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Turpe est in patria vivere et patriam non cognoscere (Plinio) I QUADERNI DELL’ALTRA CULTURA (RASSEGNA DI STORIA E TRADIZIONI POPOLARI DELL’ALTO JONIO COSENTINO) Direttore: Giuseppe Rizzo – Redazione: Albidona (CS), Vico S. Pietro – tel. 0981.500192, e-mail: [email protected] Quaderno n. 20/ maggio 2008 IL CULTO MICAELICO IN ALBIDONA SAN MICHELE ARCANGELO: DAI LONGOBARDI AD OGGI La Redazione dei Quaderni dell’Altra Cultura permette la riproduzione, integrale o parziale, dei propri elaborati ma chiede che siano citati gli autori degli scritti e la testata periodica degli stessi quaderni.

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Turpe est in patria vivere et patriam non cognoscere (Plinio)

I QUADERNI DELL’ALTRA CULTURA

(RASSEGNA DI STORIA E TRADIZIONI POPOLARI DELL’ALTO JONIO COSENTINO) Direttore: Giuseppe Rizzo – Redazione: Albidona (CS), Vico S. Pietro – tel. 0981.500192, e-mail: [email protected]

Quaderno n. 20/ maggio 2008

IL CULTO MICAELICO IN ALBIDONA

SAN MICHELE ARCANGELO: DAI LONGOBARDI AD OGGI

La Redazione dei Quaderni dell’Altra Cultura permette la riproduzione, integrale o parziale, dei propri elaborati ma chiede che siano citati gli autori degli scritti e la testata periodica degli stessi quaderni.

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PRESENTAZIONE

Ai nostri lettori e concittadini

Con questa ricerca dedicata al culto micaelico e a San Michele Arcangelo di Albidona i Quaderni di l’Altra cultura sono arrivati al 20° numero. Continuiamo ad occuparci di documenti storici e di tradizioni popolari della nostra comunità. Possiamo ormai registrare una calorosa partecipazione anche nella nostra radicazione della ricerca fotografica. Siamo lieti di lavorare ancora in maniera artigianale e povera, sempre liberi da qualsiasi condizionamento e dai soliti espedienti dell’amicizia-garanzia e dell’opportunismo di comodo. Abbiamo la consapevolezza di “scavare” nel silenzio e in poche persone ma siamo pure collegati con amici di altri paesi dell’Alto Jonio. Il cuore e la passione non ci scoraggiano. Questo 20° quaderno su San Michele è un primo tentativo di ricerca che intendiamo approfondire con la collaborazione di tutti quelli che sono accomunati non solo nel settore storico e culturale ma anche nella fede e nella devozione per San Michele. Il punto di partenza era ed è quello di risalire alle nostre più lontane radici, senza cadere nel rimpianto delle “cose perdute”. E’ la rivisitazione di un passato i cui valori positivi e a soggetto di rischio devono essere salvaguardati per una prospettiva di attualità e di un migliore avvenire. Conoscere i nostri luoghi e la nostra identità che spesse volte restano sepolti dalla memoria di buona parte della collettività, forse anche per indifferenza o per diffidenza di pochi, dovrebbe essere un impegno per tutti quelli che credono al proprio paese. In sintonia con i nostri amici della musica popolare calabro-lucana e anche tramite questo nostro Quaderno vogliamo far conoscere l’appello della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell'UNESCO, stipulata a Parigi il 17 ottobre 2003. Perché anche le nostre tradizioni popolari, i nostri suoni, i nostri canti, il nostro artigianato, il mondo contadino e pastorale rischiano di essere cancellati dalla memoria. E’ ormai accertato che Albidona, piccolo paese dell’Alto Jonio cosentino, fin dal lontano medioevo, era, per ragioni militari e di controllo amministrativo e politico, un luogo di confine e di transito per inoltrarsi nel cuore della Lucania e nel resto della penisola, ma era – nel senso benedettino del termine - anche un fiorente insediamento di luoghi di fede, di lavoro e di preghiera. Dei grossi centri monastici di Santa Maria del Càfaro, di Santa Veneranda e di Sant’Angelo; delle grotte e degli ascetari, delle chiesette per gli eremiti che sorgevano dal “timpòne” Sant’Elia, alla Potente, fino alla contrada Gioro e alle alture rocciose di Piano Senise, è rimasta solo qualche pietra o qualche coccio di scodella, ma quasi tutti questi “luoghi di Dio” erano collegati a San Michele. Nella vasta bibliografia consultata abbiamo avuto modo di capire che, tranne poche eccezioni, che hanno pure una valenza scientifica, si legge e si “copia” dagli altri, senza alcun senso critico e di ricerca di possibili fonti “inedite” e collegamenti. La contrastata storia dei Bizantini e dei Longobardi nel Sud e il culto di San Michele dall’Oriente all’Occidente si leggono in quasi tutti i libri di testo, ma la microstoria dei nostri paesi dell’entroterra, che è pure inserita in quel contesto, non può rimanere sconosciuta: i ruderi dei nostri monasteri, le grotte negli impervi dirupi che servivano ai santi e ai briganti, gli antichi canti religiosi e quei pochi frammenti scritti ci fanno riscoprire l’altra storia: insomma, i tanti Sant’Angelo che vanno dal Piano Senise di Albidona, fino al monte Raparo della Lucania, appartengono al culto e alla storia di San Michele. Chi ha modo di leggere questo Quaderno potrà darci un segnale di collaborazione, nella ricerca di altri documenti scritti e fotografici, ma faremo tesoro anche di suggerimenti e di proposte. Non abbiamo mezzi per mandarlo alle stampe, ma con i nostri soliti sacrifici personali e di gruppo, anche questo elaborato sarà certamente diffuso tra gli amici, i concittadini e i parrocchiani che sono

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interessati all’approfondimento dell’argomento, alla costruttiva e fraterna collaborazione sociale e culturale del nostro paese.

PS. Per un dibattito sulla Religiosità popolare Non ci intromettiamo nelle discussioni della fede e della religiosità popolare, inerenti anche a San Michele e alle altre feste di Albidona, ma non possiamo contraddire chi sostiene che, anche nella nostre feste ci siano ancora delle piccole tracce di paganesimo e di esibizionismi esteriori che hanno poco a che fare con la fede. Per noi, la festa non è solo un momento di fede, che è il presupposto primario, ma anche un importante patrimonio culturale, come la preghiera, il canto, il suono processionale, il costume e le usanze folkloriche. Per esempio, il cosiddetto “bbìvera sant”, che è quel tavolinetto che il devoto pone davanti alla statua durante la processione, è un semplice ristoro per i portatori del santo. E’ così anche la danza di donne e uomini col cinto di grano sul capo, durante la processione: pure quel ballo, che non è la tarantella sfrenata di altre occasioni allegre, può essere un segnale di fede. La donna che porta il mezzotomolo sul capo ha un guaio o un dolore da comunicare al santo. Tolte alcune “esternazioni”, fede e cultura sono due componenti compatibili. Un altro luogo comune è la diceria sul suonatore della zampogna: i ricercatori occasionali e qualche studente universitario che vogliono a tutti i costi imitare (e copiare) certi maestri di antropologia, parlano ancora di “satiri”, di sesso, di Dioniso e perfino di “San Michele con la cornamusa”. Questi bravi “illuministi” non hanno mai vissuto il mondo contadino e pastorale. Non sanno che oltre alla “tarantella sfrenata” che si usa nei matrimoni e in qualche festa dei culti arborei, ci sono le suonate della pastorale e della processionale. Qui, il suonatore di zampogna si toglie anche il cappello dal capo e non beve vino. Si può dire che “prega con la zampogna”. E’ certo che si deve pure dibattere su altre ambivalenze dell’uso dei santi e della religiosità popolare: per esempio, anche il mafioso della ‘ndràngheta calabrese ha scelto San Michele Arcangelo come suo protettore. (vedi libro di Michele Albanese, Mikael – Il Principe celeste – Storia di un culto, RC, 2007).

Giuseppe Rizzo

Figura 1 - San Michele anni '70 sec. XX

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PREMESSA STORICA - SAN MICHELE ARCANGELO: DAI LONGOBARDI A OGGI

Figura 2 - Processione anni '50

Mikha’el deriva dall’ebraico e significa chi è come Dio ? Il santo guerriero è menzionato dalla sacra Bibbia, fino a Dante. Dopo la citazione del profeta Daniele, l’Apocalisse.(XII, 7-9) parla di un aspro combattimento tra l’Arcangelo Michele, il quale, insieme agli angeli buoni, è protagonista di una strepitosa vittoria sul gran serpente. E Dante lo presenta in tutte e tre le sue cantiche della Divina Commedia: Inferno, C. VII, v. 11: ... vuolsi nell’alto, là dove Michele Fè vendetta del superbo stupro (della ribellione degli angeli ribelli). Tra i dannati del Cerchio IV e V sono gli avari e i prodighi, gli iracondi e gli accidiosi. Purgatorio, C. XIII, v.51- Girone II, gli invidiosi e la carità: E poi fummo un poco più avanti,/ udìa gridar: “Maria, ora per noi !” / gridar Michele’ e Pietro, e Tutti i santi’. Paradiso, C. IV, v. 47: Gabriel e Michel si trovano nel Cielo primo o della Luna, dove dante incontra “gli animi che non compirono i voti”.

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Le origini del culto micaelico

Per le origini del culto di questo santo è interessante leggere il libro di Gabriella Marucci (L'Arcangelo, Bulzoni Editore). Secondo l’autrice, il culto di san Michele proviene dall’ Oriente.

“Il volume, come avverte il titolo, è incentrato sulla figura dell'arcangelo Michele, santo anomalo dal fascino sottile e misterioso, e sul suo lungo viaggio da Oriente a Occidente, viaggio scandito da numerose soste, nel corso delle quali l'Arcangelo ha raccolto e assimilato simboli, rituali, valenze appartenenti alle più diverse figure divine: Mitra, Hermes, Ercole. La storia dell'angelo viene percorsa dalle sue più lontane origini fino ai suoi primi fondamentali passi nel mondo cristiano occidentale: la Puglia, il Molise, l'Abruzzo”. San Michele Arcangelo è legato alla storia dei Longobardi (535-770), che dopo l’opera di conversione per opera di Gregorio Magno (papa dal 590 al 604), lo scelgono come loro protettore (1). Seguiamo brevemente, il lungo viaggio dei Longobardi, dal Nord Europa all’Italia, i quali, forse non hanno scelto la fede cristiana e san Michele per ragioni di cuore e di convinzione, ma solo per

opportunità politica: non potevano mettersi in contrasto con la Chiesa, e poi il santo guerriero, che aveva sconfitto il demonio, somigliava pure al loro dio Wotan. Non ci sono soltanto i santuari più famosi, come quelli del Monte Gargano, in Italia, e Mont Saint Michel, in Francia. San Michele Arcangelo è venerato in moltissimi altri centri, piccoli e grandi, diffusi soprattutto nella Calabria settentrionale e nella vicina Lucania. Un centinaio si trovano nella provincia di Cosenza (2). 500 (sec. VI). Quindi, il culto micaelico inizia attorno alla metà del sec. VII e si afferma proprio nel periodo dei Longobardi (3). Paolo Diacono, vissuto nell’ultimo periodo della dominazione longobarda, parla dell’apparizione dell’Arcangelo Michele sul monte Gargano, che avvenne attorno al sec. VI (500). 575-790. In questo periodo i Longobardi sono guidati dai re Alboino a Desiderio. E’ in questi anni che si verifica la loro conversione al cattolicesimo, fortemente voluta da papa Gregorio Magno, che ebbe la collaborazione dei re Autari e Agilulfo, nonché della regina Teodolinda. Questa clamorosa conversione avvenne tra il 589 e il 604. La Chiesa era interessata a questa alleanza perché temeva la forte ingerenza dei Bizantini. Nel Ducato di Benevento c’è Arechi. La grotta del Monte Gargano dove è già venerato san Michele viene assaltata dai Bizantini (i Greci, dice Paolo Diacono), già in aspra guerra con i Longobardi, per la spartizione della nostra penisola.

Figura 3 - Ingresso santuario Gargano

Figura 4 - Gargano - Grotta di San Michele

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Romoaldo accorre sul Gargano e scaccia i Bizantini. Paolo Diacono, che fu lo storico ufficiale dei Longobardi, ne parla nel capitolo IV della sua Historia Longobardarum – 770-790): Aput Beneventum vero mortuo Raduald duce, qui ducatum quinque rexerat annis, Grimuald, eius germa nus, dux effectus est gubernavitque ducatum Samnitium annis quinque et viginti. Hic de captiva puella, sed tamen nobili, cuius nomen Ita fuit, Romualdum filium et duas filias genuit. Qui dum esset vir bellicosissimus et ubique insignis, venientibus eo tempore Grecis, ut oraculum sancti archangeli in monte Gargano situm depraedarent, Grimuald super eos cum exercitu veniens, ultima eos caede prostravit. (Paolo Diacono, libro IV, ca. 46).

Nel libro V, cap. 41, il Diacono descrive l’aspra lotta interna tra gli stessi Longobardi Cunipèrto e Alachi. E’ proprio qui che accenna a San Michele, quando parla di una insegna: “Igitur Cunincpert .... cumque Alahis sui hortarentur, ut faceret quod Cunincpert illi mandavit, ipse respondit: "Hoc facere ego non possum, quia inter contos suos sancti archangeli Michaelis, ubi ego illi iuravi, imaginem conspicio". E poiché i suoi lo esortavano ad accettare ciò che Cunicperto gli proponeva, Alachis rispose: « Non posso farlo, poiché fra le sue lance vedo l'immagine di San Michele arcangelo, su cui io gli ho prestato giuramento».

(Paolo Diacono, libro IV, ca. 41).

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IL CULTO DI SAN MICHELE, DA ALBIDONA AI PAESI LUCANI

Non esistono documenti che attestino la presenza dell’abitato di Albidona, prima del Mille, ma ci potevano essere dei luoghi religiosi. La trasmigrazione dei monaci anacoreti provenienti dalla

Sicilia doveva passare obbligatoriamente per l’Alto Jonio. Così è stato. La leggenda sull’eremita del timpòne Sant’Elia, dove fino a poco tempo fa si notava il rudere di una piccola cappella, ci riporta a San Vitale che durante il suo lungo viaggio dalla Sicilia alla Lucania, si sarebbe fermato pure da queste parti. Ne parlano Francesco Russo (Vitale di Castronuovo, Città Nuova Editrice, Roma 1964-1983 ) e altri biografi di questo santo. Teresa Armenti, Sant’Angelo al monte Raparo e il culto micaelico, Edizioni Ermes, 1998). Questa studiosa di Castelasaraceno e altri autori descrivono il viaggio di San Vitale, che dalla sua Sicilia si reca a Roma, poi torna nel Sud, si ferma a Cassano Jonio, a Roseto e in vari paesi della vicina Lucania. Questo lungo itinerario del monaco Vitale è significativo anche per il sito micaelico di Albidona: l’eremo di sant’Elia, tra il monte Mostarico e il centro abitato, e sant’Angelo del Piano Senise sono collegati alla presenza della venerazione per san Michele. Certamente, anche nel territorio di Albidona esistevano degli ascetari, delle laure e delle chiese dove si praticava il culto micaelico.

Questi centri religiosi sorgevano lungo la linea di confine, tra Bizantini e Longobardi. Il Racioppi e altri storici, parlando dei Principati longobardi, attestano che quello di Benevento toccava Salerno, Laino, Cosenza, Cassano e Taranto. Quindi noi di Albidona, non lontani da Cassano, ci trovavamo proprio in mezzo al territorio dei due popoli in guerra.

Figura 5 - Albidona - Piano Senise

Figura 6 - Albidona – Grotta Piano Senise

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Il prof. Giuseppe Roma, dell’università di Cosenza, parla della Calabria nel Ducato di Benevento. La linea di confine passava da Laino, Cassano e s’inoltrava in Lucania. Albidona è a pochi chilometri da Cassano Jonio (7). Roma, accennando a questa probabile linea di confine dei Longobardi, dallo Jonio al Tirreno, descrive i vari siti micaelici di questo lungo itinerario. Si tratta di chiesette cristiane costruite su antichi siti pagani: Campotenese, sulla vecchia via consolare dei Romani, tra Morano e San Basile, San Sosti, San Donato Ninea, il rifugio presso il castrum Presinace di Nocara, fino ad Armi Sant’Angelo, vicino al fiume Sarmento. Proseguendo verso est, ci sono altri siti archeologici longobardi anche a Nocara. Su di questi vale la pena consultare il dettagliato lavoro scientifico di Lorenzo Quilici, che ha indagato tra gli anni ’60-70. Tullio Masneri (Archeologia di Trebisacce, Il Coscile, 2006, p. 61) ci fa conoscere altre tracce longobarde nel territorio di Trebisacce. Vede una loro probabile presenza anche in località Castello, non lontano dall’acropoli di Broglio. Per la Lucania c’è una più vasta bibliografia da consultare.

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ALBIDONA: SANT’ANGELO DI PIANO SENISE

Figura 7 - Cartolina ed.ne Angela Bloisi

Un sito micaelico nel territorio di Albidona poteva essere quello di Sant’Angelo, di Piano Senise. Infatti, Albidona si trova lungo la linea di confine, tra Cassano e Nocara. 1107. Una pergamena della badia di Cava de’ Tirreni cita il monastero greco di Santa Veneranda (o Santa Venera), detto anche Sant’Angelo Battipede (4). Questa abbazia si trovava nell’attuale contrada Piano Senise, e Sant’Angelo è come San Michele Arcangelo, dice il Fonseca, il quale aggiunge: “il culto micaelico ebbe un florido fiorire nel Basso Medioevo, durante le incursioni barbaresche” (5). Di questo monastero nel territorio di Albidona parlano anche il Menervini, il Lanza, il Cappelli e il Russo. L’altura di Piano Senise si trovava lungo la linea Longobarda, che passava certamente per l’attuale confine calabro-lucano e che corrisponde all’attuale provinciale per Alessandria del Carretto, o meglio alla vecchia “trazzèra” mandrile che da Trebisacce, attraverso Monte Mostarico e Albidona, si prolungava fino al Pollino. Certamente, prima che sorgesse la grande abbazia di Santa Veneranda o di sant’Angelo, sul monte di Piano Senise, precisamente tra gli Anfratti del Timpòne Pico, vicino a Santa Lanùra, i Longobardi avevano creato qualche sito dedicato all’Arcangelo Michele, da essi venerato dopo la conversione al cristianesimo. A Piano Senise ci sono ancora tracce del monastero di Sant’Angelo; sottostante il pianoro, oggi coperto dalle ginestre, sotto il timpone del Pico, o di Santa Lanùra, si trovano le citate grotte degli antichi eremiti di Sant’Angelo. Forse quei monaci si fermarono da queste parti per essere scampati al pericolo dei Saraceni, come dice il Telesca ? (6) I vecchi di Albidona e quei contadini che abitano ancora in quella contrada, invece di Santa Veneranda, dicono “Santa Mirirànna”. Proseguendo verso il Pollino, tra Alessandria del Carretto e Terranova di Pollino è la contrada San Migàlio, che forse vale per Sancte Michael. Entrando nel cuore della Lucania, sono presenti Sant’Arcangelo e tanti altri siti mecaelici, di cui si continua a parlare.

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1271. Anche nella caedula subventionis angioina viene ricordato il monastero di Sant’Angelo (greco bizantino) che dipendeva dall’Eparchia del Mercurion di Rossano. 1324. Domenico Vendola, nella sua Rationes decimarum Italiane nei secoli XII e XIV, Apulia, Lucania, Calabria, Arch. Vaticano, 1939, riporta alcune decime dove sono menzionati i presbiteri della chiesa intitolata a S. Michele Arcangelo. Quindi, si può supporre che la chiesa Madre di Albidona, un eremo o un sito micaelico esistevano già in quei lontani tempi, quando i Longobardi eleggevano a loro protettore l’Arcangelo Michele, al cui culto venivano pacificamente persuasi i loro nuovi sudditi del Mezzogiorno d’Italia. 1651 e 1694. Le iscrizioni sulle campane della chiesa Madre sono dedicate pure a san Michele. Le due campane sono state fatte fondere dagli emigrati albidonesi, stanziati a Chicago, nel 1907, ma sono stati riportati testi dell’antica iscrizione dei Castrocucco. La campana del 1651 è stata fatta per devozione di Giovanni Castrocucco. Ecco l’iscrizione che vi è incisa scritta: … S. Michael Arcangele difende nos in proelio. (san Michele Arcangelo, difendici dalla guerra). Invece, nella campana del 1694 si legge: Rinaldo Castrocucco. S. Michael Arcangele difende nos et tronitrua frange…(San Michele, difendici e fai disperdere fulmini). Nelle due campane sono incise la statua di San Michele e lo stemma dei Castrocucco. La data del 1694 coincide col terribile terremoto dello stesso anno. L. Telesca, Forme e luoghi della venerazione-culto e insediamenti micaelici in Basilicata ricorda la ripresa del culto micaelico, a partire dal 700. Poi, vengono menzionati i terremoti del 1627, 1694 e la peste del 1656.

Altre tracce micaeliche in Albidona Piazza San Martino. Un’altra traccia dei Longobardi; San Martino, come san Michele e San Giorgio, era un altro santo guerriero. In Albidona, l’attuale Piazza Risorgimento si chiamava San Martino. Forse c’era anche il culto di San Martino, invocato per la crescita dei prodotti agricoli. La parola Ducato: anche il feudalesimo di Albidona finisce con il Duca di Campochiaro. Dux, capo e condottiero è una mansione del potere periferico dei Longobardi.

La chioccia d’oro. La tradizione della chioccia d’oro di casa Dramisino ci ricollega alla “Gallina dai pulcini d’oro” della regina longobarda Teodolinda (sec. VI), che, oltre alla corona ferrea di Monza, figura fra il Tesoro e le arti decorative dei Longobardi.

Le Congreghe religiose che incontriamo tra l’Ottocento e il Novecento, erano intitolate alla Madonna del rosario e a San Michele Arcangelo.

Figura 8 - San Michele - inizio sec. XX

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San Michele Arcangelo è Protettore e Patrono di Albidona. Il nome Michele è uno dei più diffusi in questo paese; fin dai tempi più lontani. Lo si fa per devozione al santo Protettore e per invocare anche la sua protezione. Tra le ricerche del prof. Ettore Angiò, viene fuori un documento del 1400, dove compare il nome “Migèle”, che è certamente Michele: Registro della cancelleria di Luigi III d’Angiò per il ducato di Calabria 1421-1434, Ms. 768 della Biblioteca Mejanes di Aix in Provenza, Regesti dei documenti a cura di Isabella Orefice, introduzione di Ernesto Pontieri, Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Roma, anno XLIV-XLV (1977-1978), pag. 288 42) 1423, 27 ottobre, II - Aversa. Nomina Antonio de Migaele di Albidona familiare domestico per i servizi da lui prestati, concedendogli la licenza di poter entrare nel ducato di Calabria con tre soci anche con armi proibite ed esentandolo dal pagamento di ogni contribuzione per i beni che possiede nel territorio di Ciccarno (f. 17).

La Platea della Chiesa di San Michele

La “Platea delle terre, olive e censi della Chiesa Matrice di S. Michele Arcangelo”, compilata dal notaio B.M. (Bernardino Manfredi) è datata1740. Noi l’abbiamo visionata in un Archivio privato che non possiamo ancora citare. Questo prezioso e autentico documento che i vecchi parroci del ‘700 commisero il grave errore di portarlo fuori della chiesa, riguarda esclusivamente la Chiesa matrice di San Michele. Ecco alcuni appunti: Parte prima (fogli 1-15). Olive nelle varie contrade del territorio. Fogli bianchi 11: da 1 a 19. Parte seconda. Gli altari della Chiesa Matrice (f. 1-60). Censi e titolari di censi. Fogli bianchi 20 (1-9).

E questi soni i fondi dei beni della Chiesa matrice (arbori di olive, vigne e terre): Fronte del prato, Juliano, Lacci, Vulpe, Sant’Appico (della cappella di San Michele Arcangelo, f.7),

Gianfrancesco, Giannandria, Fronte Altiero, Lacci, Cacasoda, Piano di Rifatto, Petruzzo, Gilistro (?) -

propriamente dell’Acchianaturo della via che va da Petruzzo duoi piante d’olivo), Fontana della manna, Cardeo, Moleo (cappella di san Michele Arcangelo), S. Jorio, Fontana della gatta, Piscara (terre fertili e infertili), contrada della Madonna della Pietà (un pezzo dio terra, ecc.), Runci, Martino, contrada del Trodio (tom. Venti di terra), Vulpileto (?), vallo di Graziano, terra di san

Figura 9 - Una pagina della Platea 1740

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Gius., Pezzo del Pietro (?), Filippello, Manco del lacquo, Piano delli monaci della Marina della Torre (tomolate quattri incirca di terra), Golfo di Tomaso. Gli altari della Chiesa Matrice di S. Michele Arcangelo: altare maggiore, altare santa Veneranda, altare santa Maria degli Angeli, altare santa Maria del Càfaro (jus patronato Chiesa Matrice), altare Santissima Immacolata, altare Santa Maria di Costantinopili, altare San Pietro, altare Sant’Antonio, altare sant’Antonio abate. I sacerdoti capitolari del 1740: don Giuseppe d’Adduci (f. 5), don Battista Bastanza (f.10), don Salvatore Bastanza (f. 5), don Camillo Bonafide, don Liborio Cordasco (f.54 ecc.), don Leonardo di Mundo (f. 60, retro), don Geronimo Oriolo (f.39, 53), don Francesco Oriolo (f. 47), don Taddeo Oriolo (fogli 45, 56, 64), don Francesco di Rago (f. 54), don Antonio Scillone (f. vari), don Francesco Scillone (f.3 ter.), don Giandomenico Scillone (f. 7 retro), don Pietro Antonio Triunfo (f. 51), don Achille di Tuccio (f. 12), don Carlo di Tuccio (f. 5 ter.). Nota aggiuntiva. Le proprietà, i sacerdoti e gli altari della Chiesa di San Michele sono menzionati anche negli atti del notaio Pinelli, nel Catasto onciario del 1743 e nei notai di Oriolo. Nel Regesto Vaticano di padre Francesco Russo sono elencati non solo i primi “presbiteri” della chiesa di San Michele ma anche gli abati che si avvicendarono dal 1300 al 1700, a Santa Maria del Càfaro, a Santa Veneranda e a Sant’Angelo di Albidona. (vedi Il mio paese scomparso, feb. 1994).

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IL RESTAURO DELLA STATUA DI SAN MICHELE

(2006-2007)

“Memorabile giornata per Albidona” Presenti mons. Crusco e il cardinale Giordano

Giuseppe Rizzo

Figura 10 – 27 Aprile 2007 - Il ritorno di San Michele restaurato Che il San Michele di Albidona avesse urgente bisogno di restauro l’ha capito per primo, il parroco don Massimo Romano, che si è dato subito da fare. Ora, è tutto fatto. La statua del protettore di

Albidona è stata portata al Laboratorio artistico di Taverna nel settembre del 2006. Ha richiesto un’accurata opera di restauro, e finalmente accolta dal cardinale Michele Giordano, fa rientro in paese nel pomeriggio del 28 aprile scorso. Il viaggio: dopo Taverna e Sibari, il quartiere Pagliara di Trebisacce, dove la comunità albidonese che ivi risiede saluta il santo, con lunghi applausi e fuochi pirotecnici. Quindi, il solenne ingresso alle porte di Albidona, dove era stato allestito il palco per la manifestazione. Una folla immensa attendeva fin dal primo pomeriggio. Appena viene scoperta la statua restaurata, applausi commossi, grida e canti di gioia da parte di giovani e bambini, con la banda musicale di Sant’Agata d’Esaro. Hanno suonato a festa anche le campane della chiesa Madre, del Convento e di san Rocco. Sul palco c’erano il sindaco Salvatore Aurelio, gli altri amministratori comunali e anche i consiglieri dell’opposizione Vincenzo Napoli, Pasquale Adduci e Michele Russo: “San

Figura 11- d. Massimo Romano

promotore del restauro

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Michele unisce tutti gli albidonesi”, dice con soddisfazione, qualcuno. Il sindaco aggiunge che “col nome di san Michele si possano superare tutti gli ostacoli. Che possa farci vivere nella concordia e nella pace”. E mentre saluta mons. Domenico Crusco, amministratore apostolico della diocesi di Cassano fino all’arrivo del nuovo vescovo di Cassano, Vincenzo Bertolone, parla di “una memorabile giornata”. Il ringraziamento più sentito è per il cardinale Giordano, che ha voluto accogliere e accompagnare il san Michele di Albidona. Certo: la presenza del cardinale Michele Giordano è una giornata storica per Albidona.

Gratitudine anche per il popolo e per gli emigranti. Tommaso Leonetti e Antonio Golia hanno raccolto circa 1300 euro di offerte tra i compaesani della Svizzera, mentre in Albidona si sono interessati Francesco Salvatore e Giuseppe Aurelio. Uno degli organizzatori pro san Michele ci informa che “in Albidona siamo arrivati a oltre undici mila euro; forse il restauro costerà circa 7-8mila euro”. Hanno offerto aiuto e disponibilità anche il maestro falegname Domenico Mignuoli e altri collaboratori del parroco.

Il primo cittadino, dopo aver accennato alla fede e alla religiosità popolare degli albidonesi, fa un appello ai giovani sugli autentici valori della società, che è pure a rischio. Il cardinale Giordano riprende il discorso sui valori cristiani e sulla pietà popolare che “ha bisogno di essere elevata, restaurata come la statua di san Michele”. Ricorda che egli, quando scendeva dalla sua Lucania, passava per Albidona: “sono nato a sant’Arcangelo, dove è venerato San Michele e io stesso porto il suo santo nome”. Dopo questa prima sosta, la statua del Santo viene portata in processione per le vie san Rocco, san Pietro, Convento, san Salvatore, chiesa Madre, dove il parroco don Massimo Romano ringrazia i suoi collaboratori e rende omaggio al cardinale, che interviene con una omelia per il vespro. Il sindaco consegna un dono ricordo per Giordano: una icona d’argento con Albidona, i suoi monti fino al Sparviere, e san Michele. A mons. Crusco, un’altra icona con la Madonna e il bambino. Quindi l’attesa testimonianza della restauratrice Caterina Bagnato, del Laboratorio artistico di Taverna, operante da un quindicennio. E’ accompagnata dalle sue collaboratrici Marcella Zangari, Maria Puleo e Giusy Frustaci. La chiesa è affollatissima e i bambini scalpitano ma la dottoressa Bagnato, mentre illustra tutte le fasi del restauro del san Michele, con le immagini proiettate sullo schermo, viene ascoltata con interesse ed emozione: “man mano che andavamo in profondità, apparivano cose sempre più belle”. Aggiunge che la statua presentava un notevole degrado; erano stati compromessi l’equilibrio e la cromia originali. “E’ una statua monumentale di inestimabile valore artistico, così l’ha voluta l’artista; risale agli inizi del ‘700 ed è in legno, tutta a intagli”.

Figura 12 - Festa anni '50

Figura 13 - 27 aprile 2007 - Omelia del Card. Giordano

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Accenna a una tecnica esecutrice che si nota “fin dal mantello molto raffinato”. L’artista che l’ha scolpita rimane ancora ignoto ma era veramente tale e pure un uomo di fede. “Ha usato un’abilità tecnica eccezionale”. A Taverna si è fatto un lavoro delicato e paziente: pulitura meccanica col bisturi, rimozione del materiale accumulato col tempo, sulla statua, che fu sottoposta a circa quattro restauri; il più antico risale a 250 anni fa. Ecco le “scoperte” del restauro: soprattutto il ritorno alle sue origini cromatiche. “L’aspetto di san Michele è monumentale, anche per gli svolazzi del mantello. C’è stato bisogno di colmare anche le lacune, di scrostare vecchi strati fatti male che compromettevano anche l’equilibrio della statua, si è dovuto fare, insomma un opera di consolidamento” del simulacro del santo Patrono. Emergono le parti dorate, la cromia originale del ginocchio, delle braccia, della corazza e dello

scudo. C’erano linee sbagliate che facevano volume e c’è stato bisogno dell’integrazione e della protezione della doratura e della pittorica. Le stuccature sono servite per sanare certe lacune. Anche la corazza e lo scudo sono tornati nella loro originalità. Si è proceduto anche alla doratura della base, a creare elementi nuovi della struttura e alla campitura, ricorrendo al trattamento a cera. Non si poteva trascurare il riposizionamento della mano sinistra del demone Lucifero. In un foro dietro le ali è stato rinvenuto un involucro cartaceo; si tratta di tre documenti manoscritti, datati attorno al 1800 ma del contenuto si parlerà in altra sede. La dottoressa Bagnato dice che potrebbe trattarsi di documenti militari. Infine, la restauratrice consiglia le dovute precauzioni. Parla della fragilità della statua, perché la chiesa dove è conservata è esposta alle intemperie. E poi, “il legno assorbe anche l’umidità dei fiori vicini. Occorre badare alla salvaguardia e alla manutenzione”. Ricordiamo che il 9 ottobre del 1980 la statua della Madonna del Rosario è andata in fiamme per quelle candele che si lasciavano accese anche di notte. Il cardinale Giordano è stato in Albidona per due giorni,

ha voluto incontrare i bambini e le catechiste della parrocchia, intitolata a san Michele Arcangelo. L’8 di maggio, la grande festa in onore del santo Protettore.

(dal mensile Confronti n. 4 – aprile 2007)

Figura 14 - San Michele anni '60 del sec. XX

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SAN MICHELE TRA STORIE E LEGGENDE

Figura 15 - San Michele anni '80 del sec. XX

“Lucifero, quando fu colpito mortalmente da San Michele, gettò un grido così forte che si sentì in tutto il mondo”

“San Michele tiene la bilancia in una mano, per pesare i peccati e le buone azioni che facciamo; nell’altra mano tiene la spada, per lottare contro il maligno. San Michele era un guerriero forte e valoroso ma dovette affrontare una difficile e lunga battaglia per vincere Lucifero, che era pure forte. Era una giornata di sole e lottarono fino alla sera, in un’altura che somigliava ai monti del Piano Senise del nostro paese. Lucifero lottò e si difese come un dannato ma prima di tramontare il sole, san Michele riuscì a metterlo sotto i piedi e lo colpì mortalmente con la spada. Il diavolo gettò un grido così forte che si sentì in tutto il mondo, e poi morì”. (da Giovanni Rizzo) Nota. “Il luogo dove si lottarono San Michele e il diavolo era un’altura che somigliava al nostro Piano Senise”: e questo non è collegato al sito micaelico delle grotte del nostro Piano Senise ? In Calabria, il luogo dello scontro viene fantasticamente localizzato sull’’Aspromonte.

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L’ulivo di San Michele

In una striscia di terreno, a destra della vecchia masseria di contrada San Dòdaro, in possesso dei Chidichimo, fino agli anni 50, c’era un mastodontico e ultrasecolare ulivo che qualche devoto aveva

fatto donazione al santo protettore di Albidona. “oggi , - ci dice Michele Rago, attuale possessore di quel terreno – il vecchio tronco non c’è più, ma un suo virgulto è diventato pure grande ulivo e lo chiamano ancora l’ulivo di San Michele”. Mio nonno Michele Rizzo mi raccontava un altro fatto memorabile: “In un mese di giugno di fine del 1800, un gruppo di uomini e donne mietevano il grano con Chidichimo; sopraggiunse un forte temporale e una donna della compagnia si rivolse agli altri mietitori e disse: andiamo a ripararci sotto l’ulivo di San Michele che ci proteggerà dai fulmini. Uno dei mietitori non volle andare sotto l’ulivo di San Michele ma sotto un altro albero. Cadde un lampo e uccise quel mietitore”.

“La statua di san

Michele fu ricavata da un grosso tronco

di ulivo” Molti vecchi del paese davano quasi tutti la stessa versione di questo fatto: “La statua di San Michele è stata scolpita qui, in Albidona. L’artista venne fatto venire da fuori e volle un grosso tronco di ulivo. Un ricco devoto del paese fece tagliare un ulivo di sua proprietà e lo consegnò all’artista. Costui si fece portare il

tronco in un piccolo magazzino (u davàsc) di Piano taverna, a destra del portone del palazzo Dramisino. Incominciò subito a lavorare, e dopo circa un anno, portò a compimento la statua; però quando la dovevano portare fuori, la statua era più alta della porta del magazzino e dovettero demolire la parte superiore dell’ingresso. Tutti ammirarono la straordinaria fattura della statua. Lo stesso artista si accorse che san Michele era bellissimo, ma quando guardò Lucifero, che già luccicava al sole, ne rimase sconvolto e stramazzò per terra. Finalmente, la grande statua venne trasportata con solenne processione nella Chiesa madre, intitolata proprio a san Michele Arcangelo”.

(dal nonno Michele Rizzo)

Figura 16 - L'ulivo di San Michele

(oggi)

Figura 17- Chiesa Madre

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E i briganti “stonarono” le campane, a colpi di fucile

“Le campane della chiesa di San Michele non suonavano soltanto per annunciare le feste più

solenni, ma suonavano tre-quattro volte al giorno, per segnare le ore più importanti: nella prima mattina, il sagrestano saliva sul campanile e suonava la matutìna; verso le ore 12 squillava il mezzogiorno (u menz-iùrn), nel tardo pomeriggio si sentiva il vespro ( a vèspere), e dopo il tramonto del sole, c’era l’avemaria (a vimmarìa). Quando moriva qualcuno, suonava la disperàta; ma se moriva un bambino, si suonava a glòria. Le campane di San Michele venivano suonate anche quando si verificavano grossi pericoli, come un incendio e altri disturbi che potevano capitare. Le suonavano anche quando si diceva che girava il lupo mannàro e la gente si chiudeva dentro le case. Nel 1908, in una via del rione San Salvatore accadde un orrendo omicidio e le nostre campane suonarono a stormo. Raccontano che le campane venivano suonate anche quando le navi dei pirati saraceni comparivano nel mare, sotto la torre di Albidona. Ma il fatto più memorabile fu quello dei briganti: il prete del paese faceva suonare le campane, ogni volta che le bande di

Pagnotta e di Carmine Antonio scendevano dal Pollino per saccheggiare le case. Il prete e la gente guardavano dal timpòne Castello; i briganti, tutti vestiti di nero, col fucile sulle spalle e in sella di neri cavalli scendevano per la timpa Piedascàla. Uno del paese saliva subito sul campanile e avvisava i compaesani con una forte suonata. Ma i briganti, che diventavano anche feroci, si vendicarono. Ritornarono in paese, spararono colpi di fucile contro le due campane della nostra chiesa e “stonarono” le campane. Poi, andarono a trovare il prete, lo portarono legato fino a Serra del Manganile, gli fecero scavare una fossa tra due grandi querce, lo uccisero a fucilate e lo seppellirono. Da quel crudele episodio brigantesco, la gente parla ancora “d’i cerz d’u Minganìle”.

(da mio nonno Michele Rizzo)

Note. Le bande del primo brigantaggio (fine 1700-inizio dell’800) giunsero diverse volte in Albidona, saccheggiarono e incendiarono alcune case di benestanti. Uccisero uno dei Rago e un altro dei Cordasco. Quindi, le campane non svolgevano soltanto la funzione religiosa per la chiesa ma servivano per dare l’allarme in casi di pericolo.

Figura 18 - San Michele 2000

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La spada d’argento del 1889

La festa di San Michele del 1889 fu la più “ricordante”. Qualche settimana prima dell’8 maggio di quell’anno il medico don Angiolo Dramisino giunse da Napoli e portò la nuova spada d’argento fatta costruire in quella città. In una ricevuta conservata in casa Dramisino si legge: “Napoli Al Sig. Angelo Dramisino – dare una spada d’argento di carati 12, col pomo d’oro, e fregiata di zecchini. Fratelli Galletta, Fabbricanti di bisciutteria e gioielleria con specialità in anelli con perle. Vico di Mezzo agli orefici n.ri 13-14 –Napoli”. In quel giorno la gente ricordava un altro fatto di qualche secolo prima, quando la duchessa di Campochiaro riempì due tomoli di ducati di bronzo per fondere, pure a Napoli, le campane di San Michele.

L’8 maggio del 1930 la festa di San Michele finì a coltellate

“Alla festa di San Michele venivano anche i forestieri dei paesi vicini. Se la facevano quasi tutti a piedi, o a cavallo degli asini. Giungevano da Trebisacce, Alessandria, Amendolara, Castroregio e

Plataci. Venivano per ammirare la statua di San Michele, che più di noi albidonesi, dicevano che era molto bella. Parecchi si commuovevano e qualcuno piangeva pure dinanzi alla grande statua di legno. C’era tanta gente disperata, da queste nostre parti e si consolavano dinanzi al nostro san Michele. Piacevano i fuochi d’artificio, le suonate della banda musicale, le zampogne, l’organetto, la lunga processione, l’incanto e anche le canzoncine delle donne. Le donne di Plataci vestivano in costume albanese, seguivano la processione con tanta riverenza e cantavano pure delle loro canzoncine nna brescìgn, cioè nella loro lingua di Plataci. Invece, una parte degli uomini di questo paese, forse per un bicchiere di vino in più che bevevano nella cantina del Cardalàno, e anche perché qualcuno di essi era interessato a corteggiare una bella giovane del nostro paese, quella volta fece accadere una rissa, che purtroppo finì a coltellate. Un certo Giuseppe Napoli, meglio conosciuto col soprannome di “Sceppe’i Singinèll”, era un giovane forte e riuscì a battersi contro due o tre platacesi, ma uno di essi lo colpì con una

coltellata alle spalle e non avendo chiesto l’intervento del medico, morì dopo qualche notte dalla rissa con i platacesi”.

(da zio Francesco Rizzo)

Figura 20 - Statua San Michele 2000

Figura 19 - San Michele 2007

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Quando a San Michele rubarono la spada

“Era la sera della vigilia della festa: il 7 maggio1930 o ’31; il sagrestano Pasquale chiuse la porta della Chiesa madre e si ritirò a casa. La mattina dopo, quando il parroco don Saverio Laurita andò a celebrare la messa, si accorse che la chiesa era stata saccheggiata. Mancavano oggetti d’oro alla Madonna del rosario e anche la spada d’argento di san Michele. La notizia si sparse subito, per tutto il paese e la gente accorse in chiesa piangendo. Erano tempi di miseria e di fame; la gente rubava non solo farina, pane, formaggio e salame, per sfamarsi, ma anche oggetti d’oro.

Furono avvisati i Carabinieri di Trebisacce, i quali si misero subito in cerca dei ladri, ma non si scopriva niente. Una notte, san Michele apparve in sogno a una donna del paese e le disse: “vai nel vicino paese di Amendolara, perché nella casa di Tizio, ... san Michele fece proprio il nome di chi abitava in quella casa, e troverai ciò che m’hanno levato da queste mani”. La cosa che gli avevano levata dalla mano era la bella spada d’argento. Quella donna andò a raccontare il sogno a don Saverio: Don Saverio andò dai Carabinieri e i carabinieri partirono subito per Amendolara. Bussarono alla porta dell’uomo sospettato, entrarono e si

accorsero che in una parte del muro c’era il cemento fresco. Presero un martello, diedero un colpo sul cemento e videro la spada di san Michele spezzata in due parti. Il ladro fu subito arrestato, il quale rivelò anche i nomi di un altro suo complice e fu arrestato anche questi. La spada la portarono in Albidona e la restituirono al parroco don Saverio, il quale la portò a un esperto artigiano, che saldò i due pezzi e la fece diventare nuova e bella come era prima. Poi, in una memorabile giornata, la statua di san Michele fu portata dinanzi alla porta della Chiesa e la folla aspettava tutta commossa. Don Saverio si mise accanto al Santo, prese la spada fra le mani e gridò: “O glorioso san Michele Arcangelo, i ladri te l’hanno rubata, e io la riconsegno tra le tue mani !”

(da Rocco Oriolo e altri)

Figura 21 - San Michele 2008

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Un documento sul furto sacrilego del 1931 (Arch. Comunale Alessandria del Carretto)

Commissario Prefettizio del Comune di Albidona Per un giusto plauso ai militi

della Benemerita Arma L’anno 1931, addì venti del mese di giugno, nel Comune di Albidona il Sig. Cav. Angelo Manfredi commissario prefettizio per la temporanea amministrazione del Comune suddetto e nel concorso del Segretario comunale Sig. Vincenzo Angiò, ha deliberato sul seguente

OGGETTO: Per un giusto plauso ai militi della Benemerita Arma, ritenuto che in seguito al furto, ultimamente patito da questa Parrocchia di vari oggetti preziosi, che oltre a rappresentare un rilevante valore intrinsico rappresentavano un valore tradizionale-storico di questa popolazione, il Maresciallo dei Reali Carabinieri Comandante la Stazione di Trebisacce signor STRONGOLI Giuseppe validamente coadiuvato dall’appuntato IOCCO Domenico, e dai Carabinieri Tauriello Michele, Stamerra Angelo e De Stefanis Fortunato, dopo faticose e pazienti indagini di varie settimane, riusciva a recuperare la refurtiva fuori della propria circoscrizione, scoprendone ancora dell’altra per un valore di lire 60000. Considerato che una vera associazione di delinquenti, da tempo operava in tutto il Circondario, con viva e giusta preoccupazione delle popolazioni stante i continui furti che in maniera diabolica venivano perpetrati; Considerato che se tali delinquenti oggi sono stati tutti assicurati alla Giustizia devesi al sullodato funzionario, grazie alal paziente, minuziosa e faticosa indagine condotta nei diversi paesi; Considerato che è doveroso segnalare alle Superiori Autorità, per quel meritato plauso, quei funzionari che non conoscendo sacrifici e con vero spirito di abnegazione esplicano la più scrupolosa attività a solo scopo di rispondere al mandato loro demandato. Inteso il plauso generale di questa cittadinanza

DELIBERA di portare, per come porta a conoscenza di S. E. il Prefetto della Provincia, nonché alle Superiori Autorità Gerarchiche della Benemerita, la brillanta operazione svolta dal maresciallo sig. Strongoli Giuseppe, coadiuvato dall’appuntato Iocco Domenico e dai Carabinieri Tauriello Michele, Stamerra Angelo e De Stefanis Fortunato, per il recupero della preziosa refurtiva a danno di questa Parrocchia, e di avere nello stesso tempo assicurato alla Giustizia la vasta associazione di delinquenza che da tempo infestava queste regioni con viva preoccupazione di tutti i cittadini. Far voti, per come li fa alle Superiori Autorità di tenere presente la brillante operazione di servizio compiuta con slancio ammirevolissimo dai suddetti militari per incitarli vieppiù a compiere nuove nobili azioni per il bene del re, del Duce, della Patria. Il Commissario Prefettizio Angelo Manfredi, il Segretario comunale Angiò rag. Vincenzo. La presente deliberazione è stata pubblicata all’Albo Pretorio di questo Comune il giorno festivo di Domenica 21 Giugno e contro la stessa non è stata prodotta opposizione. Per copia conforme ad uso amministrativo, Albidona, lì 23 Giugno 1931 – Anno IX. Nota. Stranamente, questo documento, invece di essere conservato nell’Archivio comunale di Albidona, è stato casualmente trovato nel Comune di Alessandria del Carretto. Fortuna che sia venuto alla luce ! Esso conferma ciò che racconta la gente di Albidona: la notte tra il 7 e l’8 maggio 1931 non fu rubata soltanto la spada di San Michele ma anche gli orecchini della Madonna del rosario ed altri oggetti sacri appartenenti alla stessa parrocchia.

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San Michele: i falò, le fiaccole, il ramoscello del maio “Quasi tutto il mese di maggio era dedicato ala festa di San Michele Arcangelo. Si sentiva l’ebbrezza della primavera, della campagna già promettente di ricchezza e della festa del Santo Protettore che si celebrava, come oggi, l’8 di maggio. Erano allegri soprattutto i ragazzi, i quali, il giorno prima della festa si recavano a frotte nella “timpa” di San Rocco, raccoglievano dei ramoscelli si acero (u màie), e quando ritornavano in paese li appendevano alle porte, proprio come ricorda il Frazer per i ragazzi della Svezia: “il primo maggio in alcune parti della Svezia, i ragazzi fanno il giro di tutte le case cantando canzoni di maggio, il cui ritornello è una preghiera per avere bel tempo, raccolto abbondante… “ . Quindi, quel ramoscello di “majo”, che non è altro che l’albero di maggio ricordato dallo stesso Frazer, e che è già scomparso dalla nostra tradizione, era un antico retaggio, comune a tutti i paesi del Mediterraneo dove era assai vivo il culto animistico dell’albero. La festa di San Michele, caratteristica per la sua lunga processione, per l’incanto dei prodotti tipici locali donati dai fedeli, per i falò, per fiaccole di teda, e per i fuochi d’artificio, era ritenuta la più bella e la più allegra di Albidona”. (Appunti per la tesi di Titti Gioia - 1978)

San Michele degli “Americani”

La comunità albidonese di Buenos Aires non ha mai dimenticato il loro san Michele Arcangelo che hanno lasciato tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Hanno il loro Circolo (il Circolo degli Albidonesi, il cui attuale presidente è Francesco Napoli), Michele Munno fa il giornale “L’Albidoense, da circa un ventennio, e festeggiano anche i loro santi. La statua di San Michele è stata scolpita dall’artista Leonardo Rizzo, figlio di Giuseppe (Tresìna) e di Peppina Rescia, di Albidona. Il San Michele dei nostri emigranti viene festeggiato in una chiesetta di Buenos Aires ogni 11 di maggio. Anche quella è’ una festa religiosa e popolare. Vedi le donne vestite in costume albidonese e con i cinti sul capo, l’incanto, la musica, la santa messa e la processione. Il giovane Pasquale Golia si è laureato all’Università di Cosenza, con una tesi sui cibi e sulle feste popolari degli emigranti albidonesi a Buenos Aires.

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San Michele nella poesia e nei canti popolari albidonesi

Nella canzoncina popolare religiosa che ascoltavamo durante la processione del Santo Protettore, le donne che avevano mariti o figli in guerra, invocavano: “O san Michele arcangelo di Dio, aiuta i nostri soldati”.

Figura 22 - San Michele 2008

San Michèghe’Arcàngele lu sbiannènt E San Michèghe’Arcàngele lu sbiannènt, tu sei lu vere gàngele di Ddìe; a sutt’u pede tene llu serpent, la spate ‘mmàne chi tt’è ddàte Dìe; tènese ssi vuguànz’a gghiustament, mesùreme ll’àneme’e pportaglill’a Dìe: tann ll’àanima mèie sta ccuntènt quann’a vìghe’a ssièreve’avant’a Dìe; Santìssime Sacramènt tu sia lodàte, mò lla biàta Vèrgine Marìe, nu giocatòre cient on-si perdiè,

perd ll’àneme e llu cuorp di dannàve; scinn lla spate chi ttènede’a Ddìie, stave ccom’a nna stàtue’e cc’è rremàse. Santìssime sacramìnt tu sia lodàte, mo’ lla bbiàta Vìrgina marìe. Dòne’aiùte’a gli nostr soldàte Questo brano veniva cantato, come preghiera, dalle mamme e dalle mogli di Albidona, durante la guerra del 1915-18 e nel secondo conflitto mondiale. Oi San Michèghe Arcàngele di Dìe, tu si’ ll’aiùte’e lla speranza mìe. Oi San Michèghe Arcàngele’i salùte, done gli’aiùte’a gli nostr soldàte.

Nota. Queste due canzoncine mi sono state dettate negli anni ’80, da Felicia e da Domenica Liguori

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1968. “o San Michele che conosci guai e pene, rompi le nostre catene! “

Quella di San Michele Arcangelo è una festa fortemente sentita nella comunità albidonese ed’è pure ricca di contenuti culturali e religiosi. Ci sono degli atti di esteriorità, ma c’è anche una fede certamente autentica e sincera, seppure condizionata dai problemi personali ed esistenziali della classe subalterna. Mi è sembrata una “violenza” fotografare quella mamma contadina (col figlio carcerato)che portava il “cinto” di grano sul capo, con i capelli sciolti sulla nuca, i piedi scalzi e che procedeva all’indietro, con le spalle verso la folla e col viso verso la statua di San Michele. Purtroppo, gli spunti delle tradizioni popolari, culturali e storici, come le donne che portano “u menzitùmmene” sulla testa, che pregano, danzano e piangono dinanzi al santo, appartengono a una società tuttora precaria, tipica del nostro Sud. Forse non faremo più a tempo per raccogliere questi frammenti di canti popolari e processionali di zia Maria e zia Felicia. Questa è pure una festa dove si invocano grazie e liberazione: “o San Michele che conosci guai e pene, rompi le nostre catene! “. San Michele è visto come un guerriero, come un grande “generale” che protegge dal “maligno”, ma il suo sguardo senza sorriso, la sua spada e il suo piede sul ribelle e perdente Lucifero incutono anche soggezione e forte impressione. Sì; c’è anche l’allegria della giornata, con i suoni dell’organetto, della zampogna e del tamburello: i falò e le fiaccole che si accendono nella tarda serata rappresentano soltanto una breve parentesi di sosta e di riposo. Ma domani, la gente tornerà ancora sui campi, con l’accetta e la zappa. Queste feste meridionali le ha vissute anche il poeta lucano Rocco Scotellaro.

(giuseppe rizzo -8 maggio 1968)

A fest’i Sint-Michèghe (8 maggio 1968)

A sère d’a vìjlie, sònene’a ffest gli campàne; i sièntene da Mustàreche e dd’u Pontàne. I cristiàne tìrene llu suspìre d’u funn’u core, si facène’u sìgn’i crùce e cchiàmene’u Protettòre. A matìne d’a feste’i Sant-Michèghe, i fièmmene chiù ggiùvene vàne na chièsie cu llu vèghe; ma c’è ze’ Rosa, pure c’ogn’è vestùte’a luss, pòrt llu muccuatùre e llu pann-russ. U sicristàne scìnn dd’u chimpanìle pi’ gli scàghe, e dd’a port’a Mànch tràse zi’ Pascàghe; camìne ddùce-dùce, ppoggiàte dasup’u vett: a sùie, è ll’ùrtema giachett di pannett; è la giachètt chi mmàmm’e ttàte gli ni dàte’ u iùrn chi ss’è sposàte. Quant feste’i Simmichèghe, tutt bièll

si ricòrde ssu’ viecchiarièll ! Mo’ zi’ Pascàghe, g’ha ppùre’i novant’ann, dìce ca’ a gli tièmp sùie “ière nna festa grann !” Simmichèghe ièr llu iùrn d’u Sant Protettòre d’u paìse chi cchiamàvene Montedòre. Può, quann Simmichèghe dànz nna “Port’a minùte”, avànt’a case d’u Spiziàle, simìglie ppruòprie’a nnu gineràle ! U grìde’i Scepp’u Bièlle fàce cchiàng llu paìse: “Evvìve San-Michèghe, ca iè llu rrè d’u Paravìse !” Mo’, Simmichèghe u pòrtene ‘npricissiòne, pass pi’ ttùtt’i vìe d’Albidòne; gh’ha lla coràzz ‘mpiett tutta chìne’i gòre, avànt, ci sùne’i suòne’i Ruòcch’u Gnòre; zi’ Filìce’i Vicenzièll e zi’ Marìe’i Ribìne càntene’a chiù bella canzoncìne: “San Michèghe’arcàngele lu sbiannènt,

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sutt’u pède tène llu serpènt...! I fièmmene chi nni fatt’u vùte bbàllene’avànt’u Sant, cu llu minzitùmmene ‘ncàpe: “Simmichèghe canòsc guàie’e pene, sùgue ghìll po’ rrupp gli catène; O Sant-Protettòre, pòrt pace e bene a ssu’ paìse e ffamm tràse ‘nparavìse !” Pure’a ccu pòrt lla bittìglie d’u liquòre dasup’a buffett vo’ ddàte ni’ pìcchie’i rett e llu rispett: a chiàmene “bbìvera-sant” ssa gusànz, quìglie chi ppòrtene’a stàtue pìgliene’u biccherìne pi’ criànz. Puo’, mint e nno mmìnt’u sòle, si recòglie llu Sant; u Procuratòre face llu ‘ncànt: pagùmm’e cuinìglie, gàiene, crapiètt e gallìne,

sc/cch’i purtuguàll, tarall, guòglie’e vìne. C’è lla mùseche d’i bannìstr, fìne’a minzannott, u fuòche’i llirtìzie e ppùre’i bott. A fest firnìsc cu gli ghiminère’e gli piòche ca vane tutt’a vvàmp e fuòche. Navòte, i piòche, i tiràvene cu gli vuòie’i fore, mo’ i pòrtene cu llu càmie’e llu trattòre. I ggivinott, bbàllene attuòrn’u fuòche d’a piòche, cu ttimmirrìne’e gghiriganètt, crimatìne, nata-vòte fòre, cu lla zapp e lla gaccett.

Traduzione. La sera della vigilia, le campane suonano a festa; si sentono da Mostarico e dal Pontano; la gente tira un sospiro dal profondo del cuore e invoca il santo Protettore. La mattina della festa di San Michele le donne più giovani entrano in chiesa col velo sul capo, ma c’è zia Rosa, anche se

non veste di lusso, indossa il fazzoletto sul capo e il “pannorosso” sulle spalle. Il sagrestano scende dal campanile, attraverso le scale di legno e zio Pasquale entra in chiesa per la “Porta Manca”. Cammina lentamente, appoggiandosi a un bastone: la sua è l’ultima giacca di pannetto; è la giacca che gli hanno donato i genitori nel giorno del suo matrimonio. Quante feste di San Michele, tutte belle, si ricorda questo vecchierello ! Ora, zio Pasquale ha pure i suoi novant’anni, e dice che ai suoi tempi, quella di San Michele “era una grande festa ! “ Poi, San Michele si affaccia alla “Porta piccola” della Chiesa, di fronte alla casa dello Speziale (oggi, case Pota e Mutto) e somiglia proprio a un generale ! Il grido di Giuseppe il bello (Paladino) fa commuovere tutto il paese: “Evviva San Michele, il re del Paradiso !” San Michele era il giorno del Santo Protettore del paese, che una volta si chiamava Montedoro. Poi, quando il Santo lo portano in processione, passa per tutte le vie di Albidona. Porta la corazza sul petto ed è carica di oro; davanti, ci sono le zampogne di Rocco Rago; zia Felicia Liguori e Maria “Rubìno” cantano la più bella canzoncina: “o San Michele, arcangelo splendente, che sotto il piede tieni il serpente !” Le donne che hanno fatto il voto ballano davanti al Santo, col cinto sul capo: “San

Michele conosce i nostri guai e le nostre pene e soltanto Lui può spezzare le nostre catene; o santo Protettore, porta pace e bene a questo paese e fammi entrare in Paradiso !”Pure chi porta la bottiglia di liquore sul tavolinetto merita rispetto e attenzione: questa usanza la chiamano “bèvera santo”, perché i portatori della statua vengono ristorati in maniera corretta. Poi, quasi al calar del sole, il Santo torna in chiesa; il Procuratore della festa fa l’incanto: colombini e conigli, agnelli, capretti e galline, “scocche” di arance, taralli, bottiglie di olio e di vino.

Figura 23 - u mezëtùmminë

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Ci sono la musica della banda, che suona fino a mezzanotte, i fuochi d’artificio e pure i colpi di mortaretto. La festa finisce con le fiaccole e i pini che vanno tutti a fuoco. Una volta, i pini venivano tirati con i buoi della campagna, oggi invece, le trasportano col trattore. I giovanotti ballano attorno al fuoco dei pini, con tamburello e organetto; domani mattina, andremo un’altra volta nei campi, con la zappa e con l’accetta. La raccolta delle immaginette e delle fotografie di San Michele. Il gruppo l’Altra cultura si interessa anche di questo. Interessanti le raccolte del parroco Giulio Rizzo e di Leonardo Aurelio. Chissà quante ce ne sono nelle case dei vecchi Procuratori delle feste. Non perdete i Libretti liturgici (con preghiere e canti religiosi). San Michele in altri paesi: Cariati, Malito, Altomonte, Rota Greca, Cinquefrondi ecc. Belle anche le statue che abbiamo visto a Latronico e nell’isola di Procida.

NOTE

1) I Longobardi. Longobardo, dalla lunga barba. Popolo germanico che viveva lungo le rive dell’Elba. Ne parlano gli storici Valleio Patercolo, Strabone, Tacito e Paolo Diacono. La storia dei Longobardi inizia nel I° sec. A.C. e finisce nel 770. Il loro storico fu il monaco Paolo Diacono (Historia Longobardarum – 770-790) e “Origo gentis longobardorum – metà secolo VII°) I Longobardi, dopo l’occupazione del Nord Italia (535-553), si dirigono verso il Sud, formando il Ducato di Spoleto e il Ducato di Benevento. E’ da ricordare il famoso Editto di Rotari (che regnò dal 636 al 652). Il loro capo (o grande capo) veniva chiamato Dux. Perciò, in Italia formarono i Ducati. Dopo la loro conversione al cattolicesimo, per intervento del papa Gregorio Magno (al trono di Pietro, dal 590 al 604) – ebbero una vera e propria cultura (architettura, scultura, pittura) e fecero delle dedicazioni santoriali, scegliendo come protettori gli arcangeli guerrieri: san Michele, san Giorgio e san Martino.

2) Giuseppe Roma scrive che in Italia ci sono 274 siti dedicati a S. Michele e 65 in Francia. Nella regione Calabria ci sono 97 località con i toponimi Sant’Angelo e San Michele Arcangelo. Di questi, il 97,62% si trovano in provincia di Cosenza (ex Calabria longobarda), 16 nella provincia di Reggio, 14 a Catanzaro e quattro a Vibo. Il culto micaelico e insediamenti fortificati sul territorio della Calabria settentrionale, in La Stadia, anno XI, n. 2-3/2005 3) Dopo l’apparizione al vescovo Lorenzo, anche se il culto micaelico era già diffuso con i Bizantini, “da noi appare nella seconda metà del VII° secolo, allorquando i vescovi di Benevento e di Capua (Barbato e Decoroso) si adoperarono per cancellare i residui idolatri fra i Longobardi”. Vedi Cosimo Damiano Fonseca, Le vie dell’angelo, il culto di san Michele in area longobarda e bizantina, in I luoghi dell’infinito, inserto mensile del quotidiano Avvenire, n. 97, anno X, giugno 2006, pp. 8-9 e 18-25. 4) Sant’Angelo battipede, forse perché calpestava il demonio ? 5) Il culto di San Michele o Sant’Angelo. L’iniziale funzione era quella di sostituire il culto pagano preesistente, Mitra, Ercole, Gargantua. Nella prima fase, inculturare la fede cristiana dove era maggiormente radicato il culto pagano, quindi aveva una funzione spaganeggiante. Fonseca, in op. cit. 6) i monaci scampati alle persecuzioni degli iconoclasti 7) Giuseppe Roma, Culto micaelico e in sediamenti fortificati della Calabria settentrionale, in Stadia, anno XI, n.2-3-2005.

Figura 24 - ... tutto per devozione

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APPENDICE

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Figura 25 - L'incanto Figura 26 - a piòca tirata dai buoi

Figura 27 - a piòca trasportata dal trattore Figura 28 - preparazione della piòca

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Figura 29 - la piòca in fiamme Figura 30 - Danza processionale in una foto di A. Maggio

Figura 31 - Danza Processionale 2007 Figura 32 - Danza processionale 2008

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Figura 33 - San Michele di Altomonte

Figura 34 - San Michele di Oriolo Calabro

Figura 35 - Prima del restauro

Figura 36 - Dopo il restauro

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Figura 37 - Il Tiraccio, luglio 1979

Figura 38 - Il Quotidiano della Calabria 13 maggio 2008

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Le feste cicliche di Albidona

(religiose e profane) Le feste dei nostri paesi non scompaiono soltanto per le innovazioni liturgiche o per le variazioni dei calendari, come per esempio è recentemente avvenuto per la soppressione di alcune festività, civili e religiose, da parte dello Stato italiano, ma scompaiono anche per l’evoluzione dei tempi e dei costumi che caratterizzano una data comunità. In tempi remoti, e anche in quelli più recenti, le feste (religiose e profane) erano più diffuse, più frequentate e più autenticamente vissute. Qualcuno di questi nostri anziani è solito dire: “Ai miei tempi si viveva nella miseria e nella fame ma si riusciva a stare contenti. Per tutto l’anno, tranne le circostanze di lutto, nella

commemorazione dei Defunti e nel periodo della Quaresima, si divertiva con balli, suoni e canti”. Dal racconto di questi nostri testimoni delle antiche tradizioni locali apprendiamo che le vecchie feste erano veramente frequenti e continue; si susseguivano, l’una dopo l’altra, per tutti i dodici mesi dell’anno. Per questo, noi le chiamiamo feste cicliche. Infatti, esse corrispondevano ai vari cicli o stagioni dell’anno. Perché si celebravano tutte queste feste ? Ce le descrivono gli stessi nostri interlocutori, i quali rimproverano anche i figli e i nipoti, perché costoro non saprebbero “fare le feste”. In questa ricerca restringeremo la nostra indagine per parlare soltanto delle vecchie feste che si celebravano in Albidona (CS). Diciamo, “si celebravano”, perché molte di esse sono scomparse da tempo, ma ci vengono ancora ricordate dai nostri vecchi che le vissero pienamente, fin dai tempi della loro giovinezza. Ecco una breve rassegna: la prima festa dell’anno era il Capodanno. Esso era considerato quasi un prolungamento del Natale, che terminava col vecchio anno, ma dava inizio all’annata

successiva. Per le classi subalterne, il Capodanno, se era passato e festeggiato felicemente, faceva sperare buoni auspici per tutti i dodici mesi che lo seguivano. Buoni auspici per la salute, per la famiglia e per il lavoro. Anche la Stella dell’Epifania (a nott’a Stell) era buon presagio per l’anno che cominciava. Poi, subito Carnevale, che iniziava, come in altri paesi, il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate

(detto sant’Antuòno): Sant’Antuòne / masc-chere’e ssuòne, dicono, ancora oggi in Albidona. Cioè, con maschere e suoni, iniziava la grande baldoria del carnevale, che terminava nell’ultimo martedì del mese di febbraio, con la famosa “sera’a posèra”. Durante il Carnevale si ballava, si cantava, si suonava e si mangiava allegramente, con abbondanti scorpacciate di vino e carne; anche se a quei tempi vi fosse tanta miseria. Si riusciva, tuttavia, ad acquistare un po’ di carne per i maccheroni di casa della domenica. Chi non comprava carne dal macellaio si forniva di uccellini presi nelle trappole (i chiàncole): venivano cotti a stufato e il loro sugo sparso sui maccheroni era squisitissimo. Ogni domenica si vestivano le maschere. Esse formavano delle squadre e giravano per le strade del paese, esibendosi in caratteristici vestiti e mettendo in scena i “Misi”, le “Ghivannàre” e altri pezzi di folklore locale, ormai scomparsi. La gran baldoria terminava, come abbiamo

detto, nella famosa sera della “Posèra”, per ricordare il pecoraio che non fece in tempo a tornare

Figura 40 - Buenos Aires – Festa di San Michele

Figura 39 - Cartolina sec. XX

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per l’ultima domenica di febbraio. Quindi si dovette prolungare la festa del carnevale per la sera dopo (post seram), cioè il martedì dopo l’ultima domenica di febbraio. Con la fine di Carnevale iniziava il digiuno, come preparazione della Pasqua. Non si doveva mangiare più carne, salsiccia e altri salami che si facevano nelle nostre case. Si era già in Quaresima: le donne si riunivano tutte al focolare di una vicina di casa, si “ripassavano” le canzoncine di Pasqua, cantandole ad alta voce e raccomandavano ai nipoti e agli uomini di non “cammaràre”, di non mangiare carne. Anche questa Quaresima era periodo di festa. Era una festa, una parentesi religiosa per prepararsi alla Passione; per purificarsi, per meditare e per fare nuovi e buoni propositi di vita esemplare e laboriosa. La Quaresima e la Pasqua erano insomma le feste dell’anima, dell’espiazione e anche della preghiera propiziatoria, per il decorrere di un altro felice anno di lavoro e di pace. Il digiuno quaresimale terminava il Sabato santo, appena suonava la “gloria” della Resurrezione di Cristo. La gente ringraziava commossa il “Signore” e dava inizio ad un’altra baldoria, come Carnevale, con balli, suoni e canti e con abbondanti libagioni di vino locale. Appena trascorsa la Pasqua (ma certe volte anche prima), le nostre donne, a squadre, andavano a zappettare il grano nelle masserie dei proprietari terrieri di Albidona, dei contadini più o meno benestanti, dove soggiornavano e pernottavano per diverse settimane. La sera, al lume della teda, si ballava e si cantava, insieme ai giovanotti del paese che venivano a trovarle per trascorrere un’allegra serata, giacché tra di esse c’erano spesso anche signorine e vedove i cui mariti erano partiti da tempo per l’America. Per il 19 marzo si aspettava la festa di San Giuseppe: famose le panelle, bianche e profumate che

faceva donna Assunta Troiano, moglie di don Salvatore Dramisino. Quaranta giorni dopo Pasqua, nell’Ascensione c’era la donazione del latte, da parte dei massari che possedevano il bestiame. Con il latte si cucinano gli squisiti maccarùne cu llu guatt. Quasi tutto il mese di maggio era dedicato alla festa di San Michele Arcangelo. Si sentiva l’ebbrezza della primavera, della campagna già promettente di ricchezza e della festa del Santo Protettore che si celebrava, come oggi, l’8 di maggio. Erano allegri soprattutto i ragazzi, i quali, il giorno prima della festa si recavano a frotte nella “timpa” di San Rocco, raccoglievano dei ramoscelli si acero (u màie), e quando ritornavano in paese li appendevano alle porte, proprio come ricorda il Frazer per i ragazzi della Svezia: “il primo maggio in alcune parti della Svezia, i ragazzi fanno il giro di tutte le case cantando canzoni di maggio, il cui ritornello è una preghiera per avere bel tempo, raccolto abbondante… (1) Quindi, quel ramoscello di “majo”, che non è altro che l’albero di

maggio ricordato dallo stesso Frazer, e che è già scomparso dalla nostra tradizione, era un antico retaggio, comune a tutti i paesi del Mediterraneo dove era assai vivo il culto animistico dell’albero. La festa di San Michele, caratteristica per la sua lunga processione, per l’incanto dei prodotti tipici locali donati dai fedeli, per i falò, per fiaccole di teda, e per i fuochi d’artificio, era ritenuta la più bella e la più allegra di Albidona”. Il giorno dopo, seguiva quella di S. Francesco di Paola, ora quasi scomparsa. Nel mese di giugno si festeggiava, oltre al Corpus Domini, con fiori e con le più belle coperte dotali stese sui balconi, soprattutto Sant’Antonio da Padova. Bella questa festa, per l’albero della cuccagna (a ndìnna) dove si appendevano poveri capretti e galli vivi, salami, trecce di fischi secchi, formaggio e uova marce da buttare alle signore e ai “signori” che si divertivano dai balconi e dalle finestre della case vicine. Dopo Sant’Antonio, iniziava la “festa” della mietitura, perché la compagnia dei mietitori, accompagnati da un caporale, stava per settimane intere nelle masserie, specie quelle dei Chidichimo, quasi per tutto il mese di giugno. Mentre si mieteva, si cantava e si scherzava, come se si onorasse l’antica dea della madre Terra e della fertilità. Appresso ai mietitori stava un suonatore

Figura 41 - San Michele di Angela Altieri

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di organetto o di zampogna, il quale aveva l’obbligo di sapere bene usare la zampogna (i suone’a chiave) e di tenere allegri gli altri suoi compagni che lavoravano contenti sotto il sole di giugno e sotto l’occhio vigile del padrone. Alla fine della mietitura si praticava il gioco del falcetto o della lepre. Sin fingeva di catturare la lepre, la si legava e si portava davanti al padrone, il quale offriva carne di montone e vino. Qualcuno ricorda la festa dio San Giovanni del 24 giugno; quella di San Pietro (29 dello stesso mese), si è festeggiata fino agli anni ’80. Luglio e agosto erano le “feste” della trebbiatura; si cantava e si ballava, la sera, nell’aia e si aspettavano le feste della Madonna della pietà, della Madonna del Càfaro e di San Rocco (5, 15 e 16 agosto). A settembre si celebrava la festa di San Donato e nella prima domenica di ottobre, quella della Madonna del rosario. Come si vede, le feste religiose si alternavano quasi senza interruzione, con quelle mondane, cioè quelle del lavoro dei campi. Poi seguivano anche i pellegrinaggi di devozione alla Madonna della catena di Cassano, alla Madonna degli infermi di Francavilla Marittima, alla Madonna delle armi di Cerchiara e alla Madonna del Pollino, in Lucania. Lì, si andava a piedi e ci si divertiva, con un senso di liberazione e di serenità, per ritornare subito a lavorare e a prepararsi per la semina e la vendemmia, quasi già alle porte. Tutto ottobre era dedicato alla semina. Agli inizi c’era la breve parentesi di Tutt’i santi e la commemorazione dei Defunti (u jurne’i Muort). Il primo di novembre (Sant-Martìne) si spillava il vino e per questo si era più allegri degli altri giorni. Ma chi non spillava alla festa di Tutti i santi, assaggiava il vino nuovo nel giorno dell’Immacolata (a Madonna’u Cummènte -8 dicembre), quando si iniziava anche ad ammazzare i maiali. Il 13 dello stesso mese era la festa di Santa Lucia e si mangiavano “i coccìe”, grano bollito nella pignatta e condito con miele. Anche questa era una festa “ricordante”, cioè degna di essere menzionata. Ora, i coccìe sono quasi scomparsi. Natale. Per tutto il mese di dicembre (detto comunemente u mese’i Natale) si ammazzavano ancora i maiali. Quindi la festa era intensa e più continua dell’anno. Dal 22 al 23 sera si girava per le case degli amici e dei vicini, perché si dovevano festeggiare i “fritti” (crispelle, cannalette, frascelle e cannarìcule), ubriacandosi con vino nuovo e casereccio. Ma la festa più bella e più attesa era (ed è) la sera della vigilia di Natale, perché si mangiano le “nove cose”. Si andava alla messa di mezzanotte e si portavano serenate nelle case dei parenti e degli amici. Ma terminata questa grande nottata, si pensava nuovamente a un altro maiale da uccidere e a terminare la raccolta delle olive, da portare poi subito al trappeto, la cui grande “macina” era tirata da una mula, da un asino o da un cavallo bendato. Pure la raccolta delle olive era una specie di festa campestre. Le donne raccoglitrici, come le zappettatici del grano e come i mietitori di giugno, soggiornavano in campagna per intere settimane. Anche in questa circostanza, durante la raccolta e nelle soste notturne, ci si divertiva a cantare e a ballare sotto il chiarore della teda. La nostra gente, sebbene lavorasse più delle ore consentite e scontasse quasi sempre in natura, riusciva a liberarsi e a compensare la sua infelicità e la sua miseria con i canti, i balli, i suoni e le feste “continue”, che noi chiamiamo “feste cicliche” dell’anno.

(Appunti per la tesi di Titti Gioia 26.3.1979).

1) James Georg Frazer; Il ramo d’oro, Einaudi, 1950.

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Figura 42 Delibera Comunale sul furto sacrilego del 1931

Figura 43 - Ricevuta 1889 - Spada d'argento

Figura 44 - Altra pagina della Platea

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ALCUNI PARROCI E SACERDOTI DI ALBIDONA

Figura 45 d. Francesco Gatto

Figura 46- d. Francesco Rago

Figura 47- d. G.B. Adduci

Figura 48 - d. Saverio Laurita

Figura 49 - d. Giulio Rizzo

Figura 50 - d. Domenico Di Vasto

Figura 51 - d. Gaetano Santagada

Figura 52 - d. Nicola Arcuri

Figura 53 - d. Nicola De luca

Figura 54 - d. Carmelo Tucci

Figura 55 - d. Alessio De stefano

Figura 56 - d. Michele Munno

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Bibliografia Albanese Michele, Mikael – Il Principe celeste – Storia di un culto, RC. 2007 Armenti Teresa, Sant’Angelo al Monte Raparo e il culto micaelico, Edizioni Ermes, 1998 Cappelli Biagio, Il monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani, Napoli, 1961 Carlini Franco; L’Arcangelo Michele nell’Europa occidentale, in Sito “gioventùeuropea.it arcangelomicheleeuropa occ. Fonseca Cosimo Damiano; I luoghi dell’infinito-Mensile di itinerari, arte e cultura. Avvenire, n. 97, anno X, giugno 2006, pagg. 8,9 e 18-25 Jarnut Jorg; Storia dei Longobardi, Il Giornale, 2002. Marucci Gabriella, L'Arcangelo, Bulzoni Editore, 2006 Paolo Diacono; Historia Longobardarum Pratilli F.M., Historia Principum Longobardorum, Napoli, 1749-54 Roma Giuseppe; Culto micaelico e insediamenti fortificati sul territorio della Calabria settentrionale, in La Stadia, anno XI, n. 2-3/2005;

- Necropoli e insediamenti fortificati nella Calabria settentrionale. Vol. I – Le necropoli, Edipuglia, Bari 2001;

- Paesaggi della Calabria tardoantica e medievale: fonti scritte e documentazione archeologica; Russo Francesco, Storia della diocesi di Cassano Jonio, Laurenziana (Napoli), 1964-69, vv. I-IV Telesca Luigi; Forme e luoghi della venerazione, culto e insediamenti micaelici in Basilicata (sito) Verrastro Valeria; S. Michele Arcangelo un santo guerriero che fa incontrare i popoli, in Regione Basilicata…. Monte Sant’Angelo- Monte Sant’Angelo-Storia, monumenti, gastronomia, artigianato, feste e tradizioni-cultura (sito). Altre fonti consultate Leonardo Alario, intervista con Angela Aurelio e altri parrocchiani di Albidona (vedi Archivio L’Altra cultura) Antico Testamento (il profeta Daniele, 10,13,21,12), L’arcangelo Michele designato come capo degli angeli, patrono e difensore del popolo ebraico. Nuovo Testamento. L’arcangelo Michele contro il drago (Apocalisse, 12, 7, 9). Lotta di san Michele contro il demonio. Lettera di Giuda, 9 Per l’Alto Jonio e per la Diocesi di Cassano Jonio: Biagio Lanza, Minervini, Tullio Masneri, Lorenzo Quilici

Le foto sono di ... Archivi Don Giulio Rizzo, Leonardo Aurelio-Laino-Altieri, Giuseppe Rizzo (L’Altra cultura), Michele Rizzo, Ettore Angiò, Angelo Maggio, Pino Marano, Pasqualino Adduci, Angelo, Domenico e Michele Laino, Pino Genise, Pasqualino Adduci, Franco Middonno, Pasquale Bloisi.

Impaginazione: Ettore Carmelo Angiò