I QUADERNI DI ANDI ASSICURA · L’odontofobia .....81 LETTURE CONSIGLIATE Bibliografia.....101...

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Colori compositi

C M Y CM MY CY CMY K

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I QUADERNI DI ANDI ASSICURA

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MARCO SCARPELLI

CHIARA DRAGONI

VALENTINA MAGNANI

L'APPROCCIO

COMPORTAMENTALE

DELL' ODONTOIATRA

e con la collaborazione diFEDERICO ANDREATINI

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PREFAZIONE

Dopo il primo quaderno sulla linea guida ed un secondo sul consenso informato ecco ilterzo sull’approccio comportamentale del dentista verso il paziente.In un momento in cui si abusa di terminologie quali alleanza terapeutica o empatia,immaginando che tutti i mali della professione si risolvano così, meglio affrontare il pro-blema comportamentale e farlo in maniera dinamica e propositiva ovvero sviscerandolo,analizzandolo e fornendo proposte concrete nella ricerca di soluzioni praticabili.Nel testo è riportata una bellissima citazione di Zenone:

“Se abbiamo due orecchi ed una sola lingua, significa che bisogna ascoltare due volte dipiù che parlare.”

e nel caso specifico non possiamo ovviamente ascoltare, ma leggere sì e, se necessario,rileggere per acquisire quelle conoscenze che, una volta confrontate con la nostra espe-rienza di professionisti che operano continuamente e costantemente nelle loro realtàoperative, ci potrebbero permettere di assumere comportamenti più appaganti.Mi preme però sottolineare che, come chiaramente detto in occasione della prima usci-ta, il lettore attento vede alternarsi od incrociarsi nella scrittura dei testi nomi noti e nominuovi, indipendentemente dal fatto che siano colleghi cultori della materia o avvocati oconsulenti di altro genere, confermando in tal modo l’intento di “rinfrescare le stanze” efornire comunque un supporto utile per il dentista.A questo punto però basta parlare, o scrivere che dir si voglia, e quindi non mi resta cheaugurarVi una buona e proficua lettura.

Ottobre 2009

Dott. Gerardo GhettiAmministratore Unico AndiAssicura

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Valentina Magnani (anni 26)Laureata in odontoiatria e protesi denta-ria nel 2006 all’Università degli studi diPavia.Dottoranda di ricerca in “Odontoiatriaper disabili” presso l’Università deglistudi di Bologna.Medico frequentatore dei reparti“DAMA” e di parodontologia della clini-ca odontoiatrica dell’Ospedale S.Paolo diMilano.Libera professionista.

Federico Andreatini (anni 24)Neo-laureato in odontoiatria e protesidentaria presso Università degli studi diMilano.Frequentatore presso i reparti della clini-ca odontoiatrica dell’Ospedale S. Paolo diMilano.Libero professionista.

GLI AUTORI

Marco L. Scarpelli (anni 52)Odontologo forense, libero professionistain Milano.Coordinatore Master di II livello in“Odontologia Forense”e professore aContratto presso il Corso di Laurea inOdontoiatria in “Etica e Comportamentonella professione” (0.50 crediti) pressol’Università degli Studi di Firenze.

Chiara Dragoni (anni 25)Laureata in psicologia clinica nel 2006con specializzazione in “salute, relazionifamiliari e interventi di comunità”, pres-so Università Cattolica, Milano.Libera professionista, attualmente inqua-drata come operatrice in progetto dicooperazione internazionale (Camerun).

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INDICE

1. INTRODUZIONE ......................................................................................................11

2. LA COMUNICAZIONE ..............................................................................................17

3. IL RAPPORTO ODONTOIATRA PAZIENTE ................................................................35

4. LA GESTIONE DELLE RELAZIONI IN STUDIO ............................................................61

APPENDICE.L’odontofobia ............................................................................................................81

LETTURE CONSIGLIATEBibliografia ............................................................................................................101

INDICE 7

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NOTA DEGI AUTORI

Una avvertenza importante: tra gli autori è presente un “vecchio” odontoiatra che haispirato il progetto e coordinato l’opera; per il resto i contributi provengono da soggetti,di cui si è volutamente inserita nella presentazione l’età, davvero giovani, in un casoaddirittura scrivendo la propria parte a cavallo tra la carriera di studente e la fase di lau-reando. Forse il lettore potrà riscontrare qualche passaggio definibile come “ingenuo” che risen-te appunto della scarsa esperienza degli autori; ma, e questo volentieri si sottolinea, pro-prio la freschezza degli autori, soprattutto la recente formazione, garantiscono quel sapo-re di novità che era nelle nostre intenzioni. Valuteremo a posteriori l’efficacia, ovvero l’inefficacia, del nostro lavoro. Altresì desideriamo ringraziare l’Associazione Nazionale Dentisti Italiani ed in particola-re il Dottor Gerardo Ghetti, per averci concesso questo spazio prezioso. Ringraziamo infine tutti coloro che avranno speso anche piccola parte del loro tempo suquesto testo.

Milano, gennaio 2009

Marco L. ScarpelliChiara Dragoni

Valentina Magnanie Federico Andreatini

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L'approcciocomportamentale

dell’odontoiatra

a curadel dott. Scarpelli,

dott.ssa Chiara Dragoni.dott.ssa Valentina Magnani

e con la collaborazione diFederico Andreatini

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Proviamo ad immaginare un incontro traun odontoiatra ed un paziente, nel 1965ed il medesimo incontro ai giorni nostri;in ambedue i casi il paziente sarà un bam-bino, che chiameremo Carlo, l’odontoiatrasarà tal Dottor Pirzio, la scena si svolgerànel medesimo studio. Carlo sarà accom-pagnato a visita da Maurizia, la madre.Ora proviamo a guardarci intorno, esami-niamo l’aspetto dello studio: ci colpisce,nel 1965, un certo aspetto “fioco” scarsa-mente illuminato; è vero che lo studio è apiano terra (al massimo al rialzato) ma èanche vero che la giornata è luminosa,siamo nel primo pomeriggio, eppure vi ècome una tendenza alla penombra, comemeglio definirla?. La sala d’attesa,anch’essa in penombra, è caratterizzatada un tavolino centrale carico di riviste,tra queste un po’ di tutto e, soprattutto, didiverse, per così dire, epoche; le sedie, informica, sono allineate contro le pareti esono molte, almeno dieci; sul muro deiprofili di legno/plastica, ad impedire ilcontatto tra le sedie ed il muro che è rigo-rosamente coperto da una carta da para-ti. In un angolo su due sedie Carlo emamma Maurizia, che attendono… Ad un tratto si affaccia sulla porta ilDottore. Si chiama, come già sappiamo,Pirzio, è alto, d’aspetto austero, ha uncamice bianco, con l’abbottonatura su un

lato, camice che non è definibile né lungo,né corto ma “a mezza gamba”. Ha icapelli pettinati all’indietro e impomatatio comunque trattenuti da un gel.All’angolo della bocca una sigaretta acce-sa che non disdegna tenere neppure men-tre opera. Saluta la mamma Maurizia, saluta Carlo,facendogli un buffetto sulla guancia e poilo prende per mano e, girandosi verso laporta dello studio, avverte la mamma “cela caveremo in mezz’ora al massimo”. Laporta in legno con un vetro smerigliato, siapre e si chiude al passaggio del DottorPirzio e del giovane Carlo. Al di là lo stu-dio, una stanza grande, anch’essa inpenombra, con al centro la poltrona, ilriunito, un vecchio Dorriot con i trapani afilo, subito Carlo nota, sul piano del riuni-to, una lampada ad alcool sulla quale ilDottore passerà, prima di metterlo inbocca al paziente, lo specchietto per scal-darlo e forse per non farlo appannare.“Cosa mi fai?” chiede Carlo: “non preoc-cuparti”, risponde Pirzio, aspirando untiro di sigaretta e naturalmente senzaguanti, “apri la bocca che ci penso io”.E così inizia la cura; quale cura? La curanecessaria, le cure necessarie… Per ilbene di Carlo.

1. INTRODUZIONE

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Proviamo ora a rivedere la medesimascena al giorno d’oggi.Carlo è diventato nel frattempo un adultoma ha a sua volta un figlio, Carlo come lui;Pirzio, già anziano all’epoca, forse non èpiù. Ma nel medesimo studio, nella mede-sima città è operativo un altro odontoiatrache ha ereditato lo studio di famiglia e pernon rendere il confronto imperfetto, anchela mamma del novello Carlo si chiameràMaurizia.Dunque i personaggi saranno gli stessi oquanto meno avranno gli stessi nomi.Lo studio: è sempre al piano terreno o almassimo al rialzato, ma pure potrebbeessere a qualsiasi piano; oggi certe cosenon si guardano più, le case hanno tuttel’ascensore, attenzione però alle barrierearchitettoniche ed al loro superamentoche deve essere facilitato!.Carlo e Maurizia entreranno in studioaccolti dall’occhio di una telecamera e daun cartello che li informa che “ai sensidella legge sui dati sensibili questa regi-strazione video ….” Gli aprirà la portauna receptionist sorridente con un camiceazzurro, o forse in borghese, ma di certocon un cartellino indicante il nome; fac-ciamo Daniela? Bene, Daniela accoglieràCarlo e la sua mamma e li farà accomo-dare in una sala d’attesa molto ben illu-minata, dove in un angolo Carlo troveràun tavolino mignon con le costruzioni ed ilibri per i bimbi; su una parete un televi-sore che proietterà gli high-lights del“Progetto Sorriso”. Ad un certo puntoentrerà un’assistente, questa si in divisa,con il nome sul cartellino, chiamiamolaTiziana, sorridente, professionale, cordiale

ma non invadente, insomma il prototipodell’assistente ideale, che individueràCarlo e lo prenderà per mano chiedendoalla madre se vuole o meno assistere allaseduta, che il Dottore preferisce di no mache se lo desidera…Vi chiederete “ma i moduli?” i modulisono già stati compilati nelle prime sedu-te, la scheda di anamnesi, la sottoscrizio-ne del consenso per la “Privacy”, il pro-gramma/preventivo, il consenso informa-to alle cure… Magari è stato anche esa-minato il modello per la richiesta di finan-ziamento alle cure… Insomma un bel po’di cose, Carlo poi è stato fotografato,radiografato, improntato, cerato…Insomma un esame clinico preliminareapprofondito.Ecco finalmente Carlo, che ormai è dicasa, entra nella sala di visita, almeno 3per 4 come vuole la ASL (però rispetto al‘65 ce ne stanno due al posto di una), sisiede sulla poltrona, nota come sempresbalordito, che utilizzano il “Domopak”che usa anche la sua mamma a casa, datutte le parti, preparano la diga di gommache il dottore chiama “rubber dam” per-ché ha fatto uno stage in USA (propriocosì, non negli “Stati Uniti” ma “negliUSA”) però dice “dammi gli uncini” e nonin inglese e Carlo pensa che sia perchénon sa come si dice uncino in inglese ….,preparano tutto il materiale necessario eCarlo intanto guarda sul muro l’O.d.G. (glihanno spiegato che è l’Ordine del Giorno)e scopre che la sua seduta durerà 40minuti, lo scopre perché ci sono tutti inomi e gli orari di inizio/fine e pure la“pausa pranzo” di 45 minuti ed anche se

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è di turno Tiziana o Laura o Jessica a lavo-rare con il Dottore. Solo Carlo non capisceperché, con tutta la storia della privacy,legge i nomi e le cure di tutti i pazienticome lui…Bene, tutto è pronto, non si può dire “siaccendono le luci…” come a teatro per-ché le luci sono già tutte accese ma eccoentra il Dottore, “The Doctor” come c’èscritto sulla targhetta, che da del tu aTiziana (Tiiziana però gli da del lei; Carlovorrebbe dargli del tu come la primavolta, ma la mamma vuole il Lei), pantalo-ni bianchi, casacca azzurra, guanti chirur-gici, mascherina, occhiali protettivi, sulcapo delle lenti di ingrandimento.Ecco il dottore che saluta affabilmenteCarlo, esamina sul monitor del computerl’immagine rx RVG e si appresta ad inizia-re l’otturazione di 36 dicendo “passami latrousse…”

Volutamente, e con un po’ di enfasi, ilmedesimo studio a distanza di circa 45anni; non vi è dubbio che molte cose sonocambiate, forse non i nomi dei nostri atto-ri, forse non la “location”, lo studio saràproprio nello stesso stabile e nello stessoappartamento, però…

Qualche autore, vedi, in primis, R.Cosmacini, ha approfonditamente studia-to le epoche del rapporto paziente/medicoe quindi paziente/odontoiatra, sofferman-dosi soprattutto sulla fase paternalistica(quella a cui appartiene l’ambientazionedel 1963 per intenderci) e rilevando inve-ce come negli ultimi trent’anni il rapportovia via si sia spostato su un piano di pari-

tà che addirittura sconfina in preponde-ranza del ruolo decisionale del paziente.Da una configurazione paternalistica cheprevedeva un medico “padre” che agivanell’interesse del paziente “figlio”,appunto “per il suo bene” e non necessa-riamente dovendolo informare degli inter-venti previsti, anzi, tutto sommato, aven-do la facoltà e non l’obbligo di informarlostante un intervento comunque valutato“in favore” del paziente, si è passati attra-verso una evoluzione del rapporto sino adun piano attuale, sostanzialmente equili-brato, ove gli interessi del paziente e gliinteressi (intesi non solo come interessieconomici, se pure anche quelli, ma ancheinteressi, ovvero finalità, clinici) dell’odon-toiatra sono appunto o dovrebbero, esse-re ben bilanciati.Ecco quindi un utilizzo della documenta-zione clinica a scopo di chiarimento delpercorso terapeutico per ambedue leparti, ecco quindi i codici etici di autore-golamentazione, ecco quindi l’obbligo diinformazione e, di conseguenza, l’obbligodi consenso (che potrebbe anche essereinterpretato come obbligo reciproco,ovvero diritto reciproco, salve le condizio-ni di cura in urgenza, di sottrarsi allo svol-gimento di un piano di cure non condivi-so). La situazione attuale, per altro incostante evoluzione, prevede quindi unsostanziale equilibrio nel rapporto profes-sionale, ovvero una forma di opposizionedi diritti forti e di punti deboli che giungo-no almeno idealmente ad equilibrarsi.È indubbio infatti che il paziente sia debo-le nel rapporto economico in quantopagante, è indubbio che la conoscenza

CAPITOLO I 13

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della materia sia un limite per il pazientee non certo per l’odontoiatra, ma que-st’ultimo ha a sua volta l’onere preponde-rante, in caso di contestazione, di doverdimostrare di avere agito in modo peritoprudente e diligente, oltre a dover comun-que svolgere una attività ormai al limitedell’imprenditoriale con l’esigenza quindidi adeguatamente “stare sul mercato”. Molteplici sono le prospettive attraversole quali si può esaminare il rapportopaziente odontoiatra (o viceversa, e giàl’indicarlo in un modo o nell’altro potreb-be avere un preciso significato nell’ap-proccio al problema). Così anche l’esamedi tutto il percorso dal medico paternalistaad oggi porta a rilevare continui impor-tanti cambiamenti che meritano uno peruno di essere studiati e commentati; tut-tavia lo scopo di questo testo non è tantodi entrare nel merito storico del percorsoche ha portato al moderno e attuale rap-porto paziente/odontoiatra, quanto sof-fermarsi sugli aspetti del comportamentonon certo, o solo, clinici, ma anche, esoprattutto, psicologico-comportamentali.Su questa linea, nei quaranta circa annitrascorsi dal nostro studio del 1965 adoggi, giova sottolineare la presa dicoscienza, nel ruolo, dell’odontoiatra, nonsolo come soggetto professionale con uniter di formazione specifico, il corso di lau-rea specialistica in odontoiatria, ma anchecome soggetto chiamato, da un mercatodecisamente e prevalentemente privato asubire le regole del mercato stesso chesono evidentemente, diverse da quelle,grossolanamente definibili come “socia-li”, che hanno permesso di mantenere

almeno fino agli ultimi anni, un apparatodella sanità pubblica che ha potuto rego-larsi e mantenersi anche in condizioni diperdita economica.E’ evidente che questo meccanismo nonpuò esistere nell’ambito di una professio-ne pressoché totalmente ambientata in uncontesto privatistico con regole di concor-renza sempre attive e con spinte non soloprovenienti da una domanda, idealistica,di qualità nella salute erogata, ma anchedalle aziende produttrici di macchinari evenditrici di materiali di consumo o dalobbies della professione (vedi ad esempioil sempre citato ma poco risolto problemadell’esercizio abusivo, fenomeno anch’es-so evidentemente legato soprattutto afattori economici).In questi quarant’anni circa, è cresciutol’odontoiatra, figura moderna del dentistache, non dimentichiamolo, deriva dal bar-biere di corte di Luigi XV il Re Sole, perso-naggio e ruolo certamente tenuto inindubbia considerazione ma che pococ’entrava con una figura di medico.L’odontoiatra è quindi figura relativamen-te nuova o quanto meno solo recente-mente dotatasi di caratteristiche, per altrouniche, di specificità. Ne consegue, pertutte le ragioni sopra esposte, un adatta-mento ideale ad un laboratorio di studioper la crescita di forme autonome di auto-regolamentazione economica, produzionedi cultura specifica, regolamentazioneattiva del rapporto con il paziente attra-verso lo studio del problema del consenso,dell’informazione, del rapporto di consu-lenza con i colleghi, etc. La figura dell’odontoiatra barbiere, vicino

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al Re ma lontano dallo standard del medi-co chirurgo, diventa oggi figura di medicoodontoiatra con laurea specialistica, dota-to di grande rappresentatività nell’ambitodella Federazione degli Ordini dei Medici,quant’anche per il numero importantedegli addetti e per il considerevole pesodelle quote economiche in tale contestoversate, ma pure per la consapevolezza diquesta categoria professionale, vera batti-strada nello studio, in chiave moderna, delrapporto tra medico e paziente. Questolibro non ha la pretesa di fornire tutte lerisposte ma solo alcune che gli autori ipo-tizzano possano essere di ausilio nellapratica quotidiana. Soprattutto la speran-za è che, dopo anni “in salita” dove il pro-blema del contenzioso era diventato per

la professione davvero imponente, conuna categoria di odontoiatri sostanzial-mente inermi di fronte al paziente che,con l’aiuto di avvocati e consulenti, facil-mente faceva breccia in professionalitàcliniche troppo fragili all’esame del terzo,trovandoci oggi fortunatamente ma anchegrazie ad un grande e paziente lavoro, adaver rivalutato la figura del bistrattatoodontoiatra che ha, nel frattempo, impa-rato a documentare i casi, a risponderedella obbligazione di mezzi ed a non assi-curare, a tutti costi il risultato, questo libropossa offrire spunti per un approccioancor più, se possibile, sereno alla profes-sione che resta, nonostante tutto, permolti aspetti e pure in mezzo alle milledifficoltà quotidiane, affascinante.

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1.ASPETTI PSICOLOGICI DI BASE:la comunicazione“Se abbiamo due orecchi ed una sola lingua,significa che bisogna ascoltare due volte di più che parlare.”

(Zenone)Da sempre, nella storia dell’uomo, è esisti-to un paziente, cioè uno che soffre, ed unmedico, cioè uno che, come indica l’eti-mologia “medèri”, riflette e cura. Se neltempo la figura del paziente è rimastapiuttosto stabile, al contrario articolata emultiforme è stata la figura del medico,che per costituirsi è dovuta passare attra-verso quella dello stregone, del guaritore,dello sciamano1. Di conseguenza, possia-mo affermare che esistono numerosimodelli della relazione che viene a stabi-lirsi tra medico e paziente, ma usualmen-te né il medico né il paziente sono deltutto consapevoli del tipo di relazione cheintrattengono. Nella maggior parte deicasi ciò dipende dalla personalità, dalleattese e dalle esigenze sia dell'uno siadell'altro.Prendere coscienza, da parte del medico,di quali attese ed esigenze è portatore ilpaziente e di quale modello di rapportoviene a stabilirsi con lui risulta fondamen-tale per evitare fraintendimenti nella

comunicazione ed insoddisfazione perentrambi.Risulta evidente come alla base di ognitipo di rapporto ci sia sempre la comuni-cazione.Ma cosa vuol dire comunicare? La parolaè una conditio sine qua non della comuni-cazione?La comunicazione (dal lat. cum = con, emunire = legare, costruire e dal lat. com-munico = mettere in comune, far parteci-pe) va intesa anzi tutto come un processodi trasmissione di informazioni (secondo ilmodello Shannon e Weaver, 1949). In ita-liano, comunicazione ha il significatosemantico di "far conoscere", "rendernoto".La comunicazione è un processo costituitoda un soggetto che ha intenzione di far sìche il ricevente pensi o faccia qualcosa(Grice, 1975). Il concetto di comunicazio-ne comporta la presenza di un'interazionetra soggetti diversi: si tratta, in altri termi-ni, di un’attività che presuppone un certogrado di cooperazione. Ogni processocomunicativo avviene in entrambe le dire-zioni e, secondo alcuni, non si può parlaredi comunicazione là dove il flusso di segnie di informazioni sia unidirezionale. Se unsoggetto può parlare a molti senza lanecessità di ascoltare, siamo in presenza

2. LA COMUNICAZIONE

1 Nicola Lalli, La relazione terapeutica, 1990

CAPITOLO II 17

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di una semplice trasmissione di segni oinformazioni.Nel processo comunicativo che vede coin-volti gli esseri umani, ci troviamo cosí difronte a due polarità: da un lato la comu-nicazione come atto di pura cooperazione,in cui due o più individui "costruisconoinsieme" una realtà e una verità condivi-sa, dall'altro la pura e semplice trasmis-sione, unidirezionale, senza possibilità direplica. Nel mezzo, naturalmente, vi sonole mille diverse occasioni comunicativeche tutti vivono ogni giorno, in famiglia, ascuola, in ufficio, in città.In ogni caso, la comunicazione si ponesempre su due livelli: quello verbale equello non verbale, il linguaggio delcorpo. È necessario intendere corretta-mente entrambi i livelli, soprattutto per-ché alcune informazioni possono rimane-re inespresse e si generano contraddizionio malintesi tra ciò che si è comunicato conle parole e con i gesti. Raramente, infatti,esprimiamo con le parole i nostri senti-menti, ma essi sono riconoscibili nel com-portamento del nostro corpo attraversodeterminati segnali. Tutti riconoscono ilvalore di gesti, atteggiamenti, comporta-menti nel favorire o talvolta ostacolare lacomunicazione, anzi il linguaggio non ver-bale spessissimo viene utilizzato come"codice di controllo" della comunicazioneverbale. La comunicazione non verbaleoffre una ricchezza straordinaria di segnisul piano emozionale e rappresenta ilcanale principale per esprimere e comuni-care le emozioni (le principali: gioia, rab-bia, paura, tristezza, disgusto, disprezzo,interesse, sorpresa, tenerezza, vergogna,

colpa).Malgrado sia difficile esserne sempre con-sapevoli, le interazioni vengono stabilite,sostenute e interrotte proprio attraverso isegnali non verbali, cioè lo sguardo, l’e-spressione del volto, la gestualità, i movi-menti del corpo, la postura, il contattocorporeo, il comportamento spaziale, gliabiti e l’aspetto esteriore, ma anche iltono della voce, il ritmo, i sospiri, le pause,i silenzi.Questo è tanto più vero quanto più larelazione in esame è quella tra medico epaziente. Tale relazione è diventata negliultimi tempi un argomento di estremaattualità ed è il più potente mezzo attra-verso il quale è possibile curare.“Il tempo dedicato all’informazione, allacomunicazione e alla relazione è tempo dicura”2: per curare è necessario comunica-re e questo implica l’ascoltare e l’osserva-re. La comunicazione permette di informa-re sulla patologia e sulle proposte tera-peutiche, sull'importanza della prevenzio-ne primaria e secondaria, sull'andamentodelle condizioni di malattia (oppure disalute) della persona, e di ricevere daipazienti (o potenziali pazienti) un giudiziosulla propria capacità di medici. È attra-verso lo specchio degli occhi del pazienteche si capisce come si deve agire, è ilpaziente stesso che indica la via maestradel nostro agire e quindi del suo esserecurato. Diventa chiara quindi l’importanzadella comunicazione e delle eventualiincomprensioni e discrepanze tra i conte-nuti espressi e il comportamento non ver-bale. La comunicazione, e quindi la rela-zione, si alimenta, in gran parte, di cose

2 Franco Marozzi, Paolo Monestiroli, Alberto Quattrocolo ,La mediazione: nuove frontiere per superare la con-flittualità tra paziente e odontoiatra,italian Dental Economist - 4/2003- settembre

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non dette, di respirazione, di tatto, di tonidi voce e gestualità; quanto più questesono difficili e complesse tanto più sonofonte di preoccupazione e ansia. Se, peresempio, un interlocutore ha paura o sisente aggredito o non rispettato, si inne-sca un parziale blocco delle funzionicognitive e le emozioni prendono ilsopravvento.La comunicazione, quindi, si sviluppa sudue piani: il piano del contenuto e il pianodella relazione.La comunicazione verbale ha la funzionedi esprimere i contenuti del messaggio,mentre la comunicazione non verbale vei-cola le tonalità affettive della comunica-zione e il grado di comprensione delleinformazioni ricevute. Non possiamoinviare un messaggio di contenuto senza,allo stesso tempo, co-inviare un messag-gio affettivo-emotivo di relazione.Paul Watzlawick e colleghi (1967) hannointrodotto una differenza di fondamentaleimportanza nello studio della comunica-zione umana: ogni processo comunicativotra esseri umani possiede due dimensionidistinte: da un lato il contenuto, ciò che leparole dicono, dall'altro la relazione, ovve-ro quello che i parlanti lasciano intendere,a livello verbale e più spesso non verbale,sulla qualità della relazione che intercorretra loro.Tutti gli esseri viventi comunicano, tuttihanno bisogno di dare e ricevere informa-zioni per sopravvivere: gli esseri umani, adifferenza degli altri esseri viventi, hannosviluppato la comunicazione verbale, cheperò non è sufficiente a realizzare un rap-porto relazionale completo. La comunica-

zione non verbale diventa quindi un vei-colo essenziale del nostro Io, che in questomodo trova una sua forma di espressione,più o meno inconscia, e va a completare edefinire la relazione.Noi siamo sempre in comunicazione: peresempio, in una situazione anonima,come in un vagone della metropolitana,noi emettiamo per i nostri vicini continua-mente segnali non verbali e perciò comu-nichiamo. Questo fenomeno è stato rias-sunto da Watzlawick con il primo assiomade “La pragmatica della comunicazioneumana” (1964), secondo il quale, in unasituazione di prossimità tra persone, "nonsi può non comunicare". Quindi non èpossibile non avere un comportamento;ciò che appare (ciò che c’è come ciò chenon c’è, il detto e il non detto) mandasempre dei messaggi. Qualsiasi tipo dicomportamento è perciò comunicazione.Ad esempio, anche l'assenza di comunica-zione verbale è comunicazione e di fattopuò significare "non voglio parlare", dacui l’impossibilità di non comunicare.Da qui è facile dedurre che qualsiasi com-portamento è incomprensibile se astrattodal suo contesto.Per esempio, per comprendere una perso-na è fondamentale comprendere anche ilsuo life space e tutto quello che lo influen-za positivamente e/o negativamente.Soprattutto in una relazione professionaleè di fondamentale importanza l’attenzio-ne e l’interesse per l’altra persona, per lasua qualità di vita, per il suo benesserefisico e psichico, nella particolare condi-zione che si trova a vivere, in quel deter-minato momento della sua esistenza.

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L’approccio che viene utilizzato non dovràmirare quindi unicamente all’organo-corpo, ma anche alle situazioni di vita e aitratti di personalità: in particolare, vannoanalizzati tutti quei fattori psicosociali(stress, carenze psicologiche, inadeguatostile di vita…) che possono avere unadiretta influenza su psiche e corpo e chevanno a creare un circolo nocivo che siautoalimenta.Nella relazione medico-paziente il primo èportatore di una serie di competenze einformazioni che mette in gioco per aiuta-re la persona, ma quest’ultima è portato-re di un bene più grande: conosce se stes-so e la sua reazione emotiva alle diversesituazioni, di malattia e non, che si trova avivere. Infatti, solo il paziente in quantomalato sa cosa si prova ad essere in quel-la particolare situazione, è lui che puòriflettere su quali cause hanno provocatola malattia, se può guarire, ma soprattut-to se vuole guarire, a chi si deve o dovreb-be rivolgersi, è lui che decide e agisce,conoscendo se stesso e le sue più intimereazioni. Il medico per assolvere il suocompito può compiere solo due operazio-ni: ascoltare attivamente e comunicareefficacemente con il paziente.Possiamo meglio capire quanto detto pen-sando a quello che Carl Rogers (1970)definiva “l’approccio centrato sul pazien-te”: per l’autore, la relazione deve esserecentrata sul cliente, sulla persona chechiede aiuto e non su un’altra, perché nonsi possono generalizzare tecniche acquisi-te in altre situazioni, ma bisogna vivere larelazione e nella relazione. Il pazientedeve essere considerato il protagonista,

con un ruolo attivo rispetto alla sua cura,il promotore attivo del suo benessere. Larelazione che si viene a creare è perciòfondata sul rispetto, l’ascolto, l’attenzio-ne, la sensibilità, la capacità di costruireun rapporto alla pari, e non di sudditanza,e l’umiltà di spiegare e non di imporreverità pre-costruite. Alla base di questorapporto deve esserci un linguaggio chia-ro e condiviso, che deve essere co-costrui-to con i diversi pazienti, prestando quindiattenzione alle diverse caratteristichesociologiche e culturali (istruzione, estra-zione sociale, scolarità, luogo di prove-nienza…). Chi parla e chi ascolta deveutilizzare termini e parole note a entram-bi, che abbiano un medesimo significatoper l’uno e per l’altro. I termini tecnicivanno tradotti e, nell’ambito della relazio-ne interpersonale, è opportuno verificaresempre che la persona abbia compreso,senza dare mai nulla per scontato. Cosìfacendo il medico aiuta il paziente a com-prendere il problema e la terapia diventail frutto di una riflessione comune. Il mes-saggio, quindi, deve essere trasmesso,compreso e condiviso, e ha l’obiettivo difar maturare nell’Altro una certa soddisfa-zione e quindi una certa compliance, cioèl’uniformarsi del paziente alle indicazioniricevute dal medico.Un comportamento collaborativo, in gene-re, dipende dalla specifica situazione clini-ca, dalla natura della malattia e dal pro-gramma terapeutico. La complianceaumenta quando la relazione medico-paziente è vissuta positivamente daentrambi, mentre il rifiuto ad assumerefarmaci può rappresentare, in un'ottica

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psicodinamica, un "transfert" negativo.Alcuni studi hanno dimostrato che a livel-lo individuale la compliance può influen-zare l’efficacia dei trattamenti, in partico-lare per quanto attiene alle prescrizioniterapeutiche e di counselling3.In generale, circa un terzo dei pazientisegue strettamente il trattamento, unterzo aderisce solo in qualche caso adalcuni aspetti di esso ed un terzo non vi siadegua. Uno studio, ad esempio, ha rile-vato che fino al 50% dei soggetti ipertesinon segue del tutto il trattamento e checirca il 50% di quelli che lo seguono loabbandonano entro un anno4.Secondo Rogers, quando una persona sitrova in difficoltà, il modo migliore divenirle in aiuto non è quello di dirle cosafare, quanto piuttosto quello di aiutarla acomprendere la sua situazione e a gestireil problema assumendo pienamente laresponsabilità delle scelte individuali.Bisognerebbe facilitare la persona ad atti-vare risorse interne ed esterne per affron-tare in modo autonomo e consapevoleproblemi, scelte, situazioni di disagio, nelpieno rispetto dei suoi valori e dei suoisistemi di riferimento. È su quest’idea chesi fonda il counselling, un importante stru-mento relazionale nell’ambito dell’attivitàclinica, un processo di dialogo e reciproci-tà tra due persone mediante il quale unconsulente aiuta chi lo consulta a prende-re delle decisioni, ad agire in rapporto aqueste e a fornire un’accurata ed attentainformazione, con adeguato sostegno,anche di tipo psicologico. Non si verificasolo uno scambio di informazioni, ma

anche un processo di empatia, utile al rag-giungimento di risultati favorevoli inun’ottica di soddisfazione dei bisogni realidell’interessato. Il termine counsellingderiva dal verbo consulo nel suo valore diavere cura di, venire in aiuto. Lo scopo èpertanto offrire alla persona l’opportunitàdi esplorare, scoprire e rendere chiari glischemi di pensiero e di azione, aumentan-do il proprio livello di consapevolezza,facendo un uso migliore delle proprierisorse rispetto ai propri bisogni e deside-ri e pervenendo ad un grado maggiore dibenessere.La comunicazione per essere efficace sideve basare su messaggi diretti, convin-centi, chiari e comprensibili da tutti, devecorrispondere all’adozione da parte di chiparla di comportamenti e atteggiamenticoerenti con quanto si afferma, così dapoter entrare in relazione con l’altra per-sona in un’ottica di ascolto ed empatia.Per ottenere operativamente tale efficaciaè da preferire:• un atteggiamento non giudicante e non

direttivo, ma aperto, accogliente, auto-revole, chiaro, sicuro;

• un atteggiamento autentico, il che nonsignifica dire tutto ciò che si pensa e siprova, ma piuttosto essere a contattocon i propri pensieri e le proprie emo-zioni per non confonderli con quellidell’Altro;

• un atteggiamento rispettoso che signifi-ca considerare l’altro come individuopositivo, autonomo, capace di esprime-re le sue risorse e di utilizzarle.

In una prima fase è fondamentale stabili-

3 Urquhart J., Patient non-compliance with drug regimens: measurement, clinical correlates, economic impact.Eur Heart 1996; 17 (Suppl A): 8-15

4 Kaplan H.I., Sadock B.J., Synopsis of psychiatry. Williams & Wilkins, Baltimore, Maryland, USA, 1997

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22 CAPITOLO II

re una relazione di collaborazione, di fidu-cia e di empatia. essenziale preparare ilsetting e iniziare ad esplorare per indivi-duare il problema “emergente”, cosìcome viene vissuto dalla persona, e suc-cessivamente arrivare a formulare unobiettivo condiviso su cui lavorare. La col-laborazione stimola la motivazione e faci-lita l’attivazione delle risorse in vista di unfine comune, l’obiettivo concordato.In una prima fase è fondamentale stabili-re una relazione di collaborazione, di fidu-cia e di empatia. È essenziale preparare ilsetting e iniziare ad esplorare per indivi-duare il problema “emergente”, cosìcome viene vissuto dalla persona, e suc-cessivamente arrivare a formulare unobiettivo condiviso su cui lavorare. La col-laborazione stimola la motivazione e faci-lita l’attivazione delle risorse in vista di unfine comune, l’obiettivo concordato.Nella fase successiva è importante conti-nuare a mantenere la relazione, il rappor-to di fiducia e di collaborazione; è neces-sario affrontare un argomento per voltaper evitare confusione e gestire meglio iltempo, utilizzando un linguaggio chiaro. Èopportuno stimolare l’iniziativa e le risor-se della persona in modo da renderla atti-va nell’affrontare il suo problema e nelprendere decisioni. È importante metterein atto una buona capacità di indagine percapire bene il problema emergente per lapersona nel “qui ed ora” ed eventualmen-te ridefinirlo.Infine, è necessario consolidare il contenu-to delle informazioni scambiate, concor-dare una soluzione che la persona identi-fica come più vicina alla sua quotidianità,

pianificare azioni e comportamenti daadottare per raggiungere l’obiettivo, veri-ficare quanto e che cosa la persona hacompreso di ciò che è stato detto duranteil colloquio, indagare ulteriori dubbi echiudere la relazione. Diventa comunqueessenziale aver individuato insieme possi-bilità alternative di scelta e di azione.L'obiettivo di una comunicazione efficaceè pertanto non solo quello di affinare leproprie capacità comunicative attraversol'utilizzo consapevole del linguaggio ver-bale, non verbale e paraverbale, ma anchequello di poter comprendere più chiara-mente il messaggio verbale, non verbale eparaverbale dell'interlocutore. Per poterfare questo l’applicazione delle abilità diascolto e di empatia è determinante.Ma cosa vuol dire quindi ascoltare? E aquali livelli si pone l’ascolto?• Ascolto dei contenuti, di ciò che l’altro

dice con le parole (verbale) e di ciò chenon dice con il silenzio, ascolto/osserva-zione delle tonalità, di come lo dice(paraverbale), ascolto/osservazionedegli sguardi, della gestualità (non ver-bale) di come l’altro si presenta e simuove.

• Ascolto del contesto in cui la personavive, familiare, sociale, lavorativo, scola-stico, dei vissuti, degli schemi di riferi-mento culturali, dei valori, “della suanarrazione”.

• Ascolto da parte dell’operatore di sestesso, ascolto delle sue emozioni,ascolto del proprio contesto di riferi-mento, ascolto di quanto si attribuisceall’altro di ciò che appartiene a se stes-si (processo di consapevolezza).

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23CAPITOLO II

Da questo quindi si deduce che per comu-nicare è necessario ascoltare, senza ascol-to non c’è comunicazione.Essere “centrati sul cliente” è una coordi-nata di grande valore metodologico per-ché invita il counselor non soltanto a pre-stare attenzione a ciò che il cliente dice,ma a ciò che esprime e a ciò che avvienein quel preciso istante nella relazione stes-sa. È importante ascoltare non solo quelloche viene detto, ma il modo in cui vienedetto, e ciò che non viene detto. Centrarela comunicazione sul Tu implica non averepaura delle pause e del silenzio, ma rispet-tarli e utilizzarli per comprendere.L’approccio centrato sul cliente, tuttavia,prende avvio, in campo teorico, dal model-lo bio-psico-sociale, che si caratterizza perl’acquisizione di un approccio olistico, cheintegra a sua volta nella raccolta e nell’a-nalisi delle informazioni fornite dalpaziente non solo gli aspetti biologici, maanche quelli psicologici e sociali, relativi aldisturbo presentato (Engel 1977). È perciòun’analisi a 360° del soggetto e delle suesingole componenti: il livello biologico dàrilievo al substrato anatomo-strutturale efisio-patologico della malattia; il livellopsicologico evidenzia gli effetti psicodina-mici, motivazionali e di personalità cheincidono sull'insorgere della malattia, maanche sul suo evolversi e sul suo conclu-dersi; il livello sociale valuta le influenzemicro-sociali e familiari, nonchè leinfluenze macro-sociali, ambientali edeconomiche, sull'esprimersi della malat-tia. Tali livelli sono contemporaneamentee continuamente presenti nell'esperienzaumana, in condizione di salute e di malat-

tia. Un corretto rapporto medico-pazienterisulta essere l'unico strumento diagnosti-co capace di evidenziare l'interazione difattori biologici, psicologici e sociali, nellagenesi della malattia, nella sua evoluzionee nella sua risoluzione.Per entrare in questo tipo di relazione eperché questo sia funzionale, bisognadedicare tempo all'ascolto, e questodovrebbe essere sempre un ascolto attivoempatico.L’ascolto attivo è un metodo per migliora-re la capacità di ascolto, è un feedback suquello che si è appena ascoltato che ilricevente dà alla sua fonte di comunica-zione. L’ascoltatore risponde a chi parlabasandosi su quanto ha compreso delmessaggio che gli è stato inviato.Nell’ascolto attivo possiamo distinguere 5tappe che devono essere considerateall’interno della tecnica:1. Ascoltare il contenuto, cioè cosa viene

detto in termini di fatti e idee, se nonfosse comprensibile fare domande perchiedere chiarimenti.

2. Capire le finalità, il significato emotivodi ciò di cui sta parlando il nostro inter-locutore; capire perché sta dicendoqualcosa.

3. Valutare la comunicazione non verbale,come qualcosa viene detto: il linguag-gio del corpo, il tono di voce.

4. Controllare la propria comunicazionenon verbale e i propri filtri, avere con-sapevolezza dei messaggi che si stan-no inviando con la propria comunica-zione non verbale e delle reazioni aparole o atteggiamenti che comunical’interlocutore.

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5. Ascoltare con partecipazione e senzagiudicare, cercare di mettersi nei suoipanni (mantenendo la consapevolezzadi chi è il problema) e di capire checosa influenza i suoi sentimenti, dimo-strare di essere interessati a ciò cheviene detto sospendendo il giudiziosulle parole e sulla persona.

La nostra capacità di ascolto può essereinfluenzata e ostacolata da filtri emotivi ementali che possiamo distinguere in:- Filtri immediati, cioè le aspettative sul-

l’argomento, l’interlocutore o la situa-zione, e le emozioni

- Filtri a lungo termine, intesi come i valo-ri, la cultura, la religione di appartenen-za…

Ma possono esserci anche ostacoli ester-ni, come il rumore e il movimento o il nonascoltare empaticamente prestando lagiusta attenzione al linguaggio verbale enon verbale.Quindi l’ascolto attivo è uno degli ingre-dienti principali di una buona comunica-zione. E richiede la capacità di ascoltareveramente l’altro e non solo nelle parolema nell’insieme del suo essere nella rela-zione, quindi è importante cogliere quan-to dice dimostrando di averlo compresocon riformulazioni, sottolineando gliaspetti che sembrano significativi; rispet-tando le pause dell’altro, evitando diinserire domande su domande concen-trandosi invece sull’approfondimento diun concetto per volta; adattarsi allo stilecomunicativo dell’utente evitando diimporre il proprio, accogliere il messaggiocosì come arriva evitando correzioni discorrettezze grammaticali, ortografiche o

sintattiche.L’ascolto è il primo passo nella relazione.Ascoltare attivamente significa essereempatici, mettersi "nei panni dell'altro",riconoscere e accettare il punto di vistadell’Altro, accogliendo e comprendendole emozioni, i dubbi, le preoccupazioniche manifesta.Ma ciò non basta: l’ascolto attivo è un’a-bilità comunicativa che si basa sull’empa-tia e sull’accettazione, sulla creazione diun rapporto positivo e di un clima nongiudicante.L’altro ingrediente fondamentale perchéla comunicazione sia efficace è l’empatia.Il termine empatia deriva dal greco empa-theia e significa “sentirsi dentro l’altro”. Èl’abilità di saper entrare nello schema diriferimento dell’altro, la capacità di vede-re il “mondo” con gli occhi dell’altro eavere informazioni dal suo punto di vista,sia razionale che emotivo (pensieri, vissu-ti, emozioni, significati), per poter capirele sue richieste e i suoi bisogni.È l’abilità di aprirsi all’esperienza di un’al-tra persona, di seguire, afferrare, com-prendere il più pienamente possibile l’e-sperienza soggettiva della “persona”,ponendosi dal suo stesso punto di vista,senza assumerlo come proprio. È la capa-cità di percepire lo schema di riferimentointerno di un altro con accuratezza e conle componenti emozionali e di significatoad esso pertinenti, come se si fosse l’altro,ma senza mai perdere di vista questa con-dizione di "come se ".Quindi essere empatici significa ancheessere congruenti tra ciò che si pensa e siprova e ciò che si esprime con la comuni-

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cazione verbale e non verbale. Significaessere capaci di non emettere giudizi,separandosi temporaneamente dal pro-prio mondo valoriale e percettivo perimmergersi in quello dell’altro, “come se”fosse il proprio. Significa evitare la diretti-vità, il consiglio, l’interpretazione.Significa mostrare interesse e rispetto perla persona che si ha davanti, per le suepaure, per la sua sofferenza, per il disagioche sta passando come paziente. Siccomenon si sa cosa il malato stia passando inquesto preciso momento, ogni cosa chedice deve essere ascoltata con interesse erispettata senza alcun tipo di riserva.All’inizio di ogni relazione medica o tera-peutica vengono sempre raggiunte le trefunzioni delineate da Cohen-Cole (1991):la raccolta e lo scambio di informazioni,finalizzata a comprendere tutti i problemidi salute e di vita del paziente, la sua sto-ria e il motivo della consultazione; la crea-zione di una relazione (alleanza terapeuti-ca) attraverso la gestione delle emozioni edei vissuti del paziente; l’educazione allacura, l’informazione e la prevenzione didisturbi futuri.Gli scopi che le figure professionali si pon-gono nella consultazione sono i medesi-mi, anche se l’importanza di una partico-lare funzione rispetto alle altre può varia-re secondo il tipo di contesto.Per esempio, sia nella medicina generaleche nella psichiatria la relazione è unmezzo importante attraverso il qualecreare un rapporto di reciproca fiducia estima con il paziente, ma raramente nellamedicina generale la relazione terapeuti-ca diventa il fulcro del colloquio, come

invece accade in psichiatria. Quello a cuisi auspica è che qualsiasi medico sottoli-nei maggiormente l’aspetto relazionalecon il proprio paziente, per arrivare ad unclima di fiducia e interesse maggiore, cheandrebbe solamente a migliorare la salutedel paziente, sia in termini di prevenzioneche di benessere.Andiamo ora ad analizzare i principaliaspetti della comunicazione non verbale.

1.1la comunicazione non verbale“Una sola occhiata e,

sulla base dell'aspetto fisico,della postura, della fisionomiadell'altro ci facciamo un'idea precisa espesso dura a moriredi una persona...ma non sempre il nostrogiudizio é corretto!”

La comunicazione non verbale è quellaparte della comunicazione che comprendetutti gli aspetti di uno scambio comunica-tivo non concernenti il livello puramentesemantico del messaggio, ossia il signifi-cato letterale delle parole che compongo-no il messaggio stesso.Il linguaggio, dunque, per sua natura, faci-lita l’espressione del livello consapevoledella comunicazione, mentre gli aspetticomunicativi non verbali esprimonoaspetti latenti, non consapevoli. In altreparole, mentre la componente verbale èpiù controllabile dal soggetto, quella nonverbale è più legata ad aspetti affettivi eistintivi e quindi si presta maggiormente aeludere le regole di controllo, veicolandocon facilità emozioni e stati affettivi. Nella

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26 CAPITOLO II

comunicazione non verbale, è possibilecogliere i significati di emozioni, atteggia-menti, conflitti, più o meno consapevoli,che la persona non può, o non vuole,esprimere verbalmente.La visione comune tende a considerarequesto tipo di comunicazione come uni-versalmente comprensibile, al punto dapoter trascendere le barriere linguistiche.In effetti, i meccanismi dai quali scaturiscela comunicazione non verbale sono assaisimili in tutte le culture, ma ogni culturatende a rielaborare in maniera differente imessaggi non verbali. Ciò vuol dire cheforme di comunicazione non verbale per-fettamente comprensibili per le personeappartenenti ad una determinata cultura,possono invece essere, per chi ha un altroretaggio culturale, assolutamente incom-prensibili o addirittura avere un significa-to opposto a quello che si intendeva tra-smettere.L’efficacia di un messaggio dipende quin-di solamente in minima parte dal signifi-cato letterale di ciò che viene detto e ilmodo in cui questo messaggio viene per-cepito è influenzato pesantemente daifattori di comunicazione non verbale.Le funzioni della comunicazione non ver-bale si possono così riassumere:- sostenere la comunicazione verbale,

sottolineare o enfatizzare i contenuti;- modificare, completare, rinforzare o

sostituire la comunicazione verbale; - esprimere molte più cose della comuni-

cazione verbale;- esprimere le emozioni;- non si può controllare (è difficile menti-

re con la comunicazione non verbale!);

- trasmettere informazioni sulla persona.Gli aspetti della comunicazione non ver-bale sono: aspetto esteriore, volto, com-portamento spaziale, contatto corporeo,vicinanza/distanza, postura, movimentidel corpo; gli aspetti invece della comuni-cazione paraverbale sono: voce e aspettinon verbali de parlato-silenzio, quali tim-bro, tono, sonorità, cadenza. Verranno qui sintetizzati in:

GESTI“Il gesto accompagna il parlatoed è soggetto a convenzioni sociali. Tuttavia il suo meccanismo è ovvio”

(Bloomfield, 1933-39)

I gesti sono parte del linguaggio delcorpo, l'aspetto piú studiato e conosciutodella comunicazione non verbale, in primoluogo quelli compiuti con le mani. Lagestualità manuale può essere una utilesottolineatura delle parole, e quindi raf-forzarne il significato, ma anche fornireuna chiave di lettura difforme dal signifi-cato del messaggio espresso verbalmente.I gesti possono essere classificati in cate-gorie relative alle loro funzioni semanti-che, ossia alle diverse funzioni che svolgo-no nel determinare significati all’internodella comunicazione. Vengono individuati:- emblematici: gesti che possono essere

completamente sostituiti da espressioniverbali e che sono indipendenti dallapresenza del linguaggio verbale;

- illustratori: gesti con funzione di facilita-zione della comunicazione espressa dalleparole. Essi si accompagnano alle paroleveicolando il loro stesso contenuto;

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27CAPITOLO II

- indicatori emozionali: gesti collegaticon la comunicazione di uno stato emo-zionale;

- regolatori: gesti, movimenti ed espres-sioni che delimitano i ruoli degli interlo-cutori nella conversazione, segnalando-ne e regolandone il mantenimento e ilcambiamento nel corso dell’interazione;

- adattatori: movimenti correlati al soddi-sfacimento di necessità fisiche o all’e-spressione di stati emotivi, che compor-tano il riequilibrio di uno stato di ten-sione manifestato a livello somatico.

Per il gesto, così come per il parlato, lacondivisione del significato è determinan-te perché la comunicazione abbia succes-so. I gesti veicolano significato, anche sein vari modi e con precisione non costan-te: alcuni di essi veicolano concetti spa-ziali che sono ampiamente condivisi; altrihanno un rapporto significante-significatopiù arbitrario. La mano è uno degli strumenti di comuni-cazione più importanti fra noi e il mondoesterno. Quando percepiamo qualcosacon gli occhi, ricaviamo un’immagine checi consente di farci un’idea approssimati-va. Ma otteniamo informazioni più precisesolo quando le cose sono alla nostra por-tata, quando possiamo toccarle. Le mani, ad esempio durante una conver-sazione, esprimono lo stato d'animo delsoggetto e quindi rivelano qualcosa anchedel suo carattere e descrivono i nostri sen-timenti. Il nasconderle, per esempio intasca, esprime un atteggiamento di riser-va o di chiusura, vediamo alcuni atteggia-menti caratteristici:

La mano ad artiglio, con le dita piegate e

il palmo verso il basso, indica una caricaaggressiva, un atteggiamento minaccio-so e poco razionale.Lo sfregamento del pollice sull'indicedenota un atteggiamento dubbioso,d'incertezza.La mano a gancio indica un atteggia-mento distratto, superficiale, sognatore,tendente al gioco e alla sottovalutazionedella realtà.La mano che indica, un gesto spessoinconsapevole, vuole imporre o reprime-re e indica quindi insicurezza e mancan-za di controllo.La mano chiusa intorno al pollice mostrainsicurezza e scarsa fiducia nelle propriecapacità.Le punte delle dita unite esprimono unaricerca di accordo e di sintesi, in partico-lare in chi cerca di persuadere: mostrasicurezza e ottimismo.Se allontaniamo le braccia dal corposiamo in una situazione di assoluta sicu-rezza, se no non discostiamo troppo lebraccia per difenderci.Durante una conversazione ci appoggia-mo all’indietro e incrociamo le mani die-tro la testa con i gomiti all’esterno:abbiamo già detto tutto, non ci muovia-mo dalla nostra posizione e aspettiamoche gli altri ci arrivino.Mano sui fianchi: protezione, ci sentia-mo esposti ed attaccabili.Braccia conserte abbinate ad altri movi-menti del corpo (mento, spalle): naturadifensiva. Solo braccia conserte: sbarra-mento di attività, passaggio da un’attivi-tà ad un’altra.Braccia allungate all’indietro: distacco

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no però anche dal nostro background diriferimento e dal contesto specifico in cuici troviamo. Nessuna interpretazione deigesti, come anche della postura o del tonodi voce può prescindere da questi due ele-menti.Un esempio significativo di questo è ilsaluto. Quando due persone si salutano siguardano negli occhi e si stringono lamano: nella pressione e nella stretta dellemani si possono riconoscere la misuradella vitalità, la sensibilità e la concretez-za che uno dà e possiede. Le mani posso-no incontrarsi senza che nessuno dei duesi blocchi, vengono cioè misurate ledistanze: nessuno dei due può attaccarefisicamente l’altro. Nel caso in cui uno deidue allunghi di più il braccio si può creareuna situazione in cui si costringe l’altro adavvicinarsi, accorciando le distanze esuperando la riservatezza e o ci si “impos-sessa” dell’altro o vengono riequilibratele distanze.La presa troppo forte crea un blocco elascia supporre che l’altro voglia coprireun’insicurezza.Una mano moscia accompagnata da unatteggiamento cadente del corpo indicamancanza di vitalità, disinteresse o indif-ferenza; ma se il corpo è eretto e solo lamano è moscia può indicare il voler avererapporti concreti ma senza sentimenti.Se la mano viene presa velocemente fra ledita indica una certa avversione a instau-rare una relazione privata.Il saluto paterno: la mano viene presa eracchiusa fra entrambe le mani, è unaforma di abbraccio che desidera assicura-re cordialità e simpatia.

passivo, desiderio di non fare nulla inprima persona, ma anche attività da lea-der, cioè stare fermo ad osservare e poiimpartire ordini. O essere concentrati neipropri pensieri ma poi comunque dareconsigli.La mano aperta ci mostra la superficieinterna: chi mostra il lato sensibile dellamano aperta regala la fiducia e la dispo-nibilità di agire pacificamente e conbuone intenzioni, in quanto non copre enon nasconde la propria sensibilità e ipropri sentimenti.La mano che copre e chiude nascondeverso il basso il lato interno sensibile evolge il dorso della mano verso l’alto ocontro qualcuno, copre il lato sensibilenei confronti del mondo esterno. Le manifanno da schermo alle emozioni, tengo-no segrete le intenzioni.La mano che va dall’alto al basso, chestringe o come segnale di apertura sonogesti ambigui: da un lato rimandanoall’ammonimento, alla dominanza, dal-l’altro a un riconoscimento amichevole.Attenzione e simpatia sono legate aldesiderio di sentire l’altro più intensa-mente e di coglierne i moti dell’animo.Nasce così la tenerezza, il gesto morbidoe sensibile, il desiderio di accarezzare ilpartner. Con le carezze creiamo un’at-mosfera rilassata e arrendevole.

Attraverso il movimento di entrambe lemani i messaggi vengono amplificati.Con le braccia amplifichiamo i gesti dellemani, ma spesso, nel nostro ambiente cul-turale, gesticolare viene considerato pocodecoroso e talvolta scortese.Molti gesti che mettiamo in atto dipendo-

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5 Articolo in Assobenessere: “Denti e postura, questione di equilibrio”, lunedì 23 aprile 2007

1. La zona intima (da 0 a 50 centimetri) è,come facilmente intuibile, quella conaccesso più ristretto: di norma vengonoaccettati senza disagio al suo internosolo alcuni familiari stretti e il partner.Un ingresso di altre persone esterne aquesto ristretto nucleo di “ammessi”all’interno della zona intima viene per-cepita come un’invasione che provocaun disagio, variabile a seconda del sog-getto. Come conferma di questo bastipensare alla situazione di imbarazzoche si prova quando siamo costretti adammettere nella nostra zona intimasoggetti estranei, ad esempio in ascen-sore o sull’autobus; la conseguenza diquesta situazione è un tentativo dimostrare l’involontarietà della nostra“invasione”, quindi si tende ad irrigidir-si e a non incrociare lo sguardo con lealtre persone.

2. La zona personale (da 50 cm ad 1metro) è meno ristretta: vi sono ammes-si familiari meno stretti, amici, colleghi.In questa zona si possono svolgerecomunicazioni informali, il volume dellavoce può essere mantenuto basso e ladistanza è comunque sufficientementelimitata da consentire di cogliere neldettaglio espressioni e movimenti degliinterlocutori.

3. La zona sociale (da 1 m a 3 o 4 m) èquell’area in cui svolgiamo tutte le atti-vità che prevedono interazione con per-sone sconosciute o poco conosciute. Aquesta distanza è possibile cogliereinteramente o quasi la figura dell’inter-locutore, cosa che ci permette di con-trollarlo per capire meglio le sue inten-

Quando qualcuno ci viene incontro por-tando entrambe le mani verso di noi,desta per lo più sentimenti di simpatia e ciinvita ad accostarci. Ma questo può indi-care anche manipolazione o possesso.

POSTURA“La postura è l’espressione somatica dell’atteggiamento relazionaledello psicosoma umanocon la propria interioritàe con l’ambiente che lo circonda.“ 5

La prossemica studia l’utilizzo che le per-sone fanno della distanza e dello spazionell’ambito delle relazioni interpersonali.Quando si parla di postura bisogna sem-pre considerare che gli elementi sociali edi contesto hanno grande importanza, tal-volta identificando con precisione la posi-zione corretta da mantenere in una datacircostanza (i militari sull’attenti di frontead un superiore), talvolta in manierameno codificata ma comunque necessaria(una postura corretta e dignitosa di unalunno in classe di fronte al professore).La postura corporea è quindi una funzioneintegrata individuale su cui psiche, somae ambiente esterno agiscono con un enor-me numero di variabili.L’aspetto prossemico della comunicazioneanalizza i messaggi inviati con l’occupa-zione dello spazio. Il modo nel quale lepersone tendono a disporsi in una deter-minata situazione, apparentemente ca-suale, è in realtà codificato da regole benprecise. Ognuno di noi tende a suddivide-re lo spazio che ci circonda in quattrozone principali:

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30 CAPITOLO II

zioni. È anche la zona nella quale sisvolgono gli incontri di tipo formale, adesempio un incontro di affari.

4. La zona pubblica (oltre i 4 m) è quelladelle occasioni ufficiali: un comizio, unaconferenza, una lezione universitaria. Inquesto caso la distanza tra chi parla echi ascolta è relativamente elevata egeneralmente codificata. È caratterizza-ta da una forte asimmetria tra i parteci-panti alla comunicazione: generalmenteuna sola persona parla, mentre tutte lealtre ascoltano.

Stare seduti è la posizione ideale per loscambio e la comunicazione e comeabbiamo visto ha una sua stabilità nellospazio. Da come sono fissati i posti asedere, gli uni rispetto agli altri, emergonodeterminate relazioni fra due o più perso-ne. Una posizione frontale fornisce mag-giori possibilità di contatto visivo e dicoinvolgimento reciproco, mentre una dis-posizione obliqua o laterale è più neutra econvenzionale consentendo impegnomentale e tensione emotiva minori: per-mette di guardarsi reciprocamente, maanche di volgere altrove lo sguardo se unodei due interlocutori non vuole esporsitroppo all’interazione. Il modo in cui si staseduti, quindi, è espressione delle propriepeculiarità e della disposizione interiore;su questo influiscono, però, anche condi-zioni esterne, quali la mancanza di tempo,e gli stimoli della situazione contingente,che può essere mutevole e a cui si reagi-sce modificando la reazione del propriocorpo. Ad esempio:- se una persona prende posto con tutto il

peso del corpo e occupa tutta la superfi-

cie è come se dicesse: mi trattengo e nonmi lascio congedare facilmente.

- se una sta sul bordo: o ha poco tempo eintende congedarsi in fretta o segnala lasua disponibilità a essere utile.

- stare seduti occupando metà sedia: indi-ca un’insufficiente consapevolezza di sé.

- chi si affloscia in poltrona: è esaurito omanca di stabilità interiori.

- chi si dondola: vuole osservare. Poismette di oscillare e vuole attirare l’at-tenzione a sé, è una persona consape-vole di sé.

- chi si siede sul bracciolo: mostra confi-denza, ma anche tendenza a dominare.

- gambe accavallate: rende più agevolelo star seduti per un certo tempo. Nonindica soltanto una maggiore tensione,ma anche alcune sottigliezze nei rap-porti relazionali. Chi accavalla le gambeallontanando il femore dall’interlocuto-re segnala una diminuzione della pro-pria attenzione. Se due persone siedonouna di fianco all’altra in modo che lepunte dei piedi delle gambe accavallatesi rivolgano l’una all’altra formanoun’intenzione di circolarità: segno diricerca di contatto, armonia e simpatia.La posizione inversa fa concludere nelsenso della differenza e della separazio-ne. Se però più persone sono seduteallineate l’una accanto all’altra e tutteaccavallano la stessa gamba non puòche segnalate una spiccata solidarietà.

SGUARDO“L’anima di una persona è nascosta nel suo sguardo, per questo abbiamo paura

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31CAPITOLO II

di farci guardare negli occhi.”(Jim Morrison)

L’espressione del volto e dello sguardocostituiscono gli elementi a cui general-mente si presta maggiore attenzione nelcorso dell’interazione. Il viso esprime leemozioni spontanee, anche quelle che ilsoggetto vorrebbe nascondere, ma èanche il mezzo per esprimere le emozionideliberate che si vogliono comunicareall’interlocutore.Il viso ha un suo linguaggio, a volte chia-ro, facilmente comprensibile, a volte con-traddittorio. Per comprendere appieno ilsignificato, non sempre basta cogliernel’espressione immediata, ma occorreanche prendere in considerazione la situa-zione nel suo complesso, l’intero contestoin cui l’individuo si muove e agisce.Lo sguardo è un canale attraverso cui sipuò esprimere un forte coinvolgimentocon l’altro: funziona come indicatore delladisponibilità all’ascolto. In generale, vol-gere lo sguardo altrove durante un’intera-zione verbale può manifestare chiusura,difficoltà nell’interazione, ma anche rifles-sività rispetto a quanto l’altro sta dicendo,mentre guardare negli occhi una personache sta parlando con noi è indice di atten-zione, interesse, desiderio di scambio edisponibilità all’interazione.Ogni viso per la sua espressione, la suamimica, ha qualcosa di diverso e peculia-re. La muscolatura del viso possiede unagrande mobilità e assicura un ampio spet-tro di espressioni emotive. La capacità divivere esperienze intense non dipendesolamente dalla mobilità del torace, ma

anche da quella delle guance, che espri-mono le espressioni e i moti dell’animo. Ingenere, attiviamo la nostra muscolaturafacciale per comunicare dei segnali esiamo in grado di esibire la mimica appro-priata o richiesta in base alle regole delgioco volute dalla società. Il contatto visi-vo tra due persone ha una pluralità disignificati, dal comunicare interesse algesto di sfida. L'aspetto sociale ed il con-testo influenzano anche questo aspetto:una persona, in una situazione di disagio,tenderà più facilmente del solito adabbassare lo sguardo.L’espressione degli occhi si realizza grazieal movimento dei muscoli intorno allaregione oculare, all’intensità dello sguar-do, al grado di vitalità dello splendoredegli occhi, alla grandezza delle pupille ealla posizione rilassata o rigida dei musco-li della nuca. La reazione delle pupilledipende innanzitutto dalla luce: si restrin-gono nel caso di una forte intensità diluce, si dilatano in condizione di scarsaluminosità. Lo stesso accade per leinfluenze emotive: si dilatano quando sivede qualcosa che si desidera, che procu-ra piacere e interesse. Va però anche con-siderato che non tutto ciò che vienecomunicato tramite le espressioni delvolto è sotto il nostro controllo (ad esem-pio l'arrossire o l'impallidire). La granparte delle espressioni facciali sono, adogni modo, assolutamente volontarie edadattabili a nostro piacimento alle circo-stanze. Il contatto oculare è indispensabi-le per lo scambio di opinioni e per l’in-staurarsi della relazione: per esempio, si èappurato che chi guarda negli occhi l’in-

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32 CAPITOLO II

terlocutore mentre parla, dà l’impressionedi essere più competente e quindi disaperne di più.Ma il nostro sguardo è importante nonsolo durante una comunicazione vis-à-vis,ma anche durate una conversazione tele-fonica: se rispondiamo al telefono sorri-dendo, il ricevente avrà la percezione delnostro volto e del nostro sguardo e questoandrà ad influenzare la nostra comunica-zione, facendo sì che, per esempio, le noti-zie negative vengano accettate maggior-mente di buon grado (vedi par. “voce”).

VOCE“Dar voce a qualcuno è concederea qualcuno la possibilità di esprimersi.”

La voce è il canale di espressione usatodall’essere umano per comunicare e quin-di mettersi in relazione con l’altro. Ma èqualcosa di più di un semplice suono:attraverso la sua modulazione possiamoinviare diversi messaggi. Nello specificobisogna analizzare:- il tono: viene influenzato da fattori fisio-

logici (età, costituzione fisica) e dal con-testo: una persona di elevato livellosociale che si trova a parlare con una dilivello sociale più basso tenderà adavere un tono di voce più grave.

- la frequenza: anche in questo caso l'a-spetto sociale ha una forte influenza: unsottoposto che si trova a parlare con unsuperiore tenderà ad avere una fre-quenza di voce più bassa rispetto alnormale.

- il ritmo: conferisce maggiore o minoreautorevolezza alle parole pronunciate:

parlare ad un ritmo lento, inserendodelle pause tra una frase e l'altra, dà untono di solennità a ciò che si dice; alcontrario parlare ad un ritmo elevatoattribuisce poca importanza alle parolepronunciate.

Nell'analisi del ritmo nel sistema paralin-guistico va considerata l'importanza dellepause, che vengono distinte in pausevuote e pause piene. Le pause vuote rap-presentano il silenzio tra una frase e l'al-tra, quelle piene le tipiche interazioni(come "mmm", "beh") prive di significa-to verbale, inserite tra una frase e l'altra.Si ritiene che a seconda delle caratteristi-che verbali e vocali che si adottano sipossa avere maggiore o minore influenzasull’altro, e questo è tanto più vero quan-to più si tratta di una relazione medico-paziente e nelle situazioni in cui si vuoleimporre la propria leadership. In generale,perché una comunicazione sia efficacebisognerebbe adottare un volume alto euna velocità lenta e bisognerebbe sempresorridere, in quanto indice di cordialità edi buona predisposizione verso l’altro.Un particolare esempio di utilizzo dellavoce è quello che utilizziamo al telefono,ad esempio in uno studio medico: è altelefono che la segreteria svolge la suafunzione più difficile con il solo uso dellavoce. Mentre nel ricevimento in studio l'approc-cio vocale viene circondato dalle percezio-ni visive (vestiario e comportamento delpersonale, arredi, colori ect…) ed acusti-che (rumori, voci, musica ect…) che ren-dono più complesso il giudizio da partedel paziente, quello telefonico si basa

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33CAPITOLO II

esclusivamente sulle capacità dell'interlo-cutore di "vendere" l'immagine nelmiglior modo possibile. Per tali ragioni siritiene che:- Parlare solo a voce alta può sembrare

"sopra le righe"- Parlare solo lentamente può risultare

insulso o noioso- Il mix di questi due elementi può sem-

brare professionale e autorevole. Maattenzione a non esagerare: potrebberisultare fredda o autoritaria

- Il volume della voce: generalmente ètroppo basso. In particolare nella comu-nicazione telefonica è importante che ilvolume di voce sia tale da assicurare lapercezione corretta del 95-98% delleparole. Un volume più alto del necessa-rio è inopportuno, ma un volume troppobasso produce effetti negativi più gravi

- Parlare lentamente. Una media di 80 -100 parole al minuto, vale a direuna/due parole al secondo, è raccoman-dabile nella maggior parte delle situa-zioni sociali e non ha praticamente con-troindicazioni

- Parlare sorridendo, in altre parole impa-rare ad ascoltare in modo cordiale. Neicorsi di tecnica telefonica per centralini-sti ed operatori "call center" di assi-stenza commerciale alla clientela, i par-tecipanti vengono istruiti a sorridereall'inizio della conversazione telefonicae durante il colloquio con i clienti.

Chi si rivolge allo studio non deve maiavere l'impressione che la persona con cuientra in contatto e' frustrata o ha appenaavuto un diverbio con un altro paziente,con un'altra impiegata o con l'odontoiatra.

Chi si occupa delle relazioni con i pazientideve comprendere l'importanza di talecompito, la necessità di "dimenticare" leproblematiche personali e di improntare ildialogo telefonico "sorridendo", ovvero,comunicando una disponibilità. Sorriderespontaneamente e frequentemente non e'una dote naturale accidentale, bensì unobbligo professionale di tutto il personale.È inoltre di grande importanza presentarela propria persona quando si risponde,poiché è fondamentale per l'interlocutoresapere con chi sta parlando: l'anonimatodà immediatamente un senso di trasanda-tezza, impersonalità e scarso interessa-mento.

SILENZIO“Di fatto, ogni silenzio consistenella rete di rumori minuti chel'avvolge: il silenzio dell'isola sistaccava da quello del calmo marecircostante perché era percorso dafruscii vegetali, da versid'uccelli o da un improvvisofrullo d'ali””

(Italo Calvino)

Il silenzio, durante un colloquio, può rive-stire molteplici significati: può esprimereun momento di riflessione sui contenutiche il colloquio sta evidenziando, può faci-litare un clima di ascolto e attenzione, puòrispondere all’esigenza di padroneggiaremeglio o di esprimere emozioni o senti-menti forti, privati o dolorosi di cui fa fati-ca a parlare; infine, può avere anche ilsignificato di rifiuto, di opposizione all’in-terazione, di “vuoto”.

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34 CAPITOLO II

La lettura dei significati sottostanti è l’o-biettivo principale nella comprensione ditale sentimento.Ma anche il conduttore può osservaremomenti di silenzio: questi corrispondonoall’ascolto dell’interlocutore, ma possonorappresentare anche momenti di riflessio-ne, di resistenza o difficoltà rispetto a ciòche l’altro sta dicendo oppure di com-prensione dei contenuti espressi.Il rispetto del silenzio è il primo modo perdimostrare all’altro la possibilità realmen-te concessagli di esprimersi secondo i suoiritmi e le sue modalità: in questo modo silascia il più ampio spazio di gestione deltempo e dei contenuti al paziente, checonferisce così al colloquio i toni, l’impo-stazione, i tempi e le coloriture emotiveche gli sono più consoni; è quindi la capa-cità del conduttore di modulare i propriinterventi in relazione alle necessità e aibisogni del paziente e agli scopi che si

stanno perseguendo.È poi anche importante fare una distinzio-ne tra pausa piena e silenzio: la prima èdensa di significato e non bisogna inter-venire, la seconda invece non deve essereprolungata, ma piuttosto bisogna facili-tarne la comprensione di significato. Èbene confrontarsi con il silenzio e consi-derarlo per la forte valenza comunicativache è in grado di esprimere, tenendo sem-pre ben presente il contesto di riferimen-to: il silenzio tra due innamorati ha ovvia-mente un significato molto diverso rispet-to al silenzio tra due persone che si igno-rano. Anche in questo caso quindi gliaspetti sociali e gerarchici hanno unaparte fondamentale: un professore cheparla alla classe o un ufficiale che si rivol-ge alle truppe parleranno nel generalesilenzio, considerato una forma di rispettoper il ruolo ricoperto dalla persona cheparla.

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3. IL RAPPORTO ODONTOIATRA-PAZIENTE

35CAPITOLO III

BREVE PREMESSA STORICA

Prima di addentrarci nell’attualità del rap-porto medico-paziente, osserviamo breve-mente lo stesso nel corso della storia.Come è ovvio, non si può non partire daIppocrate, padre della medicina laica occi-dentale: a quei tempi il rapporto avevauna sua peculiarità, espressa dalla stessalingua greca, che contemplava un casonominale e una forma verbale - il duale -propri di una relazione a due come quelladi amore e di amicizia. Pilastri portanti delrapporto medico-paziente erano appuntola philia, l'amicizia, e anche l'agàpe, l'af-fetto. Prerequisito dello iatros agathòs,del buon medico, era non solo la tecnofi-lia, l'amore per l'arte, ma anche la filan-tropia, l'amore per l'uomo. Il rapporto delmedico con il malato, in sé squilibrato easimmetrico poiché al sapere-potere delprimo corrispondeva la dipendenza passi-va del secondo, era riequilibrato e riporta-to in simmetria dal dovere che il medicoresponsabilmente si dava (si pensi al det-tato deontologico del Giuramento diIppocrate) per garantire al paziente diessere adeguatamente curato.Questa tipologia originaria ha mostrato,attraverso i secoli, la tendenza a farsiperenne. Ancor oggi il neolaureato inmedicina ripete la formula del giuramento

ippocratico. Tutto ciò ha molto dello ste-reotipo, di una rappresentazione eccessi-vamente semplificata e schematica, cometale contraddetta dalla stessa realtà stori-ca. Infatti nel testo ippocratico “Perì tèch-nes”, sull'arte, il vero sapere medico erarefrattario all'intervento del paziente, alrapporto umano del medico con lui, al cre-dito dato alla storia da lui narrata; inveceche un rapporto basato sull'ascolto e ildialogo, il rapporto si basava per moltisulla sordità e sul silenzio, sulla gestioneesclusiva, da parte del medico, di un sape-re già concluso, formalizzato, elitario. Lanorma del rapporto medico-paziente fudunque, originariamente, ben lontana dal-l'essere biunivoca. Galeno, l'erede tardo-antico di Ippocrate,delineò, cinque secoli dopo, la figura delmedicus gratiosus, amabile nel rapportocon il malato e a costui “bene accetto”:un medico capace di modulare il proprioatteggiamento a seconda delle opportuni-tà e delle preferenze del malato, intuite edesaudite.Se dei doveri del medico si occupa ladeontologia professionale (e gli Ordini deiMedici), della sua morale si occupa l'etica(cioè la sua coscienza): tà ethikà significaappunto, in Aristotele, le cose morali. Manel passato l'etica ha sempre portato nelproprio grembo una sua creatura, un suo

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36 CAPITOLO III

prodotto in miniatura, come tale definitocon un termine diminutivo o vezzeggiati-vo: etichetta. I galatei medici fioritinell'Ottocento, si sono fatti portatori delleistanze di ricostruzione professionale delmedico dapprima sul piano dell'etichetta,della ritualità. In un Discorso della moraledel medico (Milano 1852) si legge: “Stabene che il medico abbiasi esperienzadelle cose, la quale procacciassi coll'usareil mondo, onde conoscere le passioni esapesse quinci il maneggio. Con che verràa posseder l'arte malagevole di aggirar incerta qual maniera, e regolare o per dirmeglio dominare gli animi de' clientisuoi”. In un secondo tempo, però, la stes-sa letteratura moraleggiante si è fattaportatrice delle istanze di ben altra rico-struzione. In un Galateo del medico(Napoli 1873) si legge: “L'esercizio dinostra professione ci mette a contatto contanti mali e tante miserie sociali, che nondovrebbe aversi cuore per rimanerviinsensibile, e non desiderare un governolibero che intenda davvero a sollevarli. Ilmedico si aggira e vive in mezzo al popo-lo, e pensa con il popolo; è depositario disuoi dolori e di sue speranze, e anche anon volerlo diviene democratico d'indo-le”.L'etica o l'etichetta del rapporto medico-paziente, fra Ottocento e Novecento, haincorporato nella professione anche unimpegno civile e sociale che nel secolo dapoco trascorso si è più volte confrontatocon un periodico e incorrente riflusso nelprivato. Abbiamo vissuto e viviamo l'etàdella rivoluzione tecnologica che in medi-cina ha portato a un grande sviluppo

scientifico-tecnico, con grandi ricadutevantaggiose e ha contribuito in largamisura a un progresso trascurabile in ter-mini di maggior quantità e miglior qualitàdi vita per l'uomo.Ma, come ha scritto Norberto Bobbio,“mentre il progresso tecnico-scientificonon cessa di suscitare la nostra meravigliae il nostro entusiasmo, continuiamo sultema del progresso morale a interrogarciesattamente come duemila anni fa”.Duemila anni fa era l'epoca del medicoippocratico. Ritornare a Ippocrate, dun-que? Ma ritornare al medico ippocraticoche ascoltava e dialogava, oppure ritorna-re a quello che riconduceva (o riduceva) ilrapporto con il malato a un atto tecnicosilenzioso e distaccato? In passato, scriveSandro Spinanti, “tutto quello che il mala-to aveva da fare era diventare paziente intutti i significati del termine”: il malatopazientemente aspettava che il medico,da buon osservante del giuramento ippo-cratico, prestasse la sua opera diretta aprocurargli un beneficio. La beneficialitàera il referente cardinale del rapportomedico-paziente.Oggi l'etica ha cambiato etichetta. In unanuova visione, il medico è un organizzato-re di tecniche e di pratiche ispirate a unafilosofia della cura, dove etica ed econo-mia sono le due facce di una stessa pre-giata moneta da investire nella cura dellapersona. In conclusione, il prerequisitofondamentale resta, a nostro parere, lareligio medici, una religiosità laica che tra-sforma l' “aver potere” nell' “aver cura” eche, dove sia profondamente vissuta, nonlascia spazio ad alcuna altra interferenza,

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37CAPITOLO III

di qualsiasi natura, religiosa e non, masempre esecrabile nel campo della difesadella salute.

3.1 Il rapportoodontoiatra-paziente

Tenendo presente che le considerazionifatte nel capitolo inerente agli aspetti psi-cologici sono inscindibili dalle osservazio-ni che ora cercheremo di fare da un puntodi vista prettamente medico, iniziamo adanalizzare il nostro rapporto col paziente.L’etica della medicina generale riconosceil rapporto medico-paziente come un ele-mento portante di tutta la medicina stes-sa, in ogni sua specialità, odontoiatriacompresa. La relazione medico-paziente, attraversola comunicazione, permette la conoscenzae il reciproco conferimento di identità,favorendo così l’alleanza terapeutica. È unantidoto alla caduta della “compliance”. La Relazione ha dei parametri noti che siidentificano in presenza, ascolto, comuni-cazione, silenzio, corpo, concetto ditempo, esami collaterali; oltre a codicetecnico, codice relazionale, rapporto con ilfarmaco.L’accettazione della presenza e dell’ascol-to tolgono dalla solitudine, ma chiedonosia l’accettazione dell’altro, sia il sapersomministrarsi all’altro: costituirsi cioècome una figura valida, rendersi attendi-bili e disponibili. Occorre quindi offrireesplicitamente tempo al paziente e per-correre il suo tempo, non quello del medi-co. Il tempo accentua nella relazione

medico-paziente la sua duplice fisionomiadi tempo cronologico e di tempo vissuto,ed è proprio questa seconda caratteristicache domina il rapporto: il paziente haquasi sempre la sensazione che troppopoco sia il tempo che il medico gli dedica.Il tempo passa velocemente, ma non per ilmalato che vuole per sé il medico e nongli basta la quantità di tempo che gliviene dedicata. È superfluo ricordare d’al-tro canto le osservazioni magistrali diBalint per cui bastano 5-10 minuti di gran-de attenzione del medico per trasformareun incontro in una alleanza terapeutica.Il consenso del malato, logicamente indi-spensabile qualora fossero necessariesami collaterali per approfondire laconoscenza medica del caso, è ottenibiletramite una buona comunicazione colpaziente.

Per quanto riguarda le procedure, parlia-mo di:a Codice tecnico e codice relazionale. Il

primo tipo di relazione è chiamato rela-zione tecnica o di servizio (P. B.Schneider, 1978) e si basa su repertiobiettivi, su strumenti, su documentiacquisiti sul paziente (radiografie, EEG,esami ematici, soprattutto farmaci). Ilsecondo tipo di relazione è definitarelazione interpersonale ed è orientatada un modello psicologico, è centratasulla persona del paziente ed attiva nelmedico una partecipazione ideo-emoti-va più intensa. Il progetto di trattamen-to è quello che convince il paziente emobilita la sua partecipazione attiva: lapresentazione cioè di un programma

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completo che richiede la sua fedele atti-vità.

b Il mantenimento della relazione. Il rap-porto non deve essere didattico, diretti-vo, impositivo, poiché facilmente ilpaziente reagisce con reticenza o conresistenza al colloquio ulteriore. Né ilmedico deve dare la sensazione di esse-re insensibile al racconto del paziente oper converso apparire enfatico o narci-sistico. Il malato osserva e sente benpresto la qualità della partecipazionedel medico all’incontro; pertanto ènecessario mantenere sempre la portaaperta alle richieste del pazientesoprattutto sulla verità della sua situa-zione.

c L’uso del farmaco come strumentotransazionale. La terapia farmacologicaè forse la principale struttura portantedel rapporto col paziente: mediante ilfarmaco, infatti, il medico instaura untipo di rapporto del tutto particolare,mantenendo una forma di presenzaquasi costante presso il malato e dandolui la sensazione di essere sempreseguito e non trascurato. Il farmacodiventa talvolta l’unico tramite tramedico e paziente, specialmente nelleforme di pratica medica burocratizzateo sbrigative. Senza comunicazione tramedico e paziente, però, ogni farmaco-terapia diventa un rapporto extraverba-le manipolato, i farmaci, rischiano diprescindere dai pensieri e dalle emozio-ni del malato che può sentirsi non rico-nosciuto come partecipe di una opera-zione che direttamente lo riguarda. Ècomunque da ricordarsi la norma di H.

Lehman che il farmaco va usato nellamisura minore possibile, per il tempoidoneo al controllo dei sintomi, va indi-rizzato in modo quanto più possibilespecifico e selettivo.

Un ruolo importante è poi svolto dalla cer-chia famigliare del paziente, soprattutto setrattiamo con un bambino, un anziano oun disabile (cfr capitoli specifici) o se sonopreviste diverse opzioni terapeutiche, lacui scelta, rimandata alla volontà delpaziente stesso, può essere influenzatadall’opinione dei membri della famiglia. Il medico è di frequente il primo ad incon-trare le realtà famigliari e la sua prepara-zione professionale ed etica nell’affrontar-le è spesso determinante: un’alleanzapositiva con la famiglia contribuisceall’accettazione e all’utilizzazione daparte del paziente sia del trattamento far-macologico sia di quello psicosociale(Hogarty, 1995). Dunque, quando adegua-ti meccanismi di sostegno e di consensosociale attraverso mezzi idonei di infor-mazione e di educazione le vengano offer-ti, la famiglia può assumere in modo con-vincente un ruolo forte e positivo. In sintesi, l’umanizzazione della medicinariposa su elementi semplici, ma fonda-mentali: 1 - la personalizzazione del rapporto; 2 - l’armonica e flessibile utilizzazione, da

parte del medico e del gruppo operati-vo, sia di un codice tecnico per gli accer-tamenti somatici, sia di un codice direlazione interpersonale centrato sullaintera personalità del paziente conattuazione di una partecipazione ideo-

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emotiva che mantenga attiva la fiducianella collaborazione dell’alleanza tera-peutica;

3 - la distribuzione dell’informazione inmodo chiaro, aggiornato ed idoneo aquanto il paziente è capace di soppor-tare e recepire in quel determinatomomento;

4 - la capacità, nei casi estremi, di non fre-quente competenza odontoiatrica, diaccompagnare il paziente nell’accetta-zione del mistero del dolore e dellamorte.

3.2 L’importanza dellacomunicazione

Alla base del nostro rapporto coi pazienti,dunque, identifichiamo la comunicazione.Da essa dipendono:I. l’adesione alle cure da parte del pazien-

te e la conseguente accettazione delconsenso informato;

II. la promozione della salute, sia nelperiodo post trattamento, sia come pre-venzione;

III. il giudizio positivo del paziente neiconfronti del medico.

I. L’adesione alle cure e la capacità di sal-vaguardare la propria salute sono stret-tamente legate alla capacità da partedel paziente di comprendere le indica-zioni del medico e di seguirle in manieracorretta; di conseguenza la non adesio-ne alle cure è un fenomeno frequente-mente legato proprio ad errori comuni-cativi.

I pazienti sono continuamente bombar-dati da informazioni sulla propria saluteche, oramai, non ricevono solo daimedici ma anche da mezzi quali televi-sione, riviste mediche specializzate,internet. Capiamo facilmente, dunque,come possa essere complicato districar-si e orientarsi nella giusta direzione inquesto labirinto di informazioni. Non viè dubbio che due sono gli elementi chepossono aiutare la comunicazione: ilprimo è la scolarità dei pazienti, ilsecondo è la capacità dei medici di tro-vare un significativo livello comunicati-vo.Uno studio pubblicato sugli Annals ofInternal Medicine ha dimostrato che ilgrado di scolarità dei pazienti incidesulla comprensione delle cure o dei trat-tamenti a cui essi vengono sottoposti edi conseguenza sull’aderenza ad essi.Tuttavia, statisticamente parlando, lacapacità dei medici di comunicare benecon il proprio paziente fa la differenza.In particolare, medici che nel loro curri-culum formativo hanno dei corsi dicomunicazione sono risultati maggior-mente in grado di comprendere e farsicomprendere dai propri pazienti. Vainoltre considerato il fatto che i pazien-ti di oggi hanno un accesso alle infor-mazioni mediche come mai si era verifi-cato prima ma, indipendentementedalla loro scolarità, continuano a nonavere i mezzi per comprendere esatta-mente le notizie di cui vengono fattipartecipi. La soluzione, di conseguenza,potrebbe essere quella di creare unaclasse medica che sia in grado di comu-

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nicare meglio e che, col tempo, educhi ipazienti alla consapevolezza.

II. Considerata l’importanza e l’estensionedegli obiettivi strategici legati alla pro-mozione della salute, si comprendefacilmente come essi fondino la propriariuscita su collaborazioni, competenzeed ambiti operativi tra loro diversi. Unreale coinvolgimento dei cittadini, dellacomunità, della popolazione in genera-le, deve basarsi su un input che, parten-do dalla Sanità Pubblica, punti ad un’in-tegrazione tra persone, gruppi, istituzio-ni ed organizzazioni volta al raggiungi-mento dell’obiettivo-salute.Le azioni si dimostrano spesso comples-se in quanto è richiesta una grossacapacità comunicativa, tesa all’adozio-ne di linguaggi comuni e comprensibilida tutti, che faciliti il collegamento tra idiversi sistemi relazionali, con il soste-gno e la partecipazione da parte dei cit-tadini. Il coinvolgimento del cittadino-utente in un processo che miri a raffor-zare la sua “autonomia decisionale”deve basarsi sulla promozione di effica-ci campagne informative, che puntino alcambiamento di stili di vita non confor-mi alla salute. Come giustamente soste-nuto da vari autori, la salute è essen-zialmente informazione. Una correttainformazione può consentire al cittadi-no di migliorare la gestione della pro-pria salute e di garantirsi un’utilizzazio-ne ed un accesso più razionali alle pre-stazioni e alle cure. In questo contesto il ruolo dei media sidimostra di fondamentale importanza,

anche se il coinvolgimento dei mezzi diinformazione risulta spesso difficoltoso.Notizie legate alla prevenzione e allapromozione della salute spesso non tro-vano la dovuta diffusione, in quanto inalcuni casi vanno a colpire direttamentecomportamenti individuali e sociali,mentre in altri non vengono consideratidi tale rilevanza da venir enfatizzati.Esaminando il rapporto tra mezzi diinformazione e promozione della salute,l’Organizzazione Mondiale della Sanitàevidenzia che le informazioni diffuseattraverso programmi basati, per esem-pio, su interviste, notiziari, pubblicità,spettacoli, si rivelano quelle attraversole quali i messaggi sulla salute sonoricevuti, mediati, capiti e, con maggioriprobabilità, adottati dagli individui; leinformazioni diramate dalle autoritàsanitarie, invece, incidono solo in picco-la parte sulla diffusione di notizieriguardanti la salute. Prima, però, diconsiderare possibili strategie per usarei media nell’opera di promozione dellasalute, è importante riesaminare lanatura dei messaggi che si vogliono tra-smettere: è necessario dare il giustopeso sia al ruolo di intermediazione deimass media che alla ricerca di mercatoper comprendere quali condizioni risul-tino più favorevoli al miglioramentodella salute. Per concludere, sempre secondo le indi-cazioni dell’OMS, sarebbe bene che pro-fessionisti della Sanità Pubblica e pro-fessionisti dell’informazione si alleasse-ro per ripensare e ridiscutere i princìpifondamentali della promozione della

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salute.Nel nostro campo, una buona comuni-cazione da parte dell’odontoiatra, per-mette al paziente di venire informato eresponsabilizzato riguardo il raggiungi-mento, prima, e il mantenimento, dopo,della propria salute, orale e generale. Seriusciamo quindi a interagire bene, pos-siamo garantirci la compliance deipazienti, aspetto determinante per ilbuon esito presente e futuro dellenostre cure.

III.Secondo l’opinione del professorVeronesi, la comunicazione non è soloargomento di estrema attualità: è il piùpotente mezzo attraverso il quale è pos-sibile curare. La comunicazione permet-te di informare sulla patologia e sulleproposte terapeutiche, sull'importanzadella prevenzione primaria e seconda-ria, sull'andamento delle condizioni dimalattia (oppure di salute) della perso-na, e di ricevere dai pazienti (o poten-ziali pazienti) un giudizio sulla nostracapacità di medici.Sapere comunicare fa parte del baga-glio culturale del medico, a tutti i livelli.Lo sviluppo del consenso informato, lasempre maggiore attenzione ai dirittidel malato (e della persona in quantotale, anche quando è sana) deve spin-gere la classe medica a una riflessione:è necessario che le grandi acquisizioniscientifiche e cliniche siano spiegatecon chiarezza e disponibilità alla popo-lazione, perchè l’incomprensione, prin-cipale causa della bassa adesione alleeventuali terapie, venga ridotta al mini-

mo e non influenzi scelte critiche daparte dei pazienti. Il medico deve quin-di acquisire la consapevolezza checomunicare è parte integrante dellaprofessione e non va trascurata né sot-tovalutata, ma coltivata e affinata, cosìda riuscire ad ottenere, da parte delpaziente, la fiducia nei propri confronti:premessa indispensabile perché il lavo-ro venga svolto in clima sereno.

3.3 La comunicazionein odontoiatria

Tracciare un profilo psicologico generaledel dentista è un compito estremamentedifficile, tanto più che qualsiasi cosavenga detta in merito è opinabile per ilfatto che ogni dentista è una figura a sè,con la sua personalità, il suo bagaglio diesperienze personali, il suo carattere e lesue specifiche modalità comportamentali.Forse è più interessante e più utile cono-scere quali qualità dovrebbe possedereper un paziente il dentista "ideale".Caratteristiche principali restano la pro-fessionalità e la bravura: il dentista idealedeve possedere una mano leggera, farsentire meno dolore possibile al pazienteed essere anche abbastanza spedito nel-l'esecuzione del lavoro. Il lavoro deveessere eseguito bene, essere soddisfacen-te per il paziente (sia da un punto di vistafunzionale che estetico) e dovrebbe dura-re abbastanza a lungo nel tempo. Per quelche riguarda il suo comportamento, il den-tista dovrebbe innanzitutto essere unapersona comprensiva, calma e tranquilla,

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che dia fiducia al paziente, il quale, di persè, non è così tanto rilassato nel momen-to in cui si sottopone alle cure odontoia-triche. Inoltre deve dare l'impressione disapere quel che fa e di saper dominareanche situazioni impreviste, emergenzeche in uno studio odontoiatrico sono fre-quenti più di quanto si pensi in genere.Durante l'intervento vero e proprio, il den-tista dovrebbe descrivere, certo non inmaniera approfondita, soprattutto se sitratta di operazioni cruente, quello che stafacendo, visto che il paziente non ha visio-ne di ciò che sta avvenendo dentro la suabocca e deve affidarsi ciecamente ad unapersona pressoché sconosciuta. Altro fat-tore di importanza fondamentale agliocchi del paziente, soprattutto negli ultimitempi, è la sterilizzazione, l'igiene e l'ordi-ne di tutto ciò che è presente nello studio,che il dentista, in quanto principaleresponsabile del suo ambiente di lavoro,deve imporre a se stesso, nonchè ai suoicollaboratori.Ulteriore caratteristica che dovrebbeavere il dentista ideale è la precisione nelrispettare appuntamenti ed orari, cosapurtroppo non sempre possibile, visti i variinconvenienti e perdite di tempo che pos-sono capitare durante una giornata lavo-rativa.Ultima, ma non per importanza, la sinceri-tà per ciò che riguarda la questione eco-nomica: al paziente va spiegato dall'inizioquanto costerà un trattamento e se even-tualmente nel corso del tempo potrebbeessere necessaria qualche altra terapia,con spese ulteriori.

Quindi al medico si chiede: 1)Più comunicatività: il paziente deve

essere informato sulle varie fasi del trat-tamento, sui benefici, i costi e gli even-tuali rischi correlati a questo tipo diterapia. È di fondamentale importanza,inoltre, rendere edotto il paziente cheuna scrupolosa igiene risulta necessa-ria.

2)Farsi capire ed ascoltare di più.3)Più attenzione al fattore umano. 4)Più tempo da dedicare al paziente - non

dare spiegazioni frettolose. 5)Chiarezza sulla diagnosi: è l’atto più

qualificante del medico. Qualsiasi tera-pia che non scaturisca da una precisadiagnosi è perdente. Rappresenta il75% del successo e della prevenzionedella sindrome da risarcimento. Il medi-co deve avere una visione globale delmalato e conoscere le più recentiopportunità offerte dalla scienza.

6)Conoscere i propri limiti: dopo averfatto la diagnosi, formulato il piano ditrattamento e la prognosi, il medicodeve chiedere a se stesso se è veramen-te in grado di affrontare tale piano tera-peutico, comprese incognite e incertez-ze relative ad esso. Anche in base a que-sto aspetto si notano professionalità eonestà dell’odontoiatra sia verso il pro-prio lavoro che verso la persona delpaziente. Ha infatti un diverso significa-to l’errore per imperizia, negligenza eimprudenza dal mancato successo perl’imponderabile.

7)Più rispetto del codice deontologico: ladeontologia è la scienza del dovere diciò che deve essere e di ciò che l’indivi-

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duo è tenuto a fare attraverso i suoicomportamenti nelle relazioni della vitasociale, nel rispetto della personalitàumana del malato e dei fini sociali dellaprofessione e nel rapporto con i colleghi.

3.4 L’approccio col paziente

La relazione tra paziente ed odontoiatrapresenta indubbiamente sue propriepeculiarità. Potrebbe essere considerata in modomeno drammatico (raramente l'esistenzadel paziente è in pericolo) ma, a volte, lanecessità dell'intervento del dentista èvitale per la risoluzione di problematichegravemente inficianti la qualità della vitadel paziente: si pensi solo al sintomo didolore che è così spesso associato allepatologie odontoiatriche.Il paziente, sicuramente, vede nell'odon-toiatra una risoluzione forse ottimaledella sua patologia ma, spesso, è condi-zionato in senso negativo nel suo rappor-to con il professionista. Il suo senso dipaura è forte (ancora una volta il dolore lafa da padrone) e si associa in più al timo-re della spesa da sostenere che, di fre-quente, è notevolmente elevata. Persinola posizione che il paziente deve mante-nere per ottenere le cure è obbligata:sdraiato su una poltrona senza poter rea-gire o dialogare con il suo curante chedovrà vedere e rivedere con il sospetto,quasi sempre immotivato, che ogni nuovoaccesso porterà ad ulteriori investimentieconomici, nonché a nuovi trattamentidistruttivi e dolorosi.

Il dentista, dal canto suo, sente spesso lasua professionalità messa in discussione,percependo del sospetto nei propri con-fronti e temendo che il paziente lo giudi-chi in maniera sempre più critica per ognisuo possibile errore.Nell’approccio col paziente quindi, loscopo è quello di renderlo partecipe delnostro operato, consapevole e attivo nellescelte. Oltre a porsi come punto di riferi-mento, il medico deve quindi promuoveree sostenere la capacità decisionale delsoggetto di fronte a un ventaglio di alter-native. Se il paziente si sente coinvoltonelle decisioni, conosce i rischi che corre,impara a chiedere informazioni prima didare il suo consenso, così la sua cultura ela sua consapevolezza possono crescere. Il dentista deve mostrare un atteggiamen-to di empatia, ossia deve sapersi calaredentro (en) nel punto di vista (pathein) diqualcun'altro, deve mostrare interesse erispetto per la persona che ha davanti, perle sua paure, per la sua sofferenza, per ildisagio che sta passando. Siccome nonsappiamo cosa il malato stia passando inquel momento, ogni cosa che egli dicedeve essere ascoltata con interesse erispettata, senza giudicare, né ponendosialcun tipo di riserva. Se per esempio unpaziente piange, perchè ha paura, non sirichiede certo che il dentista si commuovacon lui, deve però avere rispetto per lapersona che ha davanti.Un ottimo rapporto dentista-pazientelascia quest’ultimo più soddisfatto dellacura che ha ricevuto, proprio perchè ildentista si è preoccupato del famoso"lato umano" della questione, oltre che

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svolgere il compito tecnico della cura. Lasoddisfazione del paziente è una cosaimportantissima in una professione libera,dove il paziente è anche cliente; lungi dal-l'assoggettare la professione sanitaria alleleggi del marketing, bisogna considerareche il paziente-cliente ha un suo poterecontrattuale, quello cioè di scegliersi iltipo di cura e il curante. Per cui ottimecure e dentista "umano" sono un binomioche porta il paziente a tornare; viceversaquando una o entrambe queste condizio-ni mancano, il paziente non torna più. Anche l’odontostomatologia dunque, nonsfugge a questo nuovo aspetto dellamedicina che vede il paziente protagoni-sta della propria salute. L’odontoiatria inquesti anni ha fatto passi da gigante gra-zie ai mezzi diagnostici più sofisticati, ainuovi materiali, alle tecniche più avanza-te, diventando da ultima ruota del carrodella medicina, una delle branche piùcomplesse della stessa. Il paziente piùinformato è divenuto più esigente; va daldentista non solo per motivi patologicifunzionali, ma anche estetici. Una bellabocca e un bel sorriso sono un ottimobiglietto da visita nella vita di relazione, esi è meno disponibili ad accettare marginidi insuccesso. Il paziente, da un lato vuoleconoscere il senso della sua malattia edelle cure che gli vengono imposte, dal-l’altro, i progressi diagnostici e la maggio-re competenza scientifica lo inducono adincrementare la propria fiducia nei con-fronti del medico, aumentando quindi leaspettative positive della terapia.Contemporaneamente aumenta notevol-mente il contenzioso medico legale sia per

la mancanza di un corretto consenso infor-mato che per le nuove norme sull’eserciziodella professione che complicano l’attivitàdel dentista. In realtà, però, tale contenzio-so si sviluppa con meccanismi che di fre-quente non sono connessi a fatti di meranatura tecnica, ma ad una generalizzatainsoddisfazione nel rapporto operatoresanitario/paziente (diffusissima la pretesadi risultati senza tener conto dei mezzimessi in campo per ottenerli) ed a difetti dicomunicazione con il prestatore d'opera.Quest’ultima può essere negativamentecondizionata da diversi elementi tra i qualile carenze personali del professionista (cheha un atteggiamento poco accogliente epoco esplicativo) e quelle di struttura o dicategoria (un contenzioso nasce anche daaffermazioni genericamente sprezzanticirca il lavoro di un proprio collega). Uno dei possibili mezzi di prevenzionedella conflittualità, come già detto, è ilporsi da parte dell'odontoiatra in una posi-zione di accoglienza e di ascolto con ilpaziente in una corretta miscela di comu-nicazione, base di qualsiasi interventomedicale (si pensi alla raccolta del consen-so alle cure), e di interesse personale per lecondizioni del paziente e la sua sofferenza,anche attraverso il riconoscimento dellesue perplessità e dei suoi dubbi.Risulta quindi evidente come il medico edil suo assistito debbano instaurare un rap-porto di totale collaborazione e fiduciareciproca, sia per permettere al paziente diaffidarsi al medico con sicurezza, sia almedico di procedere con tranquillità ededizione alla diagnosi e alla cura dell'as-sistito.

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45CAPITOLO III

3.5 L’informazione al paziente

Nella pratica, dunque, l’informazione deveriguardare una breve descrizione dellametodica e delle eventuali alternativeterapeutiche, le sue finalità, le possibilitàdi successo, i rischi, gli effetti collaterali, icosti biologici ed economici.Lo scopo non è tanto quello di colmare leeventuali divergenze di conoscenze tecni-che tra medico e paziente, quanto quellodi trasmettere le informazioni sulla mate-ria per permettere ai nostri pazienti di for-marsi un bagaglio culturale tale da poteresercitare i propri diritti e saper sceglierele diverse opportunità di cura. Tale consenso si sta imponendo nellanostra società, mentre sta tramontando il“paternalismo medico” in cui il sanitariosi sentiva legittimato ad ignorare le sceltedel paziente ed a non rispettarle se in con-trasto con le proprie.L’informazione, inoltre, se ben fatta, puòridurre la conflittualità in modo preventi-vo e favorire la ricerca di soluzioni extra-giudiziali. Non più soddisfatto di una spiegazionefrettolosa, il paziente rivendica più atten-zione e noi, in quanto seri professionisti,dobbiamo accordargliela.

3.6 I dentisti comunicatori

Per capire e sviluppare una metodica diapproccio, nel 2003, alcuni dentisti si sonoriuniti a formare un gruppo di lavoro spe-cifico, denominato dei “dentisti comuni-catori” e costituito da medici particolar-

mente sensibili ai temi della comunicazio-ne clinica e con una forte attitudine a sta-bilire un rapporto di intesa con i propripazienti. Il dentista comunicatore ha lacaratteristica di mantenere sempre attivaun’interessante immagine professionaledi sé: vede se stesso come un medico chelavora esclusivamente insieme al propriopaziente, per eliminare la malattia denta-le e raggiungere un’ottima salute orale.L'obiettivo era di formare uno o più grup-pi di lavoro che riuscissero a individuare ea sviluppare in modo continuativo:• linee guida • procedure operative • strumenti tecnici per realizzare un'effi-

cace gestione comunicazionale tra lostaff odontoiatrico e i pazienti.

La linea comune emersa mostra la pro-pensione a svolgere le cure odontoiatrichesempre in accordo con gli obiettivi e l'im-pegno del paziente. Egli, quindi, vienesempre considerato protagonista con unruolo attivo rispetto alla cura.L'odontoiatra non è il padrone di regolescientifiche imposte al paziente, ma con-cordate con lui, nei tempi, nei costi, nellemodalità. Questo accordo si realizza conl'aiuto di uno scrupoloso scambio di infor-mazioni basato su un processo di comuni-cazioni costanti e documentate. Confrontando i risultati ottenuti dallediverse esperienze professionali, abbiamorilevato come, per ciascun professionista,dall'esigenza di comunicazione con ilpaziente abbia preso forma una vera e pro-pria filosofia operativa con le relative pro-cedure comportamentali, tecniche e gestio-

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Il paziente dice:“Vorrei un medico che…”

Il medico dice:“Vorrei un paziente che…”

1. “Dimostri” preparazione, non “mostri” pre-parazione

2. Dialoghi con me, non “pontifichi”

3. Non giudichi, ma analizzi criticamente

4. Sia realistico, non necessariamente positivo

5. Ammetta di non sapere qualcosa e si cerchiun’alternativa insieme

6. Utilizzi il giusto linguaggio per me

7. Mi “ascolti”, non solo che mi “stia a sentire”

8. Mostri diligenza e si ricordi del mio caso

9. Mi faciliti il percorso di cura/trattamento

10. Sia presente/raggiungibile: telefono, mail,ecc…

1. Non pretenda, ma condivida

2. Sia gentile e cordiale, non arrogante

3. Comunichi, senza pretendere che io imma-gini il suo pensiero

4. Capisca che anche io sono un essereumano…

5. Collabori e che, assieme a me, analizzi lasituazione

6. Dialoghi con me

7. Se nelle sue capacità, mi dica le sue opinioni

8. Comprenda che mi sto impegnando per lui

9. Mi mostri le sue perplessità, senza timore

10. Tenti, assieme a me, di risolvere i possibiliinconvenienti

3.7 La comunicazionemedico-paziente:10 regole di comportamento

Alla luce di quanto detto in questo capito-lo, proponiamo di seguito uno schemapsicologico-comportamentale riassuntivoed esplicativo circa la biunivocità del rap-porto medico-paziente.

nali adottate dall'intero staff dello studio.Questo modus operandi stimola la passio-ne e il desiderio al lavoro, risolvendo ancheil problema della scarsezza di appuntamen-ti in agenda, e ha lo scrupolo di chiarire edocumentare ai propri pazienti ogni dubbioe ogni rischio terapeutico prima di intra-prendere una cura, affrontando il caso conla stessa accortezza che adotterebbe sefosse egli stesso il paziente.

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punto di vista deontologico invece esistela possibilità di una sanzione disciplinare.

Il medico, dunque, nell’acquisizione delconsenso informato, ha il dovere di parlarecol paziente con lealtà e correttezza riguar-do al suo stato di salute attuale e al tratta-mento a cui lo andrà a sottoporre, centran-do la propria attenzione su quali saranno irischi e quali gli eventuali benefici, nonchéi costi da sostenere, economici e non; met-terlo inoltre al corrente della possibilità diinterventi alternativi qualora il tasso dirischio fosse eccessivo. Questo va fattousando un linguaggio alla portata delnostro interlocutore e assicurandosi, cheprima di firmare, egli abbia ben capito. Ènecessaria, quindi, da parte del medicol'empatia col paziente: deve essere ingrado di capirne i sentimenti, le sensazioni,gli stati d'animo, la psiche, affrontando lesingole situazioni non secondo stereotipi,ma in base alla persona che ha di fronte. Èscorretto da parte del medico prometterela guarigione al 100% nel caso in cui siabbia la consapevolezza della gravità dellamalattia che si deve curare, ma è altrettan-to deplorevole mostrarsi eccessivamentepessimisti nei riguardi di un individuo cheha praticamente messo il proprio destinonelle mani del medico, nel senso che hariposto piena fiducia in lui al fine di usciredallo stato morboso in cui si trova.

3.9 I codici di comportamento

Negli ultimi anni abbiamo potuto notarecome si sia sviluppato l’interesse, e quindi

3.8 Il consenso informato

Uno degli aspetti che sta alla base dellacomunicazione medico/paziente è l’acqui-sizione del consenso informato: indispen-sabile dal punto di vista medico legale,poiché, nel mondo moderno, il paziente haassunto una posizione di centralità eautonomia decisionale riguardo la propriasalute e le cure da seguire. Anche laCostituzione, nell'articolo 32, afferma che"Nessuno può essere obbligato ad undeterminato trattamento sanitario se nonper disposizioni di legge; la legge non puòin alcun caso violare i limiti imposti dalrispetto della persona umana". L'articolo13 della Costituzione sancisce l'inviolabi-lità della libertà personale.Il medico che non ottenga il consenso infor-mato del paziente è penalmente persegui-bile in relazione agli articoli 50 e 610 delCodice Penale: il primo ribadisce la nonpunibilità di chi pone in pericolo un diritto,purchè lo faccia col consenso dell'individuoche possa validamente disporne, in nomedella piena integrità psico-fisica e del benedella vita. Coloro i quali non possono vali-damente disporne sono tre categorie diindividui: minorenni; malati di mente; inca-paci. In questi casi ad esprimere il consensodovrà essere il loro rappresentante legale.L'art. 610 afferma che il medico che non simunisca del consenso dell'assistito è pas-sibile di imputazione per delitto di violen-za privata, di lesione personale, di omici-dio in caso di decesso del malato. In sede civile il mancato consenso costitui-sce un'inadempienza contrattuale, quindisussiste l'obbligo di risarcimento; da un

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48 CAPITOLO III

lo studio, delle problematiche del conten-zioso medico-legale in ambito odontoia-trico, sia per cause intrinseche alla profes-sione, sia per cause ambientali generali. Per questo pensiamo che l’odontoiatradebba cercare di tutelare il proprio opera-to, munendosi di strumenti propri di con-trollo, così da elevare il più possibile lostandard qualitativo, per fornire un’imma-gine di sé coerente con obiettivi elevati erisultati il più possibile controllabili. Latutela del proprio operato passa attraver-so la codifica di strumenti di autocontrol-lo, come ad esempio la cartella clinica euna buona tenuta della documentazionedi studio. Nel momento in cui si dovessecontestare l’operato di un collega, questi,attraverso l’analisi della documentazionedel caso, potrebbe meglio qualificare ilproprio lavoro o, quanto meno, delimitarel’impatto critico. Riteniamo comunque che la migliore dife-sa per il medico, contro accuse di mal-practice, è prendersi cura del paziente,ovvero quanto detto fin’ora in questomanuale: - Instaurare e mantenere un rapporto di

reciproca fiducia con il paziente;- Comunicare con lui in maniera realistica

e ascoltarlo con umiltà;- Essere sensibile alle sue necessità,

paure e preoccupazioni;- Avere consapevolezza dei propri limiti

di competenza e dei limiti della medici-na;

- Denunciare all’Ordine provinciale lecondizioni strutturali, organizzative eambientali inidonee per un eserciziocorretto della medicina;

- Consapevolezza del ruolo fondamenta-le che svolgono la stampa e i massmedia…

Strumento di tutela globale può essereinvece un codice comportamentale resopubblico e pubblicamente valicato, chestabilisca diritti e doveri.È così nata, il 31 marzo 2005 la Carta diFirenze, derivante da un’idea di base:non c'é cura se medico e paziente noncomunicano su diagnosi e terapie con unlinguaggio comprensibile e massima dis-ponibilità. Inoltre, riconoscere i diritti delpaziente alla piena informazione sulladiagnosi, all'autonomia di scelta, alla con-divisione della terapia, equivale spessoanche a un più efficace metodo di cura.Una riflessione che sembra scontata mache diventa quasi rivoluzionaria se vienearticolata e messa nero su bianco.La Carta di Firenze introduce importantinovità nel rapporto tra medico e paziente,fra cui vorremmo sottolinearne due: quel-lo dell'umanità e quello della comunica-zione; due argomenti ampiamente trattatiin questo manuale. Metterlo per iscrittorappresenta un passo ulteriore anche per-ché si offre ai cittadini la possibilità diconoscere i proprio diritti, di cui già oggi sipossono avvalere.L'obiettivo di questo codice è di diventarelo statuto di una relazione alla pari. In det-taglio, la Carta di Firenze contiene in tutto15 articoli (allegato 1): gli operatori hannosottolineato che non sarà semplice con-cretizzare le indicazioni in tempi brevi, mache comunque si tratta di un tema su cuivale la pena mettersi al lavoro. Ricerche

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49CAPITOLO III

sul tema del paziente informato realizzateanche in Inghilterra certificano, infatti, cheil futuro della sanità in Europa richiede unsalto di qualità delle politiche di informa-zione rivolte a cittadini e pazienti, proprioperché una migliore divulgazione delleinformazioni non può che portare allascelta di cure più appropriate e a risultatipiù felici per i pazienti.

Carta di Firenze• La relazione fra l'operatore sanitario e il

paziente deve essere tale da garantirel'autonomia delle scelte della persona

• Il rapporto è paritetico; non deve, per-ciò, essere influenzato dalla disparità diconoscenze (comanda chi detiene ilsapere medico, obbedisce chi ne èsprovvisto), ma improntato alla condivi-sione delle responsabilità e alla libertàdi critica

• L'alleanza diagnostico/terapeutica sifonda sul riconoscimento delle rispetti-ve competenze e si basa sulla lealtàreciproca, su un'informazione onesta esul rispetto dei valori della persona

• La corretta informazione contribuisce agarantire la relazione, ad assicurarne lacontinuità ed è elemento indispensabileper l'autonomia delle scelte del pazien-te

• Il tempo dedicato all'informazione, allacomunicazione e alla relazione è tempodi cura

• Una corretta informazione esige un lin-guaggio chiaro e condiviso. Deve, inol-tre, essere accessibile, comprensibile,attendibile, accurata, completa, basatasulle prove di efficacia, credibile ed utile

(orientata alla decisione). Non deveessere discriminata in base all'età, alsesso, al gruppo etnico, alla religione,nel rispetto delle preferenze del pazien-te

• La chiara comprensione dei benefici edei rischi (effetti negativi) è essenzialeper le scelte del paziente, sia per la pre-scrizione di farmaci o di altre terapienella pratica clinica, sia per il suoingresso in una sperimentazione

• La dichiarazione su eventuali conflitti diinteresse commerciali o organizzativideve far parte dell'informazione

• L'informazione sulle alternative tera-peutiche, sulla disuguaglianza nell'of-ferta dei servizi e sulle migliori opportu-nità diagnostiche e terapeutiche è fon-damentale e favorisce, nei limiti delpossibile, l'esercizio della libera sceltadel paziente

• Il medico con umanità comunica la dia-gnosi e la prognosi in maniera comple-ta, nel rispetto delle volontà, dei valorie delle preferenze del paziente

• Ogni scelta diagnostica o terapeuticadeve essere basata sul consenso consa-pevole. Solo per la persona incapace lascelta viene espressa anche da chi se neprende cura

• Il medico si impegna a rispettare la libe-ra scelta dell'individuo anche quandoquesta sia in contrasto con la propria eanche quando ne derivi un obiettivopregiudizio per la salute, o, perfino, perla vita del paziente. La continuità dellarelazione viene garantita anche in que-sta circostanza

• Le direttive anticipate che l'individuo

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50 CAPITOLO III

esprime sui trattamenti ai quali potreb-be essere sottoposto qualora non fossepiù capace di scelte consapevoli, sonovincolanti per il medico

• La comunicazione multi-disciplinare tratutti i professionisti della Sanità è effi-cace quando fornisce un'informazionecoerente ed univoca. I dati clinici e l'in-formazione relativa alla diagnosi, allaprognosi e alla fase della malattia delpaziente devono circolare tra i curanti.Gli stessi criteri si applicano alla speri-mentazione clinica

• La formazione alla comunicazione eall'informazione deve essere inseritanell'educazione di base e permanentedei professionisti della Sanità.

L’esigenza di proporre un codice etico diautoregolamentazione si è fatta semprepiù ingente e nel 2002 fu formata unacommissione di studio multidisciplinare,fino alla pubblicazione di un codiceetico-comportamentale dell’ANDI.L’Associazione Nazionale Dentisti Italianisi è impegnata a presentare un progettodi qualità, che rendesse evidente connes-sione fra qualità elevata ed iniziativa pro-fessionale privata. Questo ampio pro-gramma non è rivolto solo al controlloprofessionale dal punto di vista tecnicooperativo o di struttura, ma consideraanche un altro aspetto tra i più qualifican-ti dell’attività libero professionale medica,ovvero l’eticità della professione. È infattinecessario che la risposta alle spinte diqualità sia non solo tecnica, ma vengaaccompagnata da una conduzione della

professione ispirata a criteri deontologica-mente corretti ed eticamente informati.Mentre in alcuni Paesi dell’UnioneEuropea si è ritenuto opportuno istituirecodici deontologici specifici per la discipli-na odontoiatrica, in Italia l’odontoiatria fariferimento al Codice Deontologico che laaccomuna con la professione medica (e dicui parleremo più avanti). L’ANDI ha rite-nuto utile, tuttavia, in linea con quantostabilito di comune accordo da tutte lerappresentazioni odontoiatriche Europee,realizzare un codice di comportamentoetico di ampio respiro, che si riferisca spe-cificatamente all’odontoiatria.

Codice Comportamentaledell’odontoiatra(a cura del “Gruppo di Lavoro ANDI”per il codice etico dell’odontoaitriaitaliana)1. Relazione paziente-odontoiatraL’odontoiatra:- Deve promuovere e salvaguardare la

salute dei pazienti nel rispetto delle lorocondizioni individuali;

- Non deve prescrivere o eseguire tratta-menti non necessari alla conservazioneo al recupero della salute e del benes-sere della persona assistita. I trattamen-ti puramente estetici o connessi a ragio-ni socio-culturali possono essere effet-tuati qualora siano debitamente moti-vati e la loro esecuzione non sia danno-sa;

- Ha la libertà di scegliere se accettare omeno di trattare un paziente, eccetto incondizioni di emergenza6;

6 nell’ambito del codice comportamentale questo punto va interpretato come riconoscimento all’odontoiatradi una propria autonomia decisionale; in effetti l’odontoiatra è tenuto ad informare il paziente sulle propriointenzioni terapeutiche, ma anche ad informarsi su cosa il paziente desideri. Qualora alle richieste di deter-minati interventi corrisponda da parte dell’operatore la convinzione che tali non siano le prestazioni più

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- Deve ottenere il consenso dal pazienteal trattamento. A questo scopo devefornire informazioni circa l’opzioneprincipale del trattamento, le opzionialternative, i principali rischi ed effetticollaterali di tutte le opzioni prese inconsiderazione;

- Deve informare preventivamente ilpaziente del costo e della durata deltrattamento proposto;

- Nel caso di variazioni in corso di tratta-mento, le stesse devono essere oggettodi supplemento di informazione e con-senso;

- Il paziente deve avere l’opportunità difare domande ed ottenere esaurientichiarimenti;

- Deve osservare il segreto professionalee garantire la riservatezza dell’informa-zione sulla salute della persona e ingenerale sulle informazioni ricevute nelcorso del rapporto professionale. Gliarchivi dettagliati e completi devonoessere conservati accuratamente e ilpersonale dello studio odontoiatricodeve essere informato e istruito sullanecessità di mantenere la riservatezza. Idati devono essere trattati in conformi-tà con i principi etici e normativi dellaloro protezione e riservatezza;

- Accettando l’impegno al trattamentoda eseguire deve assumersi la respon-sabilità di operare al meglio la propriaprofessionalità;

- Qualora, nel corso del trattamento,emerga la necessità di un diverso livellodi competenza professionale, deveinformare il paziente e adoprarsi per

inviarlo per consulto ed acquisizione diparere ad un collega più esperto inquello specifico settore;

- Deve accogliere i motivi di insoddisfa-zione del paziente cercando di risolverele contestazioni ed appianare i conflitti.

2. Condotta dell’odontoiatra versoil pubblico

L’odontoiatra:- Deve agire in maniera che venga pro-

tetto il prestigio e la reputazione dellaprofessione;

- Deve assicurare che qualsiasi comuni-cazione informativa sia legale, conve-niente e veritiera e formulata nel rispet-to dei principi della professione.L’informazione, quindi, non deve risulta-re fuoriviante per il pubblico lesiva dellareputazione o dell’immagine professio-nale dei colleghi;

- Può fornire informazione sulla profes-sionalità acquisita e le prestazioni offer-te nel rispetto dei principi della dignitàdella professione.

3. Atteggiamento dell’odontoaitra versoi propri colleghi

L’odontoiatra:- Durante la propria attività professiona-

le deve mantenere un atteggiamentorigorosamente professionale nei rap-porti coi colleghi e con i collaboratori;

- Deve rendersi disponibile a collaborarecon i colleghi e mostrare rispetto pereventuali divergenze di opinioni;

- Quando sia chiamato a verificare inter-venti eseguiti da altri colleghi, valuteràattendendosi a considerazioni d’indolestrettamente tecnica.

adatte, l’odontoiatra può astenersi dall’intraprendere le terapie richieste, naturalmente dandone esaustivaspiegazione al paziente. Altro aspetto è relativo al livello di specifica competenza: a fronte di una richiestadi intervento valutata come al di fuori delle proprie capacità tecniche, l’odontoiatra potrà astenersi dall’in-tervenire, attivandosi presso i colleghi per gestire i problemi del paziente.

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52 CAPITOLO III

4. La pratica della professioneL’odontoiatra:- Deve collaborare per promuovere la

salute orale dell’individuo e del pubbli-co in generale, nel pieno rispetto dellavita. Egli deve praticare la professionesecondo le nozioni scientifiche acquisi-te;

- Deve occuparsi con uguale consapevo-lezza di ognuno dei suoi pazienti, qual-siasi sia la la loro origine e situazionefamiliare, appartenenza a gruppo etni-co, nazione o religione, le eventualiinvalidità o stato di salute, loro reputa-zione o sentimento personale, nel pienorispetto della persona;

- Non deve interrompere le cure dei suoipazienti senza giustificato motivo oponendone in pericolo la salute; devecomunque fornire al paziente tutte leinformazioni necessarie sul trattamen-to, eventualmente aiutandolo a garan-tirsi una nuova assistenza;

- Deve assumere la responsabilità per laconduzione del proprio gruppo e deveutilizzare il personale rispettando pie-namente le norme di legge in relazioneai compiti specifici;

- Deve continuamente aggiornarsi peracquisire conoscenze scientifiche e qua-lifiche professionali, al fine di garantirela qualità dei trattamenti e dei risultatidelle cure;

- Non deve quindi assumere o lavorarecon persone sospette di praticare laprofessione illegalmente;

- Non deve mai produrre certificazioni odichiarazioni false o compiacenti;

- È obbligato a sostenere i principi fonda-

mentali di libertà e autonomia dell’eser-cizio professionale. Non deve violare ilprincipio di libera scelta da parte delpaziente dell’odontoiatra e del luogo dicura;

- Quali che siano gli obblighi contrattualisottoscritti, egli non deve rinunciare allasua indipendenza professionale e allesue responsabilità nei confronti delpaziente;

- Non deve pagare incentivi finanziari osostenere altre forme di commissioni aterzi per incoraggiare o promuoverel’acquisizione di pazienti;

- Deve essere fornito di adeguata coper-tura assicurativa relativamente all’eser-cizio professionale.

5. Ricerca scientifica e tecnologica erapporti con le aziende

- L’odontoiatra deve collaborare allaricerca perseguendo il progresso cultu-rale e il miglioramento della professio-ne;

- Ogni finanziamento alla ricerca oltre adottemperare alle norme di legge deverispondere al principio della trasparen-za;

- L’odontoiatra non deve accettare o ero-gare incentivi finanziari o d’altra utilitàa fini di comparaggio.

- La necessità di stesura di questo codicemostra come, nel corso del tempo, leprofessioni sanitarie abbiano modificatosia i propri compiti, sia i rapporti con lasocietà, finchè l’odontoiatria non è dive-nuta una professione distinta da quellamedica, esercitata per lo più in regimelibero-professionale e, in quanto tale,bisognosa di un codice etico proprio.

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53CAPITOLO III

Negli ultimi anni, poi, trasformazioni rile-vanti nella cultura e nella società hannoindotto a rivisitare i principi fondamentaliche regolano l’attività del sanitario e aintrodurre nuove accentuazioni. In terminimolto generali, il cambiamento può esse-re qualificato come la transizione dall’eti-ca medica alla BIOETICA. I principali trattiche definiscono la professionalità medica,e quindi odontoiatrica, nell’epoca dellabioetica possono essere così riassunti:

- Riconferma della centralità del benesse-re del paziente: tale riferimento a fare“il bene del paziente” è diventato anco-ra più esigente nell’epoca dellaEvidence Based Medicine – EvidenteBased Dentistry. Nel comportamentoclinico si dovrà rinunciare a preferenzederivanti da opinioni o modellate dadeterminate scuole, per confrontarsicon le prove di efficacia dei trattamentiraccolte a livello di scienza internazio-nalmente accreditata.

- Riconoscimento dell’autonomia deipazienti: al giorno d’oggi il consensoagli interventi diagnostici e terapeuticiè un elemento essenziale della medici-na contemporanea: “Un intervento nelcampo della salute non può essereeffettuato se non dopo che la personainteressata abbia dato consenso liberoe informato. Questa persona riceveanzitutto un’informazione adeguatasullo scopo e sulla natura dell’interven-to e sulle conseguenze e i suoi rischi”(Convenzione europea sui diritti del-l’uomo e la biomedica).

- Empowerment del cittadino nel proces-

so di cura: l’empowerment implica unastrutturazione dei rapporti orientata aconferire al cittadino “una più ampiapartecipazione alle decisioni che loriguardano” (CNB, Informazione e con-senso all’atto medico), a riconoscergliuna competenza nell’automedicazionesemplice, a rendere “le persone capacidi aumentare il controllo sulla loro salu-te e migliorarla (OMS, Carta di Ottawa),ad assumere la responsabilità per lescelte sanitarie e, più in generale, per lapropria vita.

- Impegno a promuovere l’equità all’in-terno dei sistemi sanitari: premesso cheil trattamento odontoiatrico è tratta-mento sanitario ad ogni effetto e che ilservizio pubblico dovrebbe garantire leprestazioni sanitarie al cittadino, indi-pendentemente dalle sue capacità eco-nomiche, la professione odontoiatricadeve rendersi disponibile a promuovereiniziative tese all’equità ed al miglioreimpiego delle risorse dedicate alla salu-te orale.

L’odontoiatra è singolarmente e all’inter-no della categoria impegnato sul frontedella prevenzione e della medicina socia-le. Si impegna nel fornire soluzioni di qua-lità ai problemi del paziente, coerentirispetto alle risorse a disposizione.

Manuale di Etica Odontoiatrica(FDI Dental Ethics Manual)

La Federazione Mondiale dei Dentisti (FDI)è un’associazione mondiale che raggrup-pa oltre 135 paesi. Uno dei compiti dellaFDI è quello di assistere le associazioni

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7 Il testo del Codice di Deontologia medica e degli allegati recepiscono le delibere del 16 dicembre 2006 e del23 febbraio 2007 del Comitato Centrale della FNOMCeO.

nizzato fornendo una breve introduzionesui concetti base dell’etica e la loro appli-cazione ai temi più comuni che possiamoincontrare nella pratica quotidiana; molticapitoli, inoltre, iniziano con un caso tipi-co, che viene poi riesaminato alla fine delcapitolo stesso alla luce di ciò che è statopresentato. In conclusione al Manuale tro-viamo una considerazione sui diritti e iprivilegi dei dentisti, sulle loro responsabi-lità nei confronti di se stessi e sul futurodell’Etica Odontoiatrica.

Codice di Deontologia Medica

Dal momento in cui, in Italia, esiste ununico Ordine, dei Medici Chirurghi e degliOdontoiatri, entrambi questi professionistisanitari faranno riferimento allo stessocodice deontologico. Nel 20067 è stato pubblicato l’ultimoaggiornamento del Codice di DeontologiaMedica, il quale “contiene principi e rego-le che il medico-chirurgo e l’odontoiatra,iscritti agli albi professionali dell’Ordinedei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri,di seguito indicati con il termine di medi-co, devono osservare nell’esercizio dellaprofessione.” (Art. 1)Il Codice deontologico è suddiviso in 6titoli: - titolo I:

oggetto e campo di applicazione- titolo II:

doveri generali del medico- titolo III:

rapporti con il cittadino- titolo IV:

rapporti con i colleghi

aderenti e ogni dentista nello svolgimentodei propri compiti giornalieri. Per molti anni la FDI è stata attivamenteimpegnata nello sviluppare politiche eti-che per l’odontoiatria, in particolare “IPrincipi Etici Internazionali per laProfessione Odontoiatrica”, i quali stabili-scono che il professionista-dentista:- eserciterà la professione conformemen-

te allo stato dell’arte e alla scienzaodontoiatrica e ai principi di umanità;

- salvaguarderà la salute del cavo oraledei pazienti indipendentemente dallaloro condizione individuale.

La professione odontoiatrica solleva unampio spettro di potenziali dilemmi etici.La moderna tecnologia, le vecchie convin-zioni culturali e i diversi stili di vita potreb-bero portare facilmente a malintesi e con-flitti. Il Manuale di Etica Odontoiatricanon elenca quanto sia giusto o sbagliato,ma fornisce valori ed esempi pratici chepotranno essere utili e guidare i professio-nisti nel prendere decisioni etiche nelmigliore interesse dei pazienti. Inoltre la lettura di tale Manuale forniscel’opportunità ai dentisti, agli educatori, aglistudenti e a tutti coloro che sono coinvoltinelle cure del paziente, a riflettere sul ruoloche svolgiamo come professionisti e comedovremmo agire per far in modo che vengamantenuta, in ogni circostanza, la fiduciache i pazienti ripongono in noi. Esiste già una letteratura eccellente e inrapida espansione sull’etica della profes-sione odontoiatrica e tale Manuale vainteso come un’integrazione piuttosto chein concorrenza con la restante letteratura.Il Manuale di Etica Odontoiatrica è orga-

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nell'incredibile alta reputazione a livello difiducia come individui, la professione sof-fre in sé di un reale problema di immagine.Molte altre economie spendono milioniall'anno per lavorare sulla loro immagine ehanno scoperto che si può cambiare ilmodo in cui si è stati percepiti dal cliente.È quindi possibile cambiare la percezionedel pubblico!La chiave di lettura, e quindi di cambia-mento, sta nell’ascoltare l’Altro, per capi-re esattamente cosa non va e cosa fanascere questa immagine negativa.

Qualche anno fa, “The Marquette Univer-sity School of Dentistry” ha condottoun'indagine per scoprire come i pazientiscelgono i dentisti.Hanno scoperto che:1% dei pazienti sceglie il dentista dalla

pubblicità sui giornali3,9% sceglie uno studio da un sito inter-

net di referenze4,4 % sceglie il dentista perché il suo stu-

dio accetta un programma di assi-curazione

6,3% sceglie il dentista guardando sullepagine gialle

12,9%seleziona il dentista basandosi sudove è localizzato lo studio

70,6%è indirizzato da un familiare, vicino,collega o amico. Quest'ultimo puntoha un’importanza cruciale, per otte-nere nuovi pazienti, più di tutti glialtri punti messi insieme, soprattut-to perché la maggior parte degliodontoiatri non l’ha mai realmentetenuto in considerazione per lo svi-luppo dell'attività professionale.

- titolo V:rapporti con terzi

- titolo VI:rapporti con il servizio sanitario nazio-nale e con enti pubblici e privati

Sono presenti poi, una Deposizione Finalee due allegati:- linea-guida sulla Pubblicità dell’infor-

mazione sanitaria- linea-guida sul Conflitto di interesse

Trattare distintamente ciascun articolo delCodice richiederebbe un ampio spaziospecifico di cui qui non disponiamo;rimandiamo ogni medico alla personalelettura del Codice stesso, fornito in allega-to col Bollettino dei Medici del gennaio2007.

LA PERCEZIONE DELL’ODONTOIATRADA PARTE DEL PAZIENTE

“Tutto il mondo è un palcoscenico,e tutti, uomini e donne,altro non sono che attori”

(Shakespeare)

Il campo dell'odontoiatria soffre terribil-mente di un problema di cattiva immagi-ne. È stato stimato, infatti, che il 25% deipazienti ha paura di andare dal dentista.Gli altri rimandano e dicono di aver biso-gno di una vacanza, e una grande mag-gioranza di clienti pensa che l'odontoia-tria non sia essenziale e che realmentenon sia importante per la loro salute.Sebbene gli odontoiatri provino piacere

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56 CAPITOLO III

Molti odontoiatri hanno fatto training sulfenomeno dell'invio del paziente da partedi amici, parenti, colleghi …, chiedendo aipazienti se sono rimasti soddisfatti dallereferenze avute.Alcuni dentisti hanno solo distribuito unquestionario in studio per conoscere illivello di soddisfazione dei pazienti sullereferenze e credono che un questionariodistribuito in sala d'attesa basti. Ma lereferenze sono molto di più. Esiste unmodo professionale - il Marketing - peraumentare la propria attività professiona-le, con un numero illimitato di referenze diqualità.Si è stimato però anche che il 60% dellefamiglie italiane nel 2002 ha avuto undentista di fiducia, a cui si è rivolto alme-no uno dei componenti del nucleo familia-re, quindi circa il 60% delle famiglie equindi approssimativamente il 60% degliItaliani hanno un dentista di riferimento.Ed ecco che si arriva ad un nodo crucialedel nostro discorso comunicativo: se èvero, infatti, che le istituzioni, l'industria,le associazioni devono sensibilizzare tuttala popolazione soprattutto per coinvolge-re quel 40% degli italiani che non hannoneppure un dentista di fiducia, per coin-volgere e motivare molti di essi non saràcerto sufficiente soltanto una buonacomunicazione. Come emerso dall'indagi-ne sulla spesa odontoiatrica (italianDental Economist 1/2004) occorrerebbe,infatti, valutare l'effettiva realizzazione diun sistema previdenziale, assicurativo o diassistenza pubblica per la popolazionemeno abbiente.Nel momento in cui il "target" della comu-

nicazione cambia, passando dal pazientealla famiglia, sono molti gli strumenti dimarketing che possono essere utilizzati eriguardano diverse leve del cosiddettomarketing mix, che consiste nel sollecita-re e nel facilitare un flusso di servizi, dallostudio al paziente, quell’insieme, cioè, diazioni e strumenti utili al raggiungimentodegli obiettivi prefissati. Per servizi nons’intendono, però, le sole prestazioni, cioèla base di ciò che lo studio fornisce, macomprendono anche i “fattori soft", lemodalità di erogazione del servizio stesso,e questi sono riconducibili, per esempio,all'ubicazione e al layout dello studio, allacomunicazione, alle politiche di prezzo...Tutti questi fattori costituiscono le leve delmarketing mix dello studio e il lorosapiente impiego ne determina il succes-so.Ogni dentista, se lo desidera, può impo-stare la propria attività di marketing, percoinvolgere maggiormente i membri dellafamiglia dei pazienti abitualmente assisti-ti, sviluppando in modo mirato l'areacomunicazionale.Il professionista deve agire direttamentenel proprio ambiente, nel proprio ambitodi competenza e, perché no, nel successodel proprio business.La comunicazione di marketing, perciò,riguarda le modalità di relazione direttacon il paziente e tra gli operatori del teamodontoiatrico, e consente, inoltre, il perse-guimento degli obiettivi di marketingdello studio dentistico.La percezione del valore di un servizio nonpuò prescindere, perciò, dal concetto diqualità totale: non è sufficiente che un

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prodotto sia valido in sé, ma deve ancheapparire esplicitamente tale. Il valore aggiunto di un prodotto è datomolto spesso dal packaging, cioè da tuttociò che sta attorno: il colore, l’imballaggio,la confezione, la forma. Nello Studio que-sto si identifica con la comunicazionemetaclinica, nello specifico bisogna pre-stare attenzione a: - Atmosfera e clima: il paziente deve per-

cepire armonia ed efficienza in ognimomento della sua permanenza in stu-dio:•il personale deve rivolgersi sempre

con rispetto al medico; il ruolo del tito-lare, per risultare tale, deve essere raf-forzato dall’atteggiamento del perso-nale, creando quanto più possibile unclima efficiente, ma anche efficace edaccogliente;

•il medico deve evitare di richiamare ilpersonale in presenza dei pazienti, pernon creare un ambiente disarmonico edi tensione, dove il capo prevale suicollaboratori;

•il personale deve rivolgersi semprecon rispetto e cortesia ai pazienti:sono la risorsa principale, ed è quindinecessario carpire fin da subito le loropotenzialità, per approcciarsi nelmodo corretto, ma anche quali potreb-bero essere le possibili conseguenzedel nostro agire;

•il personale deve controllare il volumee il tono di voce nelle conversazionitelefoniche e nel colloquio con ipazienti (alla reception e in poltrona);

•è necessario ridurre al minimo gli ele-menti di disturbo collaterali.

- Arredamento e layout: l’ambiente deveessere funzionale, caldo e accogliente;con un occhio di riguardo (e il rispettodella normativa) per bambini e disabili. La scelta dei colori e dei complementideve tener conto delle caratteristichestrutturali e delle dimensioni del locale,oltre che delle esigenze di pulizia esanificazione. Anche la scelta del sottofondo musicaledeve prevedere una gamma sufficiente-mente ampia di alternative che possanoincontrare il gusto della maggior partedell’utenza.

- Segnaletica: le stanze devono esserecontrassegnate con simbologia eviden-te e di immediata comprensione.

- Rumori: devono essere evitati tuttiquelli che possono evocare timori ofobie e limitati quelli molesti di prove-nienza esterna.

- Estetica: il look dello Studio deve corri-spondere all’immaginario che il pazien-te ha dell’ambito sanitario. Essere rice-vuti e assistiti da personale con unadivisa impeccabile, truccato e pettinatocon accuratezza trasmette al pazienteuna piacevole sensazione di ordine epulizia che viene immediatamente este-sa a tutto lo Studio.

- Comunicativa viso e corpo: come abbia-mo analizzato nei capitoli precedenti, lacomunicazione non verbale è importan-te tanto quanto quella verbale, ed è ingrado di incidere positivamente nell’in-

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Lo studio odontoiatrico è un'azienda, ecome tale vende servizi (salute orale),attraverso l’organizzazione e la gestionedi risorse umane (personale), che agendoed interagendo determinano un prodottocomplesso (prevenzione-controllo-tera-pia) che viene proposto ad un pubblico(clienti), che in cambio paga con denaro inquantità e modalità precedentementeconcordate (contratto).Allora, come ogni azienda che si rispetti,deve avere un rapporto cristallino con iclienti e la limpidezza di questo si basa,prima di tutto, su un’informazione precisae scritta, in modo da non creare approssi-mazione o possibilità di equivoci.Partendo da:

• carta dei servizi• preventivo• consuntivo• lista degli appuntamenti• consenso informato• richiamo periodico

si arriva alla determinazione di un percor-so che coinvolge la persona nella respon-sabilità delle scelte terapeutiche e laeduca alla consapevole adesione al pro-gramma di lavoro, in termini di impegno,denaro, tempo."L'attitudine ad un rapporto paternalisti-co da parte del medico e filiale da partedel paziente viene ad essere contrastatasempre più chiaramente da recenti dispo-sizioni di legge che stanno faticosamentemodificando il rapporto tra odontoiatra epaziente. Il peso educativo della praticasanitaria passa anche attraverso una realeresponsabilizzazione in merito alle scelteche riguardano la propria salute e può

terazione con il paziente, trasmettendo-gli un senso di gradevolezza di fondoalla sua esperienza.

Ogni individuo che si rivolge a un medicolo può fare con fiducia, ma vuole parteci-pare alla sua cura e viene chiamato adecidere e a farsi carico di parte delleresponsabilità nelle scelte terapeutiche.Deve essere messo in condizione di accet-tare o rifiutare una cura, quindi si informa,si rivolge a più professionisti, confronta leproposte e, solo allora, sceglie. L’individuovuole conoscere ed essere l’attore princi-pale nella scena della sua cura.A tale scopo, sono nati nuovi luoghi diinformazione sanitaria in cui il cittadinopuò interloquire rapidamente con i medicie ricevere anche indicazioni generaliriguardo al tema della salute: riviste spe-cializzate a larga diffusione, inserti setti-manali di quotidiani, numeri verdi, sitisanitari su internet, dove, non curandosineppure di essere protetti della leggesulla privacy e indifferenti all'anonimato, icittadini di oggi espongono volentieri ipropri problemi e aspettano le risposte,valutando poi, a proprio piacimento laserietà e la credibilità delle risposte.Il cliente racconta, chiede, ascolta e deci-de.Ognuno di noi si aspetta di essere ascol-tato dal medico con estrema attenzione,non solo nel momento dell'anamnesi, perinquadrare la propria situazione clinica,ma anche riguardo alle proprie reali possi-bilità temporali ed economiche di parteci-pazione alla cura.

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8 A.Carrassi, M.L.Bellani, P.Pezzotta: “Comunicazione e counselling” in odontoiatria ed. Masson 1999

il suo staff o anche la segretaria ci stannoantipatici o non ci sentiamo accolti abbia-mo maggiori resistenze! Allo stesso modo, più l’ambiente cheviene proposto è pulito, confortevole emette a proprio agio (il che implica diffe-renti scenari a seconda delle differentietà), più la persona si sente a casa propriae avrà meno resistenze ad andare a farsicurare o a continuare il mantenimento.

Da ricordare è che l’identità dell’individuoderiva in gran parte dell’internalizzazionedel ruolo, che agisce quindi come uno“schema disposizionale” (Biddle 1986), ocome prototipi (Salvini 1995), cioè queicaratteri personologici che vengono asse-gnati ai membri rappresentativi di unacategoria sociale. Quindi il carattere e lapersonalità sono plasmati dal ruolo cheassumi. Per ciascun momento della vita eper ciascuna situazione la cultura fornisceun “copione”, un insieme di regole a cuiconformare il proprio modo di comportarsi.Esistono grandi differenze di ruolo legateal genere sessuale e al contesto sociale,che consentono la creazione di schemi diruolo e sociali di riferimento diversi, che aloro volta producono effetti diversi nellapercezione della persona stessa. Ognuno di noi possiede schemi mentaliche utilizziamo di continuo quando incon-triamo una persona. Lo schema è formatoda informazioni che abbiamo effettiva-mente udito e dai particolari aggiuntidalla nostra immaginazione. Spesso èmolto difficile modificare le prime impres-sioni perché tendiamo a interpretare lenuove informazioni in modo coerente con

svolgere un ruolo fondamentale nella suc-cessiva collaborazione del paziente altrattamento."8

Infatti, il cliente che vive l’attuale momen-to storico: - accetta sempre meno un rapporto di

sottomissione con chi è fornitore delservizio, ma si pone come interlocutoreattivo;

- ha un atteggiamento critico verso laqualità e l’efficienza dei servizi;

- chiede soprattutto un rapporto profes-sionale di consulenza;

ed è soddisfatto quando: - è riconosciuto come persona; - il suo problema viene ritenuto impor-

tante; - ha la percezione che l’operatore si atti-

vi per lui. In conclusione, quindi, non bisogna pen-sare solo al contenitore, cioè a come farapparire lo studio, ma anche al contenuto,cioè l’aspetto più prettamente umano. Èimportante tener conto delle percezionireciproche, delle aspettative a cui si deverispondere e al costante livello di corteseattenzione che bisognerebbe mantenere.È utile, ancora una volta, ribadire l’impor-tanza di una corretta comunicazione, per-chè un messaggio ambiguo o una perce-zione sbagliata di atteggiamenti o comu-nicazioni può diventare cruciale nella curae nella partecipazione ad essa. Bisognasempre fare i conti con chi ci sta di frontee i diversi ruoli che riveste.È abbastanza diffusa l’idea che il dentistafa paura, che ha fretta e quindi che non saascoltare. Ma spesso questo è frutto solodi uno stereotipo. Perciò se l’odontoiatra,

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nostre virtù. E vogliamo anche appariresinceri, per non dare l’idea che stiamofacendo un’esibizione teatrale o cercandodi ingraziarci gli altri.In linea con queste esigenze umane, nonpossiamo dimenticare la gerarchia deibisogni di Maslow, che distingue le moti-vazioni in:- fisiologiche- di sicurezza- di affetto e appartenenza- di stima- di autorealizzazioneLe prime sono di ordine primitivo, legatealla sopravvivenza, i livelli successivi sonolegati all’esperienza sociale e relazionalee all’emergere di quei bisogni nei quali sirealizza la natura umana. La gerarchianon è rigida ma aperta a modulazioniindividuali e il comportamento è determi-nato da più bisogni contemporaneamen-te.La salute e il suo mantenimento sonomotivazioni primarie, ma che molto spes-so vengono influenzate dal contestosociale e operativo che ci circonda.Ma l’uomo è dotato anche della possibili-tà di scelta (per Bandura si tratta di“apprendimento osservativo”) e ciò signi-fica che l’uomo è e deve essere l’attoreprotagonista del proprio futuro e del pro-prio modo di essere. E proprio in tale dire-zione andrebbe diffusa una cultura delbenessere e della salute dove al centro viè il paziente, come attivo attore e fruito-re delle proprie cure e del mantenimentodel suo stato di salute.

il nostro schema. Per esempio, il nostrosorriso può apparire amichevole a chi ciritiene simpatico, arrogante a chi pensache siamo presuntuosi e falso per chi nonha fiducia in noi.Se il dentista ci sorride, è perché è effetti-vamente gentile e cortese o perché cercasolamente di indurci a fare quello chevuole lui?

Per McClelland ci sono tre principali ten-denze motivazionali dell’agire umano:- successo: bisogno di perseguire l’eccel-

lenza e raggiungere standard elevati diprestazione in ciò che si fa

- affiliazione: bisogno di porsi al centro direlazioni affettive, di dare e riceveresolidarietà e sostegno

- potere: tendenza a ricercare prestigiosociale, autorità, posizioni di dominiosugli altri.

Questi possono essere riassunti nel roger-siano bisogno di considerazione positiva,cioè il desiderio di essere accettato eamato dalle persone significative; bisognoche poi viene esteso a tutti gli aspettidella nostra vita.La tendenza di ogni essere umano è, infat-ti, quella di offrire agli altri una buonaimmagine di se stessi. Vogliamo apparireattraenti, amichevoli, competenti, razio-nali, affidabili e onesti, perché sappiamoche gli altri saranno più propensi a colla-borare se vedono in noi queste qualitàanziché il contrario. Vogliamo appariremodesti, in modo che gli altri pensino cheminimizziamo, anziché esagerare, le

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4. LA GESTIONE DELLE RELAZIONI DI STUDIO

tamenti, ma prima di iniziare il dentistadovrebbe spendere del tempo con lui, siaper capire le sue condizioni di salute gen-erale, sia per capire qual è il suo statopsichico. L'odontoiatra, d’altro canto, nondeve diventare uno psicologo di secondoordine, né gli viene chiesto di prendereeccessivamente parte alle problematichedei pazienti, ma non può neanche com-portarsi come un automa, che esegue illavoro, riceve l’onorario e basta.Inoltre spendere tempo col paziente, ciaiuta a capire anche quali risultati egli siaspetti dal nostro intervento terapeutico;ricordiamo che il dentista, come ichirurghi plastici, quando opera nelcampo dell'estetica, ha l'obbligo del risul-tato e non solo del comportamento cor-retto; per cui, in questi casi è utile spie-gare ai pazienti tutto in modo chiaro esemplice prima di fare qualsiasi cosa eacquisire il consenso informato.

4.2 La prima visita

L’organizzazione della prima visita rappre-senta sicuramente un momento di fonda-mentale importanza nell’instaurazione diun corretto rapporto tra il paziente e lastruttura odontoiatrica a cui si sta rivol-gendo. Il contatto telefonico tra paziente

4.1 Il tempo

Abbiamo già accennato all’importanzadel tempo da destinare al paziente: lamedicina moderna non è attualmente ori-entata a preoccuparsi solo ed esclusiva-mente della malattia del paziente, maanche di come egli viva la propria con-dizione di malato. Uno dei bisogni fondamentali del pazienteè essere ascoltato: serve tempo da dedi-care alla comunicazione, tempo per infor-mare sulla patologia e spiegare le terapieriabilitative, tempo per acquisire il consen-so informato ai trattamenti, così comeprevede anche il nostro CodiceDeontologico, con l’art.33. Per scoprire come il paziente che abbiamodavanti stia vivendo questa condizionedisponiamo di due mezzi: l'ascolto attivodi ciò che riferisce il paziente e la comuni-cazione efficace. Il trattamento miglioreresta quello di perdere un po’ di tempo colpaziente, fargli domande aperte, che glidiano la possibilità di spaziare, può essereutile per capire come si sente, che tipo didolore o disagio prova e come eventual-mente affronterà la terapia. Nell'odontoiatria, per quel che riguardal'esecuzione tecnica del lavoro che il den-tista si appresta a fare, il paziente non hamolte possibilità di parlare durante i trat-

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e studio è infatti il primo biglietto da visi-ta. Normalmente il paziente che si rivolgead uno studio per la prima volta lo fasotto consiglio di un conoscente; durantela sua presentazione telefonica, tenderà asottolineare quando e da chi è stato invi-ato: è importante quindi che questa indi-cazione venga riportata sull’agenda degliappuntamenti in modo tale che quandoverrà accolto, nell’ambito della primaseduta clinica, lo si faccia nel modo piùpersonalizzato possibile. È una gentilezza di poco conto, ma cheserve ad alleggerire la tensione e la pre-occupazione che generalmente accompa-gnano il paziente quando si presenta almedico. In genere, in questa occasione,viene consegnata una lettera di presen-tazione dello studio, con la quale si por-tano a conoscenza le finalità dell’ambula-torio odontoiatrico al quale si è affidato.Si deve mettere in risalto l’importanza cheriveste una corretta diagnosi, ma va anchesottolineato che senza un’adeguata col-laborazione difficilmente si potranno rag-giungere degli obiettivi terapeutici soddis-facenti. La comunicazione interpersonale, faccia afaccia e/o telefonica, rappresenta il mezzopiù efficace che gli operatori hanno a dis-posizione per poter entrare in contattocon la percezione delle singole persone econ le loro emozioni, per poter capire efarsi capire.T.Gordon (1991), grande studioso dicomunicazione fra i teorici dell’ascoltoattivo, individuò una serie di errori che siinstaurano nella comunicazione pregiudi-candone la funzionalità.

Questi sono:1. Esortare e far moralismo2. Ordinare, comandare3. Persuadere con ragionamenti4. Interrogare5. Analizzare e interpretare6. Rassicurare7. Ridicolizzare, umiliare8. Complimentarsi9. Dare soluzioni e consigliMa bisogna anche aggiungere: Giudicare,Etichettare.Da qui se ne deduce che bisogna sempreprestare attenzione alla scelta lessicale:infatti, da un lato il linguaggio tecnico puòportare ad un’autorità di ruolo, ma dall’al-tro lato si rischia di cadere in un’eccessivainfantilizzazione. È auspicabile quindi uti-lizzare un vocabolario familiare e frasicorte, riformulare i concetti per accertarsiche l’altro abbia capito e quindi sollecitar-lo ad interagire. Molto importante è la scelta di procederecon domande aperte o domande chiuse,soprattutto quando si procede alla raccol-ta delle informazioni anamnestiche.Una domanda chiusa riduce lo spaziodella conversazione ad assensi o dinieghio risposte sintetiche a domande determi-nate: es. Dove? Quando? Chi?La domanda aperta invece sollecita il bisog-no di spiegare, aggiungere, particolareggia-re: es. E quindi? Come? Cosa pensi?Il colloquio con qualsiasi paziente com-porta un difficile equilibrio tra l'ascoltodel racconto libero, della storia clinica edil tentativo di ottenere informazioni utili afini diagnostici.In tal modo è possibile creare un rapporto

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più stabile, consentire una maggiore dis-cussione e fornire al paziente la possibilitàdi guadagnare fiducia e rassicurazione sulfatto che l’interesse del medico sia rivoltoalle sue condizioni di salute generale enon solo a quella del cavo orale. Il colloquio ideale, secondo i maggioriesperti nel settore, risulta quindi esserequello in cui il medico inizia con domandeche permettono una risposta libera edampia, per poi concludere con quesiti piùspecifici e dettagliati. Le domande arisposta libera indefinita stimolano un'es-posizione spontanea, ma possono con-durre a risposte non sempre riproducibili,scarsa precisione, bassa affidabilità escarsa utilità diagnostica. Al contrario, ledomande a risposta circoscritta e definitaguidano il paziente, limitano l'argomento,risultano più chiare, riguardano argomen-ti ben definiti dall'interlocutore. Alcunipazienti preferiscono esprimersi libera-mente e detestano essere costretti a darerisposte dicotomiche (sì/no); altri pazientistanno sulla difensiva e si sentono insicuriquando sono posti di fronte a domandetroppo generiche ed ambigue, mentrepreferiscono rispondere a domande piùcircoscritte e chiare.Il colloquio risulta essere anche impor-tante per l’identificazione di tutti gliaspetti psicologici ed emotivi: per esem-pio, l’ansia, che è una delle componentipsicologiche più comuni rintracciabili neipazienti, non deve essere necessaria-mente considerata come una patologia.Questo stato d’animo può essere facil-mente superato dedicando al paziente untempo maggiore per rassicurarlo, moti-

vando ogni passaggio terapeutico, comu-nicando sempre con chiarezza e semplic-ità. Riuscire ad instaurare con il paziente uncorretto rapporto fiduciario fin dall’inizioè alla base del successo terapeutico.

Dalla prima visita nasce il Piano di cura,che comprende l’elenco di tutte le azioniche l’operatore clinico individua comenecessarie per risolvere il problema dellamalattia orale del paziente che ha visita-to. L’elenco delle azioni non procede nec-essariamente secondo la sequenza logicache l’operatore applicherà in sede di trat-tamento, ma è semplicemente unasomma di azioni. Da esso scaturisce il pre-ventivo, che è il prezzo finale risultantedalla somma delle voci di listino di tuttociò che è elencato.Il Piano di trattamento nasce invece solodopo l’accettazione del preventivo daparte del paziente e interessa la sequenzalogica delle azioni cliniche che l’operatoreprefigura e stabilisce per condurre a ter-mine l’intera azione della cura. La formu-lazione del piano di trattamento personal-izzato sta alla base del successo dello stu-dio odontoiatrico inteso come Azienda. Inquesta sede, devono essere valutate tuttele patologie del cavo orale, la salute gen-erale e gli aspetti socio-economici e cul-turali del paziente; non minore importan-za ha la componente psicologica.L’instaurazione di un rapporto di fiduciasereno e basato sul reciproco rispetto trail paziente e il medico è alla base diqualunque tipo di metodo di cura. Il trat-tamento odontoiatrico, essendo multidis-

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ciplinare, presenta delle difficoltà intrin-seche molto elevate, non ultima la neces-sità di utilizzare diversi consulenti su ununico paziente. Un altro problema, più dinatura gestionale, è rappresentato dallavariabile tempo, sia delle singole seduteche del trattamento nel suo insieme. Perridurre al minimo gli errori di valutazionedel caso clinico, errori che si riper-cuoterebbero sulla gestione del paziente esull’organizzazione dello studio, è neces-sario seguire un iter omogeneo daadottare su tutti i pazienti.

Potremmo suggerire quindi, come approc-cio verso un nuovo paziente, di spenderela prima visita, come già detto, a dialoga-re: indagare sul motivo della visita, sullastoria clinica medico-odontoiatrica, sueventuali spiacevoli precedenti dentisticiche possono aver influenzato negativa-mente la persona. Compiliamo cosìl’anamnesi presente e remota del pa-ziente, lo conosciamo in modo più appro-fondito, senza creare un approccio di tipoapprensivo, ma instaurando un rapportodi conoscenza e fiducia reciproci. Se infat-ti è importante che il paziente si fidi deldentista, è anche vero che pure l’odon-toiatra deve sapere la tipologia di personacon cui avrà a che fare (se ansioso, tran-quillo, sbrigativo, ecc) così da poter piani-ficare al meglio modalità e tempistica ditrattamento. Sempre durante la prima visita dovremmospiegare cosa ci appresteremo a fare nellesedute successive, permettere al pazientedi esporci i suoi dubbi e rispondere allesue domande.

In un secondo appuntamento potremmopoi valutare gli esami che il paziente, nelfrattempo, avrà eseguito su nostra richies-ta (esami ematologici, OPT, TAC, ecc),spiegarglieli e discutere con lui del pianodi trattamento, esponendo eventualidiverse alternative, dal punto di vista ter-apeutico ed economico, e lasciando l’ulti-ma decisione alla volontà del pazientestesso. Se ci troviamo di fronte una per-sona collaborante, se abbiamo tempo adisposizione, possiamo eseguire ancheuna prima ablazione del tartaro. Nelle sedute successive partiremo con ilpiano terapeutico, sempre esponendo inmodo chiaro e preciso cosa ci accingiamoa fare, gli strumenti e i materiali che user-emo, così da mettere il paziente nelle con-dizioni di immaginare cosa si aspetta enon trovarlo completamente estraneo alleprocedure applicate, ma tranquillo e bendisposto.

4.3 La comunicazionenello studio odontoiatrico:gli strumenti operativi

Proviamo a concretizzare i principali scopidella comunicazione negli studi odon-toiatrici, cercando di fornire, per ciascunodi essi, delle soluzioni per la suaattuazione:

1. Aumentare il numero di prestazioni cheuno studio dentistico desidera effet-tuare, in modo da sviluppare i ricavi.Le normative e le regolamentazionidell’Ordine limitano la possibilità di

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promuovere la propria attività da partedel professionista, ma, all'interno dellastruttura, può essere molto utile creareuna serie di documenti utili a informarei pazienti delle possibilità di risoluzionedei problemi rese disponibili. Questa documentazione, però, va messaa disposizione solo dei propri pazienti ese diviene vera e propria "informazionesanitaria", deve essere approvatadall'Ordine dei Medici.

2. Incrementare la notorietà e attrarrenuovi pazienti nello studio dentistico.In questo caso, insieme a classicheattività di comunicazione, vale la penadi ricordare quanto il passaparola posi-tivo, le cosiddette referenze attive,possa essere di aiuto per l'aumentodella notorietà di qualsiasi attività eco-nomica.Naturalmente un paziente soddisfattodei trattamenti (e del trattamento) rice-vuti si attiverà autonomamente a par-lare in positivo dello studio presso ilquale si è recato per curarsi, spessoconsigliandolo ai propri conoscenti. Ciòinnesca quel circolo virtuoso indispens-abile allo sviluppo, soprattutto nelleattività professionali.

3. Coltivare pubbliche relazioni. L'attitudine del professionista a crearealleanze, entro i limiti deontologici con-sentiti, e legami interpersonali con altrisoggetti (medici di base, pediatri, far-macisti, insegnanti, istituzioni, ecc.) èstraordinariamente importante peraumentare la notorietà, che può essere

sviluppata anche all'interno del settoreattraverso corsi, congressi, articoli,eccetera.

4. Fidelizzare i clienti.L'uso delle strategie di comunicazione èfondamentale affinché i pazienti e le lorofamiglie rimangano fedeli allo studio,tornino per i controlli periodici e si rivol-gano a noi per eventuali future esigenze.Il paziente è generalmente fedele neltempo solo se realmente soddisfatto deltrattamento ricevuto. In questo caso lavalutazione è soggettiva e dipende dalrapporto tra aspettative, frutto di ciòche abbiamo promesso e che il pazientevoleva ottenere, e la qualità percepitadelle prestazioni erogate.Un ruolo veramente centrale è svoltoanche dall'attenzione di tutto il teamverso la soddisfazione del paziente edalle attività di richiamo, ormai prati-cate dalla maggior parte degli studi.

5. Rafforzare l'immagine dello studio.Rafforzare l'immagine di uno studiodentistico è sempre fondamentale,soprattutto quando si vuole apparirecoerenti con il livello qualitativo delleprestazioni ambulatoriali.I mezzi di comunicazione adatti inquesto caso sono molti: dall'ambientedella sala di attesa (pregiato, ultramod-erno, sofisticato, alla moda, pratico, gio-vanile, ecc.) alla reception, alle saleoperatorie: nulla va trascurato o tralas-ciato.In questo caso è importante definire amonte la sensazione, l'impressione che

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si vuole trasmettere, in coerenza con iltipo di target al quale ambiamo.In pratica se il nostro obiettivo è soprat-tutto la famiglia con bambini, non solosaremo così organizzati per erogareortodonzia, pedodonzia, logopedia,ecc., ma l'ambiente dovrà essere con-sono alle aspettative e alle esigenze deipazienti, con giochi, e aree per darespazio alla creatività dei più piccoli.Se, viceversa, i nostri pazienti sonoquasi tutti di età avanzata e di alto liv-ello socioeconomico e lo studio, condecenni di attività alle spalle, intendecontinuare a preservare l'immagineconsolidata, non solo saranno maggior-mente sviluppate le attività protesiche,implantologiche, ecc., ma l'ambientesarà probabilmente sobrio elegante eclassico, pur senza rinunciare alla tec-nologia.

6. Incrementare la credibilità.Il layout e gli arredi sono solo una leva,l'immagine è fortemente condizionatadall'igiene, dall'atmosfera, dall'ab-bigliamento e da tutti quei fattori chefanno parte del "saper essere" del pro-fessionista e del suo team.Aumentare la credibilità è possibile,oltre che tramite l'ottima pratica med-ica e un'immagine coerente con essa,ancora una volta tramite le pubblicherelazioni.È d'obbligo, però, affermare che essa èsoprattutto conseguenza del rapportotra tutti quegli atteggiamenti, modi diagire, di comunicare che lo studio adot-ta nei confronti del mondo esterno

(pazienti, fornitori, associazioni) e glieffettivi risultati ottenuti.I comportamenti, le terapie e quella chein gergo viene chiamata la "promessadi base" devono soddisfare le aspetta-tive dei nostri interlocutori.La credibilità è quindi raggiungibile nelmedio periodo soprattutto in funzionedell'attività sviluppata dallo studio.

4.4 L’ergonomia dello studio

Lo studio odontoiatrico potrebbe esserecosì organizzato: - Ingresso e sala d’attesa: ampia e

accogliente, con una o più postazioniattrezzate per l’intrattenimento delpaziente: una dotazione di arredi,oggetti, giocattoli per i piccoli, ecc. Sipotrebbe dire che la cura odontoiatricacomincia dalla sala d’attesa e che ques-ta è una fase importante, che puòinfluenzare positivamente o negativa-mente il successivo momento terapeuti-co: qui si pongono le premesse permigliorare fiducia e collaborazione delpaziente.

- Segreteria/reception: può essere sem-plicemente un banco attrezzato, in unangolo o comunque in vista in sala d’at-tesa, una postazione sempre “presidia-ta” dal personale della struttura che,oltre a curare la pianificazione delleattività, rappresenta anche un costanteriferimento per i pazienti.Ufficio: anche piccolo, per la compi-lazione e archiviazione delle cartellecliniche, la gestione dei dati, lo studio e

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la ricerca bibliografica, ed anche perassicurare un distacco dalla normalevita della struttura, quando occorra unpo’ di quiete e concentrazione.

- Zona operativa: proporzionata alle pre-visioni di affluenza e al bacino di uten-za della struttura, potrà disporre di unao più postazioni di lavoro, in una o piùaree destinate. Accessori alle pareti,quadri, poster, disegni fatti dagli stessipiccoli pazienti, contribuiranno a creareun contesto rassicurante e conferirannocomfort visivo.

- Sala di sterilizzazione: è adiacente allazona operativa, collocazione ottimaleper logistica, tempestività, disponibilitàimmediata del materiale sterilizzato. Lasalvaguardia dell’asepsi, per manteneresotto controllo i rischi di infezione senzalasciare nulla al caso, diviene così lanormale ed ergonomia modalità dilavoro.

- Servizi e locale per disabili: sarà vicinoalla sala d’attesa, in posizione tale daconsentire un facile accesso ed una pri-vacy adeguata.

È ovviamente necessario rispettare la con-formità alle leggi e i regolamenti relativiai requisiti edilizi e strutturali per le attiv-ità sanitarie, facendo riferimento all’ASLlocale.

4.5 l’approccio con il bambino

Il compito più difficile dell’odontoiatrainfantile non è tanto comunicare con ilpiccolo paziente quanto con i genitori e

soprattutto con la madre. Infatti, nonbisogna dimenticare che fino ai 3 anni divita, da un punto di vista psicologico,madre e bambino costituiscono un’unità. Il primo approccio odontoiatrico al bambi-no è perciò a tre, ma deve essere trasfor-mato a due il più velocemente possibile:dovrebbe quindi essere limitata l’intromis-sione dei genitori nello studio, anche sericoprono un ruolo fondamentale nel dareindicazioni sulle informazioni generali disalute del piccolo.Una conoscenza di base del modo di com-portarsi con i bambini è importante per ildentista non solo per risolvere i problemicontingenti del trattamento, ma anche perpreparare lo sviluppo del paziente didomani. Le prime esperienze del bambinoinfluenzeranno l’opinione che da adultoavrà del dentista e il costituirsi di eventu-ali fobie.Piaget distingue quattro stadi dello svilup-po della personalità: - sensomotorio (0-2 anni): i bambini

imparano attraverso il gusto, il tatto, lavista e l’udito, mettere tutto in bocca èun modo per apprendere, per comuni-care. L’intelligenza è correlata alla rif-lessione.

- preoperazionale (2-7 anni): i bambinisono intuitivi ma l’intelligenza è rappre-sentata dalla percezione

- operazionale concreto (7-11 anni): ibambini analizzano i loro pensieri e uti-lizzano la logica di base e si chiedono sele loro percezioni sono vere.

- operazionale formale (11-15 anni): peri-odo caratterizzato dallo sviluppo massi-mo dell’attività intellettuale, viene svi-

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pano - l'ape, la sonda - la bacchetta).Durante i colloqui con i genitori, il dentistaviene a conoscenza dei dettagliriguardanti il bambino, quali giocattoliama, i suoi interessi, se ha un fratellino ouna sorellina, e simili, che poi userà nellacomunicazione con il bambino. Durantequest'approccio il dentista assume unatteggiamento amichevole nei confrontidel bambino. Se il bambino entra tropponel gioco, è irrequieto o batte i piedini aterra, il dentista con atteggiamento piùautoritario deve far capire al bambino distare calmo.L'instaurazione di un rapporto qualitativocol bambino richiede tempo e pazienza.Durante il primo incontro con il dentista, ilbambino dovrebbe sapere (in modo daacquisire fiducia) chi è “lo zio col camicebianco”, cosa farà ai dentini e perchè. Èimportante a casa giocare con il bambino,interpretare il ruolo del dentista e con unpiccolo specchietto controllare i suoidenti, insegnargli a tenere aperta labocca, a sciacquarla ecc. È inoltre utilepreparare il bambino ai vari suoni chesentirà nell'ambulatorio.Non bisogna attendere troppo a lungo perla prima visita dentistica: le prime visitedal dentista non devono constare di con-trolli dettagliati o qualsiasi altro interven-to ai denti, durante i primi incontri (giàdopo il primo anno d'età il bambino puòiniziare a conoscere l'ambulatorio dentis-tico) il bambino incomincia a conoscere ildentista e il personale e ad instaurare leprime relazioni. Per favorire questoprocesso è necessaria una forte collabo-razione tra le parti: il bambino può essere

luppata l’abilità di pensare in modoastratto.

La conoscenza dello sviluppo intellettualedel bambino da parte dell’odontoiatra èmolto importante perché se diciamo ad unbambino di quattro anni “siediti e staifermo altrimenti ti posso trapanare latesta” non avrà una risposta come unbambino di undici anni: quest’ultimocapirà il senso dello humor del dentista,essendo nella fase operazionale concreta,a differenza di quello più piccolo, che puòessere spaventato a morte, in quanto aquesta età prendono per vero tutto quan-to dicono gli adulti. Nello studio dentistico i bambini si com-portano in diversi modi: alcuni sono calmie di solito guardano timidamente, altri siaggrappano impauriti ai genitori.Instaurare una comunicazione con il bam-bino in ambulatorio è particolarmente dif-ficile; i bambini sono restii a risponderealle domande, solitamente gridano e rifiu-tano di aprire la bocca. Il dentistadovrebbe acquisire la fiducia del bambinoin tal misura da consentire ai genitori dirimanere fuori dall'ambulatorio dentistico.Quando i genitori sono fuori dall'ambula-torio, il bambino è dedicato completa-mente al dentista. Si presuppone che ilbambino un giorno andrà da solo dal den-tista e quindi è meglio abituarlo già daiprimi giorni.Nell'instaurazione di un rapporto di fidu-cia, il dentista innanzitutto spiega al bam-bino tutto quello che gli interessa e attra-verso il gioco lo porta a conoscenza deglistrumenti, per gli apparecchi usa espres-sioni adeguate ai bambini (ad es. Il tra-

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9 a cura del dott. Di Chicco Giuseppe - Spec. in Ortognatodonzia. Reparto di Pedodonzia - II Università deglistudi di Napoli

nel dentista né nelle sue capacità ter-apeutiche.

- autoritario che dà carta bianca ma pre-occupato: il dentista è il taumaturgo,chi fa miracoli riparando i guasti realiz-zati in anni di trascuratezza. Quando ilbambino si accorge che il miracoloavverrà lentamente, può agire negativa-mente senza collaborazione.

- operativo: è chi vive l’esperienza odon-toiatrica tragicamente e pretende arisoluzione di ogni problema e non sirende conto che tutto ciò spesso è ilrisultato dell’educazione impartita oche si tratta di un bambino costante-mente sull’orlo dello scompensopsichico.9

Molti bambini cominciano la dentizioneintorno ai 4 - 6 mesi di vita. Tale periodo èperò molto variabile; infatti sono statiriportati bambini nati già con un dente inbocca, mentre altri possono compiere ilprimo anno di vita senza ancora alcundentino.L’eruzione di tutti i denti decidui (di latte)è completa, di solito, verso i 2 anni emezzo di età.Le patologie che colpiscono i bambini inetà pediatrica sono essenzialmente dinatura traumatica o infettiva. Questieventi possono creare problemi alla for-mazione dei denti permanenti. Lo smaltodella radice del dente da latte viene intac-cato direttamente sia dal trauma sia dal-l'infezione. Quindi è molto importanteprevenire soprattutto la complicazionesettica dei denti da latte per evitare l'in-sorgenza di spiacevoli inconvenienti suidenti definitivi.

“imbrogliato”, per gli intenti amichevolidel dentista.In base a quanto detto possiamo dis-tinguere i diversi caratteri del bambino edel genitore:- collaborante: non dà problemi, si lavora

con tranquillità ed è fiducioso in tuttociò che gli viene fatto.

- collaborante ma sotto tensione: collab-ora, è attento, ma vive l’esperienzasotto stress continuo, collaborare è fati-coso e alla fine si stringe in un piantoliberatorio.

- ribelle: possiede i requisiti per collabo-rare, ma vuole mettersi in mostra,risponde mala, è ribelle. Bisogna farglicapire che non è a casa sua e che chicomanda è il dentista!

- pauroso: è quello che ha veramentepaura e non si può iniziare nessun trat-tamento se prima non si è superatoquesto stato.

- apprensivo: chiede spiegazioni, tenten-na, cerca di prendere tempo, tuttiatteggiamenti che possono poi sfociareanche in un diniego.

- emotivo: è imprevedibile, molto legatoai genitori e non hanno sviluppato unapersonale linea di condotta.

- tipologia del genitore ragionevole: rap-presenta l’optimum poichè con la suacalma può rimuovere gli ostacoli psico-logici latenti nel bambino e aiutare asuperare eventuali ostacoli.

- cortese ma ansioso: è una falsa calmache può generare indecisione che siripercuote sul bambino. Non ha saputointercettare o prevenire il problema delfiglio, non sa riporre la propria fiducia

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Se il bimbo ha problemi dentari, nonbisogna esitare a portarlo dal dentista. Levisite odontoiatriche si possono effettuarea partire dal quinto anno di età e poi sidevono svolgere a intervalli regolari.Infatti, eseguendo delle semplici visite inetà infantile, si possono risolvere problemiesistenti (carie da denti da latte) eimpedire l'insorgenza di problemi più pre-occupanti per la crescita futura del bambi-no (carie dei denti permanenti).Con l’aiuto del pediatra è possibile dis-tinguere i veri sintomi legati all’eruzionedei denti, in modo da evitare confusionecon segni secondari ad altre malattie.È opportuno verificare, comunque, che isintomi che il bimbo presenta siano real-mente dovuti alla dentizione, per nontrascurare altre possibilità. È quindiimportante tener presente che la den-tizione è un processo fisiologico che dàpochi disturbi che recedono nel giro dipoche ore o giorni.È possibile tentare questi accorgimenti:- Avere pazienza. Si cerchi di dedicare più

tempo a giocare e coccolare il propriobambino.

- Aiutarlo con l’uso di analgesici.- Disporre di oggetti da mordicchiare.

Questo passatempo provoca sollievo albambino, perché la compressione gen-givale attenua il dolore. È necessaria,però, la supervisione di un adulto perevitare che il bimbo possa provocarsi ilvomito o soffocare.

Da un punto di vista pratico, dunque, laprima visita dovrebbe essere finalizzataalla sola conoscenza, per conquistare la

fiducia del nostro piccolo paziente edeventualmente iniziare un approccioodontoiatrico. I problemi insorgono inveceagli appuntamenti successivi, nel momen-to in cui si intende cominciare la terapia.Un ostacolo frequente è rappresentatodell'anestesia, rifiutata categoricamenteda molti bambini. Se per le carie piccole,potrebbe non rendersi necessaria, peraltre operazioni risulta indispensabile.Inoltre ogni soggetto ha una sua tollera-bilità al dolore, per cui su alcuni è possi-bile lavorare senza anestesia, magariaddirittura arrivando vicino a un cornettopulpare; mentre altri piangono anche solotoccando lo smalto. I bambini poi nonsanno distinguere le diverse sfumature deldolore, per questo potrebbero lamentarsisemplicemente per un fastidio. Una regola basilare nel rapportarsi coibambini è quella di non raccontare maibugie, o peggio prenderli alla sprovvista.Bisogna sempre dire la verità, natural-mente con parole e contenuti adatti allaloro età. Non mentire nemmeno sui tempi:se, per esempio, affermiamo cheimpiegheremo “cinque secondi” per unadeterminata manovra, questi dovrannoessere reali, soprattutto se il nostro oper-ato provoca dolore. Una tecnica operativa molto efficiente èquella denominata “tell-show-do”, cheprevede le tre fasi in cui prima si spiegaciò che ci si appresta a fare, poi si mostra-no gli strumenti che saranno usati edeventualmente si fanno vedere in azione,infine si attua l’operazione in bocca: inquesto modo evitiamo di mentire e ciguadagniamo fiducia e rispetto del picco-

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lo paziente, dimostrandogli che lavoriamoper il suo bene. Inoltre, come già detto, èassai utile parlare col bambino, chieden-dogli informazioni anche sulla famiglia, gliamici, la scuola, e fornendone, di contro,alcune sulla nostra vita privata, così dainstaurare quel rapporto di “parità” di cuigià si è discusso e nello stesso tempo met-tere il soggetto a proprio agio sullapoltrona del riunito. Una volta terminatol’appuntamento, si può dare al bimbo unpiccolo regalo (figurine, pupazzetti,caramella senza zucchero…): un piccoloinvestimento che si rivelerà utile nellafutura economia dello studio, poiché ciaiuterà a non perdere il paziente.Altro fondamento: i genitori non devonoessere presenti, se non alla prima visita.Agli appuntamenti successivi, come abbi-amo precedentemente accennato, dovran-no aspettare in sala d'attesa. I bambini,infatti, se ci sono i genitori, tendono adappellarsi a loro, a fare capricci, tentandodi tutto per evitare di affrontare la situ-azione. Se il bambino riesce pian pianobasarsi sulle proprie forze e a farsi corag-gio, può diventare un ottimo paziente e lorimarrà anche da adulto. Se invece rifiutail trattamento categoricamente, piange enon collabora, sarebbe inutile costringerlocon la forza, implorarlo o peggio interpel-lare i genitori per imporgli il trattamento.Dopo avergli spiegato che i denti che nonha voluto curare potranno causarglidolore, va rimandato a casa, ricordandogliperò che nel momento in cui deciderà dicurarsi potrà tornare, ovviamente con l’in-tenzione di collaborare. In questo caso ilbambino viene responsabilizzato: sarà lui

a decidere cosa fare. Nel caso in cui tor-nasse in un secondo tempo, sarà nostrocompito accertarci che abbia deciso inprima persona di sottoporsi alle nostrecure e non che sia stato convinto ocostretto dai genitori. Il bambino a questo punto potrà ripresen-tarsi, mostrando di essere motivato epronto a collaborare: sarà sicuramente unottimo paziente. Oppure potrebbe nonpresentarsi più, segnalando così di nonessere ancora psicologicamente in gradodi sottoporsi alle cure; nonostante ciò, nondobbiamo forzarlo, ma attendere che sia ilbambino stesso a chiedere ausili odon-toiatrici: solo in questo caso potremoavere piena compliance, duratura neltempo.

4.6 L’approccio con il disabile

L’odontoiatria per disabili rappresentaattualmente una branca odontoiatrica diestrema attualità in relazione all’acquisitaconsapevolezza del massimo impattodella salute orale sullo stato di salute gen-erale e sulla qualità della vita, in partico-lare in questa fascia di popolazione.Per i diversamente abili una semplicissimaseduta odontoiatrica può rappresentareun dramma, un ostacolo che a volte puòessere insormontabile. Il tutto dipendedalla capacità del paziente di riuscire acontrollarsi e stare fermo. Si parla di“Odontoiatria Speciale”: ciò che la rendetale è la capacità di modulare le modalitàdi approccio al paziente, arrivando ad uti-lizzare tecniche di controllo sperimentale

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con grado di soddisfazione crescente, chepossono giungere fino all’utilizzo del-l’anestesia generale nei soggetti non col-laboranti. La presenza di limitazioni moto-rie e/o psichiche determina un ostacoloverso l’esecuzione delle normali oper-azioni di igiene e prevenzione. Tali pazien-ti necessitano di essere istruiti ed assistitidurante queste manovre.Lo strumento principe nel trattamento èrappresentato dalla prevenzione. Questaattività deve essere instaurata il più pre-cocemente possibile, cioè alla com-parsa/diagnosi della patologia invalidantedi base. È solo tramite una serrata attivitàpreventodontica che si può sperare dimantenere basso il livello di incidenza dipatologia odontoiatrica e di conseguenzabassa la necessità di trattamenti, con tuttii rischi che essi comportano specie neisoggetti non collaboranti.L’attività di prevenzione assume un’im-portanza talmente elevata da renderenecessaria una sua instaurazione quantopiù precocemente possibile. E quando sidice precocemente si intende che siainiziata immediatamente alla comparsadell’handicap stesso. È molto importante prestare attenzioneall’”effetto alone” che porta a sottoval-utare alcune problematiche, come quelleodontoiatriche, in favore della patologiapredominante. È infatti esperienza comuneche nel momento in cui viene diagnostica-ta una patologia invalidante, quale essasia, l’attenzione dei familiari è inizialmenterivolta verso gli aspetti specifici dellapatologia stessa tendendo a trascuraretutti gli altri ambiti.

L’ISTAT stima la presenza in Italia di circa2.700.000 soggetti, sopra i sei anni, conuna qualche forma di disabilità. Nellastragrande maggioranza dei casi questesono persone che hanno difficoltà adaccedere ad un trattamento odontoiatricosia esso semplice o complesso, per unaserie infinita di fattori. Si possono infatticitare problemi legati all’accessibilitàdelle strutture, alla gravità della patologiache li affligge, al timore dell’odontoiatradi non essere all’altezza e di non sapertrattare questi pazienti, alla paura delleloro reazioni durante le sedute operative.L’incidenza della patologia odontoiatricanon aiuta: molti soggetti presentanoimportanti limitazioni motorie e/opsichiche e le normali operazioni di igienee prevenzione sono enormemente ostaco-late. I pazienti necessitano di essere istru-iti ed assistiti durante tali manovre equesto comporta, in caso ciò non avven-ga, un aumento della patologia odon-tostomatologica, quale l’incidenza di cariecon le sue complicanze e di malattia par-odontale.Naturalmente il trattamento di questipazienti non può non tenere conto dellelimitazioni imposte dalla disabilità delsoggetto poiché, se da un lato non èumanamente, professionalmente e deon-tologicamente corretto rifiutare di cimen-tarsi con questi pazienti, dall’altro non ènemmeno corretto non voler ammetterela sussistenza di molte limitazioni.Questo particolare aspetto della tematicainevitabilmente si riflette sulla qualitàintrinseca della prestazione che puòvenire erogata, la quale non sempre potrà

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raggiungere gli standard qualitativi cheriteniamo ottimali nel lavoro quotidianosu pazienti tipici.Questi pazienti vengono distinti in collab-oranti, parzialmente collaboranti e noncollaboranti. Questa prima classificazioneindirizza il tipo di prestazione terapeuticaverso un regime ambulatoriale, nel caso diun indice di collaborazione maggiore, o innarcosi, quando la collaborazione èassente o scarsa.Se il paziente è collaborante, è sufficienteche esso lavi in modo scrupoloso e accu-rato i denti e la lingua dopo ogni pasto. E'consigliato l'uso di spazzolini con setole dimedia durezza modificando, se neces-sario, l'impugnatura in modo da renderepiù agevole il suo corretto utilizzo daparte di questi particolari soggetti. Infattile mani dei pazienti con questa sindromesono spesso piccole e corte e in questi casipuò risultare efficace inserire il manicodello spazzolino all'interno di una pallinada tennis che risulta più facile da tenerenella mano. Nel caso di pazienti poco collaboranti,possono essere impiegati spazzolini ditipo elettrico che non richiedendo doti diparticolare manualità, vengono utilizzaticon maggior facilità da quei pazienti condifficoltà a compiere movimenti fini, richi-esti per un corretto uso dello spazzolinomanuale. Nel caso invece in cui il paziente sia total-mente non collaborante, è necessario l'in-tervento di un genitore o di un familiareche si occupi di lui, eseguendo di personale manovre d'igiene orale. Non di minore importanza, è l’insegna-

mento delle tecniche di approccio psico-logico da adottare, non solo nei confrontidel paziente, ma anche verso il nucleofamiliare che influenza pesantemente lacollaborazione del disabile.L’attenzione alla comunicazione da partedel personale sanitario durante laprestazione è necessaria perché comuni-care al paziente disabile qualsiasi passodell’intervento, usando termini semplici,favorisce la collaborazione e l’abbassa-mento dello stato d’ansia. È molto impor-tante che la persona disabile si rendaconto di ciò che gli sta per accadere, a chepunto della seduta si trova; bisogna darglicontinuamente dei feed-back chiari. Sel’odontoiatra non conosce i suddetti siste-mi comunicativi, può richiedere la collab-orazione dei familiari e/o dell’operatore. Èveramente importante che s’instauri unbuon rapporto paziente - medico/igien-ista/infermiere - familiare/operatori, perincentivare nelle persone che si prendonocura della persona disabile la motivazionead essere costanti nella prevenzione,igiene e cura.Diventano perciò indispensabili interventieducativo-riabilitativi precisi e specifici:insegnare un corretto modo di lavarsi identi ad un nostro bambino, è un compitolaborioso perché la sequenza che deveapprendere richiede un certo tempo e l’in-tegrazione di più abilità (motorie, intellet-tive e psicologiche).Durante la programmazione dell’interven-to è importante tenere presente alcuneattenzioni particolari, ad esempio, lo spaz-zolino impiegato dovrebbe facilitare ilcompito e, soprattutto, non renderlo spia-

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cevole. Dovrà quindi essere delle dimen-sioni adatte per la bocca del nostrobimbo; le setole, inoltre, saranno morbideper non graffiare le gengive. Il dentifriciodovrebbe essere di sapore gradevole:assolutamente da evitare, all’inizio del-l’apprendimento di questa abilità, i denti-frici di sapore salato o che “pizzicano”sulla lingua.Inizialmente non è tanto importantescegliere il materiale più corretto dalpunto di vista igienico, quanto quello cherende più piacevole e meno faticoso l’ap-prendimento. Ci sarà tempo in seguito pertrovare lo spazzolino e il dentifricio idealidal punto di vista igienico.Se sono presenti difficoltà fini-motorie, sipuò decidere di far usare al bambino undentifricio con erogatore. Per semplificarel’azione dello sciacquarsi la bocca alla finedel lavaggio dei denti, possiamo mettere adisposizione del bimbo un bicchiere conl’acqua.Risulta quindi importante la presenza diun educatore come guida fisica e di unospecchio per compiere correttamente idiversi passaggi.Se la persona è ipovedente o non vede èpossibile fargli conoscere i vari passaggi,attraverso mano sopra mano, cioè le suemani sopra le nostre. Infine, ogni fasedella sequenza sarà accompagnata dabrevi e precise indicazioni verbali.Se la comprensione del linguaggio non èpossibile, le sequenze vengono comuni-cate attraverso codici non verbali.Alla fine di ogni lavaggio dei denti, il bam-bino deve poter accedere ad un rinforzo alui particolarmente gradito, ad esempio

ascoltare un po’ di musica, sfogliare unlibro illustrato, farsi raccontare una favola,e così via.I passi successivi del programma consis-teranno in una progressiva attenuazionedell’aiuto che l’operatore ha fornitoall’inizio.Spesso molti bambini non accettano corpiestranei all’interno della bocca, perché giàdalle prime ore di vita hanno avuto espe-rienze non piacevoli, come ad esempio ilsondino, il respiratore, ecc. Richiedonoquindi un’attenzione particolare e l’inter-vento educativo deve prevedere unapproccio graduale allo spazzolino.I primi apprendimenti avvengono conl’operatore che simula la situazione nel-l’ambulatorio dentistico e poi vi è l’inter-vento dell’igienista dentale o dell’odon-toiatra, in questo delicato passaggiobisogna far familiarizzare il bambino conl’ambiente fisico, lo si porta in prossimitàdegli strumenti dentistici, soprattuttodella poltrona. In questo ambiente siorganizzano attività rilassanti comegiochi, musica ed esercizi di rilassamentoadeguati alle caratteristiche dell’utente.Con procedure di shaping si dà gradual-mente forma ad alcune azioni preliminariquali avvicinarsi al lettino, sdraiarsi, aprirela bocca, tenere ferma la testa, tenere iltovagliolo al collo. A seconda delle situ-azioni viene fornita e poi ritirata la guidafisica, mentre si rinforzano tempi semprepiù lunghi di immobilità e di soppor-tazione della situazione. Nel trattare coidisabili poi ci si può rifare alle regole diapproccio comportamentale indicate per ibambini, tenendo però presente che il rap-

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porto età-capacità di comprensione variain base alla patologia del paziente. Si puòquindi applicare la tecnica “tell-show-do”spiegando al paziente ogni cosa, antici-pando rumori, odori, sensazioni, così da“prepararlo” alla successiva operazione. Importante è ascoltare il disabile, cercaredi capirlo e trasmettergli tranquillità eattenzione nei suoi confronti. Tuttavia,nell’ambito della relazione medico-paziente non si può stabilire a priori qualesia la figura ideale di medico e quali carat-teristiche debba avere perché anche ipazienti, e soprattutto quelli disabili, dif-feriscono notevolmente l’uno dall’altro. È bene, infine, documentarsi sulla patolo-gia che il nostro paziente presenta, così dapoter venire a conoscenza di eventualitipiche manifestazioni orali che dovrem-mo poi cercare nel cavo orale e teneresotto controllo.

4.6.1 La sindrome di down

Considerato il numero crescente di per-sone con Sindrome Down (SD) che vivonointegrate nella nostra società, è semprepiù probabile che la cura di una personaDown possa capitare a ogni odontoiatralibero professionista nella propria attivitàquotidiana.La maggioranza può essere trattata nellanormale prassi quotidiana, con minimiadattamenti o nessuno, anche dai dentisticon scarsa esperienza sui disabili.Gli obiettivi del trattamento dei pazienticon SD sono analoghi a quelli della nor-male popolazione. Si dovrebbe insistere

molto, naturalmente, sulle cure preven-tive.I piani di trattamento saranno adattati allivello di collaborazione individuale, mal'obiettivo comune dovrebbe essere lacura completa dell'apparato stomato-gnatico del paziente.I tempi di eruzione dentale sono in genereritardati nei pazienti con la SD, anche finoa due o tre anni rispetto al fisiologico peri-odo previsto nella popolazione generale ei denti erompono spesso in ordine diverso.È alta la percentuale dei denti mancanti(agenesie) e delle malformazioni dentali.I denti stessi, possono presentare irrego-larità, come microdonzia, e altre malfor-mazioni.È essenziale che l'igiene orale domiciliareinizi in epoca precoce nei bambini. Acausa del ritardo di sviluppo i bambinipotrebbero non essere in grado dieseguire un’adeguata igiene in un'età incui ci si aspetterebbe tale azione neicoetanei. I familiari o gli operatori addettialle manovre di igiene hanno il compito dimonitorizzare la sequenza dello spazzola-mento fino a che non risulta evidente cheil piccolo sa gestirla da solo. I genitoridovrebbero inoltre accompagnare i propribambini nello studio odontoiatrico a rice-vere le appropriate istruzioni di igieneorale dal personale specializzato: dentistae igienista dentale. Ciò è di grande aiutoanche a far conoscere al bambino lo stu-dio, evitandogli ansie future. Poiché imovimenti fini delle mani sono un po'imprecisi nei bambini con SD, possonoessere presi in considerazione gli spazzoli-ni elettrici. È utile controllare che il bam-

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bino usi piccole quantità di pasta dentifri-cia, così evita la spiacevole sensazione diavere troppa schiuma in bocca. L'uso delfilo interdentale potrebbe rivelarsi impos-sibile per la scarsa destrezza manuale, avolte non è neanche indispensabile, per-ché i denti sono piccoli e distanziati tantoda poter essere spazzolati a sufficienza inogni superficie, ma se sono affollati, allo-ra bisogna aiutare il bambino a usare iltendifilo oppure farlo al suo posto ognisera dopo lo spazzolamento.La determinazione dei livelli di comuni-cazione è la chiave per sviluppare unarelazione di collaborazione con il pazienteaffetto da SD. La recettività verso il lin-guaggio espressivo varia da soggetto asoggetto. L'abilità dei familiari o deglieducatori del bambino a portare lo staffdentale sullo stesso piano di comuni-cazione del bambino è di primaria impor-tanza e di estremo aiuto. È importante cheil dentista comunichi direttamente con ilpaziente appena possibile per costruireattorno a lui un clima confortevole e unostato di fiducia. Il bambino (o l'adulto)vuol conoscere cosa accadrà dopo. Essidovrebbero sentirsi in una situazione nellaquale si possa mantenere il controllo diciò che accade e si sa con certezza che cisi può fermare e riposare se è necessario.Può essere utile che un genitore o parenterimanga dentro lo studio durante le primesedute, è infatti importante scoprire checosa motiva il bambino a collaborare erinforzare tale azione. Talvolta una ricom-pensa a fine seduta come un paio di guan-ti e la mascherina può essere la promessache assicura la collaborazione per tutto il

tempo della cura.Dal momento che la maggior parte deisoggetti con SD vive e lavora inserito nelcontesto sociale, il dentista incontra talipazienti con maggior frequenza di unavolta nella sua attività. Molti pazienti pos-sono essere trattati in ambulatorio con ilminimo o addirittura nessun adattamento.Molti problemi sistemici sono presentinella SD e possono interferire con lo statodi salute orale. Le caratteristiche oro-fac-ciali e le patologie dentali in questa popo-lazione possono richiedere frequentiappuntamenti dal dentista. I pazienti conla SD dovrebbero essere visitati in età pre-coce, affinché i familiari o gli assistentipossano eseguire una buona cura oraledomiciliare. La disarmonia del viso e lapatologia dentale devono essere diagnos-ticate e trattate precocemente, per ridurreal minimo i problemi futuri. Il dentista hala responsabilità di diagnosticare e disaper trattare la patologia oro-dentale inquesto gruppo di pazienti e inoltre diriconoscere i disordini collegati e indicarele opportune consulenze.

4.7 L’approccio con l’anziano

Recentemente è avvenuto un cambio divisione della vecchiaia: ora è vista comerisorsa, sia per la persona che invecchiasia per la società che lo vede invecchiare.Questo cambiamento trova la sua spie-gazione in due fenomeni principali: ilmiglioramento dello stato generale disalute delle persone in età avanzata e lapossibilità di eseguire lavori produttivi,

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non usuranti, eseguibili da soggetti conpiù di 65 anni.Nonostante questo, risulta che in moltianziani ci sia la presenza di più patologiee una conseguente riduzione delle capac-ità di recupero; spesso si verifica anche ilpassaggio da malattia a menomazione,che possono sviluppare limitazioni nellosvolgimento delle attività della vita quo-tidiana che configurano la disabilità.È pertanto chiaro che, a parità di malattia,possono determinarsi disabilità diverse aseconda della gravità della malattia stes-sa, dei precedenti patologici, della tem-pestività e appropriatezza delle cure, ecosì via. Ma la capacità di un individuo diriuscire a rimanere inserito nel suo con-testo sociale e familiare dipendono daaltri fattori, a parità di grado di meno-mazione e di conseguente disabilità. Visono, cioè, fattori esterni al soggettomalato che determinano le capacità fun-zionali nella vita quotidiana. Questi fattorivengono definiti come handicap il cuiequivalente lessicale, in italiano, è svan-taggio. Sono quelle condizioni od ostacolispesso di natura architettonica (barrierefisiche), ma anche di natura economica opsichica, che rendono meno facile la ges-tione dell'autonomia personale.L'odontoiatra ha un ruolo di non pocorilievo in questa opera di integrazioneprofessionale in quanto spesso è chiama-to ad esprimere un giudizio di fattibilità dicure oro-dentali che possono essereanche complesse e cruente, in soggetti inetà anche molto avanzata ma di aspetto"giovanile". Il punto che dovrebbe esserepreso in considerazione è se questo

apparente giovanilismo è tale anche dalpunto di vista biologico e, soprattutto, senon coesistano situazioni patologichecompensate o ben controllate dai farmaciche potrebbero scompensarsi con lo stressdell'intervento odontoiatrico.La valutazione di questi pazienti è cosìcomplessa e specifica che non è possibileipotizzare che tutti gli odontoiatri siano ingrado di farla, ma la cosa importante èche tutti siano al corrente dell'entità delproblema e della possibilità che questovenga affrontato con professionalità ecompetenza. In questo modo, la valu-tazione multidimensionale fatta dal geri-atra potrà offrire all'odontoiatra unprodotto finale che esprime, con ragionev-ole certezza, il grado di rischio ed il rap-porto costo-beneficio o, meglio, costo-effi-cacia.Il geriatra è riconosciuto, a livello inter-nazionale, come lo specialista che si occu-pa della valutazione del declino cognitivoe, di conseguenza, un suo giudizio, se cor-rettamente e compiutamente espresso,può rappresentare una sicurezza operati-va per l'odontoiatra o per altri specialistiche si apprestano ad eseguire interventi incui è richiesto un reale consenso (con-sapevole ed informato).Il III millennio, di cui tutti parlano, porteràsicuramente alla luce la necessità dell'ot-timizzazione dell'assistenza sanitaria,specie quella rivolta al paziente anziano,con lo scopo di indirizzare le risorsedisponibili solo nei confronti di quelli chepresentano reali problemi assistenziali edi fare una seria programmazione allaluce dei reali bisogni espressi in modo da

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poter ritarare le risorse, in tempo quasireale, monitorando lo stato di salute dellapopolazione anziana.

Col paziente anziano viene dunque richie-sta un’altra tipologia di comportamento.Come già detto, bisogna considerare chela vita oggi si è allungata a tal punto chesi parla di “quarta età”. Le persone oltre i65 anni sono ancora socialmente inserite,molte di loro ancora lavorano (in privato)e non apprezzano essere chiamati anziani,tantomeno “vecchi”. Sono però con-sapevoli che il loro corpo invecchia e iltempo non può essere fermato, nonos-tante siano giovani nello spirito. La perdita dei denti e la conseguentenecessità di porvi rimedio con una protesiè forse la preoccupazione che affligge piùspesso gli anziani, nell’ambito della saluteorale. Mostrarsi senza denti è una con-dizione che mette a disagio, sia perchèinsorgono problematiche di fonetica, siaperchè può essere vissuto da molti comemotivo di vergogna, oltre che di trascu-ratezza. La soluzione è la protesi, di solito totale.Non tutti i pazienti però la accettano facil-mente, soprattutto se non è fatta a regolad'arte: una protesi mal fatta può cambiarela fisionomia del viso al paziente, magarispingendogli le labbra in fuori e portando-lo a non riconoscersi più allo specchio.Altre volte le protesi causano dolore: ilpaziente non riesce a parlare bene o nonriesce a masticare, giungendo addiritturaa toglierla per mangiare meglio. In altricasi ancora la protesi può non essere sta-bile, per cui il soggetto vive nel terrore di

poterla perdere mentre parla o mangia. Ilpaziente così torna dal dentista, lamen-tandosi, con ragione. Viceversa, possono presentarsi situazioniin cui l’odontoiatra ha fatto un lavoro per-fetto, ma il paziente non lo accetta ugual-mente. Alla base di questi casi ci sonosicuramente problemi di natura psicologi-ca: l’individuo potrebbe non approvare laprotesi, perchè significherebbe ammetterela propria vecchiaia. Al contrario la prote-si, anche se ben fatta e funzionale,potrebbe non corrispondere alle preteseestetiche del paziente, a volte esagerate,poiché vorrebbe una protesi uguale intutto e per tutto ai suoi denti naturali. C’è poi l’eventualità che la mancataaccettazione della protesi sia la manifes-tazione di un disagio più profondo, carat-terizzato da un senso di inutilità e inferi-orità rispetto alle persone più giovani epiù sane, segno di un quadro depressivogenerale che richiede l’intervento di unopsicologo. In questi casi l’odontoiatra,anche se ha un ruolo limitatamente mar-ginale, potrebbe però rappresentare lapersona più adatta per una prima diag-nosi e indirizzare così al più presto ilpaziente verso un professionista compe-tente. Quanto detto fin’ora mostra come l'operadel dentista, pur limitandosi alla curadelle patologie orali, non possa pre-scindere dal valutare sia lo stato di salutegenerale del paziente (considerandoanche il fatto che spesso la vecchiaia siaccompagna a malattie con andamentocronico), sia la sua condizione psichica, siail contesto sociale in cui l’anziano vive.

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Come abbiamo già scritto, non possiamo,perciò, fare a meno di avvalerci, neimomenti di difficoltà, della consulenza dialtri professionisti, quali lo stesso medicodi base, il geriatra, lo psichiatra, per avereun quadro più chiaro della situazione,poter svolgere al meglio il nostro lavoro edare quindi soddisfazione al pazientestesso.

4.8 Il post trattamento eil mantenimento del rapportocol paziente nel tempo

La continuità di un buon rapporto odon-toiatra-paziente dipende dal contratto ter-apeutico che si è instaurato durante iltrattamento specifico, dalle richieste delpaziente (estetica/funzione, etc.), dalgrado di aderenza alla prevenzione e almantenimento delle cure fatte.In particolare, ci sono una serie di compor-tamenti e di abitudini - prevenzione - checonsentono di prevenire nuovi problemi dicarattere odontoiatrico e di rendere stabili,se non permanenti, terapie appena svolte.Ogni persona che transita all’interno dellostudio e accetta di essere curato, richiedealmeno implicitamente - di essere seguito,delega la cura della sua salute orale. Lostrumento di cui il medico dispone pergarantire nel tempo il mantenimento dellasalute orale è la detartrasi periodica, valea dire semestrale, per i soggetti senzapatologie particolari che hanno terminatouna cura.Tutti i pazienti che costituiscono il pac-chetto-clienti dello studio odontoiatrico

devono quindi essere in mantenimento,cioè devono essere visti, sottoposti ad unaseduta di detartrasi e controllati dalmedico (o da specialista da lui delegato).Se una persona non accetta questa prassio si riserva il diritto di stabilire personal-mente quando sottoporsi ad una visita dicontrollo con relativa detartrasi, non puòessere considerata idonea a far parte delpacchetto-clienti dello Studio; o, meglio, ilmedico sarà sempre disponibile a inter-venire se, a richiesta del paziente, dovràrisanargli la bocca, ma la responsabilitàdelle patologie nel frattempo insorte o dieventuali protesi malfunzionanti nonpotrà essere, in alcun modo, addebitata alclinico. E di ciò il paziente, al termine dellacura, dovrà essere reso edotto.Perciò i pazienti a cui si sono prestate curevanno motivati al mantenimento: se vi èaccettazione si procederà alla detartrasi equindi ad un appuntamento successivo eall’aggiornamento dell’anagrafe, se non viè accettazione verrà stilata una lettera discarico di responsabilità e il relativoaggiornamento dell’anagrafe.Quando il paziente aderisce al manteni-mento, l’assistente accompagnerà ilpaziente in segreteria, dove sarà conseg-nato il documento con le relative norme dicomportamento per salvaguardare lasalute orale e si fisserà l’appuntamentoper la successiva seduta di igiene e di con-trollo medico.Spesso, nelle procedure degli studi odon-toiatrici, si ritiene che l’igiene sia un prob-lema dell’igienista. Questo è ritenuto ungrave errore, infatti: 1. Tutti i trattamenti che vengono erogati

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ad un paziente nello Studio Odon-toiatrico, sia per curare una patologia inatto e sia per prevenire quelle insorgen-ti, sono un problema del medico.Solo lui è il primo, unico e ultimo oper-atore con scienza e coscienza al qualerisale ogni azione clinica. Ed è respons-abile di tutto, nel male e nel bene.Quindi anche l’Igiene è un problema delmedico.

2. All’igienista è delegata, se lui lo crede,la componente tecnica dell’igiene, manon per questo diventa responsabiledell’Igiene. Perché la responsabilitàrimane al medico, che la esercita ognivolta con un momento finale di control-lo e stabilisce, anche avvalendosi delparere dell’operatore tecnico, se labocca è in salute, se è il caso di modifi-care il tempo tra una seduta e la suc-cessiva, se è il caso di fissare una visitaper trattare le eventuali nascentipatologie intercettate.

La motivazione alla cura, fornita inizial-mente dal medico in sede di prima visita eche ha condotto il paziente ad accettare ilpreventivo, deve costantemente essererichiamata e rafforzata. Spesso il medico tende a considerare con-clusa la questione finanziaria con la sotto-scrizione del preventivo. Ma per il pazientenon è così.

Non si tratta di un esborso una tantumche si conclude in un solo momento, ma diun pagamento che sovente avviene in piùtranches successive, molto più simile adun leasing o ad un mutuo.Il paziente terminato il momento dellafase acuta del dolore in cui è disposto anon considerare influente quasiqualunque prezzo, non ha più nel tempola percezione dei vantaggi generati dallacura, della quale non capisce molto se nonil rapporto costo (elevato) e beneficio (checonnette sempre meno alle prestazioniricevute). Ecco perché è necessario che sia l’interoteam di lavoro a richiamare nel paziente ivantaggi nelle sedute successive. Allostesso modo deve anticipare la moti-vazione al mantenimento che, se noncompreso nel suo valore (clinico ed eco-nomico) di prevenzione, rischia di esserevalutato solo per il costo. E nasce quindil’obiezione: ma se sto bene (id est, non hodolore), perché devo pagare per fare ladetartrasi periodica? L'importanza che si deve dare ai termini"prevenzione e mantenimento", quindi,nasce dal desiderio di rendere i pazientiprotagonisti della loro salute dentale nonpiù gestita dal dentista come un bene daconsegnare alla fine del trattamento, conuna scadenza, ma come uno stato fisicoda perseguire e mantenere nel tempo.

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APPENDICEL’odontofobia

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L’ODONTOFOBIA

sione, terrore, disgusto per il medico den-tista e per tutto l’ambito odontoiatrico.Con l’andar del tempo tuttavia, nell’usocomune così come nella letteratura tecni-co-scientifica del settore, il concetto di“odontofobia” è andato arricchendosi eampliandosi di significato, e i suoi confinisi sono fatti più sfumati; è diventato uncostrutto complesso, multidimensionale,che abbraccia i concetti di ansia, paura efobia vera e propria, e tutti gli elementiemozionali, cognitivi e somatici a questicorrelati.L’ansia è definita come affannosa agi-tazione interiore, o stato di apprensione; èla reazione psichica e fisica all’antici-pazione di una minaccia.La paura rappresenta una condizione digrave inquietudine e turbamento che siprova al pensiero o alla presenza di unpericolo.La fobia è, come si è visto, un terrore diproporzioni abnormi, irrazionale, immoti-vato e incontrollabile nei confronti di unqualche tipo di stimolo.I tre stati d’animo sono accomunati siadalla reazione fisica che dalla compo-nente affettiva, e differiscono principal-mente per l’intensità di risposta all’eventostimolante.L’ansia e la paura nascono e si sviluppanoinsieme all’individuo, e assumono la fun-

Paura e angoscia sono da lungo tempoassociate alla pratica odontoiatrica.Probabilmente, lo sono da sempre.È solo dal 1960 però che va maturando laconsapevolezza che, nonostante la contin-ua evoluzione tecnologica del mondoodontoiatrico e la costante innovazionedelle tecniche e degli strumenti, la pauranon solo non accenni a diminuire all’inter-no della popolazione mondiale, ma anzisia in aumento.Per tale motivo, negli ultimi quattrodecenni studiosi e ricercatori hannomostrato un crescente interesse nei con-fronti di questa tematica, e hanno semprepiù cercato di approfondirla nelle suemolteplici sfaccettature.Il problema dell’odontofobia riguarda davicino l’odontoiatra: è quanto mai impor-tante quindi che questo possieda, tra leproprie skills, il saperla identificare quan-do si presenta e il saperla gestire nelmodo più consono possibile.

Nella lingua italiana, il termine “fobia”dal greco φόβος, “paura”, richiama unostato psichico caratterizzato da un’ir-razionale, angosciosa e persistente pauradi certe situazioni, oggetti, attività o per-sone.In senso stretto “odontofobia” dovrebbeassumere il significato letterale di avver-

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zione di proteggerlo contro una varietà dipericoli. Esse divengono però problem-atiche quando raggiungono dimensionisproporzionate rispetto all’effettiva mi-naccia, fino ad arrivare a comprometterele funzionalità quotidiane.La disregolazione delle naturali difese del-l’individuo, che è alla base del problemadell’odontofobia, può di fatto portareun’ansia fisiologica, rivolta verso un peri-colo reale, a trasformarsi in un’ansia pato-logica rivolta verso un trattamento odon-toiatrico spesso totalmente privo didolore.Fatte queste dovute premesse, è facilecapire come sia importante operare unaprima classificazione dell’odontofobia,basata sull’entità della stessa.Si possono riconoscere tre classi:- Odontofobia lieve, detta anche “ansia

dentale”, o Dental Anxiety in letteratu-ra, è la più frequente tra la popolazione;

- Odontofobia moderata, detta “pauradentale”, o “Dental Fear”;

- Odontofobia grave, la vera e propria“fobia dentale”, Dental Phobia, decisa-mente più rara e difficile da gestire daparte dell’odontoiatra.

L’odontofobia è un fenomeno univer-salmente diffuso e frequente, sebbenenon sempre conosciuto, e spesso sottova-lutato dall’odontoiatra.Recenti ricerche epidemiologiche sug-geriscono che i suoi valori di prevalenza siattestano tra il 6 e il 15% della popo-lazione adulta mondiale.Vi sono differenze significative tra i variPaesi, legate soprattutto allo sfondo

socio-culturale di ognuno, sfondo chegioca un ruolo importante nell’eziologia enello sviluppo del problema.Nella civiltà occidentale, dal 3 al 5% dellapopolazione adulta soffre di fobia dentale,mentre fino al 30% riporta un moderatolivello di ansia verso il trattamento odon-toiatrico.Risulta maggiormente interessato il sessofemminile, con un rapporto maschio: fem-mina approssimativamente di 1 a 2.

Conoscere le possibili cause della nascitadel disturbo odontofobico è importanteper sapere come prevenirla, o saperneevitare lo sviluppo nel caso si stia instau-rando.Le cause dell’insorgenza dell’odontofobiasono essenzialmente tre:- Condizionamento diretto- Apprendimento vicario (vicarious learn-

ing)- Stato psicologico generaleTali cause possono agire indipendente-mente una dall’altra, o interagire a vicen-da e aumentare in tal modo la gravità delproblema.Per condizionamento diretto si intendeun’esperienza personale spiacevole avve-nuta in passato.Tale esperienza è nella più gran partedelle volte un trauma, ossia un dolore piùo meno intenso accusato in età precocenello studio odontoiatrico.Una percentuale compresa tra il 50 e il60% di soggetti odontofobici riconoscetale esperienza traumatica all’origine delproprio disturbo.Nel medesimo modo, esperienze non sol-

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tanto dolorose, ma altresì eccessivamentespaventose, imbarazzanti o umilianti pos-sono rappresentare stimoli traumatici chefungono da fattori d’innesco.A titolo di esempio, una mancanza diempatia, di rispetto o di umanità da partedell’odontoiatra può far scaturire senti-menti negativi di violazione o di disprezzoverso la propria persona, sentimenti che aloro volta agiscono da substrato per il suc-cessivo sviluppo di ansia, paura o fobiadentali.L’apprendimento vicario, tipico dell’etàinfantile, si esprime attraverso l’osser-vazione e l’identificazione e la sugges-tione indiretta da parte del bambino dimodelli comportamentali.Tali modelli sono rappresentati prevalen-temente dai genitori e dalla famiglia; noninfrequentemente i pazienti odontofobicisono persone i cui familiari ebbero espe-rienze odontoiatriche sfavorevoli oatteggiamenti ostili o di paura nei con-fronti del dentista.Ruolo negativo giocano anche i coetanei ela società, in particolar modo i media, chequasi mai smentiscono le paure tipichedell’infanzia di provare dolore dal den-tista.Con la crescita, il bambino acquisisce, mo-dula e fa proprie le informazioni registratenel periodo infantile, e associa in modoirreversibile le idee di dolore e di pauracon la figura del dentista, fino a trasfor-marle nella sindrome ansiosa o fobica chemanifesterà nell’età adulta.Queste prime due origini sono incluse inun modello di odontofobia definito“esogeno” in relazione alla sorgente del

disturbo, ovverosia situazioni o infor-mazioni esterne all’individuo.L’arco di età compreso tra i 3 e i 14 anni èun periodo critico per l’inizio di questatipologia, in quanto si è osservata unamaggiore vulnerabilità alle esperienzenegative o particolarmente traumatiche.La tipologia classificata come “endoge-na”, invece, vede una fonte causale inter-na al soggetto, ovvero il suo profilo psico-patologico personale.L’odontofobia endogena è l’espressione diun disordine di natura organica, e nasceda una costituzionale vulnerabilità dell’in-dividuo ai disturbi d’ansia.È accompagnata da uno stato generaled’ansia elevato, da paure multiple intense,da disordini dell’umore e da stress.Diversi studi hanno rivelato l’esistenza diun’associazione tra odontofobia e diversitipi di ansie fobiche (agorafobia, claustro-fobia, ansia sociale e attacchi di panico),ansia aspecifica (tensione, nervosismo,difficoltà di riposo), paranoia (ideazioni epensieri paranoidi, sospettosità, central-ità, delusione e perdita di autonomia), dis-turbi ossessivo-compulsivi e, più in gen-erale, problemi psicologici o disturbipsichiatrici.In soggetti di questo tipo l’odontofobiatende ad instaurarsi in un’età più avanza-ta, ed i suoi sintomi possono essere signi-ficativamente più gravi di quelli causati daun disturbo esogeno.Qualche Autore ha individuato una corre-lazione tra alcuni tratti fisiologici dellapersonalità individuale (aspetti psicodi-namici) con l’insorgenza di odontofobiaesogena, tra cui la sensibilità interperson-

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ale (sentimenti di inadeguatezza e inferi-orità), il controllo di sé, il nevroticismo,l’ostilità e la globale mancanza dibenessere fisico e somatico.È importante infine osservare che, unavolta instauratasi, il problema puòrisolversi spontaneamente dopo un certoperiodo di tempo, o anche persistere pertutto il corso della propria vita.

Le caratteristiche sintomatologiche princi-pali del paziente odontofobico differi-scono in base al livello di gravità del dis-turbo.Di fatto, tutte e tre le categorie di odonto-fobia manifestano un quadro sindromicod’ansia.Il paziente con fobia dentale, a differenzadi quello con ansia o paura dentali, metteinoltre in atto comportamenti di evita-mento fobico, al fine di non entrare asso-lutamente in contatto con lo stimolo,quindi con l’ambiente odontoiatrico.Tale condotta riveste particolare impor-tanza, in quanto comporta una generalecompromissione dello stato di saluteorale, con forte impatto psicologico esociale, e con conseguenze che possonorisultare anche gravi.I pazienti odontofobici, quando forzati adesporsi allo stimolo, presentano episodicritici d’ansia più o meno intensa.I fattori scatenanti sono costituiti preva-lentemente dall’iniezione per l’anestesia edal rumore del trapano, ma anche dallasola vista degli strumenti operatori o dal-l’odore dei medicamenti.La componente somatica del paziente conansia dentale è rappresentata da un

ampio spettro di sintomi a carico del sis-tema neurovegetativo.Tra di essi, tipicamente spiccano:- aumento del ritmo respiratorio, che può

tradursi in affanno, dispnea e tachip-nea;

- tensione muscolare, soprattutto al capo,al collo e al dorso;

- accelerazione della frequenza cardiacae palpitazioni;

- tremori;- ipersudorazione, soprattutto ai palmi

delle mani;- secchezza delle fauci;- vasodilatazione cutanea.Tali segni sono perfettamente riconoscibilida un odontoiatra che sappia cosa poter-si aspettare mentre tratta un pazienteansioso.Nel paziente con paura dentale, talireazioni possono essere seguite da agi-tazione psicomotoria, emissioni di grida erichieste d’aiuto, comportamenti disorga-nizzati e afinalistici e stati di blocco conperplessità attonita.Il paziente interrompe il trattamento inpreda al panico, urlando e agitandosi sullapoltrona, rendendo difficoltosa la ripresadel controllo e il proseguimento dellacura.Nel paziente più grave possono manifes-tarsi reazioni violente clamorose, con ten-tativi di fuga anche aggressivi.Si intuisce quindi la reale necessità di indi-viduare e classificare quanto più tempes-tivamente possibile la presenza del distur-bo odontofobico.La componente emozionale assume unruolo chiave nella risposta del paziente

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allo stimolo fobico: il paziente odontofobi-co vive soggettivamente l’esperienzacome “minaccia esistenziale”.In questa categoria rientrano due dimen-sioni:- la “minaccia di violazione”, vale a dire

la paura di essere vittima di eventiimprevedibili e tragici quali doloreinsopportabile, danni, lesioni perma-nenti, cicatrici o mutilazioni dovute aerrori dell’operatore. In questo caso, ilpaziente catastrofizza le conseguenzedel trattamento odontoiatrico, e neprova terrore al solo pensiero.

- la “perdita di autonomia e indipenden-za”, ossia la sensazione di perderecompletamente il controllo sulla situ-azione che si sta verificando, lapercezione di essere deboli, vulnerabilie privi di difese. In generale qui il pani-co deriva dall’essere completamenteimpotente nei confronti del dentista.

Rientra in questo concetto l’estremiz-zazione dell’abbandono del controllo susé stessi e sulle proprie reazioni, e quindiil terrore di soffocare, di impazzire, perfinodi morire.Da non sottovalutare, tra i pensieri nega-tivi del paziente, la paura di essere con-siderato sciocco, debole o infantile. Spessola mancanza di apprezzamento e di com-prensione del paziente può fargli per-cepire la sensazione di essere stigmatizza-to.Occorre prevedere e cancellare questipensieri per poter contenere la reazionedel paziente nel corso del trattamento.Per quanto riguarda la risposta cognitivadell’individuo, entra in gioco il meccanis-

mo dell’iperfocalizzazione dell’attenzionesu di sé, sull’esperienza vissuta in quelfrangente, e su stimoli dell’ambiente e delproprio corpo: tale fenomeno amplifica lerisposte somatiche e le idee catastrofiche,e aumenta la sensibilità agli stimolidolorifici.Peculiarità importante del comportamen-to odontofobico è che il quadro sintoma-tologico si risolve rapidamente, nel giro dipochi minuti, a seguito dell’allontanamen-to dello stimolo fobico.Un ultimo concetto rilevante è quello del-l’ansia anticipatoria: quando il paziente sisente al sicuro da possibili contatti con lostimolo fobico, l’odontofobia è asintomat-ica, ma, quando l’eventualità di affrontareun intervento odontoiatrico si fa piùprossima nel tempo, il paziente diventapersistentemente ansioso.Le giornate che precedono la visita odon-toiatrica sono quindi caratterizzate da unostato di apprensione, con sintomi nellasfera cognitiva (ridotta concentrazione,facile distraibilità, disturbi mnesici) e dellavigilanza (irrequietezza, irritabilità, nervo-sismo, facilità a sussultare, stato diallarme), insonnia e difficoltà all’addor-mentamento e malesseri fisici.Man mano che l’appuntamento si faimminente, l’ansia si fa così intensa einsopportabile da sfociare, nei casi piùgravi, nella condotta di evitamento.Tale evitamento può perdurare nonos-tante la presenza di sintomatologia dolo-rifica acuta, in quanto questa risulta sem-pre inferiore dell’entità della fobia per-cepita dal paziente: i problemi dentalivengono in tal modo a essere posposti e

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gli appuntamenti procrastinati anche pernumerosissimi anni.

La conseguenza più deleteria che compor-ta la fobia dentale è indubitabilmentel’impatto sulla salute orale e, in mododiretto, sulla qualità di vita a questa lega-ta (in letteratura si parla di “Oral health-related quality of life”, concetto che, perla sua importanza e profondità, è statoben delineato dall’OrganizzazioneMondiale della Sanità, ed ha recente-mente assunto ampia risonanza).L’odontofobia rappresenta infatti la ragio-ne cardine per gli appuntamenti odon-toiatrici mancati o annullati e per l’irrego-lare fruizione dei servizi dentistici.Numerosi studi sono stati pubblicati alfine di porre in evidenza come i pazientiche soffrono di odontofobia siano unapopolazione di importanza notevole per lasalute pubblica: ciò è dovuto proprio aquei comportamenti di evitamento che ipazienti fobici mettono in atto, i quali, seprotratti per un tempo prolungato, pos-sono condurre da problemi squisitamentedentali a gravi problemi di salute generalequali osteomieliti faciali, estensioniintracraniche degli ascessi periapicali,sinusiti, sepsi, mediastiniti, febbre, set-ticemie, polmoniti e infezioni del trattourinario.In aggiunta, i medicamenti che i soggettifobici si somministrano, in modo au-tonomo e spesso indiscriminato, al fine dilenire il dolore, possono provocarerisposte serie tra cui reazioni avverse,reazioni da sovradosaggio (con patologieepatiche, insufficienza renale), reazioni

allergiche (fino all’anafilassi) e idiosin-crasie.In ultimo, persone con severa paura den-tale sono caratterizzate da un elevatoconsumo di alcol, sostanze stupefacenti edroghe illecite, e da un’alta frequenza digiorni lavorativi persi per malattia: suscala nazionale, ciò incide in modo con-siderevole sui costi finanziari della comu-nità.Due sono i principali problemi orali delpaziente odontofobico: l’elevata prevalen-za di lesioni cariose e il deterioramentodello stato periodontale.Numerosi studi hanno messo in luce comestatisticamente il soggetto con fobia den-tale presenti un numero significativa-mente più elevato di superfici cariate, ele-menti dentari cariati e elementi mancantirispetto alla popolazione generale.Gli elementi dentari funzionali sono perconseguenza ridotti di numero; talesostanziale differenza nei gruppi di etàpiù avanzata (il gruppo di età compresatra i 55 e i 64 anni è risultato avere unamedia di 9,8 denti funzionali) indica che ilsoggetto con fobia dentale preferisceoptare per la soluzione più drastica (la ter-apia estrattiva, anche sotto anestesia gen-erale) piuttosto che affrontare un piano ditrattamento conservativo.Per quanto riguarda invece la salute dellestrutture parodontali, in uno studio effet-tuato da Eitner e colleghi si è calcolatoche in media una percentuale oltremodobassa (circa 1,9%) di pazienti odontofobi-ci presenta un parodonzio sano; in mediaun numero relativamente basso (approssi-mativamente il 7,3%) mostra una gen-

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givite marginale, mentre nella restanteparte (88,8%) si osserva una condizionedi parodontite cronica generalizzata, chepuò arrivare a essere anche di gradosevero.La quasi totalità dei soggetti necessita diuna terapia parodontale ad almeno unelemento dentario.Il quadro clinico intraorale può raggiun-gere livelli di compromissione importante,con la presenza di abbondanti depositicalcifici e di placca, residui radicolari mul-tipli, denti sventaglianti e con mobilitàvariabile; spesso il quadro è accompagna-to da algia diffusa e alitosi.Ne deriva naturalmente che le ripercus-sioni non sono limitate al piano fun-zionale, ma incidono anche su quelloestetico, nonchè, data l’importanza delviso e della bocca nelle relazioni interper-sonali, nella comunicazione e nella social-ità, sul piano psico-sociale.Quest’ultimo aspetto peculiare dell’odonto-fobia è stato approfondito da numerosiAutori.Il deterioramento della salute orale può difatto diventare una seria sorgente di insi-curezza, minare il rispetto di sé stessi eincrementare l’isolamento sociale, il qua-le, a sua volta, può causare depressione oaltri problemi psichiatrici e condizioni psi-cosomatiche, o esacerbare quelle con-dizioni che sono presenti nei gruppi diindividui fobici.È certo che i soggetti odontofobici sianocaratterizzati da una bassa autostima, dauna scarsa sicurezza in sé stessi, da bassomorale e sono sensibili al proprio aspettodentale.

La fobia dentale incide sulla qualità divita, specialmente nelle aree del benes-sere psicologico, della vitalità e dellavolontà di socializzazione.In uno studio di Berggren si evince che iproblemi si riscontrano primariamentenelle attività sociali (incontrare amici,uscire di casa, 52%), secondariamentenell’andare in vacanza (46%) e nei rap-porti familiari (41%).La vita sociale dei pazienti odontofobicipuò talvolta rivelarsi completamenteannullata.In merito alla vita quotidiana, vi sono dif-ferenze nella facilità a rilassarsi, nella ten-sione e nella soddisfazione generale.Modificazioni rilevanti si possono riscon-tare sul posto di lavoro (nelle relazioni coni colleghi e col proprio capo, con un rischioaumentato di non riuscire a progredirenella carriera) , nelle attività di piacere edel tempo libero (hobby e sport), e, inmodo meno significativo, nei lavoridomestici.Viene così a instaurarsi un circolo vizioso:dove lo stato scadente di salute oralecombinato con l’incapacità del pazienteodontofobico di accettare il trattamentoodontoiatrico genera sentimenti di ver-gogna, di imbarazzo e di inferiorità, talisentimenti incrementano lo stato d’ansiafobica e rinforzano l’evitamento per pauradi essere ridicolizzato, deriso e criticato.Trattare il problema, spezzando il cerchiodella fobia, significa quindi non soloripristinare la salute orale del paziente,ma, conseguentemente, migliorare la suaqualità di vita e il suo benessere.

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Ma come può l’odontoiatra riconoscereun paziente ansioso o fobico che accedeper la prima volta al suo studio?Tendenzialmente, un odontoiatra basa ilproprio comportamento sulle informazioniche riceve dal paziente nel corso dellaprima visita.Una condotta di questo tipo può però riv-elarsi superficiale e inadatta: il pazienteodontofobico può infatti dichiarare aper-tamente al dentista l’ansia che ha sempreprovato nei confronti di tutta la categoria,oppure può anche cercare di nasconderloin ogni modo, finchè la paura non erompenel corso del primo trattamento.Il clinico non può quindi prescindere dalconoscere la reale entità della paura delpaziente che ha di fronte, per gestirla cor-retamente.Il miglior modo per raggiungere questoobiettivo è proporre ad ogni nuovopaziente, già in sala d’attesa, un testconoscitivo con domande mirate allapaura che prova nei confronti del dentista.Il test più diffuso a livello internazionale èil Dental Anxiety Scale, ideato da Corah ecoll. nel 1978. Questo test, a parere dellapiù recente letteratura, è molto semplice,

DENTAL ANXIETY SCALE DI CORAH (1978)

1. Se lei dovesse andare dal dentista, come si sentirebbe ilgiorno precedente?

a) mi sentirei come se dovessi affrontare un'esperienza abbastanza spi-acevole

b) non mi preoccuperei molto degli eventi che dovrei affrontare

completo e valido (Berggren, 2000), e ilmigliore per quanto riguarda consistenzainterna e affidabilità test-ritest (Timothy,2003).La valutazione dei risultati del test, compi-lato dal paziente prima della prima visita,consente al clinico di operare una primaclassificazione dell’ansia del soggetto chesi troverà sulla poltrona.Un punteggio compreso tra 1 e 4 individ-ua un paziente non ansioso, mentre tra 5e 8 un’ansia considerata fisiologica nellapopolazione.Un punteggio compreso tra 9 e 12 mette inallarme per la presenza nel soggetto diansia dentale; valori più elevati, tra 13 e 16,significano odontofobia di grado moderato.Un punteggio tra 17 e 20 identifica infineuna situazione grave, di fobia dentale.È naturale immaginare che ogni categorianon ha limiti netti, precisi, ma ognunasfuma gradualmente nelle altre, a dare unquadro continuo di intensità crescente.Il test dovrà essere incluso nella cartellaclinica del paziente, e rappresenterà untermine di confronto importante qualora ilpaziente dovesse ripresentarsi dopo alcu-ni anni dal dentista.

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c) mi sentirei un pò a disagiod) sarei timoroso, perchè l'esperienza potrebbe essere spiacevole e crear-

mi paurae) sarei molto impaurito di ciò che mi potrebbe fare il dentista

2. Durante la permanenza in sala d'attesa, come si sente?a) rilassatob) un pò a disagioc) tesod) ansiosoe) così ansioso che talvolta mi inondo di sudore e mi sento fisicamente

spossato

3. Quando lei si trova sulla poltrona operatoria, in attesa cheil dentista prepari il trapano per iniziare il lavoro nella suabocca, come si sente?

a) rilassatob) un pò a disagioc) tesod) ansiosoe) così ansioso che talvolta mi inondo di sudore e mi sento fisicamente

spossato

4. Lei si trova sistemato sulla poltrona operatoria in attesa diiniziare la pulizia dei denti. Mentre aspetta che il dentistasistemi gli strumenti che userà per raschiare i denti intornoalle gengive, come si sente?

a) rilassatob) un pò a disagioc) tesod) ansiosoe) così ansioso che talvolta mi inondo di sudore e mi sento fisicamente

spossato

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Con i risultati alla mano, l’odontoiatra puòapprocciare il paziente odontofobico inmodo appropriato, e, soprattutto, sereno.

Nel caso del paziente con ansia dentalepossono essere effettuate, spesso con suc-cesso, procedure psicologiche miranti adesensibilizzare il paziente.Si tratta di una serie di strategie compor-tamentali, anche molto semplici, chel’odontoiatra dovrà intraprendere, sfrut-tando la conoscenza degli aspetti basedell’odontofobia, al fine di ridurre il piùpossibile l’ansia del suo paziente.L’andargli incontro in modo calmo, col sor-riso, comunicare con lui con un tono rassi-curante ma deciso, stringergli la mano ecercare un contatto fisico sono tutti ele-menti che possono contribuire allacostruzione, fin dal primo momento, di unrapporto caloroso e basato sulla fiducia.Il primo approccio dovrebbe avvenire inun ambiente diverso da quello dell’ambu-latorio dentistico, che rappresenta la prin-cipale sorgente delle paure e dello stress.Il paziente dovrà invece essere accolto inuna stanza quieta e confortevole, possibil-mente silenziosa e priva degli odori carat-teristici di un ambulatorio.In questa stanza, il paziente potrà dialog-are in tutta serenità con l’odontoiatra.È infatti sull’uso della parola e dellacomunicazione che deve basarsi questaprima strategia di aiuto psicologico.Di fatto, è buona norma limitare il primoapproccio col paziente odontofobico al puroe semplice colloquio, rimandando anche laprima visita alla seduta successiva.In tal modo, il paziente potrà adattarsi alla

realtà che lo spaventa nel modo menotraumatico possibile, e cominciare aconoscere e ad affidarsi al medico che loavrà in cura.La prima domanda, che chiederà alpaziente di raccontare la propria storiaodontoiatrica, potrà essere alimentata daspecifiche domande sulle sue precedentiesperienze negative (“nel corso del prece-dente trattamento odontoiatrico, di cosaha avuto paura? Che pensieri ha avuto,che sensazioni ha provato? Ha qualchesuggerimento che possa essere utile a meper aiutarla ad affrontare i suoi problemio a risolvere le sue paure?”), che si focal-izzeranno e approfondiranno l’aspettoemozionale della sua ansia.Domande quali “come era solito reagire aldolore? Ha mai cercato di comunicare aldentista la sua paura?”, ma anche “qualisentimenti provava nelle giornate prece-denti le sedute?”, permettono di ricostru-ire un quadro preciso dei meccanismicomportamentali del paziente di fronte aidiversi stimoli.Oltre ad apprezzare l’attenzione che ilclinico rivolge alla sua storia, il pazientepercepirà la netta differenza tra i dentistiprecedenti e un dentista capace di venireincontro al suo problema.I minuti spesi a parlare col paziente,preziosi per l’attività odontoiatrica, saran-no ampiamente ricompensati nel corsodelle sedute successive: è stato infatti sti-mato che un dentista medio impiega il 20% in più del tempo per trattare unpaziente ansioso.Nel corso del primo trattamento e dei suc-cessivi, l’operatore non dovrà mai abban-

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donare la linea di comportamento basatasulla comunicazione e sulla fiducia, pernon perdere il vantaggio conquistato colcolloquio.Innanzitutto, è importante non far atten-dere il paziente in sala d’attesa, dove l’an-sia può acuirsi sensibilmente.Durante la seduta, cordialità ed edu-cazione possono non essere sufficienti,ma saranno utili supporto, tolleranza ecomprensione totali.L’atteggiamento dovrebbe essere empati-co ed esplicativo per quanto riguarda iprocedimenti che si effettueranno, eaccorto nell’individuare i segnali che ilpaziente invierà, tra cui le alterazioni delsistema neurovegetativo viste preceden-temente.Non avrà senso utilizzare frasi quali “nonsentirà male”, o “non le farò niente”, per-ché il paziente le interpreterà come unaminaccia o un’avvisaglia di pericolo. Si può invece domandare al paziente se inquel momento ha paura, cosa crede chesuccederà e cosa sentirà (“Di cosa hapaura ora, in questo istante? Cosa pensache potrebbe accadere appena io lavorerònella sua bocca?”), e porre in forma inter-rogativa la richiesta di rilassarsi (“Perchéora non si rilassa”?). Si mette quindi il paziente in condizione diesporre liberamente la sua tensione e, even-tualmente, la sua difficoltà a distendersi.Per esorcizzare la “perdita dell’autonomiae dipendenza”, che si è visto assumere unruolo chiave nella dimensione emozionaledella fobia, è importante cedere alpaziente, nei limiti del possibile, il control-lo della seduta: bisognerà rispettare i tem-

pi per la diffusione dell’anestetico, aspet-tare che il paziente sia pronto per comin-ciare, concordare un segnale per inter-rompere il trattamento in qualsiasimomento, concedere pause di tanto intanto e quando richieste, ecc…È preferibile suddividere un intervento indue o più sedute, piuttosto che mantenereun solo appuntamento molto lungo.Se infine l’odontoiatra darà segno di averapprezzato il paziente per come haaffrontato l’intervento, concederà un rin-forzo positivo e scongiurerà i timori dellostesso di essere inadeguato nei tratta-menti successivi, riducendo i costi emotivilegati all’ansia tra una seduta e l’altra.

Nel caso dal Dental Anxiety test emergauna condizione di paura dentale, l’odon-toiatra dovrà rendersi conto che probabil-mente non saranno sufficienti le tecnichedi comportamento sovraesposte, ma do-vrà ricorrere a tutto un ventaglio di tec-niche sedative di supporto.Queste tecniche comprendono l’ansiolisifarmacologica orale, la sedazione coscienteinalatoria o endovenosa e l’ipnosi clinica.- Il trattamento ansiolitico farmaco-

logico è la tecnica sicuramente piùabbordabile da parte di un odontoiatrache non disponga di apparecchi per lasedazione cosciente inalatoria o nonpossegga un bagaglio di tecnicheipnotiche dirette.

I farmaci più impiegati sono i benzodi-azepinici a breve durata assunti per os,che presentano i notevoli vantaggi dellapraticità, della facilità di somminis-trazione e dell’assoluta sicurezza.

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Essi determinano effetti ansiolitici, seda-tivi e amnesici dose-dipendenti. Con l’au-mentare delle dosi, il loro effetto progre-disce da quello ansiolitico a quello sedati-vo-amnesico, fino all’induzione del sonno.Per ricercare un effetto ansiolitico, si priv-ilegiano il diazepam, il lorazepam e iltemazepam.Il diazepam (Valium, Noan) è la benzodi-azepina più frequentemente utilizzata inodontoiatria.Come ansiolitico è somministrato aldosaggio di 5 mg, come sedativo si pos-sono raggiungere dosi di 20 mg. La som-ministrazione dovrebbe essere effettuatacirca un’ora prima dell’intervento.Il lorazepam (Tavor, Lorans) ha effetto dipoco meno rapido, e alle dosi di 2-4 mg lamassima azione ansiolitica è ottenutadopo 90 minuti.Il temazepam (Euipnos, Normison) è imp-iegato alle dosi di 20-40 mg, e raggiungeil picco dell’effetto entro un’ora dallasomministrazione.È importante considerare che nel pazienteanziano le dosi vanno dimezzate.Se si ricerca un effetto ancor più rapido, sipuò alternativamente utilizzare il triazo-lam (Halcion), che esplica il suo effetto giàdopo 30 minuti al dosaggio di 0,125 mg.L’ansiolisi dev’essere in tutti i casi accom-pagnata dall’anestesia loco-regionale.- La sedazione cosciente endove-

nosa consiste nella somministrazionedi farmaci sedativi, prevalentementebenzodiazepine, mediante iniezione ecannulazione nelle vie venose.

È un metodo sicuro, mediante il quale sipuò ottenere un effetto sedativo in tempi

rapidissimi, quantificabili in secondi.Il suo scopo è rilassare il paziente,riducendo la coscienza in modo minimalee controllato, senza provocare inibizionedelle funzionalità psichiche né compro-mettere le funzioni vitali. Durante la sedazione cosciente è conser-vata la possibilità di comunicare attraver-so messaggi verbali o non verbali in ognimomento dell’intervento odontoiatrico,mentre è inibita l’acuità sensoriale, l’ori-entamento, la motivazione, la memoria ela capacità di focalizzare l’attenzione.Il suo vantaggio rispetto all’ansiolisi oraleè, oltre alla maggiore rapidità d’azione, unpiù potente effetto sedativo, che rende ilpaziente perfettamente tranquillo, total-mente collaborante e inconsapevole dellareale durata dell’intervento.Nonostante sia un metodo sicuro e relati-vamente privo di rischi, è necessario, sec-ondo le linee guida, che l’odontoiatra siasempre accompagnato da un medico spe-cialista in anestesia durante l’attuazionedi questa tecnica; ciò al fine di scongiurareincidenti e complicanze legate a un inap-propriato uso dei farmaci e a un non cor-retto monitoraggio.Questo, oltre all’elevato costo delleapparecchiature e dei materiali, può rapp-resentare il principale ostacolo nel-l’usufruire della sedazione coscienteendovenosa da parte dell’odontoiatra.- Una tecnica eccellente di sedazione, che

ha il vantaggio di non prevedere la pre-senza dell’anestesista in ambulatorio, èla sedazione cosciente per viainalatoria.

Questa tecnica si identifica con l’inalazione

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di una miscela di protossido d’azoto (N2O)e ossigeno (O2), a percentuali differenti,mediante mascherina apposta sul naso.In odontoiatria si utilizzano percentuali diN2O del 50% o inferiori per ottenereeffetti sedativi ed amnesici, e ancheinnalzare la soglia dolorifica (effetto anal-gesico).Le caratteristiche della sedazione sono deltutto analoghe alla modalità endovenosa. Con il protossido d’azoto si raggiunge unostato di rilassatezza molto piacevole per ilpaziente, e si mantiene intatta la collabo-razione attiva.La sua azione rapida, l’interruzione dell’ef-fetto immediata dopo l’arresto del-l’erogazione del gas (il completo recuperodella funzione psico-motoria avviene entropochi minuti dal termine dell’inalazione), lafacilità di somministrazione e la quasitotale assenza di effetti indesiderati ren-dono il N2O una tecnica di prima scelta nelcontrollo della paura dentale.Lo conferma il suo crescente utilizzo nellapratica odontoiatrica routinaria.- L’ipnosi costituisce un capitolo a parte

nella gestione dell’ansia in odontoia-tria.

Al di là dell’alone mistico, magico e ricre-ativo di cui si è sempre circondata, l’ipnosiha dato ottimi risultati clinici sperimentalisia per quanto riguarda la riduzione dellapaura sia per quanto riguarda l’analgesiain odontoiatria, diventando una realtàneurofisiologica nell’ambito scientifico.Scopo dell’ipnosi clinica è instaurare nelpaziente uno stato psicologico di“trance”, che può essere più o meno pro-fondo.

Lo stato di trance ipnotica può essere elici-tato mediante l’utilizzo di svariate tecniche.Fra queste, quelle più ampiamente e piùrecentemente adottate fanno uso di proce-dure di rilassamento progressivo, di concen-trazione mentale e visualizzazione guidata,servendosi di un approccio prevalente-mente “accomodante” e flessibile, modella-to sulle caratteristiche del soggetto.Lo stato ipnotico di trance può esseredefinito come una particolare e specificacondizione psicofisica caratterizzata daun’alterazione del normale stato dicoscienza, determinato da una parzialedissociazione psichica, ove emerge un ele-vato stato di suggestibilità (una maggiorericettività alle suggestioni), un’elevatacapacità di concentrazione ed attenzioneselettiva, accompagnati da un’inibizionedell’attività critica, analitica e logica del-l’emisfero cerebrale sinistro, e da unsimultaneo incremento dell’elaborazionefigurativa, analogica e astratta dell’emis-fero cerebrale destro (Viola A., 2005).In termini pratici, mediante l’ipnosi si per-mette al paziente di convogliare i pensierie le sensazioni negativi verso immagini estimoli più confortevoli, proposti di voltain volta dalla voce del terapista. In talmodo, vengono stabilite cognizioni selet-tive, e viene inibita la relazione delsoggetto col mondo esterno e con la suaattività muscolo-scheletrica.Si garantisce quindi uno stato psico-fisicodi rilassamento profondo, mantenendoperò un certo grado di discriminazionevolontaria.Sul paziente in stato di trance il clinicopotrà agire lavorando sull’inconscio,

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diminuendo e rendendo sopportabili i liv-elli di ansia mediante svariate tecniche disuggestione, nonchè ridurre o eliminare lapercezione del dolore e le reazioni che daquesto scaturiscono.Tutte queste pratiche sono perfettamentevalide nel trattare l’ansia di livelli medio-alti; qualunque sia la tecnica con cuil’odontoiatra intenda procedere, è beneperò discuterne sempre con il paziente, escegliere con lui quale sia l’opzionemigliore per affrontare il suo caso specifi-co, nel suo pieno interesse, valutando siale sue esigenze sia l’esperienza del clinico.Col paziente odontofobico, parlare rapp-resenta sempre la chiave del successo.

Nel caso infine in cui in sala d’attesa stiaaspettando un odontofobico grave, l’odon-toiatra dovrà realizzare che si troverà difronte un paziente realmente complesso,talvolta impossibile, da gestire.Il paziente fobico evitante si recherà nellostudio spesso accompagnato da un amicoo da un familiare, in una situazione diemergenza odontoiatrica difficilmentesostenibile e in uno stato di estrema ten-sione psichica e agitazione fisica.L’odontoiatra per prima cosa deve con-tenere farmacologicamente l’urgenza,mediante l’utilizzo di farmaci antinfi-ammatori anche potenti come il tramado-lo (Contramal) e antibiotici.Dovrà quindi esporre tutte le soluzioni dicui dispone. Potrà proporre le tecniche disedazione cosciente, che potranno rivelar-si efficaci anche nei pazienti con i più ele-vati livelli di ansia del test.In aggiunta, l’odontoiatra dovrà prendere

in considerazione l’idea di inviare ilpaziente in strutture specializzate, chepratichino trattamenti in sedazione pro-fonda o in narcosi.Spesso sarà il paziente stesso a chiederedi ricorrere a quest’ultimo genere di trat-tamento, per non avere nessun tipo dicontatto visivo o uditivo con il dentistadurante il trattamento.Ancora una volta, l’odontoiatra dovràarrivare alla decisione di quale tecnicaadottare insieme al paziente, in tutta calmae serenità, dopo aver illustrato i vantaggi egli aspetti negativi di ogni possibilità.- La sedazione profonda è “uno stato

indotto di depressione della coscienzaaccompagnato da una parziale perditadei riflessi protettivi, ivi compresa lacapacità di mantenere continuativa-mente pervie le vie respiratorie e/o dirispondere in modo adeguato alle sti-molazioni fisiche e ai comandi verbali,ottenuta mediante l’impiego di mezzifarmacologici e non-farmacologici odalla combinazione di entrambi”.

Le associazioni farmacologiche più diffusa-mente utilizzate sono benzodiazepinici ebarbiturici o benzodiazepinici e morfinici.- L'anestesia generale è “uno stato

farmacologicamente indotto, tempora-neo e reversibile, di incoscienza”, asso-ciato a perdita dei riflessi protettivi,compresa l’incapacità di mantenere lapervietà delle vie aeree, senza che sianointerrotte le funzioni fondamentali dellavita vegetativa”.

Essa può essere ottenuta sia mediantesomministrazione endovenosa di farmacisia mediante inalazione di gas.

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In entrambi i casi il paziente non è collab-orante, e non è in grado di rispondere aglistimoli esterni. Sono tecniche che comportano rischi, e ilpaziente deve essere attentamente valu-tato e selezionato in base alle condizionidi salute.È rilevante sottolineare che sedazioneprofonda e anestesia generale non pos-sono in alcun modo essere gestite dal-l’odontoiatra, ma devono essere praticateda uno specialista in anestesia e riani-mazione, il quale dovrà anche provvederea un continuo monitoraggio strumentaledelle funzioni cardiocircolatorie, respirato-rie e cerebrali del paziente durante tuttala durata dell’intervento.Prevedono inoltre un determinato periododi risveglio, e controlli post-operatori.Si tratta quindi di scelte di ultimo livello, acui ricorrere quando anche la sedazionecosciente non riesca a creare situazioni dioperabilità adeguate.

Di importanza cruciale è che l’odontoiatrainvii quanto prima il paziente odontofobi-

co grave, e in taluni casi anche l’odonto-fobico moderato, presso uno psicologo ouno psicoterapeuta.È fondamentale infatti che il pazientevenga aiutato da una figura specializzataa trovare la forza per affrontare la paurache lo affligge e che è d’ostacolo alla suavita di relazione.È questo il miglior modo per essere conc-retamente utili al paziente, in quanto l’uti-lizzo delle tecniche sedative non permetteal paziente di cambiare il proprio modo direagire alla situazione fobica e di per-cepire la realtà odontoiatrica.Mediante il supporto dello psicologo, ilpaziente riuscirà pian piano a modificarele proprie convinzioni, le reazioniemozionali, cognitive ed i pensieri auto-matici associati con la percezione dellostimolo fobico, e, in ultimo, sottoponen-dosi alle sedute odontoiatriche senza piùtimore, recuperare la salute del sorriso,riguadagnare fiducia in sé stesso e sot-trarsi definitivamente al giogo del-l’odontofobia.

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LETTURE CONSIGLIATE

Bibliografia

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