I SISTEMI DI COMMON LAW E CIVIL LAW BREVI … Law e Civil Law... · nostro codice civile conosce in...
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I SISTEMI DI COMMON LAW E CIVIL LAW:
BREVI CONSIDERAZIONI SUL CONTRATTO
A cura di ALESSANDRA PULITANO
Il Civil law, in italiano anche diritto continentale, è un modello di ordinamento giuridico
derivante dal diritto romano - giustinianeo.1
Si fonda essenzialmente su un sistema di codici, i quali adottano categorie giuridiche simili a
quelle del diritto romano la cui fonte di legittimazione si consustanzia nella legislazione.
Il Civil law rappresenta quindi il modello del diritto generale ed astratto, precostituito
all’insorgere del conflitto dove i giudici applicano la legge e pronunciano sentenze che una volta
passate in giudicato, fanno stato fra le parti, ossia le sentenze determinano un accertamento e
definizione della lite vincolante per i soggetti in causa, ma con efficacia limitata sia dal punto
soggettivo che oggettivo.2
In dottrina, il Civil law, si usa contrapporlo correntemente ai sistemi anglosassoni detti di
Common law, dove il sistema giuridico di diritto non è codificato perchè si basa su un modello di
"precedente giurisprudenziale", attraverso il quale i giudizi vengono stabiliti sulla base di altre
precedenti sentenze di casi tra loro molto simili, consolidandosi nel tempo.3
È quindi evidente come il ruolo dei giudici nel determinare il diritto vivente sia cruciale, mentre
la legge diviene fonte normativa di secondo grado.
Tale sistema del Common law è attualmente in vigore in Regno Unito (esclusa la Scozia), Stati
Uniti d'America, (escluso lo Stato della Louisiana), Australia, Canada (esclusa la regione del
Quebec).
Altre Nazioni hanno poi adattato il sistema del Common law alle loro tradizioni, creando così un
sistema misto. Per esempio, l'India, la Nigeria, la Sierra Leone, il Gambia, il Ghana, il Kenia,
Uganda adottano il sistema del Common law frammisto a regole giuridiche di stampo religioso.
1 Pier Giuseppe Monateri, Il modello di Civil Law, Giappichelli Editore, Torino, 1997, p. 1.
2 Cfr. Oxford English Dictionary, seconda edizione 1989.
3 A.Gambaro e R. Sacco. "Sistemi Giuridici Comparati ". (Trattato di diritto comparato a cura di R. Sacco). UTET
Giuridica, III Edizione,2008.
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2
Analizzando le fonti dei due sistemi si evince come nelle codificazioni di Common law,
soprattutto inglese, assume un ruolo centrale l'equity4 tenuto conto del suo frequente richiamo da
parte della Court of Equity per ovviare alle situazioni irragionevoli derivanti dalla tecnica dello
“stare decisis”.
Attualmente, in Inghilterra è opinione dominante che il precedente vincolante sia un legal
source of law e che la regola da esso derivata (ratio decidendi) sia diritto proprio in quanto posta dal
giudice e come tale debba essere seguita.
Lo stare decisis è, pertanto, ricompreso tra principi fondamentali (ultimate) e originari
(underived), alla stessa stregua della potestà legislativa, giacché non una norma legislativa lo pone,
né altro precedente può attribuire ad esso autorità di precedente.
Donde, l’affermazione per cui è possibile “dipartirsi dalle precedenti decisioni quando appaia
giusto farlo”; tuttavia, ciò senza “disturbare retroattivamente” i rapporti già sorti, in campo civile, e
le peculiari esigenze della materia penale.5
Così nei paesi anglosassoni, il sistema civile è governato da peculiari regole non scritte, la cui
applicazione è rigorosamente demandata agli operatori economici. Infatti, l’elemento fondamentale
del contratto è la cosiddetta consideration, che è considerata requisito non del contratto ma di
ciascuna promessa: il contratto riguarda soltanto i contratti bilaterali o a prestazioni corrispettive e
può essere definito come l’accordo per lo scambio di promesse.
La teoria del contratto, si basa sulla volontà di assicurare certezza e prevedibilità alle pratiche
commerciali in quanto il ruolo tradizionalmente affidato al giudice è quello di accertare la volontà
dei contraenti sulla base della lettera del contratto che essi hanno sottoscritto, senza che le parti
possano far valere circostanze esterne al contratto che finirebbero per introdurre elementi di
incertezza.
Inoltre, tendenzialmente, sono esclusi i riferimenti alle trattative nonché i comportamenti
successivi alla sottoscrizione del contratto.
Il contratto, strumento principale degli scambi commerciali, non è più diretto a realizzare fini di
giustizia sociale ma, semplicemente, a attuare la volontà delle parti.
4 Ugo Mattei. "Il modello di Common Law". Torino, Giappichelli Editore 2004.
5 Riportata da Mattei, cit., 152 (all.1)
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3
Gli ordinamenti angloamericani, in omaggio al principio mercantile della freedom of contract,
mal tollerano il sindacato sugli effetti sostanziali dello scambio tendente a sanare eventuali squilibri
nella distribuzione della ricchezza: compito delle Corti è statuire sulla validità e sulla enforceability
dei contratti e non sostituirsi alla volontà dei privati mediante l’utilizzo di criteri indeterminati quali
ragionevolezza e equità.6
La nozione di contract, nega tutela giuridica agli scambi conclusi a condizione inique, a meno
che, lo squilibrio delle prestazioni non costituisca il significativo indice dell’alterazione
dell’ordinario processo di formazione della volontà o denoti l’esistenza di un grave stato di
vulnerabilità a carico di uno dei contraenti.7
Questo non significa che i sistemi di Common law non prevedano forme eteronome
d’integrazione della volontà contrattuale (anche se con minore intensità rispetto ai sistemi di Civil
law come avviene per le clausole d’uso art. 1340 c.c. che determinano una espansione del contenuto
contrattuale, “queste clausole non s’intendono inserite nel contratto quando risulta che non sono
state volute dalle parti, ma la volontà di escluderle deve essere espressamente manifestata o
desumibile da inequivoci comportamenti delle parti” (Cass. Civ., Sez. Lavoro, 19-12-1987, n. 9473)
ma semplicemente che la semplice sproporzione della prestazione non basta a giustificarne tout
court l’operatività.
Si pensi ad esempio agli implied terms (cause implicite) che consentono un penetrante controllo
giudiziale sul contenuto negoziale, oppure, nel caso in cui una parte ingenera un’aspettativa nella
controparte circa il modo in cui essa si comporterà, e pone poi nel regolamento contrattuale un
contenuto diverso da quello inizialmente prospettato, le corti potranno intervenire bloccando
(“estoppel”) il regolamento scritto e facendo valere quello orale.
A tal fine, in caso di controversia, quanto più preciso e particolareggiato è il testo dell’accordo,
tanto minore sarà il rischio che venga applicato dal giudice in modo difforme da quelle che erano le
intenzioni e le aspettative delle parti.
Di conseguenza, al di la della forma imposta dal legislatore, per l’assenza di una loro
codificazione, la scrittura permette meglio una redazione dei contratti completi e autosufficienti
ricchi di clausole precise e puntigliose (diversamente dal Civil law che non richiede la forma scritta
per alcune tipologie di contratti).8
6 G. Alpa, Contratto e common law, 1987.
7 L. Saporito, Vizi del consenso e contratto nella western legal tradition, Napoli 2001.
8 ICE “guida pratica al diritto statunitense”.
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4
La tendenza ad estendere il sindacato del giudice, anche in ambito dei contratti del commercio
internazionale, tradizionalmente regno della libertà contrattuale, si manifesta inoltre nei Principi
Unidroit.9
In particolare all’art. 3.10, si sanziona con la invalidità la c.detta gross disparity, ovvero
l’assetto economico squilibrato o la scorretta distribuzione di diritti e obblighi tra le parti che
produce ingiustificatamente un vantaggio sproporzionato a favore di una parte.
Sintomatico dell’ingiustizia è sicuramente l’abuso di una situazione di debolezza, mentre la
gravità è integrata da uno sbilanciamento tale “da colpire la coscienza di una persona
ragionevole”.10
I rimedi per la Gross disparity non risiedono solo nell’annullamento del contratto o della
clausola con prestazioni squilibrate ma anche nella riconduzione del contratto a equità che anche il
nostro codice civile conosce in materia di rescissione.
Altro rimedio è il provvedimento del giudice che, su richiesta della parte che ha diritto
all’annullamento, modifica il contratto per adattarlo ai precedenti criteri di correttezza (art. 3.10,
comma 2). Si è qui in presenza di quella che viene definita equità correttiva che non è individuabile
nelle ipotesi in cui il contratto “appaia iniquo” ma “il prezzo ragionevole”.11
Giova ricordare, inoltre, che l’art. II – 7:2007 del più recente Draft, testo che si propone come
disciplina comune europea delle obbligazione e dei contratti, fa riferimento alla clausola di buona
fede che consente un sindacato simile a quello che nel nostro ordinamento è attribuito, per un verso,
dall’art. 33 cod. cons., per un altro, dall’art. 1448 c.c. relativo all’azione di rescissione per lesione.
Il ruolo del giudice che emerge nel Draft è quello di misurare l’iniquità negoziale, integrare il
contenuto dell’accordo in ipotesi di sopravvenienze o di lacune lasciate dal contenuto originario,
ovvero rielaborarlo su istanza di parte secondo un modello astratto di riferimento. In tal modo si
tenta di assicurare ai consociati nel conflitto sociale una parità di condizioni di partenza che
costituisce il presupposto istituzionale di un’economia di mercato.12
9 Volpe: i principi Unidroit (gross disparity in Riv. Dir.civ. 1999) e l’ eccessivo squilibrio del contenuto contrattuale.
10 Bonelli codice internazionale dei contratti 1995.
11 Castronov : Principi di diritto europeo dei contratti I,II; Milano 2001.
12 Cfr. Deakin, Contract Law and the institutional preconditions..in Eur.Rev.Cont.L 2006.
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Pertanto, la clausola di buona fede non costituisce lo strumento di presunta attuazione della
solidarietà, “ma di eliminazione delle diseguaglianze di fatto ai sensi dell’art. 3 comma 2 cost.”13
A differenza del tradizionale controllo giudiziale, la valutazione giudiziale è finalizzata non già
a verificare la conformità dell’autonomia privata con l’ordinamento statale, bensì a valorizzare
l’autonomia sostanziale dei contraenti concretizzatasi in quello specifico programma negoziale,
tentando di conservare il negozio, in ossequio alle esigenze del mercato, ma perseguendo comunque
l’interesse del contraente debole.
L’impostazione, tendente a valorizzare il controllo giudiziale sull’equilibrio del rapporto
contrattuale, non ha tratto impulso esclusivamente dalla necessità di adeguamento al diritto
comunitario e sta progressivamente valicando i confini del settore consumeristico. Più in generale,
infatti, si assiste ad un nuovo modo di concepire il principio della libertà negoziale nel nostro
ordinamento giuridico,non più da intendersi come il frutto di un insindacabile potere delle parti, ma
da rileggere soprattutto alla luce della nostra Costituzione.
Sembra essersi infatti acquisita la consapevolezza che in un ordinamento solidaristico (si pensi
al valore forte della solidarietà ex art. 2 Cost.), l’autonomia negoziale, non potendo essere illimitata,
deve essere regolata e conformata ai valori di fondo cui l’ordinamento si ispira.
La giurisprudenza sempre più frequentemente evidenzia quindi la necessità di operare la lettura
delle norme sui contratti alla luce dei valori espressi dalla Costituzione.
In tale direzione, nel nostro ordinamento, la dottrina prevalente, riconosce alla buona fede il
ruolo di integrazione del contratto che, in diretto accordo con il principio di solidarietà di cui all’art.
2 della Costituzione, costituisce una clausola generale intesa a fissare le regole generali di condotta
alle quali devono attenersi le parti del contratto.14
La solidarietà non comporta una rottura con l’istituto del contratto, ma lo arricchisce, lo guida e
lo plasma, attraverso tutti gli strumenti che la buona fede nella sua funzione costruens è in grado di
mettere in campo, e un tradimento dell’essenza del contratto neppure si realizza allorchè la buona
fede opera nella sua funzione destruens, sempre che essa intervenga solo là dove l’accordo è
alterato da una diseguaglianza sostanziale che merita giuridica rilevanza e giustifica un sindacato di
merito sul regolamento degli interessi.15
13
Corte costituzionale, in sede di modifica alla l. n 241/90 14
Caringella-De Marzo, Manuale: “La dottrina specifica la regola della buona fede oggettiva in due obblighi: lealtà e
salvaguardia”. 15
Navarretta, op. cit., 1996.
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Per altra parte della dottrina (Bianca) la portata delle sue componenti deve essere individuata
negli obblighi di lealtà e salvaguardia.
L'obbligo di salvaguardia ha come contenuto, in generale, la tutela dell'utilità dell'altro soggetto
del rapporto obbligatorio nei limiti in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio all'obbligato.
Con riferimento all'obbligazione contrattuale, costituisce espressione del principio di
salvaguardia l'obbligo del compimento degli atti necessari per garantire la validità e l'efficacia del
contratto.
Sotto il profilo della lealtà, la buona fede si specifica, ad esempio, negli obblighi di
informazione, chiarezza e segreto.
Le parti sono tenute reciprocamente a comunicarsi le cause di inefficacia o di invalidità del
rapporto obbligatorio, le circostanze che inficiano l'utilità della prestazione. Sono inoltre tenute
all'obbligo del clare loqui e al mantenimento del segreto su quanto appreso in via confidenziale in
esecuzione o in costanza del rapporto obbligatorio.
In quanto canone generale di comportamento la buona fede impone al giudice il compito di
predeterminare la regola dalla quale valutare il comportamento in concreto tenuto.
In questo il giudice dovra` attenersi non al proprio personale senso di correttezza, bensı`
attingere alle caratteristiche del settore economico in cui l’affare si svolge.16
E’ evidente allora la natura elastica della regola, che permette di considerare diversamente la
buona fede a seconda dei protagonisti del rapporto (ad es. un banchiere, un appaltatore o qualsiasi
pro-fessionista intellettuale) e delle circostanze oggettive connaturate al rapporto privatistico;
emerge d’altro canto la residualita` della regola integrativa, capace di intervenire laddove la legge
ed il regolamento contrattuale non si rivelino strumenti idonei a superare gli ostacoli che in
executivis minerebbero la buona riuscita dell’operazione contrattuale.
Tutto ciò al fine di limitare l’esercizio di pretese che, pur essendo apparentemente dovute, in
concreto realizzerebbero un abuso della posizione di una parte su quella dell’altra.
Di conseguenza, la buona fede, consente di accertare la misura del potere delle parti derivante
dal rapporto, secondo una valutazione oggettiva sul sinallagma e quindi rappresenta uno strumento
per distinguere ciò che è esigibile da ciò che esigibile non lo è.17
16
Trib. Bologna, 24 maggio 2005: « E ’compito del giudice di vagliare quale doveva essere la condotta della parte nelle
circostanze in cui si e’ trovata, esaminando conseguentemente il contegno della stessa non solo in base alla prudenza e
diligenza, ma anche in base all’ onestà e dunque all’ oggettiva lealtà della parte creditrice”. 17
Cantillo, Le obbligazioni,I,in Giur. Sist.dir.civ. comm., dir. Da Bigiavi, Torino 1992, 219 ss.
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Il grado di elasticità congenito alle clausole generali va poi controbilanciato dal ruolo di
nonofilachia svolto dalla Cassazione e dallo stratificarsi di orientamenti costanti, affichè venga
garantita la certezza del diritto ed evitato lo sconfinamento nell’arbitrio nonché nell’abuso.
L’irrilevanza, per il diritto, delle ragioni che sono a monte della conclusione ed esecuzione di un
determinato rapporto negoziale, non esclude ma anzi prevede un controllo da parte del giudice, al
fine di valutare se l’esercizio della facoltà riconosciuta all’autonomia contrattuale abbia operato in
chiave elusiva dei principi espressione dei canoni generali della buona fede, della lealtà e della
correttezza.18
La violazione di tali principi, pertanto, costituisce di per sé inadempimento e può comportare
l’obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato.19
Ne deriva che non è sufficiente che il contratto venga stipulato in assenza di vizi formali, ma è
altresì necessario che esso produca un risultato giusto, conforme al giudizio di buona fede. La tesi in
esame segna il passaggio della buona fede da regola di condotta e, come tale, fonte di
responsabilità, a regola di validità, idonea a invalidare il regolamento negoziale che si ponga in
contrasto con essa.20
La violazione delle prime determina una patologia del contratto e viene sanzionata con la nullità
o con l'annullabilità dello stesso. La violazione delle regole di comportamento determina invece
l'insorgenza di responsabilità (precontrattuale o contrattuale, a seconda che la violazione tenga
luogo nella fase delle trattative o nella fase dell'esecuzione del contratto). In adesione a tale
impostazione, si è ritenuto che la violazione degli oneri informativi nella fase delle trattative non dia
luogo ad invalidità del contratto, ma alla responsabilità precontrattuale del soggetto tenuto ad
avvisare o ad informare la controparte.21
Una parte minoritaria della dottrina ha difeso la tesi per cui la violazione degli oneri di
informazione riverbera sulla validità del contratto, in base all'assunto che la buona fede oggettiva è
non solo una regola comportamentale, foriera di responsabilità in caso di sua violazione, ma anche
un limite all'autonomia negoziale delle parti.
Tale conclusione è stata affermata per i c.d. contratti asimmetrici, ossia per i contratti stipulati
tra una parte contrattuale forte e una parte contrattuale debole che, sulla spinta del diritto
comunitario, sanzionano la violazione dell'obbligo di correttezza con l'invalidità del contratto.
Ci si riferisce all'art. 3 della legge 287/1990 in tema di abuso di posizione dominante; all'art. 7
del d. lgs. 231/2002 in tema di patto abusivo della fissazione di interessi moratori nelle transazioni
18
Cass S.U.23.10.2008.NN.30055, 30056, 30057; Cass. sez. III 18 sett. 2009, 20106). 19
Cass. S.U.15.11.2007 N. 23726; Cass 22.1.2009 n. 1618; Cass. 6.6.2008n. 21250; Cass.11.1 2006 n. 264. 20
F. Caringella, manuale di diritto civile-l’ integrazione del contratto). 21
Bianca, Manuale di diritto civile, il contratto (2009).
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8
commerciali; all'art. 36 del d.lgs. 206/2005 che prevede una nullità di protezione verso il
comportamento precontrattualmente scorretto del professionista ai danni del consumatore
relativamente alle clausole vessatorie.22
Se nelle tradizioni italiane, francese, tedesca e spagnola la responsabilità costituisce un effetto
dell’obbligazione, in quella di Common law la responsabilità è posta in presa diretta con il
contratto. Nonostante la diversa prospettiva, resta il dato comune della preesistenza di un
regolamento di azione tra soggetti determinati, al cui fallimento consegue la responsabilità.23
Nel sistema di Common Law, affichè il danno possa essere ritenuto risarcibile, deve
innanzitutto essere una conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento secondo cui è escluso
il risarcimento di quel danno che risulti essere, in termini di causalità troppo lontano dal fatto
dell’inadempimento.
La violazione del contratto non dipende dalla colpa ma solo dalla mancata esecuzione della
prestazione, e non è richiesto un giudizio sulla presenza di cause di giustificazioni.24
Ovviamente, a causa del mancato adempimento, il creditore subisce un danno. Se tale danno
non è economicamente valutabile, esso creditore ha solo diritto al risarcimento dei danni a titolo
indicativo.
Qualora, invece, trattasi di danno economicamente valutabile, i rimedi offerti dal Common law
esercitabili in via alternativa sono: il risarcimento del danno o il diritto al rimborso del valore.25
Meno diffusa nella Common Law è l’esecuzione in forma specifica ove esiste principalmente il
rimedio del risarcimento danni come forma più efficace a tutela della parte che subisce;
l’adempimento in forma specifica ha carattere di eccezionalità per la sua diretta incidenza sulla
libertà della persona e quindi può essere concesso solo se non vi sia un “adeguate remedy at
common law or under statute”.26
Alla luce di quanto fin qui esposto appaiono consequenziali due tipi di considerazioni: la prima
afferisce ad una diversità di tipo evidentemente strutturale tra i sistemi delineati dai due
22
Caringella-De Marzo, op. cit., pp. 92-95. 23
Le nuove frontiere della responsabilità contrattuale – Europa e diritto privato, fasc.3,2014 24
La forza maggiore non è una figura normalmente presente nel sistema anglo-americano; nella common law dove si
parla di frustration del contratto,nei casi che noi potremmo identificare come forza maggiore, un obbligo contrattuale
non può essere adempiuto in quanto le circostanze nelle quali l’adempimento è richiesto lo renderebbero qualcosa di
radicalmente diverso rispetto a quanto era stato pattuito nel contratto J. Lauritzen AS v Wijsmuller BV (The Super
Servant Two). v. anche sulla frustration : That test was first formulated by the House of Lords in Davis Contractors Ltd
v Fareham U.D.C.. As Lord Radcliffe put it:“Frustration occurs whenever the law recognises that without default of
either party a contractual obligation has become incapable of being performed because the circumstances in which
performance is called for would render it a thing radically different from that which was undertaken by the contract. 25
Il Contratto nel diritto inglese, Cedam, 1990. 26
Legal English, Cavendish Publishing, 2004.
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9
ordinamenti: nel Civil law la regola è rigorosamente positivizzata e la sua interpretazione, riservata
al giudice, non ammette scostamenti.
Tuttavia, in ragione di un’evoluzione pretoria, viene esaltato il sistema delle clausole generali.
Nel sistema Common law l’esaltazione dell’autonomia contrattuale non consente al giudice di
intervenire in modo significativo.
La seconda peculiarità è rappresentata dal sistema dei rimedi, altamente composito nei Civil
law, estremamente dinamico nel Common law.: quello che nel nostro sistema chiamiamo regole di
invalidità e regole sulla responsabilità.
Le diversità non sono di poco momento, considerando che nei sistemi di Common law non
esistono regole prefigurate, ma il regolamento è rigorosamente quello contenuto nel contratto.
Così opinando sembra si giunga alle medesime conclusioni percorrendo due strade diverse: da
un lato (sistemi Civil law) aprendo la strada ad una interpretazione temperata delle clausole generali
da parte del giudice; dall’altro (sistemi Common law) con una interpretazione moderata della
volontà delle parti.