nostri antenati sembrava dover persistere eterno il con-cetto mercantilistico, per cui alle colonie spettasse il com-pito di provvedere la metropoli di materie greggie e di der-rate coloniali, mentre rimanesse a questa il diritto esclu-sivo di inviare a quelle il soprappiù dei suoi manufatti.

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In effetti, tutti i popoli colonizzatori, dagli spagnuoli agli inglesi, di fronte alle loro dipendenze coloniali, adottavano la stessa politica, culminante nella interdizione, o quasi, per le colonie, non solo di fornirsi da paesi stranieri, ma anche di creare industrie proprie trasformatrici. La stessa industria tessile nord-americana, la cui importanza odierna non sfugge a nessuno, non potè compiere la sua naturale funzione di valorizzatrice industriale del cotone greggio autoctono che dopo il distacco politico degli Stati Uniti dalla madre patria europea, proibizionistica e monopoliz-zatrice. Epperò in America la nascita dell'industria tessile non risale che all'indomani della libertà statale. Da allora in poi le industrie nord-americane di ogni genere si sono sviluppate al segno di muovere una grave concor-renza ai prodotti inglesi, non soltanto sul mercato na-zionale americano, ma anche su altri mercati, non escluso quello inglese medesimo. Può considerarsi anzi quale uno dei cardini della piega presa dall'economia mondiale du-rante la guerra il fatto che la concorrenza tra la madre patria e l'antica colonia resasi indipendente è andata sempre più svolgendosi a favore di quest'ultima. Nell'America del Sud, gli Stati Uniti hanno, dopo la guerra, addirittura soppian-tato in molti scali il commercio inglese. Anche come espor-tatori di materie prime, gli Stati Uniti stanno facendo con-correnza, sia pur indiretta, all'Inghilterra, irrobustendo, colle loro importazioni di cotone greggio, l'industria tes-sile giapponese, la quale, a sua volta, colle sue stoffe a

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buon mercato, batte l'industria inglese nell'India (i). Secondo un rapporto di Frank R. Elridge, capo del reparto per l'Asia al ministero del commercio a Washington, del 1922, il 31 % dell'importazione giapponese era di prove-nienza americana, la qual percentuale costituiva il doppio delle due importazioni che la seguivano nella scala delle importazioni, vale a dire di quelle dalla Cina e dall'Inghil-terra.

L'articolo più importante introdotto in Giappone dalla America era appunto quello del cotone greggio che, quan-tunque non rappresentasse per quantità che un quarto dei cotoni importati complessivamente in quell'isola, raggiun-geva però il 40 % del loro valore. Inoltre gli Stati Uniti for-nivano al Giappone la seguente quantità di prodotti: il 41 % del macchinario; il 60 % delle sbarre d'acciaio, tubi e fili di ferro; il 70 % della legna; l'8o % del petrolio; il 93 % del sol-fato d'ammoniaca; l'8o % dei materiali da costruzione, ed in più per 96 milioni di dollari di cuoi, pasta per carta, chiodi, automobili, soda, ecc. Da queste cifre, l'Elridge trasse la conclusione che, data l'importanza assunta dalle relazioni economiche dei due paesi, essi avrebbero tutto l'interesse di prestarsi vicendevolmente il loro aiuto. Anche in Cina gli Stati Uniti si sforzano di ottenere la prevalenza commerciale sull'Inghilterra. Tant'è che, al fine di porre argine all'invadenza americana, il governo britan-

(1) Cfr. pag. 52 di questo scritto.

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nico, dietro proposta della Camera di commercio inglese a Sciangai, si dimostrò disposto a fondare in quella città una scuola tessile (1921). Questa scuola, frequentata quasi esclu-sivamente da allievi cinesi, alberga però il pericolo di pre-parare gli elementi indigeni, atti a modernizzare l'industria tessile cinese, e danneggerà in tal guisa, coll'andar del tempo, anche gli interessi degli esportatori inglesi medesimi (onde era spiegabile l'opposizione nata contro il progetto da parte degli industriali tessili in Inghilterra). Tuttavia questa scuola reca all'Inghilterra vantaggi grandissimi dal punto di vista politico, ed anche economico, essendo essa suscettibile di servire, oltre alla concorrenza contro l'America, alla intro-duzione e diffusione in Cina di altri prodotti inglesi, quali utensili e macchinario. Accenneremo pure, come ad un indice suggestivo del ca-povolgimento di certi rapporti d'interdipendenza tra l'In-ghilterra e l'America, al fatto seguente: Nell'aprile 1924 gli americani cercarono di portar via alla città di Londra alcune delle sue più belle chiese storiche sfrondandola in tal maniera, ad majorem gloriarti Terrae Novae, di alcuni dei suoi più gloriosi monumenti artistici. Infatti gli Yankees, appro-fittando del continuo processo di evacuazione demografica del centro londinese, la City, evacuazione che aveva reso parecchie chiese superflue e fuori uso, si proposero di com-perarle per trasportarle poi, pietra per pietra, in America. E sarebbero riusciti nel loro intento se non si fosse destata, all'ultimo momento, in Inghilterra, la coscienza europea,

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intollerante di atti che potessero, esteticamente parlando, impoverire la vecchia culla della civiltà.

2. - Tra i motivi per cui avvenne la diminuzione dei rap-porti economici, verificatasi, almeno sotto alcuni aspetti, tra l'Europa e gli altri continenti, accenneremo a due, che a nostro avviso stanno in prima linea. In primo luogo va preso in considerazione l'impoverimento generale che segui la guerra, anche, e massime, nei paesi extra-europei. Poiché, se molti di questi, come la Cina, le Indie, la Persia e l'Afganistan, uscirono dalla guerra in condi-zioni economiche floride, dovute alle compere fattevi dai paesi belligeranti, nondimeno la loro prosperità non ebbe per lo più che carattere effimero, perchè ben presto essi ebbero a risentirsi della crisi imperversante in Europa nel 1920-21. Fu, anzi, un paese extra-europeo, il Giappone, che, prima ancora dei paesi europei medesimi, ebbe a subire il contraccolpo finanziario del dopo-guerra. Ora, le cause della crisi extra-europea vanno ricercate nel fatto che l'Europa, esausta dalla guerra, non era più in grado di comperare la stessa quantità di materie prime e di prodotti coloniali come nei tempi passati. Nella gene-rale diminuzione verificatasi nell'importazione di prodotti coloniali in Europa vi erano, certo, alcune eccezioni che si riferivano a quelle materie, delle quali i paesi centrali, rimasti imbottigliati e tagliati fuori dai mercati, sentivano nell'immediato dopo-guerra, urgentissimo bisogno per la

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ripresa delle loro industrie (caucciù e cotone). Così pure andò aumentando, nel periodo dell'immediato dopo-guerra, l'importazione in Europa, dalle Indie e dall'Oceania, di ce-reali e di zucchero, aumento dovuto alla scemata produtti-vità agricola, in gran parte causata dalla guerra, in alcuni paesi dell'Europa centrale ed orientale. A loro volta, molti paesi esotici, ai quali veniva a diminuire, colla scemata esportazione dei loro prodotti, una delle fonti di ricchezza, erano costretti a privarsi di una parte cospicua di merci europee; e fu questo, p. es., il caso dell'In-dia ove diminuì l'uso delle stoffe importate di cotone. Se-condo S. W. Daniels, il consumo di tali stoffe, che nel 1913-14 era stato dì 4.210,1 milioni di yards, negli anni 1918-19 era sceso a 2.309,4 milioni, per risalire però nel 1922-23 a 3.071,0 milioni di yards.

Per il Giappone poi non va dimenticato il terremoto, che, distruggendo macchine, utensili, case e vite umane, nonché una percentuale molto elevata della bachicoltura per la produzione della seta greggia, aveva fatto scemare di molto la ricchezza media dell'isola. La parziale diminuzione dei rapporti economici tra l'Eu-ropa e gli altri continenti era dovuta, in secondo luogo, al sorgere (come, a mo' d'esempio, in India, in Giappone, in Cina, nell'America del Sud ed in Australia) di nuove in-dustrie indigene analoghe a quelle europee. Con ciò la guerra non aveva fatto che intensificare vieppiù un movimento, già cominciato ben prima dello scoppio

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del conflitto europeo, e sostenuto in gran parte dalle bar-riere doganali messe su dai paesi nuovi per proteggersi contro le importazioni straniere, imponendo a queste di cercarsi altre vie. Molte case esportatrici europee, spinte dal timore di perdere la loro clientela, trasferivano allora la stessa loro sede fuori d'Europa, oppure vi creavano po-tenti succursali o filiali. A tal uopo portavano nei paesi esotici, dalla madre patria, i capitali ed una parte del perso-nale dirigente e della stessa mano d'opera qualificata. Però, a poco a poco, quest'ultima veniva fornita dai paesi di residenza stessi, ed i capitali pure andavano trasformandosi e snazionalizzandosi sempre più. Le stesse cause che portavano alla floridezza, vera od ap-parente, permanente o transitoria poco monta, della filiale o succursale di ditte straniere, generavano pure spesso una crescente prosperità delle industrie indigene medesime, agevolate ugualmente dall'esistenza di dazi protettivi e dal buon mercato della mano d'opera indigena. L'industria nazionale che maggiormente progrediva era quella giapponese, dove, per esempio, nell'industria coto-niera, il numero dei fusi, che nel 1906-07 era stato di 1.483.000, nel 1920-21 ammontava a 4.130.000. In Argentina, nel Brasile e nell'Australia, gli antichi impor-tatori di scarpe, inglesi ed americani del nord, perdettero molto della loro importanza in seguito all'inopinato risve-glio verificatosi nelle rispettive industrie locali che, colla abbondanza, nel paese, delle materie prime occorrenti, ave-

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vano finalmente compreso l'antico detto del Genovesi « che la prima massima di economia che vogliono avere i sovrani, è che la nazione di cui sono capi dipenda dalle altre, in tutto ciò che s'appartiene alla vita naturale e civile, il meno che sia possibile: che sia il men che si possa debitrice ad ogni altra (i) ».

In Cina ed in India l'intensificazione dell'industria nazionale era meno sensibile, ma pur esisteva (2). In India, secondo i calcoli approssimativi di Daniels, presentati in una me-moria scritta per la Società di statistica di Manchester e completata poi, nel 1923, dal Manchester Guardian, la produzione di tessuti indigeni, era aumentata dal 1913-14 al 1922-23 di 561 milioni (da 1.164.300.000 a 1.725.200.000) di yards. La Cina, malgrado i torbidi politici che la infe-stavano, sviluppò e perfezionò pur essa l'industria cotoniera, favorita qual'era, come già dicemmo, anche dalla stessa Inghilterra.

3. - A molti viene fatto a chiedersi quali sarebbero le pro-spettive che da questo stato di cose si potrebbero trarre. L'America e l'Europa fanno a gara per disputarsi il primato economico, mentre quello finanziario può già dirsi fin d'ora conquistato dagli americani, e gli asiatici stessi si accingono ad emanciparsi più che possono da quel che a loro sembra

( 1 ) A N T O N I O G E N O V E S I , Leeoni di commercio ossia di economia civile. Ed. Silvestri, Milano, 1830, voi. II, p. 312. (2) Per la Cina, cfr. p. 123 di questo scritto.

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essere, ed infatti è, schiavitù economica. Per non citare che un quesito tipico: finirà l'America, che colle sue auto-mobili Ford è riuscita a fabbricare le macchine più a buon mercato, a conquistare, come ha già incominciato a fare, tutta l'Europa? O sarà invece l'Italia che ora primeggia nella fabbricazione delle automobili provviste della maggiore rapidità, a conquistare l'America? Il paragone è mal posto perchè si ridurrebbe in ultima analisi alla vexata quaestio della preferibilità del maggior buon mercato o della maggior rapidità, mentre la soluzione ideale starà nella sintesi e quella effettiva sarà subordinata alla differenziazione natu-rale delle classi sociali, tra le quali le une daranno la prefe-renza alla rapidità ed al comodo e le altre invece al buon mer-cato. Certo l'esportazione americana, pur non rinunciando alla conquista economica dell'Europa, sta piuttosto diseu-ropei^andosi. E vero che nel 1915 il 71 % di essa era rivolta ai paesi europei sitibondi di vettovagliamenti e di muni-zioni; ma era anche allora che il commercio americano invadeva, con alte cifre, alcune piazze considerate finora qual monopolio britannico, come Bombay, Buenos Aires e Capetown. Nel dopo-guerra, sfumando a poco a poco il bisogno degli europei di provvedersi di merce americana e corroborandosi, d'altra parte, il commercio americano nei paesi extra-europei, la diseuropeizzazione dell'orienta-mento commerciale americano, della quale i primi segni si erano avvertiti già prima della guerra mondiale, si ma-nifestava invece per esempio nel fatto che, nel 1920, la

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percentuale dell'esportazione americana per l'Europa era caduta al disotto della cifra relativa all'anno 19x3. Nè gli sforzi disperati di Roosevelt di togliere il suo paese da sif-fatta situazione, sono ancora stati coronati da sicuro suc-cesso.

4. - Comunque, per quel che concerne le prospettive del-l'espansione commerciale mondiale europea, gioverà non esagerare di pessimismo. L'Europa, come esportatrice, è tuttora una roccaforte non facilmente espugnabile. Sta di fatto, prima di tutto, che essa dispone di mezzi tecnici e massime di una mano d'opera e di tradizioni che non possono improvvisarsi al-trove da un momento o, mettiamo pure, da un secolo all'altro. Per ora, pei paesi extra-europei in genere - astra-zione fatta dell'America del Nord, che versa in condizioni specialmente favorevoli, e del Giappone - non si tratta già di far concorrenza alle merci europee su terzi mercati, bensì tutt'al più di emanciparsene sul mercato proprio, che è cosa grave, ma è un'altra cosa. Ed anche questa emancipa-zione si trova fortemente inciampata dall'incessante bisogno di detti paesi extra-europei di disfarsi, per vie commer-ciali, del soprappiù delle loro derrate agricole. Giacché fino ad un certo punto è vero che i paesi extra-europei, esportatori di beni agricoli, hanno un bisogno anche più grande di esportare questi beni in Europa di quanto non abbia l'Europa di esportare i prodotti suoi. L'Europa,

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pur diminuendo di natalità, sta crescendo di popolazione, intensamente, ed è sperabile che si troverà quindi nella necessità, non soltanto di consumare sempre più, ma di assorbire sui mercati propri, in ragione diretta della diffu-sione del proprio benessere, sempre maggior parte dei suoi prodotti industriali. Gran parte della sorte che toccherà all'industria europea dipenderà in ultima analisi dal miglio-ramento economico delle classi medie e lavoratrici europee stesse.

Presa la cosa sub specie aeternitatìs, l'Europa, sfrondata dalle sue angustie geografiche e commercialistiche, ha d'altronde vinta la sua causa nel mondo. L'Europa è tutt'al più un concetto geografico. I confini geografici dell'Europa coll'Asia sono incerti. Dal punto di vista politico, e perfino da quello morale, la Russia detta europea e quella detta asiatica costituiscono, nel loro as-sieme, il prototipo dell'Eurasia.

Convien infatti considerare la questione europea anche sotto un punto di vista universale. Giacché questa questione unisce tratti pressoché universali, data /'europei^a^ione del mondo che costituisce uno dei fatti più importanti della storia umana. Non è chi non veda quante e quali siano le conseguenze che derivano da questo avvenimento centrale e basilare.

Nessuno che segue attentamente le relazioni tra l'Inghilterra egli Stati Uniti d'America, può certo sottrarsi all'impressione

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che i due popoli si guardano in cagnesco, che le loro lettera-ture sono imbevute, l'una contro l'altra, di idee preconcette e che sono ambedue e di sarcasmi e di frizzi armate. A ciò aggiungasi che la popolazione degli Stati Uniti contiene numerosi elementi etnici e linguistici di provenienza non anglo-sassone e che non hanno nulla in comune colla storia e colle tradizioni della Gran Bretagna. Senonchè, non è men vero che la preponderanza etnica e psicologica degli ameri-cani del nord è tuttora spiccatamente anglo-sassone e che, al giorno d'oggi, il popolo degli Stati Uniti tutto intero parla inglese. Oltracciò, per ovviare ad ogni eventuale alterazione del primitivo stampo inglese per mezzo dell'immigrazione di gente appartenente ad altre stirpi, l'America ha avuto cura fin dall'immediato dopo-guerra, di circondarsi di un vero reticolato di ferro proibitivo, affinchè la rarefatta affluenza di elementi non anglo-sassoni non possa più turbare o mettere comunque in dubbio (o semplicemente rallentare) il processo dell'assorbimento dei nuovi citta-dini eterogenei nel vasto crogiuolo anglo-sassone. Tali quali sono oggi, e saranno forse anche di più domani, gli abitanti degli Stati Uniti, pur differenziandosi da quelli della vecchia Inghilterra, sotto più di un aspetto in modo assai cospicuo, essi presentano con questi ultimi un grado di affinità infinitamente più forte di quello che presenti, con entrambi, preso nella sua totalità, qualsiasi altro popolo, europeo od americano. Ciò non è soltanto dovuto alla comunanza di razza che contraddistingue la maggioranza

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dei britannici e degli yankees, ma, prima di tutto, a quella, assai più dinamica, della lingua con tutta la imponente sua soprastruttura letteraria, artistica, sentimentale e scien-tifica.

Gl'inglesi europei, a loro volta, non costituiscono che una parte, che va sempre più assottigliandosi di numero, di quel-l'immenso stato intercontinentale, interinsulare ed intero-ceanico che è l'impero britannico. Di questa sua creazione storica, l'Inghilterra sta in procinto di subire sempre più l'a-scendente politico e morale. Nel British Museum, di Londra

•il direttorio della celebre grande biblioteca si vede, in questi ultimi anni, costretto di rinunciare all'acquisto di una parte crescente di libri scritti nelle lingue europee continentali, per far fronte alla necessità di mettersi in possesso delle pubblicazioni ognora più numerose dei dominions componenti l'impero, nonché di quelle che si stampano, in lingua inglese nelle altre parti del mondo ove il y u suona, e massime negli Stati Uniti. Il trattato di Ottawa dimostra che anche sul campo commerciale l'Inghilterra non mette più nessun indugio a sacrificare buona parte delle relazioni che legano ancora 1 suo! traffici colla vecchia Europa, pur di soddisfare 1 bisogni e le richieste dei popoli fratelli del proprio impero

J Clua l i t e n d o n o a d impadronirsi, a favore degli interessi loro particolari, del sistema nervoso centrale. E ciò fanno con un ritmo sempre più rapido ed a ragione diretta della coscienza della propria forza dinamica che le colonie stanno acquistando. I fatti sono 11 a dimostrare come le figliole

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riescono a mettere la vecchia madre nella necessità di affi-dare ad esse le chiavi della comune tesoreria. Ond'è che al punto che sono arrivate le cose, sarebbe davvero ingenuo di porre agli inglesi il dilemma della loro appartenenza geografica, e di chiedere loro se si sentono maggiormente come parte integrale dell'Europa, o invece come parte integrale del proprio impero in cui il sole non cala (i). Senonchè, va ricordato ancora un fatto di uguale importanza. Le vecchie nazioni latine dell'Europa sono profondamente indebitate verso la Spagna e il Portogallo che, in un tempo in cui l'Italia disunita e serva allo straniero non era ancora in grado dì fornire al mondo che grandi navigatori, grandi artisti e grandi scienziati, e in cui la stessa Francia, lacerata dalle guerre di religione, non era ancora preparata a sten-dere le braccia fuori dell'angusto ambito europeo, con uno sforzo politico, colonizzatore e demografico inaudito (e del quale non lor siamo sufficientemente grati), sono riusciti a dare l'impronta perenne del loro genio e della loro lingua a tutto il continente meridionale dell'America. E questo un fatto di una portata storica veramente smisurata, incalco-labile, appena diminuita dall'emancipazione politica che queste terre del nuovo mondo hanno raggiunta, al pari delle

(i) Solo in queste ultime settimane pare che, sotto la pressione della paura e dell'orrore che le ispirano la Germania del terzo Reich, coi suoi metodi, interni ed esterni, e coi progressi chimici ed aeronautici di guerra, l'Inghilterra solida-rizzi nuovamente di più col vecchio continente, del quale è divisa dalla sola Manica.

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colonie inglesi dell'America del nord, nelle lotte contro le rispettive loro madri patrie. D'altronde, la comunanza indi-struttibile, formata e cementata dalla medesimezza della civiltà, che unisce la Spagna alle sue antiche colonie, e il Portogallo al Brasile, si è manifestata anche durante la guerra mondiale, ove i paesi di lingua spagnuola hanno seguito quasi tutti la politica neutrale della Spagna europea, mentre il Brasile è entrato in guerra accanto al Portogallo. Cessata poi l'alta contesa, la solidarietà delle colonie spagnole, libere ed indipendenti, colla penisola iberica si è concretata in un'altra guisa non meno significativa; nella creazione ufficiale cioè di una festa nazionale comune per tutte le genti di lingua e di stirpe spagnola al di qua e al di là dei mari: el dia de la ra^a. Ed eccoci di nuovo indotti ad emettere una tesi che molto rassomiglia a quanto abbiamo dovuto dire sul mondo anglo-sassone: non ammette dubbio che la sfera di solidarietà che accomuna gli stati dell'America del sud alla Spagna, sorpassa di intensità, di calore e di sen-timento di gran lunga la solidarietà inter-europea, della quale la Spagna può far parte. Epperò è lecito affermare che alcuni tra i maggiori popoli d'Europa posseggono una graduatoria di affetti, nella quale gli altri popoli europei non tengono il primo posto, perchè appunto i suddetti popoli appartengono ormai, sentimen-talmente e in parte materialmente, a sfere più vaste. Molte delle osservazioni fin qui fatte potrebbero ripetersi, sia pure in tono assai minore, per altri popoli europei, come 8

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la Francia e l'Olanda. Questi due popoli hanno dovuto cedere, nel corso della storia bellica degli ultimi due secoli, le loro colonie più care e umanamente più preziose ad altre potenze, vincitrici in guerra; così la Francia ha ceduto il Canadà (colonia di popolamento) all'Inghilterra; come l'Olanda ha dovuto rinunziare, anch'essa a favore dell'Inghil-terra, a Nuova York e all'Africa meridionale. E tuttavia innegabile che, a dispetto dei legami politici spezzati, molti di questi paesi hanno perfettamente conservato, colla comu-nanza linguistica e tradizionale, le immanenti loro caratte-ristiche, per cui il canadese francese o l'afrikander olandese si sentono, in cuor loro, maggiormente uniti coi loro cugini d'Europa che cogli inglesi, in mezzo ai quali vivono. Altre grandi nazioni europee, tra le quali vanno annoverate gli italiani, i tedeschi e i polacchi, hanno regalato, sotto forma di emigranti, alle terre d'oltre oceano, e massime all'America, vale a dire a colonie od ex-colonie altrui, milioni dei loro figli. Non è certo probabile che questi discendenti delle nostre vecchie razze, contadini o artigiani, dispersi su territori immensi e viventi sotto l'imperio di altre leggi e di altre civiltà linguistiche, possano conservarsi intatti, resistendo per sempre alle leggi ferree dell'ambiente. Rimane però fuori dubbio che gli emigranti, naturalizzati, o meno, dalla nuova patria, continueranno di rimanere presenti alle menti ed ai cuori dei loro parenti lasciati nella patria antica, ai quali sono attaccati con mille nodi visibili e invisibili. Da quanto siamo andati esponendo scaturisce un dato di

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fatto, degno di star in cima ai nostri pensieri, ed è questo: non hawi quasi un solo popolo cospicuo in Europa, che, in una misura o in un'altra, non subisca nei suoi sentimenti di solidarietà, spesso (se pur non sempre) all'unisono coi suoi interessi economici, delle attrazioni extra-europee, e delle forze centrifughe atte a stornarlo tanto più facilmente dai suoi compiti europei in quanto che derivano appunto esse stesse da forze europee o similari, sia pur in un senso più ampio.

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2. Effetti del boicottaggio

« Le seul droit de l'acheteur, c'est d'acheter ou de ne pas acheter»..

L'espressione più spinta di questo diritto si manifesta nel boicottaggio. Il boicottaggio internazionale è per lo più uno sfogo d'ordine sentimentale. Il boicottaggio costituisce un tentativo spiccato, sebbene alquanto sporadico e slegato, di trasferire, coli'elimina-zione di generi di merci indesiderabili dalla circolazione commerciale, la determinazione della produzione alla massa dei consumatori.

Non sfugge a nessuno l'affinità funzionale che il boicottaggio presenta con una forma di dazio, quella di ritorsione (i); con questo infatti condivide l'estrema aggressività e lo scopo

(i) Fermo sempre rimanendo, naturalmente, che, mentre il dazio di ritorsione è un mezzo economico per raggiungere uno scopo economico, il boicottaggio è per lo più un mezzo di pressione economica per ottenere uno scopo politico.

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essenzialmente ad hoc. Ma vi è di più. Nell'uno che nell'altro dei casi l'azione è un mezzo destinato a ristabilire un equi-librio scosso. Il dazio di ritorsione non è un dazio di prote-zione; può essere, anzi, almeno tendenzialmente, liberi-stico, avendo della protezione la forma, non la sostanza che gli viene data dall'orientamento. E risaputo che il dazio di ritorsione venne raccomandato da Adam Smith quale mezzo pratico avente per finalità la lotta contro un prote-zionismo estero, perchè tendente al ristabilimento, ovvero alla introduzione, della libertà di commercio (i). Anche il boicottaggio mira unicamente ad infrangere degli osta-coli esterni, e non ha più ragione di sussistere quando tali scopi sono stati raggiunti; tanto il boicottaggio quanto il dazio di ritorsione sono mezzi escogitati per realizzare un dato fine; non possono essere fini a se stessi. Azioni boicottistiche possono scatenarsi ovunque esistano barriere doganali e, quindi, ovunque possano prendersi in un paese misure protettive suscettibili di danneggiare gli interessi di un altro. In tal caso la stessa medesimezza dello stato non costituisce più ostacolo al boicottaggio. Così si svolse nell'agosto-settembre 1934 una viva agita-zione boicottistica entro la stessa compagine dell'Impero britannico.

Nacque infatti, sul Lancashire, un serio tentativo di boi-

( 1 ) A D A M S M I T H , An Inquiry into the Nature and the Causes of the Wealth oj Nation (Ed. London, 1826, Dove, p. 432).

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cottare i prodotti australiani. Per favorire la produzione di cotone greggio nel Queesland, l'Australia aveva deciso di aumentare le tariffe imposte sulle importazioni dei filati di cotone inglesi. Evidentemente, la misura protettiva era in-tesa anche allo scopo di favorire la fabbricazione di stoffe di cotone nazionali in Australia. In seguito a questa mi-naccia si diffuse un grave malcontento nel Lancashire, già mezzo rovinato dal boicottaggio indiano e dalla concor-renza giapponese. Tuttavia l'agitazione non ebbe per cen-tro le organizzazioni tessili, ma invece, per la prima volta nella storia del boicottaggio internazionale, quello degl'in-teressati indiretti, vale a dire le grosse organizzazioni di ven-ditori di commestibili destinati al consumo dei padroni; im-piegati ed operai delle fabbriche tessili locali, le quali te-mevano che nuove difficoltà portassero a una nuova dimi-nuzione del potere di acquisto della propria clientela. A Bolton, a Blackburne e in altri centri del Lancashire e Provin-cie adiacenti, le potenti Grocers' and Provision Dealer's Associa-tions decisero, per scongiurare il suddetto pericolo, d'entrare in una lotta di ritorsione capace di determinare un ri mangia-mento delle tariffe giudicate ingiuste (Jor revising the politics of Australia) e di premere sul Gabinetto federale australiano. La proposta fatta fu quella di boicottare subito tutti i pro-dotti di provenienza australiana, rivolgendosi d'or'innanzi per l'importazione dello zucchero alla Nuova Zelanda e per quella delle sultanas alla Turchia (Smirne). - Avendo i co-tonieri del Lancashire promesso che si sarebbero valsi anche

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del cotone greggio del Queensland, pare che le teste calde delle due parti in contesa stieno oggi per riprendere senno. Ciò non toglie che l'episodio accennato sia assai suggestivo e interessante (i). Da un altro punto di vista, il boicottaggio commerciale internazionale, arma a doppio taglio, essendo esso una rap-presaglia indiretta con cui si intende agire su un campo non suo, provoca altre e più forti rappresaglie, e ne pro-voca nel campo suo proprio, alla stregua del proverbio tedesco settecentesco: « Haust Du meinen Juden, hau ich deinen juden! » (2). Il boicottaggio condivide pure una caratteristica col blocco continentale: l'impetuosità barbara. Nel decreto che Napo-leone mandò il 21 novembre 1806 al senato a Parigi e che do-veva giustificare la misura presa, trovansi le parole seguenti: « Il nous en a coûté de revenir, après tant d'années de civilisation, aux principes qui caractérisent la barbarie des premiers âges des nations: mais nous avons été contraints à opposer à l'ennemi commun les mêmes armes dont il se servait contre nous» (3). Sottolineamo: la barbarie des premiers âges. Pertanto nei loro momenti di maggiore

(1) Manchester Guardian dell'i i e 14 agosto e del 5 settembre 1934. (2) « Se tu credi di percuotere il mio (protetto) ebreo, io prenderò a picchiare l'ebreo (protetto) tuo ». (Cfr. anche G E O R G B U C H M A N N , Gefliigelte Worte. Zitatenschatx des deutschen Volhes. 24" ed., Berlino, 1910, Spener, p. 208). (3) A D O L P H E B L A N Q U I ( A Î N É ) , Histoire de l'économie politique en Europe depuis les an-ciens jusqu'à nos jours. Tome II. Paris, 1837, Guillaumin, p. 197.

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EFFETTI D E L BOICOTTAGGIO il 9

esaltazione, i- boicottanti non esitano a procedere ad atti di mera distruzione di ricchezza. Sia nel blocco continen-tale (i) che nei boicottaggi liberi moderni (come abbiamo accennato per l'India) (2), Vultima ratio di tali movimenti consiste nel rogo. Nel commercio interno, il boicottaggio può essere conside-rato azione illecita e punibile dalla legge sulla libertà di commercio. Per ovvie ragioni l'applicabilità di tale legge cessa invece allorquando il boicottaggio si dirige contro un'in-dustria straniera, sebbene, di per sè stante, si tratti, anche in questo caso, di una atteinte à la liberté du commerce (3). E vero che, per alcuni giuristi, il boicottaggio conterebbe appunto quale mezzo internazionale legale, da usarsi dalla Società delle nazioni, che con apposita decisione ricorre-rebbe a questo espediente per punire e ridurre all'ubbi-dienza uno stato accusato e colpevole di avere leso gli interessi di essa società (4). Se è già più che dubbia la lega-lità di una tale procedura, è anche vieppiù dubbia ancora la potenzialità societaria sufficiente per condurre a termine un cotale compito. Anziché arma societaria, il boicottaggio potrebbe essere, se mai, arma ufficiale in mano di uno

( 1 ) P E E Z , p . 2 6 0 e s e g .

(2) Cfr. p. 66, 85 di questo nostro scritto. (3) Cfr. per il Belgio, G E O R G E S D E L E E N E R , L'organisation sjndicale des chefs d'indu-strii. Bruxelles, 1909, Misch et Thron, voi. II, p. 378. (4) C H A R L E S C H E N E Y H Y D E , The Boycott as a Sanction of International Law, in « Poli-ticai Science Quarterly », XLVIII, 2 (1933), p. 2 1 1 . L'azione del boicottaggio dovreb-be dipendere da una sanction of judges nominati dalla Società delle nazioni.

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stato singolo. Negli Stati Uniti, il senato, dopo una viva discussione sul problema dei debiti internazionali (primave-ra 1934), aveva deciso di approvare un disegno di legge sul « boicottaggio finanziario » applicabile alle nazioni in-solventi, che doveva consistere nella proibizione di qual-siasi emissione di prestito o collocamento di titoli sul mer-cato nord-americano per conto di stati inadempienti agli impegni assunti in precedenti analoghe transazioni (1). Avremmo, tuttavia, da ridire sotto l'aspetto terminolo-gico (2).

Ai già più che incerti rapporti tra produzione e consumo, il boicottaggio reca un nuovo elemento di squilibrio. Il boicottaggio presuppone un immediato, e spesso - im-provviso e imprevedibile, mutamento nell'opinione degli uomini rispetto alla desiderabilità, e quindi all'importanza, di una serie di beni economici di una data provenienza; mutamento che avviene anche ove questi beni continuino, obbiettivamente parlando, a possedere le stesse qualità utili o le stesse capacità congenite che loro venivano attribuite prima. Donde si vede che il boicottaggio presenta pure un punto di contatto con la moda. Dice il Pantaleoni che « quanto più in una società sono costanti, attraverso i secoli, i gusti, tanto più, a parità di costi, è grande il rendimento; ovvero, brevemente, una società statica nei gusti ha un costo

(1) La legge è stata poi aggiornata. (z) Cfr. p. 51, 54, 55 di questo scritto.

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minore di una società dinamica nei gusti, se ed in quanto possono ancora paragonarsi » (i). Senonchè, la società capi-talistica è, per antonomasia, una società dinamica. La moda, per la quale Ferdinando Galiani dice di non aver saputo trovar altra definizione che quella di essere « un affezione del cerebro propria delle nazioni europee, per cui si rendono poco pregevoli molte cose, solo perchè non giungono nuove » (2); la moda, diciamo, coi suoi passaggi bruschi da un gusto collettivo ad un altro, svaluta in un attimo, senza cambiarne minimamente il valore d'uso, ingenti stocks di merce, togliendo ad essi ogni valore di cambio - il cosiddetto « Meinungskonsum » (il carattere logorante dell'opinione pubblica riguardo ai beni economici) dei tedeschi (3). Ora, un fenomeno simile avviene anche per il boicottaggio che, da un momento all'altro, dichiara tabù la vendita di merce intatta, ma malvisa. Di questa svalutazione repentina ri-mangono vittime, in ambedue i paesi in lotta, innanzitutto gli speculatori che, in previsione di forti aumenti di prezzo e di facile e sicura esitabilità per dati paesi, abbiano fatto soverchi acquisti e che poscia pagano il fio dell'aumento artificioso di merce al quale tien dietro appunto una forte diminuzione o addirittura la cessazione della domanda sui

( 1 ) M A F F E O P A N T A L E O N I , Scritti vari di economia. Roma, 1910, Castellani, p. 34. (2) F E R D I N A N D O G A L I A N I , Della moneta. Libri cinque. 2a ed., Napoli, 1780, Stampe-ria simoniana, p. 46. (3) Cfr. R O B E R T Z U C K E R K A N D L , voce Konsumtion, nel « Wörterbuch der Volks-wirtschaft », vol. II, Jena 1989, Fischer, p. 97.

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mercati consueti. La riuscita della speculazione ha per pre-supposto che nell'intervallo tra la compera e la vendita i prezzi crescano. La speculazione prevede questo aumento e lo accelera cogli acquisti fatti in anticipo. L'arenamento della vendita che segue il boicottaggio, per contro, ha un'azione sui prezzi che equivale al fallimento di ogni elemento speculativo. Quanto più i capitali, nella eterna loro ricerca di impieghi lucrosi, si siano lasciati attrarre dalle lusinghe di alti prezzi, tanto più grave sarà, col disin-ganno, la perdita dovuta al ristagno. Ma anche qualora la speculazione non sia stata, nei frangenti del caso, che cosa trascurabile, il boicottaggio presenta per il paese boicottato, colla immobilizzazione di parti cospicue della sua potenzia-bilità economica, una seria minaccia di diminuzione del reddito nazionale, dalla quale può scaturire una genuina crisi economica ove si consideri di quanto viene ridotto allora l'esito di molti prodotti, ristretta l'attività economica e quindi ribassato il valore dei capitali fissi e contratta la stessa domanda di lavoro. Giacché il danno recato all'in-dustria boicottata intaccherà immediatamente l'intero ciclo di produzione del quale è parte integrale; e presto la gan-grena guadagnerà il corpus oeconomicum della nazione. Le mosse ostracistiche spingono l'economia sempre più su una via che l'allontana dalla « regola pratica » del libero scambio. Esse consistono nell'abbandono delle vie finora battute, per indirizzare la produzione nazionale laddove non l'avrebbe diretta l'azione normale delle forze econo-

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miche. Ciò vale per il caso che il posto vacante venga occupato da una nascente industria nazionale, anche quan-do ciò avviene da parte di terzi concorrenti. È evidente che il boicottaggio generi spostamenti, più o meno cospi-cui, di ricchezza.

Tra gli argomenti addotti a negare i danni economici . provenienti dal protezionismo, figura l'asserto che nel

paese protezionistico i prezzi non si elevano, perchè i dazi vengono pagati dal produttore straniero le cui merci siano state gravate di dazio. La qual cosa, se non è sempre vera, può avverarsi tuttavia in date circostanze; e non sarà vera nel caso che mediante scoperta di nuovi sbocchi l'industriale straniero possa rendersi indipendente dal paese inteso ad ostacolare, colla legislazione doganale, il libero ingresso delle merci altrui (i). Anche il boicottaggio può perdere, almeno di fronte alla colpenda industria straniera, molto della sua efficacia, quando questa riesce a parare il colpo destinatole, cercando e trovando subito altri e nuovi mercati per rivol-gere ad essi la merce interdetta. Nel caso invece che il boicot-

, taggio abbia colpito con molta intensità la produzione stra-niera e che questa appunto non sia riuscita a ricorrere in-continente ad altri sbocchi, la necessità dello smaltimento degli stocks abbondanti le s'impone sul mercato interno. In tale maniera la liquidazione rallentata può creare la crisi, oppure prolungare quella eventualmente preesistente, ritar-

(i) Cfr. anche A R N A L D O A G N E L L I , Libero scambio, Milano, 1 8 9 7 , Hoepli, p. 9 1 .

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IOO BOICOTTAGGIO E CRISI ECONOMICHE

dando, con perdite gravissime per ogni genere d'intrapresa, il momento della ripresa. Certo le perdite allora consta-tate non sono già dovute alla crisi in sè, perchè traggono la loro cagione non dal periodo di liquidazione, ma da quello del boicottaggio che costituisce il loro punto di partenza più preciso. Il boicottaggio internazionale può ancora avere un altro effetto. Nella loro critica della cosiddetta teoria del fondo-sa-lario, secondo la quale la fissità del fondo stesso fa sì che la classe capitalistica non sarebbe disposta a destinare alla do-manda di lavoro che una quantità di capitale assolutamente determinata, vale a dire priva di qualsiasi elasticità (per cui ogni tentativo di elevare i salari sarebbe condannato a priori a fallire), i difensori del concetto economico dello sciopero si sono trincerati dietro la tesi dell'effetto rimuneratore del dif-ferimento della compra-vendita sul mercato del lavoro: il valore di una merce non crescerebbe soltanto per una diminuzione nella quantità offerta della merce stessa, ma per ogni influenza che rafforzi la condizione economica del pro-duttore e che gli consenta di soprassedere nella vendita del suo prodotto. Ora, ricorrendo all'arma dello sciopero, le organizzazioni operaie consentirebbero appunto ai venditori della merce-lavoro la facoltà di aspettare, di indugiare la loro vendita, e con ciò di ottenere, dai compratori della mede-sima, delle condizioni più vantaggiose (i). La tesi non è priva

( I ) A C H I L L E L O R I A , II movimento operaio. Palermo, 1903, Sandron, p. 86.

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EFFETTI DEL BOICOTTAGGIO i l 9

di valore astratto, che, in qualche caso almeno, è anche suscettibile di concretarsi. Epperò, alla stregua della stessa legge, anche l'interdetto della merce estera può, dopo la sua scadenza, essendosi ammucchiati gli stocks durante il periodo della sua validità (a meno che, ben inteso, l'impor-tatore boicottato non sia stato sostituito da altri), avere per effetto di diminuire i prezzi. La rarefazione delle braccia rincara le braccia, la rarefazione dei compratori fa calare i prezzi.

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C O N S I D E R A Z I O N I F I N A L I

Non sarebbe lecito sostenere, per analogia di quanto il Gini ha affermato per i dazi doganali (i), che cioè il boi-cottaggio sia, come arma di offesa, benefica, perchè, pur danneggiando l'economia nazionale del paese che lo impone, anche più fortemente danneggi quello degli altri paesi contro i quali è diretto. Sarebbe questo davvero una ben magra consolazione. Da una battaglia rimasta indecisa, in cui il preteso vincitore abbia avuto un numero quasi uguale di morti del vinto, non nasce nessuna nuova vita, neppure per il preteso vincitore; due cifre negative non dando mai, nel-l'addizione, una cifra positiva.

L'importanza del boicottaggio suolsi misurare talora sul-l'ammontare delle perdite materiali subite dalla parte boi-

(i) C O R R A D O G I N I , La revisione del processo contro il protezionismo. Trieste, 1923, Tra-

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122 IL BOICOTTAGGIO

cottata. Quest'ammontare è difficilmente esprimibile in cifre attendibili. Per il solo boicottaggio contro l'America, orga-nizzato dai cinesi nel 1905, si è voluto valutare la perdita a 100 milioni di lire sterline. Come efficacissimo ci viene descritto anche il boicottaggio cinese contro il Giappone, nel 1931-32; tant'è che la parte danneggiata stessa, menando alte lagnanze, credette di rendere di pubblica ragione, e in via ufficiale, le prove statistiche dei danni subiti, nei famosi suoi Documents submitted bj the Japanese Government to the Lytton Commìssión. Sono ugualmente innegabili gli effetti nocivi che gli atteg-giamenti indiani hanno esercitato sull'economia inglese. Egli è che, specialmente quando un'industria presenta già dei sintomi di crisi, il boicottaggio estero di cui vengano fatti segno le sue merci, assume caratteri di gravità (1). E vero che, mentre scriviamo (maggio 1934), le condizioni econo-miche dell'Inghilterra sono sensibilmente migliorate. L'In-ghilterra sta per superare buona parte della crisi. Senonchè, il Lancashire, vale a dire, l'industria cotoniera, è rimasta il suo tallone d'Achille. Al posto dei sette miliardi di metri quadrati di cotonate del 1913, il Lancashire non ne ha esportati che due miliardi nel 1933; e dal dodici per cento, nel 1929, la disoccupazione, nel territorio della contea, è passata al venti per cento all'inizio del presente anno. La concorrenza internazionale ha avuto un effetto tanto disa-

(1) Cfr p. 76 ss. di questo scritto.

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CONSIDERAZIONI FINALI 12}

stroso che le aziende attualmente in attività lavorano solo al cinquanta per cento della loro capacità. In Cina, nell'industria cotoniera, la metà degli stabilimenti appartiene a giapponesi o ad inglesi. Tuttavia, le imprese che trovansi in mani cinesi, quantunque meno bene attrez-zate, stanno facendo rapidi progressi. Nel 1930, attraverso il boicottaggio, la maggioranza dei fusi in opera era passata in mano di cinesi (1).

Se il boicottaggio porta al risultato di una sostituzione del prodotto boicottato con un prodotto nazionale, che del periodo del boicottaggio possa servirsi a guisa di una misura protezionistica, esso compie una funzione tendente verso l'autarchia. Se poi tale progresso autarchico concerne le industrie chiavi (la cui definizione esatta presenta tuttora gravi difficoltà), le basi economiche dell'economia nazionale ne risulteranno rafforzate (2).

Tuttavia, i risultati positivi ottenuti dai boicottanti sono spesso più politici che economici. L'onere economico riceve il suo compenso sul campo politico. Con altri termini, i sa-crifici economici si risolvono spesso in un corroboramento della posizione politico-estera del proprio governo. Ad alcuni scrittori l'arma del boicottaggio sembra preferi-

( 1 ) H . D . F O N G , Cottoti Industry and Trade in Cina. Tientsin, 1932, Nankai Institute of Economlcs, 2 voi.; cfr. pure E. B U R N S , British Imperialism in China. 1926. Labour Research Department. Colonial Series, n. 3. (2) Cfr. A T T I L I O G A R I N O - C A N I N A , Le « Industrie chiavi » « l'elisione dell'onere della pro-tezione nelle produzioni derivate, in «La riforma sociale», luglio-agosto 1923.

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124 IL B O I C O T T A G G I O

bile al conflitto aperto, per la sua superiorità d'efficacia (i). La tesi ci sembra più che dubbia. Piuttosto è lecito asserire che questo mezzo è più etico, più morale, perchè non mac-chiato di sangue sparso. Ad ogni modo, considerato di per sè, costituisce un mezzo più economico, o, se vuoisi, meno anti-economico, vale a dire meno costoso della guerra. Anche il boicottaggio distrugge ricchezze, ma è pur tuttavia meno distruttivo di una guerra guerreggiata, quantunque talora il boicottaggio possa anche diventare (come abbiamo già accennato [2]) il semplice prodromo di un conflitto armato.

Gli effetti del boicottaggio internazionale possono talora riuscire salutari quando esso agisca come sveglia, destando nel pubblico e nel governo del paese danneggiato la netta sensazione del valore del bene perduto o del pericolo in-corso e quindi della necessità di porvi al più presto rimedio. Cosi agi, per esempio, il primo boicottaggio indetto dai cinesi contro i prodotti americani nel 1905. Scrisse allora un'autorevole rivista di Nuova York : « Esso ha giovato all'utilissimo intento di risvegliare il sentimento sia pubblico che ufficiale sì da far comprendere l'importanza degli inte-ressi del nostro paese nell'impero cinese e la grossa follia di giocare con essi » (3). Due anni più tardi, quando si

( 1 ) H A R R Y W . L A I D L E R , Boycott, nella « Enciclopédia of the Social Sciences », /. c., p . 6 6 3 ; c f r . R E M E R . p . 2 4 7 e s e g .

(2) Cfr. p. n o di questo scritto. (3) Journal of Amsrican Ajiatic Association, luglio 1905.

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CONSIDERAZIONI FINALI 12}

rinnovarono in Cina gli appelli ad un altro boicottaggio anti-americano, gli organi ufficiali degli Stati Uniti si affret-tavano a dichiarare pubblicamente che le misure restrittive prese riguardo all'immigrazione gialla non intendevano mini-mamente toccare i cittadini cinesi in blocco, ma solo la mano d'opera; e così dicendo gli Americani, pur non eli-minando del tutto le cause del malumore asiatico, riuscivano tuttavia a raddolcire la pillola e a placare almeno la parte più remissiva dei negozianti e degli intellettuali cinesi (i). Non c'è che dire: in via generale il boicottaggio è un avver-timento brusco e rude quale si addice nel trattare con gente ottusa e lenta, ed è suscettibile di togliere di mezzo ostacoli e pericoli maggiori e di inaugurare, una volta pas-sata la tempesta, un'èra migliore, fatta di intese reciproche e più durature.

Esaminando, al lume dei fatti, la storia moderna dei popoli e degli stati, coll'intento di ricavarne, più che sia possibile, le leggi, scopresi senza difficoltà la coesistenza di due leggi, o tendenze, di loro natura contrastanti e che mal si conci-liano nei fatti, vale a dire la legge dell'unificazione economica e quella dell'unificazione nazionale. La prima esprime il bisogno delle genti moderne di unirsi per creare sfere economiche sempre più sicure e vaste, sfere omogenee che costituiscano grandi sbocchi commerciali, territori che, ba-

(i) P R A T O , Protezionismo operaio, p. 28.

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126 IL B O I C O T T A G G I O

sandosi sulla legge della divisione del lavoro e della naturale differenziazione economica, comprendano e zone agrarie e zone industriali, e centri bancari e porti marittimi, e che formino quindi, o tendano a formare, delle vere « autarchie ». Senonchè, un'altra legge ancora domina la storia moderna, ed è quella dell'unificazione nazionale. Essa legge tende ad equiparare i due concetti di stato e di nazione e di creare stati nazionali, in confronto all'applicazione, più o meno rigida s'intende, del principio di nazionalità. Essa conduce issofatto a dar la vita a piccoli stati nuovi, indipendentemente, e talora in antitesi, al fenomeno economico. Ora non è chi non veda che la guerra mondiale, nel cozzo tra le due ten-denze, ha dato la preferenza, col trattato di Versaglia, il più delle volte, a quest'ultima, sacrificando palesemente gli interessi economici agli interessi nazionali, o di popolo. L'esempio più manifesto della suddetta preferenza è la maniera colla quale venne trattata "la vecchia Austria. Anche per chi ritiene insostenìbile la tesi degli economisti austriaci od austriacanti, dover l'origine del fu impero austro-ungarico cercarsi nella naturale ed originaria comunanza dì interessi economici dei paesi danubiani, è tuttavia indubbio che l'esistenza stessa, politica e statale, durata molti secoli, di un'Austria-Ungheria, era valsa a creare una vasta unità legale ed economica, un vasto mercato interno che il trattato di pace, facendo a pezzi l'unità economica a favore delle varie unità nazionali ed etniche, ha distrutto. Nell'assieme, la modificazione avvenuta nelle frontiere poli-

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CONSIDERAZIONI FINALI 12}

tiche e il sorgere di molti stati nuovi, hanno fatto aumentare i confini di ben più di 40.000 chilometri. In Austria, il par-cellamento di vasti territori che se pur non formavano unità economiche naturali, erano diventati compatti per lunga comunanza di dominio, per l'esito della guerra e il loro riordinamento sotto forma di stati nazionali - distruzione che equivale ad un trionfo della politica e del sentimento sull'economia, ha destato spesso, nei dirigenti dei vari rami d'industria, il desiderio di far rivivere, sotto altra forma, gli antichi vincoli morti. Così si comprendono le tendenze ceco-slovacche, austriache, ungheresi, di strìngere nuovi nodi commerciali ed industriali che possono rimediare, in un certo qual senso, al male arrecato a tanti rami d'industria dal divorzio coattivo. Abbondano studi istruttivi sul pro-blema, di grossi industriali, banchieri e latifondisti austriaci, vale a dire austriaci nel vecchio senso del termine, i cui interessi economici sparsi per l'Austria tedesca, la Moravia e la Slovacchia rendono doppiamente intollerabili i nuovi confini perturbatori. A mo' d'esempio, nell'industria del vestiario la divisione del lavoro era, nell'antica monarchia, così fatta che il 90 % della tessitura toccava all'attuale Ceco-Slovacchia, mentre nella confezione il 36 % veniva for-nito dalla sola Vienna. In generale si può dire che l'Austria, salvo forse per le istituzioni bancarie più complesse e nelle quali per vari motivi, tradizionali e geografici, Vienna con-serva una specie di primato, dipende ora del tutto da stati già facenti parte del suo impero, come la Ceco-Slovacchia e

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128 IL B O I C O T T A G G I O

l'Ungheria. L'esemplificazione, illustrabile anche per mezzo di carte geografiche, porta alla tesi consistere l'unica sal-vezza nell'unione doganale. La tesi è di ardua applicazione, nè potrebbe evidentemente effettuarsi senza la precisa e ragio-nata volontà dell'Italia. Ma è tuttavia degna di segnalazione. Per molte industrie la restrizione dei mercati era anche aggra-vata dalla politica autarchica. Unica àncora di salvezza apparivano ad alcuni il cartello e il trust internazionali. Comprendiamo che, dal lato esclusivamente economico, lo sminuzzamento dell'antica unità vada considerato quale un passo indietro sulla via del benessere economico mondiale. Ma dall'altra parte ripetiamo cionulladimeno di rallegrarcene, perchè tale soluzione rappresenta forse il meno peggio. Non vorremmo essere malintesi. Le nuove nazioni, sorte dal ventre di Versaglia, benché in parte gonfiatesi oltre misura coll'ingordigia propria ai fanciulli, hanno tutte diritto all'esistenza, perchè hanno la piena coscienza della loro particolarità nazionale. Nè troviamo cosa contraria alla natura che questi nuovi stati, al fine di mettere prima in ordine l'improvvisata casa propria, soggiacciano al desiderio di tenere lontani, per un primo tempo, gli estranei chiu-dendo le frontiere che sono come le porte di casa. L'eco-nomista (purché non stimi, ingenuamente, che la storia dell'umanità altro non sia che la sempiterna ricerca dell'im-mediato utile materiale) non avrebbe il diritto, a nostro avviso, di maledire a questo nuovo raggio idealistico che illumina (o per lo meno intende illuminare) il mondo.

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CONSIDERAZIONI FINALI 12}

Ora, anche il boicottaggio internazionale può essere una forma tipica per la preferenza che spetta al concetto di va-lore di comunanza e di solidarietà nazionali di fronte ai valori economici. Conviene infatti considerare che il più alto scopo del boicot-taggio consiste nella liberazione della patria. Anche allora il mezzo economico impiegato è lo stesso, e cioè l'astensione dall'acquisto di merce prodotta dal nemico. In tal caso il boicottaggio si svolge in un paese di oppressi contro merci di oppressori. Un esempio tipico e glorioso insieme ci forni-sce la storia del risorgimento italiano, col rifiuto del popolo milanese, durante la dominazione austriaca in Lombardia, di fumare i sigari soggetti al monopolio austriaco, al fine di infliggere una perdita all'erario del governo odiato. Il boicottaggio nazionale, caratteristico a molti paesi asia-tici, contro l'Europa, significa per essi nientemeno che la lotta per la loro emancipazione dall'economia europea; è l'arma ritenuta capace di liberarli dalla naturale tendenza di sfruttamento del capitalismo occidentale.

Non possiamo qui più oltre preoccuparci delle modalità e delle limitatezze di cosiffatti conati (i). Giacché i nostri asserti vanno intesi in linea generale, e staremo per dire teorica. E solo sotto tale angolo visuale diremo ancora quanto segue:

(i) Cfr. p. 83 ss. del nostro scritto.

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i?o IL BOICOTTAGGIO - CONSIDERAZIONI FINALI

All'economista non deve incutere spavento, nei boicottaggi internazionali, neppure il presso di costo. L'economia che non è che un mezzo eudemonologico, deve cedere il passo ad altri mezzi ogni qualvolta questi possono sembrare più adatti a raggiungere lo scopo. Epperò il boicottaggio ha la sua perfetta ragione d'essere ogni qualvolta esso ci avvicini alla formazione di una nuova nazione statale, o volga a raf-forzare la compagine di una nazione già esistente. Le crisi morali psicologiche sono talora più gravi delle stesse crisi economiche, e vanno curate con anche maggiore premura; hanno quindi la precedenza. L'unità nazionale non si paga mai abbastanza cara. E inestimabile.

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Indice dei nomi

A

Afganistan, 95. Africa Meridionale, 106. Agnelli, 1 17. Ahmedabad, 75. Ayyar, 85. Alsazia, 59. America (v. Stati Uniti). America del Sud, 92, 96, 104, 105. Amsterdam, 36. Angeli (Norman), 64, 65. Angora, 69. Annam, 54. Arabi, 69. Argentina, 97. Askew, 27. Austria, 14, 26, 34, 64, 65, 126, 127, 129. Australia, 96, 97, i n .

B

Baldwin, 44. Balfour, 81. Barthou, 15.

Becker (B), 38. Belgio, 31, 118. Bellary, 66. Berlino, 59. Bernstein (Ed.), 59. Blackburm, i n . Boeri, 64. Bolton, ni. Bombay, 61, 66, 67, 73, 79, 80, 99. Boycott, 1 1 . Botero, 1 1 . Brasile, 97, 105. Brema, 39. Brodnitz, 27. Bucarest, 15. Bikhmann, no. Buenos Ayres, 99. Burchardt, 39. Burgeland, 14. Burns, 123.

c Calcutta, 66. Calecar, 75.

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132 INDICE DEI NOMI

Canadà, 42, 43, 45, 106. Capetown, 99. Catania, 5 x. Cavell (Miss), 32. Cecoslovacchia, 14, 24, 127. Challaye, 40. Cina, 15, 16, 33, 51, 52, 54, 59,65,66, 67,

68» 93. 95. 96, 98, 122, 123, 124, 125. Gauss," 39. Cognetti De Martiis, 86. Corinto, 14. Copenaghen, 57. Cornelissen, 37. Coronada, 81. Coster, 38. Cruppi 34.

D

Daniels, 96, 98. Danimarca, 14, 57, 63. Dehn, 56, 57, 64. De Leener, 1 13 . Dennery, 53, 66. De khan, 86. De Silva, 24. Dodecanneso, 56.

E

Ebrei, 14, 15, 23, 24, 25, no. Elster, 59. Elridge, 93. Eulenburg, 33. Eurasia, 101.

F

Ferrer, 36. Filadelfia, 45. Fong, 123. Ford, 99. Francia, 14, 23, 30, 31, 32, 34, 35, 38, 39,

43, 45, 51. 61, 83. 104, 106. Fryatt, 32.

G

Galiani, 115. Galles, 78. Gandhy, 37, 53, 75, 85, 86, 87. Garino Garino-Canina, 123. Garlanda, 39. Genovesi, 98. Gerault-Richard, 23. Germania, 13, 14, 15, 20, 23, 24, 26, 27, 30,

31. 32, 33. 35. 36, 38. 39. 43. 44. 45, 5°. 55, 56, 57, 63, 64, 74, 82, 83, 104, 106 112, 1 15.

Giappone, 16, 51, 53, 66, 67, 92, 93, 95, 96, 97, 100, no , 122, 123.

Gide, 31, 32, 33. Gini, 121. Glaro, 38. Goethe, 30. Gothein, 21, 50. Grunzel, 43. Guglielmo, 1 1 , 14, 24 64. Guyot (Yves), 31, 46.

H

Harms, 31. Hertz, 26. Hitler, 15, 24, 50. Horty, 36. Hyde, 113.

I

India, 37, 52, 54, 61, 62, 67, 71, 88, 93, 95, 98, no, 112, 122.

Inghilterra, 9, 14, 15, 16, 22, 31, 34, 35, 36, 37, 38, 42, 43. 44, 45, 4^, 5*, 53, 54, 61, 62, 64, 66, 67, 71, 88, 92, 94, 97, 98, 99, 101, 102, 103, 104, 105, no, 122, 123.

Irak, 68, 69. Irlanda, 1 1 , 22, 43, 66. Italia, 15, 34, 39, 51, 52, 55, 56, 57, 58, 78,

83, 99, 104, 106, 128, 129.

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I N D I C E D E I N O M I 133

K

Kawpon, 22. Kehm, 59. Krüger, 14, 64.

L

Laidler, 36, 62, 124. Lancashire, 75, no , 112, 121. Laotse, 85. Lee, 77. Leroy-Beaulieu, 25. Liverpool, 65. Lombardia, 129. Londra, 9, 94, 103. Loria, 118. Luisiana, 67. Lytton, 122.

M

Mac Culloch, 46. Madras, 66, 79. Manchester, 52, 86, 89. Mariotti, 78. Marocco, 35. Marsiglia, 87. Martin, 86. Ma^umdar, 73. Mazzei, 88. Meda, 35. Meile, 31. Mitra, 82. Mitscherlich, 26. Moravia, 127.

N

Napoleone I, 112. Neurath, jo. Nuova York, 106, 124. Nuova Zelanda, 110.

O Oceania, 96. Olanda, 14, 106.

Osaka, 52. Ottawa, 103.

P

Pagliari, 59. Palmerston, 115. Pantaleoni, 1 15. Parigi, 113. Pecchio, 51, 56. Peez, 56, 1 13 . Pernot, 84. Persia, 95. Perù, 11. Pillai, 80, 82. Pilsen, 15. Pinon, 68. Polonia. 14, 20, 21, 23, 24, 26, 82. Porritt, 43. Portogallo, 37, 104, 105. Posnania, 20, 23, 26, 82. Prato, 33, 125. Puna, 67.

Q

Queensland, in, 112.

R

Rangun, 67. Reggio Emilia, 57. Remer, 16, 28, 48, 52, 60, 124. Ricardo, 41. Roosevelt (Miss), 68. Roosevelt (Franklin), 100. Ruhr, 14. Rumenia, 14. Russia, 14, 101.

S

Sarkar, 80, 87. Sciangai, 67, 94. Scoria - Scozzesi, 69. Scbesmg, 13, 14, 63.

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134 I N D I C E D E I N O M I

Schultze, 81. Schumacher, 45. Slovacchia, 125. Smirne, no . Smith, no . Spagna, 1 1 , 35, 92, 104, 105. Spedden, 40, Stati Uniti d'America, 15, 33, 37, 40, 43,

52, 66, 67, 68, 74, 79, 92, 93, 94, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 1 12 , 122, 124, 125.

Stresemann, 30. Strigi, 63. Svizzera, 22, 38.

T

Taft, 68. Toronto, 42. Transvaal, 64. Turchia, 14, 60, 64, 65, 69, no .

W Wakil, 80. Washington, 93. Weber, 49, 61. Wiese, 23, 62. Wilson, 84.

U

Ungheria, 14, 15, 34, 36, 126, 127.

V

Vienna, 65, 127.

Z

Zingtao, 16. Zuckerkandl, 1 15.

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FINITO DI STAMPARE IL 29 SETTEMBRE 1934- XII NELLO STABILIMENTO DI ARTI GRAFICHE DEL-LA DITTA FRATELLI

POZZO IN TORINO

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