I quaderni di valcenoweb Poesie di Luciano Rossi.

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I quaderni di valcenoweb Poesie di Luciano Rossi

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I quaderni di valcenoweb

Poesie di Luciano Rossi

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La stanza del miele

Se è vero che i soli paradisi sono quelli perduti, so come chiamare la cosa tenera e inumana che oggi è in me. Un emigrante torna in patria. E io ricordo.

L’amato Camus. L’envers et l’endroit. È quel che sento quando torno qui, nella mia valle dolce e dolorosa. È quel rammemorare... quel ricordare sempre troppo tardi. E male. Quella quercia. Quella persiana caduta. Particolari non sufficienti al cuore.Questa notte dormirò nella mia vecchia camera, nella stanza del miele. Il paese è deserto da anni. Se tornassi qui per sempre, sarei il solo abitante. Abiterei questo nulla. Vivrei come un vecchio nibelungo e presto ululerei come i lupi lontani che ogni tanto sento nella notte. È questa che si chiama paura?Come cacciarla? Dovrei ricordare la felicità d’allora? Il paese pieno di ragazzi? Non servirebbe: è così difficile invecchiare. Non riesci mai a raccontare a nessuno com’era il mondo allora. Questo villaggio, questa casa. Bianca con le persiane verdi. Se non ci fossero i fantasmi potrei fare le scale al buio. Ma i fantasmi ci sono e l’antica paura m’aiuta a ricordare... e a scrivere, magari per me solo. O per qualcuno di qui, sparso per il mondo.

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Prima parteI canti di Castagnola

INDICE • La cena a Castagnola 1970• A Robert Frost 1972• Il papavero e la bellezza 1973• La rivolta della montagna 1973• La strada 1979• Et nunc vesperascit 1988• Viottolo 1988• Occhi 1988• Ode al dio Pan 1990• Pulviscolo 1990• C’è ancora pena... 2005• Fra tutti io solo 2005• Ritorno a casa 2005• Riapro gli occhi 2005• L’ultima sera 2005• Montagne 2005• Preghiera per il Padre 2005• Illic mea carpitur aetas 2007• Poesia 2007• Quarta C 2007• Tutti i nomi 2007• Hanging Rock 2007• Misura 2007

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La cena a Castagnola 1970

Si risveglia a la novenail vecchio campanilee viola planano i rintocchisu prati d’aria leggeri.

È l’ora.

Di pipistrelli e rondini si stende una tovaglia;e sulle povere cenespande la sera benedetta una preghiera azzurra; il pane ascetico(nient’altro, e un po’ di latte)profuma di bontà le nostre mani;celebra il vesprosul comignolo la tortora vestale.

Zittiscono i tocchi radi.

La prima stella illuminail cammino: e marciano mute le ronde del silenzio.

Stringe la nonna diofra le sue mani

adunche,annodato al collo un fazzoletto di pietà.

Col suo tocco di campana, anche se stanco è il rito, a leitorna ogni sera com’uno sposo il suono.

Ma già dorme il suo voltodi miele eil quadrante della nottesorridee disegna le ore del suo sonno.

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A Robert Frost 1972

Porto le mucche a bereHan pascolato tutto il giorno e son tornateRiportando mesti i campanacci a sera

Han trovato soloAride frondeE cardi

Esauste le foglie d’erba

Ora hanno sete Ed io,Che tra le logore carte Nulla ha dissetato

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Il papavero e la bellezza 1973

A dieci anni la bellezza fuggì dalla mia vita. Rifiutata da me, fuggì dalla mia vita.

Rinnegai l’urlo delle forre, i lombi dei tori nei recinti,la mansuetudine degli uomini, distribuita a ceste sul sagrato, il lento passo carico di polvere.

Non sono belli, pensavo.

E camminai lungo i muri romanici, scarpe lucenti su vie lastricate.

Voluti dai potenti, strade e muri furono elevati, posati in conci precisi, dalle mani pazienti di uomini girasole.

Presuntuoso,compiuta la fatica altrui, si posòsu levigate pietre un piede senza fango.

Di morbida seta, le babbucce. E senza calce, pulita, la mano che aprì la porta del Tempio.

Il sudore dell’ovra ormai lontanos’era giocato la sua ricompensa. Era tornato alla sua dimora Di frasche di strame Torso marmoreo rivestito di stracci.

I nuovi padroni della terra scordarono la sua impresa. Lunghi filari di calce gli tolsero la vista del mondo che fu suo.

Non più sorridenti primavere, estati ebbre, misurati autunni, inverni di cristallo puro.

Ma una sera, nel sole del tramonto, fu visto un papavero arder vivo e nessuno ne poté evitare il canto

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La rivolta della montagna 1973

Era mezzogiorno quandola misura fu colmae scoppiarono le conchiglie.

Gocce di sole caddero dalla feritae colorarono il vento;che rosso volò su l’altipiano doveuccelli da preda tesero l’arco del furore eversarono nei fiumidi fierezza le sorgenti immani.

Da quel giornofurono visti scendereinterminabili uomini di silenzioe prendere dimorasu tutti i sentieri della terra.

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La strada1979

Verso sera, i montanari videro,lontane,comparire le ruspe.Un punto all'orizzonte,ancora senza rumore.

I ginepri odoravanoe stormivano lievile querce fanciulle.

Ma quando dura squarciò la prima cariela giogaia ormai nera di tramonto,mio padre ammutolì.

Solo allora le pernici volarono via,i cani si accucciarono ai suoi piedi e niente fu più come prima.

Mi strinsi bambino alle sue gambee lui guardò l'orizzonte anche per me, che non sapevo.

Qualcuno tornò dai campicol suo carico d'erba,graffiando la sera col tridente.Scoteva la testa:traverseranno il mio pratodissee non guardò nessuno passando.Il suo sudore acre, rappreso al legno della cesta,fu l'ultimo odore buono che sentiiprima che i camion scaricassero,percotendo pesanti la mulattiera,le loro rancide ferramenta ostili.

(continua alla pagina seguente)

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La strada1979(prosegue dalla pagina precedente)

Le vecchie del villaggionon uscirono di casa.Sapevano che la loro pena non sarebbe mutata,che la strada non le avrebbe portate in alcun luogo,che l'oleandro sotto casa sarebbe morto di sete.

Morirono le vecchiee morì l'oleandro.

Ieriè morto anche mio padre.

La strada,che la sua mano incertaaveva tracciato sul catasto dei nostri campi più belli,ha portato la sua barain un lontano loculo grigiouguale a mille altri.

Da domani,negli anni a venire,un sole inutiledalla scura carie dei montis'affaccerà ogni giorno sui vetri polverosi della sua casa,traversando le persiane brecciateed abbattendosi sulle umide muffe indifferentidelle mappe catastali.

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Et nunc vesperascit1988

nell’aia covoni di pacedensa e sonnolenta la campana

sulla pianura greve e senz’animaposa la sera

ormai il rosso del mio cuorepuò solo colorare un tramonto

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Viottolo 1988

Un viottolo. Io ti cammino a fianco.Pochi sassi silenziosi, qualche ginestra,un fiore viola.

Io ti cammino a fianco.

Per menon hai parole.Solocolori fuggevoli, indistinti.Solo carezze,di profumi aspre,e non raggiungono il mio viso.Al tuo respiro avido tendoe già la sera l’ha portato via.Inafferrabile sera solo tua.

Nient’altro.Noi due,in un viottolo che porta chissà dove.

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Occhi 1988

Fiori campestri dormono negli antichiocchi di mia madre.Ruvide fascine n'han coltee riempion oggi aie di dolore.

Vergini d'incertezza e meraviglia,neri come un’eco zingara,dolci e fragili come la sua vita, e teneri quelli della figlia amata.

Ma vittoriosi i tuoi ch’agguatano, dal cespuglio ardente,infieriscono sul mio giardino autunnale,scompigliano la geografia dell'orizzontedove invano io cerco di fuggire.

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Ode al dio Pan 1990

... poi a volte(ma a volte solo)nel mezzo giorno pienodai monti a fronte un grido nascevae inceneriva il mondo

e nel traversare il mio cuore si faceva formae mi chiamavacon una forza purae breve

oggi tutto si perdequel grido nelle mie paroletroppeche nascondonocredendo di svelare

dell’urlo resta una voce fiocaesanguescoloritafra le fredde pagine nascosta

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Pulviscolo1990

Nella tua stanza ombrata, padre,scossi la luce che dimenticatagiaceva sul nostro libro di fiabe;

turbinando fuggì la polvere sui dardi che il giorno obliquitracciava dalla persiana socchiusa.

Nei loro angoli le mute coseun attimo appenalo sguardo alzarono rinate.

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C’è ancora pena sui cirri di ponente?2005

Adesso, Padre, che stai sulla alte nuvole di Costa,sui cirri di ponente,e ogni sera scendi dietro i faggi, t’è giunta voce che ho venduto la tua casa? Che l’ho venduta per pochi spiccioli lo sai? che vado errando per la montagna aspettando il tuo perdono?

Te l’han detto i cerri del tuo bosco, l’ardesia dei tetti e il vento che di lì è passato?

T’han detto del mio cuore malato come il tuo?

Ah, ricevi il mio pianto! Era troppo per me, Padre, era troppo. Troppola tua casaper il debole figliosenza braccia per sollevare il tinosenza cuore per riparare il tettosenz’altro amore che il tuo

Ricorda i miei pensieri malati.

Ero un ragazzoe tu eri con me;mi fermaia mezza viasul sentiero che da casa portava al Cimitero.

(continua alla pagina seguente)

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C’è ancora pena sui cirri di ponente?2005(segue dalla pagina precedente)

Ricordi?M’ero fermato mentre proseguivi.La montagnas’era fatta un mostroconfessai.Non son più guarito da allora Padre. E di questo tacqui per non darti pena.

Ma se di là dei cerri il dolore voi anime defuntepiù non lo sentite(quasi non credo)allora parleròed il mio male a sollievoti porrò sul cuore.

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Fra tutti io solo2005

Fra tutti io solosento le tue voci lontaneche tornano.

La lontananzae il desideriodi tenon ha chi resta.

Più d’altri.Più d’altri ascolto gli odori e annuso i campanacci celebrar la sera.

E bene mi fa questo doloreche si muove come tenda leggera sul sanguinar del cuoree la bellezzache soltanto ha ciò ch’è lontano.

Se nella superba cittàchiudo i miei occhilà rivedo...me la linea amata dei colli cupaverdelontana

azzurra talvolta di cielodi un mare mai visto.

E Pizzo d’Oca più d’altriquando ne l’onda d’aghi irsuta della Costa del Cerropettine d’abetiche pungono il cielo remoto alle mie spalles’abbruna nell’ora che scende dietro il monte.

Tornerò a vedervi s’avrò ancora sognose prima non m’ucciderà questo dolore.

(continua alla pagina seguente)

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Fra tutti io solo2005(segue dalla pagina precedente)

Sul muretto che so voglio ancora sedermia ricordare se pur fa malequell’estati morenti a Casivecchioquando agli studi già si ritornava,il dolore del padrecurvo al cadere del 12 settembreper lo stradello piano,e qualche sasso era calciato viae si taceva.

Talora sparuta una bionda tortora passavasfuggita ai cacciatori.Odo ancora l’aratrola voce che lo guida;ancora vedo noi tutti nel cammino mesto.

Il cane mi cercherà per settimanei montigli ultimi giorni d’estate.

I suoi radi capelli nella seragli occhi che m’insegnano l’amore muti negli ultimi passi verso casa.L’uscio s’apreE già si chiude

e così sia ...

Fuori trema la luna

e la lanterna fiocasul soffitto anneritonon sente i pensieri tramutarsi in stelle.

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Ritorno a casa2005

Inevitabile perderminella quieta nebbia ove solo un’eco smemorata abitadi voci lontanecome morte.

E pure vorrei che tutto coprisse:la pianura egualela città estenuatache scolora e ingrigia

Solo la chiara grotta dei montiancora serba la memoria del vero.

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Riapro gli occhi...

... e rinverdisco

d’alberi(2005)

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L’ultima sera 2005

Camminavi serena.

Coi rami del vesproil sole scherzava ancora un po’.Ai lati gli orti, le siepi che abbrunavano.Oh tu luminosa!

Ed era ultima volta.

Ti amavo di profilo.Il seno i fianchi il bel colore.Desiderarti ancora. Quest’ultimo crepuscolo.

Domani il convento ti attendevaPer darti o toglierti la vita.Mio dio Che gran mistero.Al tutto rinunciavi o lo facevi tuo?

E passammo davanti alla cappella.Ormai eri a casa.

Ancora lungo era il mio viaggio.

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Montagne 2005

Prima di mefu il torrente

per secoli

e la montagna per millenni smisurati.

Prima di me la pioggia senza nomel’urlo senza nome delle forre

mai riposò prima di me il galoppo del crinale

al tuono s’addiceva una voce di Padreche il passo terribile cantavae il rimbombo tremendo gemellato al fiume.

Ora questo silenzio di morte.E l’orma straniera sul sentiero.

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Preghiera per il padre 2005

Ti prego,rimani tumio cantonei sentieri amati.

Fermo rimani ai venti che spazzanoil Tombone.

All’anima Sua rimani accanto;con lui camminanella faggeta alta,a lui porgi quel ch’io non ho dato.

Dì che ti mando per dargli di me la più gran parteche ne la sua vita breve ho trattenuto.

Resta con lui.Col tuo racconto.

Digli il mio amore.Per la sua casaPer gli abiti suoiIl suo lavoro

Confortalo tu ché io non so.

Altro sarà il mio destino:di silenzio, di aria, di nuvoledi niente.

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Illic mea carpitur aetas2007

Non lasciarmi solo alla finestrache ai monti guardae delle stagioni reggel’urto straniero

mentre il mio verso invano cerca il senso fuggitivoe percorre l’industriosa giornatainutilmente.

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Poesia 2007

ISmania il poeta.e cerca la parola mai trovata.

Smarrito percorre, ancora una volta,il dedalo che irride.

IILa schiena piegandonell’orto i primi versi ho colto.

Eran come ora foglie di lattuga.

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Quarta C 2007

Nella città scorderòla sagra tristecurva nel volo dei primi migratorie quella luce assortadi partenza muta.

È ora di quaderninuovi, la penna buona a cominciarli bene.Profumo di cartapulita, e luci la serail cinemai tram.Non più qui il mosto o la stalla disdegnatadi cui con gli amici tacerò,non più il suono muggentedella forra dopo il temporalequel sapore elettrico dell’aria.

Forse lassù staranno seminando,già persa la scia dell’ultimo migrante.

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Tutti i nomi 2007

il tuo nomeprofeticoè un tocco di campane eco che ascolto nel mio giorno mutovento che passa sulle cordeimmote

il mio nomeè cetra che solo bisbiglia vuote paroleche nessuno sente

il suo nomeè estategreve come una calda foschia

che ci separavapore d’asfaltiluce

il nostro nomeè incontrosorgenteche traboccadolore che reclinaper un po’

il loro nomeè canto di cicale aspro rumorenella quieta stanzadove i violinigià nascono prostrati

una colombaci chiamaad uno ad uno

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Hanging Rock 2007

La montagna mi guarda.La montagna mi sta guardando.

Si muove verso me. Spietata m’attrae. M’inghiotte. Eppur son io che le do quest’anima crudele, soffiando la mia nelle sue gole.

Ma subito minaccia la vita che le ho dato. Non è più nuda e inertela montagna minerale.Contro mes’accanisce con Anima di madree mi risucchianei suoi sentierie ingloba.

Figlio e amante. Messo a morte da lei.

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La misura 2007

Nell’esistere la felicità è contata.

due squilli di tromba, poco più.

Dunque è già colma la povera misura?