Igor Sibaldi - Non Solo Anima

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1.INTRODUZIONE 12/02/08 Ho chiesto, agli indaffarati responsabili di NONSOLOANIMA WebTV, di mettere un sottotitolo teologico a questa mia rapida collaborazione ai loro Blog. Hanno accettato con qualche perplessità, e più che altro per amicizia, credo. Sanno bene che (in Italia soprattutto) parlare di TEOLOGIA è indelicato, specialmente se chi ne parla è, come me, lontanissimo da ogni Chiesa. È rubare il mestiere ai religiosi; è confondere le certezze di molti, che credono nella necessità di una divisione del lavoro intellettuale: il filosofo parli di filosofia, il letterato di letteratura, il teologo di teologia e, soprattutto, nelle sedi opportune – e non così alla buona. Ma sono certezze che io non condivido, specialmente in questi tempi difficili. Credo che la teologia contenga tesori oggi indispensabili a tutti , e sia davvero un peccato lasciarli chiusi in complicati forzieri. Non è complicata, infatti, di per sé. In sostanza, un ragionamento teologico ha soltanto due condizioni: 1.l’idea che il tuo «io» sia anche un’anima, cioè qualcosa di molto più grande di quel che tu sai di te; 2.l’idea che in certi libri famosi, chiamati sacri, ci siano molte cose che ti riguardano personalmente, benché quei libri siano stati scritti migliaia di anni fa. Tutto qui. A me risulta che da questi due princìpi possa trarsi una splendida forma di psicologia , ancora ignota in gran parte agli psicologi contemporanei. Che nell’invisibile, in cielo, nei mondi divini o nelle storie di profeti e patriarchi, si possano insomma trovare soluzioni o suggerimenti utilissimi, molto antichi sì, ma non per questo antiquati. Soluzioni e suggerimenti anche pratici, quotidianissimi appunto, riguardo al cosa fare adesso, a come scegliere, a come accorgersi, e a come cavarsela, e via dicendo. Occorre soltanto non lasciarsi intimidire dal linguaggio arcaico di quei libri, dal tono minaccioso di certe parole e di certi dogmi, o – soprattutto! – da quel che ne dicono i tradizionalisti, molto preoccupati di non urtare autorità, luoghi comuni, articoli di fede. In teologia, o sei timido o ti stupisci di continuo. Proviamo, amici? Vediamo che succede. A puntate. Una puntata ogni due giorni, a partire da dopodomani. 2.ADESSO 13/02/08 Comincerò da un argomento teologico veramente quotidianissimo ai nostri giorni: il Diluvio . La storia è ben nota, nelle sue linee generali: un giorno Dio decise di distruggere la Terra e di salvare un uomo solo, il giusto Noè , con la sua modesta famigliola. Gli consigliò di costruirsi un’Arca di dimensioni opportune, e gli chiese di dare, su quell’Arca, un passaggio a una coppia di esemplari d’ogni specie vivente. Noè obbedì. E quando tutto fu pronto, cominciò a piovere. «Perché?» domanda, o meglio potrebbe domandare chiunque ripensi a questa storia. «Perché distruggere tutto? Perché così pochi i salvati?» La prima domanda da porsi , su una qualsiasi storia sacra, è invece un’altra, e precisamente: «A chi si rivolge?» E la risposta è sempre: «A te, se sai ascoltarla». Le storie sacre, infatti, sono così chiamate non perché una qualche autorità religiosa le abbia dichiarate tali, ma perché hanno la caratteristica di rivolgersi sempre direttamente a chi le ascolta , e di parlargli di qualcosa che lo riguarda da vicino. In questo, non sono diverse da tutte le altre cose che ti circondano: tutto, sempre, parla con te e ti spiega, ti insegna, ti consiglia, se sai accorgertene. Nelle storie sacre, questo consigliarti è solo un pochino più evidente che nel resto. Una seconda domanda , non meno utile, da porsi dinanzi a una storia sacra (e dinanzi alla storia del Diluvio in particolar modo) è: «Quando si rivolge a me?» E la risposta è altrettanto semplice: «Adesso». I teologi di

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1.INTRODUZIONE 12/02/08 Ho chiesto, agli indaffarati responsabili di NONSOLOANIMA WebTV, di mettere un sottotitolo teologico a questa mia rapida collaborazione ai loro Blog. Hanno accettato con qualche perplessità, e più che altro per amicizia, credo. Sanno bene che (in Italia soprattutto) parlare di TEOLOGIA è indelicato, specialmente se chi ne parla è, come me, lontanissimo da ogni Chiesa. È rubare il mestiere ai religiosi; è confondere le certezze di molti, che credono nella necessità di una divisione del lavoro intellettuale: il filosofo parli di filosofia, il letterato di letteratura, il teologo di teologia e, soprattutto, nelle sedi opportune – e non così alla buona. Ma sono certezze che io non condivido, specialmente in questi tempi difficili. Credo che la teologia contenga tesori oggi indispensabili a tutti , e sia davvero un peccato lasciarli chiusi in complicati forzieri. Non è complicata, infatti, di per sé. In sostanza, un ragionamento teologico ha soltanto due condizioni: 1.l’idea che il tuo «io» sia anche un’anima, cioè qualcosa di molto più grande di quel che tu sai di te; 2.l’idea che in certi libri famosi, chiamati sacri, ci siano molte cose che ti riguardano personalmente, benché quei libri siano stati scritti migliaia di anni fa.

Tutto qui. A me risulta che da questi due princìpi possa trarsi una splendida forma di psicologia , ancora ignota in gran parte agli psicologi contemporanei. Che nell’invisibile, in cielo, nei mondi divini o nelle storie di profeti e patriarchi, si possano insomma trovare soluzioni o suggerimenti utilissimi, molto antichi sì, ma non per questo antiquati. Soluzioni e suggerimenti anche pratici, quotidianissimi appunto, riguardo al cosa fare adesso, a come scegliere, a come accorgersi, e a come cavarsela, e via dicendo. Occorre soltanto non lasciarsi intimidire dal linguaggio arcaico di quei libri, dal tono minaccioso di certe parole e di certi dogmi, o – soprattutto! – da quel che ne dicono i tradizionalisti, molto preoccupati di non urtare autorità, luoghi comuni, articoli di fede. In teologia, o sei timido o ti stupisci di continuo. Proviamo, amici? Vediamo che succede. A puntate. Una puntata ogni due giorni, a partire da dopodomani. 2.ADESSO 13/02/08 Comincerò da un argomento teologico veramente quotidianissimo ai nostri giorni: il Diluvio . La storia è ben nota, nelle sue linee generali: un giorno Dio decise di distruggere la Terra e di salvare un uomo solo, il giusto Noè , con la sua modesta famigliola. Gli consigliò di costruirsi un’Arca di dimensioni opportune, e gli chiese di dare, su quell’Arca, un passaggio a una coppia di esemplari d’ogni specie vivente. Noè obbedì. E quando tutto fu pronto, cominciò a piovere. «Perché?» domanda, o meglio potrebbe domandare chiunque ripensi a questa storia. «Perché distruggere tutto? Perché così pochi i salvati?» La prima domanda da porsi , su una qualsiasi storia sacra, è invece un’altra, e precisamente: «A chi si rivolge?» E la risposta è sempre: «A te, se sai ascoltarla». Le storie sacre, infatti, sono così chiamate non perché una qualche autorità religiosa le abbia dichiarate tali, ma perché hanno la caratteristica di rivolgersi sempre direttamente a chi le ascolta , e di parlargli di qualcosa che lo riguarda da vicino. In questo, non sono diverse da tutte le altre cose che ti circondano: tutto, sempre, parla con te e ti spiega, ti insegna, ti consiglia, se sai accorgertene. Nelle storie sacre, questo consigliarti è solo un pochino più evidente che nel resto.

Una seconda domanda , non meno utile, da porsi dinanzi a una storia sacra (e dinanzi alla storia del Diluvio in particolar modo) è: «Quando si rivolge a me?» E la risposta è altrettanto semplice: «Adesso». I teologi di

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professione, per lo più, non sono di questo parere. Pensano che siano storie molto antiche, scritte per genti di altre epoche e che come tali si debbano, oggettivamente, considerare. Invece è facile verificare il contrario. Basta che ti guardi intorno e dentro. Non parlo del 2012, della desertificazione, degli Tsunami, o dei rifiuti della Campania, che potrebbero far pensare all’imminenza di un Diluvio più imbarazzante di quello acquatico di Noé. Più immediato e tangibile è quel Diluvio mentale a cui l’uomo è esposto oggi, e da cui un gran numero di persone è già profondamente sommerso. Il Diluvio del conformismo, della banalità, del vuoto non è meno mortale, per l’io, di quanto lo fosse quello di cui parla la Bibbia. Anche oggi il rischio di non esistere più, di essere solo massa fluttuante, è urgente e ben chiaro – benchè stavolta tutto lasci pensare che siano gli uomini stessi a volerlo, più che Dio. Noè ebbe l’Arca, quella volta. E noi?...

3.TU E GLI ALTRI 27/02/08 No. Non «E noi?» Dalle antichissime istruzioni per l’Arca, risulta che il modo giusto di affrontare la prospettiva di un Diluvio esige piuttosto che tu ti chieda: «E IO?» . Noè non si preoccupò degli altri uomini. Ciò può non fare una buona impressione, all’inizio, ma sono sicuro che con qualche chiarimento converrete anche voi che questa idea della salvezza individuale sia importante. Consideriamola il più possibile realisticamente. Dicevo, nella scorsa puntata di questo blog, che secondo molti teologi le storie sacre sono soprattutto storie antiche, scritte per altri popoli: e questo è un modo di vedere del tutto oggettivo. Indubbiamente la storia ebraica del Diluvio risale ad almeno tremila anni fa. A questo punto di vista ne contrapponevo un altro, secondo il quale quella storia parla invece a te, adesso . Quest’altro è un punto di vista assolutamente soggettivo, ma – spiegavo – è l’unico che serva veramente a qualcosa, in ciò che riguarda il sacro. E non solo. Sul contrasto tra questi due punti di vista si giocano tutte le questioni essenziali della tua vita. Sul punto di vista oggettivo si fonda tutto un sistema di conoscenza, di pensiero, di giudizio che le persone conformiste ritengono fondamentale. Di ed entro questo sistema parlano sempre gli studiosi, gli intellettuali, i politici, i funzionari, e i commercianti nell’esercizio delle loro funzioni.

Il suo comandamento è: conta soltanto ciò che conta per molti . Una coincidenza, per esempio, in questo sistema è un fatto privo di interesse, appunto perché una coincidenza è qualcosa che può risultare importante ed emozionante soltanto per te. Anche il fatto che tu sia nato, che tu sia innamorato, che tu sia felice o infelice, non riveste alcun interesse, per la conoscenza oggettiva. Sul punto di vista soggettivo si fonda invece un sistema di conoscenza e di pensiero completamente opposto, in cui tu sei il principale testimone e la misura di tutto. E in base a quest’altro sistema, si va nella giusta direzione solo quando si guarda ai bisogni del singolo individuo senza voler dare ragione ai molti. I due sistemi non sono compatibili. In ogni circostanza della tua vita e in ogni tuo ragionamento devi cioè scegliere se adottare il primo o il secondo. Noè naturalmente scelse il secondo, o più precisamente: Noè rappresenta chi, a un certo punto della propria vita, decide di preferire il secondo sistema al primo, e la conseguenza di questa scelta fu appunto l’Arca che lui solo riuscì a costruirsi per tempo. 4.«TU COSTRUISCITI UN'ARCA!» 28/02/08 Ma passiamo all’aspetto più pratico della costruzione. Quanto a questo, occorre sapere innanzitutto che l’Arca non è una barca . Arca è un termine latino che non ha mai riguardato la nautica, e significa «scrigno». Per di più, nella Bibbia ebraica il termine adoperato per arca è tutt’altro: ciò che Dio consigliava a Noè di costruire era, in ebraico antico, una tebah , che voleva dire «parola». Il lettore non se ne meravigli: certi passi delle Scritture hanno avuto traduzioni ben più strambe; e d’altra parte, nel discorso di Dio a Noè, la distanza tra «scrigno» e «parola» è meno ampia di quel che sembra. Se infatti un Dio ti consigliasse di costruirti una tua «parola», un tuo linguaggio, per sottrarti al Diluvio, tu capiresti benissimo qual è il punto. Un linguaggio è un sistema di significati, un modo di interpretare la realtà: «costruiscitene uno tuo» viene dunque a significare: non limitarti al linguaggio dei molti ! Comincia a domandarti qual è il senso che tu, solo tu dai alle cose. Molti, per esempio, dicono di desiderare soprattutto i soldi, e molti altri ritengono quasi obbligatorio dire lo stesso, per non apparire strani. Ma tu li desideri davvero?

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Scopri che valore ha la parola SOLDI solamente per te. Oppure parole come LAVORO , PROFESSIONE Per molti il LAVORO è una specie di Dio esigente e spietato: gli sacrificano anche otto ore al giorno, quasi ogni giorno della settimana, e gran parte dei loro pensieri, e le loro migliori energie, ponendolo più in alto di tutti i loro bisogni fisici e spirituali, e precipiterebbero nel panico se non lo facessero. Anche per te è così? Sei sicuro che sia bene? E così via per tante altre parole importanti per molti: IL POTERE, LO STATO, IL SESSO, L’ETA’ ... La costruzione della tua Arca-linguaggio comincia proprio così. Ne parleremo più in dettaglio, tra qualche puntata, ma fin d’ora suggerirei – ai lettori che volessero già cominciare a costruire la loro tebah – di non spaventarsi della diversità che in tal modo si creerà tra loro e i molti, tra la loro oggettività e la tua conoscenza soggettiva. L’Arca può essere solo la tua arca . Lo scrigno dei tuoi valori. Solo con quello puoi salvarti, anche perché solo in quello trovi ciò che vale veramente la pena di salvare. 5.CHANEL 04/03/08 D’altronde, molti non hanno la Bibbia sottomano e, come dicevo, le versioni sono spesso farraginose. Per comodità del lettore, riassumo qui i punti salienti del discorso di Dio a Noè nell’imminenza del Diluvio, così come lo si legge nel testo ebraico antico : «La fine di ogni forma sta arrivando, ormai, davanti a me, perché la terra si è riempita tutta quanta di quest’afa soffocante. Non lo impedirò. Lascerò che questa terra sprofondi del tutto. Tu costruisciti una tebah – un linguaggio tuo – con ciò che cresce e che dura della tua crescita. Questa tebah , la farai tutta quanta a compartimenti che comunicano tra loro, e ben protetta, isolata all’interno e all’esterno, e salda. E sarà di trecento misure di lunghezza, cinquanta di larghezza, trenta di altezza. Per raccogliervi la luce la farai, in alto, in modo che sia la sfera dell’universo. E dalla parte opposta, in basso, vi farai la porta d’ingresso... Così tutto ciò che in questa terra attuale perirà, ma io farò in modo che la mia forza creatrice rimanga insieme a te».

Un teologo tradizionalista potrebbe avere da ridire su questa traduzione, ma ne ho già accuratamente spiegato le ragioni filologiche in un mio libro, La creazione dell’universo (Sperling, 1999) e a quello rimando i più curiosi e meticolosi. Balzano agli occhi, innanzitutto, quelle misure dell’arca-parola: trecento , cinquanta e trenta – che nessun teologo spiega sensatamente. Aveva queste dimensioni l’arca? Ma se era un «linguaggio», uno «scrigno dell’universo», come poteva avere misure? Il segreto è, come spesso avviene, abbastanza semplice.

Nell’ebraico antico le lettere indicavano anche i numeri: trecento si scriveva SH, cinquanta si scriveva N, e trenta si scriveva L. Ne risultava la formula SHANEL , sì, proprio la stessa che adoperò la celebre e sapiente Coco, come suo pseudonimo. Era una parola magica, oggi diremmo un mantra, e aveva un significato preciso, dato dai valori geroglifici delle tre lettere che la compongono: « la conoscenza delle cose fa salire verso l’alto». S’intende, anche qui, la tua conoscenza, il tuo modo di intenderle, quando è solo tuo, e non quello degli altri. 6.CHI SALVARE CON TE 07/03/08

Ma non è troppo egocentrico? Torniamo alla questione iniziale: un animo sensibile può trovare un po' troppo crudele il fatto che, nelle istruzioni di Dio a Noè, non sia nemmeno sfiorata la possibilità di mettere in guardia il prossimo dal disastro imminente. Dio non chiede a Noè di trasformarsi in profeta, in maestro, guru, sacerdote,

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critico sociale o cos'altro. Gli raccomanda soltanto di preoccuparsi di sé, della sua famiglia: gli dice, a un certo punto, «prendi con te la tua sposa, i tuoi figli e le spose dei tuoi figli» (Genesi 6,19) e tutti quegli animali a coppie - ma nessun altro.

È duro, sì, da accettare; e a guardar bene, decifrando i geroglifici dell'ebraico antico, questa limitazione risulta ancor più stretta. I tre figli di Noè si chiamavano Shem, Kham e Yapheth, e in ebraico significavano: Shem, «il Nome», cioè la facoltà di dare il nome, di intuire il senso delle cose; Kham, «il sole di mezzogiorno», la chiarezza cioè nel pensare e nel decidere; e Yapheth, «l'estendere», la capacità cioè di guardare più oltre, di allargare il tuo orizzonte, i tuoi progetti. Erano dunque tre funzioni fondamentali di Noè, dell'uomo che sa costruirsi un suo linguaggio indipendentemente dalle certezze altrui. E anche le «spose» non erano donne in carne e ossa. L'espressione «la tua sposa», nei primi capitoli della Genesi, ha sempre un valore simbolico, e rappresenta CIO' CHE NON SAI DI TE: ciò che imparerai a scoprire nella tua anima o nelle tue capacità, e che ti cambierà la vita via via che lo scoprirai - ti darà figli, farà nascere cioè nuovi aspetti di te. Quanto alle coppie di animali, sono simboliche anch'esse: sono l'immagine di tutto ciò che di vivo e di fertile puoi trovare nel tuo mondo. Dunque l'equipaggio dell'arca sei sempre e di nuovo tu, soltanto: ciò che tu sai di te, ciò che saprai di te e ciò che per te vale la pena di sapere di quel che ti circonda. Vengono in mente certe frasi terribili di Gesù: «chi mette mano all'aratro e si volta indietro non è degno del Regno», «lascia che i morti seppelliscano i loro morti» ecc. Insomma, non perdere tempo a cercar di convincere gli altri! Questa durezza è un po' mitigata dall'idea che Noè sia non un vecchio fortunato di migliaia di anni fa, bensì il simbolo di chiunque sappia essere se stesso. Ma come non sentirsi a disagio, almeno un po', davanti a un tale disprezzo del repertorio consueto dell'altruismo, della corretta condivisione. E there's the rub, come diceva Amleto: qui è un incaglio, cioè, su cui conviene riflettere 7.TU, I MOLTI E LA GENTE 11/03/08

Anche Amleto voleva salvare e convertire sua madre – che nel dramma di Shakespeare rappresenta anche il popolo oppresso dall’usurpatore – e ci lasciò la pelle. Forse è capitato anche a voi di chiedervi, in questi ultimi tempi, se per parte vostra avevate fatto abbastanza per evitare che questo Paese andasse tanto in rovina. Io credo che la risposta migliore sia questa: le vicende dei popoli, delle civiltà obbediscono a forze sulle quali il singolo individuo non ha alcun influsso; non puoi pretendere di cambiarle; viceversa, il tuo compito è crescere in modo che quelle vicende di popoli e civiltà cambino te. «Ti servano i popoli!» come disse Isacco benedicendo Giacobbe (Genesi 27,29). Sia i periodi belli, sia – soprattutto! – i periodi cupi dei popoli che conosci e ami servono a far emergere in te qualità, desideri, energie che non sapevi ancora di avere. E la cosa più utile e importante che tu possa fare per la gente è non ignorare, non trascurare, non negare queste tue qualità e desideri ed energie, e continuare a crescere e accorgertene. Nessuno infatti cambia in meglio la gente, più di chi si accorga dei cambiamenti che avvengono in lui. Non occorre spiegarli a parole, cercando di tradurli nei linguaggi altrui: quando hai nuove energie e capacità e desideri, e ne gioisci, avviene regolarmente che anche con il tuo modo di sorridere, di guardare, di camminare, con il tono di voce, con i colori che indossi, con una carezza o una stretta di mano tu risvegli nella gente nuove possibilità evolutive, nuove verità. Ma attenzione: nella gente, non nei cosiddetti «molti» di cui parlavo qualche puntata fa. Sono due concetti ben distinti. I «molti» sono quelli che ragionano con la testa altrui, e che censurano ogni pensiero e sentimento secondo quel che sembra corretto a chi è come loro. La gente, invece, non ragiona. Sente. Ha bisogni, intuizioni, passioni. I «molti» possono aver ragione o sbagliare, ma in ogni caso nessuno di loro è mai veramente se stesso: se riescono in qualcosa, non sono loro a riuscire ma solamente le idee, le norme, le certezze a cui loro obbediscono.

La «gente», invece, ha sempre ragione, salvo quando cerca di capire ciò che sente, ama, intuisce: lì, quasi sempre, sbaglia, perché la razionalità non è il suo forte – soprattutto in conseguenza del fatto che la gente tende a pensare come i «molti». Ma tu non sei né la gente né i «molti». Tu sei tu. E per esserlo occorre coraggio. E generosità anche: perché quanto più salvi la tua autenticità, tanto più puoi aiutare altri come te a destarsi e a scoprire cosa valga la pena di salvare davvero.

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8.IL CORAGGIO E IL PRINCIPIO CAUSALE 13/03/08

Il coraggio è, naturalmente, indispensabile per la costruzione della tua arca-linguaggio. Occorre un buon terzo chakra, direbbero gli orientali; ci vuole fegato, usiamo dire anche noi. E a questo riguardo vale la pena di spendere qualche frase, dato che sul coraggio girano tante convinzioni non tutte fondate. Il coraggio è, come dice la parola stessa nelle lingue neolatine, l’ampiezza del tuo cuore. E ciò che generalmente riduce le dimensioni del tuo cuore è soprattutto il passato. Sono le ferite che hai subito, gli errori che hai commesso, e i rimorsi, i rancori, la rabbia, il rimpianto che ti porti dietro dal tuo passato. Sono anche le condizioni in cui vivi, e che è stato il tuo passato a determinare. Sono gli influssi che hanno esercitato su di te le circostanze, dall’istante in cui sei nato e fino a un secondo fa. Sono le circostanze in cui è vissuto, nei secoli e fino a un attimo fa, il popolo in cui sei nato. Sono le leggi e le istituzioni a cui quel popolo obbedisce, e che sono cominciate ad esistere prima che esistessi tu e senza chiedere il tuo assenso. Tutto ciò comprime il tuo cuore-coraggio, nella misura in cui tu lo ritieni più forte, più importante, più decisivo del tuo presente. Le persone di scarso coraggio danno perciò tanto rilievo al principio di causa-effetto, e si convincono – in ogni campo dello scibile – che qualunque cosa esista e qualunque atto o decisione tu possa compiere, abbiano una lunga serie di cause determinanti, e siano dunque il prodotto del tuo passato – dato che una causa non può che trovarsi nel passato. Tu dirai che molti (i soliti molti) la pensano così. Ed è verissimo, ma ciò non toglie che sia

obbligato a pensarlo anche tu. Le cose, a quel che ne so io, stanno diversamente. Alle tue spalle, nel tuo passato, tu trovi miliardi di circostanze, ciascuna delle quali potrebbe essere causa di qualche tua decisione o comportamento. Ma quei miliardi di circostanze non agiscono tutte insieme. Agiscono – e diventano cause determinanti – solo quelle circostanze che corrispondono a ciò che tu decidi adesso di fare e di ottenere. Se decidi di avere gioia, riuscita, affetti, agiranno dal tuo passato milioni di cause che determineranno la tua gioia, la tua riuscita e l’abbondanza dell’affetto che riceverai. Se vuoi ammalarti, soffrire, morire, agiranno le cause necessarie alle tue malattie e alla tua morte. Dipende solo da te. Non puoi dare la colpa a nessuno. Il coraggio consiste nell’accorgersi di questo. E da un lato, ti fa sentire completamente libero, come infatti sei – e come devi necessariamente essere, per poterti costruire l’Arca. Dall’altro, ti pone il problema di difendere, di non intralciare (solo tu potresti farlo) la tua libertà. 9.STRATEGIA 17/03/08 Ci sono tanti modi di difendere la tua libertà e di non intralciarla; ma quanto più li si prende sul serio, tanto più ci si accorge che conducono tutti a uno solo: e precisamente alla costruzione di quel tuo linguaggio autonomo, che nella Bibbia è chiamato l’arca. Ora che alcune implicazioni dell’arca ci sono più chiare, riepiloghiamo ciò che abbiamo scoperto di questo cantiere interiore. Abbiamo visto come, più che di costruire, si tratti in realtà di smantellare: di liberare la mente e la tua vita dalle parole non tue, e dal potere che queste

esercitano su di te. Il loro potere è di natura causale: le parole a cui tu dai valore influiscono sui tuoi pensieri, sulle tue decisioni, sui tuoi comportamenti, sui tuoi desideri anche, e li plasmano come altrettante cause determinanti. Ma – come avviene per ogni altro tipo di causa – quelle parole non hanno potere di per sé: sei tu che decidi di attribuirne a ciascuna di esse in maggiore o minor misura. Quel potere è tuo. Puoi toglierlo alle parole che non accetti più, che hanno cessato di essere veramente fertili per te. Puoi destituire quelle parole-cause come si destituisce un funzionario da una carica; e il loro potere tornerà a te. Meglio ancora: puoi staccare da te quelle parole, come staccheresti dei ganci che ti tengono attaccato a ciò che sta per essere sommerso. È un compito emozionante, che dà i suoi frutti da subito. Abbiamo già accennato ad alcune parole-cause che possono determinare la tua vita. Vediamone altre, usate spesso dai «molti» – e va da sé che, se i «molti» le usano volentieri, difficilmente quelle parole significheranno qualcosa che ti riguardi personalmente. Per esempio, la parola POLITICA. I «molti» ne parlano in continuazione. Ma cos’ha propriamente a che fare questa parola con te? Indica le azioni che altri – e non tu – devono compiere per esercitare un dominio sulla gente. POLITICA è solo un termine di origine greca, ormai antiquato, con il quale si camuffa e si indora un DOMINIO

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che alcuni esercitano, e che vogliono vedere riconosciuto dai dominati. Allora tu parla chiaro. Chiamalo semplicemente DOMINIO, e una gran quantità di chiacchiere che oggi ti inquinano la mente e la vita perderanno immediatamente significato per te, mentre tu acquisterai, altrettanto immediatamente, un significato diverso e maggiore di prima – di quando ti consideravi soltanto un individuo escluso dalla sfera dei POLITICI. Ne sei veramente escluso, o è la tua autenticità ad escluderla dalla tua Arca? Ha senso, per te, la prospettiva di aiutare persone che non conosci a dominare altri? Io penso sinceramente di no: qualunque cosa ne dicano i «molti», mi pare che le parole POLITICA, POLITICI, DOMINIO intralcino la costruzione della mia Arca – non mi occorrano, cioè, a descrivere ciò che conta veramente per me. E credo che anche se fossi un politico di professione, in realtà, per me, per la mia vita, per la mia libertà, non mi servirebbero affatto. 10. SOTTO LA DOCCIA 20/03/08

I buddisti dicono che bisogna accorgersi delle cose veramente importanti così come se ne accorgerebbe un uomo che avesse solo mezz’ora di vita: se un serpente molto velenoso ti avesse morso, moltissime parole ti sembrerebbero sicuramente superflue. Ma per fare un’Arca non occorre essere tanto drammatici. È sufficiente che tu pensi alle parole della tua vita come se stessi facendo la doccia. Anche sotto la doccia moltissime parole-cause si ridimensionano infatti rapidamente e a colpo sicuro. Oltre alle parole che i «molti» usano volentieri, come POLITICA (che, appunto, quando sei sotto una doccia non significa nulla per te), puoi prendere in considerazione parole che per i più svariati motivi ti abbiano causato danno, e che sotto la doccia ti causerebbero cali d’umore. Per esempio la parola MATRIMONIO. Quanto più conosco la gente e mi interesso dei loro problemi, tanto più mi accorgo che la principale causa di sofferenze nella nostra civiltà risiede proprio nel potere che viene attribuito a questa parola. Le malattie, gli incidenti, i disastri, le persecuzioni, le guerre causano sicuramente sofferenze a tante persone, ma sono evenienze meno frequenti del MATRIMONIO che, con le quotidiane spire della sua noia, delle incomprensioni, della delusione, della finzione, della gelosia, delle liti, dell’illibertà opprime o ha oppresso la stragrande maggioranza degli individui che vedi intorno a te. E per MATRIMONIO intendo, naturalmente, non l’unione di due persone (che quando funziona si chiama AMORE o AFFETTO, e quando non funziona più si chiama ERRORE) ma il vincolo matrimoniale ufficialmente sancito da un’autorità civile e religiosa, con tutto quel che ne consegue. Qui si vede bene quanto una parola possa influenzare la vita, e quanto ciò sia ingiusto. MATRIMONIO, infatti, è soltanto una parola. Non è una cosa. Non è un essere vivente. Tu sei un essere vivente, e la tua vita è fatta di cose reali. Ma, per non apparire diverso dai «molti», tu permetti che quella parola determini la tua vita reale, le cose che fai e puoi fare, attribuendo ad essa un gigantesco potere su di te. Perché? Togliglielo. Quel potere è tuo. Quella parola è di altri, pensata ed elaborata prima che tu nascessi; non c’entra con te. Guardala d’ora in avanti come una parola altrui, e d’un tratto ti si chiariranno soluzioni costruttive della tua Arca, delle quali non ti eri mai accorto prima.

11.ALTRE DESTITUZIONI 25/03/08

Questa revisione del tuo dizionario personale non implica, naturalmente, che tu ti rifiuti d’ora in avanti di adoperare le parole che hai destituito di valore. Non implica cioè che tu ti disinteressi totalmente di POLITICA o che sgrani gli occhi, come dinanzi a un’assurdità, davanti a qualcuno che ti dica di essersi SPOSATO. Reazioni simili farebbero pensare più all’autismo che non alla costruzione di un’arca. No: ciò che comincia a cambiare in te, con questa revisione, è solo il tuo punto di vista sul mondo e su te stesso. Invece di obbedire meccanicamente – come un computer alle sue programmazioni – tu cominci a riflettere. Invece di adeguarti a ciò che già c’è, cominci a cercare qualcos’altro: in te, dapprima, e poi nel mondo intorno. E quanto più cerchi, tanto più le tue destituzioni di parole-cause diventano coraggiose. Dopo POLITICA e MATRIMONIO, potresti passare a parole di impatto emotivo più forte, come MADRE e PADRE, oppure FIGLI, e accorgerti di quanto potere hai dato a ciò che esse rappresentano non per te, ma per i soliti «molti». Per i «molti» queste tre parole sono ruoli istituzionali che impongono determinati doveri. In conseguenza di ciò, i «molti» ti hanno insegnato a credere che dai GENITORI e dai FIGLI tu debba aspettarti tutta una serie di atteggiamenti speciali: e se questi atteggiamenti mancano, tu ti ritieni automaticamente in diritto di soffrire – di

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ridurre cioè la tua energia, la tua voglia di vivere. Ma le cose cambierebbero immediatamente, se invece di dare quel valore alle parole MADRE, PADRE, FIGLI, tu decidessi, più semplicemente, di vedere chi esse indichino, nella tua vita: e scorgeresti degli individui, in tutto e per tutto pari a te, come tutti gli altri individui del mondo. D’un tratto, vedresti in loro qualità e bisogni che non avevi mai notato prima. Molto probabilmente li capiresti e li ameresti più e meglio di prima.

È ciò che spiegava Gesù in quei passi poco citati dei Vangeli, come «i nemici dell’uomo saranno i suoi famigliari» o «chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me»(Matteo 10,36-37) là dove «me» non significava Gesù stesso, che non aveva certo fama di distruttore di famiglie, ma soltanto quell’immensità che ognuno di noi chiama «io» e che è in chiunque. Chi ama le parole «madre» e «padre» più della scoperta di quell’immensità in sé stesso e negli altri, non è degno del proprio io. Questo era il senso della frase. Vale anche per l’Arca, dato che l’Arca altro non è che la tua scoperta di te. 12.LA PAROLA IO 28/03/08 E veniamo anche alla parola più emotivamente intensa di tutte le altre, alla parolissima che è la chiave di tutto: IO. Prima o poi dovrai fare i conti anche con questa, nella tua revisione-costruzione, ed è meglio sapere in anticipo a quali sorprese andrai incontro. Innanzitutto, sei così sicuro di sapere che cosa questa parola indichi di te? La stragrande maggioranza degli individui non esiterebbe a rispondere «Sì, certo, io sono io» e argomenterebbe questa risposta con dati biografici, passaporto, patente, stato anagrafico. Io sono quello che è nato nel tal posto, ha fatto le tali scuole, e ha abitato là e poi là, e ha avuto le tali e le tal’altre vicende, e ha fatto e fa e pensa e ha amato e ama tutta una serie di cose e persone... D’accordo. Ma ora fa’ un bel respiro e rifletti. Chi, dentro di te, ha scelto o non ha potuto fare a meno di fare e di vivere tutto ciò che costituisce questa tua biografia? C’è un qualcuno, dentro di te, che in tale biografia ha cercato di esprimersi, di manifestarsi. E quel qualcuno non è tutto quanto nella tua biografia. È più grande. E sta ancora aspettando. Sta ancora aspettando anche perché, nella tua biografia, compaiono molte, moltissime di quelle parole-cause che hai destituito o che destituirai di valore tra poco, e che valgono per gli altri e non per te. E sei sicuro di conoscere bene questo qualcuno che è dentro di te? Lo stai solo scoprendo, giorno dopo giorno. Continuerai a scoprirlo, molto probabilmente, per tutta la vita, specialmente se non avrai fretta di adeguarti a ciò che gli altri dicono o pensano di te, con le loro parole-cause.

Questo è il tuo io, l’immensità che dicevamo nella scorsa puntata. E quanto più lo scopri, tanto più ti accorgi che è talmente diverso da te – da ciò che già sai di te – da poterne parlare correttamente soltanto in terza persona: «il mio io», invece che «io» semplicemente. E con crescente rispetto, ed emozione, e fierezza.