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i martedì del festival Cinema Kappadue Verona 15 gennaio - 30 aprile 2013 Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Generale per il Cinema 13

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i martedì del festivalCinema Kappadue Verona 15 gennaio - 30 aprile 2013

Ministero per i Beni e le Attività CulturaliDirezione Generale per il Cinema

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13Il cinema esiste ormai da più di cento anni. Lungo o breve che sia, è un periodo nelquale sono stati realizzati un numero enorme di film, innumerevoli immagini che con-tinuano ad ossessionare il nostro immaginario. La storia del cinema è fatta di millestorie che si moltiplicano all’infinito, legandosi allo sguardo di generazioni di spetta-tori, le cui vite si sono intrecciate con le tante immagini viste, vissute e amate in unluogo emozionale ben definito: la sala cinematografica.Le giovani generazioni oggi conoscono sempre meno il rito del film visto collettiva-mente in sala, ci sono i dvd, c’è internet, le immagini si consumano in solitudine. Untempo vedere un film significava anche stare assieme, ridere, piangere, a volte indi-gnarsi, comunque insieme.La sala cinematografica è un luogo senza tempo che ha la capacità di trasportarti inuna dimensione fuori dalla realtà. Guardare un film seduti in una stanza davanti aun televisore o a un computer, non ci restituirà mai appieno la vastità delle emo-zioni che un grande schermo, misteriosamente, riesce a ricreare.I martedì del festival, arrivati alla tredicesima edizione coniugando qualità e af-fluenza di pubblico, rappresentano un evento prezioso che cerca di trattenere que-sta magia del cinema attraverso un itinerario in 16 tappe che comprende anteprimed’eccezione (Après mai, Anna Karenina), film restaurati (i due imperdibili Soldatoblu e Puzzle of a Downfall Child usciti entrambi nel 1970), omaggi a grandi registiitaliani (Liliana Cavani, Carlo Lizzani e Luchino Visconti), pellicole di grande interes-se ignorate dalla distribuzione commerciale (Un amore di gioventù, The-Five-YearEngagement), pellicole inedite per l’Italia (la nuova versione di Cime tempestose,Les bien Aimés) e il proseguimento del ciclo “i colori del noir” con il thriller nordicoBabycall, il nero italiano Padroni di casa, il poliziesco Texas Killing Fields realizzatodalla famiglia di Michael Mann e il sorprendente gotico I bambini di Cold Rock delregista francese Pascal Laugier in trasferta negli States. I titoli interessanti eranonaturalmente molti di più, ma, come si sa, c’è solo un martedì alla settimana e sem-pre troppo cinema da vedere.

Martedì 15 gennaio ore 21.00 QUALCOSA NELL’ARIA(Après mai, Francia, 2012, 122’)di Olivier Assayas

Martedì 22 gennaio ore 21.00 SOLDATO BLU (Soldier Blue, Usa, 1970, 115’) di Ralph Nelson

Martedì 29 gennaio ore 21.00 IL PORTIERE DI NOTTE (Italia, 1974, 118’) di Liliana Cavani

Martedì 5 febbraio ore 21.00 INTERNO BERLINESE(Italia/Germania, 1985, 118’)di Liliana Cavani

Martedì 12 febbraio ore 21.00 LES BIEN AIMÉS (Francia, 2011, 139’) di Christophe Honoré

Martedì 19 febbraio ore 21.00 ANNA KARENINA (Gran Bretagna/Francia, 2012, 129’) di Joe Wright

Martedì 26 febbraio ore 21.00 TEXAS KILLING FIELDS (Usa, 2011, 109’) di Ami Canaan Mann

Martedì 5 marzo ore 21.00 PADRONI DI CASA (Italia, 2012, 90’) di Edoardo Gabbriellini

Martedì 12 marzo ore 21.00 CIME TEMPESTOSE (Wuthering Heights, Gran Bretagna, 2011, 129’)di Andrea Arnold

Martedì 19 marzo ore 21.00 L’INNOCENTE (Italia/Francia, 1976, 130’) di Luchino Visconti

Martedì 26 marzo ore 21.00 LA VITA AGRA (Italia, 1964, 100’) di Carlo Lizzani

Martedì 9 aprile ore 21.00 THE FIVE-YEAR ENGAGEMENT (Usa, 2012, 124’) di Nicholas Stoller

Martedì 16 aprile ore 21.00 PUZZLE OF A DOWNFALL CHILD (Usa, 1970, 104’) di Jerry Schatzberg

Martedì 23 aprile ore 21.00 UN AMORE DI GIOVENTÙ (Un amour de jeunesse, Francia, 2011, 110’)di Mia Hansen-Løve

Martedì 30 aprile ore 20.30 BABYCALL (Norvegia, 2011, 96’) di Pål Sletauneore 22.15I BAMBINI DI COLD ROCK (The Tall Man, Usa/Canada, 2012, 106’) di Pascal Laugier

i martedì del festival Cinema KappadueVerona 15 gennaio - 30 aprile 2013

«Après mai di Olivier Assayas, classe 1955,proiettato ieri in concorso, si è rivelato inveceuna felice sorpresa. È un bel film forse soltantoun po’ lento, con un ricostruzione perfetta diabiti, mode, tic e manie di quel momento stori-co, una colonna sonora esemplare nel suo es-sere vintage doc, dei giovani attori esordienti diassoluta naturalezza, ancor più straordinaria sesi pensa che per un diciottenne di oggi queivent’anni di distanza sono archeologia.»Stenio Solinas, il Giornale

«Noi italiani faremmo bene ad amare di più Oli-vier Assayas perché ha qualità che raramente sitrovano dalle nostre parti. La serietà, la misura,l’understatement. E un’ottima memoria. La me-moria con cui rievoca tutti i segni, i sogni e i de-liri di un’epoca cogliendo in pieno lo spirito, co-me forse nessuno aveva ancora saputo fare. Esenza paura della cultura, come ormai si usa danoi. Succede nell’applauditissimo Après mai,che sposta le lancette dall’inflazionato (e travi-sato) 1968 su un’annata oggi molto meno di

pregio: il 1971. Cosa diavolo sarà successo nel’71? Tutto e niente, ma Assayas aveva 16 anni ese lo ricorda alla perfezione.»Fabio Ferzettti, Il Messaggero

«L’aria del tempo si respira anche nella colonnasonora, dove Assayas ha disseminato il suoamore per il rock inglese [...] film molto intimo emolto bello. Una parabola sulla militanza politi-ca e sul suo rapporto con la creatività [...] Aprèsmai è un’opera toccante, perché recupera unamemoria di utopie e di violenze e la ricerca at-traverso personaggi fatti di muscoli, di sanguee di pensieri. Se nel 1971 avevate l’età giusta, èil vostro film.»Alberto Crespi, l’Unità

Per gentile concessione di Officine Ubu

Martedì 22 gennaio ore 21.00 SOLDATO BLU

(Soldier Blue, Usa, 1970, 115’)

Regia: Ralph Nelson, sceneggiatura: John Gay dal romanzo Arrow in the Sun di Theodore V. Olsen, fotografia: Robert B. Hauser, musica: Roy Budd,interpreti: Candice Bergen, Peter Strauss, Donald Pleasence, John Anderson.

«La posizione ufficiale del governo è che noistiamo in Vietnam per onorare un impegno. Nondimentichiamoci però che abbiamo stipulato400 trattati con gli indiani, violandoli tutti, unodopo l’altro.» Ralph Nelson

«Ketty, giovane donna bianca che il cheyenneLupo Pezzato ha rapito e tenuto presso la suatribù, è liberata da un drappello di cavalleggeri.Gli indiani inseguono i soldati e li massacrano.Alla strage sfuggono soltanto la ragazza e il sol-dato Honus. I due superstiti cercano scampo inuna lunga marcia verso il forte. Durante la tra-versata del deserto, Ketty e Honus mettono aconfronto le proprie idee: mentre il soldato con-sidera i pellerossa un popolo “incivile”, la ragaz-za ha imparato ad accettarli ed enumera i torti ei crimini di cui i bianchi sono colpevoli nei loroconfronti. I due giovani si innamorano. Giunti alforte, apprendono che uno squadrone di caval-leria è in partenza per raggiungere l’accampa-mento cheyenne. La ragazza corre ad avvertireLupo Pezzato del pericolo. Benché il capo india-

no tenti di parlamentare, lo squadrone – coman-dato da un ufficiale fanatico – va alla carica emassacra centocinquanta indiani, fra cui donnee bambini. [...] Western militare, inserito nel re-vival del genere avutosi all’inizio degli anni ’70.Il film è un ribaltamento dei luoghi narrativi del-la tipologia cui appartiene (la trilogia della ca-valleria di John Ford). Esordendo e terminandocon un massacro, il western antiviolenza di Nel-son è costruito secondo una progressione narra-tiva tesissima, che culmina nella truculenta apo-teosi, che richiama l’episodio storico di SandCreek [...] e il regista non nasconde l’ipotesi dicomporre un apologo, lasciando intuire analo-gie con avvenimenti della guerra del Vietnam(che la critica non mancò di rilevare).»Roberto NepotiDizionario del cinema americano

Versione originale con sottotitoli in italianoCopia restaurata, integrale proveniente da Tamasa Distribution

Martedì 15 gennaio ore 21.00 QUALCOSA NELL’ARIA

(Après mai, Francia, 2012, 122’)

Regia e sceneggiatura: Olivier Assayas, fotografia: Éric Gautier, montaggio: Luc Barnier, Mathilde Van de Moortel, interpreti: Clément Métayer, Lola Créton, Félix Armand, Carole Combes.Anteprima a inviti

Martedì 29 gennaioore 21.00 IL PORTIERE DI NOTTE

(Italia, 1974, 118’)

Regia: Liliana Cavani, sceneggiatura: Liliana Cavani, Italo Moscati, fotografia: Alfio Contini, montaggio: Kim Arcalli, costumi: Piero Tosi,interpreti: Dirk Bogarde, Charlotte Rampling, Philippe Leroy.

«È il migliore dei film di Liliana Cavani. È un’o-pera complessa, che può essere oggetto di di-verse letture. Si può privilegiare la chiave di in-terpretazione storica, il nazismo come memoriae minaccia, ma non credo si coglierebbe per in-tero il valore del film. Forse è quella psicanaliti-ca, lo strazio della memoria, la violenza delleemozioni, l’indelebilità dell’orrore vissuto. E idue personaggi sono stravolti dall’essersi ritro-vati, a Vienna nel 1957, segnati da una storia co-mune, quella di un campo di concentramento incui lui era aguzzino e lei prigioniera. E lui l’ave-va piegata, violata, umiliata in ragione del pote-re che incarnava. Ora si ritrovano e ricostruisco-no quel gioco terribile di violenza e autodistru-zione, cercandosi per farsi del male, fuggendodai nazisti che li cercano come dal loro passato.Il mondo esterno ritorna a essere una minaccia,solo una minaccia. E Max e Lucia si rinchiudonoin una casa, luogo di gioco e di tortura, dovecercheranno la loro fine. Per l’esito del film èstato più volte chiamato in causa L’angelo ster-minatore. A me quelle stanze hanno fatto veni-

re in mente più la sequenza che conclude Laconversazione di Francis Ford Coppola, una ri-cerca disperata e impossibile. Il film è freddo, li-vido, emozionante. Lei e lui, la Rampling e Bo-garde, sono semplicemente straordinari.»Walter Veltroni, Certi piccoli amori

«[...] Al di là del suo successo internazionale discandalo, il 6° film di L. Cavani ebbe accoglien-ze critiche disparate: attacchi più o meno mora-listici per la sgradevolezza della sua ambiguatematica sul rapporto vittima-carnefice oppureelogi per aver cercato, sulla scia di Visconti, diconciliare il melodramma con un discorso sulleambiguità della storia. Eccellente direzione de-gli attori, funzionale fotografia di Alfio Contini,montaggio di Kim Arcalli.» Il Morandini 2013

Copia ristampataIn collaborazione conFondazione Centro Sperimentaledi Cinematografia - Cineteca Nazionale

Martedì 5 febbraioore 21.00 INTERNO BERLINESE

(Italia/Germania, 1985, 118’)

Regia: Liliana Cavani, sceneggiatura: Liliana Cavani, Roberta Mazzoni dal romanzo La croce buddista di Junichiro Tanizaki, fotografia: Dante Spinotti, interpreti: Gudrun Landgrebe, Kevin McNally, Mio Takaki.

«A Berlino nel 1938, una coppia aristocratica –lui, Heinz von Hollendorf, funzionario del Mini-stero degli Esteri; lei, la moglie Louise – entra incrisi perché la donna, appassionata di arti figu-rative, incontra in una scuola di disegno una ra-gazza giapponese, figlia dell’ambasciatore, e sene innamora. Fra le due donne divampa la pas-sione. La giapponesina, Mitsuko, domina com-pletamente la sua compagna. Heinz si preoccu-pa, non solo perché vede Louise allontanarsi dalui ma anche perché teme che la relazione omo-sessuale tra le due donne susciti la reazione delmoralismo nazista (che ha già colpito il genera-le Heiden, incriminato per essere l’amante di unpianista). Mitsuko, tuttavia, più abile ed insi-nuante di Heinz, riesce a trascinare anche l’uo-mo nel suo gioco amoroso. [...] La struttura nar-rativa è assai pregevole, poiché tutta la storia èinclusa dentro una incorniciatura, costituitadalla visita che Louise fa a uno scrittore antina-zista, romanziere e sessuologo (in apertura ladonna entra nel suo studio per una specie diconfessione laica, sapendo che fra poco verrà la

polizia ad arrestarlo). Il valore del film risiedenella smagliante ricostruzione ambientale (gliinterni delle case altoborghesi, i saloni delleambasciate, le camere del modesto hotel Leip-zig, le nobili prospettive delle strade e dei viali,che sono state girate a Vienna), alla quale con-tribuiscono in eguale misura l’operatore DanteSpinotti, lo scenografo Luciano Ricceri e il co-stumista giapponese Jusaburo Tsujimura. Menopersuasivo il rapporto erotismo-politica, orasottolineato con troppa insistenza, ora risoltocon espedienti ingenui. La recitazione dei pro-tagonisti è sempre efficace, ma il personaggiodi Mitsuko si stacca dal contesto grazie allasensibilità di Mio Takaki.»Fernaldo Di GiammatteoDizionario del cinema italiano

Copia ristampataIn collaborazione conFondazione Centro Sperimentaledi Cinematografia - Cineteca Nazionale

Martedì 12 febbraioore 21.00 LES BIEN AIMÉS Speciale

(Francia, 2011, 139’)

Regia e sceneggiatura: Christophe Honoré, fotografia: Rémy Chevrin,musica: Alex Beaupain, interpreti: Chiara Mastroianni, Catherine Deneuve,Ludivine Sagnier, Louis Garrel, Milos Forman.

«Non ho mai creduto che il cinema sia nato perriprendere la vita. Io spero di fare dei film che ri-prendano ciò che è vivo.» Christophe Honoré

«Comincia nel segno di François Truffaut con legambe di L’uomo che amava le donne e le scar-pe e il negozio di calzature di Baci rubati. Chri-stophe Honoré, dopo Dans Paris e Les chan-sons d’amour ancora nel segno della NouvelleVague con in più la Deneuve che arriva dai mu-sical di Demy degli anni ’60. Si tratta forse delprogetto più ambizioso del cineasta francese,una carrellata di 45 anni, dal 1963 al 2008, chevede protagoniste due donne, Madeleine (inter-pretata da Ludivine Sagnier quando è più gio-vane e poi da Catherine Deneuve) e sua figliaVera (Chiara Mastroianni), entrambe assetate didesiderio ma in qualche modo fedeli alle lorostorie d’amore. Da Parigi a Praga, da Londra aMontreal [...] il film è un flusso continuo, inin-terrotto e struggente, come il ritorno di Made-leine sui luoghi della memoria in cui rivede,quasi dialoga e ritrova il suo passato, nell’ap-

partamento dove abitava da giovane e nell’al-bergo che è luogo ricorrente di incontri con ilmedico cecoslovacco, interpretato nell’età piùadulta da Milos Forman. Inoltre mette in giocosquarci di vita familiare, Catherine Deneuve eChiara Mastroianni, madre e figlia nel film comenella vita, filma l’amore e la morte con una po-tenza emotiva devastante dove però non c’è no-stalgia (tranne nel finale) per ciò che è stato, masi avverte di più la necessità di catturare queimomenti di felicità effimeri, di farli durare più alungo possibile, forzandoli anche nella loroestensione. [...] Film quasi di baci rubati, triste eallegro. Lo schiaffo di Chiara Mastroianni aLouis Garrel e il sorriso successivo dell’attoreprima di entrare in classe sono ancora dellegioie truffautiane. Speriamo che stavolta in Ita-lia si accorgano del regista e che questo film siadistribuito in sala.»Simone Emiliani, Sentieri Selvaggi

Versione originale con sottotitoli in italianoCopia proveniente da Celluloid Dreams

ANNA KARENINA(Gran Bretagna, 2012, 129’)

Regia: Joe Wright, sceneggiatura: Tom Stoppard dall’omonimo romanzo di Lev Tolstoj, fotografia: Seamus McGarvey, montaggio: Melanie Oliver,interpreti: Keira Knightley, Aaron Taylor-Johnson, Jude Law, Michelle Dockery.Anteprima a inviti.

Martedì 19 febbraio ore 21.00

«[...] Non è nuovo Joe Wright agli adattamenti “incostume” (Orgoglio e pregiudizio, Espiazione)ma mai come questa volta si è dimostrato sicu-ro del fatto suo e in pieno possesso dei proprimezzi, realizzando una versione di Anna Kareni-na che “fila” letteralmente come un treno nellanotte e alla maniera di un marionettista attra-verso accorgimenti invisibili. Perché il suo film ècalato in un teatro e percorso da un treno cheapre e chiude una geometria delle passioni, acui invano tentano di opporsi gli amanti di Tol-stoj, esplosi nel mondo claustrofobico della Rus-sia imperiale. L’Anna Karenina di Wright, al mo-do di Max Ophüls, fa danzare lo sguardo con lamacchina da presa e ha il movimento di un val-zer turbinante su un uomo e una donna cheostentano la reciproca rinuncia soltanto per sfi-darla e alla fine vincerne la resistenza. Nell’etàpoco innocente e assolutista degli Zar, la tensio-ne sentimentale che allaccia Anna e Vronsky in-terpreta la tensione sociale delle classi indigen-ti, che “abbigliano” gli aristocratici, aprono echiudono le porte dei quadri scenografici messi

in scena e in cui si mettono in scena. Regista esceneggiatore (lo shakespeariano Tom Stop-pard) intrattengono lo spettatore informandoloassieme sulla società, le mode e i costumi del-l’epoca di riferimento in cui si muovono, espri-mono il loro desiderio e una vita mancata gliamanti infelici di Keira Knightley e Aaron John-son. [...] Le passioni e le pulsioni vitali nel film diWright finiscono così per coincidere con la di-struzione indicando un destino senza possibilitàdi ritorno, gestito soltanto dall’immediatezza edalla furia del sentimento. In una rappresenta-zione che alterna l’orizzontalità delle scene conla verticalizzazione delle scenografie si rinnovala tragedia della condizione umana di Anna Ka-renina, l’insostenibilità di un amour fou che di-strugge e autodistrugge proprio mentre assapo-ra la perfetta aderenza dell’amante amato.»Marzia Gandolfi, My Movies

Versione originale con sottotitoli in italianoPer gentile concessione diUniversal Pictures International Italia

Martedì 5 marzo

ore 21.00 PADRONI DI CASA (Italia, 2012, 90’)

Regia: Edoardo Gabbriellini, sceneggiatura: Edoardo Gabbriellini, MichelePellegrini, Valerio Mastandrea, Francesco Cenni, fotografia: Daria D’Antonio,interpreti: Valerio Mastandrea, Elio Germano, Gianni Morandi.

«Cosimo (Valerio Mastandrea) ed Elia (Elio Ger-mano) sono due piastrellisti romani in trasfertaper ripavimentare la terrazza della casa di Fau-sto Mieli (Gianni Morandi), cantante di succes-so ritiratosi sull’Appennino tosco-emiliano perbadare alla moglie Moira (Valeria Bruni Tede-schi), gravemente malata e costretta sulla sediaa rotelle. Non è un locus amoenus, né un buenretiro, il paesino di Fausto, e a farne le spese sa-ranno proprio i due fratelli, il problematico Co-simo e quell’Elia che a stento ne sopporta le de-bolezze. Mentre Fausto prepara il ritorno sullescene, le tensioni tra i due piastrellisti – Elia siavvicina anche alla bella “villica” Adriana (Fran-cesca Rabbi) – e il resto del paese arrivano alpunto di non ritorno. Riflette sulla violenza, ilcontagio della violenza, l’opera seconda diEdoardo Gabbriellini, Padroni di casa, già inconcorso al festival di Locarno e ora in sala conGood Films, e lo fa stemperando le dinamichedel capro espiatorio in un paesaggio di indiffe-renziata amoralità, dove le vittime fanno i car-nefici e dove i lupi fanno gli agnelli o – Fausto

Mieli – gli usignoli. E non sono vane metafore,perché è il battito animale a scandire tempera-tura e drammaturgia di questo noir sui generis,che si nutre di genere ma rivela ambizioni auto-riali non pletoriche. È una meccanica ineluttabi-lità il basso continuo, che spinge alle estremeconseguenze la paura del diverso, l’insofferen-za per la disabilità, l’egoismo e l’incomunicabi-lità, ma senza indulgere nella programmaticitàdel film a tesi. Con la natura a far da specchioattivo delle azioni e reazioni umane, Padroni dicasa può essere assimilato a un diorama, in cuiil realismo della messa in scena – e del pro-fil-mico – discende dalla volontà forte di riscrivere,non meramente riprodurre, il reale: Gabbriellinilo fa, e con una certa sapiente freschezza. Bravigli attori: l’alchimia tra Mastandrea e Germanofa bene al film e agli altri interpreti, soprattuttoun Morandi inedito, cinico e ambiguo, cheavrebbe meritato qualche posa in più.»Federico Pontiggia, Cinematografo.it

Martedì 26 febbraio

ore 21.00 TEXAS KILLING FIELDS(Usa, 2011, 109’)

Regia: Ami Canaan Mann, sceneggiatura: Don Ferrarone, fotografia: Stuart Dryburgh, scenografia: Aran Mann, produzione: Michael Mann, interpreti: Sam Worthington, Jessica Chastain.

«Si legge su un cartello: “You Are Now Enteringthe Cruel World”. Il mondo di crudeltà dove ciaddentriamo sta nel Texas profondo, con le stra-de polverose, i campi abbandonati, gli alberischeletrici e spettrali, le paludi in cui ci si perde.I “killing fields”, dove l’assassino abbandona icadaveri delle donne uccise. Tanti delitti irrisolti,tutti indicati su una mappa. Due agenti dellaomicidi sono sulle tracce del serial killer. Le in-dagini sui crimini non spetterebbero ai due, i de-litti sono stati commessi fuori dalla loro giurisdi-zione. In più, Mike, pensa che sarebbe meglionon mettere le mani e il naso nella brutta fac-cenda. Brian, invece, vuole occuparsene, trovarel’omicida: e lo vuole ancora di più quando a spa-rire è Anne, una ragazzina che sente vicina comeuna figlia. Comincia l’indagine che subito diven-ta sporca e fosca come le paludi. E la lotta è – co-me in ogni poliziesco che si rispetti – tra il benee il male con i detective che cercano indizi e ri-sposte, si muovono tra i crimini e cercano dicomprenderne motivi e cause. E le trappole so-no dappertutto. E le paludi possono ingoiarti. E

il killer è lui che tira, dalle tenebre, le fila delloscontro e attacca i poliziotti… Ami Canaan Mannè figlia di Michael Mann (al film partecipa anchela sorella Aran, production designer). Ha giratoun primo film, Morning (2001), questo è il se-condo, un poliziesco torbido, una discesa agliinferi che sta dentro il genere, ne segue le rego-le, ne fa, come si deve fare da sempre, un rac-conto morale ed esistenziale. I detective, SamWorthington e Jeffrey Dean Morgan, sono tesi,nervosi, smarriti, hanno le facce che ci voglionoper questi ruoli. Jessica Chastain è la collega diun’altra contea che li chiama in aiuto. Uno deidue detective è credente, l’altro picchia sodo,tutti e due rischiano, sbagliano. Ami CanaanMann si muove con attenzione: non tutto è per-fetto in un film che vive più di digressioni che diun racconto compatto, ma l’atmosfera è quellagiusta, cupa, buia, tragica.»Bruno Fornara, Cinematografo.it

Versione originale con sottotitoli in italiano

Martedì 19 marzoore 21.00 L’INNOCENTE

(Italia/Francia, 1976, 130’)

Regia: Luchino Visconti, sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Enrico Medioli,Luchino Visconti dall’omonimo romanzo di Gabriele D’Annunzio, fotografia:Pasqualino De Santis, interpreti: Giancarlo Giannini, Laura Antonelli.Speciale Gabriele D'Annunzio, 150 anni dopo.

«È vero, a me interessano sempre le situazioniestreme, i momenti in cui una tensione abnormerivela la verità degli esseri umani; amo affronta-re i personaggi e la materia del racconto con du-rezza, con aggressività.» Luchino Visconti

«Roma 1891. Il matrimonio fra Tullio e Giuliana è,da tempo, puramente formale, e lei subisce, ap-parentemente senza reagire, la relazione del ma-rito con la contessa Teresa Raffo. Durante una lo-ro assenza, Giuliana conosce lo scrittore FilippoD’Arborio e ne diviene l’amante. Sentendo la mo-glie sfuggirgli, Tullio prova di nuovo attrazioneper lei e le propone di ricominciare insieme unanuova vita. Ma apprende allora che lei è incintadi D’Arborio. […] Con L’innocente, Visconti affron-ta finalmente uno scrittore col quale aveva sem-pre rifiutato di essere messo a confronto, puravendone spesso subíto l’influenza. Benché fe-dele allo spirito del primo D’Annunzio, il film al-larga il discorso all’insieme della sua opera, mo-difica il finale del romanzo e sottolinea quei mo-menti di compiaciuta autocritica che costituisco-

no forse la parte meno effimera di tutta l’ereditàletteraria dannunziana. Ne risulta un sottile ri-tratto della Roma umbertina e del clima cultura-le fin-de-siècle. Pur con lo sguardo rivolto al pas-sato, il regista ha toccato tematiche paradossal-mente attuali: come la condizione femminile el’aborto. Le sue opinioni in proposito contanomeno del tono con cui vi si è accostato: un tonolugubre che fa de L’innocente il suo estremo raf-finatissimo requiem sulla dissoluzione dell’im-magine famigliare a cui concorrono una cornicesontuosa, i colori caldi e cupi (rosso, oro, nero), imarmi, gli arredamenti (ottimamente valorizzatidalla fotografia), una concitazione drammaticache pare di maniera, quasi fosse un obbligo so-ciale, ed è invece sofferenza reale.»Alessandro Bencivenni, Dizionario del cinema italiano

Copia restaurataIn collaborazione conFondazione Centro Sperimentaledi Cinematografia - Cineteca Nazionale

Martedì 12 marzo ore 21.00 CIME TEMPESTOSE

(Wuthering Heights, Gran Bretagna, 2011, 129’)

Regia: Andrea Arnold, sceneggiatura: Andrea Arnold, Olivia Hetreeddall’omonimo romanzo di Emily Brontë, fotografia: Robbie Ryan,interpreti: James Howson, Kaya Scodelario, Solomon Glave, Amy Wren.Speciale Infinitamente.

«Wuthering Heights (Cime tempestose) di An-drea Arnold è un bell’adattamento del celeber-rimo romanzo di Emily Brontë. Abbastanza vici-na alla fonte letteraria, questa nuova versionecinematografica (ne vanno ricordate almeno al-tre due, quella di Wyler del 1939 e quella di Bu-ñuel del 1953) se ne discosta per un elementomacroscopico: Heathcliff, il bel tenebroso pro-tagonista della vicenda qui è un ragazzo di co-lore. Questo colpo di scena non è però una buf-fonata modaiola priva di sostanza, destinatasoltanto a far gongolare i proseliti dei CulturalStudies; il film riesce infatti in questo modo arileggere e modernizzare la vicenda semprever-de (e sempre tristissima) del capolavoro otto-centesco, senza per questo banalizzarla. La fi-gura di Heathcliff, oggetto d’amore e bersagliodi odio tanto per i personaggi della storiaquanto per lettori e spettatori, assume unanuova profondità grazie ad una sceneggiatura– scritta dalla Arnold con Olivia Hetreed – tuttasbilanciata dalla sua parte. Tanto gli attori chevestono i panni di Heathcliff (Solomon Glave da

ragazzino, James Howson da adulto) quanto ledue Cathy Earnshaw (Shannon Beer e la bellis-sima Kaya Scodelario) incarnano alla perfezio-ne la coppia di antieroi romantici della Brontë.Quanto alla regia della Arnold (le sue due ope-re precedenti, Red Road e Fish Tank, entrambepresentate a Cannes, hanno sempre vinto ilPremio Speciale della Giuria), è efficacissima:se da una parte assedia i corpi e i volti degli in-terpreti con la sua macchina mobilissima, è ca-pace d’altronde anche di concentrarsi su detta-gli dell’ambiente (cani, uccelli, conigli, alberi,le chiome controluce dei protagonisti) così dafar diventare palpabile l’atmosfera della casanella brughiera e della vallata circostante. Lospazio dell’azione diventa così uno dei veriprotagonisti del film e della sua storia estremadi passione e razzismo.»Lorenzo Marmo, Livecity.it

Versione originale con sottotitoli in italianoCopia proveniente da The Festival Agency

Martedì 9 aprile

ore 21.00 THE FIVE-YEAR ENGAGEMENT(Usa, 2012, 124’)

Regia: Nicholas Stoller, sceneggiatura: Nicholas Stoller, Jason Segel, fotografia: Javier Aguirresarobe, musica: Michael Andrews,interpreti: Jason Segel, Emily Blunt, Chris Pratt, David Paymer.

«Il matrimonio è il fulcro di tanta commediaamericana recente, non solo romantica: tra not-ti da leoni e amiche della sposa, i giorni che pre-cedono il fatidico sì diventano terreno fertile.Ma se tra l’anello di fidanzamento e la marcianuziale passassero anni? Succede a Violet eTom, che alle smanie dei parenti antepongonouna placida razionalità: si amano, dunque pos-sono aspettare, dal momento che in gioco c’è lacarriera di lei e un trasferimento (poco) tempo-raneo all’altro capo degli States. Ovviamente iltempo gioca a loro sfavore, e il ricordo di quan-do erano freschi promessi sposi appassisce suicompromessi che il quotidiano esige come pe-gno d’amore. Prodotto dall’infallibile Judd Apa-tow, The Five-Year Engagement è la terza colla-borazione tra Nicholas Stoller e il multiforme in-gegno di Jason Segel, qui nuovamente in vestedoppia di attore e sceneggiatore dopo Non miscaricare. L’ironia apatowiana, tra lo sboccato elo stralunato, si coniuga a un’intelligenza discrittura che non teme di realizzare una sorta dikolossal delle commedie romantiche: oltre due

ore, durata fuori dagli schemi, di ritmo serrato edialoghi sapidi, capaci di scavare in modo nonbanale nelle dinamiche di coppia. La regia svel-ta di Stoller serve egregiamente la bravura diSegel ed Emily Blunt: il respiro ricorda il RobReiner più ispirato, quella razza rara di comme-dia che accompagna per mano i suoi personag-gi e tra una risata e l’altra racconta della Vita.»Ilaria Feole, Film TV

«Tutto sembra in fase di stallo nella vita di cop-pia di due trentenni di San Francisco, Tom, abi-le vicecuoco, e Violet, che conduce un dottora-to di ricerca in psicologia. Il problema, non-ostante abbiano scelto entrambi professionidove i posti buoni scarseggiano, non è solo il la-voro, ma anche le rispettive famiglie, gli amici,le lusinghe di altri possibili amanti. […] È unclassico americano contemporaneo: commedia,episodica ma pungente, con tanti personaggi,molto divertente, e in puro spirito apatowiano,tenera e sboccata.»David Denby, The New Yorker

Martedì 26 marzoore 21.00 LA VITA AGRA

(Italia, 1964, 100’)

Regia: Carlo Lizzani, sceneggiatura: Sergio Amidei, Luciano Vincenzoni dall’omonimo romanzo di Luciano Bianciardi, fotografia: Erico Menczer,interpreti: Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli, Giampiero Albertini.

«Arrivato a Milano con l’intenzione di far salta-re la sede della società che l’ha licenziato e cheè responsabile della morte di una cinquantinadi minatori, Luciano Bianchi (Tognazzi) cerca diconciliare i propri ideali, l’amore con la comuni-sta Anna (Ralli) e il bisogno di sopravvivere. Maa casa, in Emilia, ha lasciato la moglie (Martini)e il figlio, e i soldi che guadagna come pubblici-tario gli fanno dimenticare i suoi intenti… Trattadal romanzo omonimo di Luciano Bianciardi esceneggiata da Sergio Amidei, Luciano Vincen-zoni e lo stesso Lizzani, questa “storia socialp-sicologica post-miracolistica” riesce a ricostrui-re con acutezza e originalità il disagio diffusoche gli anni del boom avevano fatto crescerenelle coscienze più lucide. Senza prediche néschematismi, il percorso di Luciano Bianchisembra raccogliere l’eredità di quello di SilvioMagnozzi in Una vita difficile, sostituendo alclassicismo della commedia all’italiana una nar-razione più libera e disarticolata, capace di ren-dere il disagio e l’insofferenza di una generazio-ne che sconfessa i propri ideali, incapace di

drammi (l’adulterio è vissuto dagli interessatisenza veri traumi, se non quelli delle feste chevedono il ritorno della moglie ufficiale) e sem-pre più anestetizzata dal denaro. Così come loscenario si sposta al Nord, tra i simboli dellaborghesia milanese (il grattacielo Pirelli, i nuovi“quartieri satellite”), all’interno di una societàin cui anche il lavoro intellettuale (editoria, pub-blicità) contribuisce alla sconfitta degli slanci ditutta una generazione. Efficaci la colonna sono-ra di Piero Piccioni e l’utilizzo di Enzo Jannaci(che si vede in un’osteria mentre esegue unpaio delle sue canzoni). Luciano Bianciardi èuna delle persone che accompagnano Tognazzinella sua inchiesta su operai e macchine.»Il Mereghetti 2012

Copia restaurataIn collaborazione conFondazione Centro Sperimentaledi Cinematografia - Cineteca Nazionale

Martedì 23 aprileore 21.00 UN AMORE DI GIOVENTÙ

(Un amour de jeunesse, Francia, 2011, 110’)

Regia e sceneggiatura: Mia Hansen-Løve, fotografia: Stéphane Fontaine,montaggio: Marion Monnier, costumi: Bethsabée Dreyfus,interpreti: Lola Créton, Sebastian Urzendowsky, Magne-Håvard Brekke.

«E ben vengano i film francesi, se a dirigerli èqualcuno come Mia Hansen-Løve: che alla suaterza regia (dopo Tutto sarà perdonato e Il padredei miei figli) ci regala una delle perle di questastagione. Durante un’estate Camille, 15 anni, vi-ve con Sullivan un amore che sembra posseder-la interamente. Ma il ragazzo, che ha qualche an-no in più di lei, parte per il Sud America; si scri-vono; un giorno Sullivan chiede all’innamorata dinon aspettarlo. Assoluta nel dolore come nell’a-more, la ragazza impiega quattro anni della suagiovane vita per tornare al mondo: si scopre lapassione dell’architettura; ha una relazione conun professore, molto più grande, che le restitui-sce stabilità e voglia di amare. Un giorno Sullivantorna a Parigi. Viene voglia di fare il nome di Fran-çois Truffaut; però Mia, che conosce l’amore for-se quanto lui, è meno sentimentale, più severanella limpida consapevolezza del destino di soli-tudine che tocca a ciascuno. Così il film, mentreracconta la forza della passione, è quieto e comeavvolto in una sottile patina di memoria.»Roberto Nepoti, La Repubblica

«Un amour de jeunesse ha la bellezza di tuttociò che non consola e che non ne ha palese-mente l’intenzione, ha la maturità di saper farsentire che la vita è quella che è, che la vita sia-mo noi e i nostri ricordi di un vissuto solo no-stro, dei nostri lutti e delle nostre perdite vissu-te e rivissute, metabolizzate o no fisicamente eaffettivamente, e finché la nostra comprensio-ne, di noi stessi e degli altri, ci può accompa-gnare. Ha il merito di ridare al dolore quel po’ difreschezza e generosità che il tempo e il nostrosguardo non sempre sanno donarci. E di ricor-darci, come faceva dire Henry James a un aman-te sfortunato (non a caso ripreso letteralmenteda Léos Carax in una scena straordinaria di HolyMotors) che siamo stati amati e abbiamo ama-to, e che convivere con questo è il senso ultimodella vita, del suo incommensurabile peso edella sua bellezza.»Francesca Betteni-Barnes, Cineforum

Versione originale con sottotitoli in italiano

Martedì 16 aprileore 21.00 PUZZLE OF A DOWNFALL CHILD

(Usa, 1970, 104’)

Regia: Jerry Schatzberg, sceneggiatura: Adrian Joyce, fotografia: Adam Holender, musica: Michael Small,interpreti: Faye Dunaway, Barry Primus, Roy Scheider.

«Ciò che lo mette ad un livello molto alto fra i ci-neasti nel firmamento del cinema americanosono i suoi primi tre film, assolutamente ecce-zionali. Se ci si pone in quel preciso momento,si può dire che Jerry Schatzberg era il cineastapiù importante della sua generazione, sia inrapporto a Coppola, sia in rapporto a Scorsese,sia in rapporto a Pollack o ad altri come Bob Ra-felson.» Pierre Rissient

«È naturale che Jerry Schatzberg abbia iniziatola sua carriera di cineasta con questo ritratto dimodella, dato che ha frequentato per moltotempo l’ambiente delle cover girls come foto-grafo di moda e ne conosce alla perfezione gliinesorabili ingranaggi. Contrariamente a Panicin Needle Park, la cui costruzione è intenzional-mente lineare, Puzzle è un vero e proprio lavorodi assemblaggio: il montaggio è un vero puzzledi sequenze del passato e del presente che si al-ternano, una ricerca progressiva della personali-tà di Lou Andreas Sand, cover girl schizofrenica[…] Per mezzo del flashback sulla vita di Lou,

Schatzberg compie allo stesso tempo un’analisidell’ambiente e dell’individuo. Denuncia la falsi-tà e la sofisticatezza del mondo della moda checrea e distrugge i propri idoli, che fa della donnaun supporto ai fronzoli e al trucco. In questo uni-verso spietato bisogna essere invulnerabili. Ilfilm era interessato ad inserirci un essere vulne-rabile. D’altra parte, Schatzberg mostra perfet-tamente l’ambiguità di Lou, che non è quella chedice di essere, una ragazza sola e da compatire,ma è anche caratterizzata da una quantità dimotivazioni incredibilmente complesse che lasua coscienza tenta di dissimulare. Questa se-conda lettura conferisce al film la sua vera di-mensione umana, e Faye Dunaway esprime ameraviglia la complessità di Lou. L’ultima imma-gine del viso […] è toccante. Poi lei si allontana,si allontana, fino a scomparire tra le dune.»Hélène Romano, Jeune Cinéma

Versione originale con sottotitoli in italianoCopia restaurata proveniente da Carlotta Film

Martedì 30 aprile ore 20.30 BABYCALL

(Norvegia, 2011, 96’)

Regia e sceneggiatura: Pål Sletaune, fotografia: John Andreas Andersen,montaggio: Jon Endre Mørk, musica: Fernando Velázquez,interpreti: Noomi Rapace, Kristoffer Joner, Vetle Qvenild Werring.

«Anna vive al buio, nel silenzio di un apparta-mento, ai piani alti di un palazzone di periferia.Adora suo figlio Anders di otto anni, lo proteggeal punto da preferire l’insonnia per poterlo sor-vegliare durante la notte – anche attraverso unbabycall acquistato di recente. Il suo comporta-mento ossessivo non è solo la logica conseguen-za dell’amore smisurato di una madre per il fi-glio; dietro alla sua esagerata preoccupazione sinasconde la paura di essere vittima, ancora unavolta, dell’ex compagno violento. A poco a pocoperò le sue abitudini cominciano a diventaresempre più ossessive, comincia a sentire delleinterferenze inquietanti al suo babycall, sospettadei vicini di casa e la realtà si confonde con l’im-maginazione. Solo l’incontro con Helge, timidocommesso in un negozio di elettrodomestici, po-trebbe rappresentare l’occasione del riscatto.Dopo aver interpretato la cyber punk Lisbeth nel-la trilogia di Larsson, l’attrice Noomi Rapace por-ta con sé un’aura di inquietudine. Il suo perso-naggio, smanioso di controllare tutto, non sorri-de mai, vive nell’ombra e si dedica costantemen-

te a salvaguardare un apparente equilibrio men-tale, ormai reso troppo precario da un passato diviolenze e soprusi. […] Sono svariati i temi cheruotano attorno alla figura vulnerabile della pro-tagonista: la violenza infantile, l’ansia del con-trollo, la mancanza di fiducia verso il prossimo,intesa come patologia sociale. Mentre Anna cer-ca di vivere un’esistenza “normale”, tutto ciò chela circonda sembra far parte di un piano per dirledi stare attenta, di agire con cautela per trattene-re gli slanci vitali. La sceneggiatura riesce a man-tenere un buon ritmo, grazie anche ad un’equili-brata alternanza di chiaro e scuro che supporta imomenti di tensione (con il nero delle immagininotturne, illuminate da fugaci sprizzi di luce) e fasalire la tensione al punto da disorientare anchelo spettatore più attento. Babycall intrattiene etocca […] riesce così ad essere allo stesso tempo,un buon thriller e una rappresentazione del gri-giore sociale di molte periferie metropolitane.»Nicoletta Dose, My Movies

Versione originale con sottotitoli in italiano

Martedì 30 aprile ore 22.15 I BAMBINI DI COLD ROCK

(The Tall Man, Usa/Canada, 2012, 106’)

Regia e sceneggiatura: Pascal Laugier, fotografia: Kamal Derkaoui,montaggio: Sébastien Prangère, muisca: Todd Bryanton,interpreti: Jessica Biel, Stephen McHattie, Jodelle Ferland.

«Cold Rock è una cittadina tra i boschi, sperdu-ta ed abbandonata a se stessa; è in grave diffi-coltà economica dopo la chiusura della minierache dava lavoro alla maggior parte dei suoi abi-tanti e, quel che è peggio, da qualche anno viscompaiono i bambini. Sono svaniti nel nulla indiciotto per la precisione, uno dopo l’altro. Lagente del posto racconta che il responsabile siaun leggendario quanto misterioso rapitore chechiama “l’uomo alto”. Il degrado sociale e mo-rale nella comunità si è andato accentuando aseguito della morte del medico del luogo. La ve-dova, la giovane infermiera Julia (Jessica Biel),vive in una vecchia casa vittoriana e lotta controla fatiscenza della vita dei suoi concittadini, aiu-tandoli come può. Ha un bambino a casa, accu-dito da una giovane tata. Arriva il giorno in cui avenir portato via è proprio suo figlio. Di lì a po-che ore il mistero di Cold Rock, in un culmine diviolenza e dolore, avrà soluzione. Non è il casodi rivelare di più della trama. Si sappia sempli-cemente che dopo un incipit tutto sommatod’impianto classico, tra boschi, miniere abban-

donate, oscurità e decadenza, il film di PascalLaugier diventa un puzzle di enigmi di sopraffi-na fattura. Iniziano a dispiegarsi rivelazioni e ri-baltamenti di prospettiva che costringono lospettatore ad un cammino psicologicamente fa-ticoso tra angoscia, malessere e interrogativicrudeli perché moralmente scottanti. Rispettoai comuni horror/thriller, I bambini di Cold Rocknon si abbandona mai a sangue e splatter; in-quieta ad un livello più profondo, partendo dapaure ancestrali come quelle del bosco e delbuio e terminando, dopo un bel carico di ten-sione, con il porre amari dubbi di natura etica.[…] In definitiva si tratta di una pellicola chechiede un coinvolgimento davvero notevole alsuo pubblico, perché racchiude contenuti dianalisi e riflessione sociale assai inquietanti edè a questi che si affida per terrorizzare in ma-niera ben più sottile e raffinata rispetto ad unqualsiasi altro prodotto medio di genere.»Serena Nannelli, Il Giornale

Cinema KappadueVerona, via Rosmini, 1/Btel. 045 800 58 95

Verona Film FestivalVerona, via Leoncino, 6tel. 045 800 53 48www.imartedidelfestival.comune.verona.itveronafilmfestival@comune.verona.it

programma a cura di Paolo Romanoredazione: Daniele Mattaruccografica: Corrado Bosi cdf-ittica.itstampa: Intergrafica Verona

Biglietto intero Euro 5,00

Biglietto ridotto Euro 4,00 Amici del Verona FilmFestival, associazioni di cultura cinematografica,Cral Comune di Verona, Acli, Agis, Arci-Uisp, Enal-etl, militari, studenti universitari, iscritti UniversitàTerza Età.

Biglietto ridotto speciale Euro 3,50 over 60

Ringraziamenti Alessandro PennasilicoMassimo CatenacciRenata Ceresini, Lucia Botturi, Luciana Menini,Paolo BazzoniDirezione Cinema Kappadue

Associazione Culturale AMICI DEL VERONA FILM [email protected]

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Cinema Kappaduedal 1954

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