I racconti della fata uncina. Una raccolta a cura di Josy Monaco

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"I racconti della fata uncina" è un blog realizzato da Josy Monaco, dedicato a storie di donne napoletane che, tra un viaggio e l'altro, portano con sé le proprie origini partenopee mentre vivono straordinarie avventure in una quotidianità fatta di cibi tipici e luoghi insoliti tutti da scoprire. In occasione del Natale, l'autrice ha realizzato una raccolta di racconti dedicati che comprendono: 1) Il principe pasta frolla e la leggenda del bacio avvelenato: la dolcezza si sforna a Napoli 2) La Stella della Vita: tra i presepi di San Gregorio Armeno e le pizze dei Fratelli Cicciolo 3. A Natale (non) tutti sono più buoni: – Il Semaforo – Fotoalbum – Un Manoscritto tra latte, Faggetti e sfogliatelle – Metti una sera al cenone di capodanno Gli altri racconti del blog si possono leggere su https://iraccontidellafatauncina.blogspot.it

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Ciao, sono Josy Monaco, autrice del blog I racconti della fata uncina. Mi piace scrivere racconti dedicati al cibo e ai viaggi e su richiesta elaboro fiabe personalizzate per privati e attività che si occupano di cibo e di turismo.

Ho realizzato una raccolta di racconti che potrai leggere da solo o in compagnia durante le vacanze natalizie.Se hai voglia di un amore che delizia il palato, leggi “Il Principe pasta frolla e la leggenda del bacio avvelenato: la dolcezza si sforna a Napoli”; se ami il salato e vuoi passeggiare per le strade di San Gregorio Armeno “La Stella della Vita: tra i presepi di San Gregorio Armeno e le pizze dei Fratelli Cicciolo” fa al caso tuo; se invece hai voglia di qualche allegra lettura, ti consiglio “A Natale (non) tutti sono più buoni”, una raccolta di racconti dedicati a storie di donne napoletane che hanno trascorso le feste natalizie in modo alternativo.

Resta in contatto con me su:

I racconti della fata uncina

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Marzia Bertelli è la fotografa che ha realizzato le immagini contenute in questa raccolta di racconti. Tra le sue collaborazioni importanti ci sono Palazzo Reale e la Rai di Napoli; oltre a ciò, è impegnata nella mostra personale di fotografia “In una goccia tra terra e mare” in cui con una sfera gioca mostrandoci la sua realtà fotografica.

Marzia Bertelli ph Bertelli Marzia

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Si ringrazia Birdy's Bakery Napoli per i biscottini interpreti del racconto “Il principe pasta frolla e la leggenda del bacio avvelenato: la dolcezza si sforna a Napoli”.

La grafica di copertina è stata realizzata da Antonio Natalino.

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Indice

1. Il principe pasta frolla e la leggenda del bacio avvelenato: la dolcezza si sforna a Napoli, p.6

2. La Stella della Vita: tra i presepi di San Gregorio Armeno e le pizze dei Fratelli Cicciolo, p.27

3. A Natale (non) tutti sono più buoni, p.36– Il Semaforo– Fotoalbum – Un Manoscritto tra latte, Faggetti e sfogliatelle– Metti una sera al cenone di capodanno

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Il principe pasta frolla e la leggenda del bacio avvelenato: la dolcezza si sforna a Napoli

Kinokia sorgeva un tempo in una valle dove il sole era sempre alto nel modo giusto e le stelle facevano da scenografia alle storie più romantiche. Il popolo dei kinokiani, era fatto di gente umile e dal buon cuore. Le donne erano di piccola statura con il corpicino aggraziato e i capelli ramati.Gli uomini erano di media statura e robusti. Non presentavano un fisico da guerrieri ma erano forti e massicci. I loro abiti erano vivaci e le stoffe richiamavano i colori delle caramelle. Ogni giorno lavoravano operosamente per mantenere vivo il clima dei prodotti dolciari che producevano; di buon mattino, tutto il popolo si riuniva a fare colazione attorno a una tavola imbandita con dolci di ogni tipo, forma e sapore. C'erano poi gruppi di kinokiani specializzati nell'ideare nuove ricette. Di sera si ritrovavano tutti intorno al fuoco fatato a cantare e creare storie.

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C'era sempre un buon odore e spesso si intravedeva un pizzico di polvere magica. L'odio era sconosciuto a Kinokia. Victor Bewyasm era un sovrano che si distingueva da quelli di ogni tempo. Non viveva in un castello in cima alla collina. La sua casa color crema pasticcera era al centro del villaggio accanto a quelle dei kinokiani. Questo non solo per le sue doti da leader ma anche per aiutare il popolo a proteggere il segreto dei segreti: la formula dominante dei sentimenti del mondo. Nessuno degli abitanti era a conoscenza del segreto tranne due persone, il sovrano Victor Bewyasm e la principessa Peruaci. Solo loro avevano il privilegio di sapere dove fosse custodita la formula. Se un giorno qualcuno dal cuore non puro avesse avuto tra le

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mani il segreto dei segreti, sarebbe giunta la fine del regno di Kinokia e di ogni altro regno. Il male avrebbe regnato per sempre. I cuori sarebbero diventati di pietra. Il mondo sarebbe scomparso per sempre. Il sole non avrebbe più illuminato i giorni e le stelle sarebbero diventate pezzi di carbone. Il buio avrebbe governato. Arrivò il giorno in cui il sole sembrava tardare a sorgere. Le stelle erano alte nel cielo ma non brillavano in modo splendente. Il popolo di Kinokia attribuì la causa al cambio delle stagioni, ma Victor Bewyasm aveva uno strano presentimento. I tempi erano ancora prematuri per una nuova stagione. Qualcosa stava accadendo...Mentre tutti erano intorno al fuoco e la principessa Peruaci cantava con la sua melodiosa voce, uscì dal fuoco un essere con un cappuccio nero. Senza mostrare il suo volto, prese la principessa Peruaci tra le sue grinfie e la risucchiò nel fuoco. Era Dostoluk sovrano del male. Era lì per rubare il segreto dei segreti. In un lampo spuntarono migliaia di uomini incappucciati e armati. Gli uomini di Kinokia lottarono fianco a fianco con Victor Bewyasm per sconfiggerli. Nel frattempo le donne utilizzarono ogni incantesimo per liberare la principessa; purtroppo, ogni singolo cittadino di Kinokia fu sconfitto e ucciso. Donne e uomini. Solo Victor Bewyasm era rimasto indenne con addosso una maledizione: sarebbe stato immortale per vedere sorgere su Kinokia tanti altri regni senza mai più amare ed essere amato. Così fu per qualche tempo durato secoli. Arrivò l'anno 2015/2016 e Victor Bewyasm era conosciuto tra

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la gente come il vecchio cioccolatiere e pasticcere che viveva in un cottage di montagna situato in un luogo dedicato alla cultura sciistica dove la luce del sole era fioca e nevicava tutto l'anno. Victor Bewyasm era parecchio affascinato dall'evoluzione che il mondo e la società avevano avuto grazie ai nuovi mezzi di comunicazione. Non solo la radio e la TV che pullulavano di canali e frequenze rispetto al tempo della sua giovinezza ma anche il web con tanti contenuti e aggiornamenti in tempo reale. In particolare era colpito e stupito dalla moda dilagante di cuochi e pasticceri improvvisati che ogni giorno intrattenevano la sua solitaria vita. L'amore che lo nutriva quotidianamente era quello per il suo laboratorio. Un meraviglioso laboratorio dolciario. Era un ambiente colorato e profumava di zucchero. Non c'era forma, non c'era creatura che non riuscisse a riprodurre in dolcezza. Era rimasto solo da quando Kinokia fu distrutta molti secoli addietro da Dostoluk. Victor Bewyasm riempiva il suo cuore preparando torte e biscotti per i turisti che passavano dalle sue parti. Era definito un mago pasticciere: farciva i suoi dolci con della polvere magica tale da generare amore in tutti coloro che li assaggiavano. Non c'era mai stato giorno durante il quale non aveva in mente il ricordo degli abitanti di Kinokia che combattevano fianco a fianco con lui a suon di mattarelli magici contro l'esercito di Dostoluck. Viveva con l'obiettivo di rivendicare il regno di Kinokia distrutto e la memoria della principessa Peruaci.

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Kinokia era scomparsa per sempre e Victor Bewyasm era condannato a vivere la sua vita in solitudine per tutti i secoli dei secoli; di Kinokia era rimasto solo il nome e molti anni dopo era sorto un villaggio di montagna dove il clima era sempre incerto e i prati erano candidi. Ogni tanto Victor Bewyasm conversava con qualche turista o vacanziero che si trovava nei paraggi; talvolta, sorrideva ai bambini che gli saltavano al collo come se fosse il loro nonno.Aveva guanciotte rosse e una coppola a scacchi in testa. Dei jeans blu scuro, un maglione a collo alto giallo e delle bretelle. Era grazie ai contatti con la gente che trascorreva le vacanze dalle sue parti che si informava

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costantemente sugli avvenimenti del mondo. Un bel giorno, ispirato dai tanti programmi di cucina e cake design, Victor Bewyasm decise di dare un senso alla sua vita: creare una pasta diversa provando a riprodurre l'antica formula dei dolci di Kinokia; avrebbe realizzato la ricetta con il segreto dei segreti per riportare Kinokia a nuova vita. Mancava però un piano specifico.Il vecchio Victor Bewyasm era in attesa di un lampo di genio. Un pomeriggio, mentre vedeva il sole tramontare si accorse di due persone. Un padre ed un figlio che si abbracciavano, conversavano e ridevano tra loro amorevolmente. Il senso di solitudine provato in quel momento fu la molla che gli fornì l'idea giusta: realizzare un uomo di pasta frolla con dentro al cuore il segreto dei segreti. Victor Bewyasm avrebbe creato l'uomo prescelto per far risorgere Kinokia a nuova vita in nome dell'amore. Chiuse a chiave la porta del cottage, serrò le finestre, spense la luce, accese la fiaccola, aprì una botola e lentamente con le ginocchia scricchiolanti e il busto ancora bene eretto scese le scale che lo portavano nel suo vero laboratorio. Alle persone che gli facevano visita aveva sempre solo mostrato un classico laboratoriocolorato pieno di dolciumi e leccornie. In realtà il laboratorio vero era sotto il cottage, in una cantina. Arrivò all'ultimo scalino. Accese l'interruttore. Aprì una credenza e prese gli ingredienti: uova, latte, burro, farina ma non il lievito. Vicino alla credenza mosse una levetta che ruotò la parete e si aprì quasi in un'altra dimensione.

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Le pareti erano giallo canarino, al centro c'era una grande tavola con ingredienti di ogni tipo. C'erano il barattolo con la sigla “amore”, il vasetto con la sigla “allegria” e il vasetto con la scritta “desideri”. Fu quest'ultimo che prese. Appoggiò uno ad uno gli ingredienti sul tavolo bene illuminato e ricco di mestoli, formine, mattarelli, scodelle. Di fronte una grande cucina di mattoni con un forno enorme. Victor Bewyasm scelse il recipiente più adatto e cominciò a versare gli ingredienti uno ad uno. lasciando in sospeso il vasetto con la scritta “ desideri”. Per l'impasto si servì delle sue mani ossute. Lavorò con molta energia fino a quando non venne fuori una bella palla di pasta frolla. La cosparse di farina e con l'ausilio di un coltello rosso iniziò a tagliarne alcuni pezzi. Il primo pezzo e il secondo pezzo li allungò facendone venire fuori delle gambe. Il terzo pezzo lo stese con il mattarello. Era la parte centrale del corpo. Passò poi al quarto e al quinto pezzo che allungò per formare braccia e mani. Con tanta minuzia prese una forchetta e ricavò dalla pasta cinque dita. L'ultimo pezzo era la testa. Quell'enorme biscotto aveva davvero le sembianze di un uomo di pasta frolla. Si allungò verso una credenza rosa pesca e prese vari tipi di colorante. Spennellò una ad una le singole parti del corpo. Con degli avanzi di pasta creò dei bottoni rossi come l'amore.Guardò quel corpo di pasta frolla con tanta emozione e timore. Prese poi il barattolo con la scritta “desideri” e pronunciò le parole: «vai o mio desiderio, parti e torna da

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me con ciò che sta in fondo al cuore mio: Kinokia». Si avvicinò al forno sempre pronto a cuocere qualsiasi cosa e vi ripose il vassoio con l'impasto di pasta frolla. Lo chiuse e girò la manopola della temperatura di colore turchese. Poi girò il suo antico timer a forma di biscotto e lo programmò per venti minuti circa. Venti minuti cominciavano a sembrare un'eternità. Chissà cosa ne sarebbe venuto fuori! Sarebbe stato deforme il suo uomo di pasta frolla? Sarebbe stato in grado di far risorgere Kinokia? Si sarebbe spezzato al minimo movimento? Victor Bewyasm impaziente andò su e giù per il passaggio segreto del laboratorio per molte, molte volte. Con il suo orecchio arrossato cercava di capire se fuori c'erano persone. Sentiva voci di bambini entusiasti di aver utilizzato gli scii per la prima volta. Guardava quel timer girare e mentre girava ripercorreva con la mente tutti i momentidella sua vita. Insieme al ticchettio giravano le immagini delle quattro stagioni. In ogni stagione c'era lui con un suo momento speciale. C'era lui con la sua dolce solitudine a chiedersi perché la principessa Peruaci fosse stata brutalmente fatta fuori. C'era lui nell'ultimo minuto di timer ad immaginarsi il suo uomo di pasta frolla. Il timer suonò. Venti minuti erano trascorsi. Aprì il forno. Tirò fuori un uomo biscottato. Purtroppo non aveva l'aspetto che sperava; deluso, lo ripose sul tavolo e lo coprì con della carta forno. Al massimo l'avrebbe servito ai bimbi che passavano dalle sue parti a sciare.

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Proprio quando Victor Bewyasm stava per spegnere la luce del laboratorio,qualcosa cominciò a muoversi. L'anziano uomo si voltò e scoprì che c'era un ragazzo seduto in mezzo al tavolo. Era un fanciullo incantevole con sembianze umane. Era fatto di carne ed ossa. L'aspetto era bellissimo e aveva degli occhi dolcissimi. Felice e pimpante di gioia Victor Bewyasm si presentò al giovane uomo nato dalla pasta frolla e gli diede un nome: Pesoj. Conquistando il tempo che sempre scorreva veloce, iniziò sin da subito ad impartirglile giuste lezioni per essere un valido guerriero e valido sovrano del nuovo regno di Kinokia. Ogni giorno della settimana era dedicato a una lezione. Gli leggeva le più belle fiabe d'amore attraverso le quali cercava di insegnargli anche il galateo. Molto ci teneva il vecchio Victor Bewyasm affinché il suo figlio di pasta frolla avesse buone maniere con il prossimo. Legge suprema di Kinokia era infatti l'amore in ogni sua forma. Soprattutto gli dava lezioni di cucina affinché potesse preparare i dolci fatati. Un mattino, mentre scriveva una ricetta, morì. Aveva un segreto da rivelare al suo ometto di pasta frolla. Si trattava del segreto nascosto nel laboratorio che avrebbe fatto tornare in vita il regno di Kinokia. Aveva sconfitto il sortilegio dell'immortalità e dunque significava che la ricetta era andata a buon fine. Il regno di Kinokia sarebbe presto tornato a splendere. Sconvolto Pesoj passò molto tempo a vivere da solo in solitudine in quel cottage di montagna e non riusciva a dialogare con nessuno perché era ossessionato dalla ricerca del segreto. Salutava qualche gruppo di bambini di tanto in

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tanto ma si faceva vedere molto poco. Durante uno dei tanti tramonti che Pesoi guardava solo e pensoso, si trovò a passare di li Sojuta una ragazza che si trovatasi per caso da quelle parti mentre faceva allenamento sulla neve. Non era in quel luogo come turista. Zoppicava perché si era slogata una caviglia e, non avendo nulla con cui medicarsi, cercava aiuto. Alzando la testa notò il volto di Pesoj alla finestra. Con qualche piccolo sforzo si avvicinò alla porta e, rendendosi conto che era già aperta, decise di entrare. Si trovò davanti uno spettacolo sublime. Sculture, angeli, fate, cuori e bimbi fatti di pasta frolla. Chiese più volte se in casa ci fosse qualcuno ma non ebbe risposta. Continuò così a curiosare fin quando non si trovò sulla botola che portava al laboratorio segreto. La alzò e pur con qualche difficoltà dovuta alla caviglia dolorante, scese le scale una ad una. Si trovò in un laboratorio dove , seduto al tavolo, c'era un ragazzo dall'aspetto rassicurante e dal viso buono, Pesoj. Con la schiena robusta e i movimenti eleganti, il giovane uomo si voltò a chiedere a Sojuta come poteva esserle d'aiuto. Lei gli mostrò la caviglia dolorante e, tra un impacco di ghiaccio e l'altro, iniziarono a conversare. Era la prima volta che Pesoj si apriva e raccontava la sua vita. Raccontò alla bella Sojuta dai capelli mossi rosso rame e gli occhioni verdi che viveva solo da molti anni, di non avere nessuno e di essere cresciuto in maniera atipica. Stava per spiegarle come era nato, ma la fanciulla intenerita si propose di aiutarlo. Lo invitò a seguirla e a stare a casa sua come ospite per il tempo che bastava a

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costruirsi una vita vera. Quando Sojuta tornò a casa con un uomo sconosciuto e mai visto prima, nessuno dei membri della sua famiglia era favorevole. Li dovette pregare in ginocchio affinché accettassero di ospitarlo fino quando non si arresero. A Pesoj fu dato un posto letto sul divano e qualche coperta di lana che profumava di sapone presa dall'armadio appositamente per lui. Sojuta diede la buona notte a Pesoj. Il giovane non chiuse occhio tutta la notte perché era sia intimorito e sia felice di essere stato accolto in casa da persone di buon cuore. Tra un pensiero e l'altro, Pesoj rimase sveglio fino all'alba avvolto nella coperta di lana arancione a chiedersi come poteva ricambiare l'ospitalità che aveva ricevuto. Si voltò e vide un quadro che raffigurava il Sole. Fu in quell'attimo che ebbe un'idea geniale. Si recò in cucina dove la sera prima aveva bevuto una tazza di caffè. Aprì mobili, credenza e frigorifero e iniziò a mettersi all'opera. Il profumo di cannella e cioccolato cominciò ad espandersi e a passare sotto il naso di tutti gli abitanti della casa. Sojuta scese in cucina incuriosita e desiderosa di preparare una buona colazione a Pesoj. Dovette ricredersi perché trovò il tavolo imbandito di ogni cosa: biscotti al cioccolato, ciambelle con marmellata e crostate, latte e caffè già miscelati e succo d'arancia. A seguire arrivarono i genitori di Sojuta che sembrarono apprezzare il gesto di Pesoj.

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Tutti i membri della famiglia iniziarono ad addolcire i lineamenti del volto e a scambiarsi tenerezze reciproche mentre consumavano quella gustosa colazione. Le doti culinarie di Pesoj furono apprezzate al punto tale che la madre di Sojuta decise di presentarlo ai vicini; pian piano, tutti iniziando a provare affetto per il giovane e, provando gusto nell'assaggiare i suoi manicaretti, decisero di commissionargli la preparazione di dolci personalizzati in modo tale da aiutarlo anche economicamente. Nel giro di qualche mese Pesoj riuscì a costruirsi una vita da zero. Con un mestiere tra le mani non gli fu difficile, il caro buon vecchio Victor Bewyasm aveva fatto più di una cosa buona.

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I dolci di Pesoj sembravano avere uno strano effetto sulle persone: aprivano i loro cuori e scioglievano anche quelli più duri. Molto frequenti furono gli episodi di riappacificazione tra persone che non si parlavano più. Chi si odiava improvvisamente si amava. Fu allora che il giovane uomo di pasta frolla capì che, pur non conoscendo il segreto dei segreti nascosto nel laboratorio, stava iniziando a compiere la volontà di suo padre Victor Bewyasm. Più realizzava prodotti da forno e più l'anima degli abitanti di Kinokia veniva fuori. Pesoj cominciò a risparmiare denaro per aprire un vero e proprio laboratorio. Una notte Victor Bewyasm gli venne in sogno e gli indicò un piccolo forno nero con all'interno una porta. Una volta giunto il giorno Pesoj andò in cucina in cerca del forno visto in sogno, certo che si trattasse di un segno. Si guardò intorno ma non c'era nessun forno nero. L'unica cosa nera che vedeva era una lavastoviglie. La aprì e ci guardò dentro, ma non c'era nessuna porta. Proprio quel giorno arrivò un pacco per Pesoj senza mittente. Era un omaggio da parte di un ammiratore misterioso che voleva omaggiare la sua bravura con un dono speciale: un forno nero molto grande e ipertecnologico. Il sogno premonitore si era avverato. Pesoj lo mise subito in funzione e si mise all'opera per testarlo. Quando lo aprì per cuocere i suoi dolcetti, notò una strana levetta di colore argento. La tirò e si aprì una porta. Uscì tanto vento. L'uomo nato dalla pasta frolla infilò la testa per curiosare e fu risucchiato in un tunnel che profumava di zenzero e nocciola. Scorreva veloce e più scendeva giù e più

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allo zenzero e alla nocciola si fondeva un insolito sapore di sale. Arrivò sul fondo. Era in un laboratorio di prodotti da forno. Vide degli scalini che gli ricordavano tanto quelli del suo cottage. Scendendo uno ad uno i gradini, Pesoj si rese conto che nel piano sottostante non c'era un altro laboratorio bensì una stanza con una vetrina ricca di prodotti dolciari molto simili ai suoi. Anzi, sembravano proprio i suoi. Li aveva riconosciuti e se ne accorgeva perché le persone presenti erano allegre e avevano lo sguardo di chi sa che cosa significa amare. Un uomo grassottello con i capelli e i baffi color argento, vestito con una giacca di velluto blu e un maglioncino rosa cipria esclamò nel suo dialetto lo stupore e l'estasi che provava nel gustare quei succulenti dolcetti che mai prima di allora aveva gustato nella sua Napoli. Pesoj comprese di essere finito nella città della pizza, del mandolino e della passionalità. Non riusciva a capire come fosse stato possibile, fatto sta che quell'uomo panciuto gli si avvicinò dicendogli che quel laboratorio era suo e che da quel momento in poi era li che avrebbe continuato a produrre i suoi dolci. A patto però di non farne parola con nessuno una volta varcata la soglia del forno, dopo la quale avrebbe continuato a fornire prodotti dolciari da forno ad amici e vicini. L'uomo panciuto aggiunse anche che quella struttura meritava un nome per avere il successo meritato e che, anche sui dolci da distribuire al di là del forno, sarebbe andato lo stesso nome. Pesoj stabilì che i suoi prodotti avrebbero portato il nome di Birdy's Bakery Napoli e così fu.

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Passarono altri mesi e il successo di Pesoj aumentava a dismisura. I continui passaggi dal forno della sua cucina a Napoli divennero sempre più frequenti e per la prima volta si sentì fiero di sé. Ogni giorno che passava Sojuta si innamorava di sempre più di Pesoj. Iniziò a guardarlo con occhi diversi. Era incantata da lui, dai suoi modi di fare e dalla sua purezza d'animo. Il sentimento sembrava reciproco tanto che Pesoj ogni giorno preparava dei biscotti speciali solo per lei, ma aveva scelto di non dichiararsi ancora. Prima doveva compiere la missione per la quale era stato creato: Kinokia. Sojuta aveva già un fidanzato. Si trattava di Tim, un

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ragazzo dal cuore non proprio puro che decise di mettere i bastoni tra le ruote al povero Pesoj. Fu in occasione della preparazione dei biscotti per una festa di quartiere che Tim riuscì a mettere Pesoj nei guai; in realtà, lo spirito di Dostoluck si era reincarnato in Tim e Pesoj non lo aveva ancora capito. Approfittando della sua bontà escogitò un diabolico piano per rovinargli la reputazione. Fingendosi appassionato di cake design e coloranti, esortò Pesoj a provarli per farcire i suoi biscotti. Si trattava in realtà di veleno. Pesoj passò molte ore a preparare i biscotti, erano circa 400. Erano di varie forme e colori. Il giorno della festa di quartiere li portò e li distribuì con molto orgoglio. Una donna sulla cinquantina dai capelli neri raccolti e con un abito verde acqua assaggiò con tutta la sua golosità il primo biscotto che masticò con le sue guancette paffute. Pochi attimi dopo la donna fu colta da un malore e Pesoj fu accusato di tentato omicidio; il giovane uomo nato dalla pasta frolla capì che il momento della rivincita contro Dostloluk era arrivato. Decise così di fuggire via correndo verso la sua vecchia casa in montagna alla ricerca del segreto di laboratorio. Sojuta corse a cercarlo. Non riusciva a stargli dietro perché correva troppo. Lo trovò poi alla riva di un lago ghiacciato. Pesoj avvertendo la sua presenza le confessò di aver scoperto il sentimento d'amore che lei teneva nascosto nel cuore e di ricambiarlo. Fu in quel momento che Sojuta ebbe prova che Pesoj possedeva qualcosa di superiore, qualcosa di magico. Non era di questa terra.

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Pesoj raccontò a Sojuta la storia di Kinokia, dei magici dolciumi e di Dostoluck che era tornato per impedirgli di far risorgere Kinokia. Lui le chiese dolcemente di assaggiare la sua anima. Mentre stavano per sancire il loro amore, arrivò Dostoluk sotto le sembianze di Tim minacciando di sparare se non avesse lasciato libera Sojuta. Il gesto di Tim/Dostoluk acuì ancora di più la volontà della giovane donna dai capelli ramati, tanto da schierarsi davanti a Pesoj per proteggerlo. Avrebbe preferito essere colpita a morte piuttosto che perdere il vero amore e, per questo motivo, tirò fuori dalla tasca uno dei biscotti avvelenati

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addentandolo. Pesoj per evitare che la donna che amava mangiasse il biscotto avvelenato si precipitò sulle sue labbra. Di conseguenza Tim/Dostoluk, ferito dalla sconfitta, gettò la sua arma tra gli alberi e si trasformò in una bolla nera che scoppiò all'istante.Purtroppo nulla fu utile per salvare la vita di Sojuta che morì d'amore per Pesoj il quale, ingerendo a sua volta pezzi del biscotto avvelenato, tornò pasta frolla finendo in mille briciole.

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La storia e il sortilegio di Dostoluk sembravano trovare conferma. Sojuta era scomparsa come la principessa Peruaci; eppure, senza un motivo apparente, il cielo si rischiarò, la neve cominciò a sciogliersi e il sole iniziò a splendere alto nel cielo. Il segreto per far risorgere Kinokia stava nell'amore puro. Ecco qual era il segreto nascosto nel laboratorio: «Amore puro sopra ogni cosa». Kinokia stava per tornare in auge perché in quella terra, nello stesso punto dove secoli e secoli prima la principessa Peruaci e il popolo di Kinokia erano stati cancellati, si era compiuto il più dolce gesto d'amore. Da quel momento in poi tutti coloro che avevano assaggiato i biscotti fatati iniziarono a parlare di Kinokia e a definirsi Kinokiani. Soprattutto si iniziò a narrare che tutti gli amanti che si baciavano in quel luogo dovevano avere con sé dei biscotti perché è lì che ebbe origine la leggenda del bacio sulle labbra come segno d'amore. Di Pesoj e Sojuta nessuno più seppe nulla, ma si narra che i loro spiriti avrebbero aiutato in eterno gli angeli dell'amore per fare incontrare le anime di fiamma gemella di tutto il mondo; in ogni modo, alle prime luci dell'alba, qualcuno con un cappello rosso si introdusse nel cottage di montagna, aprì la botola del laboratorio segreto con la sicurezza di chi era stato li già altre volte, accese la luce e ruppe delle uova turchesi in una ciotola di cristallo...

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...e vissero tutti biscottosi e contenti!

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La Stella della Vita.Tra i presepi di San Gregorio Armeno e le pizze dei

Fratelli CiccioloE' in quei momenti in cui ti vedi solo, affacciato ad una

finestra, che ti accorgi di ciò che è stato e di quel che

può essere in futuro. Ti vedi tutto il mondo davanti, sembra

che tu sia solo di fronte a quel lungo sentiero alberato che

è il percorso di vita che hai intrapreso fino ad ora. Alzi

gli occhi al cielo e vedi le stelle.

Ti aspetti di vedere una stella cadente per esprimere il

desiderio di arrivare dove ancora non sei arrivato, ma

quella stella non è ancora caduta perché quella che ti farà

realizzare tutti i tuoi desideri sei tu stesso; è però più

forte di te e continui a non perdere la speranza che una

sera, affacciandoti alla finestra, possa cadere finalmente

una stella per aiutarti ad esprimere il tuo più recondito

desiderio e cosi, nell'attesa di quella stella che ti possa

cambiare la vita, decidi di custodire gelosamente quel

desiderio nelle tasche del cuore e dell'anima e decidi di

non rivelarlo a nessuno. Lo rivelerai solamente alla Luna

che ogni sera ti farà compagnia aspettando quella stella.

Potrebbe però capitarti di affacciarti alla finestra di

giorno e vedere già una grande stella: il Sole; eppure

nemmeno quest'ultimo è capace di colmare il vuoto che hai

dentro causato dalla mancanza della stella che tanto

aspetti.

Allora che fai? Per ingannare il tempo inizi a fare tante

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cose, inizi a scrivere tanti pensieri a volte coerenti e

razionali e altre sconnessi, provi a disegnare ciò che tu

vorresti che quella stella facesse per te; poi provi a

trasformare in realtà quei pensieri sconnessi attraverso ciò

che hai disegnato, fino a creare qualcosa di così bello che

nemmeno ti aspettavi e che ti donerà la pazienza di

aspettare il grande giorno, quello in cui sarà una stella ad

affacciarsi alla finestra e a trovare te che diventerai la

sua stella cadente.

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Dalle parole che mettono per iscritto digitalmente i pensieri che attraversavano la mia mente nel 2007, si capisce che parlavo della perenne ricerca di un dardo che mi colpisse il cuore: la mia anima gemella.Era una sera di metà novembre quando nacque "La Stella della Vita". Sorseggiavo una birra chiara dal sapore dolce che ben si sposava con la pizza che stavo mangiando presso Fratelli Cicciolo, una pizzeria all'angolo di via Tribunali a Napoli, seduta ad un tavolino praticamente collocato in strada insieme a tanti altri.Napoli, la mia Napoli, io l'ho sempre amata perché l'inverno arriva anche qui, ma ci alberga davvero per pochi mesi; fatta salva qualche annata eccezionale dove arriva persino a nevicare, il gelo qui fa battere i denti solo da dicembre a febbraio.Avrete capito che stavo consumando la mia pizza margherita con provola e cicoli completamente da sola. Non che io non avessi spasimanti, sia chiaro. Quando però dovevo mangiare la pizza, preferivo stare da sola. Vedete, c'è chi ama rilassarsi con un massaggio, ascoltando la relax music oppure con altre scelte alternative. La pizza è il mezzo che mi da lo sprint giusto per affrontare qualsiasi cosa, soprattutto quando si tratta di parlare con me stessa.

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La pizza è come se fosse una mia amica. Quando la mozzarella o la provola si sciolgono in bocca mentre quel filo d'olio d'oliva misto alla giusta acidità del pomodoro mi scendono nella gola come un fiume in piena, come una diga che scoppia all'improvviso, i pensieri scorrono veloci nella mia mente. La birra? Beh, non sono abitudinaria, ma mi serviva quella sera. Avevo bisogno di guardare la vita scorrere attraverso i luppoli.

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Tornando a noi, quella sera riflettevo proprio sull'amore, sulle cronache rosa della mia esistenza. Parecchie persone mi passavano davanti ed era proprio questo che amavo e che amo fare a tutt'oggi. Madri, figlie e sorelle passeggiavano e chiacchieravano dell'antipasto di Natale da preparare. Pare fossero tutte in cerca di una ricetta alternativa. Per quel che mi riguarda, vinceva e vince il tronchetto di Natale a fine pasto.Mentre mi accingevo a chiamare un cameriere per chiedere il conto, fui attirata da una stella rosa luccicante. Abbagliava letteralmente la vista. Sembrava quasi il logo di una nota marca di bevande a base di agrumi. Era in realtà la stampa della maglietta di un ragazzo che pedalava affannato e irrigidito. Mi stava venendo la malsana idea di mettergli uno sgambetto, ma non lo feci perché non lo meritava. Non potevo sfogare la mia solitudine su qualcuno che nemmeno conoscevo.Il fato volle che quel ragazzo fermasse la bicicletta proprio davanti alla pizzeria dove stavo consumando la mia cena. Apparteneva allo staff e gli era finita la benzina nel motorino della consegna pizze. Ecco perché era rigido e affannato. Temeva un rimprovero. Fortunatamente il suo datore di lavoro era estremamente gentile e comprese le sue condizioni. Quando pagai il conto, l'uomo mi chiese se potevo aiutarlo a cercare il motorino o perlomeno avvisarlo se lo avessi visto. L'ingenuo ragazzo con la stella rosa luccicante lo aveva lasciato incustodito.Banalmente, la direzione che dovevo prendere era proprio quella dalla quale stava ritornando il ragazzo. Facemmo la

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strada insieme. Argomenti per conversare non mancarono. Tutto il percorso era rallegrato dalle prime luci natalizie e dai meravigliosi presepi che ci apparivano davanti passo dopo passo fino a portarci a San Gregorio Armeno.Complice forse l'imbarazzo della situazione, rimasi colpita da quelle immagini come se fosse la prima volta che le vedevo. Chissà, pensai, forse è perché passeggio con un uomo accanto a me. Ho infatti dimenticato un particolare. Vista la descrizione, starete pensando che si trattava di un piccoletto. Invece no. Il ragazzo aveva venticinque anni o qualcosa in più. Eravamo coetanei.Non siate maliziosi, vi prego. Pensieri del genere non stavano occupando la mia mente. Dico soltanto che mi faceva quasi piacere di aprire le prime passeggiate natalizie in compagnia di qualcuno. Se proprio volete immedesimarvi in quella situazione, immaginate che a fare da colonna sonora ci fosse That's amore e che i battiti del nostro cuore suonassero come le campane che annunciavano l'inizio di un amore senza confini.Quando arrivammo nel cuore di San Gregorio Armeno, trovammo un argomento simpatico: il gossip. Ad ispirarci furono i pastori dei presepi che rappresentavano alla perfezione personaggi pubblici nazionali e internazionali. Chiacchierammo su questo e quest'altro motivo che poteva o meno rendere celebre una persona e, gira e rigira, dimenticammo completamente di essere in cerca del motorino da asporto.

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Il profumo di dolci da forno pizzicò i nostri nasi e lui mi offrì una sfogliatella frolla con un buon caffè del nonno con tanto di crema. Lo accettai con la spontaneità che caratterizza i salti di un petauro dello zucchero.A riportarci alla realtà fu un chioschetto di pizze a portafoglio a pochi euro che ci indusse a rimetterci in cerca del motorino da asporto. Ci incamminammo in un vicoletto che portava nelle adiacenze di Piazza San Domenico Maggiore. Un piccolo scorcio illuminato da vetrine dove erano esposti i manufatti artigianali delle sartorie gestiste da stilisti emergenti. In bella mostra c'erano borse, abiti vintage, cappelli, guanti e qualche monile. Da quelle parti la mattina c'erano dei simpatici mercatini di Natale dove a buon prezzo si potevano trovare tante idee regalo.Finalmente arrivammo dove era stato parcheggiato il motorino. Lo trovammo e, per quanto sopra ci fosse una multa, lo trainammo verso la pompa di benzina più vicina e, come un principe e una principessa a cavallo, corremmo verso un castello fatto di forno a legna e pizze.Il vento che soffiava tra i miei capelli sembrava quasi profumare di struffoli, le luci colorate di alberi da addobbare e quelle che illuminavano i primi presepi mi riempivano il cuore di gioia. Conoscevo appena quel ragazzo, ma ero felice. Pensare che gli volevo mettere uno sgambetto! Giunti in pizzeria, fece presente al suo datore di lavoro la mia gentilezza e fui premiata. Indovinate come? Con pizza offerta tutte le sere per una settimana a seconda del menù, che potevo combinare a mia scelta con le specialità tipiche.

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Ora, alle soglie della fine del 2015, sono di nuovo seduta allo stesso tavolo con l'uomo che ha colorato il mio natale e la mia vita donandomi la felicità. Io l'ho ricambiato con un altro dono che nascerà nel 2016. Nel frattempo gustiamo una pizza con salsicce, friarelli e provola. Una vera goduria.Se passate da queste parti non potete non mangiare la pizza dai Fratelli Cicciolo; inoltre, nel periodo natalizio si possono assaggiare gratis antipasti veloci e sfiziosi da consumare come zeppoline di alghe, montanare, frittura di pesce e frittatine. Tutto rigorosamente in un tipico cuoppo napoletano!

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A Natale (non) tutti sono più buoni

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Il semaforo

La strada davanti a me è larga e libera. Circondata da

alberi e mare. Cammino e non sono capace di dare una stima

dei chilometri che ho percorso. Sono giorni che vago per

queste vie che continuo a non conoscere. Tutte le volte che

attraverso allo scattare del semaforo mi sembra di vedere

per la prima volta davanti a me quello strano edificio. È

giallo e le finestre sono viola. La gente che ci abita

sembra non essere di questo mondo. È strana. La mattina,

quando attraverso, le finestre si fanno sipario teatrale

della vita di quella gente. Si sveglia, guarda il cielo, fa

colazione, ride o grida. Il pomeriggio le finestre sono

semiaperte. Intravedo bacini e mani che si toccano. Credo

sia una danza. Poi qualcuno getta qualcosa via dalla

finestra. Forse una carta appallottolata, a nessuno è dato

di sapere quali segreti nasconde. La sera, le finestre sono

chiuse mentre le luci restano accese. Vedo le ombre, vedo i

movimenti. C’è chi legge, c’è chi salta, c’è chi come me si

affaccia alla finestra di casa sua per osservare gli esseri

umani...

Queste furono le prime parole che che riuscii a buttare giù sul mio quadernone a quadrettoni. Ero al semaforo di via Santa Maria del Pianto, in attesa che la luce diventasse rossa. Erano i primi di Dicembre e se leggerete la storia che sto per raccontarvi, anche voi come me, non

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dimenticherete mai la lunga interminabile coda di auto nella quale mi trovai quel giorno.In quelle settimane nella mia città avvenne qualcosa di straordinario. Badate che mi riferisco al periodo corrispondente alla metà degli anni '80 . Era l'anno in cui a Napoli stava per nevicare come in un inverno polacco e quello in cui la mia squadra del cuore cominciò a vivere il massimo splendore grazie a Diego Armando Maradona. Non ho mai amato il calcio se non per amore della mia patria. Ad ogni modo non è questa la sede adatta per parlare di sport. Non ne possiedo le competenze. Non ne capivo all'epoca, figuriamoci oggi.

Se solo fossi in grado di disegnare, prenderei una matita per illustrarvi al meglio la boriosa coda nella quale mi trovavo: accanto a me, sopra un carretto di campagna, un

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gruppo di ragazzi, ammassati l'uno sopra l'altro insieme a pecore e maiali, facevano ritorno a casa. Da quanto raccontavano, riuscii ad intuire che tornavano da Londra. Una fuga con ritorno assicurato e con fondo cassa prosciugato. Eppure i loro volti erano privi di rughe di tristezza e i nasi erano arricciati tanto da gonfiare gli zigomi. Nella parte opposta in una Fiat Uno, una donna con in grembo il frutto dei suoi primi mesi di matrimonio sorrideva al marito per il grande albero acquistato. Con molta probabilità, si apprestavano a festeggiare il trionfo del loro nido d'amore tanto agognato durante gli anni di fidanzamento. C'erano ancora ventitré giorni di tempo per acquistare i regali, ma le strade si facevano già ricche di involucri di ferro, metallo e benzina.La coda partiva da via Don Bosco e arrivava fin lassù. Mentre osservavo le cappelle del cimitero antistante un uomo dai capelli neri, corti e appiccicati sul capo e con baffetti sottili bussò al mio finestrino. Fiori tra le mani non ne aveva, taralli al limone nemmeno, spugna e asta per pulire i vetri idem. Stringeva tra le mani un fazzoletto di stoffa e dunque era lontano anni luce da un tipico venditore ambulante da semaforo. Voleva chiaramente comunicarmi qualcosa. Così, preparando il più affascinante dei sorrisi abbassai il finestrino. Stavo aprendo la bocca per tirare fuori le prime parole che la mente mi dettava ma ci pensò lui ad iniziare la conversazione. Mi fece notare che la mia auto era ferma e cacciava del fumo dal retro. Detto in soldoni: ero io la colpevole di quella fiumana arginata di

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auto immobili al semaforo.La coda l'aveva provocata la mia auto. Provando a scusarmi spiegai che avevo da poco ripreso a guidare. La patente sarebbe scaduta di lì a sei mesi e dunque per non bruciare la restante parte del tempo che mi rimaneva, avevo deciso di tornare ad imbottigliarmi nel traffico durante le feste di Natale. Gli diedi anche la motivazione: la gente era felice. Non si lavorava e i bambini non andavano a scuola. Erano tutti liberi di mente e si preparavano ad imprigionare lo stomaco con lauti pranzi e cene. Lo si deduceva bene dal fatto che, provando a guardare in ogni singolo veicolo, tutti i sedili erano occupati, almeno quattro buste del supermercato ricche di cibo, mani che portavano alla bocca roccocò che forse erano stati assaggiati da qualcuno mentre spuntava la lista della spesa.Da notare anche enormi scatoloni rosa con sopra disegnate biciclette e bambole a grandezza umana. Più tiravo fuori le parole così come la combinazione dei miei tessuti cerebrali mi inviava e più mi accorgevo che le mono sopracciglia di quell'uomo andavano a destra e sinistra come le onde di un mare di carta. Abbottonando la camicetta blu jeans che per distrazione era rimasta aperta, lasciai scendere sul mio volto delle gocce nere. Con le mani coprii il mio seno e abbassai lo sguardo. Riuscii a stimolare la pietà di quell'uomo che per cavalleria mi invitò a sedermi in auto. Avrebbe provveduto a risolvere il mio problema. Per il bene di tutti e in primis per il suo bene pensai. Ascoltando il suo consiglio, tornai sul sedile della mia Mazda nera. Dallo specchietto riuscivo ad intravedere le mani rosse e tagliate

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dal gelo di quel benefattore che allentando il nodo della sua cravatta piquant green si industriava a guardare a destra e a manca la mia auto. L'istinto gli suggerì di aprire l'autoveicolo sul davanti per verificare se ci fossero problemi tecnici. Nel frattempo, mi accinsi a prendere la mia borsa bordeaux dal sedile posteriore. Prestando attenzione a non graffiare lo smalto rosso che avevo applicato con tanta cura, tirai la zip. Presi il mangianastri giallo e blu. Azionai il tasto play. Gli Eagles cantavano un Hotel California per i cartoni animati. Fui costretta ad estrarre la musicassetta per riavvolgere il nastro affinché la musica potesse tenermi compagnia. La scelta di quella canzone non fu casuale. Insieme a costosi profumi in miniatura e ombretti che risaltavano i miei occhi di ghiaccio, nella borsa portavo sempre un paio di musicassette. Dunque, a mio avviso quello era il momento di sentir cantare che <<siamo tutti prigionieri del nostro ingranaggio>>.

L'atmosfera ben si prestava affinché potessi buttare giù nuove parole sul mio quadernone. Ci vollero circa quarantacinque minuti affinché l'uomo che con tanta cortesia e gentilezza stava provando a ripararmi l'auto si arrendesse. Proprio quando ero sul più bello del racconto che mi apprestavo a scrivere, bussò di nuovo al finestrino per dirmi che andava via e che mi conveniva chiedere aiuto a qualche altro automobilista in coda.Aprii la portiera spingendo il petto in avanti e lasciai che il mio viso di nuovo si bagnasse con qualche goccia nera. Alzando le mani in segno di innocenza e con lo sguardo

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triste l'uomo tornò nella sua auto, che si trovava dietro la mia. Si guardò intorno e siccome i vigili non c'erano, con una manovra spericolata che suscitò la rabbia degli altri automobilisti riuscì a liberarsi da quella coda infernale. Lo osservai fuggire via mentre il cofano della sua Regata sembrava ballare con i ramoscelli verdi che uscivano fuori.Imbarazzata dalla situazione, finsi di giocare con i miei jeans strappati. Più esattamente finsi di provare ad aggiustarli. Fu in quel momento che qualcuno tasto con i polpastrelli le mie spalle. Mi voltai. Era una donna con due grandi occhi di un marrone così intenso che sembravano privi di pupilla. I capelli erano corti e rossi e aveva due enormi orecchini di forma discoidale. Sopra il maglione Deep Ultramarine una pelliccia di visone riscaldava le sue spalle. Confesso che l'ansia che quel giorno stavo provando mi provocò un calore tale da non farmi accorgere che faceva freddo. Sentendo dei piccoli brividi mi ricordai di avere in auto la mia giacca dalle spalline gonfie. Prima però, siccome la donna sembrava parecchio irritata, con un altro sorriso di introduzione, cercai di spiegarle il problema. Chiamò in mio soccorso quello che sembrava essere suo marito il quale subito si avvicinò alla mia auto per capire quale fosse il problema. Mettendo in testa un cappello di pelliccia, tornò nella sua auto invitando anche me a fare lo stesso. Entrai, chiusi la portiera e lasciai che gli Eagles continuassero a cantare mentre il mio racconto prendeva forma. In soli quarantacinque minuti avevo riempito già dieci pagine del quadernone.Sorridevo mentre pensavo alla mia bambina che mi attendeva a

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casa: una macchina da scrivere viola con scritte dorate. L'avevo acquistata in un negozio nei pressi di casa mia. Proprio come accadde a Paul Sheldon quando fu rapito da Annie Wilkes, mancava una lettera. Non si trattava della lettera N. Sarebbe stato molto originale se così fosse stato perché la N è la prima lettera della parola Natale. Quella che a me mancava era la F come le parole «furbizia, furfante, fuorilegge». Presa da una foga quasi magica, i personaggi che avevano preso vita nella mia mente, nascevano anche sulla carta. Sapete, quando non si è capaci di farsi perdonare per gli errori commessi o quando al contrario non si è ricambiati dall'uomo che si ama, l'unico conforto sono le parole. Io però non sono tipo da romanzi Harmony. Le storie di consolazione devo scrivermele da sola. Almeno all'epoca così facevo.Sono passati ben trent'anni dall'episodio che vi sto raccontando, ma i sentimenti che i ricordi mi suscitano sono rimasti immutati. Le pene d'amore sono sempre le stesse e nel periodo natalizio sono come chiodi che trafiggono il cuore. Come gli atomi che formano le molecole, ogni vocabolo, ogni segno di punteggiatura aggiungevano pezzi mancanti al puzzle della mia fantasia lasciando trascorrere altri quarantacinque minuti.Il soccorritore numero due, al pari del primo, si arrese. Fu poco gentile. Chiuse con gesti poco nobili la parte anteriore della mia auto e senza neppure salutare tornò al suo posto con i polpastrelli che nervosamente giocavano con il volante. Solo un segno dal cielo poteva spiegare perché la mia auto non partiva. Di fronte c'era un mobilificio che

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aveva in vendita un armadio a specchi nei quali si rifletteva la fiancata destra della mia Mazda nera. Come un televisore che trasmette programmi TV per ventiquattro infinite ore, osservavo quell'insolito contesto che non faceva altro che aumentare il mio imbarazzo. Chi mi avrebbe aiutata? In attesa di una nuova anima pia, tornai a sedermi in auto. I ragazzi sul carrettino non prestavano attenzione a quanto mi stava accadendo. Il tempo che si dilatava, gli concedeva la possibilità di riposare dopo il lungo viaggio in terra straniera. Uno di loro aveva tra le mani uno skateboard con sopra una coccarda rossa. Chissà, poteva essere il regalo per un amico da riabbracciare al più presto. Comunque sia, la penna stilografica saziava la mia produzione mentale. Scrivevo, scrivevo e ancora scrivevo. Ero quasi giunta alla fine. Mi sentivo padrona dei numeri degli orologi. Ero più veloce dei giri delle lancette. Quasi mi sembrava di aver vinto una delle sfide più ambite dagli esseri umani: fermare il tempo a seconda delle necessità. La sensazione di potenza faceva danzare il mio respiro. Mancavano più o meno una decina di righe alla fine del racconto. Banalmente, qualcuno bussò al mio finestrino. Uno studente dalle fattezze tipiche degli Sloane Rangers,

frenando il muco che fuoriusciva dal naso rosso con il cappotto forse rubato al padre, a gesti provò a farmi capire che voleva offrirmi aiuto. Di nuovo preparai un sorriso a metà strada tra la tenerezza e la seduzione capace di nascondere il mio imbarazzo e ancora una volta tornai ad aprire la portiera dell'auto. Parlava la lingua che oggi, più dei lontani anni '80, tutti cercano di imparare, io no.

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Sognavo un giorno di fare un viaggio nella città dove quasi tutto è possibile. Tra i miei pensieri c'era la voglia di solcare le strisce pedonali di Abbey Road, magari con altri tre amici per imitare il famoso quartetto che molto ha donato alla storia della musica. Magari avrei anche imparato a parlarne la lingua, chi poteva saperlo a quei tempi. Ancora una volta, furono le lacrime nere, a salvarmi. Attraverso la comunicazione non verbale, quel giovane gentiluomo britannico mi invitò a tornare nella mia autovettura perché faceva molto freddo. Tirò sulle ginocchia il pantalone di velluto a coste e si abbassò. Fece un lungo giro intorno al veicolo. Il colpo di scena che mi avrebbe eletta a scrittrice dell'anno segnò il punto di chiusura sull'orecchio di carta creato dal mio gomito. Erano trascorsi poco più di venti minuti. L'individuo, che palesemente proveniva da una buona famiglia, bussò di nuovo al mio finestrino. Mi mostrò un paio di gambaletti femminili che pare fossero incastrati nella marmitta. Sbarrai gli occhi e come sempre capitava, la saliva andò a farsi benedire e riuscii ad emettere solo dei suoni strozzati privi di senso. Girai la chiave e misi in moto. La coda era finalmente sciolta e tutti poterono tornare a casa per scartare i regali.

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Fotoalbum

Era il 23 dicembre e la Zuppa Campbells regnava sovrana nella credenza della cucina di ogni casalinga del mondo occidentale. Il matrimonio di Sarita, la mia amica indiana, fu qualcosa a metà strada tra una fiaba e una valle onirica. I colori sgargianti degli abiti che indossavano gli invitati ben si sposavano con il ritratto che Andy Warhol in persona aveva realizzato per me. Ogni anno, a due giorni dal Natale, prima di andare a fare quello che dovevo fare, era mia abitudine sfogliare un album di foto. Dovete sapere che tornavo a Napoli sempre il giorno della previgilia di Natale. Qualunque fosse stato l'albergo dove avrei alloggiato dall'estate fino all'autunno, portavo con me un foto album.Quando la sveglia annunciava che il giorno della partenza era arrivato, aprivo il cassetto e, come ultima cosa, in valigia mettevo il foto album. Penserete, ed anche in giusta ragione, che lo tenevo con me per ricordare i volti dei miei cari. Così non era. Pur non avendo collegamenti con quel che vi sto per raccontare, considerate anche il fatto che davo poco valore alle condizioni climatiche. Quel giorno però c'era la neve. Tutto si era colorato di bianco. Dalla finestra della mia stanza riuscivo ad intravedere i pupazzi di neve che facevano la guardia alle piccole casette di legno che sembravano aprirsi in una mappa tridimensionale di carta. La mia contemplazione durò poco perché qualcuno suonò

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alla porta. Era il portiere dell'albergo che mi annunciava l'arrivo del taxi. Tengo a precisarvi che si trattava di un portiere che a seconda delle necessità si improvvisava cameriere, facchino e talvolta anche idraulico. Vi assicuro che non era un'osteria. Era un vecchio albergo nel quale avevo scelto di rifugiarmi.La disponibilità economica per un hotel lussuoso non mi mancava. Guadagnavo veramente molto. Una volta ho persino prenotato una suite imperiale. Ultimo piano, vista mare. Carta parati di velluto e vasca da bagno con all'interno una sorta di bicicletta per fare un po' di moto. Oppure, cosa dire di quando sono stata nell'Hotel “La Biblioteca” dove persino il letto aveva un baldacchino di cashmere con delle stampe realizzate con scritte ispirate alle citazioni di Marco Aurelio? Come starete sicuramente intuendo mi sono sempre trattata bene, o meglio, ho sempre preso a cuore il periodo di gestazione delle mie storie. In fondo, tutto quel lusso erano loro a pagarmelo. Ad ogni modo, la mia scelta quell'anno cadde su una costruzione misteriosa, affascinante e complessa che nonostante tutto mi sembrava di conoscere bene. Se avessi saputo che nel periodo natalizio assumeva le fattezze di una fiaba di natale di certo non avrei fatto ritorno a casa.

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La mia Napoli però mi aspettava e con essa il taxi. Dopo aver dato uno sguardo veloce ai miei orecchini in oro diciotto carati di corallo e diamanti, presi la valigia e tirai la porta dove avevo concepito una nuova storia.Il taxi non impiegò molto a portarmi all'aeroporto. Quella mattina il tempo sembrava scorrere così velocemente da avere la sensazione di potermi godere in eterno il mio seno turgido e voluminoso che finiva come una punta di diamante. Prima di consegnare il mio bagaglio, tirai fuori il foto album in attesa di sfogliarlo. Giusto il tempo di fare le mie riflessioni che ero già sull'aereo. Ero abbastanza ricca ma non tanto da potermi permettere un jet privato. Chissà, forse la nuova storia che avevo scritto poteva consentirmelo.L'aereo si alzò in volo ed io sfogliai la prima pagina sulla quale con mio stupore non c'era alcuna immagine: era bianca e immacolata come la neve che avevo appena lasciato. Sfogliai la seconda pagina: era uguale alla prima. La terza

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pagina diede il via ai ricordi. Si. Ricordi stimolati dal tatto di quel campione di lana preziosa color lavanda applicato al posto di una fotografia. Chiusi gli occhi e la mente iniziò a viaggiare. Scrissi di quando le bollicine dell'idromassaggio si erano fuse con quelle dello spumante che ogni sera bevevo nella mia solitudine. Era sabato sera, sola come sempre, nuotai nuda nella vasca da bagno lunga circa dieci metri. Mi asciugai con l' accappatoio di lana pregiata color lavanda il cui interno era fatto di cotone. Avevo speso parecchio per averlo. Ricordo che con una mancia ben maggiore di quella che qualunque ospite d'onore in un Hotel darebbe, comprai il silenzio di un facchino alle prime armi. Vorrei avere il potere di mostrarvi quanto era buffo e goffo. Dentatura sporgente, lentiggini e capelli di un riccio tale da sembrare che sulla testa avesse un ceppo di radicchio. Lo mandai nella strada lussuosa della città dove mi trovavo in quel periodo per prendere l'accappatoio. La mia nudità faceva sempre un certo effetto. Solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse stato buffo quell'episodio e così decisi di appuntarlo proprio li sulle due pagine vuote del foto album. Il viaggio verso il passato era durato circa sessanta minuti e il formicolio sulle mie gambe si faceva sentire. Così, staccate le cinture mi alzai per andare al bagno. C'erano dei rotoli di carta igienica a dir poco particolari. Mai visti in tutta la mia vita. Ne presi uno, lo portai al mio petto e lo strinsi come un cuscino. Tentata e non poco, aprii la borsetta e lo infilai dentro. Un'occhiata veloce allo specchio per ammirare con fierezza i miei orecchini. Poi tornai al mio posto. Il foto

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album non c'era più: qualcuno lo aveva preso. Ho tralasciato di dirvi che il sedile accanto al mio era vuoto. Non c'era nessuno. Guardai al sedile davanti se per caso i bimbi birichini l'avessero preso ma nulla. Provai con i vecchietti seduti dietro di me ma niente. Una hostess si avvicinò a me e mi disse che lo aveva preso lei credendo si trattasse di un menu. Il colore era simile a quello della compagnia aerea. Le chiesi di restituirmelo ma rispose che lo aveva il comandante. Pensando al rotolo di carta igienica che avevo nella borsa, cominciai a credere che si trattasse di un modo per potermi incastrare. Così, chiesi di entrare e parlare con il pilota. Ovviamente mi fu vietato poiché non potevo distrarlo a meno che non volevo precipitare nell'Oceano Atlantico. In un modo o nell'altro, dovevo riavere il mio foto album. Notando che l'hostess non era poi così dura, ben pensai di persuaderla con una bella mancia in cambio della quale mi diede la sua divisa. Entrai nella cabina del pilota che con mia sorpresa non era concentrato nel condurre il volo. Rilassato sul sedile con le mani dietro la nuca e i piedi appoggiati sui comandi che stranamente tenevano l'aereo in equilibrio, usava il mio foto album come cuscino. Fui molto irritata dalla cosa perché, pur conoscendone le morbide fattezze, mai in tanti mesi di permanenza all'estero lo avevo usato come cuscino. Dovete sapere che la copertina era stata realizzata con gli avanzi della stoffa psichedelica di un piumone imbottito. Vi lascio immaginare la morbidezza che aveva. Notai che in quella cabina c'erano molte cose: palle da baseball, bambole, qualche libro e molti altri regali di Natale scartati.

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Emulando al meglio i movimenti di una hostess di tutto rispetto, aprii la borsa e infilai tutto quel che potevo. Con i modi gentili che anni e anni di collegio mi avevano insegnato, comunicai al pilota che una passeggera aveva perso il suo foto album e pertanto era il caso di restituirglielo. Con l'alito che puzzava di Bourbon, quasi come cascato dalle nuvole, attese qualche attimo e poi me lo restituì dicendomi di fare in modo di non generare sospetti nei passeggeri circa la refurtiva. Si. Il volo quel giorno, era gestito da una banda di ladri. Mentre riaprivo la porta della cabina, con il piede toccai qualcosa. Era una macchina fotografica. Sembrava un segno del destino al quale risposi con vero entusiasmo. Approfittando dello stato non proprio lucido del pilota gli scattai una foto. Tornai dalla hostess che nel frattempo avevo chiuso nello scompartimento vivande e scattai anche a lei una foto. Avendo ancora la sua divisa, continuai a fingere di essere una hostess per non destare sospetti nei passeggeri. Trovato il carrello porta bibite, preparai del caffè caldo per ognuno. Mi tolsi l'orecchino sinistro dentro il quale avevo nascosto della polverina allucinatoria che, come ben potete immaginare, versai nel caffè da servire. Una bella mescolata e poi avanzai tra i passeggeri distribuendo ad ognuno una tazza.Erano trascorse molte ore e, di lì a poco, tutti si sarebbero addormentati. Mi avvicinai al microfono e comunicai che la compagnia aerea Radonet ogni Natale ha l'usanza di scattare foto ai viaggiatori per inserirle poi nell'album foto dell'anno. Ci cascarono tutti e per me si

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faceva davvero complicato contenere il sorriso sotto i baffi. Lentamente tutti caddero in un lungo sonno ed io potetti tornare al mio posto. La notte fu lunga ma l'alba non si fece attendere. L'areo atterrò ed io avevo nuove frottole da raccontare e regali di Natale per tutti i serpenti che mi circondavano per ricambiare i doni degli anni precedenti. Forse fu una coincidenza, ma voglio condividere con voi il titolo che avevo dato alla mia storia: <<Occhio per occhio, regalo per regalo>>.

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Un manoscritto tra latte, Faggetti e sfogliatelle

L'amore è qualcosa di straordinario. Oh si. È quella voglia di starsene senza far nulla, di rimandare ogni impegno per trascorrere giornate intere a contemplare la perfezione dell'oggetto dei desideri. Perfezione? Macché! Credo che a quei tempi, delle enormi fette di prosciutto mi siano finite sugli occhi al posto della maschera antirughe a base di uva. É per questo che voglio raccontare la mia esperienza sia alle donne e sia agli uomini, a prescindere dagli orientamenti sessuali. Lo faccio perché Natale non è Natale se non si compiono buone azioni. Ebbene, circa vent'anni fa, quando ancora vedevo gli asini volare nel cielo, presi una decisione: lasciai Napoli per trasferirmi a Londra.

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Avevo bisogno di fare un'esperienza all'estero e partii con l'intenzione di accettare qualsiasi lavoro senza rinunciare al mio progetto di vita: scrivere un romanzo e pubblicarlo.Lungi dal tediarvi con la descrizione dell'iter di emigrata in cerca di fortuna, va do direttamente al dunque. Erano trascorsi circa due mesi dal mio trasferimento. Avevo pochi amici, ma poco mi importava. Ci pensava il mio manoscritto a tenermi compagnia.Mi ero sistemata bene. Vivevo nei pressi di Clifton Hill e lavoravo con una modesta paga settimanale, presso una caffetteria. Un giorno, esattamente il 25 ottobre, c'era una promozione formidabile: fette di torta al cioccolato a solo 1 sterlina. Quanti nuovi clienti quel giorno! Verso ora di chiusura, entrò un ragazzo, più o meno della mia stessa età. Denim jeans, cappotto di pelle lungo, mocassini rossi e una chitarra senza custodia. Mi avvicinai per chiedere cosa desiderasse e non mi rispose. Mise una mano nella tasca sinistra dei suoi jeans e cominciò a scavare. Senza preoccuparmi di avere garbo nelle parole, gridai esclamando: << Oh Cielo! Un maniaco!>>. Lui, per nulla disturbato dalla mia reazione, tirò fuori una moneta e mi disse che era tutto ciò che aveva. Imbarazzata gli portai una fetta di torta al cioccolato, l'ultima rimasta per giunta. Poi, tentando di riparare alla figuraccia e non potendo di certo rimettere denaro di tasca mia, creai una sorta di frullato con gli avanzi delle bibite consumate dagli altri clienti. Fortuna che nulla ancora era finito nella pattumiera!Riuscii a recuperare un po' di latte, un po' di succo di mirtilli e panna montata. Con la stessa precisione che

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contraddistingue gli analisti di laboratorio, con un coltello piatto prelevai la panna da un pezzetto di torta alle fragole e la versai in una terrina dove a piccole dosi aggiunsi il succo di mirtilli. Cominciai a mescolare, aggiungendo man mano anche il latte. Con un frullatore da cappuccino che mi ero portata dietro dalla mia Napoli, diedi il colpo di grazia; infine, dopo aver versato il composto in una tazza color borgogna , il tocco finale riuscii a darlo guarnendo il tutto con un paio di zollette di zucchero di canna. Che schifezza pensai.Presi la fetta di Torta e gliela servii insieme all'omaggio della casa da me creato. Pur se frettolosamente, mangiò e bevve di gusto. Lasciò poi la sua unica moneta e andò via. Una decina di minuti dopo anche io, feci lo stesso.Aspettai l'autobus, che come sempre arrivò puntuale. Salii e come sempre facevo, aprii la mia borsa di feltro e presi un quaderno ad anelli sul quale appuntavo le mie storie e mi dedicai alla decima lettura del manoscritto che avrei dovuto consegnare agli editori di lì a pochi giorni.L'autobus effettuò la prima fermata. Vi salì proprio il ragazzo incontrato prima nella caffetteria. Mi riconobbe e decise di sedersi accanto a me. Premettendo che non voglio essere frettolosa ma solo giungere al dunque al più presto, vi dico che iniziammo a conversare e per forza di cose, mi chiese di poter dare uno sguardo al manoscritto. Fu in quel momento che mi spiegò di essere a capo di una casa editrice proprio nei pressi di casa mia e che nella miriade di impegni da assolvere aveva lasciato il portafogli nel suo studio. Ecco perché aveva solo una sterlina con se. Ad ogni

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modo, si offrì di leggere il mio manoscritto e se avessi accettato di lasciarglielo, l'indomani, sarebbe tornato in caffetteria a darmi il suo parere. Persa nei suoi enormi occhi neri a mandorla, ingenuamente accettai. Sbagli e tanto perché divenne la mia ossessione. Per quasi due mesi, la notte e il giorno si diedero il cambio mentre deretani e labbra con la propria storia e le proprie caratteristiche occuparono i tavoli e le sedie della caffetteria, dissetando il palato con le stesse tazze al pari della circolazione del denaro. Lui, del quale nemmeno seppi il nome, non fece più ritorno. Per lo stesso lasso di tempo, andai in cerca della casa editrice nei pressi di casa mia dove aveva detto di lavorare, ma non la trovai. Non conoscevo nemmeno il suo nome, eppure io non so spiegarvi il perché mi ero innamorata di due occhi incontrati per caso.Una decina giorni prima di Natale, vidi che una cliente stava leggendo un libro con un titolo che non mi era nuovo. Si trattava di quello che avevo dato al mio manoscritto. Chiesi la gentilezza di sfogliarne qualche pagina. Ogni parola, persino le virgole corrispondevano alle mie. Capii allora, che forse per una causalità, quel ragazzo incontrato tempo fa mi aveva truffata.Sulla copertina il nome dell'autore corrispondeva ad Orazio Faggetti. Un autore italiano quindi. L'oggetto dei miei desideri aveva finalmente un nome. Nel giro di pochi attimi, il mio sogno d'amore si era però trasformato in quello di una vendetta che cominciai ad organizzare sin da subito. Proposi ai colleghi e al capo di organizzare la merenda di Natale alla napoletana nella caffetteria con una

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degustazione di dolci tipici che io stessa, viste le mie origini, avrei preparato. Avremmo di certo attirato molti emigrati italiani e anche amanti dell'Italia. Sarebbe stato un enorme successo.

Andai alla ricerca degli ingredienti per la preparazione di sfogliatelle, babbà, pastiere e struffoli. Qualcosa lo ordinammo da Napoli e ci venne spedito, qualcosa lo trovai al supermercato e altro lo adattai alle esigenze. Per dare maggiore brio all'evento, ben pensai di provare ad invitare come ospite d'onore Orazio Faggetti. Feci questa seconda proposta al mio capo che con molto entusiasmo accettò al punto tale da promuovermi ad un ruolo maggiore: organizzazione generale della caffetteria. Dunque, in quanto

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organizzatrice, dovevo assumermi la responsabilità di reperire Orazio Faggetti e di convincerlo ad essere ospite d'onore della merenda di Natale.Dopo vari fallimenti, riuscii a mettermi in contatto con la casa editrice con la quale fissai un appuntamento per quel giorno, nel pomeriggio. Non impiegai molto perché realmente l'indirizzo risultava essere appena a pochi isolati da casa mia. La casa editrice si trovava in un palazzo rosso poco più avanti della strada con le strisce pedonali più famose di tutto il Regno Unito. Bussai. La porta si aprì, intravidi un paio di mocassini rossi a me molto familiari. Mi aprì la porta proprio il ragazzo che incontrai quasi due mesi prima, il presunto ladro del mio manoscritto. Non mi ero sbagliata, Orazio Faggetti era proprio lui. Mi invitò ad entrare. Sembrava che non mi avesse riconosciuta e così io decisi di stare al gioco. Così, di fronte ad una tazza di buon the, gli feci il mio invito. Accettò con sommo piacere. Mi chiese indirizzo, nome della caffetteria e orario e poi mi congedò molto velocemente. Con molta soddisfazione, una volta lasciata la casa editrice, feci un saltello di gioia: il mio piano stava funzionando.

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Il giorno di Natale arrivò in fretta, tutto sembrava pronto. Apparecchiai ogni tavolino con tovaglie bianche bordate di velluto rosso. Ogni centro tavola era rivestito con giacchette rosse da cameriere e anche le tazze, già a tavola, erano rosse con tanti fiocchi di neve. Al centro della sala, decisi di posizionare un pupazzo di neve con in mano il libro di Orazio Faggetti. I clienti arrivarono numerosi ed ognuno prese posto al tavolo dove si era prenotato. Cominciai a servire le sfogliatelle ricce e frolle che avevo preparato con cura in attesa dell'ospite d'onore che non si fece attendere. Arrivò in perfetto

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orario. Fu accolto con applausi e ovazioni. Gli proposi di sedersi al tavolo che si trovava accanto al pupazzo di neve per firmare autografi a tutti i suoi ammiratori. Così fece. Poi, io, in quanto organizzatrice, annunciai che ogni cliente sarebbe stato omaggiato con la nuova bevanda calda della caffetteria: Latte & Faggetti. Era una sorpresa. Né i miei colleghi e né il mio capo lo sapevano. Era la ricetta di una bibita inventata con il nome dello scrittore più amato dell'ultimo periodo in segno di gratitudine.Feci in modo che lui fosse il primo a berlo. Era bollente, si scottò la lingua. Si alzò in piedi dal dolore e cominciò ad avere forti mal di pancia fino a scappare al bagno. Lo raggiunsi e messo con le spalle al muro lo minacciai di dire la verità davanti a tutti e cioè che aveva rubato il mio manoscritto. Così fu. Tornò nella sala principale della caffetteria e confessò il reato. Di conseguenza, ogni cliente, ogni fan, uno ad uno, fecero a pezzi le copie del romanzo . Ogni pagina fu appallottolata e gli fu lanciata contro. La rabbia di tutti fu tanta al punto tale che a nessuno venne in mente di riconoscermi il merito di essere l'autrice della storia che aveva appassionato tutto il Regno Unito. Riuscii però a fare giustizia a tutti quegli autori che ogni giorno perdono la paternità delle proprie opere. La fermata di Clifton Hill era vicina, mi preparai per scendere e salutai con piacere il mio compagno di viaggio che per non perdermi di vista mi lasciò un biglietto da visita con sopra riportato nome e indirizzo di una casa editrice..

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Metti una sera al cenone di capodanno

Era una giornata uggiosa il trecentosessantacinquesimo giorno dell'anno quando feci quel singolare incontro.L'orologio da taschino segnava le nove.Non c'è nessun motivo per nascondere ai lettori che ero in cerca di tranquillità e di pace. Tante erano le cose che avevo scritto e la gente mi amava.La fine dell'anno ineluttabilmente era giunta ed io, come di consueto, avrei recitato poesie a tema durante il cenone di capodanno con la mia famiglia.Può essere difficile da credere ma, mentre scrivevo le parole che il mare della mia bella Napoli mi dettava, vidi una donna vestita con una giacca viola e una gonna gialla. Saliva e discendeva la strada al passo del gattino che le camminava al fianco. Poco dopo, si avvicinò a me. Dal modo in cui mi guardava sembrava mi conoscesse. Certo, non sarebbe stata una novità vista la mia popolarità. Avevo poca voglia di improvvisare sorrisi che tutelassero l'immagine pubblica che avevo costruito con tanto impegno nel corso degli anni. Così, approfittai del quaderno che avevo tra le mani e finsi spudoratamente di essere concentrata a scrivere. Poco dopo, quella donna, si avvicinò a me porgendomi una borsa di tela nera che mi chiese di custodire mentre risolveva alcune faccende personali nell'albergo di fronte.

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Avendo intuito che quella era forse l'unica persona che non mi conosceva, accettai e, per la prima volta dopo molti anni, riuscii a rispondere sorridendo spontaneamente. Presi con molta serietà quella richiesta al punto tale da mettere la borsa a tracolla mentre scrivevo. La prima poesia era quasi finita.Dovete sapere che per professione scrivevo romanzi e per diletto poesie da recitare in famiglia in occasione del cenone del 31 dicembre. Quell'anno odiavo particolarmente il clima giovale e lucente tipico di quei giorni. Proprio non mi andava di essere felice solo perché era il periodo natalizio e né tanto meno perché era l'ultimo dell'anno. Avevo l'ansia a mille. Avrei di nuovo compiuto gli anni e questo avrebbe comportato l' aggiunta di un'altra candelina alla torta di compleanno. Vi rendete conto di cosa significa per una donna tutto questo? Come se non bastasse, nuovo anno stava a significare nuovi progetti ed io non ne avevo.Riconosco che il mix di emozioni che stavo provando era capace di regalarmi una buona dose di ispirazione per tanti meravigliosi componimenti. Passai alla seconda poesia. Per tradizione, sin da quando ero una bambina, recitavo tre poesie ogni tre portate. A casa mia il cenone di capodanno cominciava alle 21 e si finiva alle 23,55. Tre lunghe ore di masticazione, deglutizione, morsi, suoni di posate e un gradevole profumo di tovaglie da corredo tirate fuori dalla cassapanca solo in occasione delle tre ore che accompagnavano l'arrivo del nuovo anno. Amavo vedere i miei zii con le braghe sbottonate già dopo mezz'ora dalla cena.

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Ero felice quando spalmavo i panetti di burro sul pane per aiutare in cucina. Più rinvangavo i ricordi dei capodanni passati e più mi rendevo conto di non sapere che cosa aspettarmi quella sera. Mentre guardavo il mare, con la coda dell'occhio vidi due oggetti verde bottiglia. Mi voltai e, muovendo lo sguardo dal basso verso l'alto, i miei orizzonti fotografarono un paio di scarpe verde bottiglia seguiti da calzamaglie bianche seguiti dal viola e dal giallo che vestivano la proprietaria della borsa. Era lei!<< Non posso più tenerla con me. Te la regalo. Non aprirla fino a quando l'orologio non segnerà le 23,59>> - disse la donna.<<Perché non devo aprirla fino alle 23,59?>> - risposi. Mi accorsi però che stavo parlando da sola perché la donna era già andata via. Guardai a destra e a sinistra ma di lei nemmeno più l'ombra. Mossa dalla curiosità, provai ad aprire la borsa. La zip era molto dura e pur provando a tirare non si apriva. Continuai a scrivere e dedicai a lei la terza poesia. Giocai con i colori che indossava e tirai fuori una poesia dedicata alla bellezza interiore. Il lettore deve infatti sapere che quella donna non era di bell'aspetto. Non che fosse brutta però era strana. Aveva i capelli tinti male, di un biondo che, probabilmente, si era fatto arancione lavaggio dopo lavaggio. Il naso non era in proporzione con il viso perché era molto piccolo e stonava con le mascelle quadrate. Lo sguardo era intenso ma gli occhi erano cadenti come quelli di una rana. La poesia però era un capolavoro.Ritornai alla prima pagina del quaderno per rileggere ed

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eventualmente correggere le poesie. A tal proposito c'è un'altra cosa che il lettore deve sapere: non mi limitavo a scriverle e leggerle aprendo il quaderno. Dopo aver dato una rilettura ai miei componimenti li riscrivevo su fogli di pergamena. Così feci anche quel giorno. Poi, avendo appurato di essere in ritardo, mi avviai verso casa. Prima però, provai di nuovo ad aprire la borsa di tela nera. Mi si spezzò un'unghia ma non si aprì. Cominciai a credere che forse si trattava di una burla nei miei confronti. Provai persino ad immaginarne il contenuto. Le uniche cose che mi venivano in mente erano carte, escrementi, bucce di frutta, e pietre. Non era né pesante né leggera. Avanzai il passo, camminai quanto più veloce possibile mentre focalizzavo nella mente le forbici sulla mia scrivania. Una volta tornata a casa le avrei usate per tagliare la borsa.Riuscii a fare ritorno verso le 19,45. Tutti i miei familiari dal più grande al più piccolo erano alle prese con i preparativi del cenone. Mia sorella e il nuovo marito tra baci appassionati e sguardi languidi lavavano i bicchieri e sceglievano con cura quelli destinati alle varie bevande. I bambini si davano da fare per apparecchiare i tavolini a loro destinati. Mia madre, in quanto insegnante di scuola elementare, era riuscita a prendere in prestito un paio di banchetti verdi e rossi di forma esagonale adatti ai più piccini. Tutte le altre donne erano in cucina. Salutai tutti velocemente e senza nemmeno liberarmi del cappotto entrai nella mia stanza. La lampada sulla scrivania era accesa e le forbici brillavano come un lingotto d'oro. Con i denti sfilai i guanti di vellutino prugna, sbottonai i bottoni

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turchesi del cappotto e lo appoggiai sulla poltrona di vimini.Poggiai la borsa sulla scrivania e presi le forbici. Le mie labbra acquisirono autonomia al punto tale da allargarsi da sole e le narici fecero lo stesso.Le lame delle forbici erano sempre più vicine alla borsa, mancava poco affinché si unissero per toccare la tela nera. Improvvisamente qualcuno aprì la porta. Era la zia Virginia che aveva un regalo per me. Lo scartai: una penna di legno con delle bordature d'oro. Fui molto felice di quel dono. Non potendo limitarmi ad un semplice grazie, lasciai la stanza insieme alla mia cara zia. La nostra chiacchierata ingannò il tempo di attesa per iniziare la cena. Erano le 21,00. Eravamo tutti intorno al tavolo ovale: bottiglie di vino rosso, acqua naturale e minerale e qualche bevanda gassata. Al centro, in un vassoio c'erano bruschette miste. Alcune classiche con pomodorini, olio, aglio e un pizzico di sale, altre alternative con sopra melanzane a funghetti o peperoni fritti con pan grattato. A queste seguitavano altri vassoi di forme diverse, con dentro grissini rivestiti di prosciutto crudo e prosciutto cotto, tartine con salame, bocconcini di mozzarella e melone di pane.Dopo aver ascoltato il discorso del Presidente della Repubblica, la cena ebbe inizio e con essa il mio show. Con la forchetta presi un bocconcino di mozzarella e lo addentai gustandone la morbidezza e il latte che ad ogni morso veniva fuori. Presi le tre pergamene e recitai la prima poesia. Arrivò la seconda portata. Addentai un pezzo di pizza di scarole, poi girai gli spaghetti con l'aiuto di una

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forchetta e di una vongola e feci un solo boccone.Recitai la seconda poesia dopodiché continuai a gustare ogni tipico manicaretto preparato con cura dalle donne di casa. Finii gli spaghetti con le vongole e passai al baccalà fritto. Pietanza dopo pietanza, mentre sentivo che il bottone dei miei jeans stava per scoppiare come la palla di un cannone,il mio pensiero andava verso il contenuto della borsa misteriosa.

La terza portata sarebbe arrivata in concomitanza della mezzanotte che tutti aspettammo in modo diverso. Gli uomini come previsto, avevano camicie e pantaloni sbottonati, le donne, me compresa, lavavano i piatti e cucinavano. I bimbi, invece, mentre la tv passava un film natalizio, correvano avanti e indietro urlando, lanciando palle e palloni di cui uno finì nel vetro della mia stanza. Di scatto mi alzai per andare a verificare che non fosse

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successo nulla e ne approfittai per compiere l'estremo gesto: tagliare la borsa per scoprirne il contenuto. Il mio piano purtroppo fallì. Il vetro era sparso in ogni angolo e dovetti provvedere a rimuoverlo con l'aiuto dell'aspirapolvere.L'orologio segnava le 23,15. Ce l'avevo quasi fatta a scoprire il contenuto della borsa misteriosa. Mi chiamarono per la terza portata. Tornai a tavola e recitai la terza poesia per poi ricominciare a mangiare.Alle 23,55 in punto, il cotechino con le lenticchie era pronto per essere consumato. Gli uomini di casa cominciarono a preparare bottiglie di spumante e flûte. Mancavano 4 minuti alle 23,59. Infilai una mano nella borsa. Non riuscivo a trovare nulla. Il countdown era quasi cominciato. L'aria si faceva allegra e gioviale a tavola. Tutti erano eccitati per salutare i prossimi dodici mesi. Il conduttore del programma televisivo di capodanno annunciò che erano le 23,59. Con entrambe le mani, tirai con forza i lembi di tela nera della borsa. Finalmente fui in grado di aprila. Sia in tv che in casa mia, un coro di voci recitava: 9,8,7,6,5,4. Ero agitata e sentivo dei tamburi nella testa. Il countdown era giunto quasi alla fine: 3,2,1. Dalla borsa cadde un foglio bianco che si posò sui miei piedi.

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