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I RIFIUTI NELLA STORIA -‐ marzo 2012 -‐ Elaborato delle classi 1B e 1D, medie dell’Istituto Comprensivo BELLINI di Novara – coordinate dalle insegnanti prof. Marina Giorgi e prof. Michela Cella Bibliografia : autori e letture varie in classe La rete di raccolta rifiuti a Milano di Gian Luca Lapini Cosa è stato fatto in passato per raccogliere e smaltire la spazzatura? Chi se n’è occupato e come? Con quali problemi e risultati? Cosa rimane oggi degli antichi sforzi per pulire le città? Cosa sapremmo noi oggi delle culture preistoriche se non vi fossero i loro rifiuti?
In effetti, larga parte delle conoscenze che oggi possediamo circa i popoli delle età della pietra ci deriva dai resti, più o meno fossili, dei loro rifiuti. Lo studio di queste popolazioni, soprattutto le più antiche, ci è possibile solo attraverso l’esame in dettaglio dei loro insediamenti, dei resti del cibo, dei materiali litici (arnesi primitivi di pietra) e fittili (di terracotta) finalizzati al cibo o degli scarti di lavorazione delle pelli. Noi conosciamo le loro abitudini alimentari attraverso i resti di cibo bruciato, le osse spolpate e quant’altro rappresentava la loro pattumiera.
Se cerchiamo di ricostruire le abitudini alimentari di un uomo della preistoria attraverso i suoi resti, cosa ci è arrivato di lui se non cocci e rifiuti? Lo stesso possiamo dire delle culture storiche più antiche, se ne diamo una lettura in questo senso; ovviamente cambia la composizione dei rifiuti, questi erano quantitativamente pochi e per lo più costituiti da resti organici, ceneri ed escrementi. Tutti materiali ampiamente recuperati: il cibo andava agli animali, soprattutto maiali, le ceneri venivano utilizzate per lavare i tessuti, per via del contenuto in soda e gli escrementi venivano trasformati in letame. Di stoffe ovviamente ce n’erano poche e queste venivano utilizzate fino all’ultimo. I metalli erano così pochi che sarebbe stato follia buttarli e il vetro era oggetto di manufatti così rari che spesso sono arrivati, magari in cocci, fino a noi. L’ETA’ CLASSICA La pulizia delle città fu invece un problema che nacque con i Greci: furono loro infatti a sentire per primi il bisogno di un servizio pubblico di pulizia urbana. Nella “Costituzione degli Ateniesi” Aristotele, ad esempio, fissa i doveri di dieci sorveglianti della città incaricati di verificare il lavoro degli spazzini, per impedire loro di gettare le immondizie vicino alla città. Questi netturbini erano probabilmente schiavi che si incaricavano di tutte le opere di manutenzione di una città che al suo fulgore contava ben 250.00 abitanti. Invece i Romani dell’età classica ci hanno lasciato una massa sterminata di documenti inerenti le grandi opere pubbliche, ma pochissimo in merito alle attività quotidiane, che pure dovevano essere enormi, se si ricorda che la Roma imperiale contava oltre un milione di abitanti. Gran parte dei rifiuti che non venivano direttamente riutilizzati, erano scaricati nella Cloaca Massima, il sistema di fognature che serviva la città.
Per quanto riguarda gli scarichi più propriamente domestici si ricorda che questi venivano buttati semplicemente nelle strade, senza badare a chi potevano finire in testa. Come ricorda il poeta Giovenale cui capitò un “inconveniente” del genere.
schiavi dell’ Antica Grecia In città mancò sempre un sistema di raccolta pubblica ed il servizio era affidato a privati, per
esempio ai proprietari delle case che dovevano pensare a pulire anche il circondario, per non incorrere nelle sanzioni degli edili, i funzionari che erano stati preposti alla cura della città. Giulio Cesare, nell’editto di Eraclea, arrivò a bandire una gara di appalto pubblico per la pulizia delle strade, con partizione delle spese a metà fra amministrazione pubblica e padroni di casa: In epoca imperiale vi erano quattro “curatores viarum”, con funzioni di rango inferiore agli edili e incaricati di manutenzione e pulizia, due si occupavano della città interna e due della periferia. Nel “Digesto”, la raccolta di leggi che resse il mondo romano, era scritto anche che “..nulla dovesse tenersi esposto dinanzi alle officine e finalmente non si
permettesse che fossero gettate nelle strade sterco, cadaveri o pelli di animali”. Divieto questo che sarà ripreso negli statuti medioevali e che la dice lunga sulla qualità della pulizia delle strade e della città. Curioso è un episodio raccontato da Svetonio in cui il giovane Vespasiano (notoriamente benemerito in seguito per le sue attenzioni ai servizi igienici) viene fatto imbrattare dall’imperatore Caligola con il fango raccolto nelle vie da lui non adeguatamente curate. In ogni caso i romani furono i primi creatori dei servizi pubblici di raccolta e smaltimento dei rifiuti, il loro modello urbano fu esportato in tutto l’impero e come tale funzionò fintanto che durò l’impero stesso.
IL MEDIOEVO
Con la calata dei Barbari e per almeno un millennio, la situazione in tutta Europa fu assolutamente disastrosa, mancando qualsiasi interesse verso la pulizia o anche solo per l’igiene urbana. Con quali costi sociali lo si può desumere dalla frequenza delle pestilenze e delle epidemie, soprattutto il tifo (i liquami finivano per inquinare i pozzi per l’acqua) o di peste, veicolata dai topi. Nelle descrizioni dei lavori socialmente utili, quello assimilabile agli spazzini era allora ritenuto “infamante” o talora solo “umile” e solo i più miseri della società vi erano preposti; lo svolgimento di uno di questi mestieri costituiva ragione per non poter essere ammesso a diventare chierico o a rivestire cariche pubbliche. Le condizioni igieniche erano disastrose in Italia ed ancora peggiori, se possibile , nel resto dell’Europa con una coabitazione tra animali ed umani assolutamente deleteria.
Solo verso la fine del Medioevo si cominciò a farsi strada l’idea che una certa igiene potesse essere utile e necessaria per ridurre gli effetti delle epidemie di peste e colera che allora spopolavano intere nazioni. D’altra parte le città cominciavano a crescere in misura tale da non permettere una convivenza così a rischio ed era necessario mettere ordine o almeno emettere dei regolamenti per un regolare servizio di pulizia. A Milano, ad esempio intorno alla metà del sec. XIII, gli Statuti Comunali vietavano espressamente l’orinare e “ogni altra cosa disdicevole” nei pressi del Palazzo del Comune e nello stesso periodo si dava il via alla edificazione di pubbliche latrine. L’idea di non fare i propri bisogni dove capitava cominciò a diffondersi nelle case solo dopo l’inizio del Rinascimento, in città però del tutto prive di fognature e acquedotti. Queste pescavano l’acqua da pozzi inquinati e potevano contare per lo smaltimento dei liquami solo sulle letamaie che servivano i diffusi orti urbani: una sorta di compost che raccoglieva avanzi alimentari, mescolati al letame umano e animale. Solo col Rinascimento rinacque anche una struttura urbana di pulizia e smaltimento dei rifiuti.
DAL RINASCIMENTO AI GIORNI NOSTRI A Milano venne istituito L’Ufficio di Sanità e dopo il 1534 venne creato Il Magistrato di Sanità e l’omonimo Tribunale, che rimase in vigore fino al 1787. E non furono, queste, cariche di poco conto, anzi il Magistrato aveva amplissimi poteri e disponeva di una propria milizia, come ricordano i vari Statuti o raccolte di leggi che documentano tutti i passaggi verso una più moderna idea di igiene pubblica. Si prese così a mettere ordine non solo nella manutenzione delle strade, ma anche nella loro sistematica pulizia e riparazione. Si cominciò allora a proibire l’abbandono di letame lungo le pubbliche vie, la pulizia delle pelli o il salasso dei cavalli, nonché lo svuotamento dei pozzi neri durante l’estate. Anzi, per impedire che le cloache e pozzi appestassero l’aria, essi venivano periodicamente puliti con l’immissione delle acque dei torrenti Seveso e Nirone. Era fatto divieto di gettare immondizia per le vie ed il giudice delle strade e delle Acque, coadiuvato
dagli Ufficiali delle Strade, poteva comminare pene pecuniarie, che dovevano essere pagate al Vicario di Provvisione, ovvero pene corporali. Ognuno cominciò allora a spazzare e pulire almeno davanti alla propria casa e la città, pur continuando a puzzare, era meno sgradevole.
Fu all’inizio dei 1500 che nacquero i “navazzari” che potremmo considerare come gli antenati dei moderni operatori ecologici (alias netturbini). Erano questi i conduttori delle “navazze”, i carri con cui si raccoglievano il letame e i liquami dei pozzi neri delle abitazioni private (o almeno da quelle poche che ne erano fornite) e con i quali li si trasportavano fuori città, per usarli nei campi.
“navazzari” e “ruée”
Era lavoro non da poco se si considera che solo intorno alla fine dell’Ottocento Milano si dotò di un primo sistema fognario e il primo impianto di acqua potabile risale al 1888: I “navazzari” avevano in realtà compiti più ampi e pulivano anche le strade, raccoglievano la spazzatura delle case e trasportavano il tutto fuori città.
Il concetto di pulizia urbana cominciava ad affermarsi e, anche se ancor oggi è possibile vedere sulle mura di vecchi palazzi proibizioni di deposito della “immondezza” risalenti ai secoli scorsi. Le condizioni igieniche migliorarono, per quanto il puzzo generale fosse ancora ammorbante. Pare curioso ma l’aria a Milano era decisamente peggiore un tempo che non ora con le automobili, riscaldamento domestico e industrie. Il servizio di pulizia era un misto di pubblico e privato e questa Commissione continuerà a Milano sino al 1930, quando il servizio diverrà a tutti gli effetti solo pubblico. Fino ad allora il protagonista della pulizia cittadina era il “ruèe” che portava in spalla una gerla la “ruéra” appunto con scopa e pala puliva le strade. L’origine della parola era probabilmente il longobardo “hruf” , termine rimasto nel milanese attuale per indicare appunto la spazzatura. I “ruée” erano organizzatissimi e giravano prima dell’alba a raccogliere, vuoi con il carretto, vuoi con la gerla, la roba che provvedevano poi a portare fuori città. Nel 1910 il Comune concentrò lo scarico in località Rottole, dove nel 1929 fu installato un centro di prima cernita rimasto in funzione fino al 1964. In questo villaggio degli spazzini arrivarono a vivere fino a cinquecento famiglie, che operavano a mano, una sorta di differenziazione dei materiali ed un recupero di ben 37 tipologie merceologiche diverse riutilizzabili. STORIE DEL NOSTRO TEMPO La storia dei rifiuti nel nostro secolo mostra come sia profondamente cambiata la società e con essa la sua immagine in negativo, i rifiuti appunto. Un richiamo a questi aspetti concreti della Storia serve anche per rendere tangibili i mutamenti sociali, quasi antropologici, che stiamo vivendo in questi decenni. Ovviamente i parametri di misura sono molti, qui adotteremo lo studio della variazione della composizione media dei rifiuti milanesi nell’arco di un secolo. Dunque, alla fine del secolo scorso Milano si affacciava alla nascente industrializzazione con una società assolutamente parca, almeno agli occhi di un consumatore contemporaneo. La quantità media di rifiuti che una famiglia produceva in una settimana non superava i due o tre chilogrammi ed era per lo più costituita da ceneri: il riscaldamento domestico era infatti a legna o a carbone, con la differenza che la cenere di legna, ricca di soda, veniva utilizzata per lavare i panni, mentre la cenere di carbone, non essendo idonea allo scopo, doveva essere gettata. Gli avanzi di cibo erano molto pochi e quei pochi venivano raccolti per essere riutilizzati dai “ruèe” come alimento per i maiali. I metalli erano pressoché inesistenti nei rifiuti: non c’erano ancora le lattine per le bibite, mentre le pentole rotte e altri oggetti domestici di metallo venivano vendute al “rottamaio”, curiosa figura di recuperatore di metalli ante litteram, ancora oggi non del tutto scomparsa, che faceva la propria e altrui fortuna appunto comperando a peso i rottami metallici.
Il vetro era pressoché assente, e così pure i tessuti, che venivano riutilizzati direttamente in vari modi, non ultimo facendone dei pannolini per bambini o delle fasce per calzari. Le famose “ciocie” degli abitanti del Lazio meridionale ad esempio, altro non erano che lenzuoli fatti a strisce e legati intorno ai piedi, così come le fasce dei soldati durante la prima guerra mondiale. I tessuti, fino ad almeno la seconda rivoluzione industriale, erano un bene prezioso: una famiglia prima di affrontare la spesa di un nuovo vestito ci pensava su parecchie volte e se lo faceva, vi erano comunque infinite resistenze ed attenzioni. Il vecchio detto “un vestito indosso e un in fosso” era da intendere in senso letterale e quanto mai concreto. La poca carta o il legno veniva bruciati e ovviamente non esisteva la plastica: Oggi la situazione è del tutto cambiata: siamo passati da una società frugale, semi agricola ad una post industriale e consumista, che fa “dell’usa e getta” il proprio modello; nessuno pensa a riparare le cose, che del resto sono fatte per durare poco ed essere rimpiazzate da altri modelli e questo in tutti i settori. Il risultato è stata una crescita smodata dei rifiuti, che sono diventati quasi il simbolo in negativo della ricchezza e del benessere.