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I NOMADI DELLA STEPPA
1. IL NOMADISMO
Interrogarsi sul mondo nomade significa prendere in considerazione un mondo che non ci
appartiene, un mondo che “noi” occidentali stanziali guardiamo con sospetto o con curiosità.
Prima di definire chi sono i nomadi, chi sono stati storicamente e oggi, bisogna ben focalizzare
che parlare di nomadi significa porre la questione di ciò che viene prima della “civiltà”, almeno
dal nostro punto di vista; ciò che viene prima ma anche ciò che la attraversa, la percorre e che ad
essa, ai suoi ordinamenti, alla sua presa di possesso di un territorio, alla pretesa di tracciare
confini su una terra che nasce di per sé libera e aperta, non si adegua. Due mondi, quello dei
nomadi e quello dei sedentari, in continuo scontro, due concezioni opposte e inconciliabili dello
spazio, del suo sfruttamento, della sua vivibilità. Due mondi che, soprattutto in passato, hanno
dato vita anche a scontri reali, fisici, di un’importanza tale che Maurice Aymard non esita ad
affermare che la storia del Mediterraneo “si identifica con una lunga lotta tra nomadi e
sedentari”1, contrapposizioni in cui “i secondi finiscono dappertutto per avere la meglio,
costringendo i primi a darsi una stabilità”2. Dunque uno scontro fisico che costituisce, di nuovo,
uno scontro fra concezioni dello spazio e della sua fruibilità totalmente opposte, il cui esito è
l’adeguamento della visione più fragile perché aleatoria, evanescente, indefinita alla visione più
forte perché stabile, solida, coi piedi per terra, si potrebbe dire.
Testimonianze importanti, che ci dicono della visione che gli stanziali “nostri antenati” avevano
dei nomadi e degli scontri con essi, ci vengono dal mondo greco e latino. Ad esempio, Erodoto
nel libro IV delle sue Storie parla degli sciti, popolazione nomade del vasto territorio compreso tra
il fiume Dnestr e il lago d’Aral, poi stanziatasi sulle coste del Mar Nero, e li descrive come
“invincibili e inavvicinabili” dato che, spostandosi di continuo e portando tutto con sé, non si
riesce di fatto a combattere con loro. Significativo l’episodio che l’autore greco riporta in
riferimento all’invasione della Scizia da parte di Dario nel 516 a. C.. Il sovrano, esasperato dalla
ritirata degli sciti al procedere dell’esercito persiano, invia un messaggio al loro re: “Perché fuggi
sempre? Perché non ti fermi e combatti, oppure ti sottometti?”. Il re scita così risponde: “Non
sono mai fuggito per timore di nessun uomo, e non fuggo da te. Se vuoi davvero un
combattimento, trova le tombe dei nostri padri, e vedrai se noi combatteremo. Quanto al tuo vanto
di essere il mio signore, va’ in malora”. Dunque l’alterità, l’opposizione tra due modi di intendere
1 Maurci Aymard, Migrazioni in Fernand Braudel, Il Mediterraneo: lo spazio, la storia, gli uomini,
le tradizioni, Bompiani, Milano 1987, p. 237 2 ibidem
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lo spazio viene a pregiudicare addirittura la possibilità di scontrarsi in un determinato spazio,
appunto perché per una delle due parti questo spazio non è così determinato, o comunque non lo è
allo stesso modo in cui lo è per gli altri. Sempre per i greci l’Asia settentrionale era una terra
piena di mostruosità, abitata da uomini-cane, gente coi piedi voltati all’indietro, gente senza testa
con la faccia sulle spalle e così via. Allo stesso modo per i romani le popolazioni nomadi che
provenivano dall’Asia apparivano con tratti mostruosi e carattere bestiale; basti pensare ad
Ammiano Marcellino che descrive gli Unni come “insaziabili di sangue ed oro”, oppure a
Giordane che nella sua Storia Gotica scrive di loro che “pur vivendo in forma umana, sono di una
crudeltà belluina”. Tutto ciò testimonia dunque la difficoltà di rapportarsi con il diverso da noi e,
di contro, la facilità con cui ad esso può essere applicata una visione stereotipata, che non tiene
conto della realtà o che ne travisa alcuni elementi ergendoli a paradigma di una cultura, una
visione che non si fonda su un dialogo con coloro che sono oggetto di tali rappresentazioni.
Questo succede ancora oggi in modo emblematico quando si parla dei rom. Infatti essi vengono di
fatto ghettizzati nei cosiddetti campi nomadi come se la loro “cultura” non prevedesse altra forma di
abitazione diversa da una roulotte sporca e malandata. L’Occidente oggi discrimina queste
popolazioni imprigionandole in confini culturali artefatti e costruiti su luoghi comuni secolari.
Addirittura, basandosi sulla certezza che con tali etnie non si possa stipulare alcun contratto sociale,
essi vengono considerati dei gruppi secondari i quali non hanno alcun diritto, ad esempio, ad
acquisire lo statuto di rifugiati politici - così accadeva per i rom che negli anni ’90 fuggivano dai
Balcani in guerra3. Da notare che in questo caso non si parla più di popolazioni senza fissa dimora
nei loro paesi d’origine, che vagano da un posto all’altro con carri o cavalli, ma di persone che nella
maggioranza dei casi hanno abbracciato lo stile di vita sedentario. Per citare ancora Maurice
Aymard “oggi dal Maghreb al Kurdistan o nei Balcani, il nomadismo esiste ormai soltanto allo stato
residuale”4. La civiltà, identificatasi sempre come vita in città, ha vinto e si è imposta come il
modello da seguire. Dunque la situazione non è molto cambiata dall’antica Grecia, quando ai
nomadi venivano attribuite qualità orribili o sovrumane. Ancora oggi essi sono oggetto di
discriminazione e l’ignoranza nei loro confronti li condanna, in alcuni casi, ad una situazione di
apparente nomadismo che non deriva da alcuna vocazione antropologica o culturale, ma nei fatti si
ritrova ad essere coatta.
La storia dei nomadi comincia molto presto, anzi, fu proprio la prima umanità ad essere nomade.
Si pensa che almeno fino alla rivoluzione agricola del neolitico, infatti, tutti i gruppi umani che
3 cfr Giovanna Campani, Francesco Carchedi, Giovanni Mottura, a cura di, Migranti, rifugiati e
nomadi : Europa dell'Est in movimento, Torino : L'harmattan Italia, 1998, p. 9 4 Fernand Braudel, Il Mediterraneo: lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Bompiani,
Milano 1987, p. 237
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solcavano la Terra fossero nomadi, traendo sostentamento da attività di caccia, raccolta e
pastorizia.
Il termine "nomade" (dal greco nomas, "chi si sposta per cambiare pascolo") viene riferito a realtà
molto diverse sul piano storico, geografico, economico e culturale. In primo luogo gli antropologi
distinguono tra due tipologie di nomadi: i pastori e i cacciatori-raccoglitori. I primi si spostano in
base a quanto ancora il terreno può offrire ai loro animali. Non si tratta, dunque, di un vagare
senza meta da un posto all’altro, bensì di seguire determinate vie di migrazione. Inoltre sono
individuabili anche motivazioni culturali e sociali; infatti, il gregge è alla base del sistema di
valori su cui si fonda la vita del gruppo e, grazie agli spostamenti, i pastori mantengono la propria
autonomia e si sottraggono a qualsiasi forma di dominazione, compresa quella delle autorità
statali. In genere i pastori nomadi vivono ai margini delle regioni agricole, sfruttando le terre aride
(ad esempio il deserto o la steppa) e intrattenendo rapporti con le popolazioni sedentarizzate.
I secondi, i cacciatori-raccoglitori, si spostano per vari fattori: il clima e le precipitazioni, le
migrazioni animali, i cicli vegetativi delle piante, insomma tutto quello che può incidere sulla
reperibilità delle risorse. Inoltre muovendosi continuamente riducono la possibilità di conflitti e si
garantiscono maggiore autonomia. Poiché l'accesso al cibo non dipende dal possesso del
bestiame, queste società sono generalmente più egualitarie di quelle dei pastori, dove invece
l'accesso alle risorse è controllato da una gerarchia.
Dunque gli esseri umani si sono sempre spostati sulla superficie terrestre, addirittura si può dire
che la maggioranza dei popoli che oggi vivono lungo il perimetro del Mediterraneo siano giunti
da altri luoghi. Dal secondo millennio a.C. al Medioevo queste popolazioni da nomadi sono
diventate sedentarie e hanno sostituito di volta in volta coloro che occupavano un determinato
spazio prima di loro5. La storia dell’umanità ha conosciuto numerose stirpi nomadi. Ad esempio
possiamo citare i già ricordati Sciti, etichetta con cui la romanità identificava indistintamente i
popoli delle steppe orientali. Di etnia iranica erano gli Alani, che tra il II e III secolo d.C. si
adoperavano in incursioni ai danni dell’impero romano presso il Danubio e il Caucaso;
inizialmente essi erano pastori. Dal VI secolo i Turchi emigrano dalle steppe dell’Asia centrale
per stabilirsi in Anatolia nell’XI secolo; durante questo periodo si spostano da un pascolo all’altro
secondo il ritmo delle stagioni e trasportano su carri la yurta, la tenda adibita ad abitazione
arrivata fino ai giorni nostri. A partire dal VII secolo d.C. dai deserti tropicali del Vicino Oriente
gli Arabi giungono fino allo stretto di Gibilterra, occupano la penisola iberica e svolgono continue
incursioni via mare nelle coste francesi e italiane; per due secoli impongono la loro lingua e la
5 cfr. Fernand Braudel, Il Mediterraneo: lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Bompiani,
Milano 1987, p. 230
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loro religione, diventando sedentari. Nell’Africa del nord e nella penisola araba erano già presenti
i Beduini, nomadi dediti alla pastorizia che si scontrarono spesso con i berberi, etnia sedentaria a
cui strappavano le terre coltivate per farci pascolare le proprie bestie. Sempre in Africa, nel
Sahara, sono presenti ancora oggi, in quantità estremamente ridotta, i Tuareg, di ceppo berbero,
che vivevano controllando le rotte carovaniere presenti nel deserto, tassando beni di cui
facilitavano il transito e razziando i villaggi circostanti. Seminomadi erano gli Slavi, i quali,
situati inizialmente in un’area delimitata a nord dal Pripet, a ovest dall’Oder, a sud dai Carpazi e a
est dal Dnepr, nel V secolo iniziarono a spostarsi in varie direzioni sotto la spinta dei Goti,
arrivando ad insediarsi nella penisola Balcanica nel VII secolo; essi, prima di diventare stanziali,
praticavano un’agricoltura itinerante, perciò possono essere definiti seminomadi. Anche gli
Ungari furono un popolo che da una condizione di nomadismo legata all’attività di pastorizia
passò ad una progressiva sedentarizzazione con l’adozione dell’agricoltura e dell’allevamento
intensivo del bestiame. Fu un processo, questo, che si sviluppò tra l’VIII e il IX secolo. Nell’area
dell’attuale Mongolia già dal V secolo erano presenti i Tatari, i quali verranno poi assoggettati dai
Mongoli nel XIII secolo, entrando a far parte dell’immenso impero mongolo, ma preservando
abitudini nomadi nella parte occidentale di esso. Lo stesso impero mongolo nella Historia
Mongalorum del francescano Giovanni di Pian di Carpine, resoconto di un viaggio svoltosi tra il
1245 e il 1250 circa, ci appare in parte legato a consuetudini nomadiche. A questo proposito il
frate nota il fatto che essi vivono di pastorizia e che le loro abitazioni sono ancora costituite da
tende trasportate su carri. Anche la capitale dell’impero, Quaraqorum, descritta dal frate
fiammingo Guglielmo di Rubruck che vi arrivò nel 1254, era una città “a metà strada tra
l’accampamento e la sede fissa”6. Per le epoche più recenti possiamo ricordare gli aborigeni
australiani, popolazione di cacciatori-raccoglitori che conservava i suoi stili di vita nomade prima
che arrivasse la colonizzazione europea del XVIII secolo. Anche i tuareg videro a inizio ottocento
i propri stili di vita minacciati dalla colonizzazione europea, in particolare francese.
Al di là dell’oceano atlantico troviamo gli inuit, popolazione insediatasi nelle regioni costiere
artiche e subartiche dell’America settentrionale e nella punta nord orientale della Siberia. Oggi
ormai stanziali, un tempo vivevano di caccia e dovevano spostarsi in base alle migrazioni degli
animali, organizzandosi in accampamenti costituiti da tende di pelle di foca.
Nelle foreste tropico-equatoriali africane sono ancora presenti i Pigmei, uno degli ultimi popoli
primitivi semi-nomadi. La loro economia è basata sulla caccia, fatta dagli uomini, con le reti e
l’arco, e la raccolta fatta dalle donne. Essi sono considerati "nomadi stanziali": si spostano da un
"accampamento" all'altro all'interno di un'area che il gruppo non abbandonerà mai, salvo che ne
6 Paola Galetti, Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente, Roma, Laterza, 2004 p. 156
http://it.wikipedia.org/wiki/Popoli_nomadi
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venga cacciato da eventi naturali o da altri popoli. Sempre in Africa, nel deserto del Kalahari,
vivono i boscimani, cacciatori-raccoglitori che suddividono il proprio territorio in unità composte
da circa una decina di nuclei familiari e vi cercano il cibo.
Anche i rom, originari dell’India nord occidentale, vengono considerati nomadi, ma la loro storia
millenaria è un susseguirsi di persecuzioni e il fatto di etichettarli come “nomadi” sembra più una
convenzione che una realtà.
Dunque molti sono i popoli che nel corso della storia hanno vissuto senza una fissa dimora e se la
stanzialità è stata la scelta dei più non è stata di certo l’unica. Conoscere meglio quella che Bruce
Chatwin chiama “l’alternativa nomade”7 può aiutarci a mettere in discussione un’idea di civiltà che
in “noi” si identifica con alte mura, monumenti maestosi e grandi piazze, ma quando la piazza è una
sconfinata distesa d’erba e le mura non esistono?
2. I NOMADI DELLA STEPPA
Con questa definizione si intende identificare tutti quei popoli che nel corso della storia
dell’umanità hanno vissuto la loro nomade esistenza nel territorio che oggi corrisponde all’Europa
centro-orientale (Ungheria, Romania, Ucraina), per comprendere parti della Russia, il Kazakistan, la
Mongolia e parte della Cina. Tutto questo territorio, per la maggior parte, è costituito, appunto, dalla
steppa.
Dunque, un primo limite su cui costruirò il mio approfondimento è quello geografico, in particolar
modo ponendo come confini d’indagine quelli di un ecosistema più che quelli di una nazione i
quali, visti i periodi storici interessati, erano ancora di là da venire. In particolare mi interesserò dei
popoli che percorsero la steppa dei territori a nord del Mar Nero. Inoltre bisogna anche dire che
prendere in considerazione un periodo di tempo limitato a pochi secoli rischierebbe di costituire una
trattazione dell’argomento troppo frammentata e poco esaustiva, in quanto, a differenza delle civiltà
stanziali, nelle popolazioni nomadi il cambiamento e l’evoluzione sociale si danno in tempi molto
più lunghi o, addirittura, se non interviene un processo di sedentarizzazione, non si danno affatto, se
è vero che ancora oggi ci sono tribù mongole che vivono come i loro antenati. Il periodo storico a
cui mi interesserò va dunque dai primi secoli a.C. a circa il XII d. C.
Come prima cosa definiamo il luogo in cui tali popolazioni si muovono. Uno dei paesi che oggi si
trova a nord del Mar Nero è l’Ucraina e sul suo territorio furono molte le popolazioni nomadi che si
intrecciarono. Pressappoco a nord dell’attuale Kiev abbiamo una steppa interrotta da grandi boschi,
dove, fin dai tempi antichi vissero popolazioni dall’agricoltura abbastanza evoluta; a sud, invece,
troviamo la steppa vera e propria, caratterizzata da vegetazione erbacea e l’assenza quasi totale di
7 Bruce Chatwin, Anatomia dell’irrequietezza, Milano, Adelphi, 1996
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alberi, abitata dai nomadi. Questi territori sono attraversati da tre grandi fiumi che sfociano nel Mar
Nero, il Dnepr, il Bug meridionale e il Dnestr, i quali scorrono a da nord a sud e che, nell’antichità,
erano vie di comunicazione funzionali e sicure che univano le due regioni di cui ho accennato
sopra. Tra la parte settentrionale e quella meridionale non c’è grande differenza nelle condizioni del
suolo e in quelle climatiche, le precipitazioni si attestano sui 500-600 mm annuali e caldi estati si
alternano ad inverni nevosi e freddi. C’è molta più differenza, invece, con la steppa che si trova a
est del Don, dove le precipitazioni raggiungono a malapena i 250-300 mm annuali, l’inverno, pur
essendo molto rigido, non porta neve e l’estate è torrida.
L’area che interessa a noi, comunque, è la steppa erbosa che si estende per più di 1000 chilometri
dal Danubio fino al Rialto centrale russo. La vegetazione, principalmente costituita da erba, può
comprendere anche macchie di ciliegi selvatici, cespugli, boschetti di betulle, ma nulla di
paragonabile ai grandi boschi del nord, oggi oramai pressoché scomparsi. I laghi sono
principalmente di tipo costiero e lagunare e per la maggior parte salati. La fauna della steppa
include principalmente animali in grado di utilizzare a proprio vantaggio le caratteristiche dei
terreni steppici, umidi negli strati inferiori e ricchi di humus in superficie. Tra gli animali della
steppa si trovano, tra gli altri, numerosi artropodi (ragni e insetti), rettili (serpenti, sauri), uccelli
terricoli (galliformi), mammiferi (grandi erbivori, come bovidi ed equidi, piccoli roditori, carnivori).
Dunque questo tipo di flusso umano ci costringe da subito a riflettere sul “dove” esso si sviluppa
non dal punto di vista di un luogo di partenza e uno di arrivo, ma da quello dei “percorsi” che esso
traccia nel territorio, dato che più che una meta del peregrinare occorre individuare uno spazio in
cui questi movimenti si sviluppano.
Diversi popoli si sono succeduti nei territori che ho appena definito. Già dal primo millennio a.C.
abbiamo notizie di una tribù di guerrieri nomadi, i Cimmeri, che abitarono nelle zone costiere del
Mar Nero per più di tre secoli, praticando la pastorizia, l’allevamento di cavalli, e facendo lunghe
scorrerie nei paesi del Mediterraneo orientale e del Medio Oriente. A partire dal VII secolo a.C. fino
all’inizio del III a.C. i protagonisti della steppa sono gli Sciti, popolazione nomade che entrerà in
contatto anche con i greci. Infatti nel VI secolo a.C. lungo le coste settentrionali del Mar Nero
vengono fondate le colonie greche di Olbia, Tyras e Panticapeo, città che solo con il permesso degli
Sciti potevano essere state costruite. Essi svolsero il ruolo di intermediari nel commercio di grano
tra i popoli stanziali insediatisi nelle regioni settentrionali boschivo-steppose e i greci. In questo
modo gli Sciti si arricchirono enormemente e testimonianza di ciò sono i tumuli funerari del IV
secolo che presentano ingenti ricchezze al loro interno. All’apice della loro civiltà iniziò, verso il III
secolo, il loro declino, che si tradusse in un progressivo processo di stanziamento che culminò nel
definitivo abbandono delle steppe a settentrione del Mar Nero, concentrandosi in Crimea e sul basso
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corso del Dnepr. Improvvisamente gli Sciti, dunque, scomparirono e furono sostituiti dai Sarmati.
In effetti non conosciamo le cause del declino scita; la tradizione antica sosteneva che essi fossero
stati sconfitti proprio dai Sarmati, ma l’archeologia ha dimostrato che questi ultimi occuparono
terreni già disabitati. I Sarmati, penetrati a ovest del Don già tra il IV e V secolo, occuparono i
territori a nord del Mar Nero fino all’inizio del I millennio d.C. quando si frammentarono in
numerose tribù fra cui emersero gli Alani. Questi ultimi nel II secolo d.C. ebbero la meglio sulle
altre popolazioni sarmatiche e imposero il loro dominio. Nella prima metà del III secolo d.C. sulla
costa settentrionale del Mar Nero fecero irruzione tribù germaniche, modificando la composizione
etnica della regione. Alcuni Alani, infatti, che vivevano sulle coste del Mar d’Azov fuggirono in
Crimea, altri si unirono ad essi, spostandosi poi nell’aree del basso corso dei fiumi Dnepr, Bug
meridionale, Dnestr e Danubio. Parte di essi restarono nomadi anche nei nuovi insediamenti. In una
data imprecisata dopo il 370 d.C. il Caucaso settentrionale subì l’invasione degli Unni, i quali
costrinsero i Goti ad attraversare il Danubio, inglobando a sé i Germani e gli Alani che erano
rimasti nella steppa a nord del Mar Nero. Con la morte di Attila, avvenuta nel 453 d.C., la
confederazione degli Unni si sgretolò. Le fonti identificano con il nome di Akatziri quella parte di
Unni che si stabilì nel Bosforo Cimmerio, a fianco dei Bulgari. A metà del VI secolo la steppa fu
attraversata dagli Avari che si stabiliranno in Pannonia. Tra l’VIII e il X secolo le regioni del Don,
del Mar d’Azov, del Caucaso e della Crimea sono abitate da Alani, Bulgari e Cazari. Verso il 630
d.C. le tribù bulgare che conducevano vita nomade nelle steppe del Mar Nero furono riunite da
Organa e Kubrat nella Grande Bulgaria, salvo poi per ridividersi alla loro morte in cinque tribù. Una
di esse fu assoggettata dai Cazari e, in particolare, quella che aveva ereditato i pascoli a est del Mar
d’Azov e a nord del Mar Nero. Per questo motivo molti bulgari fuggirono nella Crimea orientale e
centrale. I Cazari nel VII secolo praticavano un’economia nomade primitiva e per tutto l’anno si
spostavano nella steppa. Dal 630 a.C. il loro capo assunse il nome di khan. All’inizio dell’VIII
secolo essi avevano conquistato tutta la Crimea e iniziarono a costruire città e a praticare
l’agricoltura, intrattenendo rapporti con l’impero bizantino non privi di tensione. A causa del
progressivo disgregamento del canato cazaro, i cosiddetti tardo-nomadi, i più importanti dei quali
sono i Peceneghi e i Polovcy, entrarono in possesso delle steppe dell’Ucraina. Le orde peceneghe
fecero la loro comparsa tra la fine del IX e l’inizio del X secolo insediandosi nel territorio tra la foce
del Danubio e il Don e regnarono su questa regione per circa centocinquant’anni. I Peceneghi
furono poi sterminati dai bizantini e al loro posto arrivarono i Polovcy, popolazione proveniente
dalle steppe dell’odierno Kazachistan e della Siberia orientale. Verso la metà del XIII secolo, però,
il dominio dei Polovcy venne distrutto dai Mongolo-Tartari. L’impero mongolo, fondato da Gengis
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Khan nel 1206, impose così la cosiddetta pax mongolica anche sulle steppe del Mar Nero,
modificando le dinamiche commerciali tra occidente e oriente nel senso di una maggior sicurezza.
Dopo questo breve excursus storico passiamo ora alla trattazione dei caratteri principali di queste
popolazioni, cercando di definire i motivi che inducevano loro a spostarsi, i mezzi con cui tali
spostamenti avvenivano, la loro organizzazione sociale e i rapporti che intrattennero con le civiltà
stanziali con cui di volta in volta vennero a contatto.
Definire i motivi per cui interi popoli rifiutano la sedentarietà non appare cosa facile. Prima di tutto
bisogna chiedersi se si può parlare di “rifiuto” cosciente e politico, si potrebbe dire, oppure, più
realisticamente, occorra attenersi ai dati che oggi di queste antiche stirpi ci sono pervenuti. Di certo
sappiamo che la loro economia si basava principalmente sulla pastorizia, dunque uno dei motivi
principali che si situa all’origine della loro natura nomade è una motivazione di tipo ambientale: il
suolo delle steppe, poco adatto all’agricoltura, era una grande riserva di foraggio per il bestiame.
Grazie agli smisurati spazi delle steppe essi potevano allevare armenti equini in misure impensabili
per qualunque paese le cui terre sono adatte per la produzione agricola. Talvolta le greggi equine
erano tenute separate dalle altre per ragioni di razionale sfruttamento di quanto riusciva ad offrire il
suolo8. Uno dei motivi principali del movimento era quindi l’esigenza di sfruttare la vegetazione
erbacea della steppa permettendo ad essa di rigenerarsi. Appare da ciò che gli spostamenti
stagionali non avvenivano a caso, ma entro orbite ben definite, entro “percorsi” stabiliti.
Soffermandosi sulla storia dei nomadi delle steppe del Mare del Nord si nota come essi, in un certo
senso, si stabilivano in questi territori che presentavano una piovosità, pur nella sua scarsità,
maggiore di quella dei territori al di là del Don - ho già avuto modo di dire che mentre a ovest del
Don le precipitazioni si attestavano sui 500-600 mm, a est ci fermiamo ai 250-300 mm. I Sarmati,
gli Alani, gli Unni, i Bulgari, i Cazari e i Polovcy, infatti, provenivano tutti dalle steppe
centroasiatiche e fu nelle coste del Mar Nero che essi, dopo un certo periodo di nomadismo,
subirono un graduale processo di stanziamento. Per quanto riguarda i Cimmeri, ad esempio, i
ricercatori9 sostengono che a cavallo tra il X e il IX secolo a.C. si verificò una crisi dell’economia
basata sull’agricoltura e sull’allevamento che li costrinse a passare ad una vita nomade e a sfruttare
gli sconfinati pascoli della steppa. È probabile che questi stili di vita, sviluppatisi dunque da
condizioni principalmente ambientali e realizzatisi nell’economia pastorale, siano poi diventati
anche motivo di riconoscimento etnico e abbiano costituito anche un elemento di identità culturale
dei vari gruppi. La vocazione guerriera derivò sicuramente anche dall’abilità che essi svilupparono
nell’utilizzo del cavallo e i vantaggi che potevano trarre da esso nelle rapide incursioni; bisogna
8 cfr. Mario Attilio Levi, I nomadi alla frontiera : i popoli delle steppe e l'antico mondo greco-romano, Roma : L'Erma di Bretschneider,1989, p. 94 9 cfr. Popoli delle steppe : unni, avari, ungari : settimane di studio del Centro italiano di studi
sull'alto Medioevo. 23-29 aprile 1987. – Spoleto, presso la sede del Centro, 1988 p. 35
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ricordare che nella mobilità i nomadi avevano uno degli elementi principali della loro efficacia
bellica. Quindi, una volta che gli usi si erano consolidati, probabilmente si avevano interessi anche a
mantenerli. Affrontando questi temi in effetti si corre il rischio di idealizzare situazioni che invece
si svilupparono da condizioni oggettive e materiali. Di certo non si può negare che i rapporti tra
civiltà nomadi e civiltà sedentarie si declinarono spesso sotto la forma dello scontro, ma un conto è
far rientrare queste dinamiche nei normali rapporti tra popoli intesi a difendere i propri interessi, un
altro è attribuire a queste contrapposizioni una natura ideologica.
Lo spostamento avveniva attraverso carri e cavalli. Si è già accennato all’importanza che aveva il
cavallo per queste popolazioni. Famosa era la loro capacità di tirare d’arco e di combattere mentre
cavalcavano e questo era uno dei motivi principali per cui erano temuti dagli stanziali. Così
venivano rappresentati i Cimmeri in vasi etruschi del VI secolo a.C.. Anche gli Sciti erano rinomati
per essere dei brillanti arcieri a cavallo. L’importanza di questo animale è evidente anche dalla
ricchezza dei finimenti d’oro che lo rivestivano, prodotti in grande quantità e ritrovati nei kurgan, i
tumuli funerari disseminati nella steppa. Tra i culti religiosi dei Sarmati rientrava l’adorazione per
la grande dea Astarte, protettrice dei cavalli, e degli Unni Ammiano Marcellino scriveva che “su
cavalli forti, anche se deformi [...] attendono alle consuete occupazioni. Stando a cavallo notte e
giorno ognuno in mezzo a questa gente acquista e vende, mangia e beve e, appoggiato sul corto
collo del cavallo si addormenta così profondamente da vedere ogni varietà di sogni.” Ovviamente
non si tratta di una fonte imparziale, e di certo gli Unni non passavano tutta la vita sul loro cavallo,
ma il fatto che venissero rappresentati in questo modo ci dice molto del ruolo che questo animale
aveva per tali popolazioni e, soprattutto, l’impressione che esso provocava ai sedentari dell’impero
romano. Come il cavallo era un mezzo adatto agli spostamenti frequenti, oltre che alla guerra, anche
i carri erano estremamente importanti. Praticamente tutto ciò che i nomadi possedevano era caricato
su di essi. Sia per i Cimmeri che per i Sarmati, è accertato che per le brevi soste i carri coperti
costituivano le stesse abitazioni, mentre nel caso la sosta si dovesse prolungare venivano montate le
jurte, tipiche tende di feltro dei nomadi dell’Asia centrale, il cui disegno molto somigliante a quelle
mongole è stato ritrovato sulle pareti di alcuni kurgan. Infatti oltre ai carri i nomadi utilizzavano
abitazioni leggere e scomponibili come le tende fatte di pelli di animali sorrette da legni variamente
intrecciati. Ancora Ammiano Marcellino ci può tornare utile, questa volta quando si riferisce agli
Alani scrivendo che i “carri sono le loro abitazioni permanenti e, dovunque si rechino, le
considerano come le loro dimore.” Gli spostamenti avvenivano in base ai cambiamenti climatici
stagionali, così i Sarmati, ad esempio, d’inverno sceglievano le paludi vicino al Mar d’Azov e
d’estate le pianure. Gli Akatziri, nomadi tornati nel Ponto Eusino dopo la disgregazione degli Unni,
svernavano sulla costa orientale del Mar d’Azov e all’inizio della primavera si dirigevano,
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attraverso lo stretto del Bosforo Cimmerio, nelle steppe della Crimea. Quando arrivava l’estate,
viste le alte temperature che facevano seccare l’erba, si dirigevano verso il basso corso del Dnepr e
del Bug, ricchi d’acqua. Alla fine dell’autunno tornavano alle dimore invernali10.
Il fatto che gli spostamenti per lo più fossero di tipo spontaneo, o comunque inizialmente
determinati da fattori ambientali e in seguito tramutatisi in consolidate forme di sussistenza, come
ho già avuto modo di esporre, comportò anche che queste popolazioni si muovessero con una certa
organizzazione al proprio interno e nei rapporti con gli altri, sia di tipo politico che economico.
Di fatto assomigliavano, fermo restando le differenze derivanti dal loro statuto di nomadi, agli
imperi tradizionali. Già per i Cimmeri Erodoto parlava di re. Gli Sciti, nel periodo di massima
ricchezza, arrivarono a coniare una propria moneta. I Sarmati si organizzarono in alleanze di tribù
guidate da un capo: una sorta di associazione statale in cui si ha un primo abbozzo di divisione in
classi sociali. Al vertice era presente un vero e proprio “War-Lord”11, un comandante guerriero che,
grazie alle sue capacità militari, imponeva il suo dominio sulle varie tribù: basti pensare ad Attila
per gli Unni. Abbiamo notizie, inoltre, dell’organizzazione gerarchica del canato Cazaro, alla cui
testa troviamo il Khan, seguito dai principali dignitari, il Šad, lo Yagbu, il Tegin e altri vent’otto alti
ufficiali12. Ancora, mentre i Peceneghi presentavano una struttura sociale egualitaria, i Polovcy
dividevano le terre nei settori destinati alle varie famiglie (kuren’); un’orda, con a capo il principe
(knjaz’), poteva comprendere più kuren’ e la società comprendeva aristocratici, guerrieri, uomini
poveri ma liberi e schiavi13.
Nonostante l’alto grado di organizzazione che queste popolazioni potevano raggiungere spesso
bastava una pesante sconfitta militare o la perdita del comandante per distruggere un impero
nomade14. Inoltre il gruppo tribale che dava il nome all’impero era spesso minoritario, non c’era
unità linguistica e non tutti coloro che venivano compresi sotto la sfera di influenza dell’impero
erano nomadi. Uno dei modi in cui l’impero affermava il proprio dominio derivava proprio dal
rapporto con gli agricoltori stanziali. Infatti nelle estensioni delle steppe erano presenti dei punti
d’acqua che costituivano oasi abitate e coltivate da genti locali. Agli assoggettati già presenti sul
territorio veniva imposta una condizione tributaria, oppure venivano concesse porzioni di terra a
stranieri che si fossero sentiti di coltivarla contro, ovviamente, il versamento di una parte del
prodotto15. I Sarmati basavano la loro economia, oltre che sui mestieri tradizionali dei nomadi
10 cfr. Popoli delle steppe : unni, avari, ungari : settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto Medioevo. 23-29 aprile 1987. – Spoleto, presso la sede del Centro, 1988 p. 171 11 ibidem p. 159 12 ibidem p.161 13 cfr. Dal mille al mille : tesori e popoli dal Mar Nero, Milano, Electa, 1995 (Vol. pubblicato in
occasione della mostra tenutasi a Rimini, Sala dell'Arengo e Palazzo del Podesta dal 5 marzo al 25
giugno 1995), p. 210 14 cfr. Popoli delle steppe, op. cit., p. 159 15 cfr. Mario Attilio Levi, I nomadi alla frontiera : i popoli delle steppe e l'antico mondo greco-
romano, op. cit. , p. 71
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(vasaio, fabbro, conciatore, armaiolo, tessitore, falegname) e sulle esportazioni di animali e di
prodotti legati all’allevamento del bestiame, anche sui tributi che riscuotevano dagli stanziali
presenti sul loro territorio. L’organizzazione del territorio restava comunque regolata da una legge
non scritta, un accordo fra le tribù che identificava i pascoli come proprietà comune16. Diverso era
per il possesso del bestiame, la cui quantità e il cui valore determinava il prestigio sociale del
singolo individuo all’interno delle tribù.
Di certo le popolazioni nomadi di cui stiamo parlando non lasciarono inalterato il territorio su cui si
spostavano. Incisero, infatti, sull’economia, e in parte lo abbiamo già visto, sulla politica, e anche
sull’ambiente della steppa. Dal punto di vista economico abbiamo già accennato al ruolo che gli
Sciti ebbero come intermediari nel commercio del grano tra i popoli insediatesi nelle aree boschive
steppose del nord e i greci, ma non abbiamo detto che tali agricoltori, per difendersi dalle incursioni
nomadi costruirono enormi città fortificate e, inoltre, privati dei mercati in cui vendere i prodotti, si
trovarono senza prospettive di sviluppo. Ho già parlato anche delle esportazioni dei Sarmati. In
effetti essi intrattenevano attivi rapporti commerciali col mondo circostante, sia con le antiche città
greche delle coste del Mar Nero sia con le province danubiane dell’impero romano, dalle quali
ricevevano vino, ceramica, vasellame di vetro e gioielli. A questo proposito, essendo i Sarmati
arrivati fino al Danubio, la politica romana si interessò a loro e furono oggetto di attenzione da parte
di politici, letterati e militari romani. In particolare il pericolo fu rappresentato dalla tribù degli
Iagizi che arrivarono verso la metà del I secolo a.C. e dai Rossolani che giunsero nel I secolo d.C
dando vita a continue incursioni nelle province romane, in particolare nella Mesia. Alla fine del I
secolo arrivarono anche gli Alani, i quali poi, nel II secolo, imporranno il loro dominio su tutte le
altre tribù sarmatiche. Fin troppo note le vicende militari degli Unni, i quali travolgendo e
incorporando tutte le popolazioni che trovarono nel loro cammino penetrarono nell’impero romano
causando non pochi problemi. Essi acquisirono una tale potenza da costringere l'imperatore romano
d'Oriente, Teodosio II, a versare loro un tributo annuale. Rapporti diversi ebbero i Polovcy con il
Rus’ di Kiev: dall’aperta inimicizia alle cruente azioni belliche come vassalli dei principi di questo
stato. Nonostante i rapporti vassallatici, comunque, le regioni del Rus’ erano periodicamente
soggette alle incursioni dei Polovcy.
I nomadi delle steppe durante il loro peregrinare hanno disseminato il territorio con migliaia di
monumenti funebri, i kurgan, ed è stato proprio grazie a questi grandi tumuli di circa 20 metri di
diametro che oggi noi possiamo conoscere con una relativa certezza l’organizzazione sociale di
queste tribù, ricostruire i loro percorsi e capire meglio uno stile di vita che, nei casi in cui veniva
riportato da autori stanziali, andava incontro ad un alto rischio di soggettività e incomprensione.
16 cfr. Popoli delle steppe, op. cit., p. 163
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Oltre ai kurgan e alle necropoli di kurgan, i Peceneghi e i Polovcy ci hanno lasciato anche statue
antropomorfe, sempre situate in prossimità dei tumuli.
Fini artigiani dell’oro e grandi guerrieri furono i popoli nomadi delle steppe a perfezionare l'arte del
cavalcare e a mettere a punto una serie di finimenti completi per il combattimento a cavallo,
influenzando, ad esempio, i Longobardi che alle coperte o alle semplici selle in cuoio, sostituirono
selle di legno con bordi alti e rifiniti di cuoio. Sempre i nobili longobardi cominciarono a usare le
armature e gli elmi di origine orientale. Le più antiche sono state ritrovate nella Russia meridionale
e in Iran, da qui si diffusero sino in Svezia e in Giappone.
3. CONCLUSIONI
Il movimento dei nomadi delle steppe a nord del Mar Nero si presenta come un flusso del tutto
particolare. Volendo rispondere alla domanda che ci eravamo posti prima di iniziare questo breve
approfondimento sulle popolazioni che si muovevano nella steppa a nord del Mar Nero, noteremo
subito che esse non sempre rinunciarono, per il fatto di non avere dei luoghi fisici del potere, a darsi
una struttura sociale rigidamente gerarchica. Anzi, contrariamente all’immagine romantica che li
vedrebbe persone libere di cavalcare e affrancate da qualsiasi vincolo sociale, all’analisi tali
popolazioni si presentano delle vere e proprie organizzazioni statuali, con una divisione in classi,
rapporti commerciali e politici, e azioni militari. Tutto ciò con la particolarità, niente affatto
irrilevante, di non fondare il proprio dominio anche sui simboli della grande capitale, dei palazzi,
delle regge e dei luoghi della memoria collettiva, eccezion fatta per i tumuli funerari. Da queste
considerazioni emerge chiaramente che abbiamo l’espressione di un’autorità centrale senza, nei
fatti, avere un centro; una situazione alquanto paradossale, soprattutto per “noi”.
GLOSSARIO
Canato: territorio soggetto alla sovranità di un khan
Ecosistema: Sistema dinamico capace di autoregolazione, formato dall'insieme degli organismi
vegetali e animali che popolano un dato luogo (componente biotica) e dei fattori fisico-chimici che
li influenzano (componente abiotica).
Khan: (turco "signore"), titolo attribuito ai sovrani turchi dell'Asia centrale, successivamente
adottato anche dai mongoli, in particolare da Gengis Khan e dai suoi successori alla guida
dell'impero mongolo. Il termine fu usato anche in India e in Pakistan per definire non solo i re, ma
anche gli uomini di alto rango.
Kurgan: tumuli funerari che i nomadi delle steppe hanno costruito sul territorio che percorrevano, i
quali sono arrivati fino ai giorni nostri, isolati o raggruppati in vere e proprie necropoli.
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Nomadismo: stile di vita di popolazioni non sedentarie, caratterizzato da spostamenti periodici o
ciclici, legato alle economie fondate sul raccolto, sulla caccia e sulla pastorizia.
Steppa: ecosistema nel quale prevale una vegetazione erbacea relativamente bassa (fino a 6 m),
caratteristico delle regioni tropicali, subtropicali e temperate con scarse precipitazioni. Le steppe
sono distinte in base al tipo di comunità vegetali che le caratterizzano.
Yurta: tenda di feltro con copertura a forma di calotta e pareti cilindriche, sostenuta da
un’intelaiatura di legno e rivestita internamente di stuoie