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I QUATTRO SEGRETI DELLA F E L I C I T À PAMELA HAYS CON UN'INTERVISTA A PAOLO CREPET

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SCEGLI DI ESSERE FELICE!

VUOI AVERE PIÙ CONTROLLOSULLE TUE EMOZIONI?

VUOI COSTRUIRE RELAZIONI PIÙ SODDISFACENTI?

VUOI APPREZZARE QUELLO CHE HAIE GODERTI DI PIÙ LA VITA?

CON I CONSIGLI E LE STRATEGIE DI PAMELA HAYS IMPARERAI A RICONOSCERE I TUOI PUNTI DI FORZA,

A RISOLVERE I PROBLEMI SENZA ANSIA E…

A RIPRENDERE IN MANO LA TUA VITA.

I QU

ATT

RO

SE

GR

ETI

DE

LLA

FEL

ICIT

ÀH

AY

S

€ 16,50

I QUATTROSEGRETI

DELLAFELICITÀ

PAMELA HAYS

CON UN'INTERVISTA A

PAOLOCREPET

EELICCON UN'INTERVISTA ACON UN'INTERVISTA A

PAOLOPAOLOCREPETCREPET

Marisol lavora in un ospedale, allena una squa-dra di calcio e si occupa dei suoi due figli. Si definisce esausta e riconosce il suo perfezio-nismo. Talvolta si sente in trappola e dispera di poter trovare un po' di pace.Sheldon è manager in un’azienda; la sua ra-gazza lo ha lasciato perché era stanca di venire sempre dopo il suo lavoro. Da un po' di tempo beve troppo, fatica ad alzarsi ed è irritabile con i colleghi. Carol, dopo aver cresciuto tre figli ed essersi occupata di sua madre, ha ripreso felicemen-te a lavorare. Ma suo marito le fa pressioni affinché stia a casa, e sua figlia vorrebbe si occupasse dei nipoti. Carol prova un misto di senso di colpa, frustrazione e rabbia.

Marisol, Sheldon e Carol hanno una cosa in comune: provano emozioni dolorose e metto-no in pratica comportamenti che aumentano il loro stress. Marisol cerca sempre di essere perfetta, poi mangia per calmarsi quando non riesce a fare tutto. Sheldon tratta male i colleghi, si ritira dalla famiglia, poi beve per sentirsi meglio. Carol cerca di essere «simpati-ca» tenendo a freno la frustrazione finché non esplode, accrescendo così i suoi sensi di colpa.

Se vi trovate in una situazione simile, questo è il libro che fa per voi…

PAMELA A. HAYS

Psicologa clinica, ha svolto attività di ricerca presso l’I-stituto Nazionale di Salute Mentale dell’University Ro-chester School of Medicine. Membro del programma

di psicologia presso la Antioch University di Seattle, dove tutt’ora insegna, fa parte dell’American Psychological Association e dell’Association of Behavioral and Cognitive Therapists. È autrice di numerosi volumi di successo, tra cui Culturally Responsive Cognitive Behavior Therapy (2006) e Addressing Cultural Com-plexities in Practice (2016).

Edizione originaleP. Hays, Creating Well-being, APA

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SCEGLI DI ESSERE FELICE!

VUOI AVERE PIÙ CONTROLLOSULLE TUE EMOZIONI?

VUOI COSTRUIRE RELAZIONI PIÙ SODDISFACENTI?

VUOI APPREZZARE QUELLO CHE HAIE GODERTI DI PIÙ LA VITA?

CON I CONSIGLI E LE STRATEGIE DI PAMELA HAYS IMPARERAI A RICONOSCERE I TUOI PUNTI DI FORZA,

A RISOLVERE I PROBLEMI SENZA ANSIA E…

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I QUATTROSEGRETI

DELLAFELICITÀ

PAMELA HAYS

CON UN'INTERVISTA A

PAOLOCREPET

EELICCON UN'INTERVISTA ACON UN'INTERVISTA A

PAOLOPAOLOCREPETCREPET

Marisol lavora in un ospedale, allena una squa-dra di calcio e si occupa dei suoi due figli. Si definisce esausta e riconosce il suo perfezio-nismo. Talvolta si sente in trappola e dispera di poter trovare un po' di pace.Sheldon è manager in un’azienda; la sua ra-gazza lo ha lasciato perché era stanca di venire sempre dopo il suo lavoro. Da un po' di tempo beve troppo, fatica ad alzarsi ed è irritabile con i colleghi. Carol, dopo aver cresciuto tre figli ed essersi occupata di sua madre, ha ripreso felicemen-te a lavorare. Ma suo marito le fa pressioni affinché stia a casa, e sua figlia vorrebbe si occupasse dei nipoti. Carol prova un misto di senso di colpa, frustrazione e rabbia.

Marisol, Sheldon e Carol hanno una cosa in comune: provano emozioni dolorose e metto-no in pratica comportamenti che aumentano il loro stress. Marisol cerca sempre di essere perfetta, poi mangia per calmarsi quando non riesce a fare tutto. Sheldon tratta male i colleghi, si ritira dalla famiglia, poi beve per sentirsi meglio. Carol cerca di essere «simpati-ca» tenendo a freno la frustrazione finché non esplode, accrescendo così i suoi sensi di colpa.

Se vi trovate in una situazione simile, questo è il libro che fa per voi…

PAMELA A. HAYS

Psicologa clinica, ha svolto attività di ricerca presso l’I-stituto Nazionale di Salute Mentale dell’University Ro-chester School of Medicine. Membro del programma

di psicologia presso la Antioch University di Seattle, dove tutt’ora insegna, fa parte dell’American Psychological Association e dell’Association of Behavioral and Cognitive Therapists. È autrice di numerosi volumi di successo, tra cui Culturally Responsive Cognitive Behavior Therapy (2006) e Addressing Cultural Com-plexities in Practice (2016).

Edizione originaleP. Hays, Creating Well-being, APA

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Indice

Ringraziamenti 7

Intervista a Paolo Crepet 9

Introduzione 13

PRIMO PASSO Inoltrarsi sul cammino del benessere

Capitolo primoTrovare il proprio cammino 27

Capitolo secondoIntercettare i propri punti di forza nascosti 39

SECONDO PASSO Comprendere i propri stressor

Capitolo terzoCome nuoce lo stress 53

Capitolo quartoLa connessione mente-corpo 65

Capitolo quintoDistinguere le fonti di stress interne da quelle esterne 73

TERZO PASSO Usare i pensieri per sentirsi meglio

Capitolo sestoLe trappole del pensiero che possono ostacolare il cammino 85

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Capitolo settimoContrastare il pensiero negativo 97

Capitolo ottavoLa voce della compassione 111

Capitolo nonoI promotori del benessere 125

QUARTO PASSO Passare all’azione

Capitolo decimoIl potere del pensiero e dell’azione 143

Capitolo undicesimoCreare un ambiente salutare 149

Capitolo dodicesimoImparare e mettere in pratica comportamenti improntati al benessere 159

Capitolo tredicesimoAcquisire assertività, capacità di risolvere i conflitti e altre competenze di comunicazione 177

Capitolo quattordicesimoStabilire rapporti sociali, darsi un significato e uno scopo 191

Capitolo quindicesimoAvere cura di sé per rimanere sul cammino della felicità e della salute 205

Postfazione 221

Bibliografia 227

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Comprendere i propri stressor

SECONDO PASSO

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Capitolo terzo

Come nuoce lo stress

Lo stress è come un iceberg: possiamo vederne l’ottavo superiore, ma che ne è della parte sommersa?

Anonimo1

Lo stress vi influenza fisicamente, mentalmente ed emotivamente, e influenza perfino le vostre relazioni. Quindi comprendere gli agenti stressanti che agi-scono nella vostra vita e il modo in cui vi danneggiano costituisce un passo importante per scoprire che cosa potrebbe farvi sentire meglio.

Ora che vi siete messi a cercare e a individuare i vostri punti di forza e i vostri elementi di supporto, diamo uno sguardo a che cosa vi causa stress. Innanzitutto, è importante distinguere fra stressor e stress. Lo stress si riferisce alla sensazione o alla con-dizione interna che sperimentiamo quando crediamo che una determinata situazione ci richieda qualcosa che va al di là della nostra capacità di farvi fronte,2 mentre uno stressor è qualcosa che contribuisce a tale esperienza interna di stress.

Gli stressor più ovvi sono eventi, persone e influenze am-bientali (incluse le patologie mediche che possono colpire una

1 Si veda www.stress-management-for-health.com. 2 Nella definizione di Richard Lazarus. Si veda http://senate.universityofcalifornia.

edu/_files/inmemoriam/html/richardlazarus.html.

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persona) che percepiamo come esterni a noi e prevalentemente al di là del controllo che siamo in grado di esercitare. Tuttavia, anche i pensieri possono agire come stressor, perché il fatto che un evento, una persona o un fattore ambientale risulti stressante o meno dipende in larga misura da come ce lo figuriamo nella nostra mente. Certo, esistono alcuni stressor esterni (abusi, guerra, morte, disastri) che generano stress in chiunque, ma nella maggior parte delle situazioni è il nostro pensiero che determina la quantità di stress di cui facciamo realmente esperienza.

I pensieri agiscono come stressor principalmente in due modi. Uno: possono creare stress a prescindere da qualunque stressor esterno, come capita ad esempio quando vi fate venire il mal di pancia preoccupandovi per qualcosa di altamente improbabile e che in ogni caso si trova al di fuori del vostro controllo. Due: possono amplificare l’esperienza di stress che deriva da stressor esterni, come ad esempio quando qualcuno vi dice qualcosa di fastidioso e voi continuate a rimuginarci per i due giorni successivi. In quest’ultima situazione, lo stressor esterno è il commento spiacevole dell’altra persona, mentre lo stressor interno è il vostro pensiero (ad esempio: «Chi si crede di essere?», «Che diritto ha di dirmi una cosa del genere?», «Dovrebbe essere punito»), che amplifica il dolore e la rabbia inizialmente causati dal commento sgradito.

Nel caso di Marisol, la sua esperienza di stress ebbe inizio con un certo numero di stressor decisamente reali provenienti dall’ambiente: la necessità di occuparsi di due adolescenti; le imminenti spese per l’università; il lavoro a tempo pieno all’o-spedale; il pendolarismo che la obbligava a trascorrere ogni giorno lunghe ore in mezzo al traffico. Inoltre, benché trovasse divertente allenare la squadra di calcio delle figlie, anche questo le causava una quota ulteriore di stress.

Gran parte di questi stressor generati esternamente era al di là del controllo di Marisol; vale a dire che lei non poteva

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tenere sotto completo controllo il comportamento delle figlie, né aveva potere sul fatto che l’università costasse così tanto o che il traffico fosse così caotico. Avrebbe potuto prendere in considerazione la ricerca di un altro lavoro, ma al momento non poteva permettersi di dedicarvi il tempo necessario, e avrebbe potuto abbandonare il suo ruolo di allenatrice, ma aveva preso un impegno e non voleva fare marcia indietro. Non sorprende, quindi, che con tutti questi stressor su cui aveva scarsissimo controllo Marisol si sentisse stressata.

Tuttavia, al di là degli stressor ambientali, Marisol si impegolava di continuo in pensieri e modi di pensare che accrescevano la sua esperienza di stress. Nello specifico, più si rimproverava per quello che non faceva, invece di sentirsi con-tenta per quello che faceva, più provava stress sotto il profilo emotivo (sotto forma di ansia), fisico (disturbi del sonno e stanchezza) e comportamentale (mangiava in eccesso). Il suo dialogo interiore, distorto in termini negativi, agiva come uno stressor che diminuiva il suo ottimismo e la privava dell’energia necessaria per effettuare un cambiamento positivo.

Anche gli stressor ambientali di Sheldon erano notevoli: la perdita della compagna, il lavoro impegnativo e la riduzione della disponibilità finanziaria da quando invece di due redditi si ritrovava a disporre soltanto del suo stipendio. Anche in questo caso, però, attribuire severamente la colpa all’ex fidanzata, al suo supervisore, ai colleghi e talvolta anche a se stesso lo faceva solo sentire peggio, e peggio si sentiva, più si comportava in modi controproducenti.

Perché reagiamo in un certo modo

Wim Hof è un olandese di 58 anni che si è guadagnato il soprannome di «The Iceman» per la sua capacità di sopportare

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temperature gelide. Le sue prodezze comprendono sedersi in una scatola di vetro piena di ghiaccio per 71 minuti in una strada di New York, nuotare per l’estensione di mezzo campo da calcio sotto uno strato di ghiaccio nell’Artico e correre una mezza maratona a piedi nudi con temperature inferiori allo zero in Finlandia (Sterling e Furtula, 2011). In simili condizioni la maggior parte della gente andrebbe in ipotermia entro pochi minuti e morirebbe (quindi voi non provateci).

Alcuni scienziati hanno notato che la resistenza di Hof sem-bra dovuta alla sua capacità di esercitare un controllo su quelle che normalmente riteniamo funzioni involontarie, compresa la risposta del corpo allo stress. Nel descrivere il suo metodo Hof spiega che consiste in tre elementi: il controllo del respiro, l’attenzione prestata ai segnali del corpo e il mantenimento di una mente aperta. Tali elementi comportamentali e i loro effetti sono stati individuati in chi si dedica a lungo alla meditazione. Ad esempio, da uno studio che metteva a confronto dei monaci buddhisti con persone della stessa età non impegnate nella medi-tazione è emerso che i monaci presentavano un livello di pressione sanguigna più basso, battiti cardiaci inferiori, tempi di reazione più lenti e livelli inferiori di cortisolo (un ormone prodotto in risposta allo stress; Sudsuang, Chentanez e Veluvan, 1991).

Per la maggior parte di noi, tuttavia, la risposta del cor-po allo stress non è affatto sotto controllo cosciente. Come ha spiegato il neuroscienziato Robert Sapolsky (2004) nel suo libro Perché alle zebre non viene l’ulcera, gli esseri umani sono come le zebre quando sentono avvicinarsi un leone e concentrano tutte le loro energie nell’enorme sforzo musco-lare necessario a scappare. Pur senza alcun atto cosciente, la consapevolezza della zebra si accentua e il battito cardiaco e il respiro accelerano. I vasi sanguigni si dilatano per pompare più sangue ai muscoli, che ne hanno bisogno per fuggire, inibendo altre funzioni corporee come i processi digestivi,

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che vengono rallentati, e la responsività sessuale, che viene momentaneamente tacitata. Il sistema immunitario riceve un immediato sostegno, forse come reazione preventiva alle ferite che si potrebbero subire, e la risposta fisica della fuga aumenta le probabilità di sopravvivere.

Allo stesso modo, per assicurare la sopravvivenza il cer-vello umano ha la capacità di cercare e individuare le possibili minacce. Come recita un detto, «è meglio scambiare un ba-stoncino per un serpente che un serpente per un bastoncino» (Love e Carlson, 2011, p. 99). Come reazione a uno stressor immediato, le ghiandole surrenali producono cortisolo, che a sua volta attiva vie nervose antistress e antinfiammatorie. Un po’ di cortisolo non fa male; anzi, nel breve termine determina migliori riflessi e un livello più alto di attenzione, facilitando l’apprendimento e la prestazione (forse è per questo che alcuni pensano di dare il meglio di sé sotto pressione).

Tuttavia, a differenza della zebra, il cui livello di stress torna rapidamente alla normalità dopo essere sfuggita al leone, gli esseri umani hanno la capacità di pensare alle minacce passate e di preoccuparsi per quelle future. Di conseguenza, la risposta umana allo stress può bloccarsi su un allarme persistente anche quando le minacce non sono fisiche: gli alti livelli di cortisolo associati possono con il tempo soffocare il sistema immunitario provocando allergie, asma, ridotta resistenza alle infezioni e pa-tologie autoimmuni che attaccano per errore le cellule e i tessuti del corpo (ad esempio sindrome da fatica cronica, fibromialgia, disturbi tiroidei, infiammazioni intestinali, lupus).

Una risposta prolungata allo stress può anche produrre au-mento della pressione, disturbi cardiaci, insonnia e vari altri sintomi fisici (National Institutes of Health, 2013), può esacerbare il dolore causato da una precedente ferita o patologia, e può provocare dolore anche come risultato di una prolungata tensione muscolare. Sotto il profilo emozionale, uno stress persistente influenza l’umore e

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può acuire l’irritabilità, l’ansia, la rabbia, la paura e la depressione. A loro volta, tali emozioni alimentano comportamenti autosabo-tanti che influiscono negativamente sulla salute fisica, accrescono il rischio di dipendenze e danneggiano le relazioni.

Sul momento, lo stress viene avvertito in una o più delle quattro aree in cui può manifestarsi. Dal punto di vista fisico, può essere sperimentato come mal di testa, mal di pancia, pro-blemi del sonno, tensione muscolare, scarsa energia, diminuzione dell’appetito, problemi intestinali e numerosi altri sintomi cor-porei. Dal punto di vista mentale, lo stress assume la forma di immagini e pensieri ossessivi, invadenti e negativi. Dal punto di vista emotivo, si manifesta nell’ansia, nella depressione, nell’irri-tabilità, nella rabbia, nella gelosia e in altre emozioni indesiderate. Infine, dal punto di vista comportamentale, lo stress prende la forma di comportamenti controproducenti e in grado di creare conflitti con gli altri. Tutte queste forme di stress interagiscono e si influenzano a vicenda (motivo per cui un pensiero può agire come stressor ed essere al tempo stesso il risultato dello stress).

Riflettete!

Pensate all’ultima volta in cui avete affrontato uno stressor importante. In quale forma avete sperimentato lo stress in queste quattro aree?

Fisica: __________________________________________________________________________________

Mentale (pensieri): _________________________________________________________________

Emozionale: __________________________________________________________________________

Comportamentale: ________________________________________________________________

Attacco, fuga o blocco e altro ancora

La risposta comportamentale degli esseri umani allo stress è anche nota come «reazione di attacco/fuga/blocco»; di fronte a una minaccia, ci proteggiamo con un’azione aggressiva, con

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la fuga o immobilizzandoci per non attirare l’attenzione, ma, come hanno dimostrato le ricerche più recenti, non è tutto qui.

Uno studio condotto dai National Institutes of Health (Eaton et al., 2012) ha rivelato che gli uomini tendono a este-riorizzare la propria esperienza dello stress più delle donne. Nello specifico, è più probabile che diano la colpa ad altri e mettano in atto comportamenti aggressivi (ad esempio l’attacco). Han-no anche più probabilità di isolarsi e di fare abuso di sostanze (comportamenti di fuga/evasione). Il rabbioso incolpare l’ex fidanzata e i colleghi da parte di Sheldon, e l’aumento della quantità di alcolici, sono esempi di questa tendenza.

Per contro, è più probabile che le donne interiorizzino lo stress e la sofferenza, ad esempio tornando di continuo sui pensieri negativi e incolpando se stesse. Tale interiorizzazione contribuisce spesso a causare depressione e difficoltà nell’intraprendere qualsi-asi azione (risposta di blocco). Il continuo biasimarsi e mangiare troppo di Marisol sono in linea con questa tendenza.

Oltre a queste risposte comportamentali, di recente gli scienziati ne hanno individuata una quarta molto salutare, quella del prendersi cura ed essere amichevoli, che include comportamenti sociali positivi come dedicare le proprie attenzioni agli altri ottenendo al tempo stesso il loro aiuto e supporto. Alcuni studi suggeriscono un legame fra questa risposta comportamentale e la produzione di ossitocina, spe-cialmente nelle donne in concomitanza con lo stress del parto e dell’allattamento, quando le risorse sono incanalate verso la sopravvivenza del bambino. Come ha notato la ricercatrice Shelley Taylor, sembra che l’ossitocina (e l’ormone maschile ad essa strettamente collegato, la vasopressina) agisca come un termostato che misura l’adeguatezza del supporto sociale, segnalando il bisogno di un sostegno maggiore e poi riducendo la risposta allo stress quando il supporto si è stabilizzato (Azar, 2011; Social Psychology Network, 2010).

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Riflettete!

Riuscite a pensare a una situazione recente in cui avete reagito con una risposta di attacco, fuga, blocco oppure improntata al prendersi cura ed essere amichevoli?

__________________________________________________________________________________________

Per voi una di queste risposte è più frequente delle altre?

__________________________________________________________________________________________

Anche la posizione sociale riveste un ruolo nell’esperienza dello stress. I ricercatori dell’Università di Harvard Jennifer Ler-ner e Gary Sherman (2012) hanno indagato l’effetto dello status in due studi che mettevano a confronto dirigenti governativi di livello medio-alto e ufficiali dell’esercito con un gruppo di persone che non erano leader della comunità. Nel primo studio, i livelli di cortisolo e l’ansia autoriferita erano più bassi nel grup-po dei leader che in quello dei non leader. Nel secondo studio, che esaminava le differenze fra leader, coloro che ricoprivano il grado più alto e disponevano del potere maggiore presentavano i livelli di cortisolo e di ansia più bassi. In entrambi gli studi, il minore livello di stress veniva spiegato dal maggiore controllo, nonché dal maggiore senso di controllo, che derivano da uno status sociale più elevato. Quindi, se vi sentite molto stressati in una posizione di minor potere o prestigio, ricordate che questo potrebbe essere dovuto tanto alla percezione di avere un controllo minore (la parte interna) quanto al reale stress che dipende dal fatto di disporre di meno potere.

Un’ultima cosa da tenere a mente riguardo agli stressor è che non sono sempre e soltanto eventi negativi. Per quanto possa apparire strano, anche gli eventi positivi possono creare stress. I ricercatori usano il termine «eustress» per descrivere lo stress deri-vante da qualcosa che piace, ad esempio sposarsi, avere un figlio o vincere alla lotteria. Nonostante tali eventi siano desiderabili,

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spesso implicano una buona dose di sconvolgimenti, situazioni im-prevedibili e cambiamenti che possono avere effetti fisici negativi.

Identificare i propri stressor

Chiaramente, ognuno sperimenta e reagisce agli stressor in modo personale. Quello che per voi costituisce uno stressor potrebbe non esserlo per qualcun altro. Per comprendere il ruolo dello stress nella vostra vita, prima di tutto avete bisogno di sapere che cosa per voi è fonte di stress. L’esercizio che segue vi aiuterà a identificare i vostri stressor esterni (nei prossimi capitoli vedremo come i pensieri amplificano gli effetti di tali stressor). Notate che gli stressor esterni che menziono sono solo suggerimenti: se non sono adatti a voi, usate la categoria «Altro» per elencare i vostri.

Provate!

1. Cerchiate le aree di stress negativo nella vostra vita:

_______ conflitti con il partner/il coniuge/un figlio/un genitore_______ perdita/morte_______ lavoro/disoccupazione_______ vita sociale o sua mancanza_______ salute_______ esperienze traumatiche/incidenti_______ problemi finanziari_______ scuola_______ famiglia_______ troppo da fare (essersi presi troppi impegni)_______ comunità/società (ad esempio razzismo, omofobia

o altre forme di pregiudizio e discriminazione)_______ un trasferimento impegnativo_______ problemi legali_______ altro ___________________________________________________________________________

_______ altro ___________________________________________________________________________

_______ altro ___________________________________________________________________________

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Capitolo settimo

Contrastare il pensiero negativo

Vai sempre avanti. Nessun sentimento è definitivo.

Rainer Maria Rilke

Le emozioni sono i segnali che il sistema corpo-mente ci invia per avvertirci che abbiamo bisogno di effettuare dei cambiamenti, ma modificare delle emozioni forti nel momento in cui se ne viene travolti può essere difficile; spesso la via più facile è cambiare il modo in cui si pensa, che a sua volta consente di modificare il modo in cui ci si sente e ci si comporta. Una delle strategie che si rivelano più utili per un cambiamento positivo del pensiero è quella del contrasto, ovvero mettere in discussione la veridicità o l’utilità dei pensieri negativi e rimpiazzarli con pensieri più realistici e appropriati.

Finora abbiamo preso in esame le componenti del benes-sere (le emozioni positive, la salute mentale e fisica, le relazioni sane e la capacità di darsi uno scopo) e abbiamo considerato il cammino del benessere come una via che prevede modi sani e utili di pensare e di agire. Abbiamo poi parlato degli stressor esterni che si frappongono al raggiungimento del benessere e dell’importanza di prestare ascolto ai messaggi provenienti dal corpo relativi agli effetti che tali stressor hanno su di noi. In-fine, negli ultimi due capitoli, ho spiegato come i nostri stessi pensieri possano diventare degli stressor, soprattutto nella forma di trappole che creano e amplificano ansia, depressione, rabbia, senso di colpa e altre emozioni negative.

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In questo capitolo spiegherò come usare uno strumento che si chiama «contrasto» per modificare le intense emozioni spiacevoli. Il contrasto equivale alla messa in discussione dei pensieri negativi e inappropriati e alla loro sostituzione con pensieri realisticamente positivi che favoriscono il benessere.

Tuttavia, prima di modificare una forte emozione sgra-dita, è importante riconoscere esattamente che cosa si sta sen-tendo, provare a comprenderlo e darsi la possibilità di viverlo ed esprimerlo in modo costruttivo. Se cercaste di fare a meno di questo passo di comprensione/esperienza, minimizzando o ignorando uno stato d’animo, quest’ultimo potrebbe saltar fuori quando meno ve lo aspettate e innescare un compor-tamento in grado di ferire voi o altri. Una volta che avrete riconosciuto i vostri sentimenti e vi sarete concessi di vivere le emozioni connesse, sarete pronti a cambiarli in meglio. Quindi, prima di approfondire il contrasto, esaminiamo alcuni modi di comprendere, provare ed esprimere costruttivamente le emozioni.

Riconoscere e vivere le emozioni

Capire esattamente che cosa state provando è importante perché vi aiuta a stabilire che cosa fare. Se vi sentite spenti, privi di energia e leggermente irritati, prestando attenzione al vostro corpo vi renderete magari conto di essere affamati e stanchi, e vi basterà mangiare un panino e riposare mezz’ora. Oppure, se vi sentite amareggiati, può darsi che abbiate bisogno di parlare con la persona che vi ha feriti o con un amico fidato che vi aiuterà a sentirvi meglio.

La maggior parte delle persone ha una specifica emozione che domina la risposta allo stress. Poiché gli uomini tendono a esteriorizzare il dolore emotivo, la loro risposta dominante è

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spesso la rabbia, che può mascherare stati d’animo più profondi e meno accettabili in ambito maschile come dolore, paura, de-lusione, senso di colpa, tristezza o la sensazione di scarso valore o impotenza. Al contrario, le donne tendono a interiorizzare il dolore, con un senso di depressione che maschera la rabbia, un’emozione meno accettata. Talvolta basta la mera consape-volezza dell’origine dell’emozione, anche se sul momento non potete porvi rimedio, a farvi sentire meglio. Ad esempio, se vi sentite particolarmente nervosi e agitati per la presentazione che dovete fare e, prestando attenzione al vostro corpo e alle vostre emozioni, ricordate che parte dell’agitazione potrebbe essere dovuta ai troppi caffè che avete bevuto, tale consapevo-lezza potrebbe perlomeno ridurre la preoccupazione che nutrite rispetto alla presentazione.

Per comprendere sentimenti ed emozioni, trovo utile ri-cordare una definizione usata dagli psicologi comportamentali: un’emozione è una sensazione fisica a cui diamo un determinato nome sulla base del contesto in cui si manifesta. Ad esempio, se dentro di voi temete un evento che sta per verificarsi e provate la sensazione fisica che si accompagna alla paura (stomaco sot-tosopra, agitazione, accelerazione del battito cardiaco, respiro corto), interpreterete tutto ciò come ansia, ma se provate le stesse sensazioni poco prima di partire per un viaggio a lungo atteso le interpreterete come eccitazione. Quando diciamo di provare qualcosa, in genere ci riferiamo a una sensazione fisica e a un’emozione.

Gli Alcolisti Anonimi usano un acronimo particolarmente azzeccato per il riconoscimento delle emozioni: HALTS (Hun-gry, Angry/Anxious, Lonely, Tired, Sick/Sad, ovvero affamato, arrabbiato/ansioso, solo, stanco, debilitato/triste). Prima di fare qualunque cosa, quando vi ritrovate in preda a un sentimento soverchiante, fermatevi e chiedetevi quale di queste emozioni state provando.

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100

Provate!

La prossima volta che provate una forte emozione negativa, prestate attenzione al vostro corpo alla ricerca di indizi che rivelino quale sia l’e-mozione e che cosa riguardi davvero. Via via che cogliete delle sensazioni fisiche, chiedetevi: «Che cosa sto sperimentando? Si tratta davvero di [ad esempio] rabbia, o è qualcos’altro? Sono affamato, arrabbiato, ansioso, stanco, debilitato, triste o turbato da qualcos’altro?».

Il continuum emozionale

Può essere utile pensare alle emozioni negative come a qualcosa che si sviluppa lungo un continuum. A un estremo quelle più lievi possono essere utili, perché ci inducono a prestare attenzione e a fare scelte più assennate (si veda il box a fine paragrafo). La parola «emozione» viene da «muovere», e le emozioni ci aiutano a muoverci, a passare all’azione. Ad esempio, sensazioni fisiche come una scarica di adrenalina, una costrizione al petto o il vuoto allo stomaco sono i modi che il corpo utilizza per dire: «Ehi, svegliati, qui sta succedendo qualcosa che non mi piace!».

Tuttavia, un’emozione molto negativa (all’estremo op-posto del continuum) ha in genere l’effetto contrario: invece di motivarci a fare qualcosa di utile, di solito ci impedisce di compiere un’azione positiva, dando luogo a una risposta di attacco, fuga o blocco.

Ad esempio, quando un’automobile vi tallona ad abba-glianti accesi, è normale che proviate un po’ di irritazione o una leggera ansia. Tali emozioni e la vostra reazione fisica (nervoso o agitazione) richiamano l’attenzione sul pericolo in corso e, in questo caso, sul bisogno di compiere un’azione (stringersi a destra per far passare l’auto). Se però cominciate a sproloquiare e inveire contro l’altro automobilista e vi fate venire un attacco

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di collera, la vostra reazione emozionale estrema renderà più difficile compiere un’azione utile e più facile fare qualcosa che invece peggiorerà la situazione.

Quando le emozioni diventano così soverchianti e persistenti da inceppare il funzionamento di una persona, sono definite «disturbi» (ad esempio, un disturbo d’ansia o una depressione grave). Se pensate di soffrire di un disturbo emotivo, il primo passo da fare è un controllo medico per escludere problemi come bassi livelli di ferro o una disfun-zione tiroidea che potrebbero contribuire all’insorgenza dei sintomi.

Il continuum delle emozioniLievi Moderate Estreme

irritazione rabbia furia

imbarazzo senso di colpa umiliazione,vergogna

delusione tristezza, normale senso di dispiacere

depressione,disperazione

previsione negativa, lieve preoccupa-zione

paura, ansia terrore

lieve invidia gelosia intensa gelosia

Anche se di norma il trattamento presecelto per i disturbi emotivi è quello farmacologico, la ricerca ha mostrato che spesso gli interventi cognitivi e comportamentali possono essere altrettanto efficaci senza presentare effetti collaterali. Quindi, se state prendendo in considerazione la possibilità di assumere psicofarmaci, vi suggerisco questa metafora: i farmaci sono il

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salvagente che vi viene lanciato quando cadete in un fiume senza saper nuotare; vi permettono di tenere la testa fuori dall’acqua per non annegare, ma dovrete comunque imparare a nuotare. Imparare a nuotare significa cambiare quello che fate e il modo in cui pensate (usando gli strumenti descritti in questo libro). Poiché i disturbi emotivi fanno scivolare il pensiero verso il polo della negatività, vi suggerisco di rivolgervi a uno psicologo o a un counselor che possa aiutarvi a individuare la strada migliore da seguire e che, insieme a un servizio di assistenza medica, vi indichi quali farmaci possono esservi d’aiuto.

Esprimere le emozioni in modo costruttivo

Prima di affrontare i modi per cambiare i pensieri negativi, c’è ancora una cosa importante da dire riguardo alle emozioni. Una volta che avrete capito quali emozioni sentite, è anche fondamentale che vi diate la possibilità di viverle. Se cercate di sottrarvi all’esperienza di un’emozione evitandola, seppellendola o usando qualche sostanza per tacitarla, sarà facile che salti fuori quando meno ve lo aspettate.

Ad esempio, una volta ho lavorato con una donna esperta di dialogo interiore positivo. Era single, lavorava a tempo pieno e si occupava di un figlio con disabilità. Era cresciuta in famiglie affidatarie e aveva imparato ad assumere sempre un’espressione felice, indipendentemente da come andassero le cose. Il suo tentativo di essere positiva la aiutava, ma le impediva di provare l’insieme di dolore, lutto e rabbia per la perdita del marito e la preoccupazione per gli ostacoli che il figlio doveva affrontare. Appena questi sentimenti cominciavano ad affiorare, lei li scac-ciava con il dialogo interiore positivo, ma questo la portava a soffrire di ansia, a fumare di continuo e ad aggredire le persone di cui doveva occuparsi.

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Quando avete bisogno di esprimere delle emozioni, è fondamentale farlo in modo costruttivo. Prendete ad esem-pio la rabbia, per la quale esistono due approcci costruttivi differenti. Per quelli che tendono a eluderla, a trattenerla e cercare di ignorarla, l’approccio migliore prevede l’attenzione consapevole e l’accettazione dell’esperienza emotiva interna (ad esempio tramite l’esercizio della focalizzazione mente-corpo descritto nel capitolo quarto), seguite dall’espressione manifesta della rabbia. Chi cresce in famiglie violente o dedite al consumo di alcolici o droghe, ad esempio, spesso impara che è non è consigliabile parlare di ciò che si prova o addirittura provare sensazioni e sentimenti. Quindi, la prima cosa di cui ha bisogno è riconoscere e accettare tali emozioni, viverle ed esprimere il proprio dolore.

Molte delle strategie idonee a esprimere costruttivamente le emozioni sono quelle che i bambini e i ragazzi scoprono per conto proprio, ad esempio battere i piedi, lanciare sassi in uno stagno, disegnare facce arrabbiate, ascoltare musica in sintonia con il proprio umore, urlare e piangere abbracciati a un cuscino o parlare con una persona fidata, come un amico o un tera-peuta, che dia valore ai sentimenti che si provano. Qualunque atto fisico che non danneggi niente e nessuno viene di norma considerato una buona fonte di sollievo: ad esempio, andare in spiaggia e gridare nel vento, sottoporsi a un allenamento intenso o correre. La ricerca ha dimostrato che anche scrivere è un’efficace forma di liberazione, anche perché aiuta a organizzare e dare un significato alla propria esperienza.

Il secondo approccio per esprimere la rabbia funziona me-glio con le persone che tendono a manifestarla con troppa foga. Se questa è la vostra modalità, vi sarete accorti che più esprimete rabbia, più questa si ingigantisce, al punto che rischiate di fare del male a voi o ad altri. Le soluzioni migliori per questo tipo di rabbia sono esercizi di mindfulness che vi aiutino ad accettare

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l’esperienza emotiva interna, seguiti dall’impiego di strumenti di modifica del pensiero e da azioni con cui placare l’ira.

Riflettete!

Qual è l’approccio alla rabbia che tendete a usare? _________________________

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Contrastare il pensiero negativo per sentirsi meglio

Prima di tutto, non è detto che ogni emozione negativa possa o debba essere cambiata, poiché la rabbia, l’irritazione, la paura, la delusione e la tristezza possono essere reazioni normali a una situazione. Ad esempio, se qualcuno che amate muore e vi sentite addolorati, quel dolore testimonia l’importanza che la persona scomparsa rivestiva per voi; se non lo provaste, non sareste umani, quindi non è sano cercare di liberarsi di un dolore del genere.

I problemi hanno inizio quando venite sopraffatti dalle emozioni e nella disperazione smettete di provare a sentirvi meglio, assumendo un atteggiamento evitante, oppure cerca-te con troppa forza di riguadagnare il controllo, prendendo decisioni improvvise e sconsiderate e comportandovi in modi che vi fanno sentire meglio sul momento ma si rivelano con-troproducenti sul lungo periodo. Queste emozioni travolgenti che avete crea to nella vostra mente sono proprio quelle che cercheremo di cambiare con gli strumenti di modifica del pensiero.

Il treno del pensiero (si veda il capitolo quinto) è un modo utile per spiegare come i pensieri inducono particolari sensa-zioni e comportamenti; sul fatto che siano sempre i pensieri a creare le sensazioni, tuttavia, c’è un acceso dibattito. Può darsi che talvolta arrivino prima le sensazioni fisiche e poi la nostra

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interpretazione mentale determini l’emozione (ad esempio, quando qualcuno vi coglie di sorpresa, sussultate e poi provate paura). In ogni caso, la maggior parte degli psicologi è d’ac-cordo sul fatto che i pensieri, le sensazioni e i comportamenti sono così interconnessi che se si modifica uno dei tre elementi, è probabile che si verifichi un cambiamento anche negli altri. Intervenire direttamente su una forte emozione, però, è molto difficile (la prossima volta che avvertite una profonda irritazio-ne, provate a dirvi: «Smetti di essere arrabbiato e sii felice!»). Una via più facile consiste nel cambiare il modo di pensare, il comportamento o l’ambiente, cambiamento che a sua volta determinerà la modifica dell’emozione.

Uno degli strumenti più efficaci per eliminare il pensiero negativo che mina il benessere è il contrasto. Come ho antici-pato all’inizio del capitolo, si tratta di mettere in discussione i pensieri negativi, inutili e irrealistici, e sostituirli con pensieri più positivi, realistici e utili. Ci sono due tipi di contrasto. Il primo consiste nel mettere in discussione la verità dei propri pensieri, usando alcuni tipi di domande.

Messa in discussione della verità

– «Questo pensiero, questa convinzione o questa affermazione sono veri?»

– «Chi lo dice che sono veri? Un’idea o una norma che ho assimilato dalla famiglia, dalla cultura, dalle autorità o dai colleghi? Se sì, si tratta di qualcosa cui voglio continuare ad attenermi?»

– «Qual è la prova che sono veri? E quale che non lo sono?»

La messa in discussione della verità può essere molto ef-ficace per eliminare le trappole del pensiero e le sceneggiature negative, in particolare quando vi state raccontando delle falsità. Quello che segue è un esempio.