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I giovani presentano il territorio

I quaderni di Santa Giustina n. 4

I tesori di Formegan

A cura della classe 3^C

Scuola Secondaria di Primo Grado

Istituto Comprensivo “Gianni Rodari” di Santa Giustina

a.s. 2015-2016

In collaborazione con il Comune di Santa Giustina

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Testi e fotografie a cura degli alunni della classe 3^C

dell’I.C. “G. Rodari” di Santa Giustina:

Bardin Alessandro

Bortoluzzi Federica

Cassol Gosanesh

Dal Zotto Alyssa

De Zordi Samuele

Di Francesco Noemi

Facchin Thomas

Fregona Francesco

Frescura Martino

Gerlin Angelica

Giazzon Erika

Gurrieri Lorenzo

Mares Valentino

Mares Vittoria

Noto Giuseppemmanuele

Peruzzo Igor

Pol Nicola

Riti Carina

Rombaldi Eva

Triches Aurora

Val Daniele

Zera Gaia

Coordinamento:

prof. Vello Michele

prof. Masini Matteo

Quaderno autoprodotto, tutti i diritti sono riservati

Santa Giustina 2015

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Sommario

Prefazione .................................................................................................. 6

Premessa ................................................................................................... 7

Introduzione .............................................................................................. 8

La Chiesa di Formegan ............................................................................... 9

Villa Biasuzzi ............................................................................................ 12

Affreschi e nicchie votive ......................................................................... 13

L’orologio solare di Villa Cassol ................................................................ 14

Il sacello ................................................................................................... 16

Antonio da Romagno, un grande umanista ............................................. 17

Le spade bellunesi ................................................................................... 18

La pietra misteriosa ................................................................................. 20

Bibliografia ............................................................................................... 22

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Prefazione

Ad ogni uscita i Quaderni di Santa Giustina, realizzati da allievi e insegnanti

dell’Istituto “G. Rodari” si rivelano non solo delle agili e piacevoli guide per chi

desideri conoscere a poco a poco il territorio comunale, ma anche uno stimolo a

svolgere nuove ricerche e a frequentare gli angoli meno conosciuti che rappresentano le

peculiarità dei nostri paesi.

Formegan è uno dei centri più antichi del nostro Comune, con strutture

architettoniche di grande pregio come chiese e ville, qualche cortile che ricorda ancora

la tipologia tipica della casa feltrina ed una storia millenaria che la pubblicazione ben

evidenzia.

La curiosità dei ragazzi, accanto all’esperienza dei due insegnanti che da anni

seguono questo progetto, ha dato vita a questa quarta pubblicazione che va a

delineare un percorso di valorizzazione del nostro territorio di cui le attuali

generazioni sono protagoniste e non solo passivi fruitori.

Grazie a tutti coloro che hanno collaborato e buona lettura a quanti con questo

libretto in mano decideranno di percorrere le strade di Formegan con un occhio un po’

più attento e curioso.

L’Assessore all’Istruzione Il Sindaco

Angela Bortolin Ennio Vigne

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Premessa

Qualche anno addietro, quando proponemmo il progetto de “I quaderni di Santa

Giustina“ non avevamo idea di dove saremmo arrivati. Volevamo coinvolgere i

ragazzi nella promozione del proprio paese, in modo che si rafforzasse il legame tra

loro stessi e il territorio in cui vivono. Ora siamo a proporre il quarto quaderno di una

collana che viene apprezzata anche dal pubblico e c’è già chi ci incita a proseguire con

il quinto numero. Desideriamo sottolineare come il progetto sia stato possibile grazie

all’approvazione del Collegio Docenti e al sostegno dell’Amministrazione Comunale

che ha voluto scommettere sui propri giovani. Dal canto nostro esprimiamo la

soddisfazione per i risultati ottenuti e per la sinergia che si crea tra gli studenti

quando lavorano attorno ad un progetto comune. Speriamo troverete di vostro

gradimento le pagine che seguono e vi diamo appuntamento per il numero 5!

Michele Vello

Matteo Masini

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Introduzione

Abbiamo scelto di

presentare Formegan

in questo libretto

perché pensiamo che

sia una frazione

particolarmente

interessante, sia dal

punto di vista

storico/culturale, sia da

quello naturalistico.

Nella frazione sono

infatti presenti

monumenti storici importanti come Villa Biasuzzi, la Chiesa di S. Rocco, parecchi

capitelli ed affreschi votivi, qualche traccia degli antichi mulini e delle fucine degli

spadai, un tempo famosi, e anche una misteriosa pietra, della quale scoprirete di più

continuando nella lettura.

Abbiamo trovato le informazioni, che ci sono servite per scrivere questa nostra

guida, attraverso impegnative ricerche di gruppo, in biblioteca e in internet, e grazie

ad alcune escursioni sul territorio, che ci hanno permesso di documentarci meglio su

questa piccola, ma interessantissima frazione, ricca anche di bellezze naturali. A

queste e alle più importanti opere d'arte abbiamo scattato parecchie fotografie.

Alcune le abbiamo inserite nel nostro testo per renderlo più coinvolgente e

accattivante, insieme a tante notizie, non tutte molto conosciute. Avrete quindi

l'occasione di scoprire qualche particolare poco noto del nostro bel territorio, che

troppo spesso viene ingiustamente trascurato. Speriamo di avervi fatto venir voglia

di leggere e magari di fare una passeggiata per Formegan, alla scoperta dei suoi

piccoli tesori. Vi auguriamo una buona lettura e... buona passeggiata!

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La Chiesa di Formegan

Nel cuore della frazione troviamo la chiesa di Formegan, dedicata prima a Santa

Maria Nascente ed oggi a San Rocco. Di questa chiesa si hanno pochi documenti,

uno di questi è una lettera di Papa Lucio III da cui si capisce che la chiesa era

presente già nel 1184. Poi fu ristrutturata tra il 1200 ed il 1300 e continuò nel tempo

a subire modifiche, tra cui alcune molto importanti tra 1400 e 1500. Un tempo

intorno alla chiesa (dove attualmente c'è la piazzetta) sorgeva un cimitero,

delimitato da alberi di noci, e in seguito da alberi di gelso. Nel 1780 venne

restaurato anche il campanile.

Nel 1930 la chiesa è ridotta così male che si progetta di demolirla, e di costruirne

una nuova su progetto dell'architetto Alpago Novello. Ma i fondi non bastano, così

nel 1931 si decide di restaurarla a fondo impiegando le risorse disponibili.

Gli ultimi interventi risalgono a pochi anni orsono e interessano il risanamento della

struttura interna, con la scoperta di preziosi affreschi di età medievale.

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La caratteristica principale di questa chiesa, che la rende così bella, è la ricchezza di

affreschi che, anche se incompleti, raffigurano l’Ultima Cena, il San Sebastiano, il San

Rocco, la Madonna con Bambino e San Vittore.

L’Ultima Cena ha tra gli elementi principali il pane e il vino, che sono simboli

eucaristici, ma nella scena si dà anche molto spazio a Giuda che ha tradito Gesù. La

tavola suddivide l'affresco in due parti: in alto si trovano, solenni, gli apostoli più

vicini a Gesù, cioè i “buoni”. Invece in basso è raffigurato solo Giuda, piccolo e

brutto, con la borsa dei

denari nella mano,

allusione al suo

tradimento, e separato

dagli altri. Tutti gli

apostoli hanno una

aureola dorata segno di

bontà e fedeltà, invece

Giuda porta in testa

un’aureola più piccola e

scura, segno di

tradimento. Sulla tavola

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c’è anche il pesce, simbolo di Cristo stesso, fin dai tempi dei primi cristiani. Sono

raffigurati anche l’agnello, che è simbolo del sacrificio di Gesù sulla croce. Non

mancherete di notare molte ciliegie che, per il loro colore rosso sangue,

probabilmente simboleggiano la

passione del Signore, e gamberi,

che al tempo erano molto diffusi

nei corsi d’acqua dolce e

potrebbero simboleggiare la

rinascita dopo la morte.

La chiesa ospita al suo interno

anche un affresco votivo,

purtroppo non perfettamente

conservato. Risale al 1515 e

rappresenta i “santi della peste”,

San Rocco e San Sebastiano, che

appunto venivano invocati

quando c'erano delle pestilenze

che colpivano duramente la

popolazione.

La chiesa custodisce anche le preziose reliquie (visibili in fotografia) di San Rocco,

accompagnate dalle certificazioni papali attestanti l’autenticità.

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Villa Biasuzzi

La villa è edificata alle spalle della chiesa. Si tratta di un complesso di edifici costruiti

nel corso di varie epoche, oggi purtroppo deturpato

dalla strada statale, costruita circa mezzo secolo fa.

Giungendo da Feltre, si nota immediatamente un

caratteristico frontone, molto elaborato, posto sopra

ad un basso fabbricato, addossato all'edificio

originario, che ora ospita un bar. Avvicinandosi, si

nota un ampio cortile, sul quale si affacciano edifici

diversi tra loro che comunque danno ancora un'idea

di come doveva strutturarsi il complesso nel periodo

di massimo splendore.

La parte più antica della villa risale al 1600 ed è

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costituita dall’edificio centrale; tipico il suo piano nobile, adornato da elaborate

finestre, di cui due con poggiolo.

La parte rimanente risale al 1700. L’ingresso si trova di fronte alla chiesa. L’entrata

era costituita da un arco che i soldati tedeschi demolirono durante la seconda

guerra mondiale. Oggi parte delle pietre di quell’arco sono poste a destra del

cancello a formare delle panchine. Entrando, ci si ritroverà nel cortile; alla nostra

sinistra troveremo l’edificio che ospita il bar, mentre proseguendo potremmo

osservare il corpo padronale.

Affreschi e nicchie votive

Sul muro di un’ abitazione, precisamente sul

lato nord/est in via San Mario 17 si trova un

affresco che raffigura la Maria Vergine con

Bambino e San Pietro. La tecnica usata dal

pittore, del quale non si sa il nome, è

l'affresco. Le misure dell’opera sono 140x90

cm e l’altezza massima da terra è di circa

quattro metri. Il dipinto raffigura Maria in

una veste rossa con il manto blu, che regge

fra le braccia il bambino Gesù con il capo

raggiato. Nella mano destra tiene uno

scettro. San Pietro è raffigurato con le chiavi, il suo

attributo più caratteristico, perché, come noi

sappiamo, è con quelle che il santo apre le porte del

paradiso.

Ai piedi della figura c’è questa scritta: “Ave Maria,

1885 S. Pietro”. L’affresco si presenta in fase di

deterioramento e necessiterebbe di interventi di

restauro.

In una nicchia su muro, lungo via Trevigiana, sono

rappresentati la Madonna del Carmine e due santi.

La tecnica usata è quella dell’affresco. Il dipinto

raffigura la Madonna col Bambino posti tra le

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nuvole. Gesù tiene in mano gli scapolari. Sullo sfondo compare il Pizzocco, la

montagna di Santa Giustina. L’affresco risale al XVII secolo.

L’orologio solare di Villa Cassol

Sulla parte superiore della facciata meridionale della bella Villa Cassol di Piazza

Dolomiti è possibile apprezzare una meridiana. Anche se meridiana è il termine più

diffuso, sarebbe più corretto chiamarla orologio solare, uno strumento di

misurazione del tempo basato

sul rilevamento della posizione

del sole.

La meridiana è composta da

un’asta, lo stilo detto anche

“gnomone”, che proietta

l’ombra del sole sul quadrante

dell’orologio. L’ombra è la

“lancetta” che indica l’ora

durante la giornata.

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Sempre sul quadrante si notano due linee arcuate. Quella superiore indica la data

del solstizio d’inverno, il 21 dicembre. In quel giorno l’ombra proiettata dallo

gnomone percorre esattamente la linea. Quella inferiore segna la data del solstizio

d’estate, il 21 giugno. Al centro è segnata la linea equinoziale, che viene percorsa

dall’ombra dello stilo nelle date degli equinozi di primavera e di autunno.

La meridiana riporta un motto che è anche un insegnamento: Carpe diem, cioè

“cogli l’attimo”.

Gli orologi solari furono costruiti fin dai tempi dell’antico Egitto, ma forse hanno

origine ancor più antica,

ed hanno accompagnato

la storia dell’umanità per

diversi millenni.

Alle spalle della villa, si

entra in un caratteristico

cortivo dove si trovava il

vecchio Casello di

Formegan. Sulla parete di

uno degli edifici è

possibile apprezzare un

affresco che riporta

l’immagine di San

Martino intento a tagliare

il proprio mantello da donare al povero.

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Il sacello

Formegan ospita molti sacelli come ad esempio il sacello della Maria Vergine e SS.

Vittore e Corona che raffigura la Madonna con il bambino e i due santi. Il sacello,

posto in via Nazionale nei pressi di Piazza 1° Novembre 1918, è costruito con pietra

e marmi per l’altare, ha pianta rettangolare e vi si accede attraverso un’ampia arcata

impostata su due piccole colonne. Sulla parte posteriore vi è un vano chiuso dalla

funzione non ben conosciuta. Il sacello venne restaurato nel 1971. Il 14 maggio di

ogni anno, in occasione della celebrazione dei SS. Vittore e Corona, proprio qui viene

celebrata la messa.

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Antonio da Romagno, un grande umanista

Antonio da Romagno, figlio di Vittore, nacque a Feltre nel 1360 e morì prima del

1410. Fu uno dei più grandi umanisti in contatto con i massimi pensatori della sua

epoca.

I da Romagno appartenevano all’antica nobiltà feltrina, infatti Romagno è anche una

delle frazioni di San Gregorio. Antonio fu forse scolaro di Giovanni Conversino (1343-

1408), amico del poeta Francesco Petrarca. Studiò anche filosofia sotto la guida di

Battista da Belluno, un grande studioso.

I da Romagno s’erano però impoveriti: il padre aveva dovuto vendere molti

possedimenti. Antonio si sposò in giovane età e nel 1387 nacque la primogenita.

Dopo di questa, egli ebbe altri sei figli. Dal 1384 al 1389 Antonio fu Cancelliere della

Comunità di Feltre. Quando nel 1398 scoppiò a Feltre una terribile pestilenza,

ricordata anche dallo storico seicentesco Antonio Cambruzzi nella sua Storia di

Feltre, la famiglia da Romagno fu una delle più gravemente colpite. Antonio perse

infatti quasi tutti i suoi figli e anche la moglie.

Rimasto vedovo, con l’unico figlioletto Fabio di due anni, Antonio continuò a vivere

nella sua piccola casa di Formegàn, cercando sollievo in Dio, negli studi e nell’amore

per la natura. Fu proprio in questo periodo che egli strinse amicizia con il vescovo di

Ceneda Pietro Marcello, il quale s’adoperò anche per trovargli un posto dignitoso a

servizio di un notabile della Repubblica, il patrizio veneziano Zaccaria, posto che

però Antonio non si sentì di accettare. Il vescovo gli propose allora di passare al suo

servizio, proprio nel castello di San Martino di Ceneda, come maestro. Antonio

questa volta si lasciò facilmente persuadere e nel tardo autunno del 1403 scese dal

paese, “dagli aspri colli di Formegan” alle “dolcissime colline di Ceneda”. Ma la

nuova dimora gli piacque non tanto per le comodità di vita che gli offriva il sontuoso

castello vescovile, quanto per le bellezze naturali che vi si godevano. Scrisse molte

lettere nelle quali lodava lo splendido paesaggio, tutte rigorosamente in elegante

latino com’era suo costume. L’ultima lettera da Ceneda è del 9 marzo dell’anno

1404. Subito dopo egli deve aver fatto ritorno a Formegàn, ai suoi «famigliari

ricordi». La sua opera più importante è un trattato intitolato De Paupertate (Sulla

povertà) in cui Antonio fa l’elogio della vita povera, scritto che non poté mai

terminare perché giunse alla fine dei suoi giorni nell'anno 1409 a 59 anni d'età.

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Le spade bellunesi

Formegàn, non tutti lo sanno, ma è stata culla di spadai famosi in tutta Europa.

Per “spada antica” si intendono tutte le armi bianche utilizzate nel mondo antico,

nel Medioevo, nel Rinascimento e nel periodo successivo fino al 1800.

Dal 1500 si comincia a considerare la scherma un’arte. In quest’epoca la Provincia di

Belluno era famosa in tutta Europa per la produzione di spade. Esse erano infatti

molto rinomate, alla pari di quelle di Toledo (Spagna) e Solingen (Germania),

entrambi centri produttori di spade di altissima qualità. Nella nostra provincia erano

presenti tre centri principali di produzione di spade: Belluno, dove lavorava Andrea

Ferrara, che si dice avesse trovato il segreto della tempra perfetta, che consentiva

alle sue lame di piegarsi fino all’elsa, e Feltre, dove lavoravano 50/60 spadai.

L’ultimo centro è Formegan, dove lavorava Pietro, figlio e fratello di spadai. Sia

Pietro sia Andrea erano molto famosi in Europa e nel mondo, e producevano lame

per personaggi anche molto importanti. Per forgiare le spade occorreva avere a

disposizione legno, acqua e ferro, quindi il territorio bellunese era un posto ideale.

Nella provincia, infatti, erano presenti il ferro delle miniere della Val del Mis,

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dell’Agordino e soprattutto quelle del Fursil a Colle Santa Lucia e nello Zoldano, il cui

minerale ferro-manganesifero, si prestava maggiormente alla fucinatura di lame. Era

presente l’acqua del fiume Ardo, che passa per Belluno, e quella della roggia di

Formegan.

Nel 1500 vennero scritti dei veri e propri trattati su come combattere, e nei duelli

venivano utilizzate armi molto disparate tra loro, quali falci e falcetti. Nei periodi

successivi vengono creati nuovi tipi di spade, perciò se nel 1500 vengono usate le

cosiddette Spade da Lato, nel 1600 c’è la Striscia e nel 1700 il Fioretto.

La Spada da Lato veniva spesso utilizzata assieme alla Daga, un pugnale che poteva

essere usato per parare, e, a volte, contrattaccare, o la cappa, un mantello che

veniva avvolto sull’avambraccio e utilizzato per fermare la spada dell’avversario. La

Striscia è un’evoluzione della Spada da lato, mentre il fioretto è la spada più leggera

(pesava infatti qualche etto) ed ha una lama conica.

Una spada si divide in due parti: il fornimento (comprende anche l’impugnatura) e la

lama. Solitamente l’autore del fornimento era diverso da quello della lama, come ad

esempio Pietro ed Andrea, che fabbricavano esclusivamente lame. Queste erano

marchiate con la lupa (simboleggiava l’alta qualità), una testa di moro o di re

(marchio utilizzato da Pietro) oppure direttamente il nome (come usava fare

Andrea).

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La pietra misteriosa

In un cortile privato cui si accede

dal lato est di Piazza Madonna di

Settembre, passando a fianco di

un negozio di abbigliamento, c’è

una strana pietra in parte

consumata. Si tratta di un blocco

di calcare locale di forma quasi

cilindrica, alto circa un metro e

leggermente bombato nei fianchi,

con un foro nel mezzo, del quale

non si sa ancora con precisione la funzione che aveva in passato.

Alcuni storici dicono si tratti di una pietra di centuriazione, la quale veniva usata dai

gromatici romani (una sorta di geometri di oggi) con lo scopo di misurare in modo

molto preciso i campi, che venivano poi consegnati ai soldati che terminavano il

servizio presso l’esercito. Essi ricevevano dal

governo, come segno di ringraziamento, questo

pezzo di terra dove avrebbero tranquillamente

potuto vivere e costruire casa. La pietra funzionava

nel seguente modo: sulle scanalature presenti sui

bordi (non visibili nella nostra pietra) venivano infilati

dei bastoni legati tra loro nel punto in cui si

incrociavano. A questi veniva appeso un piombino,

che tracciava un'ombra per terra. Servendosi di più

pietre, i gromatici potevano tracciare dei confini

anche molto precisi (immagine tratta da

http://www.tanogabo.it/).

Però questa idea non è accettata da tutti gli esperti perché, solo a Belluno, ci sono

circa 100 pietre di questo tipo ed è ritenuto un po’ improbabile che in passato ci

siano stati così tanti soldati nella sola provincia di Belluno.

Perciò altri studiosi hanno formulato un’ipotesi sicuramente interessante; hanno

pensato che se in passato nella provincia di Belluno esistevano tanti campi di viti (la

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produzione di vino era diffusissima), allora probabilmente le pietre avrebbero

potuto svolgere la funzione di contrappeso per i torchi. Questo tipo di macchina,

relativamente costosa, offre il vantaggio non indifferente di un limitato impiego di

manodopera (due o tre uomini) e di un notevole sfruttamento delle vinacce in

quanto si possono ottenere con una leva di lunghezza complessiva di 11 metri, e

pietre pesanti circa 1600 chilogrammi, delle forze prementi dell’ordine di 12

tonnellate. I pregi la resero comunissima e, nella sua meccanica

rudimentale, tecnicamente perfetta, rimase inalterata fino al principio del XIX

secolo. La pietra, quindi, poteva avere ciascuna di queste due funzioni. Non è

comunque da escludere che possa essere stata sia una pietra di centuriazione, sia un

torchio da vino, e che abbia cambiato funzione nel corso del tempo.

Termina per ora il nostro tour alla scoperta dei tesori di Formegan. Un viaggio, però,

che non si conclude qui, ma si arricchirà con il prossimo quaderno!

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Bibliografia

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Belluno 2015

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ALPAGO NOVELLO A., Ville della Provincia di Belluno, Milano 1982

ALPAGO-NOVELLO C., “Capitelli” segni di religiosità popolare a Santa Giustina, Rasai

2001

ALPAGO NOVELLO L., Resti di centuriazione romana nella Val Belluna, in Rendiconti

dell'Accademia dei Lincei, s. 8, 12, 1957, p. 249-266

BARTOLINI D., Ruote ad acqua lungo il Veses. Storia e tecnologia, Rasai 2005

CAMBRUZZI-VECELLIO A., Storia di Feltre 1873-1877, rist. anast. Feltre 1995.

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Conte, Milano 1997, pp. 125-127.

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MAZZOTTI G., Feltre, Feltre 1973

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GLI AUTORI:

Bardin Alessandro

Bortoluzzi Federica

Cassol Gosanesh

Dal Zotto Alyssa

De Zordi Samuele

Di Francesco Noemi

Facchin Thomas

Fregona Francesco

Frescura Martino

Gerlin Angelica

Giazzon Erika

Gurrieri Lorenzo

Mares Valentino

Mares Vittoria

Noto Giuseppemmanuele

Peruzzo Igor

Pol Nicola

Riti Carina

Rombaldi Eva

Triches Aurora

Val Daniele

Zera Gaia

Classe 3^C

Scuola Media – Istituto Comprensivo “Gianni Rodari” di Santa Giustina -

a.s. 2015-2016

Della stessa collana: