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© & ® http://www.scanzo.eu C:\Users\roberto\Desktop\testi_15_16\I ASCU_LAT\focus\01_epigrafia.docx (1) Che cos’è l’epigrafia ? 1. definizione e parole a. epigraphé e inscriptio b. lapides L'epigrafia è la scienza che decifra e mira a datare le epigrafi, vale a dire quelle iscrizioni realizzate, generalmente ma non necessariamente, su un materiale poco corruttibile (i supporti scrittori di cui le iscrizioni si valgono sono i più vari), a fini di documentazione pubblica e durevole nel tempo. Il termine che designa la disciplina è calco colto del Rinascimento, che traduce in greco (™p…=sopra e gr£phein=scrivere) il termine latino inscribere. In epoca romana invece le iscrizioni pubbliche venivano chiamate semplicemente tituli. Il dominio dell'epigrafia è vasto e contestualizza diversi ambiti storico archeologici: ad es. le lapidi (lastre generalmente di marmo poste su un monumento o sulla facciata di una costruzione, recanti un testo commemorativo) le pitture murali, gli oggetti di uso comune, i laterizi, le armi, i sepolcri, le anfore, il vasellame, i corredi da cucina e altri oggetti antichi. Sono estranei al dominio dell'epigrafia le monete e i sigilli, di cui si occupano rispettivamente gli esperti di numismatica e sfragistica (o sigillografia). Per convenzione, quando ci si riferisce al mondo greco-romano, si parla di epigrafia greca e di epigrafia latina. All'interno dell'epigrafia latina esistono specifici campi di studio, come l'epigrafia cristiana e l'epigrafia medievale. L'epigrafia latina (dal greco ™pigr£fein, scrivere sopra) è la scienza che studia tutti i documenti iscritti in lingua latina su supporti di vario tipo (pietra, metallo, materiale fittile ecc., ma anche materiale deperibile come legno, tessuti, cuoio ecc.), che ci sono pervenuti a partire dal VII-VI sec a.C. fino alla caduta dell'Impero Romano. L'epigrafia latina comprende anche l'epigrafia cristiana. I Romani distinguevano tra testo scritto, denomnato titulus, e supporto, per il quale non vi è un'unica definizione, ma per il quale è comunemente usato il generico tabula. L'epigrafe (dal greco antico «πιγραφή», scritto sopra) o iscrizione è un testo esposto pubblicamente su un supporto di materiale non deperibile (principalmente marmo o pietra, più raramente metallo). L'intento del testo è solitamente quello di tramandare la memoria un evento storico, di un personaggio o di un atto; le parole possono essere incise, oppure dipinte o eseguite a mosaico; l'epigrafe si può trovare sia in un luogo chiuso (chiesa, cappella, palazzo) sia all’aperto (piazza, via, cimitero), oppure può essere apposta su un oggetto. Generalmente le iscrizioni sono realizzate in lettere maiuscole. A caratterizzarle però non è solo lo stile della scrittura ma anche l'adozione di particolari registri linguistici, improntati generalmente a concisione e solennità, in funzione del contenuto, del contesto e dello scopo comunicativo. L'epigrafia latina definita da Ida Calabi Limentani «Oltre alle epigrafi destinate al completamento di monumenti e di oggetti, l'epigrafia latina studia ogni altra non determinata categoria di scritti rimastici materialmente dall'età antica, ad esclusione, si può dire, di quelli trovati sui papiri. Si tratta soprattutto di testi giuridici, di documenti (acta), conservati su pietra, bronzo, legno, intonaci e di tutte le più diverse scritte apposte a oggetti della vita quotidiana (instrumentum domesticum). La tradizionale definizione dell'epigrafia come la scienza delle scritture su materiale durevole è non solo infelice, ma errata. Infatti assai relativo si mostra il concetto di durabilità: le tavole di legno avrebbero potuto durare più dei papiri, e invece non durarono; le tavole di bronzo, materia certo durevole, furono distrutte nella grandissima maggioranza perché fuse per trarne il valore del metallo; l'intonaco non è in realtà tipicamente durevole, ma ci ha conservato l'unico calendario precesareo.[...]» scheda I - LAT [01] CVL © & ® 2.0 – 2015

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Che cos’è l’epigrafia ?

1. definizione e parole a. epigraphé e inscriptio b. lapides

L'epigrafia è la scienza che decifra e mira a datare le epigrafi, vale a dire quelle iscrizioni realizzate, generalmente ma non necessariamente, su un materiale poco corruttibile (i supporti scrittori di cui le iscrizioni si valgono sono i più vari), a fini di documentazione pubblica e durevole nel tempo. Il termine che designa la disciplina è calco colto del Rinascimento, che traduce in greco (™p…=sopra e gr£phein=scrivere) il termine latino inscribere. In epoca romana invece le iscrizioni pubbliche venivano chiamate semplicemente tituli. Il dominio dell'epigrafia è vasto e contestualizza diversi ambiti storico archeologici: ad es. le lapidi (lastre generalmente di marmo poste su un monumento o sulla facciata di una costruzione, recanti un testo commemorativo) le pitture murali, gli oggetti di uso comune, i laterizi, le armi, i sepolcri, le anfore, il vasellame, i corredi da cucina e altri oggetti antichi. Sono estranei al dominio dell'epigrafia le monete e i sigilli, di cui si occupano rispettivamente gli esperti di numismatica e sfragistica (o sigillografia). Per convenzione, quando ci si riferisce al mondo greco-romano, si parla di epigrafia greca e di epigrafia latina. All'interno dell'epigrafia latina esistono specifici campi di studio, come l'epigrafia cristiana e l'epigrafia medievale.

L'epigrafia latina (dal greco ™pigr£fein, scrivere sopra) è la scienza che studia tutti i documenti iscritti in lingua latina su supporti di vario tipo (pietra, metallo, materiale fittile ecc., ma anche materiale deperibile come legno, tessuti, cuoio ecc.), che ci sono pervenuti a partire dal VII-VI sec a.C. fino alla caduta dell'Impero Romano. L'epigrafia latina comprende anche l'epigrafia cristiana. I Romani distinguevano tra testo scritto, denomnato titulus, e supporto, per il quale non vi è un'unica definizione, ma per il quale è comunemente usato il generico tabula. L'epigrafe (dal greco antico «ἐπιγραφή», scritto sopra) o iscrizione è un testo esposto pubblicamente su un supporto di materiale non deperibile (principalmente marmo o pietra, più raramente metallo). L'intento del testo è solitamente quello di tramandare la memoria un evento storico, di un personaggio o di un atto; le parole possono essere incise, oppure dipinte o eseguite a mosaico; l'epigrafe si può trovare sia in un luogo chiuso (chiesa, cappella, palazzo) sia all’aperto (piazza, via, cimitero), oppure può essere apposta su un oggetto. Generalmente le iscrizioni sono realizzate in lettere maiuscole. A caratterizzarle però non è solo lo stile della scrittura ma anche l'adozione di particolari registri linguistici, improntati generalmente a concisione e solennità, in funzione del contenuto, del contesto e dello scopo comunicativo. L'epigrafia latina definita da Ida Calabi Limentani «Oltre alle epigrafi destinate al completamento di monumenti e di oggetti, l'epigrafia latina studia ogni altra non determinata categoria di scritti rimastici materialmente dall'età antica, ad esclusione, si può dire, di quelli trovati sui papiri. Si tratta soprattutto di testi giuridici, di documenti (acta), conservati su pietra, bronzo, legno, intonaci e di tutte le più diverse scritte apposte a oggetti della vita quotidiana (instrumentum domesticum). La tradizionale definizione dell'epigrafia come la scienza delle scritture su materiale durevole è non solo infelice, ma errata. Infatti assai relativo si mostra il concetto di durabilità: le tavole di legno avrebbero potuto durare più dei papiri, e invece non durarono; le tavole di bronzo, materia certo durevole, furono distrutte nella grandissima maggioranza perché fuse per trarne il valore del metallo; l'intonaco non è in realtà tipicamente durevole, ma ci ha conservato l'unico calendario precesareo.[...]»

scheda

I - LAT [01]

CVL

© & ® 2.0 – 2015

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«Per "epigrafe" o "iscrizione" (considerando qui i due termini come equivalenti) intendiamo un testo di natura commemorativa, enunciativa o designativa, di solito di non lunga estensione, ma anche a volte dipinto o eseguito a mosaico) con propositi di accuratezza ed intenzioni di solennità su un supporto di materia dura (marmo, pietra o più raramente metallo) o su oggetti (dipinti, arredi, oreficerie, e così via), ed esposto alla pubblica visione e lettura in un luogo chiuso (chiesa , cappella, palazzo) o all’aperto (piazza, via, cimitero).» (Petrucci 1992: 38) La tradizione epigrafica è caratteristica della civiltà classica: le strade, le città, i luoghi di culto del mondo greco e romano erano ricchi di iscrizioni. Il che vuol dire che queste società antiche avevano un grado diffuso di alfabetizzazione: tramite le epigrafi erano prodotti messaggi destinati alla comunicazione pubblica, e che erano tutte realizzate con la caratteristica forma della lettera capitale (maiuscola). Di questa diffusione sono testimonianza le circa trecentomila iscrizioni romane che sono sopravvissute sino a noi: una parte di un insieme tanto più rilevante, ovviamente, che gli studiosi stimano in diversi milioni, distribuite su tutta la vastissima superficie dell’Impero di Roma. Nel Medioevo le iscrizioni si riducono sino quasi a scomparire: segno del contrarsi dell’alfabetizzazione e del declino delle istituzioni pubbliche. Solo a partire dall’XI secolo si ha un ritorno delle scritture pubbliche tramite iscrizioni, che corrisponde a una più generale ripresa della produzione di scrittura: la loro scrittura adotta le grafie allora dominanti. Nel Trecento a questa ripresa della funzione epigrafica contribuiscono anche letterati insigni, come Francesco Petrarca e Coluccio Salutati, che dettano il testo di iscrizioni in letteragotica. La rinascita degli Antichi, lo studio delle loro reliquie architettoniche, porta al diretto recupero della forma epigrafica di Roma: ne sono testimoni Leon Battista Alberti, nel Tempio Malatestiano (costruito verso il 1450) di Rimini e Giovanni Bellini e Andrea Mantegna in diversi loro dipinti, all’incirca negli stessi anni di casa Manili a Roma.

c. la comunicazione nell’antichità d. vedere + scrivere e. storia dell’uomo e dello scrivere

2. diffusione, circolazione, alfabetismo e acculturazione 3. letterature de rue 4. scrittura e lettura 5. contesto e collocazione del testo 6. quattro elementi fondamentali

a. supporto b. testo c. scrittura d. ambiente

7. materiali a. tutto b. pietra c. materiali deperibili d. metalli e. terracotta f. riuso

8. limiti, vincoli e difficoltà a. superficie b. strumenti c. dimensioni d. spazio e. leggibilità e caratteri grandi

9. storia dell’oggetto a. dal taglio nella cava b. all’oggetto finito

10. a cosa e a chi serve ? a. intrecci di discipline b. storia c. storia dell’arte d. il caso del marmo

i. marmorarius

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ii. quadratarius iii. serrarius iv. ordinator v. scriptor vi. musivarius

11. quante ne esistono ? a. lingue b. aree c. periodi d. tutte utili ? e. le plurilingue e l’importanza per noi

12. scopi e funzioni a. sfogo b. comunicazione

i. sacro ii. politica iii. arte iv. privato

c. esportazione della cultura latina d. comunicazioni e prescrizioni

13. cosa fa l’epigrafista (come l’archeologo) a. trova b. pulisce c. disegna e fotografa d. ricopia e. interpreta f. traduce g. data

14. tatuaggio e tipografia

T AVR T F GENETIVO DEC EQ SING AVG NAT NORICVS VIX AN XXIX

MIL ANN X AMICI FACIEND CVRAV

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Provincia: Liguria / Regio IX Località: Terruggia / Vardagate Terruggia / Vardagate V(ivus) f(ecit) / T(itus) Vettius / T(iti) l(ibertus) Hermes / seplasiarius / mater genuit / materq(ue) recepit / hi horti ita uti o(ptimi) m(aximi)/que sunt cineribus / servite meis nam cu/ratores substituam / uti vescantur ex ho/rum hortorum redi/tu natale meo et per(!) / rosam in perpetuo / hos hortos neque divi/di volo neq(ue) abalienari

Pubblicazione: CIL 05, *00800 = AE 1996, 00677 = AE 2001, +00982 CIL 05, *00800 = AE 1996, 00677 = AE 2001, +00982 Provincia: Liguria / Regio IX Località: Casale Monferrato / Vardacate Erastus / aed(ilis) tr(ibunus) q(uaestor) / Larib(us) et / famil(iae)

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La Regio IX - Liguria

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Abbreviazioni e onomastica

M. AVRELIVS M. f. Q. n. TRIBV GALERIA ANTONINUS PIVS DOMO CAESARAVGVSTA

Nella Convenzione dei nomi romani usata nella Roma antica, i nomi maschili tipici contenevano tre nomi (tria nomina) propri che erano indicati come praenomen (che era il nome proprio come intendiamo oggi), il nomen (equivalente al nostro cognome ed individuava la Gens, ovvero era il cosiddetto "nome gentilizio") ed il cognomen che indicava la famiglia in senso nucleare, all'interno della gens. Talvolta si aggiungeva un secondo cognomen chiamato agnomen. Un uomo che veniva adottato, mostrava nel nome anche quello di adozione (si veda Augusto come esempio). Per i nomi femminili, c'erano poche differenze. Quando applicabile per cittadinanza, solo tre elementi erano obbligatori: praenomen, nomen, e cognomen, mentre elementi aggiuntivi come agnomen e adozione erano opzionali. Tale sistema di tria nomina era il modo tradizionale latino di nominare una persona, sistema influenzato da quello appellativo etrusco.

PRAENOMEN Il primo elemento era il nome personale, quello attribuito ai bambini alla nascita, e con il quale si presuppone che venissero chiamati in famiglia. Negli scritti peraltro era generalmente ridotto all'iniziale, poiché i prenomi romani originariamente erano pochi e legati alla tradizione: Marcus, Gaius, Titus, Publius, Lucius. Questa forma di nome "proprio", eccetto che per le relazioni familiari e confidenziali, era abbastanza poco importante, ed era raramente usata da sola. Sono relativamente pochi i praenomina usati nella Roma repubblicana e nella Roma imperiale, generalmente legati alla tradizione. Solo alcuni di questi, come "Marco", "Tiberio", "Lucio" (anche con la versione femminile "Lucia") sono ancora in uso. Ultimamente riscoperto anche "Gaia", femminile di "Gaio" o "Caio", che in realtà è la versione non corretta di "Gaio". La corruzione di Gaio in Caio deriva dalla tradizione latina che abbreviava con C. il praenomen Gaius (Gaio) e con Cn. il praenomen Gnaeus (Gneo). Tali tradizionali abbreviazioni derivano a loro volta dal fatto che gli Etruschi, che esercitarono una forte influenza sulla prima fase storica di Roma, non distringuevano fra la "G" e la "C" (definizione della lettera "C" dal sito della Treccani). Molti dei "praenomina" maschili usati furono abbreviati ad uno o due caratteri nelle iscrizioni lapidarie, senza possibilità di ambiguità proprio perché non erano molti; le abbreviazioni più comuni sono: Appius (Ap), Flavius (Fl), Gaius (C), Gnaeus (Cn), Lucius (L), Manius (M'), Marcus (M), Publius (P), Servius (Ser), Sextus (Sex), Spurius (Sp), Titus (T), Tiberius (Ti). I "praenomina" Primus, Secundus, Tertius, Quintus, Sextus, Septimus, Octavius, e Decimus hanno in italiano l'ovvio significato dei numeri ordinali e furono probabilmente in origine assegnati nell'ordine di nascita, una prassi che venne ripresa col fascismo (e la relativa politica culturale e demografica) attualmente in disuso. Nell'età classica in pratica i praenomina sono limitati ai seguenti: A(ulus), C(aius), Cn(aeus), D(ecimus), L(ucius), M(arcus), P(ublius), Q(uintus), Sex(tus), Ti(berius), T(itus); più rari Ap(pius), K(aeso), Mam(ercus), Manius (nelle epigrafi abbreviato con una M a 5 aste, per distinguerlo da M(arcus); nella trascrizione delle iscrizioni questa sigla viene resa con M'.), N(umerius), Ser(vius), Sp(urius). Amulius Appius (Ap.) – usato solo dalla Gens Claudia Aulus (A.) – talvolta Olus Camillus – associato con le Gentes Furia/Arrutia dopo la loro fusione nel primo secolo Decius – associato con la Gens Minatia Decimus (D.) – "Decimo" Drusus – dopo Tiberio divenne un praenomen della Gens Claudia Flavius – praenomen Imperiale dopo il terzo secolo Gaius (C.) – spesso erroneamente trascritto come Caius a causa della sua abbreviazione che era "C." e non "G." Gallus – raro e dubbio Gnaeus (Cn.) – o Cnaeus stessa situazione di Gaius/Caius Herius – Associato con la Gens Asinia Kaeso (K.) – or "Caeso", raro Lucius (L.) – molto usato Manius (M'.) – raro, "M'." viene spesso confuso con "M."

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Marcus (M.) – molto usato Numerius (N.) – associato con la Gens Fabia Postumus Publius (P.) – molto usato Quintus (Q.) – "quinto", molto usato Secundus – "secondo" Servius (Ser.) – da servus ("schiavo"), raro Sextus (Sex.) – "sesto" Spurius (Sp.) Tertius – "terzo" Tiberius (Ti.) – dal nome del Tevere, molto usato Titus (T.) – molto usato

NOMEN Il secondo nome era quello della gens (pl. gentes), ovvero il clan di appartenenza, la "famiglia allargata". Le gentes romane iniziali erano abbastanza poche, e pochissime quelle dotate di una certa rinomanza, tale da dare loro la possibilità di consegnare ai posteri la fama di alcuni dei loro componenti. Tra di esse sicuramente la gens Iulia, la gens Cornelia, la gens Claudia, la gens Tullia, la gens Sempronia, la gens Domitia, la gens Valeria. Si noti peraltro che con l'andar del tempo le cose si complicarono parecchio, con l'ingresso nella cittadinanza romana di persone o intere famiglie che venivano da tradizioni diverse (si pensi agli schiavi liberati, agli alleati galli, ecc.) e che quindi magari non avevano alcuna gens di appartenenza. Gli schiavi liberati spesso acquisivano il nomen del loro antico proprietario; gli stranieri "naturalizzati" a volte latinizzavano un loro soprannome, a volte lo inventavano di sana pianta, e così via. Giulio Valerio Claudio Flavio Domizio

Ottavio Giunio Aurelio Aureliano Emilio

Ulpio Antonio Porcio Cornelio

COGNOMEN L'ultimo elemento era in origine un soprannome, che le persone non avevano ovviamente dalla nascita, legato

com'è naturale ad una loro caratteristica personale o ad un evento che li aveva visti protagonisti. Il cognomen, comparve all'inizio come soprannome o nome personale che distingueva un individuo all'interno della Gens (il cognomen non compare in documenti ufficiali fino a circa il 100 a.C.); spesso il cognomen risultava quindi il solo vero elemento personale del nome, tanto da diventare per noi posteri il nome con cui il personaggio è conosciuto. Durante la Repubblica e l'Impero, il cognomen si trasmetteva dal padre al figlio, distinguendo di fatto la famiglia nucleare all'interno della Gens. A causa della sua origine, spesso il cognomen rifletteva qualche tratto fisico o della personalità. Ne è esempio il cognomen "Caligola", soprannome dato al terzo imperatore romano, Gaio Giulio Cesare Germanico, per l'abitudine che quest'ultimo aveva in gioventù di girare sempre con i sandali militari ("caligae").

AGNOMEN Quando nacque la necessità di distinguere dei nuclei più ristretti all'interno delle famiglie, venne aggiunto un secondo cognomen, chiamato agnomen. Alcuni di questi passarono di padre in figlio, come i cognomina, per distinguere una sottofamiglia (per esempio i discendenti di una persona specifica) all'interno della famiglia. Tuttavia il più delle volte venne usato come semplice soprannome. Talvolta fu usato come titolo onorifico per ricordare un'impresa importante. Il supernomen. Si tratta di un soprannome, elemento che appare in due diverse tipologie: L'agnomen, che è introdotto da formule come qui et, qui et vocatur o sive, come per esempio nel caso di Q. Letinius Lupus qui et vocatur Caucadio. Il signum, che è introdotto dalla formula signo, come per esempio nel caso di P. Aelius Apollinaris signo Arlenius. Esempi di agnomina sono: :Africanus - Allobrogicus - Asiaticus - Atticus - Augustus (per gli Imperatori) - Balearicus - Briganticus - Britannicus - Caligula - Creticus - Dalmaticus - Gaetulicus - Gallicus - Germanicus - Helveticus - Isauricus - Italicus - Macedonicus - Nasica - Nero - Numidicus - Parthicus - Paulus. In questo senso basterebbe ricordare: Publio Cornelio Scipione l'Africano (che in latino avrebbero scritto solitamente P.CORNELIVS SCIPIO AFRICANVS).

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Agricola--->agricoltore Cicerone--->cece Corvino--->profilo da corvo Aquila--->profilo aquilino Marcello--->guerriero Africano--->legame con l'africa Cesare--->nato da parto cesare Minore--->minore tra i fratelli Seneca--->vecchio Fulvus--->capelli rossicci Pilato--->Calvo Caligola--->indossa calzari militari Scevola--->mancin

ADOZIONE Quando un Romano entrava per adozione in una nuova famiglia (evento usuale a causa della scarsità di figli in molte famiglie), il suo nome diveniva quello completo del padre adottivo più il suo nome di famiglia in forma declinata. Ecco due esempi:

• Gaius Iulius Caesar Octavianus (Augustus), nato nella famiglia di Octavius, adottato da Gaius Iulius Caesar. • Marcus Aemilius Lepidus Livianus (Princeps senatus nel I secolo a.C.), nato nella famiglia di Livius, adottato da Marcus Aemilius

Lepidus. L'adottato prendeva i tria nomina del padre adottivo, trasformando il proprio gentilizio originale in un secondo cognome, con l'aggiunta del suffisso -anus. L'esempio classico è quello di P. Cornelius Scipio Aemilianus, figlio naturale di L. Aemilius Paullus e figlio adottivo di un P. Cornelius Scipio. Una campagna militare vittoriosa: si tratta dei cosiddetti cognomina ex virtute, formati sulla base del nome del popolo o del paese sottomesso. Ancora una volta l'esempio più famoso ci viene dalla famiglia degli Scipioni, con il celebre P. Cornelius Scipio Africanus, che nella propria onomastica ricordò la sua vittoria in Africa contro i Cartaginesi di Annibale.

NOMI STRANIERI Mentre Roma continuava a conquistare territori al di fuori della penisola italiana, furono introdotti molti nomi stranieri. Ex soldati ausiliari ed altre categorie che guadagnavano il diritto alla cittadinanza romana, potevano, e spesso volevano, mantenere almeno una parte del loro nome d'origine. Un buon numero di questi nomi sono di origine greca, mentre gli altri provengono da tutte le regioni entrate nel campo di influenza romano. I soldati ausiliari non cittadini romani, avendone maturato il diritto, spesso adottavano il nomen del loro Imperatore, aggiungendo il loro nome originale come cognomen. Esempi di nomi stranieri sono: Amandio - Antigonus - Antiochus - Antius - Apollonius - Apthorus - Artemidorus - Autobulus - Bocchus - Caecina - Chilo - Cosmus - Diodotus - Diogenes - Diotimus - Epicydes - Glycon - Heraclides - Hicesius - Isidorus - Micon - Mithridates - Narcissus - Nicander - Nicias - Nicoteles - Orthrus - Paetas - Parmenion - Philadelphus - Plocamus - Pyramus - Pythion - Raphael - Sophus - Soterides - Tarautas - Thalamus - Theodorus - Theodotus - Trophimus - Vassus - Vespillo.

DONNE Quanto scritto sopra si applicava soltanto agli uomini. La società romana, infatti, non usava attribuire veri e propri nomi personali alle donne, che venivano conosciute soltanto con il proprio nome gentilizio (nomen), ovviamente declinato al femminile, talvolta seguito da un aggettivo nel - frequente - caso di omonimia tra donne appartenenti alla stessa gens(Maior e Minor se le donne erano soltanto due; Prima, Secunda, Tertia e via dicendo se erano più di due). Alcuni esempi: la famosa madre dei Gracchi fu Cornelia, questo non è affatto un nome proprio, anche se alla nostra sensibilità lo sembra, ma semplicemente un gentilizio, peraltro uno dei più famosi; le figlie di Marco Antonio erano conosciute come Antonia maior (nonna dell'Imperatore Nerone) e Antonia minor (madre dell'Imperatore Claudio); più di due figlie erano distinte dal numero ordinale: Cornelia Quinta era la quinta figlia di Cornelius. Emerge dallo studio delle iscrizioni lapidarie che nei tempi più antichi si usava la versione al femminile anche dei praenomina e che i nomi delle donne presumibilmente consistevano in un praenomen ed un nomen seguito da un patronimico. In periodo storico della Repubblica le donne non ebbero più praenomen. In effetti, sull'esistenza del praenomen femminile le opinioni sono discordi. Taluni ritengono che non sia mai esistito. Altri pensano, invece, che non potesse essere pronunciato per ragioni di pudicitia. Secondo i sostenitori di quest'ipotesi, infatti, i Romani avrebbero ereditato dai Sabini una credenza che considera il prenome una parte della persona; dunque, pronunciare il praenomen di una donna sarebbe stato un atto di intimità assolutamente inaccettabile. Al di là delle diatribe tra gli studiosi, resta il fatto che nominare una donna era considerato atto socialmente irrispettoso. Se era necessaria una ulteriore precisazione, il nome gentilizio era seguito dal genitivo del nome del padre o, dopo il matrimonio, del marito. Infatti Cicerone indica una donna come Annia P. Anni senatoris filia (Annia figlia del senatore P. Annius).

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Dalla tarda Repubblica, le donne adottarono anche la forma femminile del cognomen del padre (per es. Caecilia Metella Crassi, figlia di Q. Caecilius Metellus e moglie di P. Licinius Crassus). Questo cognomen femminilizzato assunse spesso la forma diminutiva (per es. la moglie di Augustus Livia Drusilla era figlia di M. Livius Drusus). Esempi di nomi femminili sono: Aconia Paulina - Aelia Domitia Paulina - Aelia Flacilla - Aelia Paetina - Aemilia Lepida - Agrippina - Alfidia - Alypia - Ancharia - Annia Aurelia Faustina - Annia Faustina - Annia Fundania Faustina - Annia Galeria Faustina - Annia Galeria Aurelia Faustina - Annia Lucilla - Antistia - Antonia - Aquilia Severa - Arrecina Tertulla - Arria - Arria Fadilla - Atia - Aurelia - Baebiana - Bruttia Crispina - Caecilia Attica - Caecilia Metella - Ceacilia Paulina - Caesonia - Claudia - Claudia Antonia - Claudia Pulchra - Clodia - Cornelia - Cornelia Supera - Crispina - Didia Clara - Domitia - Domitia Longina - Domitia Lucilla - Domitia Paulina - Domitilla - Drusilla - Dryantilla - Euphemia - Eutropia - Fabia - Fadia - Faltonia Betitia Proba - Fannia - Fausta - Faustina - Flavia Domitilla - Fulvia - Galla - Galla Placidia - Gnaea Seia Herennia Sallustia Barbia Orbiana - Gratidia - Helena - Helvia - Herennia Etruscilla - Honoria - Hostia - Iulia (nome) - Iulia Aquila Severa - Iulia Domna - Iulia Livilla - Iulia Paula - Iunia Calvina - Iustina - Leontia - Lepida - Licinia - Livia - Livia Drusilla - Livia Iulia - Livia Ocellina - Livia Orestilla - Livilla - Livilla Claudia - Lollia Paulina - Lucilla - Maecia Faustina - Magia - Magna Urbica - Manlia Scantilla - Marcella - Marcia - Marcia Furnilla - Marciana - Mariniana - Matidia - Messalina - Minervina - Mucia - Mummia Achaica - Munatia Plancina - Octavia - Orbiana - Otacilia Severa - Paccia Marciana - Papianilla - Papiria - Paulina - Placidia - Plautia Urgulanilla - Plautilla - Plotina - Pompeia - Pompeia Plotina - Popillia - Poppaea - Poppaea Sabina - Porcia - Prisca - Pulcheria - Sabina - Salonina - Salonina Matidia - Sempronia - Servilia - Severa - Severina - Statilia Messalina - Sulpicia - Terentia - Titiana - Tranquillina - Tullia - Turia - Ulpia - Ulpia Marciana - Urgulania - Urgunalla - Valeria Galeria - Valeria Messalina - Verina - Vibia Matina - Vibia Sabina - Violentilla - Vipsania - Vipsania Agrippina - Vistilia.

TRIBU’ La tribù non era indicazione di una comune ascendenza; ma le tribù erano distribuite geograficamente ed un individuo apparteneva alla tribù nella quale si trovava la sua abitazione principale. La tribù era una componente essenziale della cittadinanza, infatti il voto si svolgeva spesso per tribù. Con l'espansione dell'Impero il numero delle tribù venne aumentato. Ogni cittadino romano era iscritto in una delle 35 tribù che costituivano le unità di voto dei comizi tributi, la principale delle assemblee popolari della Roma della media e tarda repubblica. Anche la tribù compare solitamente abbreviata, con le prime tre lettere, e va in caso ablativo, sottintendendo la parola tribu. Inizialmente praenomen e nomen costituivano il nome completo del Romano ed erano seguiti dal patronimico (o indicazione della paternità). Il patronimico consisteva nella parola latina filius (figlio), abbreviata in "f." preceduta dall'abbreviazione del praenomen paterno naturalmente al genitivo. Pertanto un Romano poteva essere noto come M. Antonius M. f. (Marcus Antonius Marci filius) cioè "Marco Antonio figlio di Marco". In più si sarebbe potuto indicare anche il nonno con la parola nepos (nipote) abbreviata in "n.". Verso la metà del periodo repubblicano si aggiunse al patronimico l'indicazione abbreviata della tribù in cui la persona era registrata. Non si sa quando questa indicazione divenne parte ufficiale del nome. Nel 242 a.C. il numero delle tribù fu fissato in 35: Aemilia - Aniensis - Arniensis - Camilia - Claudia - Clustumina - Cristina - Cornelia - Esquilina - Fabia - Falerna - Galeria - Horatia - Lemonia - Maecia - Oufentina - Palatina - Papiria - Poblilia - Pollia - Pomptina - Quirina - Romilia - Sabatia - Scaptia - Sergia - Stellatina - Succusana o Suburana - Teretina - Tromentina - Velina - Voltinia - Voturia

SCHIAVI Un discorso a parte merita l'onomastica dei liberti, gli ex-schiavi manomessi che insieme alla libertà ricevevano a Roma anche la cittadinanza romana. I liberti, al momento del loro affrancamento, ricevono generalmente il prenome e il gentilizio dei loro ex-padroni, che ora assumono la funzione di patroni; a partire dal I sec. a.C. il liberto assume anche un cognomen, solitamente il suo vecchio nome unico da schiavo: per esempio un ipotetico schiavo di nome Felix, di proprietà di M. Tullio Cicerone, al momento della sua liberazione avrebbe assunto il nome di M. Tullius Felix. Esistevano anche degli schiavi pubblici, che, al momento della manomissione, assumevano il gentilizio Publicius o un altro nomen formato sul nome della città che li aveva liberati. Gli ex-schiavi dei collegi di mestiere potevano alle volte assumere un nomen formato da quello della corporazione: per esempio un liberto del collegium dei fabri poteva prendere il gentilizio Fabricius. Nell'onomastica dei liberti, al posto del patronimico troviamo l'indicazione del patronato, nella forma che prevede il prenome del patrono, come di consueto abbreviato, in caso genitivo, seguito dall'espressione libertus, frequentemente abbreviata l.: il nome completo del nostro ipotetico liberto Felice sarebbe dunque stato M. Tullius M(arci) l(ibertus) Felix. L'indicazione del patronato, distintiva dei liberti, tende ad essere tralasciata col passare del tempo: in effetti non poteva far piacere a nessuno l'essere riconosciuto come un ex-schiavo dal solo nome. Esempio di analisi di un nome completo

Marcus Aurelius Marci f. Quinti n. tribu Galeria Antoninus Pius, domo Caesaraugusta.

• praenomen: Marcus • nomen: Aurelius (appartiene alla gens Aurelia, gli Aurelii al plurale)

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• patronimicus: figlio di Marcus • nome del nonno: nipote di Quintus • tribù: Galeria (una tribù nella regione di Caesaraugusta in Spagna) • cognomen: Antoninus (famiglia degli Antonini) • agnomen: Pius (probabilmente a causa della sua mitezza ... raramente trasmesso alla discendenza) • città: Caesaraugusta (oggi Saragozza in Spagna)

Nell'uso quotidiano, le persone erano nominate o con una combinazione di nomen e praenomen, oppure, più frequentemente semplicemente con il cognomen. Così "Marcus Livius Drusus" poteva essere semplicemente "Drusus" o "Marcus Livius". "Iulia Marciana" poteva essere semplicemente "Iulia". Le iscrizioni sepolcrali e il nome dei Romani: Introduzione Nella vaste classe delle iscrizioni sepolcrali comprendiamo non solo gli epitaffi veri e propri, ma anche le iscrizioni accessorie, per esempio quelle sui cippi che delimitavano le aree sepolcrali, oppure le indicazioni che appaiono all'ingresso di sepolture collettive. Un esempio è dato da una interessante iscrizione di Aquileia, pubblicata in AE 1931, 36: Loca/ vestiariorum / in fr(onte) p(edes) L, in agr(o) p(edes) LXIV; in questo testo si segnala l'esistenza di un'area riservata ai sepolcri (loca) della corporazione (collegium) dei vestiarii di Aquileia, fornendone anche le misure; quello dei vestiarii era uno dei tanti collegia artigianali che possiamo incontrare nel mondo romano; in particolare riuniva gli artigiani impegnati nella confezione di abiti. A differenza delle corporazioni di mestiere medievali, che avevano principalmente finalità economiche, i collegia romani erano associazioni di prevalente carattere sociale: tra i loro fini vi era anche quello di assicurare una degna sepoltura ai loro membri e non è dunque insolito trovarsi davanti ad aree sepolcrali riservate appunto agli appartenenti ad uno di questi collegia. Devo comunque rilevare che la grandissima maggioranza delle epigrafi appartenenti a questa classe è costituta dagli epitafi, che segnavano il luogo di sepoltura del defunto e ne ricordavano il nome. Come nelle altre classi di iscrizioni, anche per quanto riguarda le sepolcrali è di fondamentale importanza considerare il testo in rapporto col contesto monumentale che ne costituisce il supporto e con l'apparato iconografico che lo accompagna. L'iscrizione sepolcrale può essere stata incisa direttamente sul ricettacolo che contiene la salma o le ceneri del defunto, oppure sul monumento che contiene il sepolcro stesso; d'altra parte l'iscrizione sepolcrale può apparire anche su una tavoletta che veniva applicata al monumento stesso. Per quanto concerne l'apparato figurativo, è abbastanza frequente il caso di iscrizioni sepolcrali accompagnate dal ritratto del defunto; talvolta possono anche comparire scene caratteristiche del mestiere da lui esercitato: un caso noto e singolare è quello dell'epitaffio del fornaio Eurisace (CIL VI, 1958 = ILS 7560), il cui monumento sepolcrale riproduce addirittura un forno. Oltre a queste raffigurazioni di valore ben definito ne troviamo spesso altre di valore semplicemente simbolico, come per esempio l'ascia. Il contenuto delle iscrizioni sepolcrali - Il nome del defunto o dei defunti costituisce naturalmente l'elemento fondamentale nell'iscrizione sepolcrale. Può apparire in nominativo o in genitivo, ma in età imperiale diviene molto comune il dativo, quando l'iscrizione sepolcrale assume la forma di una dedica al defunto. Vedremo in seguito quali diversi elementi compongono il nome dei Romani. - L'età del defunto. Non viene costantemente indicata e quando lo è, viene quasi sempre espressa non con la data di nascita e di morte ma con gli anni vissuti, talvolta anche i mesi, i giorni e le ore; nell'indicazione degli anni di vita sono frequenti i numeri multipli di 5 o di 10, che indicano un ricordo solo approssimativo dell'età del defunto; a volte questa incertezza è segnalata anche da formule come plus minus o circiter. - Altre notizie biografiche. In primo luogo le cariche eventualmente esercitate, il mestiere (in particolare per i militari sono ricordati il grado del defunto, la formazione nella quale aveva militato, gli anni di servizio, le eventuali decorazioni), a volte le modalità della morte, in particolare se era avvenuta in circostanze singolari o se era stata prematura. - Formule. Da ricordare in particolar modo la dedica Dis Manibus, "agli dei degli Inferi", una formula frequentemente abbreviata D M che ricorda come il sepolcro sia divenuto proprietà degli Dei Mani e da loro sia protetto da eventuali profanazioni. Questa protezione sacrale tuttavia non doveva essere sufficiente se in molte iscrizioni sepolcrali gli eventuali trasgressori venivano, più prosaicamente, minacciati di multa. - Meditazioni sulla morte: talvolta brevi frasi, talvolta invece veri e propri componimenti poetici. Non è raro trovare da un capo all'altro dell'Impero le stesse espressioni, si è pensato dunque che le botteghe dei lapicidi utilizzassero apposite raccolte di frasi di circostanza.

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- Disposizioni relative al sepolcro. A volte nelle iscrizioni funerarie troviamo un'allusione a talune clausole del testamento del defunto, in particolar modo quelle che facevano riferimento all'erezione del sepolcro. In altre occasioni semplicemente il dedicante della tomba si dichiara heres del defunto: infatti uno dei compiti specifici degli eredi era proprio quello di assicurare al defunto un'adeguata sepoltura. - Imprecazioni o multe contro i violatori del sepolcro. Possiamo trovare semplici preghiere, come rogo ni noceas di un'iscrizione di Roma (CIL VI, 6825 = ILS 8172), ma anche maledizioni più elaborate, come opto ei cum dolore corporis longo tempore vivat et cum mortuus fuerit, inferi eum non recipiant di CIL VI, 29945. Epitafio di un mercante di grano (52 a.C.) Luogo di ritrovamento: Roma Sex(tus) Aemilius, Sex(ti) l(ibertus), / Baro, / frumentar(ius), / in ignem inlatus est / prid(ie) Non(as) Quincti(les), Gn(aeo) Pompeio co(n)s(ule) tert(ium). Traduzione: Sesto Emilio Barone, liberto di Sesto, mercante di grano, cremato il giorno precedente le none di luglio, sotto il terzo consolato di Cn. Pompeo. Commento Questa iscrizione è stata ritrovata a Roma nel 1955; pubblicata per la prima volta nel 1957 è stata poi ripresa dall'Année Épigraphique, un periodico che raccoglie di anno in anno tutte le epigrafi di interesse per la ricostruzione della storia romana edite per la prima volta in pubblicazioni sparse, ma anche le correzioni che vengono apportate alla lettura di iscrizioni già pubblicate da tempo; questo utilissimo strumento viene spesso citato in forma abbreviata come AE. Nell'iscrizione notiamo in modo particolare l'assenza di punteggiatura e di spazi tra in e ignem e tra Non(as) e Quinct(iles). Questo testo ci propone l'epitafio di un liberto, la cui onomastica presenta la caratteristica indicazione del patronato: Sex(tus) Aemilius Sex(ti) libertus Baro. Baro è un cognomen peggiorativo ("sempliciotto", potremmo tradurre), come del resto Brutus, "stupido"; d'altra parte si deve rilevare come questi cognomi abbiano ben presto perso nella coscienza collettiva la loro connotazione negativa. Del

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defunto, che qui compare in caso nominativo, abbiamo qui anche l'indicazione del mestiere: si trattava di un frumentarius, un commerciante di grano. Curiosa l'espressione in ignem inlatus, letteralmente "gettato nel fuoco", un modo inconsueto ma comunque efficace, per esprimere il concetto di cremare. Inconsueta è pure l'indicazione della data di morte, al posto della notazione della durata della vita. Da notare il termine che indica il mese di luglio, Quinctilis, in riferimento al fatto che, in origine, l'anno romano iniziava nel mese di marzo e luglio era dunque il quinto mese dell'anno; l'odierno nome in italiano e in molte lingue moderne deriva dal fatto che il mese venne ribattezzato, pochi anni dopo la morte di Barone, Iulius, in onore di C. Giulio Cesare. L'epitafio di P. Albio Memore (metà del II sec. d.C.)

Luogo di ritrovamento: Roma D(is) M(anibus) / P(ubli) Albi, P(ubli) f(ili), Fab(ia tribu) Memoris, / vix(is) ann(is) V m(ensibus) VI d(iebus) VI. / P(ublius) Albius Threptus / et Albia Apollonia / parentes filio dulcissimo. Traduzione: Agli Dei Mani di Publio Albio Memore, figlio di Publio, della tribù Fabia. Visse 5 anni, 6 mesi, 6 giorni. I genitori Publio Albio Trepto e Albia Apollonia al figlio dolcissimo. Commento

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Questa iscrizione proveniente da Roma, nella sua semplicità, è esemplare per comprendere il contenuto delle iscrizioni sepolcrali latine e la struttura dell'onomastica romana. Troviamo innanzitutto, incisa nella cornice superiore di questa elegante ara marmorea, l'invocazione agli dei degli Inferi, nella consueta forma abbreviata D M, per D(is) M(anibus). Segue il nome del defunto, in questo caso in genitivo, completo in tutti i suoi elementi: il praenomen P(ublius), il nomen Albius, il patronimico P(ubli) f(ilius) con le consuete abbreviazioni, l'indicazione della tribus, in questo caso la Fabia, infine il cognomen Memor. Abbiamo poi l'indicazione dell'età del defunto che, come accade il più delle volte, viene espressa ricordando la durata della vita: nel caso di questo bambino 5 anni, 6 mesi e 6 giorni. Infine vengono menzionati i genitori del defunto che hanno posto l'epitaffio al filius dulcissimus, un espressione d'affetto che è comunissima nell'epigrafia sepolcrale latina: da notare che il padre P. Albius Threptus non indica né il patronimico (o il patronato), né la tribù; ciò lascia pensare che si trattasse di un liberto, cioè di un ex-schiavo, poi liberato, che non desiderava ricordare la sua vecchia condizione, notando il patronato: verso la medesima conclusione porta il cognome del personaggio, di origine greca: sappiamo infatti che a Roma, dove erano presenti molti schiavi di origine orientale, i cognomina grecanici segnalano molto spesso gli individui di nascita non libera; in più il termine threptós in greco significa "schiavo nato e allevato in casa", in opposizione a colui che, nato libero, è caduto in schiavità nel corso della sua vita, per esempio perché preso prigioniero in guerra. Si può affermare che P. Albius Threptus portasse un nome "parlante", che ne designava l'originaria condizione sociale. Per quanto riguarda l'onomastica della madre di P. Albio Memore, Albia Apollonia, si noti l'assenza del praenomen, come di regola per le donne, e la comparsa di una altro cognome grecanico, derivato dal nome del notissimo dio Apollo. Vi è dunque ragione di sospettare che anche Albia Apollonia fosse una ex-schiava liberata. L'ipotesi è confermata dal fatto che i due sposi, Trepto e Apollonia portano il medesimo gentilizio: si è ricordato che gli ex-schiavi, al momento della manomissione, assumevano il gentilizio del loro ex-padrone e ora patrono; è probabile dunque che in origine Trepto e Apollonia fossero entrambi schiavi di un tal P. Trepto e che la loro storia d'amore sia nata, come spesso accadeva, quando ancora erano dei semplici servi; dopo essere stati liberati poterono finalmente convolare a giuste nozze, una possibilità che era preclusa agli schiavi, che potevano unicamente stringere unioni di tipo informale, non ufficialmente riconosciute. La condizione di sposi legittimi di Trepto e Apollonia consentì al figlio nato dalla loro unione di assumere alla nascita la cittadinanza romana, che è orgogliosamente dichiarata nell'onomastica di P. Albio Memore dall'indicazione del patronimico e soprattutto della tribù, i due segni distintivi del cittadino romano di nascita libera. Il documento, è di grande rilievo anche per l'apparato iconografico che accompagna il testo e, potremmo dire, ne completa il senso. L'ara infatti è sormontata dal busto del giovane defunto, affiancato da due elementi decorativi, detti pulvini, sui quale appare un fiore a sei petali. Il fanciullo indossa una tunica e, sopra, la toga. Doveva trattarsi della cosiddetta toga praetexta, il mantello decorato da una banda color porpora che contraddistigueva i bambini di nascita libera. Sul petto di P. Albio Memore possiamo vedere una bulla, un ornamento formato da due semisfere che veniva appeso al collo; all'interno della bulla poteva trovarsi un amuleto. Anche la bulla era un ornamento riservato ai bambini: i figli dei senatori e dei cavalieri portavano bullae d'oro, i bambini di condizione sociale inferiore dovevano accontentarsi di ornamenti in metallo più vile o addirittura in pelle. Se Memore avesse avuto la fortuna di raggiungere la maggiore età, il che generalmente avveniva tra i 14 e i 17 anni, avrebbe deposto i segni della sua infanzia, la toga praetexta e la bulla davanti al larario, il sacello che custodiva le immaginette delle divinità protettrici della famiglia, i Lari, in occasione di una la cerimonia veniva celebrata solennemente il 17 marzo. L'apparato iconografico conferma dunque quanto ci dice il testo: Trepto e Apollonia, probabilmente nati in schiavitù, dopo essere stati manomessi ed aver contratto nozze legittime, furono rallegrati dalla nascita di un figlio. La sorte lo strappò alla vita ad appena cinque anni e ai genitori non rimase che ricordare con orgoglio che quel bambino era un cittadino romano nato libero, prova del loro stesso riscatto sociale.

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Epitafio di A. Larcio Adiutore

Luogo di ritrovamento: Roma D(is) M(anibus). / A(ulus) Larcius / Adiutor fecit / monumentum / sibi et suis, libe/rtis libertabus/que posterisque / eorum. Hoc m(onumentum) / veto veniri veto / donari. Fotografia dell'iscrizione: Almar, op. cit., p. 120, n°77. Traduzione: Agli Dei Mani. Aulo Larcio Adiutore fece il monumento per sé e per suoi familiari, per i liberti e le liberte e i loro discendenti. Vieto di vendere e vieto di donare questo monumento. Commento In questa epigrafe di incerta datazione, oltre che la solita invocazione D(is) M(anibus) e il nome del defunto (con i tria nomina, ma senza il ricordo del patronimico o della tribù), notiamo particolarmente le disposizioni relative al sepolcro: come si vede Larcio Adiutore ha predisposto l'erezione di un monumento sepolcrale per sé (sibi) e per i suoi familiari (suis), ma anche per i suoi liberti e liberte (libertis libertabusque) e per i loro discendenti (posterisque eorum). L'epigrafe ricorda anche quella che doveva essere una clausola delle disposizioni testamentarie di Larcio Adiutore: egli aveva fatto divieto ai suoi eredi di vendere oppure di donare il monumento sepolcrale. L'iscrizione è conservata in due copie, che presentano qualche divergenza nella suddivisione delle linee e nell'ortografia: la prima è conservata presso la chiesa di S. Maria in Transtevere: se ne riporta qui la trascrizione che ritroviamo nel Corpus Inscriptionum Latinarum; La seconda si trova invece nella celebre Galleria Lapidaria dei Palazzi Vaticani, una delle più imponenti raccolte di epigrafi latine esistenti al mondo. Questo secondo esemplare, come rivelano anche i singolari errori di ortografia (linee 2-3: Adiuttor per Adiutor, l. 4: sibbi per sibi; ll. 5-6: liberabusque per libertabusque), è in realtà un falso, o meglio, la copia moderna dell'antica iscrizione che si

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conserva a Trastevere. Già se ne rese conto il redattore della scheda del CIL, che nel lemma infatti notò: exemplum novicium extat in Museo Vaticano e, più sotto, Exemplum novicium descripsi et damnavi.

Le abbreviazioni

1. le ragioni dell’antico e del moderno sistema di abbreviare 2. abbreviazioni e abbreviature 3. manuali e repertori 4. tipologie

a. siglae se si tratta di singole lettere (M. per MARCUS) b. notae se si tratta

i. di parole troncate (COS. per CONSULES) ii. di contrazioni (RP per RES PUBLICA) iii. di numeri moltiplicati (DD. NN. per DOMINI NOSTRI)

5. nomi e cariche; topografia 6. nomina sacra 7. formule (V.S.L.M. per VOTUM SOLVENS LIBENS MERITO) 8. i nessi

a. ÆЂЋ (fl, ct, …), �� b. Inclusioni c. Interlacciamenti (al di sopra)

9. le interpunzioni 10. gli stereotipi

La punteggiatura nacque per distinguere le parole troppo vicine, già dall’epigrafia pagana: punto tondo, triangolare e quadrato, foglia d’edera (cosiddetta hedera distinguens), palmetta, crocetta, piccola freccia, lettera dell’alfabeto. Molto rari sono i casi di accenti, sulle vocali lunghe (apex) e sulle consonanti per indicare raddoppiamento (sicilicus). Molte iscrizione inoltre si confondevano per l’uso di scrivere latino in lettere greche e viceversa.

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a. punti b. punti triangolari c. hedera distinguens ¶ e altri segni

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d. la scriptio continua Chi, pur avendo qualche familiarità con la lingua latina, s’accosta a un’epigrafe latina senza una sommaria preparazione preliminare, rimane facilmente disturbato e disorientato nella lettura dalla frequenza delle abbreviazioni. Nella trascrizione del testo delle epigrafi del Museo e del Lapidario tutte le abbreviazioni sono state sciolte e lo scioglimento è indicato fra parentesi tonde. Si ritiene comunque non inutile anticipare qui, in ordine alfabetico, un elenco di quelle più spesso ricorrenti, ad Aquileia e altrove: AED: aedilis AEM: Aemilia tribu AN: Aniensis tribu AVG: Augustus o Augusta B M: bene merenti CAM: Camilia tribu CHO: cohors CLA: Claudia tribu COS: consul D D: decreto decurionum o donum dedit D M: dis Manibus FAB: Fabia tribu H M H N S: Hoc monumentum heredem non sequetur H S E: Hic situs est IMP: imperator IN FR P ... IN AGR P: In fronte pedes... in agrum pedes.... L D D D: locus datus decreto decurionum LEG: legio LEM: Lemonia tribu LIB LIBQ POSTQ EOR: libertis libertabusque posterisque eorum L M: locus monumenti L P Q: locus pedum quadratorum L Q P: locus quadratus pedum OVF: Oufentina tribu PAL: Palatina tribu POL: Pollentina tribu PR: praetor PVB: Publilia tribu Q: quaestor QQ V: quoquo versus ROM: Romilia tribu SCAP: Scaptia tribu STEL: Stellatina tribu SERG: Sergia tribu T F I: testamento fieri iussit TRO: Tromentina tribu VEL: Velina tribu VET: veteranus VOL: Voltinia tribu VOT: Voturia tribu V S: votum solvit V S L M: votum solvit libens merito

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Le abbreviazioni ricorrenti sulle epigrafi onorarie sono di facile o addirittura ovvio scioglimento, riferendosi, oltre che all’imperatore, alle varie magistrature e funzioni statali e municipali. A volte le iscrizioni onorarie, ma anche quelle sepolcrali, sono concluse dalla sigla D D (per decreto dei decurioni, ossia del consiglio municipale). Nelle iscrizioni sacre l’abbreviazione più comune in età imperiale è V S L M (ha sciolto volentieri un voto avendolo [la divinità] ben meritato). Per lo scioglimento di formule abbreviate e sigle si è fatto ricorso ai seguenti segni diacritici, dei quali si indica il valore: (a b c) lettere omesse per abbreviazione, sigle, parole sottintese. ((a b c)) gentilizi sottintesi. [a b c] lacune del testo, dovute a frammentazione o abrasione del monumento, con integrazione. [[a b c]] lettere erase. [- - -] lacune del testo non integrabili. <a b c> lettere omesse erroneamente dal lapicida. <<a b c>> lettere aggiunte erroneamente dal lapicida. (sic) segnalazione di errore o irregolarità grafica o linguistica nella parola precedente. I segni numerici sono risolti in lettere incluse in parentesi tonda quando fanno parte integrante di una parola indicante una carica collegiale, come ad esempio IIIIVIR = (quattuor)vir, IIIIIIVIR = (sex)vir.

11. motivi a. estetici b. di spazio e di superficie e di difficoltà c. di tachigrafia d. di rapidità di lettura e. di costi (un tanto a lettera ?) f. aiuto alla memorizzazione g. catturavano l’attenzione su alcuni aspetti importanti

12. decodifica ? Fraintendimenti 13. campi e ambiti

D M

A • FABIO • A • F • FABIANO • EQVITI

ROMANO • DECVRIONI • OST

QVI • VIXIT • ANNIS • XXII • M • XI • D • XX •

A • FABIVS • TROPHIMVS PATER • FECIT

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Antologia di epigrafi

1. L'iscrizione in onore del triumviro Lepido

Luogo di ritrovamento: Thabraca (Africa proconsularis). M. Lepido imp(eratori) / tert(ium), pont(ifici) max(imo), / IIIvir(o) r(ei) p(ublicae) c(onstituendae) bis, co(n)s(uli) iter(um); patrono, / ex d(ecurionum) d(ecreto). Traduzione: A Marco Lepido, acclamato imperatore per tre volte, pontefice massimo, triumviro per la riforma dello Stato, console per la seconda volta; al patrono per decreto dei consiglieri. Traduzione: M. Lepido, collega nel consolato di Q. Catulo, fu il primo a collocare delle soglie di marmo numidico nella sua casa, il che gli valse severe critiche. Egli fu console nell'anno 676 dalla fondazione di Roma. È la prima traccia che trovo dell'importazione di marmo numidico, tuttavia non utilizzato, come si diceva prima per il marmo caristio, per colonne o rivestimenti, ma in blocco e per il vilissimo uso di soglia. Questa iscrizione è stata ritrovata a Thabraca, un piccolo centro costiero della provincia d'Africa proconsolare. L'iscrizione è posta in onore di un M. Lepido nel quale non è difficile riconoscere il collaboratore di Cesare che fu collega di Ottaviano ed Antonio nel II triumvirato. Il testo conserva solamente un estratto del lungo cursus honorum di Lepido: in primo luogo viene ricordato il titolo di imp(erator), seguito dal numerale tert(ium); il senso del termine imperator non è ovviamente quello che ben conosciamo per l'età imperiale: in età repubblicana l'imperator era semplicemente il comandante militare vittorioso, acclamato dai suoi soldati dopo un successo in battaglia particolarmente significativo; nel nostro caso dunque si ricorda che Lepido ha avuto per tre volte questa acclamazione imperatoria. In seguito viene menzionata l'importantissima carica religiosa di pontifex maximus, alla quale Lepido fu eletto dopo la morte di Cesare e che egli conservò anche dopo che venne privato di tutti i suoi poteri da Ottaviano nel 36 a.C.: in effetti Lepido rimase pontefice massimo fino al suo decesso, avvenuto nel 12 a.C.; suo successore in questa carica fu Augusto e da questo momento in poi tutti gli imperatori detennero regolarmente il pontificato massimo. Alla l. 3 troviamo la menzione della carica di IIIvir r(ei) p(ublicae) c(onstituendae) bis: la storia romana ha conosciuto in effetti due triumvirati: il cosiddetto primo triumvirato tuttavia, quello che vide come protagonisti Cesare, Pompeo e Crasso, fu solamente un patto politico privato privo di carattere ufficiale; la definizione "primo triumvirato" dal punto di vista della storia costituzionale romana è dunque impropria, anche se l'espressione è entrata stabilmente a far parte del vocabolario degli storici romani. Al contrario il secondo triumvirato,

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quello costituito da Ottaviano, Antonio e Lepido, ebbe un carattere pienamente ufficiale: ne ritroviamo qui la definizione precisa di "Triumvirato per la riforma dello Stato". I IIIviri dovevano rimanere in carica per 5 anni a partire dal 27 novembre del 43 a.C., ma nel 37 a.C. decisero di prolungare i propri poteri per altri 5 anni, senza che nessuna voce si levasse a protestare: la nostra iscrizione, nella quale Lepido è ricordato come triumviro per la seconda volta, deve dunque risalire al periodo seguente il rinnovo della carica. Infine troviamo menzione dei due consolati rivestiti da Lepido. Ancora una volta la motivazione della dedica va ricercata nei legami di patronato che univano l'onorato con la comunità, che su voto del consiglio municipale (ex d(ecreto) d(ecurionum), che aveva deciso di porgli una dedica. L'esistenza di questo legame di patronato ci permette di trarre alcune interessanti osservazioni sui rapporti fra la famiglia degli Aemilii e la regione di Thabraca. In effetti dal porto di questa cittadina partivano le navi cariche di un prezioso materiale, il marmo giallo di Numidia che veniva estratto dalle cave della vicina Simitthus. Nel passo di Festo citato leggiamo che Catone il Censore attaccò violentemente un personaggio per l'uso di pavimenta Poenica marmore Numidico constrata: con buone ragioni M. Gaggiotti nel contributo citato in bibliografia ha identificato questa persona con un antenato di Lepido, quel M. Aemilius Lepidus che fu console nel 187 e nel 175 a.C. Del resto sappiamo con certezza dal passo di Plinio il Vecchio citato che il padre del triumviro, il console del 78 a.C. anch'esso chiamato M. Emilio Lepido, importò a Roma marmo numidico per le soglie della sua lussuosissima casa. È ipotizzabile dunque che il patronato di Lepido sulla comunità di Thabraca affondasse le sue radici in un antico rapporto economico, che aveva visto la famiglia degli Aemilii Lepidi in qualche modo coinvolta nel commercio del marmo giallo della vicina Simitthus.

2. Qualche iscrizione parietale da Pompei

A) CIL IV, 7679: Marcellus Praenestinam amat et non curatur Traduzione: Marcello ama Prenestina e non è considerato. B) CIL IV, 1904 (Iscrizione ripetuta sulle pareti della Basilica, del Teatro e dell'Anfiteatro di Pompei): Admiror, paries, te non cecidisse ruina, / qui tot scriptorum taedia sustineas. Traduzione: Mi meraviglio che tu non sia caduta in rovina, parete, che sopporti tante sciocchezze degli attacchini. C) CIL IV, 3572 = ILS 6400: L(ucium) Rusticelium Celerem II vir(um) i(ure) d(icundo) iter(um) d(ignum) r(ei) p(ublicae) o(ro) v(os) f(aciatis). Traduzione: Vi prego di eleggere Lucio Rusticelio Celere duoviro con poteri giurisdicenti per la seconda volta; (è) degno della municipalità. D) CIL IV, 3471 = ILS 6401 (Iscrizione sulla parete della casa di Vesonio Primo): C. Gavium Rufum II vir(um) o(ro) v(os) f(aciatis) / utilem r(ei) p(ublicae), Vesonius Primus rogat. Traduzione: Vi prego di eleggere C. Gavio Rufo duoviro, (si renderà) utile alla municipalità, Vesonio Primo invita a votarlo. E) CIL IV, 3702 = ILS 6405: Bruttium Balbum II vir(um) / Gen[ialis] / r[og(at)]. / Hic aerarium conservabit. Traduzione: Geniale invita a votare Bruttio Balbo duoviro. Conserverà la cassa municipale.

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F) CIL IV, 429 = ILS 6412e: C. Iulium Polybium / aed(ilem) o(ro) v(os) f(aciatis), panem bonum fert. Traduzione: Vi prego di eleggere C. Giulio Polibio edile, fa del buon pane. G) CIL IV, 7621: C. Iulium Polybium / aed(ilem) v(iis) a(edibus) s(acris) p(ublicis) p(rocurandis). Lanternari, tene / scalam. Traduzione: C. Giulio Polibio edile per la cura delle strade, degli edifici sacri e pubblici. Lanternaio, reggi la scala! H) CIL IV, 3529 = ILS 6408b: M. Pupium Rufum / II vir(um) i(ure) d(icundo) d(ignum) r(ei) p(ublicae) o(ro) v(os) f(aciatis). / Mustius fullo facit / et dealbat. Scripsit unicus s[ine] reliq(uis) sodalib(us). Traduzione: Vi prego di eleggere M. Pupio Rufo duoviro giurisdicente; (è) degno della municipalità. Il lavandaio Mustio lo elegge e imbianca la parete. Ha scritto (il manifesto) elettorale da solo, senza gli altri compagni. Le iscrizioni dipinte di Pompei hanno un vario contenuto: abbiamo manifesti elettorali, avvisi di affitti, avvisi di oggetti perduti, acclamazioni, didascalie di pitture. In questa occasione ci soffermeremo in modo particolare sui cosiddetti manifesti elettorali pompeiani. Le diverse comunità cittadine che facevano parte del mondo romano avevano un'ampia autonomia amministrativa a livello locale; i magistrati municipali erano dotati di grandi poteri e godevano di alto prestigio all'interno delle loro comunità. Per questo le contese elettorali erano accanite e le elezioni dei magistrati cittadini che si svolgevano annualmente erano un evento importantissimo e molto seguito. Nell'imminenza del voto le pareti degli edifici cittadini, in particolare quelli situati nelle zone più frequentate, si ricoprivano di propaganda elettorale, come possiamo comprendere leggendo lo scherzoso commento di qualche disincantato osservatore della lotta politica che appare sulle pareti della Basilica, del Teatro e dell'Anfiteatro di Pompei (vd. testo B). La nostra conoscenza di queste campagne elettorali a livello locale in effetti si fonda largamente sui manifesti propagandistici pompeiani, chiamati in latino programmata. Questi erano dipinti in colore nero o rosso sulla parete di un edificio cittadino che veniva appositamente intonacata. Il testo era spesso molto stringato, limitandosi a ricordare il nome del candidato in caso accusativo, e la carica alla quale aspirava, infine ad esortare il voto per lui, quasi sempre con la formula oro vos faciatis, "vi prego di eleggere". Un esempio al testo C: in questo caso il candidato L. Rusticelio Celere si era candidato per la seconda volta al duumvirato iure dicundo, la massima carica amministrativa di Pompei, equivalente del consolato a livello municipale. Come si vede le abbreviazioni erano largamente impiegate, a partire dalla frequentissima O R F per oro vos faciatis; a volte addirittura il nome stesso del candidato veniva abbreviato: del resto si trattava di personaggi ben noti della vita cittadina, facilmente riconoscibili anche dalle sole iniziali. Alle volte a questo formulario stereotipato venivano aggiunti elementi più originali, con riferimenti alle virtù del candidato, che potevano essere generici (come per esempio nel caso di Rusticelio Celere, dignum rei publicae del testo C), ma anche molto più specifici: si veda per esempio il testo E, in cui un tal Genialis invita a votare come duumviro per la seconda volta Bruttio Balbo, vantando la sua competenza e probità nell'amministrazione delle finanze; o ancora il testo F, nel quale un anonimo scriptor ricorda che il candidato all'edilità C. Giulio Polibio avrebbe fatto del buon pane: in effetti uno dei compiti principali degli edili municipali era quello di assicurare i rifornimenti alimentari della città. Per convincere gli elettori indecisi poteva essere utile ricordare nel manifesto elettorale qualche autorevole sostenitore di un candidato. Alle volte questa arma propagandistica era sfruttata in modo indiretto: pubblicando il manifesto elettorale sulla casa di un qualche influente personaggio si lasciava agli elettori l'impressione che questi appoggiasse il tal candidato. In altre occasioni si riusciva a strappare una vera e propria dichiarazione di voto: così lo sponsor appariva esplicitamente nell'iscrizione come soggetto del verbo rogat, che potremmo tradurre con "(il tale) invita a votare": si veda per esempio il testo D nel quale Vesonio Primo invita a votare per la carica di duumviro C. Gavio Rufo; da notare che il manifesto elettorale fu affisso sulle mura della casa dello stesso Vesonio Primo. I materiali esecutori dei manifesti erano i programmatum scriptores: si trattava di un impiego part-time, che veniva assunto solo in periodo di campagna elettorale da persone che nei rimanenti periodi dell'anno esercitavano mestieri diversi: si veda il testo H, scritto da un tal Mustio, di professione fullo, cioè lavandaio. Il lavoro degli scriptores si svolgeva di preferenza di notte, quando la città era tranquilla e si potevano eseguire i manifesti con tutta calma. Alle volte lo scriptor era accompagnato da una squadra di assistenti: un dealbator che doveva preparare la parete prescelta per il manifesto intonacandola; un lanternarius che doveva reggere la lanterna per illuminare il lavoro notturno dello scriptor; infine un adstans, un aiutante senza compiti specifici. Alle volte negli stessi manifesti appare qualche elemento che illumina sui rapporti fra i membri della squadra, si veda per esempio il testo G. In altri casi il solo scriptor assolveva a tutte le funzioni del suo compito: è il caso del fullo Mustius del testo H, che intonacò la parete e scrisse il programma a sostegno di M. Pupio Rufo da solo, senza l'aiuto di alcun compagno.

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Conclusioni sull’epigrafia a Roma

1. INFELIX ANNOSA VIRO NATAEQ(VE) SUPERSTES

2. PRIMITIVA HAVE: ET TV, QVISQVIS ES VALE. NON FVERAM, NON SVM, NESCIO, NON AD ME PERTIN(ET).

ALEXAND(ER) AVCTOR CONIVGI kARISSIMAE

3. M.CLAVDIVS M.L. PHILARGYRVS PLOTIA C. L. THALASSIA VIRIS SVIS AMICIS AMARA FVIT NVMQVAM

4. SEXTI PERPENNAE FIRMI VIXI QVEMADMODVM VOLVI; QVARE MORTVS SVM, NESCIO

5. AD QVEM NON CENO, BARBARVS ILLE MIHI EST

6. DISCITE, DVM VIVO, MORS INIMICA VENIT

7. SOL ME RAPVIT

8. SUETTI CERTI AEDILIS FAMILIA GLADIATORIA PUGNABIT POMPEIS

PRIDIE KALENDAS IUNIAS; VENATIO ET VELA ERUNT

“La squadra di gladiatori dell’edile Aulo Suettio Certo combatterà a Pompei il 31 maggio; ci saranno la lotta con le belve e il telone”.

9. HOSPITIUM: HIC LOCATUR

TRICLINIUM CUM TRIBUS LECTIS

ET COMMODIS

“Locanda: qui si affitta un triclinio a tre letti dotati di tutti i comfort”.

10.FELICEM SOMNUM QUI TECUM NOCTE QUIESCET:

HOC EGO SI FACERE(M), MULTO FELICIOR ESSE(M).

“Felice il sonno che con te riposa la notte: se potessi farlo io, sarei molto più felice”.

11.SCRIBENTI MI DICTAT AMOR MONSTRATQUE

CUPIDO.

AH PEREAM! SINE TE SI DEUS ESSE VELIM.

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“È Amore che detta a me che scrivo, e Cupido mi suggerisce. Ah, possa io morire, se voglio essere un dio senza di te!”

12.DIXI, SCRIPSI: AMAS IRIDEM QUAE TE NON CURAT.

“L’ho detto e l’ho scritto: ami Iride che non si cura di te”.

13.QUISQUE ME AD COENAM VOCARIT VALEAT

“Stia bene chi mi inviterà a cena”.

14.ACTI, AMOR POPULI, CITO REDI, VALE, VALE. “Azio, amore del popolo, torna presto, arrivederci”.

15.OLIVA CONDITA

XVII K(ALENDAS) NOVEMBRES

“Le olive sono state messe in conserva il 17° giorno prima delle Calende di novembre [cioè il 16 ottobre]”.

Il messaggio epigrafico tardoantico: un esempio di iscrizione locale. Il “martire” Giovanni a Camogli (Ge)? A Ruta alta, frazione di Camogli, in provincia di Genova, presso la chiesetta romanica di S. Michele, fu rinvenuta in data imprecisata una lastra di marmo iscritta, che si trova attualmente murata nella parete della seconda cappella nella navata destra della chiesa parrocchiale. Ecco il testo latino:

16.HIC REQUIESCIT

IN PACE B(ONAE) M(EMORIAE) IOHAN

NES QUI VIXIT

PLUS MINUS AN

NOS XXXIIIII ET

TRANSIIT SUB DIE

IIII KAL(ENDAS) OCTOBRES

FAUSTO IUNIORE

V(IRO) C(LARISSIMO) CONSULE

“Qui riposa in pace la buonanima di Giovanni, che visse più o meno 35 anni, e trapassò il 28 settembre sotto il consolato di Fausto il Giovane, uomo illustre”.

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