I giovani e il lavoro Percorsi nel...
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I giovani e il lavoro
Percorsi nel labirinto
Indagine sui giovani trevigiani tra i 15 e i 29 anni
e sui genitori con fi gli in quella fascia d’età
Ricerca coordinata da Enzo Risso e Vittorio Filippi
La ricerca è stata realizzata da publicaReS, gruppo SWG per conto della Provincia di
Treviso e delle Banche di Credito Cooperativo della Marca trevigiana: (Banca di Credito
Cooperativo della Marca, Banca di Monastier e del Sile di Credito Cooperativo, Cassa
Rurale ed Artigiana di Treviso, Centromarca Banca Credito Cooperativo, Banca di Credi-
to Cooperativo Trevigiano, Credito Cooperativo delle Prealpi).
Il testo del volume è stato ideato e curato da Enzo Risso e Vittorio Filippi.
Alla redazione del volume e alla realizzazione della ricerca hanno collaborato i ricercatori
di publicaReS (gruppo Swg) Riccardo Cova, Rado Fonda (direttore di ricerca), Alice
Melpignano, Laura Sartori e Silvia Sbisà.
Vittorio Filippi,
insegna Sociologia e Sociologia del turismo alla Facoltà di Economia dell’Università di
Venezia. Si occupa in particolare delle trasformazioni socioculturali della famiglia, del
lavoro, della conoscenza e dei consumi cercando sempre di connettere la rifl essione
sociologica con le tendenze dell’economia e dei territori colti nelle loro specifi cità.
Enzo Risso,
trend setter e spin doctor (esperto in comunicazione pubblica e politica), è anche diretto-
re responsabile della rivista www.postpoll.it ed è coordinatore del Piano Strategico della
provincia di Treviso. In publicaReS (gruppo SWG) si occupa di ricerche su comunicazio-
ne, valori, strategie e riposizionamenti competitivi economici e turistici, vision e trasforma-
zioni sociali, nonché di indagini politiche e di posizionamenti di partiti e candidati.
Il Piano Strategico della Provincia di Treviso
Ha un Board composto dai presidenti di Provincia, Leonardo Muraro, e Camera di
Commercio, Federico Tessari, dai sindaci di 19 comuni, dai rappresentanti dell’associa-
zione industriali, di artigiani, commercianti, agricoltori, sindacati, cooperative, consumato-
ri, ordini professionali e associazioni del volontariato
Comitato tecnico-scientifi co del Piano
Enzo Risso (publicaReS-SWG Trieste); Federico Callegari (Uffi cio studi CCIAA Treviso),
Coordinamento per lo sviluppo del Piano della Provincia di Treviso
Carlo Rapicavoli Direttore Generale
Gianluigi Masullo Coordinatore Area Amministrativa
Franca Ravaziol Dirigente Responsabile
Uffi cio per lo sviluppo del Piano della Provincia di Treviso
Mariarosa Visentin, Roberta Facchini e Claudia Benedos
tel 0422.656.004, fax 0422.656.354
email: [email protected]
Prefazione
5 Un Osservatorio sui valori
dei giovani. La prima indagine
continuativa sul tema del lavoro
Prefazione
7 Le politiche per i giovani
Prefazione
9 L’attenzione delle Banche di
Credito Cooperativo per il mondo
dei giovani
Introduzione e Sintesi
11 1. Giovani, studio, lavoro:
le novità di un discorso antico
12 2. Studio e lavoro: images
14 3. Percorsi nel labirinto
17 4. Soddisfazione nel lavoro,
soddisfazione nella vita
19 5. Gli ideali e la realtà
21 6. Timori, sfi de e traiettorie future
23 7. Conclusioni
27 8. Bibliografi a
Analisi dei Risultati
29 1. Che cos’è lo studio?
31 2. Che cos’è il lavoro?
34 3. I giovani di fronte al lavoro
39 4. Immagini del lavoro
45 5. Identità del lavoro
52 6. Il futuro
53 7. Il lavoro ideale
Appendice.
I Focus Group. Alla Ricerca
di un Equilibrio tra Gratifi cazione
Economica e Realizzazione
Personale
57 Prospettiva lavoro:
i giovani tengono i “piedi per terra”.
Stipendio e rispettabilità sono le
chiavi del successo.
59 Aspettative dallo spirito giovane
per il lavoro futuro.
64 Giovani lavoratori:
alla ricerca di più soddisfazione.
Appendice 2.
I Focus Group. Giovani e il Lavoro:
Il punto di vista dei Genitori
71 Il lavoro a Treviso:
un problema di qualità
74 Il futuro lavorativo degli studenti:
tra speranze e timori
77 Figli con le idee ancora confuse
81 Il titolo di studio: i genitori divisi
sull’importanza della laurea e uniti
sulla necessità dell’impegno
85 Flessibilità e precarietà: sinonimi
della stessa incertezza del domani
87 I genitori dei giovani lavoratori
Metodologia
93 Parametri dei due campioni
Indice
5
Prefazione
di Leonardo Muraro
Presidente della Provincia di Treviso
Un Osservatorio sui valori dei giovani.
La prima indagine continuativa sul tema del lavoro.
Con questa pubblicazione si avvia un ciclo nuovo di un progetto importante del Piano
Strategico come l’Osservatorio sui valori dei giovani trevigiani.
L’ Osservatorio non vuole essere uno strumento burocratico, ma una struttura di servizio
per l’intera comunità provinciale. Uno strumento utile alle amministrazioni comunali per
fare le loro politiche giovanili; per le ASL per comprendere al meglio e avere più elementi
su tutto l’universo dei ragazzi; per le famiglie, i genitori e le associazioni del volontariato,
per conoscere di più e maggiormente in profondità i nostri ragazzi.
Gli obiettivi e fi losofi a dell’Osservatorio. Si vogliono qui evitare due “derive” molto comuni
quando si tratta di fare ricerche sul pianeta giovani.
La prima è quella di scrutare solo la devianza - che è effi cace sul piano mediatico e po-
litico dell’allarme e dell’eccezionalità - mentre la seconda è quella di voler costruire una
minuziosa quanto talvolta sterile contabilità dei comportamenti.
L’idea, invece, è di costruire un punto sistematico di osservazioni sugli schemi valoriali
dei giovani, cogliendone cioè le loro “visioni del mondo” che sono cosa ben diversa sia
dalla prassi dei comportamenti che dalle stesse motivazioni psicologiche.
Per usare una metafora, se vi è un cielo stellato sopra la navigazione vitale dei giovani
(spesso tra Scilla e Cariddi, ovvero tra la famiglia e l’extrafamiliare), quali sono le stelle a
cui i giovani fanno riferimento, ammesso che i giovani alzino la testa ed osservino il cielo
per orientarsi?
6
Sapendo anche, come diceva Seneca, che “non c’è mai vento a favore del marinaio che
non sa quale sia il suo porto”; e spesso i giovani non sanno certo dove intendono andare
(temporaneamente!) a parare.
Cogliere “l’uso delle stelle” da parte dei giovani signifi ca comprendere, quindi, la bussola
profonda di riferimento che usano e che sta certamente a monte di ogni scelta e atteg-
giamento, ed evita altresì di focalizzarci sui soli “estremi” della devianza, cogliendo così
la più ampia ed esplicativa “normalità” (V. Andreoli, Elogio alla normalità) che pur tuttavia
cerca di far fronte al grande disorientamento esistente.
Con questa logica si è avviato il processo di solidifi cazione dell’Osservatorio, che da idea
è diventato realtà.
Abbiamo incontrato e avuto il sostegno, su questo percorso, di un soggetto importante
per il nostro territorio: le nostre Banche di Credito Cooperativo, che hanno fi nanziato
la ricerca e che, insieme alla Provincia, credono nell’esigenza di fare cose importanti e
concrete per i nostri ragazzi.
Abbiamo affi dato la realizzazione delle ricerche al prof. Vittorio Filippi, docente di socio-
logia a Venezia e a Enzo Risso, direttore di publicaReS (gruppo SWG) e coordinatore del
Piano Strategico della provincia di Treviso.
I primi due lavori presentati hanno focalizzato l’attenzione su 2 aree assai differenti come:
le culture giovanili del lavoro, il rapporto genitori-fi gli.
In questo volume vengono illustrati i risultati della prima indagine. Al di là della laboriosità
come mito o stereotipo, in quale modo si affacciano i giovani su di un mercato del lavoro
postfordista o “liquido” (per ricordare Bauman), con strumenti contrattuali multipli, con
aspettative (economiche, culturali, familiari, scolastiche) assai contraddittorie ed eleva-
te? Cos’è per loro il lavoro, come lo rappresentano e come si identifi cano al di là degli
approcci strumentale ed espressivo? In una provincia in cui l’imprenditorialità e il lavoro
autonomo sono un diffuso capitale sociale, è interessante sapere se ciò è (culturalmen-
te) replicabile attraverso i giovani.
7
Prefazione
di Barbara Trentin
Assessore alla politiche giovanili della Provincia di Treviso
Le politiche per i giovani.
Mai come oggi le politiche giovanili si intersecano con le più ampie politiche del welfare.
E’ più che mai concreto infatti il rischio di confl ittualità fra le diverse generazioni nell’ac-
cesso alle misure di sostegno, protezione e facilitazione.
Risulta più che mai urgente investire sui giovani: mettere a fuoco le loro problematiche
al fi ne di iniziare una nuova stagione che li possa vedere protagonisti, che li veda entrare
nel vivo delle organizzazioni, assumendo responsabilità e apportando la loro “vision”. In
un’Europa dove la popolazione anziana è sempre più numerosa, dobbiamo avere il co-
raggio di rilanciare le politiche giovanili: anche questo studio vuol quindi apportare un
prezioso contributo.
Un augurio allora che gli elementi di rifl essione si concretizzino in progettualità innova-
tive e vincenti.
9
Prefazione
di
Gianpiero Michielin - Banca della Marca
Luigi De Martin - Banca delle Prealpi
Daniele Biadene - CentroMarcaBanca
Nicola Di Santo - Credito Trevigiano
Paolo Reginato - Cassa Rurale ed Artigiana di Treviso
Claudio Bin - Banca di Monastier e del Sile
Presidenti Banche di Credito Cooperativo
L’attenzione delle Banche di Credito Cooperativo per il mondo dei giovani.
È davvero meritevole di corale apprezzamento questa ripresa dell’Osservatorio sui valori
dei giovani, progetto inserito nel Piano Strategico della Provincia di Treviso.
Perché l’Osservatorio avesse un senso, per dare valenza alla prima indagine (pubblicata
con il titolo “I fi gli del benessere”) che ha avviato una rifl essione sistematica sul mondo
giovanile, era necessario dare continuità a queste ricerche, focalizzare l’attenzione su
altri campi per allargare ed approfondire l’analisi.Perciò è stata seguita con vero interesse
questa nuova indagine su “I giovani ed il lavoro. Percorsi nel labirinto”, affi data come la
precedente alle sperimentate competenze di Vittorio Filippi, docente di Sociologia, e di
Enzo Risso, coordinatore del piano strategico della Provincia di Treviso ed esperto della
“publicaReS-SWG Trieste”.
Ed i risultati offrono materia per impegnative e doverose rifl essioni per quanti hanno a
che fare con le politiche giovanili, dalle varie amministrazioni, alle Scuole, alle Associa-
zioni, alle Consulte, alle famiglie, ai genitori ed alle Banche di Credito Cooperativo. Che
non hanno la mera ed impersonale funzione di sponsor, ma quella di veri e propri partner
della Provincia nel promuovere iniziative che portino ad una comprensione più approfon-
dita del mondo giovanile.
Perché proprio le Banche di Credito Cooperativo? Perché sono rimaste le uniche Ban-
che locali, legate per costituzione al territorio in cui raccolgono ed investono, quindi le
più interessate a capire i fenomeni locali in atto ed il futuro prossimo venturo delle nostre
comunità.
E per progettare il futuro bisogna conoscere i giovani d’oggi nei loro vari modi di espri-
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mersi e di attivarsi, in particolare nei loro rapporti con il mondo del lavoro, appunto l’og-
getto della presente indagine.
Capire cos’è per loro il lavoro, come si preparano e come lo vivono, perché è importante,
a quali attività aspirano, a quale futuro si sentono indirizzati, con quale grado di soddi-
sfazione e con quali rischi e timori, con quali scostamenti rispetto ai modi di pensare e
di vivere dei genitori, sono tutti interrogativi che è importante porsi per quanti vogliono
avvicinarsi e stabilire un dialogo con il mondo dei giovani.
Per scoprire, poi, come ci è dato con questa ricerca, che l’instabilità e la precarietà dei
nuovi rapporti di lavoro non creano nei ragazzi soltanto preoccupazioni, ma offrono anche
opportunità ed occasioni di arricchimento professionale, tanto che la maggior parte si
dichiara soddisfatta del lavoro che sta facendo.
Né sono da sottovalutare il valore dato alla preparazione scolastica o le mete, tutte tradi-
zionali, che il lavoro consentirebbe di raggiungere (una famiglia propria, la realizzazione di
progetti di vita, l’indipendenza economica) o le caratteristiche piuttosto pragmatiche del
lavoro considerato ideale (sicurezza, buona retribuzione, buoni rapporti con i colleghi) o
le previsioni non certo stravaganti sul proprio futuro (in maggioranza lavoro dipendente
e matrimonio con prole).
Prospettive che non lasciano pensare a chissà quali contrasti generazionali, ma soltanto
a qualche inevitabile diversità (pochi vorrebbero continuare la professione del padre,
soprattutto se commerciante, artigiano od operaio), diversità più evidente nella sfera
affettiva (minor propensione al matrimonio ed alla genitorialità).
Nient’affatto scontata, dunque, l’immagine del giovane trevigiano che l’indagine ci pro-
pone, piuttosto lontana dal cliché della devianza continuamente trasmessoci dai mass-
media.
Non dei “Lucignoli scanzonati sempre alla ricerca del Paese dei balocchi”, ma un univer-
so giovanile per il quale è possibile e doveroso costruire e programmare percorsi effi caci
di inclusione e di integrazione sociale ed economica.
Un invito che le Banche di Credito Cooperativo non lasceranno di certo perdere.
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1. Giovani, studio, lavoro: le novità di un discorso antico
E’ perfi no ovvio sottolineare che formazione e lavoro sono un binomio centrale per l’iden-
tità complessiva dei giovani oltre ad essere uno strumento formidabile di inclusione e di
“adultizzazione” concreta delle nuove generazioni. Da come si realizza tale binomio ne
discendono conseguenze dirette non solo sul sistema economico ed occupazionale, ma
anche sulla capacità integrativa (in termini di reddito, di professionalità, di identità) della
società locale.
Storicamente il rapporto tra giovani e lavoro sembra essere passato attraverso tre fasi
che - per icone collettive - possiamo così sintetizzare. La prima fase è quella del mestie-
re, una delle tre emme (insieme con moglie o marito e la moto o la macchina) che hanno
rappresentato le mete a cui aspiravano le giovani generazioni del dopoguerra fi no agli
anni Sessanta. Dal mestiere (un misto di competenza e di laboriosità) si è passati poi allo
spettro della disoccupazione (detta spesso intellettuale) negli anni Settanta e Ottanta.
Infi ne, dagli anni Novanta ad oggi, il nuovo spauracchio della precarietà lavorativa, che
oggi si impone come la terza prepotente icona del rapporto giovani-lavoro naturalmente
in salsa postfordista.
Scrive infatti Accornero che “la precarietà sembra pertanto presentarsi come uno dei
connotati che il lavoro sta assumendo nel corso della grande trasformazione in atto: la
terza dopo la rivoluzione industriale avvenuta nel Regno Unito fra Settecento e Ottocen-
to, che aveva creato il lavoro salariato; e dopo l’invenzione del taylorfordismo negli Stati
Uniti del primo Novecento, che aveva assicurato il predominio al lavoro industriale. La
portata dei cambiamenti cui stiamo assistendo si evince dal fatto stesso che vanno non
soltanto al di là del lavoro industriale, ma anche al di là di quello salariato poiché toccano
Introduzione e Sintesi
12
pure il lavoro autonomo” (1).
Naturalmente, come per tutte le icone, si tratta di cogliere come - nella realtà della vita
quotidiana - i giovani reinterpretino concretamente tali immagini, come affrontino ed
elaborino il lavoro, la formazione e la connessione tra questi due momenti, mediando
sempre con l’ambiente sociale e familiare di riferimento ed il capitale sociale e culturale
in loro possesso che - com’è noto - condiziona abbondantemente i percorsi scolastici
e lavorativi intrapresi.
Lo scopo della ricerca è quello di rilevare come - attraverso un campione di duecento
trevigiani dai 15 ai 29 anni, occupati o non occupati - i giovani fronteggino ed interpreti-
no il lavoro (le sue complessità, le sue metamorfosi, le opportunità e le sfi de che pone);
il tutto comparato con un secondo campione di duecento genitori di giovani in quella
stessa fascia di età. Trattasi cioè di adulti dai 35 ai 64 anni con una loro propria e sedi-
mentata esperienza e cultura lavorative. Il confronto offre utili squarci su come lavoro e
formazione vengono generazionalmente visti ed esperiti.
2. Studio e lavoro: images
Cosa sono lo studio ed il lavoro per i giovani trevigiani? Del primo l’immagine assoluta-
mente prevalente (61%) è quello dell’essere una buona occasione di crescita di sé, nel
senso personale e culturale insieme. Solo un terzo dei giovani ne da invece una interpre-
tazione per così dire strumentale, nel senso di vedere lo studio nell’ottica professionaliz-
zante di preparazione al mercato del lavoro (33%). I genitori, dal canto loro, enfatizzano
per la loro esperienza lo studio come occasione di crescita umana e ridimensionano
l’aspetto prolavorativo. Con riferimento invece ai loro fi gli, i genitori credono di cogliere
un approccio sia espressivo (48%) che strumentale (40%).
Sono irrilevanti i giudizi negativi (solo un obbligo o una perdita di tempo) dei giovani sullo
studio (5%), anche se per i genitori l’approccio dei fi gli allo studio è visto in modo più
pessimistico (11%). Secondo la fascia di età, l’interpretazione espressiva dell’education
è invece una rielaborazione (maturazione?) dei meno giovani, mentre gli adolescenti e i
non occupati caricano maggiormente lo studio di aspettative funzionali al lavoro.
Conforta sapere che tra i giovani c’è la piena consapevolezza che viviamo in un’epoca in
cui la conoscenza non solo è assolutamente centrale ai fi ni dello sviluppo economico (la
knowledge economy), ma è anche soggetta ad una rapida obsolescenza che obbliga a
pensare sempre più in termini duplici di formazione continua e di lifewide learning. Infatti
ben il 93% del campione pensa che la cosa più importante sia l’apprendere continua-
13
mente senza limitarsi al semplice possedere e “custodire” delle conoscenze acquisite.
Le immagini del lavoro vengono declinate invece in un’ottica prevalentemente strumen-
tale. Infatti “dietro” il lavoro si delineano le dimensioni della retribuzione (82%) e della
carriera (con tutto ciò che questa weberianamente comporta in termini di reddito, potere
e prestigio) (34%). Minoritariamente, sono però presenti anche le dimensioni dell’auto-
realizzazione (che quasi “fanno” la vocazione come il Beruf per Weber) (62%) e dell’ami-
cizia (37%). Infi ne la dimensione del lavoro come mera necessità che diviene limite è
assolutamente minoritaria. Va aggiunto che l’aspetto del reddito è crescente con l’età,
insieme a quello del limite-necessità; le rimanenti dimensioni appaiono invece decre-
scenti, dato che l’entrata nel mondo del lavoro smorza necessariamente le visioni meno
realistiche e più immaginifi che.
Gli adulti, sempre sulla base della loro personale esperienza di vita, ampliano la dimen-
sione strumentale a scapito di quella espressiva; ed anche la visione del lavoro come
limite e necessità è sottolineata maggiormente dagli adulti.
Come genitori, infi ne, pensano di vedere nei fi gli un sovradimensionamento degli aspetti
autorealizzativi, amicali, della carriera ed anche del limite e della necessità; ridimensio-
nano invece la declinazione al reddito dei giovani.
E’ noto che il lavoro, ed in particolare in Italia quello giovanile, è investito da profondi
processi di mobilità e di insecurizzazione che, rendendo spesso i cosiddetti lavori di
ingresso un vero e proprio percorso a slalom, penalizzano particolarmente proprio le
giovani generazioni (2).
Tuttavia i giovani sembrano aver colto lo “spirito del tempo” che connota la metamorfosi
e la destrutturazione attuale del mondo del lavoro. Per quasi sei giovani su dieci (58%) è
importante vedere ed interpretare il cambiamento del lavoro come una chance e perfi no
come un arricchimento professionale. E’ anche vero che il rimanente 42% appare come
“trincerato” nella paura di perdere il lavoro. Timore comprensibile, ma che può essere
combattuto solo da un atteggiamento attivo e propositivo nei confronti del lavoro stesso.
Dall’altro canto, le ricerche empiriche sul lavoro giovanile suggeriscono che, se sfuma
l’idea del posto e del “Lavoro”, prende forma quella del percorso e dei lavori (talvolta dei
lavoretti), da attraversare temporaneamente e talvolta anche caoticamente. Di conse-
guenza è diffi cile trovare un solo, monolitico signifi cato, ma piuttosto una costellazione di
signifi cati che perdono spesso di coerenza interna oscillando tra visioni e desideri etero-
genei e perfi no contraddittori (crescita professionale, sicurezza, autonomia, reddito,...) (3).
14
3. Percorsi nel labirinto
Sempre di più, nell’attuale economia postfordista, il lavoro - soprattutto quello giovanile
- assume percorsi discontinui e carsici perlopiù diluiti nel tempo e nell’esperienza perso-
nale. Qui interessa innanzitutto cogliere gli approcci dei giovani in termini di qualità del
lavoro, qualità che possiamo maslowianamente ripartire in più dimensioni.
Il concetto di qualità del lavoro appare negli anni Settanta quando vengono a matura-
zione esigenze e variabili nuove a livello di sindacato, di organizzazione d’impresa e di
società in senso ampio e viene sistematizzato - in Italia - da La Rosa e Gallino. Sono
prese in considerazione, in sintesi, tre dimensioni fondamentali: quella oggettiva rivolta al
soddisfacimento di bisogni legati alla sfera retributiva ed ambientale; quella più sogget-
tiva legata alla domanda di autonomia e di “autogestione” della complessità; infi ne la di-
mensione sociale, che andando oltre gli aspetti materiali ed individuali del lavoro stesso
si concretizza in una domanda di maggior controllo e partecipazione alle scelte aziendali
produttive. Naturalmente, di fronte a questa strutturata situazione dei bisogni (di quali-
tà), si oppone il sistema aziendale nelle sue dimensioni interne (tecnologie, retribuzioni,
organizzazione del lavoro, relazioni...) e dall’integrazione tra queste due realtà esce poi il
quadro effettivo e reale di qualità (o meno) del lavoro (4).
Due gli aspetti maggiormente sottolineati dai giovani nel valutare un lavoro: la retribu-
zione e la sicurezza del posto (in subordine), due dimensioni che rimandano ai bisogni
di sussistenza. Seguono due dimensioni psicosociali come quella della coerenza con i
propri desideri e progetti e quella della possibilità di far carriera. Quest’ultima si connette
al bisogno di cumulazione dell’esperienza e dei meriti ed al loro riconoscimento visibile
attraverso appunto la progressione della carriera. Sono anche evidenziate le dimensioni
della formazione on the job e della crescita professionale nonché della coerenza con il
curriculum studiorum seguito.
La visione dei genitori, che ovviamente già conoscono la realtà del lavoro, è alquanto
differente: loro privilegiano la sicurezza e la stabilità nonché l’autonomia lavorativa ed il
rapporto con i colleghi, anche se danno - come i giovani - importanza anche alla dimen-
sione della crescita professionale.
C’è invece abbastanza simmetria tra le scelte dei giovani e la percezione che di loro han-
no gli adulti, con l’eccezione della retribuzione, che i genitori sovrastimano nel giudizio
dei fi gli.
In termini di job, fare il libero professionista ed il consulente appare come l’attività più
ambita dai giovani (ancor più dai genitori a dire il vero), seguita dai lavori manageriali, da
quelli impiegatizi e dall’insegnamento, dall’attività imprenditoriale e da quella di tecnico
specializzato. E’ anche vero che tra i più giovani (15-20 anni) si punta molto alle pro-
15
fessioni consulenziali, dirigenziali e tecniche; con l’età emergono e si accompagnano la
preferibilità dell’impiegato, del docente, dell’imprenditore. Nella fascia dei 27-29 anni, ad
esempio, è anche massima l’attrazione dei lavori da professionista e da consulente, ma
qui giocano anche le aspettative date dalla maggior scolarità raggiunta.
Gli adulti enfatizzano - come s’è detto - l’attività consulenziale e quella tecnica, mentre
sembrano valutare meno dei giovani i lavori impiegatizi, l’insegnamento e l’attività im-
prenditoriale.
E’ sintomatico rilevare che ormai il lavoro operaio appare ampiamente disdegnato in
termini di desiderabilità sociale sia dai giovani che dagli adulti (5).
Nonostante che la maggioranza dei giovani prediliga il reddito fi sso (57%) più che il gua-
dagno “in funzione del proprio impegno”, solo un terzo del campione guarda al settore
pubblico (che non attira particolarmente nemmeno gli adulti: 36% di preferenze).
Ma a cosa “serve” il lavoro nelle più generali strategie essenziali dei giovani? Le idee
sembrano essere tanto chiare quanto “tradizionali” e rassicuranti al tempo stesso. At-
traverso il lavoro le mete da raggiungere sono una propria famiglia (26%), ma anche la
realizzazione dei propri progetti di vita (professionali e non) (22%) nonché l’indipendenza
economica dalla famiglia genitoriale (21%). Secondo l’ottica degli adulti le mete dei gio-
vani sono essenzialmente quelle elencate, anche se vengono sovrastimati gli aspetti più
autorealizzativi e sottostimata la volontà di autonomizzarsi dalla famiglia di origine.
Realismo e fl essibilità versus idealismo e rigidità: queste due coppie sembrano essere le
Scilla e Cariddi tra cui navigano - un po’ perigliosamente, a dire il vero - i lavori dei giova-
ni. Il questionario ha proposto al campione tre opzioni: quella più “radicale” dell’inseguire
il lavoro ideale; quella, viceversa, più accondiscendente dell’accontentarsi sempre; e la
via di mezzo del piegarsi momentaneamente ma senza rinunciare all’esigenza di trovare
ciò che piace lato sensu.
Quasi quattro giovani su dieci (il 37%) punta con determinazione al solo lavoro ideale,
senza compromessi: naturalmente tra gli adolescenti questa posizione “intransigente” è
addirittura maggioritaria (53%), per fl ettere poi con l’età (arrivando al 27% nella fascia
27-29 anni).
La seconda posizione è scelta solo dal 13% del campione, ed è massima tra i 21 e i 26
anni, quando le diffi coltà del primo impatto con il mondo del lavoro possono spingere
a strategie iperdifensive (o addirittura rinunciatarie). Infi ne la terza opzione, quella più
matura e realistica, è fatta propria da un giovane su due ed è assolutamente crescente
con l’età (dal 35% dei giovani al 69% del segmento 27-29 anni).
Quali sarebbero, ipoteticamente, le strategie da adottare in caso di inoccupazione o
16
disoccupazione? Sinteticamente si aprono almeno cinque exit strategy possibili: quella
dell’accettare un lavoro ma solo a determinate condizioni; quella dell’accettare qualsiasi
lavoro, senza condizioni; quella del ributtarsi nell’ulteriore specializzazione; infi ne quella
del darsi da fare nell’autoimprenditorialità. La prima via è chiaramente maggioritaria ed è
scelta dal 40% dei giovani; la strada della continua ricerca del lavoro “giusto” interessa
solo il 15% del campione ed una percentuale simile (14%) si accontenta di ciò che offre
il mercato, senza particolari esigenze; l’11% pensa invece a formarsi ancora mentre un
residuo 6% penserebbe al lavoro autonomo e all’autoimpiego. I genitori suggerirebbero
ai giovani queste cinque strade con percentuali analoghe, anche se punterebbero meno
alla prima opzione (l’accettare un lavoro ma solo a certe condizioni) per enfatizzare la via
dell’imprenditorialità e quella dell’ulteriore formazione.
E’ stata ultimamente sottolineata la scarsa mobilità lavorativa dei giovani italiani (com-
plice non solo la cosiddetta “famiglia lunga” ma anche l’alto tasso di proprietà dell’abita-
zione). Trovando un buon posto, i giovani trevigiani andrebbero anche a lavorare in altre
province venete (79%), già meno in altre regioni del nord (62%), grosso modo metà
(almeno nelle intenzioni) in altri paesi europei ed anche extraeuropei. Ma è curioso che
solo un terzo andrebbe a lavorare nel centrosud, ed è anche signifi cativo il fatto che gli
adulti del campione dimostrano - per tutte le possibili aree geografi che - una disponibi-
lità alla mobilità decisamente più elevata. E ciò, in una epoca di globalizzazione, crea più
di qualche perplessità.
Il lavoro, sempre nella visione dei giovani, lo si approccia soprattutto attraverso il binomio
alta scolarità-accentuata specializzazione (66%), più che sul binomio ormai d’antan la-
voro precoce-esperienza on the job; gli adulti confermano tale giudizio, anche se sembra
trasparire l’idea - errata - dell’infi nito investimento in formazione come taumaturgico an-
tidoto alla disoccupazione o all’inoccupazione. In realtà, nota Accornero, “l’orientamento
al lavoro non deve comportare più formazione professionale; penso anzi che l’orienta-
mento comporti una minore formazione, perché orientare signifi ca proporre una giusta
formazione. Questo è l’orientamento, altrimenti si rischia di credere che la sinergia tra
orientamento e formazione consista in un indefi nito accrescimento reciproco”.
Infatti, prosegue l’autore, “la formazione ci vuole, ma serve piuttosto rifarla che non ac-
crescerla. Tutti noi dovremo ritornare a scuola altre volte, in tempi successivi, ma non per
aggiungere qualcosa al nostro bagaglio, semmai per apprendere altre cose, più trasver-
sali. Il tragitto principale non sarà quello che consente di seguire un iter formativo lineare,
con accrescimenti cumulati successivi; è più probabile che procederemo per stadi, per
passi, che originino un patchwork formativo” (6).
17
I giovani, come i loro genitori, non intendono rinunciare all’ombrello protettivo del welfare
pensionistico, per quanto in futuro prevedibilmente risicato. Il 55% preferisce guadagna-
re “ragionevolmente” ma godendo di una copertura pensionistica completa; viceversa
è solo il 14% che, in una ottica “iperliberistica”, preferirebbe fare la “cicala” (nel senso
favolistico di La Fontaine) puntando tutto sull’alta retribuzione presente senza investire
sul trattamento pensionistico futuro.
Infi ne gli skill ritenuti oggi effi caci per il worker portfolio individuale necessario per muo-
versi nel mondo del lavoro sono - secondo i giovani trevigiani - soprattutto le lingue
straniere: si tenga conto della elevata propensione alla globalizzazione dell’economia
trevigiana, composta da consistenti fl ussi di esportazioni ed importazioni, da rilevanti
processi di delocalizzazione, dagli investimenti diretti esteri, dal turismo stesso. Segue
la capacità di lavorare con gli altri, capacità che deve tener conto del fatto che oggi, nel
cosiddetto capitalismo comunicativo, il vantaggio competitivo non è più legato a capacità
tecniche esclusive, relative al prodotto materiale o al processo, ma è sempre più rivolto
alla capacità di gestire relazioni, di comunicare con gli interlocutori - in primis col cliente
o con il consumatore fi nale - di co-progettare il nuovo e assumere rischi condivisi con
gli interlocutori (7).
Vengono pure segnalate, in subordine, le abilità informatiche e le doti comunicative:
sono, in realtà, due competenze chiaramente connesse e che rimandano a quel capitali-
smo cognitivo, simbolico e comunicativo (il cosiddetto semiocapitalismo) di cui si parlava
prima. E’ da rilevare che le conoscenze e le amicizie vengono indicate al quarto posto,
segno di un approccio al lavoro che tende ad essere alquanto “pulito” e centrato sulle
sole proprie forze.
Conferma infatti l’ultima ricerca sui giovani dello IARD che “per chi abita nel Nord-Est
la percezione della possibilità di trovare lavoro “mettendo in gioco” le proprie capacità è
abbastanza netta - è condivisa da più di quattro giovani su dieci - mentre poco rilevante
è considerata la rete relazionale (solamente un giovane su quattro); per chi, invece abita
nelle Isole l’aiuto di persone infl uenti rappresenta una risorsa decisiva per massimizzare
le opportunità di ingresso nel mercato del lavoro” (8).
4. Soddisfazione nel lavoro, soddisfazione nella vita
Finora si è trattato il tema giovani e lavoro secondo una prospettiva “teorica”, nel senso di
una visione e di un approccio al lavoro di taglio culturale e psicologico al tempo stesso.
Ora si tratta di cogliere i “reali” vissuti dei giovani nel lavoro - è il discorso della cosiddetta
18
qualità del lavoro - e nella quotidianità, quotidianità di cui il lavoro è un componente di
rilievo e che dal lavoro stesso è infl uenzata e perfi no “segnata”.
L’80% dei giovani si ritiene soddisfatto (41% “molto”) del lavoro che sta facendo: è una
percentuale elevata e che - così aggregata - cozza contro la vulgata diffusa che vede
nella precarietà del lavoro giovanile il marchio negativo sulla qualità lavorativa odierna
(come fu la hegeliana alienazione nel Novecento).
Tuttavia il dato va scomposto e disaggregato e si scopre che: i maschi sono molto più
soddisfatti lavorativamente delle femmine (86% contro 75%); i laureati sono molto meno
soddisfatti di chi ha bassa scolarità (72% contro il 100%); inoltre se i livelli più elevati di
soddisfazione sono dati dai rapporti umani (con colleghi e superiori) oltre che dall’orario
e dall’ambiente fi sico di lavoro, viceversa i livelli più bassi di soddisfazione toccano gli
aspetti dell’autonomia, della carriera, del riconoscimento dei meriti, della crescita profes-
sionale. Incrociando tali aspetti per gender e scolarità, si vede come la soddisfazione per
l’autonomia decisionale tocchi livelli bassissimi proprio tra i laureati e così anche per il
riconoscimento dei meriti ed il livello contrattuale mentre si presenta un divario rilevan-
te - che penalizza le giovani - circa la carriera, la crescita professionale e la posizione
contrattuale.
Una ricerca svolta su 645 giovani lavoratori trevigiani nel 1991 aveva colto tendenze
almeno in parte analoghe: elevata soddisfazione sui rapporti umani e l’ambiente fi sico di
lavoro, bassa soddisfazione invece sulle dimensioni dette della complessità e del controllo (9).
Sui livelli di soddisfazione contano senz’altro anche i livelli di coerenza tra il lavoro che si
fa ed il curriculum di studi, le aspirazioni personali nonché i desideri (più o meno espli-
citati) dei genitori.
Per la maggioranza dei giovani la coerenza c’è: c’è rispetto al background formativo
(61%, di cui 35% “molto”), ai progetti ed alle vocazioni personali (il Beruf weberiano)
(60%, di cui però solo il 20% “molto”) e soprattutto ai desiderata parentali e familiari
(69%, ma di cui solo il 19% “molto”).
Certo, rimane una area non trascurabile di giovani che fa lavori del tutto incoerenti con
l’investimento formativo effettuato (quasi un terzo) o con i sogni coltivati a lungo ma
destinati a rimanere ancora nel cassetto per un quarto circa del campione. E’ vero però
che si tratta spesso di “lavori di assaggio”: poi l’intraprendenza dei singoli giovani e la
mobilità del mondo del lavoro dovrebbero aprire un processo di auto-orientamento in cui
avvicinarsi a lavori coerenti, e quindi anche di “qualità”.
Anche i genitori appaiono ampiamente soddisfatti del lavoro dei fi gli (91%, di cui 37%
“molto”), genitori che - va detto - non dimostrano assolutamente logiche “neofeudali”
19
nella trasmissione ai fi gli - almeno come desiderio - del loro lavoro. Infatti solo il 14%
vorrebbe che il fi glio seguisse il percorso professionale dei genitori, mentre il 45% si
dichiara indifferente ed il 41% addirittura decisamente contrario.
Nella costellazione delle “cose importanti” della vita, i giovani trervigiani mettono al primo
posto la salute, seguita dalle relazioni familiari, dalla conoscenza (istruzione e cultura),
dal reddito e dal lavoro. Tale gerarchia cambia poco in termini di soddisfazione che pre-
mia le relazioni familiari, seguite dalla salute, dalla conoscenza, dal tempo libero.
La scala non muta granché nemmeno se la restringiamo ai soli giovani lavoratori, che
trovano importanti nella vita - in ordine decrescente - la salute, la famiglia, la conoscen-
za ed il lavoro. La soddisfazione viene generata - anche qui in ordine decrescente - dai
rapporti familiari, dalla salute, dalla conoscenza, dal lavoro e dal tempo libero.
Sono gerarchizzazioni che non sorprendono perché sono coerenti con i loro “mondi vitali”
(nel senso di Schütz, che riprende Husserl ed il suo Lebenswelt), mondi che trovano
nella famiglia, nell’amore, nel lavoro e nell’amicizia i quattro grandi motori produttori di
senso, le stelle polari che offrono orientamento e plausibilità.
Mondi sostanzialmente condivisi e confermati sia dalla esperienza di vita dei genitori
(che enfatizzano famiglia e lavoro) sia dal loro “sguardo” sui fi gli, in cui però ridimensio-
nano famiglia ed amore come ambiti vitali accentuando invece l’amicizia.
5. Gli ideali e la realtà
Secondo una ricerca nazionale di qualche anno fa, il lavoro ideale - per il 54% degli
italiani - è quello che da soddisfazione e permette di lavorare insieme a persone con cui
si sta bene. A ciò si aggiungono però gli aspetti della sicurezza e del buon stipendio. Ma
sono soprattutto i giovani a reifi care le quattro dimensioni citate nell’idealtipo del lavoro
indipendente, cioè del lavoro in proprio e della libera professione. Insomma, pensarsi
“autonomi” è bello perché connota o perlomeno avvicina al lavoro ideale (10).
Per i giovani trevigiani l’orizzonte non si presenta dissimile. Al primo posto indicano la
sicurezza del lavoro, seguita dalla buona retribuzione, dai buoni rapporti con colleghi e
superiori e dall’autonomia (sintesi del poter usare la propria creatività, dell’indipendenza,
della possibilità della carriera, dell’auto-organizzazione).
Innanzitutto, qual è la differenza rispetto ai giovani italiani?
“Solo queste prime indicazioni delineano un quadro di riferimento in cui il lavoro viene
vissuto soprattutto per i suoi aspetti auto-realizzativi e relazionali, non disgiunto, tuttavia,
da una attenzione per gli aspetti e le condizioni concrete di lavoro. Le dimensioni legate
20
alla carriera e al prestigio della professione - quelli che abbiamo defi nito di achievement
- non sembrano fare eccessiva presa sui giovani, almeno nell’attuale momento sociale
ed economico” (11).
Certamente i componenti della miscela sono gli stessi: cambiano però le quantità. I
giovani trevigiani certamente cercano gli aspetti autorealizzativi e relazionali del lavoro,
ma sottolineano anche la carriera - qui vista come riconoscimento della propria crescita
professionale e non come mera “esibizione” del prestigio, tanto è vero che l’idea del lavo-
ro di prestigio come achievement è in basso nella graduatoria - e soprattutto gli aspetti
retributivi e della sicurezza. Insomma sembra emergere un profondo pragmatismo che in
realtà al lavoro chiede molto, moltissimo, in un certo senso “tutto”, accomunando dimen-
sioni tanto diverse quanto esigenti ed irrinunciabili.
Per i genitori, cioè per quel mondo di adulti che già conoscono da tempo il lavoro e le sue
dinamiche, il lavoro ideale assume priorità in parte differenti. Infatti gli adulti pongono al
primo posto i buoni rapporti con i superiori, subito seguiti da quelli con i colleghi e - ex
aequo - dalla sicurezza del lavoro; al terzo posto creatività ed indipendenza, seguite dalla
capacità auto-organizzativa. E’ signifi cativo il fatto che la dimensione “solidaristica” - fare
un lavoro utile alla società - superi nella scala dei profi li lavorativi ideali quella della buo-
na retribuzione.
Fin qui i desideri che strutturano l’agognato fi rmamento stellato (appunto de-sidera) che
compone l’astronomia del lavoro detto appunto ideale. Ma quanto rimane irraggiungibile
questo fi rmamento, o quanto invece scende sulla terra divenendo almeno in parte realtà
di vita? I giovani trevigiani che lavorano, invitati a comparare il loro job attuale con il lavoro
ideale che hanno in mente (o nel cuore) attraverso una scala “scolastica” 1-10, danno
mediamente una suffi cienza senza lode e senza infamia: 6,3. Coloro che negano del
tutto la corrispondenza tra lavoro ideale e reale sono il 29% del campione, il 34% invece
trova una corrispondenza minima, appena soddisfacente, mentre il 37% trova in ciò che
fa una buona presenza dei tratti del lavoro da loro ritenuto ideale. In sintesi quindi solo
per poco più di un terzo si arriverebbe alla “gioia nel lavoro” (come scriveva enfaticamen-
te il socialista belga De Man negli anni Venti), mentre viceversa gli “alienati” sarebbero
poco meno di un terzo. Lo iato maggiore per chi avverte lo scollamento tra lavoro ide-
ale e lavoro reale è da imputare soprattutto alla retribuzione: seguono, ma a distanza,
la sicurezza, la possibilità di viaggiare, di fare carriera, di impiegare le proprie capacità
creative. Il discorso della retribuzione rinvia senza dubbio a valutazioni molto soggettive
ma anche al fatto che si tratta di “primi lavori” e quindi di salari d’ingresso che possono
essere - oggettivamente - anche molto modesti. Infatti secondo i dati del panel europeo
21
sulle famiglie, il reddito medio dei giovani italiani occupati di età 25-30 anni è quasi la
metà di quello dei coetanei inglesi e del 50% più basso rispetto ai coetanei francesi e
tedeschi (12). Ciò trascina un robusto intervento di supporto “integrativo” delle famiglie
costituendo anche un innegabile incentivo a rimanere in casa a lungo. Ma questo è già
un altro discorso.
6. Timori, sfi de e traiettorie future
Oggi il mondo del lavoro rappresenta probabilmente una delle aree sociali in cui mag-
giormente si avverte la vertigine dello smottamento di tante certezze, della “liquidità” (nel
senso baumiano) che sembra rendere tutti “senza centro né principio” (Battiato) e che
obbliga ad una mobilità priva di riferimenti, quei riferimenti - come il letto nuziale di Ulisse
scavato in un ulivo centenario ben radicato nella terra - che offrono invece una identità,
un rifugio, una sicurezza.
Invece, nel “nuovo capitalismo”, l’instabilità e la frammentarietà - dice Sennett - porta
a fronteggiare tre sfi de. La prima tocca il tempo: come avere relazioni a breve termine,
passando da un lavoro ad un altro, e quale sarà il senso della propria identità se non vi
sono più conferme? Secondo: le abilità hanno vite molto brevi, tecnologie, prodotti, mode
ed organizzazioni cambiano velocemente e l’attenzione si sposta da ciò che si è fatto nel
passato (vedi il vecchio curriculum) alle “capacità potenziali”. Infi ne - e di conseguenza
- le esperienze non contano, ciò che conta è invece l’essere capace di rinunciare al pas-
sato e alle abitudini. Solo che “Un Io orientato nel breve periodo, concentrato sulle abilità
potenziali, disponibile ad abbandonare le esperienze passate è uno strano tipo di essere
umano. La maggior parte delle persone non è fatta così: le persone hanno bisogno di
una biografi a coerente, sono orgogliose di saper fare bene determinate cose e danno
valore alle esperienze che hanno fatto nel corso della loro vita” (13).
In altri termini la velocità dei mutamenti e le nuove formule competitive che si impongono
non possono non preoccupare ed anche spaventare. Nel nostro campione infatti il 41%
dei giovani afferma che sempre più spesso si trova a dover “competere con persone
più preparate”; una percentuale simile (il 38%) dice anche di sentire in modo sempre
più pressante lo stress prodotto dalla competizione; infi ne quasi un terzo del campione
(30%) avverte una personale inadeguatezza dovuta proprio alla velocità con cui cam-
biano le coordinate (psicologiche e culturali) del lavoro. La maggior “sofferenza” dovuta
al dover vivere e gestire quello che Sennett chiama la “cultura del nuovo capitalismo”
connota decisamente i giovani con bassa scolarità, certamente i meno dotati di quelle
22
competenze che permettono di comprendere e fronteggiare una economia che è anche
sempre più complessa e cognitiva (di cui ai knowledge worker di Drucker).
Inoltre secondo i giovani occorre più meritocrazia e meno egualitarismo “cieco”. Siamo
infatti in una società che non sa premiare chi vuole assumersi dei rischi (71%) perché
si è puntato troppo sull’eguaglianza di tutti e non ai meriti dei singoli (62%), una egua-
glianza che arriva a inibire e frenare le iniziative individuali (58%).
Sono soprattutto i maschi a sottolineare questo approccio che la letteratura affi da alla
fi gura del “nuovo lavoro autonomo” mentre il rischio certamente costituisce una “condi-
zione immanente nella vita del lavoratore autonomo” tanto da disegnare un vero e proprio
“capitalismo personale” (14).
Ciò non signifi ca però che la fl essibilità - termine ormai polisemico dalle mille accezioni
contrattuali, giuridiche e psicosociali - venga benevolmente accettata. Per il 61% dl cam-
pione - soprattutto donne e laureati - la fl essibilità lavorativa è funzionale solo alle impre-
se e produce “precarietà e incertezza” tali da rendere diffi cile o impossibile il “trasformare
le proprie esperienze in narrazioni continuate” (come scrive ancora Sennett).
Ciò non cancella tuttavia la costruzione del proprio futuro. Pur senza fare diffi cili esercizi
divinatori, tra dieci anni sei giovani su dieci (59%) si immaginano con un lavoro dipen-
dente stabile; il 17% si vede con un proprio studio professionale, l’8% con una propria
azienda e ancora l’8% con una attività commerciale. Il 4% si immagina invece nella pre-
carietà e solo l’1% nella disoccupazione. I genitori hanno una visione leggermente più
negativa circa il futuro lavorativo dei propri fi gli: li “vedono” un po’ meno dipendenti stabili
ed un po’ meno professionisti ed un po’ più precari (ma non disoccupati) ed anche un po’
più associati all’attività dei genitori stessi.
E’ interessante rilevare poi che sono soprattutto le giovani ed i laureati ad ipotizzarsi
come futuri lavoratori dipendenti; l’attività della libera professione viene invece più pre-
vista dai giovani - maschi e femmine, senza distinzioni - con scolarità media; l’azienda
di proprietà sembra essere invece prerogativa maschile e si associa a bassa scolarità;
infi ne precari si vedono un po’ più le donne rispetto ai maschi e soprattutto da coloro che
hanno scolarità media.
Abbandoniamo - in conclusione - la sfera strettamente lavorativa per allargare la previ-
sione alle dimensioni della vita affettiva e familiare. Per il nostro campione, sempre tra
dieci anni uno su due si immagina sposato con fi gli ed il 4% sposato ma senza prole. La
prima opzione è fortemente declinata al femminile (58% contro il 42 maschile) mentre
la seconda è leggermente più maschile. Più di un quinto (il 22%) prevede invece uno
status di convivenza, con o senza fi gli: anche questa scelta è decisamente al femminile
23
(26% contro il 17 dei maschi) specie nella formula della convivenza con prole. La sin-
gleness vira invece al maschile (30% contro il 20 femminile) ed anche il continuare a
vivere con i genitori - come confermano le ricerche nazionali - è una scelta più che altro
maschile. Riassumendo: la famiglia coniugale (con o senza fi gli) è prevista dal 54% del
campione, soprattutto dalle giovani e dalle classi di età più elevate (27-29 anni). La scel-
ta della cosiddetta famiglia di fatto (con o senza fi gli) è ancora privilegiata dalle donne,
mentre - come s’è detto - la connotazione maschile prevale sulle scelte alternative sia al
matrimonio che alla convivenza. Infi ne la variabile dell’età: certamente l’età bassa (15-20
anni) enfatizza la singleness, ma enfatizza anche le scelte - coniugali e di convivenza -
prive di fi gli. Il desiderio di genitorialità cresce (fi siologicamente) con l’età ed è appunto
massimo nella fascia dei 27-29 anni.
Se i giovani si immaginano così tra dieci anni, i genitori hanno una visione prospettica
dei loro fi gli radicalmente asimmetrica per non dire discordante. Infatti prevedono (o
desiderano?) per i loro fi gli lo status coniugale in misura molto più elevata di quanto
previsto dai giovani stessi (67% contro 54) e viceversa una assai più ridotta scelta della
formula della convivenza (12% contro 22). Anche l’essere single è scarsamente preso
in considerazione dai genitori (10% contro il doppio dei giovani) che - non si sa se pes-
simisticamente o realisticamente - prevedono pure che i fi gli resteranno a lungo in casa
con loro (11% contro il 4 indicato dai giovani).
Alla fi n fi ne l’affresco previsivo fatto dai giovani appare molto frammentato e plurale,
mentre quello degli adulti tende ad essere più “matrimoniocentrico”, enfatizzando caso
mai il persistere della cosiddetta “famiglia lunga del giovane adulto” (così chiamata esat-
tamente venti anni fa da Scabini e Donati).
7. Conclusioni
La ricerca offre - nella sua ricchezza di dati - più spunti di rifl essione. Ma soprattutto
obbliga ad andare oltre la lettura monodimensionale offerta sbrigativamente dalla citata
icona della precarietà come chiave di lettura universale del rapporto giovani-lavoro. In
sintesi:
- come nella media italiana (si vedano i dati IARD), quasi tre giovani lavoratori su tre
(73%) sono inquadrati contrattualmente come dipendenti; l’insieme dei lavoratori
a progetto e dei collaboratori con partita Iva (spesso con laurea) non raggiunge il 20%
del totale;
- metà degli assunti è a tempo indeterminato, che diventa il 78,4% nella fascia 27-29
24
anni: a ciò si aggiunga un 11,4% di contratti di somministrazione a tempo indeterminato
ed un 4,1% di intermittenti sempre a tempo indeterminato (due fi gure di cui alla “legge
Biagi” oggi però annullate dal nuovo “Protocollo sul Welfare”);
- in un mercato del lavoro locale che continua a “tirare” (si vedano online le tendenze
aggiornate di Veneto Lavoro) ed in cui “spesso ai rapporti più stabili si arriva attraverso
un’assunzione temporanea, solo successivamente trasformata in tempo indeterminato” (15),
i dati degli stock occupazionali della ricerca offrono un panorama “plurale” ma certamente
non permettono generalizzazioni apocalittiche;
- anche l’attività formativa (scolastica e non) viene “compresa” e declinata in modo
intelligente e maturo in un’ottica funzionale alla teoria del capitale umano ed al suo
ruolo nello sviluppo economico (Schultz, 1979);
- l’”immagine” del lavoro rimanda ad un triangolo ideale rappresentato dalle dimensioni
retributive, autorealizzative e del cambiamento attraverso il lavoro stesso (o della
mobilità lavorativa);
- infatti nel valutare un lavoro gli aspetti strumentali (reddito e sicurezza) e quelli espressivi
(coerenza con le aspirazioni e la carriera) si cumulano e si mescolano in modo esigente;
- il quadro si svela nella sua interezza nel delineare il lavoro ideale: qui i giovani trevigiani
vogliono in un certo senso “tutto” chiedendo un mix di aspetti autorealizzativi, relazionali,
di riconoscimento dei meriti e retributivi;
- la realtà è, come sempre, diversa e più modesta: tuttavia la soddisfazione della propria
qualità lavorativa appare (appena) suffi ciente, ma i “decisamente insoddisfatti” sono
meno di un terzo mentre il tema della retribuzione appare come la nota e problematica
vexata quaestio del lavoro giovanile in Italia;
- contribuiscono alla soddisfazione lavorativa i livelli di coerenza tra lavoro, curriculum,
aspirazioni e desideri familiari esistenti; è una soddisfazione ben condivisa dai genitori;
- in più punti della ricerca, ma specie sul nodo centrale della soddisfazione, laureati e
donne appaiono i segmenti più critici dell’offerta di lavoro giovanile. In particolare sembra
che l’alta scolarità fatichi ancora a disegnarsi localmente uno spazio lavorativo coerente
con le aspettative possedute (specie nella sfera dell’autonomia decisionale);
- in termini di competenze sembra essere chiaro ai giovani ciò che richiede l’attuale
“capitalismo comunicativo”, mentre - malgrado gli stereotipi - laterale appare il ricorso
alle conoscenze nel cercare lavoro;
- appare singolare che la propensione alla mobilità geografi ca dei giovani sia inferiore
a quella potenziale degli adulti: è una osservazione che si estende ai giovani italiani
e che connota un “localismo” assolutamente disfunzionale alla mobilità richiesta;
25
- i profi li professionali che più fanno appeal sono quelle legati alla consulenza,
alla libera professione, alla dirigenza; non attraggono i giovani invece quelle che
rimandano al semplice “fare” (artigiano, commerciante, operaio soprattutto), mentre,
fortunatamente (vista la vocazione produttiva locale), la fi gura del tecnico specializzato
non è assente dall’orizzonte delle scelte giovanili;
- il lavoro serve - dicono i giovani - a “liberare” quel Prometeo che è ingabbiato dentro,
permettendo di sviluppare una famiglia propria ed i progetti personali (con il lavoro
e attraverso il lavoro quindi);
- i giovani percepiscono anche - nella destrutturazione dei vecchi lavori fordisti
- l’apparire di opportunità e di rischi. Tra i primi la possibilità di fare ciò che il Censis
ha chiamato “il lavoro individuale” (16), un lavoro in cui poter valorizzare competenze,
autonomia, professionismo, individualismo e meritocrazia; dall’altro sentono però
anche la fatica della competizione e della gestione della velocità dei mutamenti;
- dal confronto giovani-genitori in tema lavorativo non appaiono cesure generazionali
rilevanti, segno di una tenuta socioculturale che continua ad “attraversare”
il lavoro ed in cui al tempo stesso il lavoro continua ad essere una risorsa
“credibile” nella sua capacità di fare integrazione e coesione sociale pur in una epoca
di trasformazioni profonde e veloci. Casomai le diversità generazionali appaiono
più ampie nella sfera affettiva, ma questa è davvero un’altra storia;
- i giovani si dimostrano - nei confronti del lavoro - assolutamente pragmatici, privi di
rigidità ideologiche o culturali: nella ricerca di una occupazione, la maggioranza di loro
sceglie di usare i verbi “accontentarsi” ed “accettare”, sempre mantenendo comunque
dei punti fermi irrinunciabili;
- è anche vero, come è stato notato, che l’attuale pluralizzazione dei signifi cati
del lavoro porta sia a dare importanza a più caratteristiche del lavoro, sia a dare
al lavoro una buona rilevanza nel proprio progetto di vita complessivo, sia infi ne
a ben collocarlo e connetterlo con altre dimensioni della propria vita (17);
- ciò signifi ca che non solo al lavoro si chiede “tutto”, ma che il lavoro stesso non può
essere appiattito sulla sola dimensione della precarietà-fl essibilità. Anche perché
“per poter difendere bene quel che è difendibile, bisogna cogliere ogni opportunità,
senza catastrofi smi e senza fi deismi. E senza troppe nostalgie. Non vorrei che si fi nisse
col rimpiangere il taylor-fordismo, mentre si passa dal Lavoro maiuscolo, qual è stato nel
nostro secolo, ai lavori minuscoli, quali ci prepara il secolo che sta venendo. Le novità
mettono sempre paura, ma al taylor-fordismo credo occorra fare ponti d’oro, mentre si guarda
all’altra riva. Sarebbe buffo, a questo punto, scoprirci nostalgici del travail d’antan...” (18);
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- un ulteriore stereotipo che va rivisto se non eliminato è quello che vede nei giovani solo
dei Lucignoli scanzonati sempre alla ricerca del Paese dei Balocchi: in realtà nella scala
dei loro “mondi di vita” i soldi, il tempo libero e i divertimenti appaiono piuttosto laterali.
E’ pure vero, però, che la loro dimensione collettiva o “pubblica” (impegno sociale, politica,
religione) continua ad apparire decisamente marginale delineando solo una
“socialità ristretta” (19);
- l’ultimo punto è in realtà una domanda: riuscirà la società locale, il suo mercato
del lavoro, il mondo delle professioni, la domanda delle imprese, la formazione (scolastica
e non), i servizi di orientamento, nonché le variabili tecnologiche, organizzative,
macroeconomiche, familiari e giuridiche a fare del lavoro uno strumento non solo di
reddito e di “posti” ma anche di inclusione e di integrazione affi dabile delle generazioni
prossime venture? Molto del futuro della società trevigiana si giocherà su questa
capacità davvero strategica che chiede lungimiranza e sapienza politica.
27
8. Bibliografi a
(1) A. Accornero, San Precario lavora per noi, Rizzoli, Milano 2006, p. 13;
(2) M. Livi Bacci, Il Paese dei giovani vecchi, “il Mulino”, 3, 2005;
(3) G. Gosetti, Giovani, lavoro e signifi cati, Angeli, Milano 2005;
(4) La Rosa M., Cecere F., L’approccio sociologico ai concetti di qualità della vita lavorativa:
una proposta metodologica, in La Rosa M. (a cura di), qualità della vita e qualità del lavoro,
Einaudi, Torino, 1983, pp. 115-152;
(5) Grosso modo la scala dell’appetibilità sociale dei lavori ripropone la gerarchia rilevata a suo tempo
da A. de Lillo, A. Schizzerotto, La valutazione sociale delle occupazioni, il Mulino, Bologna 1985;
(6) A. Accornero, Perché l’orientamento al lavoro è ancora più importante di ieri, “il Mulino”,
1, 1999, pp. 139-140;
(7) E. Rullani, La fabbrica dell’immateriale, Carocci, Roma 2004, cap. decimo;
(8) C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Rapporto giovani, il Mulino, Bologna 2007, pp. 97-98;
(9) V. Filippi, I mutamenti del lavoro giovanile in Veneto: quantità, signifi cati, qualità, “Oltre il ponte”,
37, 1992, pp. 40-45;
(10) L. Ceccarini, Il lavoro che sognano gli italiani, “la Repubblica”, 17 ottobre 2004;
(11) C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), op. cit., p. 10;
(12) A. Rosina, Com’è diffi cile essere giovani in Italia, 17 luglio 2006, in www.lavoce.info;
(13) R. Sennett, La cultura del nuovo capitalismo, il Mulino, Bologna 2006, pp. 9-10;
(14) A. Bonomi, E. Rullani, Il capitalismo personale, Einaudi, Torino 2005, cap. quarto;
(15) Veneto Lavoro, Il mercato del lavoro nel Veneto, Angeli, Milano 2007, p. 54;
(16) Censis, Gli italiani al lavoro: un’impresa individuale, Roma 2002;
(17) G. Gosetti, op. cit., cap. nono;
(18) A. Accornero, Era il secolo del Lavoro, il Mulino 1997, p. 204;
(19) C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Giovani del nuovo secolo, il Mulino, Bologna 2002, cap. secondo.
29
1. Che cos’è lo studio?
Il sistema scolastico e il mondo del lavoro sono due aree sempre più connesse e in-
terdipendenti. Gli anni passati sui banchi della scuola e dell’università risultano, infatti,
fondamentali per il futuro lavorativo dell’individuo, per la trasmissione di determinate co-
noscenze: queste andranno a formare il bagaglio di saperi che il lavoratore sarà in grado
di spendere nel corso della vita lavorativa. E’ noto, infatti, che nell’epoca della “knowledge
economy”, la capacità competitiva di ogni persona (e conseguentemente della società
nel suo complesso) dipende in larga misura dal capitale umano di cui essa dispone.
Se quindi la scuola assume una valenza sempre più orientata alle esigenze del sistema
economico e tende a soddisfare la domanda di personale proveniente dal sistema delle
imprese, essa mantiene tuttavia ancora un enorme signifi cato pedagogico ed educativo,
di vera “magistra vitae” (per usare un’espressione che usualmente è riferita alla storia):
il suo obiettivo è anche quello di formare il cittadino, fornirlo di senso civico, istruirlo ai
valori della tolleranza e della convivenza civile, garantirgli un insieme di insegnamenti
che, sebbene raramente spendibili sul mercato del lavoro, contribuiscono a rafforzare
culturalmente e umanamente i discenti.
I giovani di Treviso propendono piuttosto nettamente per quest’ultima accezione di istru-
zione: per quasi due su tre lo studio è soprattutto un’occasione di crescita personale
e culturale, mentre solo un terzo interpreta il sistema scolastico come una strada per
entrare nel mondo del lavoro. Non si nota, inoltre, una diffusa avversione al mondo della
scuola o dell’università: solo il 5% afferma di studiare solo per obbedire a un’imposizione,
e per quasi nessuno lo studio è solo una perdita di tempo.
A sottolineare l’aspetto culturale dello studio sono soprattutto le ragazze, gli studenti
Analisi dei risultati
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universitari e i laureati. Particolare risalto ai fi ni culturali dell’istruzione è dato poi dagli
studenti-lavoratori, per la maggior parte dei quali - evidentemente - il lavoro costituisce
non molto più di un mezzo di sostentamento che permette loro di pagarsi gli studi.
Sul fronte opposto, mettono in rilievo l’aspetto “utilitaristico” della scuola gli under24
e gli studenti: in ciò si rifl ette uno sguardo speranzoso e confi dente nei confronti del
futuro, ovvero la convinzione che gli sforzi che si stanno compiendo sono fi nalizzati alla
costruzione di una carriera lavorativa; allo stesso tempo c’è una sottovalutazione dell’im-
portanza culturale dello studio. Tale importanza è rivalutata negli anni successivi, quando
molti giovani si accorgono - guardandosi indietro - del valore umano degli insegnamenti
ricevuti.
Dal confronto tra i giovani intervistati e i loro genitori, si evince che questi ultimi danno
ancora più rilevanza agli scopi culturali della scuola. La differenza tra le due generazioni,
tuttavia, non pare molto signifi cativa, tanto più che - come si è visto - tende ad annullarsi
molto rapidamente al crescere dell’età dei fi gli. Più interessante è osservare come i geni-
tori interpretino le opinioni dei fi gli: i padri e le madri dei 15-29enni, infatti, sottostimano
la motivazione personale/culturale alla base dello studio dei fi gli; al converso, essi sovra-
stimano leggermente la motivazione utilitaristica, e sono abbastanza numerosi quelli che
hanno l’impressione di avere fi gli svogliati e poco propensi ad impegnarsi a fondo nelle
attività istruttive (l’8% dice che per il proprio fi glio lo studio è solo un obbligo, il 3% che
è solo una perdita di tempo).
Si è sottolineata poco sopra l’importanza del capitale umano: nell’attuale era post-for-
dista esso rappresenta uno dei fattori produttivi centrali, tanto che negli ultimi anni sta
prendendo sempre più piede il “lifelong learning”. C’è infatti la diffusa consapevolezza
che in una società tecnologicamente sempre più avanzata non basta fornire all’individuo
- una volta per tutte - le conoscenze adatte al lavoro prima dell’inizio della sua carriera
lavorativa, ma occorre tenere i lavoratori in continuo aggiornamento, potenzialmente fi no
alla pensione. Ecco allora che risulta di vitale importanza, per ogni sistema economico,
avere una popolazione disposta ad apprendere e curiosa di imparare nuove nozioni,
senza sedersi sugli allori. I giovani della Marca soddisfano appieno tali requisiti: la quasi
totalità (il 93%) considera più importante imparare cose sempre nuove piuttosto che
possedere delle conoscenze acquisite. Tale atteggiamento si riscontra con una frequen-
za ancora maggiore tra i giovani cresciuti in famiglie con uno status socio-culturale alto
o medio-alto.
31
(ai Giovani) Lo studio, cos’e’ per te soprattutto?
(ai Genitori) Per Suo fi glio/Sua fi glia, cos’è lo studio soprattutto?
(ai Genitori) Lo studio, cos’e’ per Lei soprattutto?
Giovani Giovani visti Genitori
dai Genitori
É un’occasione di crescita personale e culturale 61 48 68
É una strada per entrare nel mondo del lavoro 33 40 29
É solo un obbligo 5 8 2
É solo una perdita di tempo 0 3 1
Niente di questo 1 1 0
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
Per te è più importante:
Giovani
Imparare cose sempre nuove 93
Possedere delle conoscenze acquisite 7
Preferisco non rispondere 0
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
2. Che cos’è il lavoro?
Studiare la percezione che una data popolazione ha del lavoro non è un compito facile.
Infatti, oltre alla sua ovvia valenza di mezzo per la percezione di un reddito, la vita lavorativa
assume signifi cati più ampli, che coinvolgono direttamente la personalità dell’individuo e
il suo sistema valoriale. Sarebbe semplicistico e fuorviante, quindi, studiare il rapporto tra
i giovani e il lavoro mediante un’ottica meramente economicistica; è necessario invece
indagare le dinamiche di fondo che stanno alla base di ogni rapporto lavorativo, capire i
fattori che inducono un individuo ad apprezzare o meno una data posizione, misurare in
cosa consistono i più profondi scarti tra il lavoro ideale da una parte, e il lavoro effettiva-
mente svolto dall’altra. Un’analisi degli orientamenti valoriali legati al lavoro è quindi per
forza di cose multidimensionale, interessando molteplici aspetti della Weltanschauung
individuale.
Una prima domanda introduttiva ci porta subito al centro della questione: la percezione
32
del lavoro. Un’analisi fattoriale delle risposte ci consente di individuare tre atteggiamenti
di fondo:
1. Atteggiamento materialista: è proprio di chi considera il lavoro come fonte di reddito.
E’ chiaramente un atteggiamento diffuso (condiviso in toto dall’82% dei rispondenti),
connaturato come è all’idea stessa del lavoro (se si esclude, ovviamente, il lavoro
volontario). Per sua natura, quindi, accomuna sia quanti fanno del guadagno di
denaro un obiettivo fondamentale della propria esistenza (ma questi sono una
minoranza, come vedremo meglio in seguito), sia quanti hanno la normale
necessità di guadagnarsi da vivere. In particolare, il lavoro è associato al reddito
dai laureati, dai lavoratori o studenti-lavoratori, dai dipendenti nel settore privato.
2. Atteggiamento post-materialista: è proprio di chi vede il lavoro come un’occasione
di realizzazione personale, ma anche come un’opportunità per fare amicizie.
Correlata con queste ultime due variabili è anche quella relativa all’affermazione
sociale, espressione cui evidentemente gli intervistati associano più una valenza
“relazionale” in senso lato che economica. Condividono tale atteggiamento soprattutto
le donne, gli under24, gli studenti e quanti lavorano nel settore pubblico.
3. Atteggiamento “lavoro = stress”: è proprio di chi, avendo come primo obiettivo la
realizzazione personale e non il guadagno materiale, ritiene però il lavoro non uno
strumento fi nalizzato all’autorealizzazione e al soddisfacimento dei bisogni di tipo
“espressivo”, ma al contrario un ostacolo a una buona qualità della vita. A Treviso, nella
classe d’età che stiamo studiando (tra i 15 e i 29 anni), si tratta di un atteggiamento
poco frequente (appena il 15% lo condivide appieno), segno che c’è una visione abba-
stanza positiva del lavoro. C’è tuttavia da considerare che c’è un altro 45% del campione
che condivide “abbastanza” tale atteggiamento. L’orientamento valoriale che vede il la-
voro interferire negativamente sulla propria vita privata è condiviso soprattutto da quanti,
in generale, hanno poco tempo da dedicare a se stessi: si tratta degli over24, di chi ha
già lasciato il “nido materno” (non vivendo più con la famiglia d’origine), degli studenti-
lavoratori, degli “heavy workers” (chi lavora più di 40 ore alla settimana).
Confrontando le due generazioni (giovani e loro genitori) non si notano signifi cative dif-
ferenze, eccezion fatta per una maggior tendenza anti-lavoro dei genitori; ma si tratta di
un atteggiamento comune, come abbiamo visto, ai più “maturi” dei giovani.
Interessante è anche indagare le differenze tra le reali opinioni dei fi gli e la percezione
che i genitori hanno della loro prole: si nota allora che i padri e le madri tendono a so-
33
vrastimare sia l’atteggiamento post-materialista dei fi gli, sia quello “lavoro = stress”. In
particolare, i genitori hanno un’immagine dei fi gli leggermente distorta e tendente a un
certo edonismo: essi, infatti, mettono in evidenza i concetti della ricerca di amicizie e
della scarsa attitudine all’impegno.
Al giorno d’oggi, al lavoro dei giovani è frequentemente associata l’immagine della preca-
rietà e dell’insicurezza del posto. C’è da chiedersi, tuttavia, quanto tale problematica sia
sentita dai giovani stessi, se e in che misura essa incida sulla vision che i 15-29enni della
Marca hanno del lavoro. I dati in nostro possesso ci descrivono un quadro meno fosco
della situazione: almeno per gli under 30, la fl essibilità del lavoro è un fattore positivo.
Il 58% degli intervistati, infatti, preferisce avere la possibilità di cambiare lavoro, contro
il 42% che predilige il classico “posto fi sso”. Bisogna tuttavia considerare da una parte
che quest’ultima percentuale è tutt’altro che irrilevante; dall’altra che stiamo parlando di
un target giovane, in cui meno pressanti sono le esigenze di stabilità (ad esempio lega-
te alla famiglia) e in cui più porte del mercato del lavoro si aprono, e meglio è. Diverso
sarebbe ovviamente il caso degli over30, per i quali la precarietà nella maggior parte dei
casi costituisce un grave handicap.
Puntano al lavoro fi sso soprattutto i precari e quanti lavorano meno di 35 ore alla setti-
mana, mentre gli studenti-lavoratori e gli impiegati nel settore privato sono più favorevoli
alla fl essibilità.
(ai Giovani) Cosa rappresenta per te il lavoro?
(ai Genitori) Cosa rappresenta per Suo fi glio/Sua fi glia il lavoro?
(ai Genitori) Cosa rappresenta per Lei, personalmente, il lavoro?
(% pienamente d’accordo)
Giovani Giovani visti Genitori
dai Genitori
Fonte di reddito 82 77 88
Occasione di realizzazione personale 62 71 66
Occasione di amicizie 37 46 39
Strumento di affermazione sociale 34 58 42
Necessità che limita la vita personale 15 29 27
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
34
(ai Giovani) Per te è più importante:
Giovani
Avere opportunità di cambiare lavoro 58
Non aver paura di perdere il lavoro 42
Preferisco non rispondere 3
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
3. I giovani di fronte al lavoro
Quando un giovane si trova a dover valutare la bontà di un’offerta di lavoro, per prima
cosa guarda gli aspetti per così dire “contrattuali”, e segnatamente il trattamento econo-
mico previsto e la durata (a tempo determinato o indeterminato) del contratto. In parti-
colare, a privilegiare l’aspetto monetario sono i lavoratori del settore privato, gli over24 e
gli “heavy workers”.
Solo secondariamente vengono prese in considerazione le altre caratteristiche. L’orien-
tamento che prima avevamo defi nito “materialista” si conferma quindi prevalente, anche
se al terzo posto in graduatoria troviamo quello che forse costituisce l’item più marca-
tamente “post-materialista” di tutti: la coerenza con le aspirazioni e i sogni. Seguono,
nell’ordine, alcuni aspetti inerenti le prospettive future che il lavoro può essere in grado di
garantire (possibilità di carriera, formazione e crescita professionale) e la coerenza con
gli studi effettuati. Volgendo lo sguardo alle disaggregazioni socio-anagrafi che, si nota
che gli studenti (soprattutto delle superiori) sono attirati molto dalle possibilità di fare
carriera, al contrario di chi è già dipendente a tempo indeterminato. Chi lavora nel settore
pubblico, inoltre, considera importante valutare attentamente quanto si può ottenere in
termini di formazione e crescita professionale; i lavoratori precari, all’opposto, palesano
una minore domanda di formazione.
Meno presi in considerazione, nella fase della scelta, sono gli aspetti ambientali (di ordi-
ne propriamente fi sico o di clima aziendale), l’autonomia organizzativa e la possibilità di
avere ferie e tempo libero. I lavoratori con partita IVA tendono a privilegiare la qualità di
strutture e servizi e la libertà di organizzarsi sul lavoro.
Confrontando i dati derivanti dai due campioni analizzati (giovani e genitori), notiamo
che:
• i giovani dimostrano di dare maggiore importanza alla coerenza con aspirazioni e
sogni, oltre alla possibilità di fare carriera. Essi quindi palesano un marcato orienta-
35
mento al futuro, dal punto di vista sia “ideale” sia “materiale”;
• i genitori sono più solidamente ancorati al “mito” del lavoro fi sso, e considerano
più rilevante la capacità di auto-organizzarsi;
• i genitori hanno una percezione alquanto veritiera e realistica della scala di valori dei
loro fi gli, però con una decisa sovra-stima dell’importanza attribuita all’aspetto mone-
tario.
Da quanto detto fi nora dovrebbe già risultare evidente la profonda diversità esistente,
all’interno del campione dei giovani, tra una parte che rimane ancorata alla famiglia d’ori-
gine, e una parte che invece è proiettata a tutti gli effetti verso la vita adulta. Di questo
secondo gruppo fanno parte in particolare gli over24, quanti hanno lasciato la casa dei
genitori (per andare a vivere con il coniuge o partner o da soli), e quanti hanno un lavo-
ro stabile. Tali persone si dimostrano molto più “pragmatiche” rispetto al primo gruppo,
dovendo affrontare le sfi de del caro-vita e della gestione domestica. Ciò è confermato
dalla predilezione di questi soggetti per il reddito mensile fi sso, piuttosto che per un gua-
dagno in funzione del proprio impegno; al contrario, gli studenti, i lavoratori part-time e
gli autonomi preferiscono la più rischiosa alternativa degli introiti variabili. In generale, il
57% del campione preferisce lo stipendio fi sso, con una netta prevalenza delle ragazze
(67%) sui ragazzi (46%).
Ma quali sono, più nello specifi co, i mestieri più ambiti dai giovani trevigiani? Ai primi due
posti della graduatoria, per un totale di oltre il 40% delle preferenze, troviamo due classi
di professioni che coniugano un elevato prestigio sociale, una buona remunerazione e
una relativa solidità e sicurezza: si tratta dei professionisti e consulenti, e dei dirigenti
(manager). Ambiscono a quest’ultima professione soprattutto gli uomini, i dipendenti del
settore pubblico e quanti non vivono più con i genitori.
A un secondo livello si collocano due professioni di profi lo “medio”: l’impiegato e l’inse-
gnante. La prima è gettonata soprattutto da chi ha un contratto a tempo indeterminato
e lavora nel settore privato; la seconda è prediletta dalle donne, oltre che dagli studenti-
lavoratori, dagli impiegati pubblici e da chi lavora part-time.
La fi gura dell’imprenditore, poi, risulta piuttosto sbiadita, non godendo di un prestigio pa-
ragonabile a quello dei liberi professionisti. E’ soprattutto tra gli studenti che la prospet-
tiva di diventare imprenditori non entusiasma, mentre i lavoratori a tempo determinato e
gli appartenenti al “popolo delle partite IVA” non disdegnano tale ipotesi.
Per un appeal ancora più scarso si contraddistinguono le professioni dell’artigiano e
36
del commerciante, nettamente sopravanzate anche dalla fi gura del tecnico specializzato.
Nessuno, infi ne, pare ambire al ruolo di operaio.
L’elevata specializzazione è l’elemento che di più attrae i genitori: essi augurano ai loro
fi gli di diventare professionisti, consulenti o tecnici specializzati. Sconsiglierebbero loro,
invece, sia la mediocrità del lavoro impiegatizio che la rischiosità dell’impresa individua-
le. Quanto al settore lavorativo, il settore privato continua a rappresentare la meta della
maggior parte dei giovani, ma vi è una consistente quota (pari a un terzo) che vorrebbe
trovare un impiego nella pubblica amministrazione. E una percentuale analoga di genitori
gradirebbe che il proprio fi glio o la propria fi glia lavorasse nel settore pubblico. Si tratta
di una parte rilevante di popolazione, che esprime una domanda ovviamente spropor-
zionata rispetto alla reale consistenza dell’offerta di posti in tale settore. Gradirebbero
lavorare nel settore pubblico soprattutto le donne, chi ha lasciato la casa dei genitori, gli
studenti-lavoratori e i lavoratori a tempo determinato.
Si è visto, poco sopra, che i genitori consigliano ai fi gli di cercare un lavoro il più possi-
bile qualifi cato. Tale atteggiamento è confermato dalla variabile relativa agli obiettivi da
conseguire mediante il futuro lavorativo dei giovani. I genitori, infatti, parlando dei fi gli,
danno maggiore importanza alla possibilità di mettere a frutto le loro capacità, oltre che
alla realizzazione dei loro progetti.
In generale, genitori e fi gli sono accomunati dal desiderio di vedere imboccata la strada
dell’autonomia dei giovani dalla famiglia di origine: un’autonomia da conseguirsi attraver-
so l’indipendenza economica e la creazione di una nuova famiglia. Sono le ragazze quelle
che mirano di più a crearsi una famiglia, mentre i laureati puntano alla realizzazione dei
loro progetti. E’ interessante notare che quanti non vivono più con i genitori hanno tra i
primari obiettivi quello dell’indipendenza economica dalla famiglia d’origine, segno che
spesso si lascia il nido materno e paterno prima di avere acquisito la necessaria solidità
fi nanziaria.
Non sono considerati obiettivi dello stesso livello il mettere a frutto le proprie capacità,
l’avere successo attraverso il lavoro, e il mettere a frutto gli studi compiuti (scopo, questo,
sottolineato soprattutto dagli studenti universitari). Infi ne, solo un’esigua minoranza mira
esplicitamente ad arricchirsi, a “fare i soldi”.
37
(ai Giovani) Qual e’ tra i seguenti l’aspetto per te piu’ importante quando valuti un lavo-
ro? Indica al massimo 2 aspetti
(ai Genitori) Per Suo fi glio/Sua fi glia, qual e’ tra i seguenti l’aspetto per Lei piu’ impor-
tante quando valuta un lavoro? Indichi al massimo 2 aspetti
(ai Genitori) Qual e’ tra i seguenti l’aspetto per Lei piu’ importante quando valuta un
lavoro? Indichi al massimo 2 aspetti
Giovani Giovani visti Genitori
dai Genitori
Il trattamento economico 16 20 16
La sicurezza del posto 14 13 18
La coerenza con aspirazioni e sogni 11 10 7
La possibilità di far carriera 11 10 6
La formazione e la crescita professionale 10 10 10
La coerenza con il titolo di studi 10 9 6
L’ambiente di lavoro (strutture e servizi) 7 7 6
Autonomia/libertà di organizzarsi sul lavoro 5 6 10
Il rapporto con i colleghi 5 7 9
La vicinanza a casa del lavoro 5 3 6
Il rapporto con i superiori 3 3 4
La possibilità di avere ferie e tempo libero 3 2 2
Non ci ho mai pensato 0 4 0
Preferisco non rispondere 1 2 1
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
Per te è più importante:
Giovani
Contare su un reddito mensile fi sso 57
Guadagnare in funzione del proprio impegno 43
Preferisco non rispondere 2
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
38
(ai Giovani) Potendo scegliere ritieni che sia preferibile lavorare come:
(ai Genitori) Potendo scegliere preferirebbe che Suo fi glio/Sua fi glia lavorasse come:
Giovani Genitori
Professionista, consulente 24 28
Dirigente/manager 19 18
Impiegato 13 7
Insegnante 12 10
Imprenditore 11 7
Tecnico specializzato 11 14
Artigiano 2 4
Commerciante 1 1
Operaio 0 1
Altro 7 10
Preferisco non rispondere 0 7
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
(ai Giovani) E potendo scegliere preferisci lavorare nel settore pubblico o privato?
(ai Genitori) E potendo scegliere preferisce che Suo fi glio/Sua fi glia lavori nel settore
pubblico o privato?
Giovani Genitori
Privato 67 64
Pubblico 33 36
Preferisco non rispondere 4 8
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
39
(ai Giovani) Quale, fra i seguenti, ritieni sia l’obiettivo piu’ importante da conseguire
attraverso il tuo futuro lavorativo? Indicane al massimo 2
(ai Genitori) Quale, fra i seguenti, ritiene sia l’obiettivo piu’ importante da conseguire
attraverso il futuro lavorativo di Suo fi glio/Sua fi glia? Ne indichi al massimo 2
Giovani Genitori
La possibilità di crearsi una famiglia 26 25
La realizzazione dei suoi progetti 22 26
L’indipendenza economica dalla famiglia 21 16
Mettere a frutto le proprie capacità 12 16
Avere successo attraverso il lavoro 7 8
Mettere a frutto gli studi compiuti 7 7
Fare soldi 5 2
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
4. Immagini del lavoro
Da quanto detto fi nora risulta evidente l’esistenza di una dimensione valoriale di fondo
dei giovani nei confronti del lavoro: si tratta di un asse che contiene a un polo il desiderio
di realizzare la propria persona attraverso l’attività lavorativa, di ottenere da essa gratifi -
cazioni che vadano al di là della retribuzione monetaria; al polo opposto dell’asse trovia-
mo un atteggiamento meno positivo nei confronti del lavoro, proprio di chi lo considera
un mero strumento di sostentamento.
Per meglio delineare tale dicotomia abbiamo chiesto agli intervistati di posizionarsi all’in-
terno di tale continuum valoriale, ovvero di dire se preferiscono accontentarsi del lavoro
che hanno, o invece inseguire sempre e comunque il lavoro ideale. Ne è risultato che la
metà del campione si colloca in una posizione intermedia, propria di chi si accontenta per
il momento del lavoro che ha, pur continuando a inseguire il lavoro ideale.
Oltre un terzo degli intervistati (37%) preferisce senz’altro inseguire il lavoro a sé più
consono, mentre solo una piccola minoranza (pari al 13%) dichiara di accontentarsi sem-
pre. In quest’ultimo gruppo sono molto sovrarappresentate le ragazze. La spinta al lavoro
dei sogni è invece una caratteristica soprattutto dei più giovani e degli studenti.
Quanto ai genitori, essi si dimostrano meno rassegnati dei fi gli, suggerendo loro di inse-
guire con forza un’occupazione più consona alle loro aspirazioni.
Allo stesso modo, il medesimo asse valoriale si riscontra nel caso di perdita del posto di
40
lavoro. Anche in questo caso, si possono classifi care i rispondenti secondo il loro mag-
giore o minore grado di “rassegnazione”. Ad un estremo del continuum troviamo quanti
sono disposti ad accettare qualsiasi lavoro, senza condizioni; sul versante opposto vi è
chi dichiara che accetterebbe solo lavori a lui/lei consoni, preferendo eventualmente
continuare a specializzarsi.
Pure qui prevale un atteggiamento intermedio: il 40% afferma che accetterebbe qualsia-
si lavoro, ma a determinate condizioni contrattuali.
L’atteggiamento rinunciatario, anche in questo caso, è minoritario: solo il 14% dichiara
che accetterebbe qualsiasi lavoro, senza condizioni. Ad accettare qualsiasi lavoro senza
condizioni sono soprattutto i lavoratori precari, abituati a passare da un lavoro all’altro e
pressati dall’ansia di non passare periodi di disoccupazione troppo lunghi.
Più consistente è la quota di chi si dichiara disponibile, in caso di assenza di lavoro, ad
accettare un periodo più o meno lungo senza lavorare pur di trovare alla fi ne un’occu-
pazione adeguata. Così il 15% (soprattutto studenti delle superiori) dichiara che conti-
nuerebbe a cercare il lavoro giusto per sé, e l’11% (in particolare gli uomini, gli studenti
universitari e i laureati) non disdegnerebbe di specializzarsi ulteriormente.
Il 7% (soprattutto laureati) dice che cercherebbe di fare uno stage; appena il 6% (in
particolare gli uomini) tenterebbe la strada del lavoro autonomo, e un ulteriore 5% an-
drebbe a lavorare nella ditta dei genitori. Un marginale 2%, infi ne, dedicherebbe il tempo
lasciato libero dall’assenza di lavoro a un’attività di volontariato.
I genitori, come già evidenziato in precedenza, si dimostrano molto attenti alla professio-
nalità dei fi gli, suggerendo loro di continuare a specializzarsi.
I padri e le madri dei 15-29enni, inoltre, suggeriscono ai fi gli di non curarsi delle distanze
geografi che, e di approfi ttare di eventuali opportunità di lavoro fuori provincia, non solo
in altre province del Veneto (83%), ma anche in altre regioni del Nord Italia (80%), del
Centro-Sud Italia (66%), o addirittura all’estero (in Europa 73%, in altri continenti 63%).
La volontà di vedere realizzati professionalmente i propri fi gli spinge dunque questi trevi-
giani ad accettare l’idea di un’emigrazione della prole, anche di lungo raggio.
I giovani, dal canto loro, si dimostrano sì disponibili a partire, ma si rivelano anche molto
più cauti e legati al territorio. Rispetto ai suggerimenti dei genitori, è soprattutto la desti-
nazione Centro/Sud Italia a destare non poche perplessità (appena il 33% vi si stabili-
rebbe). Spostarsi nelle altre province del Veneto, invece, non creerebbe troppi problemi
(79%). In generale, notiamo che sono le donne le più disposte a trasferirsi oltre i confi ni
regionali, sia in Italia che all’estero.
41
Le ragazze si rivelano quindi mediamente più intraprendenti - dal punto di vista lavorativo
- dei loro coetanei. Esse non solo si dicono più disponibili a spostarsi, ma anche ad en-
trare nel mondo del lavoro il prima possibile, facendo esperienza. Al contrario, sottoline-
ano l’importanza della specializzazione scolastica ed universitaria i ragazzi, gli studenti-
lavoratori, gli universitari e i lavoratori del settore pubblico. In generale, all’interno dei due
campioni considerati (giovani e genitori), circa due terzi degli intervistati considerano
più importante l’istruzione piuttosto che l’esperienza lavorativa. Ciò denota una diffusa
sfi ducia nei confronti delle potenzialità professionalizzanti del sistema delle imprese: al
learning by doing si continua a privilegiare, fi nché la giovane età lo consente, l’istruzione
formale fornita dal sistema scolastico ed universitario.
Tale preferenza nei confronti dell’istruzione formale trova conferma nelle doti che, secon-
do il campione di trevigiani, sono più utili per trovare un lavoro. La qualità più importante,
a detta dei giovani intervistati, consiste nella conoscenza delle lingue straniere, e al terzo
posto troviamo le abilità informatiche. Particolarmente interessante risulta l’analisi delle
disaggregazioni socio-anagrafi che: conoscere le lingue straniere è considerato fonda-
mentale soprattutto dalle donne, dai laureati e dagli studenti, in particolar modo univer-
sitari. I lavoratori del settore privato, al contrario, tendono a sottovalutarne l’importanza:
la sensazione è che il sistema scolastico e universitario punti molto sulle competenze
linguistiche, instillando con successo nei giovani l’idea dell’indispensabilità dell’appren-
dimento soprattutto dell’inglese; una volta entrati nel mondo del lavoro, molti giovani si
rendono poi conto che la realtà non corrisponde esattamente a quella che è stata loro
presentata negli anni formativi, e che per molti lavori l’inglese non serve o quasi.
A un livello leggermente inferiore si collocano le doti per così dire “naturali” di ciascun
individuo, che si acquisiscono principalmente al di fuori del circuito scolastico-universi-
tario: la capacità di lavorare in team e le doti comunicative (giudicate utili in particolare
dai laureati e da chi ha una partita IVA).
I giovani, invece, tendono a non dare particolare rilievo a quello che comunemente è
considerato, almeno in Italia, uno dei più frequenti canali d’accesso al mondo del lavoro:
le conoscenze e le amicizie. Al crescere del titolo di studio aumenta tuttavia la consape-
volezza dell’importanza di tale aspetto, ritenuto molto importante anche dai precari e dal
popolo delle partite IVA.
Agli ultimi posti, infi ne, si collocano le caratteristiche acquisibili soltanto con l’esperien-
za sul campo, ovvero la conoscenza del mondo degli affari (considerata di una certa
importanza dagli uomini) e l’aver fatto uno stage; bassa è anche l’importanza attribuita
42
all’aspetto fi sico (evidenziata soprattutto dalla metà femminile del campione).
Un altro aspetto da prendere in considerazione all’atto di accettare o rifi utare un lavoro
consiste nella copertura previdenziale che esso può garantire. Non di rado, infatti, il la-
voratore si trova di fronte a una sorta di trade off tra guadagno immediato e sicurezza di
una buona pensione per il futuro. Una propensione sul primo aspetto denota una sostan-
ziale fi ducia nelle proprie capacità, e conseguentemente nella propria attitudine ad otte-
nere introiti suffi cienti a garantirsi un’agiata vecchiaia anche in assenza della previdenza
pubblica. Al contrario, chi preferisce la sicurezza pensionistica si rende conto che questo
è l’unico mezzo per poter disporre di un suffi ciente reddito anche durante gli anni della
pensione. Non è un caso che a privilegiare la copertura pensionistica completa siano
i soggetti caratterizzati da elevati valori sulla scala di coping, ovvero quanti si sentono
poco competitivi dal punto di vista lavorativo.
Poco più la metà di entrambi i campioni (giovani e genitori) è orientato alla copertura
pensionistica completa: a preferirla sono soprattutto le ragazze, i lavoratori dipendenti
(specie quelli del settore pubblico), e i giovani che sono andati a vivere fuori dalla casa
dei genitori. La soluzione dell’alto guadagno immediato (molto meno gettonata) è invece
scelta con più frequenza dai lavoratori autonomi e dai precari, evidentemente rassegnati
all’idea di non potere disporre di alcuna certezza previdenziale. E’ degno di attenzione
il fatto che i lavoratori tendono a privilegiare o l’una o l’altra delle due ipotesi “estreme”,
trascurando quella centrale (un guadagno medio-alto e una piccola pensione per il fu-
turo).
43
(ai Giovani) Nella ricerca di un’occupazione, preferisci inseguire il lavoro ideale che ti
piace oppure accontentarti delle offerte piu’ appetibili rinunciando in parte alle tue aspi-
razioni?
(ai Genitori) Nella ricerca di un’occupazione, suggerirebbe a Suo fi glio/Sua fi glia di
inseguire il lavoro ideale che gli/le piace oppure di accontentarsi delle offerte piu’ appe-
tibili rinunciando in parte alle sue aspirazioni?
Giovani Genitori
Di accontentarsi per ora, ma di 50 50
continuare a cercare il lavoro ideale
Di inseguire il lavoro ideale 37 44
Di accontentarsi sempre del lavoro che ha 13 6
Preferisco non rispondere 3 1
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
(ai Giovani) Se sei/fossi senza lavoro, che cosa faresti piu’ probabilmente?
(ai Genitori) Se Suo fi glio/Sua fi glia e’/fosse senza lavoro, che cosa gli/le suggerirebbe
di fare?
Giovani Genitori
Di accettare qualsiasi lavoro, con 40 36
alcune condizioni (stabilità, paga...)
Di continuare a cercare il lavoro giusto per lui/lei 15 16
Di accettare qualsiasi lavoro, senza condizioni 14 14
Di provare a specializzarsi (ulteriormente) 11 15
Di provare a fare uno stage 7 4
Di provare a dare vita a una propria attività autonoma 6 9
Di venire a lavorare nella ditta dei genitori 5 4
Di fare volontariato senza essere retribuito 2 2
Preferisco non rispondere 0 1
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
44
(ai Giovani) Se trovassi un buon posto di lavoro, andresti a lavorare:
(ai Giovani) Se Suo fi glio/Sua fi glia trovasse un buon posto di lavoro fuori provincia, Lei
sarebbe soddisfatto se andasse a lavorare:
Desiderata Desiderata
dei Giovani dei Genitori
In altre province del Veneto 79 83
In altre regioni del Nord Italia 62 80
Al Centro/Sud Italia 33 66
In altri Paesi europei 54 73
In altri continenti 45 63
percentuale di risposte affermative al netto delle non risposte
Secondo te/Lei, per trovare un lavoro adeguato, occorre:
Giovani Genitori
Avere un alto titolo di studio 66 64
e specializzarsi il piu’ possibile
Cominciare a lavorare il prima 34 36
possibile, facendo esperienza
Preferisco non rispondere 2 5
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
(ai Giovani) Dovendo scegliere, saresti piu’ disponibile ad accettare un lavoro che ga-
rantisca:
(ai Genitori) Dovendo dare un consiglio a suo fi glio/sua fi glia, gli/le suggerirebbe di
accettare un lavoro che garantisca:
Giovani Genitori
Un guadagno medio, con una 55 57
copertura pensionistica completa
Un guadagno medio-alto e una 31 33
piccola pensione per il futuro
Un guadagno alto, ma nessuna 14 10
pensione per il futuro
Preferisco non rispondere 1 5
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
45
Secondo la tua esperienza o per quanto hai sentito dire, quali sono le qualità piu’ utili per
trovare un lavoro? Indicane al massimo 3
Giovani
Conoscenza delle lingue straniere 21
Capacità di lavorare con gli altri 18
Abilità informatiche 16
Doti comunicative 16
Conoscenze e amicizie 12
Capacità imprenditoriali/conoscenza 7
del mondo degli affari
Bella presenza 6
Aver fatto uno stage 2
Altro 2
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
5. Identità del lavoro
I giovani lavoratori trevigiani, in generale, sono soddisfatti del lavoro svolto: appena il
20% palesa un malcontento complessivo per l’attività che svolge. All’interno della fascia
dei soddisfatti, tuttavia, l’appagamento “moderato” (54% del totale) prevale sulla soddi-
sfazione completa (26% del totale). Osservando gli indici di soddisfazione sui vari aspetti
del lavoro, si evince che quasi tutti si trovano al di sotto dell’indice generale, mentre in
corrispondenza di un solo ambito i lavoratori esprimono un grado di soddisfazione più
elevato di quello generale: si tratta dei rapporti con i colleghi.
I migliori giudizi si riscontrano, oltre che sulle relazioni con i colleghi (88% di molto o ab-
bastanza soddisfatti), anche sui rapporti con i superiori (75%), sull’orario di lavoro (74%)
e sull’ambiente fi sico di lavoro (74%).
Gli intervistati si dimostrano abbastanza soddisfatti della sicurezza del posto di lavoro
(69%) della durata del tragitto casa-lavoro (69%), del livello di responsabilità nel lavo-
ro (69%), del riconoscimento delle professionalità (68%), del tempo libero disponibile
(65%), della varietà del lavoro (65%) e della retribuzione (61%).
Leggermente più bassi sono i giudizi inerenti il livello contrattuale (57%), la possibilità
di crescita professionale (56%) e il riconoscimento dei meriti (54%). In generale insuf-
fi cienti, invece, risultano invece le valutazioni medie delle prospettive di carriera (45%) e
dell’autonomia decisionale (45%).
46
L’analisi fattoriale delle variabili mette in luce la presenza di quattro dimensioni principali,
che spiegano complessivamente una quota di varianza molto rilevante, pari al 72%. Le
quattro dimensioni che riassumono i giudizi dei giovani trevigiani sul lavoro svolto sono
le seguenti:
1) Dimensione contrattuale. E’ la dimensione più rilevante, che spiega il 21,8% della
varianza. Essa è altamente correlata con le variabili attinenti alle condizioni contrattua-
li, che normalmente vengono fi ssate prima dell’inizio di un rapporto di lavoro. Si tratta
degli aspetti fondamentali di un rapporto di lavoro: la retribuzione, la sicurezza del
posto (ovvero se il contratto è a tempo determinato o indeterminato), la posizione o li-
vello contrattuale. I più soddisfatti di questi aspetti sono gli under24, chi non ha ancora
ottenuto il diploma, i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, e quanti hanno un
orario di lavoro compreso tra le 36 e le 40 ore settimanali. I più scontenti, al contrario,
sono gli studenti-lavoratori, i precari, i lavoratori part-time e gli “heavy workers” (quanti
lavorano più di 40 ore alla settimana).
2) Dimensione ambientale. La seconda dimensione spiega il 21,5% della varianza
totale, e comprende gli aspetti che hanno a che vedere con l’ambiente di lavoro, sia in
senso fi sico, sia dal punto di vista del “clima aziendale”. Le variabili correlate a questa
dimensione sono quindi l’ambiente fi sico di lavoro, i rapporti con colleghi e superiori,
il riconoscimento dei meriti e delle professionalità. L’ambiente di lavoro è giudicato
positivamente soprattutto da chi lavora 35 ore alla settimana o meno; i più critici sono
invece i laureati e i lavoratori con partita IVA.
3) Dimensione dell’autonomia. Questa terza dimensione spiega il 16,5% della varianza
totale, e comprende gli aspetti attinenti al grado di autonomia nel lavoro e al livello di
professionalità richiesta nello svolgimento dell’attività. Le variabili correlate con tale
dimensione sono l’autonomia decisionale, la responsabilità, la varietà del lavoro, la
crescita professionale e le prospettive di carriera. I più soddisfatti dell’autonomia loro
concessa sono gli under24 (probabilmente perché meno esigenti) e i lavoratori con
partita IVA. Vorrebbero un raggio di manovra più ampio i lavoratori del settore pubblico,
i lavoratori part-time, gli studenti-lavoratori e i laureati. Anche chi ha lasciato la famiglia
d’origine palesa una decisa insoddisfazione sotto questo aspetto.
47
4) Dimensione della gestione dei tempi. La quarta dimensione individuata spiega
il 12,2% della varianza totale, e riguarda la possibilità di conciliare la vita lavorativa
con quella extra-lavorativa. Essa, infatti, è molto correlata con le variabili dell’orario di
lavoro, della disponibilità di tempo libero e della durata del “commuting”, ovvero dello
spostamento dall’abitazione al luogo di lavoro e viceversa. A giudicare positivamente il
proprio lavoro da questo punto di vista sono quanti hanno un minor livello di scolarità,
i lavoratori del settore pubblico, i lavoratori con partita IVA e quanti hanno un orario di
lavoro compreso tra le 36 e le 40 ore settimanali. A soffrire di più la carenza di tempo
sono invece gli “heavy workers” e quanti, avendo lasciato la casa dei genitori, devono
sobbarcarsi anche l’onere della gestione domestica.
Delle quattro dimensioni, tutte sono (come era logico attendersi) positivamente correlate
con la soddisfazione generale del lavoro svolto, ma le prime due (e in particolare la pri-
ma) sono correlate molto di più rispetto alla terza e alla quarta. Ciò signifi ca che i giovani
lavoratori trevigiani, nel giudicare complessivamente la propria attività lavorativa, danno
un forte peso al fattore “contrattuale” (indice di correlazione +0,58) e a quello “ambien-
tale” (+0,45); importanti, ma meno determinanti, sono il fattore dell’autonomia (+0,34) e
della gestione dei tempi (+0,32).
Gli intervistati palesano una complessiva soddisfazione per gli aspetti ambientali (soprat-
tutto per il rapporto con colleghi e superiori e per l’ambiente fi sico di lavoro). Discreto è il
giudizio sugli aspetti relativi alla gestione del tempo, mentre mediocre è la soddisfazione
sulle questioni contrattuali, con la parziale eccezione della sicurezza del posto. L’aspetto
più critico evidenziato dagli intervistati è invece quello dell’autonomia lavorativa.
Si è visto dunque che i giovani si dichiarano in generale abbastanza soddisfatti del loro
lavoro. Tuttavia, se confrontiamo la soddisfazione dei giovani stessi per tutta una serie di
aspetti della loro vita, notiamo che il lavoro risulta, assieme al reddito, l’ambito più critico.
Sul lavoro e sul reddito, infatti, si concentrano i giudizi più negativi, evidenziati dallo scar-
to esistente tra il punteggio di importanza (8,3 per entrambi) e quello di soddisfazione
(6,4 per il lavoro; 6,0 per il reddito). Se consideriamo solo chi lavora, la situazione - come
era logico attendersi - migliora leggermente, ma lo iato tra soddisfazione e importanza
rimane (1,3 punti per quanto riguarda il lavoro, addirittura 2,2 per quel che concerne il
reddito). A pesare è soprattutto la non perfetta coerenza del lavoro svolto rispetto agli
studi fatti (è insoddisfatto il 39%), alle aspirazioni personali (è insoddisfatto il 40%),
nonché, seppure in misura minore, con le aspirazioni dei genitori (è insoddisfatto il 31%).
48
Il lavoro svolto è giudicato poco coerente con tutto ciò soprattutto da chi è cresciuto in
una famiglia con uno status sociale basso o medio-basso.
Per i giovani della Marca il lavoro riveste una notevole importanza, ma come obiettivo
è subordinato alla realizzazione nella vita privata: famiglia e amore sono ai vertici della
loro scala di priorità, soprattutto per le ragazze. Subito sotto il lavoro si colloca l’amicizia,
considerata fondamentale dalle ragazze e dagli under24; piuttosto staccati troviamo gli
ambiti della cultura (stimata importante soprattutto dai lavoratori stabili, dagli impiegati
pubblici e dagli abitanti sopra i 10.000 abitanti), dello studio e dello sport (ritenuto di una
certa importanza soprattutto dai ragazzi). Profondamente diverso è il quadro che emerge
dalle risposte dei genitori: questi ultimi, sul piano della vita privata, danno più importanza
alla famiglia e meno all’amore; essi, inoltre, tendono a dare più importanza al lavoro. I
genitori, inoltre, tendono a sovrastimare l’importanza attribuita dai loro fi gli all’amicizia e
al divertimento, e a sottostimare quella attribuita a famiglia ed amore.
I giovani intervistati, sebbene non dimostrino un sostanziale orientamento al rischio e
all’innovazione (come dimostra il già sottolineato “appannamento” della fi gura dell’im-
prenditore), si sentono tuttavia piuttosto adeguati ad affrontare le sfi de della competizio-
ne. In un mercato del lavoro sempre più competitivo, due terzi dei 15-29enni trevigiani
non temono di mettere in gioco le proprie competenze: solo un terzo è affetto dal coping,
ovvero quella sensazione di inadeguatezza che limita l’iniziativa individuale e la crescita.
Tale percezione è piuttosto consistente tra gli studenti delle scuole superiori, ma ten-
de a declinare tra i più “maturi”: la Marca può disporre di una popolazione 25-30enne
cosciente delle proprie possibilità e in grado di dare un proprio contributo allo sviluppo
economico locale.
Va poi sottolineato che il valore della meritocrazia prevale su quello dell’uguaglianza, e
che c’è un sostanziale favore nei confronti della fl essibilità del lavoro.
49
(ai Giovani) Quanto sei soddisfatto dei seguenti aspetti del tuo lavoro?
Molto Abbastanza Somma Molto Poco Per niente Preferisco
+ Abbastanza non rispondere
Rapporti con i colleghi 41 47 88 6 6 0
In generale per 26 54 80 16 4 2
lavoro svolto
Rapporti con i superiori 20 55 75 17 8 3
Orario 31 43 74 20 6 0
Ambiente fi sico di lavoro 29 45 74 21 5 1
Sicurezza del posto 38 31 69 12 19 0
Durata del viaggio 43 26 69 21 10 3
Responsabilità 17 52 69 21 10 0
Riconoscimento delle 21 47 68 19 13 3
professionalita
Tempo libero 25 40 65 28 7 0
Varietà del lavoro 25 40 65 30 5 0
Retribuzione 16 45 61 26 13 0
Posizione/livello 14 43 57 26 17 6
contrattuale
Crescita professionale 12 44 56 28 16 0
Riconoscimento dei meriti 12 42 54 26 20 6
Prospettive di carriera 8 37 45 35 20 1
Autonomia decisionale 9 36 45 35 20 0
dati riportati a 100 in assenza di non risposte. Rispondenti: i giovani che lavorano
(ai Giovani) Con una scala 1-10, quanto sono importanti i seguenti aspetti della tua
vita?
(ai Giovani) Con una scala 1-10, quanto ti senti soddisfatto dei seguenti aspetti della
tua vita?
Tutti i Giovani Solo i Giovani Lavoratori
Importanza Soddisfazione Importanza Soddisfazione
Salute 9,7 8,5 9,7 8,4
Rapporti familiari 9,3 8,7 9,4 8,7
Istruzione e cultura 8,5 7,5 8,5 7,4
Reddito 8,3 6,0 8,5 6,3
Lavoro 8,3 6,4 8,2 6,9
Tempo libero 7,9 7,2 8,0 6,9
Impegno sociale 6,9 6,4 7,0 6,1
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
50
(ai Giovani) Pensando alla tua vita, quale dei seguenti ambiti consideri prioritario? Indi-
ca al massimo 3 ambiti
(ai Genitori) Pensi adesso a Suo fi glio/Sua fi glia. Secondo Lei, quale dei seguenti am-
biti è considerato prioritario da lui/lei? Indichi al massimo 3 ambiti
(ai Genitori) Pensando alla Sua vita, quale dei seguenti ambiti considera prioritario?
Indichi al massimo 3 ambiti
Giovani Giovani visti Genitori
dai Genitori
Famiglia 25 19 29
Amore 17 10 10
Lavoro 15 16 20
Amicizia 14 18 11
Cultura 7 5 8
Studio 5 9 6
Sport 4 7 1
Divertimento 3 7 2
Impegno sociale 3 3 6
Ricchezza 3 2 3
Politica 2 1 1
Religione 1 1 3
Non avere vincoli 1 2 0
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
(ai Giovani che lavorano) Il lavoro che svolgi è coerente con
Gli Studi fatti Le Aspirazioni I Desideri
Personali dei Genitori
Molto 35 20 19
Abbastanza 26 40 50
Risposte positive 61 60 69
Poco 10 16 18
Per niente 29 24 13
Non saprei 0 0 4
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
51
Orientamento Coping
(nota: IN TREND indica la posizione di chi si sente inadeguato)
Giovani
In Trend 16
Slight in Trend 19
Slight off Trend 38
Off Trend 27
Non classifi cati 1
dati riportati a 100 in assenza di non classifi cati
Quali delle seguenti affermazioni condividi?
Giovani
Sempre più spesso mi trovo a competere 41
con persone più preparate
Avverto in maniera sempre più pressante 38
lo stress della competizione
La velocità con cui oggi cambiano le cose 30
nel lavoro mi fa sentire spesso inadeguato
percentuale di risposte affermative al netto delle non risposte
Quali delle seguenti affermazioni condividi?
Giovani
La nostra società non premia abbastanza 71
chi è disposto ad assumersi dei rischi
In questi anni si è pensato troppo 62
all’uguaglianza di tutti piuttosto
che ai meriti del singolo
La fl essibilità del lavoro farà solo gli interessi 61
delle imprese e costringerà i giovani
a lavorare nei prossimi anni in regime
di precarietà e incertezza
La ricerca dell’uguaglianza sociale ed 58
economica frena le iniziative individuali
percentuale di risposte affermative al netto delle non risposte
52
6. Il futuro
Fin qui si sono descritti gli atteggiamenti valoriali di fondo dei giovani trevigiani riguardo
le tematiche lavorative. E’ però anche importante capire in che direzione i giovani stessi
hanno la percezione di andare; abbiamo allora scelto un termine temporale suffi ciente-
mente ampio (pari a un decennio), per sondare le prospettive future che i giovani stessi
si attribuiscono, e quelle attribuite loro dal campione di genitori.
Innanzitutto notiamo che non ci sono profonde e signifi cative differenze tra la vision
futura dei giovani e quella dei genitori: per la maggioranza di entrambi i gruppi, il por-
to verso cui stanno facendo rotta i giovani è un lavoro dipendente e stabile. Un lavoro
dipendente stabile è previsto soprattutto dai laureati, meno da chi ha una partita IVA o
lavora a tempo parziale. Seguono, nell’ordine, le posizioni di lavoro autonomo: in primis
le libere professioni, seguite a distanza da un’azienda propria (prevista soprattutto da chi
ha partita IVA e dai meno istruiti) e da una attività commerciale: a prevedere di diventare
commercianti sono soprattutto i più giovani.
Numericamente poco rilevanti sono le previsioni “pessimistiche”, indicanti un futuro da
lavoratore precario. Ciò indica una sostanziale fi ducia nella temporaneità della condizio-
ne precaria, una condizione che, a parere degli intervistati, è destinata a diventare via via
meno frequente al crescere dell’età.
Per quanto riguarda invece il futuro sul piano personale, la maggior parte degli intervistati
(54%) prevede che tra 10 anni sarà sposata. Di questi, la stragrande maggioranza (il
93%, pari al 50% del totale) ritiene che a quell’epoca avrà anche fi gli. La convivenza è
prevista dal 22% del campione: tali convivenze saranno coronate da prole nel 55% dei
casi (pari al 12% del totale). Un quinto del campione di giovani, inoltre, si immagina sin-
gle o a vivere con amici o colleghi; appena il 4% si vede a vivere ancora con i genitori.
Profondamente diverse, da questo punto di vista, sono le attese dei genitori: cultural-
mente più ancorati all’idea di famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio, essi sono
molto più portati a vedere i propri fi gli sposati (67%) piuttosto che conviventi (12%) o
single (10%); una discreta percentuale, poi, prevede che i fi gli vivranno ancora con la
famiglia d’origine (11%).
53
(ai Giovani) Come ti immagini fra 10 anni sul piano lavorativo?
(ai Genitori) Come immagina Suo fi glio/Sua fi glia fra 10 anni sul piano lavorativo?
Giovani Genitori
Con un lavoro dipendente stabile 59 57
Con un suo studio professionale 17 15
Con un’azienda di sua proprietà 8 8
Con una sua attività commerciale 8 10
Con un lavoro dipendente precario 4 6
A lavorare con i genitori 1 4
Disoccupato 1 0
Studente lavoratore 1 0
Studente non lavoratore 1 0
Preferisco non rispondere 3 3
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
(ai Giovani) E sul piano personale come ti immagini fi glia fra dieci anni?
(ai Genitori) E sul piano personale come immagina Suo fi glio/Sua fi glia fra dieci anni?
Giovani Genitori
Sposato/a con fi gli 50 59
A vivere da solo/a, single o con amici /colleghi 20 10
Convivente con fi gli 12 8
Convivente senza fi gli 10 4
A vivere ancora con la famiglia d’origine 4 11
Sposato/a senza fi gli 4 8
Preferisco non rispondere 4 5
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
7. Il lavoro ideale
Nel capitolo 5 abbiamo sottolineato l’incidenza dei fattori “contrattuali” nel giudizio di un
lavoro. Non sorprende allora che anche nel delineare il lavoro ideale i giovani mettano al
primo posto, in ordine di importanza, la retribuzione (voto 8,6 in una scala da 1 a 10)e la
sicurezza del posto di lavoro (8,9).
Di fondamentale rilevanza (con voti tra l’8 e l’8,5) risultano anche i rapporti con colleghi
e superiori, il poter mettere a frutto le proprie doti creative, l’indipendenza, la possibilità di
fare carriera, la capacità di auto-organizzazione e la relazionalità con gli altri.
A un livello un po’ più basso (tra il 7 e l’8) troviamo la responsabilità, la disponibilità di
54
tempo libero, il prestigio, l’utilità sociale e la possibilità di viaggiare.
Non emana un consistente fascino, invece, l’ipotesi di avere un’azienda propria (6,2), e
ancor meno sono ambiti i lavori “solitari”, che isolano dal mondo esterno (4,1).
L’aspetto retributivo è sottolineato dai dipendenti a tempo indeterminato e da quanti non
vivono più con i genitori, molto meno dagli studenti delle superiori. Questi ultimi ambi-
scono più degli altri alla possibilità di viaggiare e ad avere un’azienda propria. I lavoratori
con partita IVA e gli “heavy workers” chiedono responsabilità e auto-organizzazione. Le
posizioni lavorative di prestigio, infi ne, sono ambite soprattutto dalla metà maschile del
campione.
Il confronto tra giovani e genitori non fa emergere macroscopiche divergenze; notiamo
tuttavia che per i giovani sono più importanti una buona retribuzione, la possibilità di
fare carriera e la possibilità di viaggiare, mentre i loro genitori mettono in risalto l’aspetto
dell’utilità sociale.
Abbiamo chiesto ai giovani lavoratori di confrontare il profi lo del lavoro ideale da loro ap-
pena delineato con il lavoro effettivamente svolto: ne è risultato che il 37% considera il
proprio lavoro molto affi ne a quello ideale, mentre il 29% lo considera al contrario molto
distante. I più soddisfatti sono i lavoratori con partita IVA; i più scontenti risultano essere
gli studenti-lavoratori, i precari e i lavoratori part-time.
Gli aspetti che maggiormente contribuiscono a creare la frattura esistente tra lavoro
ideale e lavoro effettivamente svolto solo la retribuzione (giudicata insuffi ciente soprat-
tutto dalle donne, dagli studenti-lavoratori, dai lavoratori a progetto e altri precari e dai
residenti in comuni sotto i 10.000 abitanti), la sicurezza del posto (considerata carente
da precari e lavoratori part-time), la possibilità di viaggiare (valutata scarsa dai dipen-
denti a tempo indeterminato), di fare carriera (se ne lamentano soprattutto i dipendenti
pubblici) e di mettere a frutto le proprie doti creative (è un problema sentito soprattutto
da laureati e precari).
Notiamo inoltre che i laureati lamentano un defi cit nella capacità di auto-organizzazione,
mentre le donne vorrebbero svolgere un lavoro più utile alla società.
55
(ai Giovani) Ti chiediamo ora di delineare il profi lo del tuo LAVORO IDEALE. Con una
scala da 1 (min) a 10 (max), indica quanto sono importanti le seguenti caratteristiche:
(ai Genitori) Le chiediamo ora di delineare il profi lo del Suo LAVORO IDEALE (Suo,
non di Suo fi glio/Sua fi glia). Con una scala da 1 (min) a 10 (max), indichi quanto sono
importanti le seguenti caratteristiche:
Giovani Genitori
Sicurezza del posto 8,9 8,8
Buona retribuzione 8,6 8,1
Buoni rapporti con i colleghi 8,5 8,8
Buoni rapporti con i superiori 8,5 8,9
Poter mettere a frutto le proprie doti creative 8,2 8,5
Indipendenza 8,2 8,5
Possibilità di fare carriera 8,2 7,7
Capacità di auto-organizzazione 8,2 8,4
Lavoro che mette in relazione con gli altri 8,1 8,0
Avere responsabilità 7,8 7,8
Avere molto tempo libero 7,5 7,2
Lavoro di prestigio 7,4 7,2
Lavoro utile alla società 7,3 8,3
Possibilità di viaggiare 7,1 6,4
Avere una mia azienda 6,2 6,1
Lavoro solitario, senza contatti con gli altri 4,1 4,3
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
56
(ai Giovani che lavorano) Il lavoro che stai svolgendo ora, in che misura corrisponde
al profi lo di lavoro ideale che hai appena descritto? Utilizza una scala da 1 a 10, dove 1
signifi ca la minima corrispondenza, 10 la massima
Giovani
1 6
2 7
3 0
4 2
5 14
Somma 1-5 29
6 19
7 15
Somma 6-7 34
8 26
9 6
10 5
Somma 8-10 37
Media 6,3
dati riportati a 100 in assenza di non risposte
E quali sono gli aspetti del tuo attuale lavoro che maggiormente si distanziano dal tuo
lavoro ideale? Indicane al massimo 5
Giovani
Retribuzione 40
Sicurezza del posto 32
Possibilità di viaggiare 25
Possibilità di fare carriera 24
Poter mettere a frutto le proprie doti creative 23
Avere una mia azienda 20
Indipendenza 17
Disponibilità di tempo libero 15
Capacità di auto-organizzazione 14
Buoni rapporti con i superiori 13
Lavoro di prestigio 13
Buoni rapporti con i colleghi 12
Lavoro utile alla società 11
Lavoro solitario, senza contatti con gli altri 9
Lavoro che mette in relazione con gli altri 7
Avere responsabilità 5
Preferisco non rispondere 10
somma delle risposte consentite
57
Prospettiva lavoro: i giovani tengono i “piedi per terra”.
Stipendio e rispettabilità sono le chiavi del successo.
Non vivono ancora il mondo del lavoro da protagonisti. Eppure le loro valutazioni sono
piene di realismo. Il loro punto di vista è adulto, carico di una maturità ereditata dalla
famiglia e dal territorio di appartenenza. Per i giovani trevigiani, il lavoro è innanzitutto
“una cosa che bisogna fare per vivere”, è una necessità senza la quale non si può prov-
vedere al proprio sostentamento. Tra le idee predominanti emerge, tra l’altro, il dipinto di
un bell’ambiente, dove le mansioni siano gratifi canti, dove la felicità si tocchi con mano.
Ma si tratta di una felicità che non può prescindere da un’adeguata remunerazione. La
sicurezza economica, infatti, è vista come la base fondamentale per garantirsi una serie
di beni materiali (una casa, un’auto, etc.), ma anche come il pre-requisito per realizzarsi
come uomini e donne, costruendosi una famiglia.
Per questo i ragazzi della Marca sognano “con i piedi per terra” e sperano di ricoprire dei
ruoli lavorativi ben pagati e in grado di offrire uno status sociale rispettato e desiderabile.
Lontano dalle visioni bambinesche di astrusi e, a volte irrealizzabili, sogni nel cassetto,
da grandi vogliono diventare imprenditori, insegnanti, medici, ricercatori o lavorare nel
settore alberghiero.
Accanto a qualche sporadico segnale di incertezza, dovuta forse al fatto di non essersi
ancora messi davvero in discussione nei confronti del futuro, i ragazzi sanno che “la
strada da percorrere è ancora lunga”, dipingono un futuro in ascesa, ma ricco di sentieri
impervi. Hanno ben chiari, probabilmente anche per l’educazione che hanno ricevuto,
i sacrifi ci che dovranno affrontare. Dichiarano di essere disposti a “partire dal basso”,
riconoscono che lo studio è un gradino necessario e fondamentale per avere le carte
Appendice. I focus group.
Alla ricerca di un equilibrio
tra gratifi cazione economica
e realizzazione personale
58
giuste da giocare nella partita lavorativa, dimostrando, anche in questo caso, una vision
decisamente adulta.
Qualcuno ha paura di non possedere le qualità propriamente ricercate dalle aziende,
ha il timore di non essere all’altezza della contemporaneità. Ma, nella maggior parte dei
casi, si avverte una certa sicurezza, una forte determinazione e una fi ducia di fondo che
spinge gli intervistati a credere che un giorno saranno “qualcuno”. C’è sete di posto fi s-
so, di stabilità economica, quindi, ma anche di potere, c’è il desiderio di trovare un ruolo,
possibilmente di prestigio, all’interno della società.
La concretezza giovanile è palese, inoltre, se si paragonano i lavori dei sogni con i lavori
che si percepiscono potenzialmente realizzabili. I ragazzi credono fermamente che diven-
teranno ciò che sognano di essere: si vedono veramente medici, imprenditori, insegnanti,
ingegneri. Qualcuno vorrebbe lavorare in un uffi cio, ma a patto che “sia aperto al mondo”.
Questa è una prerogativa che tutti, al di là delle loro preferenze professionali, mettono
in luce. I giovani hanno voglia di comunicare, di mettersi in relazione con i colleghi, con i
clienti, con le aziende concorrenti, con il mondo appunto.
• Che cosa ti viene in mente quando pensi al lavoro?«... (Quando penso al lavoro), penso al posto fi sso, a qualcosa che non mi dà sol-tanto soldi, ma che faccio anche volentieri...»
«... (Quando penso al lavoro), mi viene in mente un bell’ambiente, un bel posto di lavoro, dove mi trovo bene con i colleghi, dove le mansioni mi gratifi cano, dove posso applicare quello che ho studiato fi no ad adesso...»
«... (Se penso al lavoro), mi viene in mente una cosa che bisogna fare per vivere...»
«... Lo vedo come una cosa necessaria, però non è al primo posto nella scala dei valori...»
«... La cosa più importante per il mio lavoro è che lo faccia volentieri, ma anche che mi dia una certa sicurezza economica, che mi permetta di vivere bene, senza avere problemi economici...»
59
• Pensi spesso al tuo futuro lavorativo? Quali pensieri ti vengono in mente? Come ti senti quando ci pensi?
«... (Quando penso al mio futuro), penso che devo studiare parecchio, la strada è lunga, ma si può fare...»
«... (Se penso al futuro) mi vedo una persona rispettata, con un rapporto tranquillo con le persone che lavorano con me, un rapporto di fi ducia. Cercherei di dare il massimo per dare qualità alle cose che faccio...»
«... Adesso penso di più (al mio futuro lavorativo), ma ci penso in modo positivo, cioè mi vedo in una buona condizione lavorativa. (Spero di sentirmi) felice, contento...»
«... Vorrei un lavoro d’uffi cio, ma aperto al mondo...»
Aspettative dallo spirito giovane per il lavoro futuro
Quando pensano all’universo lavorativo, sono attratti dalla possibilità di confrontarsi an-
che con quanto viene richiesto da una specifi ca posizione, nonché dall’opportunità di
mettere fi nalmente a frutto quanto hanno appreso sui banchi di scuola. Ancora una volta,
quindi, i trevigiani si approcciano al futuro con estrema concretezza e praticità. Dopo
la fase scolastico-formativa sentono l’esigenza di entrare a far parte del meccanismo
produttivo, di contribuire ad un utilità aziendale, che si traduce in un ritorno economico
personale (molti dichiarano, infatti, di essere profondamente attratti dall’idea di ricevere
uno stipendio fi sso) e nella chance di ragionare con una certa progettualità. Le paure
sul domani, d’altro canto, sono altrettanto legate all’idea di sicurezza. I timori sono verso
tutto ciò che la può minacciare, come il tempo determinato, la scarsa remunerazione e
l’incapacità di “sfondare”, oltre che la routine e la ripetitività delle azioni quotidiane o il
fatto di non trovare un’occupazione in linea con le proprie preferenze personali.
L’unico sprazzo di “testa tra le nuvole”, di sognante idealità, si percepisce dal modo in
cui i ragazzi vogliono proporsi ai futuri datori di lavoro e colleghi. Ciò che vogliono offrire,
prima di tutto, sono le loro idee e la voglia di mettersi in gioco. In questo sono giovani nel
senso più tradizionale del termine, ovvero sono propositivi, entusiastici ed in fermento per
una realtà nuova ormai alle porte, per uno scenario che non vedono l’ora di affrontare.
Permane, inoltre, la convinzione che possa esistere una certa continuità tra l’ambiente
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scolastico e la professione che intraprenderanno. Per questo motivo sono fi duciosi di
poter applicare quanto hanno appreso.
I ragazzi fanno affi damento sul mondo scolastico e sono speranzosi che questo possa
essere un’effettiva palestra di vita, in grado di prepararli come lavoratori di domani.
Gli intervistati ritengono, infatti che, nella società odierna, la laurea sia divenuta quasi in-
dispensabile, anche se ne intravedono l’importanza soprattutto dal punto di vista dell’ac-
crescimento della cultura personale, mentre faticano a percepirla come uno strumento
che garantisce il posto di lavoro desiderato. Il titolo di dottore, insomma, sembra esser
diventato, ciò che un tempo era il diploma: un requisito quasi necessario per essere pre-
so in considerazione dalla maggior parte delle aziende. Per alcuni lavori più specializzati
da un punto di vista manuale, tuttavia, la scuola superiore, e gli istituti professionali in
particolare, sono visti come un buon trampolino di lancio e, in alcuni casi, come un ponte
effi cace tra le aziende del territorio e i neo-diplomati.
• Che cosa ti attrae del mondo del lavoro?«... Mi attrae la relazione con gli altri...»
«... (Del mondo del lavoro) mi attrae il fatto di volermi vedere attiva, voglio produrre, anche per avere un ritorno economico e per fare dei progetti futuri...»
«...Sono attratta dal fatto che posso metter in pratica tutto quello che ho studiato...»
• Che cosa ti spaventa di questo mondo?«... Mi spaventa il fatto di voler arrivare sempre prima dell’altro, la competitività, la concorrenza portata agli estremi...»
«... Mi spaventa, la routine, la ripetitività...»
«... Mi spaventa non riuscire a sfondare, non riuscire a trovare un lavoro che mi dia sicurezza economica...»
«... (Del mondo del lavoro) mi spaventa il tempo determinato e che frutti poco per realizzare gli obiettivi che una persona ha, comprarsi una casa, una macchina, etc...»
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• Cosa pensi di poter dare di personale al mondo del lavoro? Che cosa pensi invece di ricevere da esso?
«... Spero di poter esprimere la mia creatività, di dare nuovi stimoli all’azienda,le mie idee»
«... Spero di sentirmi realizzato...» «... Vorrei dare le mie idee, tutto ciò che può essere innovativo e può provenire da me, vedere le persone con cui lavoro contente di me...»
«... Spero di ricevere soddisfazione: arrivare a casa la sera e non sentirmi solo stan-co e stressato perché ho fatto sempre le stesse cose, ma essere anche contento di quello che ho fatto...»
«... Spero di ricevere molto, ovviamente, spero che il mio modo di essere, ciò che io do venga ripagato e mi dia soddisfazione...»
• Secondo te quanto conta il livello d’istruzione in ambito lavorativo? E in particolare modo la laurea?
«... La laurea è importante, ma forse non fondamentale, ci vuole anche fortuna...»
«... La laurea sta prendendo la stessa strada del diploma...»
«... La laurea conta se uno vuole affermarsi nella società, se vuole avere un ruolo importante...»
«... La laurea conta come cultura personale...»
Una volta ottenuto un lavoro, poi, la disponibilità, la voglia di fare e la serietà sono fon-
damentali per mantenerlo. Ma, per tenersi stretta la propria posizione, è importante an-
che possedere le qualità giuste, aver fi ducia nelle proprie capacità e allo stesso tempo
mettersi sempre in un’ottica di miglioramento. Non bisogna nemmeno dimenticare una
certa freddezza nell’affrontare i problemi più delicati (in particolare nelle professioni ri-
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guardanti l’ambito medico) e la capacità di mettere da parte le proprie idee per evitare
scontri troppo accesi.
Il tarlo della disoccupazione non sembra toccare particolarmente la gioventù trevigiana,
che, consapevole della necessità di doversi adattare ad accettare posizioni lavorative
che non rispecchiano quelle veramente desiderate, sa che comunque troverà un’occu-
pazione.
L’unica vera preoccupazione è la precarietà, e la sensazione che le operazioni di delo-
calizzazione, già avviate dalle aziende locali, possano infl uire negativamente sul tasso si
occupazione futura.
• Quali caratteristiche bisogna avere per mantenere un posto di lavoro?«... Indubbiamente ci vogliono le giuste qualità (per mantenere un determinato lavoro)...»
«... Con i capi bisogna essere sempre gentili e anche nascondere le proprie idee molte volte e non essere scontrosi perché può essere controproducente...»
«... (Per mantenere un posto di lavoro) bisogna avere serietà, puntualità, determi-nazione, freddezza in certi casi, ed essere in grado di mettersi in relazione con gli altri...»
In un contesto sostanzialmente tranquillo, formato principalmente da piccole e medie
industrie, dove i lavori manuali sono molto richiesti (operai, muratori, etc.), così come le
fi gure attive in ambito commerciale, amministrativo o di dirigenza aziendale e dove la
competitività, a detta degli intervistati, non è particolarmente accesa, i giovani testimo-
niano un unico eclatante punto di distacco dai genitori: la scelta della carriera da intra-
prendere. Salvo poche eccezioni, infatti, non vogliono seguire le orme del padre o della
madre. Anche questo progetto, tuttavia, viene messo in cantiere con estrema lucidità. Il
rifi uto della strada percorsa dai genitori deriva, cioè, da un’attenta valutazione, dall’aver
accuratamente soppesato pro e contro qualitativi e remunerativi e dall’aver compreso
che, al proprio lavoro, i ragazzi chiedono appunto più sicurezza, una maggiore soddisfa-
zione economica e personale, e un contatto più vivo col pubblico.
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• Faresti lo stesso lavoro di tua madre o di tuo padre? Per quale motivo?«... Mio papà fa l’ingegnere quindi sì, il lavoro di mia madre no perché fa l’impiegata statale quindi non mi piacerebbe lavorare sotto le dipendenze... Da un certo punto di vista hai vantaggi perché, una volta fi nito l’orario lavorativo, vai a casa e non hai più problemi, mentre magari un libero professionista si posta il lavoro anche a casa, cioè non ha orari e ha delle responsabilità maggiori, però ti gestisci, non sei sotto padrone, cioè sei più libero, sei te stesso...non mi ci vedo a lavorare sotto padrone, comunque...»
«... Di mio papà no, lui faceva l’operaio, lavoro prettamente maschile. Mia mamma fa l’impiegata, quindi è un lavoro un po’ statico e ripetitivo. Se non trovassi ciò che mi piace, lo accetterei, ma prima cercherei di soddisfare quello che mi piace...»
«... No mio padre è spesso in giro in macchina da solo, perché fa l’agente di com-mercio. Mi piacerebbe lavorare in un luogo con più persone a fi anco a me...»
Le affermazioni di quella parte di giovani che ancora non hanno intrapreso un percorso
lavorativo, quindi, sono dotate da un lato di un sostanziale ottimismo verso il futuro, dalla
sicurezza imperante che il fatto di trovare un’occupazione non sarà un’impresa troppo
diffi cile, dall’altro dal disegno di una prospettiva molto realistica, matura, incentrata sulla
concretezza materiale e valoriale, una prospettiva che sembra essere la diretta espres-
sione del pensiero della loro famiglia d’origine.
L’ambiente familiare, infatti, è un punto di riferimento che i ragazzi non possono e non
vogliono abbandonare. Così tra il “lavorare per vivere” e il “vivere per lavorare”, scelgono
come slogan della loro quotidianità “vivere e lavorare”, quasi a sottolineare il loro deside-
rio di completezza, il sentore che il fi ne ultimo dell’esistenza derivi dalla conciliazione di
affetti e carriera.
I trevigiani sono giovani legati alla famiglia, ma anche alla loro terra. Per questo dicono no
al trasferimento, a meno che la situazione occupazionale locale non offra alcuna possi-
bilità di impiego. Sarebbe quasi inconcepibile per loro separarsi dal proprio paese natale,
dai propri amici e parenti, dal proprio stile di vita.
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• Vivere per lavorare o lavorare per vivere, tu come la vedi? Cosa signifi ca per te avere un lavoro “desiderabile”?
«... Ritengo sia giusto vivere e lavorare...»
«... Fare un lavoro desiderabile ha un gran signifi cato perché con un lavoro che in qualche modo desideri anche una parte dei tuoi sogni e delle tue idee viene espressa...»
«... Del mondo del lavoro mi attrae lo stipendio... e fare qualcosa che ti piace e che ti dà soddisfazione...»
• Cosa pensi della necessità di trasferirsi per motivi di lavoro? Tu lo faresti?«... Non vorrei spostarmi lontano. Treviso è una bella città, è piccolina, ma si trova tutto...»
«... Se potessi, preferirei stare qui. Fare qualche esperienza lontano può essere interessante, ma avendo tutti gli affetti qui, preferirei stare qui...»
Giovani lavoratori: alla ricerca di più soddisfazione
Paradossalmente i giovani che stanno già lavorando guardano un po’ meno all’aspetto
economico e aspirano ad un maggior livello di soddisfazione personale. Dal momento
che il lavoro è (o sta per diventare) la loro attività primaria, ciò che occupa la maggior par-
te delle loro giornate, gli intervistati di questa fascia identifi cano la propria professione
con la possibilità di esprimere se stessi e la considerano un potenziale motivo di orgoglio.
Intravedono soprattutto la signifi catività del fattore tempo che le ore lavorative tolgono
ad altre situazioni e, per questo motivo, ritengono che la propria occupazione debba dare
soddisfazione prima di tutto.
Fortissima è, anche per loro, la percezione della pratica lavorativa come attività essenzia-
le da un punto di vista personale e sociale. Il fatto di non avere un lavoro è considerato
umiliante, e infl uisce molto negativamente sul livello di autostima. Per questo motivo, in
attesa dell’occupazione dei loro sogni, i ragazzi preferiscono acquisire expertise facendo
uno stage (anche non pagato), piuttosto che rimanere in attesa, senza rendersi utili.
L’universo dei lavoratori va diviso in due categorie: una di studenti-lavoratori, formata
da quelle persone che stanno conducendo gli studi universitari e lavorano saltuaria-
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mente, generalmente nei week-end e nella stagione estiva; il secondo gruppo invece è
composto dai lavoratori in senso stretto, ovvero da quei giovani che, terminati gli studi,
hanno intrapreso un’attività lavorativa a tempo pieno.
Chi è “a metà percorso” ha, ovviamente una visione semplifi cata dello scenario lavora-
tivo: non ha riscontrato particolari diffi coltà a trovare lavoro, è soddisfatto di quanto sta
facendo e non ha ricevuto particolari delusioni. Questa soddisfazione apparentemente
così elevata, tuttavia, è sicuramente da ricollegare alla funzione attribuita da questi gio-
vani all’attività che stanno svolgendo. Il loro focus primario, infatti, continua ad essere lo
studio e la motivazione principale che li ha spinti a cercare un’occupazione è l’opportuni-
tà di “arrotondare”, cioè di contribuire al proprio sostentamento e al pagamento della vita
scolastica. E’ chiaro che, in questa fase della vita, non stanno cercando “il lavoro della
loro vita”, ma soltanto un lavoro. Le delusioni, quindi, non ci sono state fondamentalmente
perché le aspettative di partenza erano molto basse.
E’ comunque positivo constatare che, sebbene si tratti di lavori occasionali, i giovani tre-
vigiani, sottolineano una certa facilità non solo a trovare un lavoro, ma anche a cambiarlo
dopo la scadenza del contratto a termine. Chi fa lavori part-time inoltre, ha una buona
percezione della propria qualità di vita e ritiene di avere l’opportunità di conciliare vari
aspetti del quotidiano.
• Che cosa ti viene in mente quando pensi al lavoro?«... Il lavoro è essenziale nella vita di una persona, adesso mi serve per arrotondare, per uscire il sabato, per andare in vacanza. Dopo l’università mi piacerebbe trovare qualcosa che mi dia più soddisfazione...»
«.. Il lavoro dà la possibilità ad una persona di realizzarsi, può essere motivo di orgoglio...»
«... (Quando penso al lavoro) mi viene in mente: “L’uomo è ciò che fa”, ma poi in realtà penso che questa affermazione sia un po’ riduttiva perché in un lavoro una persona può esprimersi, ci può essere identifi cazione...»
«... Il lavoro è fondamentale per la vita di una persona, ti impiega del tempo, quindi ti deve dare soddisfazione...»
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«... (Quando penso al lavoro) penso al mio ruolo nella società, è una questione di identità. Non avere un lavoro per me è un’azione molto umiliante, se io non lavoras-si per me sarebbe drammatico a livello di autostima. Non ho lavorato durante tutto il periodo degli studi, ma quando ho cercato (un’occupazione), ho trovato...»
• Hai avuto diffi coltà a trovare/cambiare lavoro?«... (Non ho avuto diffi coltà a trovare lavoro), mi hanno chiamata molte ditte. Si sono messe in contatto con me tramite la mia scuola che si impegna molto a lasciare i nominativi degli studenti...»
• Come ti trovi nel tuo lavoro attuale? Cosa ti aspettavi dal tuo lavoro? Ci sono degli aspetti che vorresti migliorassero?
«... Mi spaventa il trasferimento...»
«... Cambiare è una cosa che mi spaventa...»
«... Per i lavori che sto già facendo, non ho mai pensato più di tanto (a cosa mi aspettavo dal mondo del lavoro)...»
«... Una volta laureato, sicuramente cambierò posto di lavoro. Ora faccio questo lavoro solo per arrotondare...»
La posizione dei lavoratori full-time è un po’ diversa. Le aspettative di queste persone,
prima di introdursi nel mondo del lavoro, erano abbastanza somiglianti a quelle dei giova-
ni che non stanno ancora lavorando. Si aspettavano di poter ricevere molta soddisfazione
personale, di poter concretizzare un collegamento scuola-lavoro, di ottenere stabilità e
sicurezza economica, di essere accolti come risorse nuove e indispensabili per l’am-
biente di lavoro, di essere i veri protagonisti. L’impatto con la realtà lavorativa, tuttavia,
ha offerto loro uno scenario deludente, dove non sempre si realizza chi se lo merita, ma
chi riesce a farsi valere di più, dove la competizione è fortissima e dove si sommano una
serie di fattori che non erano stati preventivati, come gli svantaggi dati dall’essere donna
o le diffi coltà di costruire un rapporto di lavoro continuativo, basato su una certa stabilità
contrattuale.
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La fi ne dell’università costituisce, quindi, un punto di non ritorno, un momento di rottura
con la vita da studente e l’inizio di una quotidianità alla ricerca di un ruolo più defi nito e
stabile all’interno della società. Così, anche chi è ancora in bilico tra scuola e lavoro, sa
che, al termine degli studi farà un altro lavoro e si avvicina all’atteggiamento di chi sta già
lavorando. In questo senso le aspettative crescono e si direzionano verso una carriera
più remunerativa e in linea con il precedente percorso di studi.
• Prima di iniziare a lavorare che cosa pensavi del mondo del lavoro? Che cosa ti aspettavi dal mondo del lavoro? Cosa ti attraeva e che cosa ti spaventava?
«... (Prima di cominciare a lavorare) mi attraeva il discorso del senso di libertà e delle entrate fi sse a fi ne mese, mi spaventava il fatto di non sapere ciò che potevo trovare e mi spaventava il fatto che, entrando nel mondo del lavoro, si abbandonava il mondo degli studi...»
«... (Prima di entrare nel mondo del lavoro) pensavo che mi avrebbero accolto a braccia aperte, che io sarei stata una risorsa nel mondo del lavoro, che mi avreb-bero in qualche modo cercata, invece mi rendo conto che il mondo del lavoro non è meritocratico...»
«... Mi attraeva il fatto di poter dare molto di me, io studiavo quindi in qualche modo recepivo cose di altri, mi aspettavo insomma che con l’entrata nel mondo del lavoro io sarei potuta essere veramente protagonista delle cose che facevo...»
«... Mi spaventava il fatto di diventare protagonista, avere molte responsabilità...»
• Adesso che lavori che cosa pensi di questo mondo, quali aspettative sono state confermate e quali deluse?
«... Vorrei avere più rapporti con le persone...»
«... Le mie aspettative sono state confermate, a parte quella di trovare un lavoro a tempo indeterminato...»
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«... Ora che lavoro, devo scalciare, devo andare avanti a gomitate con gli altri e non è una cosa che mi appartiene, io pensavo che avrei avuto quello che mi meritavo e non avrei avuto quello che non mi meritavo, molto semplicemente. Quando studia-vo, dipendeva tanto da me. Qui invece si sommano tutta una seria di fattori. Il fatto di essere giovane e femmina, il fatto di essere carina e, per questo, a volte trattata con suffi cienza...»
I trevigiani lavoratori percepiscono con maggiore intensità il problema della delocalizza-
zione e la conseguente crisi delle imprese del Nord-Est. Avvertono con forte preoccu-
pazione il tarlo della precarietà, ostacolo signifi cativo alla costruzione di una famiglia e
ad una vera indipendenza personale, mentre ritengono che la fl essibilità, se ben tutelata
e organizzata, potrebbe essere un aspetto su cui fondare le attività lavorative future, so-
prattutto per agevolare la quotidianità femminile.
Gli studenti-lavoratori non possono che guardare al futuro con ottimismo, sicuri che
riceveranno promozioni e che, una volta conclusi gli studi, opereranno in un settore più
consono alle loro aspettative. L’ottimismo, o quanto meno il desiderio di sapersi accon-
tentare, accomuna anche chi lavora già a tempo pieno. Trovare un lavoro entro il proprio
territorio è possibile, dichiarano gli intervistati, assolutamente poco propensi a sacrifi care
le proprie sicurezze e l’affetto dei famigliari per la carriera.
• Cosa pensi della precarietà e della fl essibilità? Rappresentano un problema oppure sono uno stimolo a migliorarsi?
«... Il problema (per quanto riguarda la precarietà e la fl essibilità) è quando il datore di lavoro sfrutta questi fenomeni a sfavore di gente che vuole un lavoro fi sso e ha obiettivi diversi da quelli degli studenti...»
• Cosa pensi della necessità di trasferirsi per motivi di lavoro?«... Il trasferimento è una cosa drammatica, nel senso che se non è una mia scelta, ma è una cosa che mi viene imposta per il fatto che non ho possibilità qui e devo lasciare i miei affetti e le mie radici, lo trovo brutto e discutibile...»
«... (Riguardo al trasferimento per motivi di lavoro), sarei disposta a perdere delle opportunità pur di rimanere nel mio territorio, perché non sono disposta a livello
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personale a dover sacrifi care le mie sicurezze, la mia famiglia, per un lavoro...»
• Attualmente le imprese del nord-est sono un po’ in crisi. Hai notato questo fatto? Quali segnali di questa crisi hai notato? Quali conseguenze potrebbe avere questa crisi sul tuo futuro lavorativo?
«... Lavoro qui ce n’è tanto e, accontentandosi, si può trovare vicino a casa...»
«... (Il sistema lavorativo trevigiano) non è premiante per i laureati, è un po’ chiuso, non valorizza la formazione delle risorse umane e c’è una certa staticità nei ruoli, nel perpetrare sempre le stesse metodologie di lavoro...»
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Il lavoro a Treviso: un problema di qualità.
La situazione occupazionale in provincia di Treviso, a detta dei genitori intervistati, è an-
cora abbastanza buona: nonostante alcuni segnali di rallentamento dell’economia, non
si respira un clima di particolare ansia, e i genitori non temono che i loro fi gli, almeno
nell’immediato, andranno incontro ad un futuro fatto di disoccupazione.
Al contrario, c’è una diffusa convinzione che il lavoro, bene o male, nella Marca si trovi e
anche abbastanza facilmente. Ciò non signifi ca, tuttavia, che il quadro sia così roseo: se
dal punto di vista quantitativo, al momento attuale, non paiono esservi problemi, sotto il
versante qualitativo la situazione è meno confortante. Da un lato pesa la crescente fl es-
sibilità del mercato del lavoro, che si muta con estrema frequenza in precarietà. Dall’altro,
vi è una bassa domanda – da parte del sistema delle imprese – di lavoratori laureati e
molto qualifi cati.
Stando così le cose, i genitori dei 15-29enni palesano una visione piuttosto disincantata
della situazione del mercato del lavoro in provincia di Treviso: emerge, tra le righe, un in-
vito – rivolto alla prole – a darsi da fare, ad attivarsi con tutte le energie per trovare un’oc-
cupazione (o per concludere in breve tempo il percorso formativo, se i fi gli sono ancora
studenti): dato il basso tasso di disoccupazione – sembrano dire – non ci sono alibi, e chi
rimane inattivo può solo dare la colpa a se stesso. E dato che l’elevata specializzazione –
come detto – può non bastare a trovare un posto di lavoro adeguato, i genitori sembrano
rassegnati all’idea di una sotto-occupazione dei fi gli, nella convinzione che sia meglio
avere un lavoro poco coerente con gli studi effettuati piuttosto che starsene a casa a non
far nulla, godendo del benessere “esogeno” derivante dal reddito dei genitori.
Appendice 2. I focus group.
Giovani e il lavoro:
il punto di vista dei genitori
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• Come descriverebbe la situazione attuale del mondo del lavoro nella provincia di Treviso?
«... abbastanza buona, se uno ha voglia di fare, il lavoro lo trova qua...»
«... è in grande mutamento, si passa dal sistema della piccola impresa, ad un siste-ma di competizione più ampio, il mondo del lavoro dovrà organizzarsi in maniera più complessa...»
«... una grossa incognita, non c’è questa grossa carenza, però qualitativamente non è che vedo delle ampie possibilità...»
«...lavori interinali, più esperienze di lavoro, per periodi più brevi...»
«... a Treviso si chiede più che altro il tecnico oppure meno, (c’è) una strana con-traddizione si invocano le lauree scientifi che e poi non vengono utilizzate dalle aziende locali...»
«... lavoro ce n’è basterebbe solo aver voglia di lavorare...»
«... la provincia di Treviso non è diversa dalle altre, abbiamo una realtà abbastanza buona (...) il lavoro si trova, nello specifi co di quello che sta studiando mio fi glio (Lingue per traduttore ed interprete) la sua intenzione è quella di lavorare all’estero (...) perchè qui non ci sono grandi possibilità...»
«... mia fi glia si è laureata in biologia, ma non ha trovato collocazione nello specifi co...»
«... secondo me non è vero che non ce n’è (qua)...»
«... il lavoro ce n’è e tanto anche(...) solo che c’è anche da fare fatica, magari sono anche quelli più redditizi...»
«... se uno ha voglia di lavorare se lo portano via anche tra ditte, anche se sono giovani...»
«... (anche a scuola) uno che viene fuori con 60 alle superiori diffi cilmente ti chia-mano a casa per offrirti un lavoro...»
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«... (a mio fi glio) questa estate c’era quasi una telefonata al giorno che gli offrivano lavoro...»
«... quelli più bravi li cercano (...) ( qui la scuola è la prima a segnalare alle ditte quando cercano i nomi)...»
«... la possibilità di lavoro ce ne sia (...) vedo che c’è troppa insicurezza, il lavoro che a volte i giovani trovano non è defi nitivo, non è sicuro, vivono in balia di queste incertezze...»
«... come situazione economica (a Treviso) non è male, mi pare che ci sia anche del benessere...»
«... non è così rosea come la gente potrebbe pensare...»
«... in catena di montaggio forse si trova ancora lavoro...»
«... essere inseriti nel lavoro nell’ambito degli studi fatti non è semplice (...) credono di avere uno stipendio adeguato invece non è così...»
«... il lavoro non è più così sicuro come una volta...»
«... mia fi glia ha avuto tante telefonate però sempre per posti di lavoro (...) non è facile anche perché non ha difetti fi sici e non si presenta male...»
«... lavoro ce n’è in abbondanza a tutti i livelli (...) se uno vuole lavorare...»
«... del lavoro sono tutti più o meno soddisfatti, sono meno soddisfatti del sistema servizi devi pagare tutto: sanità...»
«... non conosco disoccupati perché il lavoro se uno vuole lo trova...»
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Il futuro lavorativo degli studenti: tra speranze e timori
L’immagine che gli studenti trevigiani hanno del mondo lavorativo, agli occhi dei loro
genitori, è ancora incerta, precaria: a giudicare dalla descrizione operata dalle loro madri
e dai loro padri, la maggior parte degli under30 parrebbe vivere in una sorta di mondo
ovattato, disinteressandosi completamente del futuro lavorativo che li attende. Secondo
gli intervistati, infatti, le idee al riguardo sono piuttosto nebulose e prive di concretezza:
molti giovani non si sarebbero fatti ancora un’opinione precisa del mondo del lavoro, pre-
ferendo invece vivere il presente senza volgere lo sguardo agli anni a venire.
Risulta, tuttavia, evidente che si tratta solo di una percezione dei genitori, ben lontana
dal reale atteggiamento dei fi gli, evidenziato dalle interviste a loro rivolte: i giovani, ef-
fettivamente, si dimostrano molto maturi e coscienti dei problemi inerenti il mondo del
lavoro, che guardano con molta attenzione (non disgiunta da una fi ducia di fondo nelle
proprie capacità).
Tale scarto tra le opinioni dei fi gli e le percezioni dei genitori può essere addebitato pri-
mariamente a una mancanza di dialogo tra le due generazioni sullo specifi co argomento.
A volte sono proprio i genitori a dissuadere i giovani dal pensare troppo frequentemente
al proprio futuro lavorativo, nel timore che ciò possa distoglierli dagli impegni scolastico-
universitari del presente.
Non mancano, tuttavia, casi in cui i genitori riconoscono ai fi gli le caratteristiche che
questi ultimi quasi unanimemente si assegnano: da una parte la consapevolezza che è
necessario intraprendere la carriera lavorativa con un certo entusiasmo, rimboccandosi
le maniche e adattandosi alle situazioni contingenti; dall’altra una certa sana rassegna-
zione, di fronte ai non molto ricchi sbocchi professionali per chi ha un rilevante bagaglio
di conoscenze.
• Secondo lei, i suoi fi gli, che tipo di immagine e idea hanno del lavoro?«... zero, credo che non si sia fatta un’opinione...»
«... ha un’idea negativa dei dipendenti pubblici, nel mondo del lavoro privato sa che lì il lavoro è pesante, ha già fatto queste divisioni...»
«... lui pensa un domani o di mettersi con il papà (ha uno studio di commercialista) (...) oppure di mettersi in conto proprio (...) aprirebbe uno studio di consulenza fi nanziaria (...) mio fi glio non vede l’ora di iniziare, l’immagine è buona (...) ha gia avuto delle esperienze, è molto interessato del campo del lavoro...»
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«... ancora abbastanza nebulosa, nel senso che lui sa quello che vorrebbe fare...»
«... però non è che qui vede grandi sbocchi per lui (si riferisce al desiderio di insegnare)...»
«... sa che per avere qualche cosa bisogna lavorare, che non ti regala niente nes-suno...»
«... più sai al gradino più alto vai...»
«... se non riesci a fare quello per cui ha studiato ne fai un altro...»
«... lui non ne fa un problema di fatica questo...»
«... non glielo saprei dire...»
«... mia fi glia è un po’ particolare, ha fatto il liceo artistico però voleva un lavoro per stare a stretto contatto con la gente (...) cameriera di sala...»
«... il ragazzo pensa e spera di trovare lavoro nell’ambito di quello che studia (...) però ha molti dubbi in proposito di poter trovare (...) non è semplice neanche per i laureati, ingegneri...»
«... del lavoro ancora non lo so, le piccole esperienze che ha avuto il maggiore, sono state (...) un po’ deludenti perché ha visto che fare il dipendente (...) non c’è quel dialogo che ci potrebbe essere (...) comunque ha capito che se riceve stipendio deve anche dare giustamente (...) (la ragazza non ha avuto esperienze di lavoro)...»
• Secondo lei che cosa ha in mente suo fi glio\a quando pensa al lavoro?«... non ci pensa...»
«... ha già dei piccoli progetti, cioè di aprire un’attività in proprio...»
«... vorrebbe utilizzare il titolo di studio, ma sa che ha una laurea debole, fi losofi a, cre-do che veda il suo lavoro futuro come un lavoro a stretto contatto con le persone...»
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«... pensa di mettersi in proprio, anche perché di famiglia siamo già così...»
«... ha in mente di adattarsi a quello che potrà fornire il mercato di lavoro, (perché visto che) la sorella ha fatto da spartiacque lui sa che non sempre è possibile rea-lizzare quello che si vuole...»
«... sa che se fai qualcosa hai (...) un ritorno (...) sa che lavorare in famiglia fa la forza, questo l’ha già imparato...»
«... di fare quello che piace...»
«... il più grande vuole fare il medico, l’ha sempre voluto fare anche da piccolino (...) penso che speri di arrivare a quello...»
«... la fi glia penso che non ci abbia mai pensato al lavoro...»
«... cosa pensa non saprei, lei ha fatto ragioneria, ha fatto due stage (...) adesso ha scelto Farmacia un campo completamente nuovo...»
• Secondo lei quando suo fi glio\a pensa al lavoro che pensieri gli vengono in mente? Come si sente?
«... una cosa ancora molto lontana, è consapevole che dovrà studiare tanti anni ancora...»
«... pensando all’attività avrà bisogno anche dei genitori e su questo lui ci fa conto, pensa anche all’appoggio della famiglia, lui si sente incerto...»
«... una grande preoccupazione...»
«... sicuramente che è diffi cile...»
«... per il momento è abbastanza incosciente (...) per cui non ha particolari turbe da questo lato qua.
«... non ne abbiamo mai parlato, non lo so...»
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«... questo non lo so...»
«... fare qualcosa di cui è soddisfatto (...) non credo si faccia un problema di soldi (...) di guadagnare, di diventare ricco (...) forse anche per mia fi glia è così...»
«... su questo direttamente non abbiamo mai (...) per ora il loro lavoro è l’impegno nello studio...»
«... divento io un datore di lavoro nei confronti dei miei fi gli perché voglio che il loro lavoro sia studiare (...) su questo loro dicono che sia un po’ esigente...»
«... non saprei dirti cosa pensano loro del lavoro perché per il momento non ne abbiamo mai discusso...»
Figli con le idee ancora confuse
Il percorso che i fi gli degli intervistati imboccheranno in ambito lavorativo pare, agli occhi
dei genitori, tutt’altro che defi nita. Nel loro avvenire rimangono aperte molteplici strade,
sia per la diffi coltà di trovare un lavoro attinente alle proprie capacità e agli studi effet-
tuati, sia per una naturale giovanile predisposizione a rimandare le scelte, a godere il
presente senza porsi in anticipo dei precisi obiettivi. E, a volte, le strade che un giovane
si trova davanti non sono semplici deviazioni, percorsi alternativi nell’ambito di un tragitto
che in linea di massima risulta già tracciato nei loro progetti; al contrario, spesso si tratta
di vere e proprie biforcazioni, come nel caso di quel giovane che vorrebbe aprire un’agen-
zia immobiliare o in alternativa... fare l’allenatore sportivo!
Ciò non signifi ca che i giovani della Marca non abbiano, a detta dei loro genitori, dei
lavori “ideali”, tutt’altro; ma per la maggior parte si tratta di idee vaghe, non ben motivate,
quasi frutti di sogni adolescenziali o di infatuazioni giovanili verso una professione di cui,
tutto sommato, non conoscono evidentemente i dettagli. E se non manca chi, invece, ha
già le idee piuttosto chiare, vi sono anche quei giovani che non mirano tanto a svolgere
una determinata professione, quanto a raggiungere una buona qualità della vita, conci-
liando lavoro, famiglia e tempo libero, a prescindere dall’effettivo lavoro che andranno a
svolgere.
Il futuro lavorativo è, quindi, per lo più avvolto in una fi tta nebbia. Ma anche se il sentiero
non è ancora tracciato con precisione, i genitori si dimostrano piuttosto ottimisti sulla
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possibilità che i giovani trovino un lavoro abbastanza gratifi cante e attinente al loro cur-
riculum studiorum e alla loro personalità. Le doti che maggiormente contano, a detta
degli intervistati, sono la fl essibilità mentale, l’elasticità, la capacità di adattamento: virtù
con le quali non è arduo realizzarsi professionalmente, anche senza svolgere il “lavoro
dei sogni”.
Gli intervistati, inoltre, a parte alcune eccezioni, non ritengono necessario (e spesso
nemmeno consigliabile) che i fi gli seguano le loro orme dal punto di visto lavorativo, an-
dando a svolgere la loro stessa professione. Nelle loro risposte si legge a chiare lettere la
speranza che la nuova generazione prenda altre strade: l’obiettivo che essi proiettano sui
fi gli non è tanto quello di raggiungere il successo o la ricchezza, quanto quello di trovare
un’occupazione più vivibile e, a volte, con un più alto valore sociale. Il lavoro dei genitori,
secondo alcuni, potrebbe costituire però un valido ripiego se i fi gli non dovessero trovare
lavoro nell’ambito per il quale studiano.
• Secondo lei qual è il lavoro dei sogni di suo fi glio\a? Che cosa gli piacerebbe fare?«... la pediatra, la psicologa, perché magari qualche persona l’ha affascinata, non perché sia una reale predisposizione...»
«... vorrebbe aprire un’agenzia immobiliare, come opzione gli piacerebbe anche fare l’allenatore, poi il preparatore atletico...»
«... lavorare nell’ambito dell’azienda selezione del personale, relazioni umane...»
«... penso sia convinto di aprire questa attività di consulenza fi nanziaria...»
«... a lui piacerebbe insegnare, delle superiori sicuramente...»
«... quello di riuscire a laurearsi in Ingegneria delle Telecomunicazioni (e lavorare in quest’ambito) (non ne abbiamo parlato perché affrontiamo una cosa per volta)...»
«... mio fi glio medico, mia fi glia proprio non avrei idea...»
«... mia fi glia non è ancora ben defi nito, per adesso le va bene di fare la cameriera o la commessa, mio fi glio trovare nell’ambito di quello che studia (Conservazione dei
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Beni Culturali) (...) qualche Ente Pubblico (...) qui a Treviso possibilità credo poche...»
«... se potessi rispondere io per loro: avere un lavoro che t’impegni poco il giusto) e che sia remunerativo tanto per potersi dedicare un po’ al tempo libero, alla famiglia (...) mi auguro che sia anche questa (la visione) dei fi gli...»
• Se suo fi glio\a non potesse fare il lavoro dei suoi sogni che tipo di lavoro è più probabile che farà?
«... la commessa, lavori di segreteria, ma a livello proprio di accoglienza in qualche museo, maschera e hostess...»
«... sta studiando ragioneria di conseguenza in qualche uffi cio contabile o in banca...»
«... non ne ho la minima idea...»
«... a lui va bene qualsiasi lavoro, è disponibile (...) anche aprire un bar, affi ttanze al mare per es. (...) anche non autonomo se proprio non si potesse...»
«... non ho la più pallida idea (...) tutto è possibile dopo...»
«... hanno una mentalità molto più aperta e molto più elastica di anni fa...»
«... una cultura di base è indispensabile poi con quella e con delle conoscenze specifi che si trova lavoro dappertutto...»
«... sono cose che prenderà le decisioni al momento con le offerte che ci sono e le disponibilità che ci sono...»
«... io ho un’azienda e non è piccolo c’è posto se tra qualche anno vuole condurla è grande abbastanza e anche per svilupparla se vuole (...) attività che lui già conosce...»
«... mio fi glio la seconda passione sarebbe la musica quindi andrebbe a fare il Con-servatorio (...) musica e recital...»
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«... non lo so (...) credo che non si faccia problemi per qualsiasi altra cosa (...) spera di fare dei concorsi ed inseritisi nell’ambito dello suo studio...»
«... se non fanno quello dei loro sogni, io spero almeno che facciano quello per cui hanno studiato...»
«... che trovino soddisfazione...»
• Secondo lei suo fi glio\a farebbe il suo stesso lavoro (o quello del coniuge)? Per quale motivo Sì o no?
«... (madre contabile, marito dirigente senza orari) no, cercherebbe una via più fa-cile, più vivibile sicuramente...»
«... sicuramente sì di entrambi (padre ha chiuso da poco attività commerciale, ma-dre responsabile d’azienda)...»
«... sì perché a noi piace il nostro lavoro, lui ha visto persone che non si lamentava-no del lavoro che facevano...»
«... il mio no (titolare di fabbrica di vetro soffi ato), quello di mio marito sì (commer-cialista)...»
«... (madre commerciante) sicuramente no, non dimostra nessun interesse da que-sto punto di vista...»
«... sì. (Se non troverà lavoro nell’ambito in cui studia)...»
«... (mamma insegnate di materna, dipendente, papà geometra in uno studio, di-pendente) no (...) non li vedo interessati, né al lavoro della mamma, né al lavoro del papà...»
«... io se avessi potuto scegliere avrei fatto il volontario in Africa, quindi sarei più felice se loro facessero quello e non l’impiegato...»
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«... (padre ex-insegnate) no, non credo (...) mio fi glio la cultura tecnica che ho io non ce l’ha, quindi no...»
«... no, (lavoro in campo elettronico, riparazioni; madre lavora in un supermercato), purtroppo loro hanno scelto un’altra strada (...) e li ho lasciati liberi di scegliere (...) se necessita (farebbero anche il nostro lavoro)...»
Il titolo di studio: i genitori divisi sull’importanza della laurea
e uniti sulla necessità dell’impegno
I genitori riportano pareri differenti riguardo all’importanza del livello d’istruzione. Rifl et-
tendo sulle diverse opportunità offerte dal possesso di un diploma piuttosto che di una
laurea i soggetti si dividono. La laurea conta, non vi sono molti dubbi in proposito, ma
ciò che porta a punti di vista differenti è l’effettiva funzione attribuita ad un alto livello di
scolarità.
Allo specifi co valore formativo e di preparazione al mondo del lavoro del titolo di studio
alcuni genitori tendono, infatti, a far prevalere l’importanza che esso assume sull’imple-
mentazione delle capacità deduttive, logiche e dialettiche offerte da un corso di studi
universitario.
In tale contestualizzazione il possesso di una laurea non agirebbe tanto come strumento
in grado di assicurare maggiori opportunità lavorative, quanto, piuttosto, come approfon-
dimento del proprio bagaglio culturale, come esperienza di vita i cui benèfi ci effetti sulla
persona possono essere trasferibili anche in altri contesti di applicazione: la cultura fa
bene a tutti e la laurea è sempre qualcosa in più; ma restringendo il dibattito alle spe-
cifi che opportunità lavorative offerte dal possesso di un titolo elevato questo gruppo di
genitori stenta a ritenere che un “pezzo di carta” possa formare e preparare in maniera
idonea i giovani: ciò che conta è l’esperienza sul campo unita alla personalità e alle ca-
pacità individuali.
A ciò si aggiungono le peculiarità del mondo del lavoro nello specifi co territorio di ap-
partenenza, in cui, ancora oggi, le competenze tecniche di periti e specializzati sono più
ricercate rispetto alle competenze culturali e al bagaglio offerto dai titoli di laurea.
Accanto a coloro che tendono ad attribuire alla frequenza di un corso di studi elevato
soprattutto il merito di “allargare” la visuale e di rendere la capacità di pensiero più
elastica, vi sono, invece, genitori che credono nelle maggiori opportunità racchiuse dal
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perseguimento del titolo universitario: un laureato gode di più possibilità lavorative, parte
avvantaggiato, può competere per il raggiungimento di migliori posizioni, sia dal punto di
vista professionale, sia da quello retributivo. Per questi genitori la laurea “fa la differenza”,
anche quando non sembra avere attinenza con il successivo percorso lavorativo intrapre-
so, permette di raggiungere i requisiti organizzativi e metodologici in grado di ottimizzare
il risultato di qualsiasi lavoro eseguito.
• Secondo lei quanto conta il livello d’istruzione in ambito lavorativo? Ed in particolare modo la laurea?
«... per la mia esperienza conta al 50%, l’altro 50% conta il carattere, spesso i lau-reati sono un disastro, il pezzo di carta non è una garanzia assolutamente, ma è proprio una questione di personalità...»
«... l’istruzione conta molto, la laurea conta molto ancora...»
«... in ambito lavorativo non tantissimo sinceramente ...»
«... una formazione culturale aiuta ad avere duttilità mentale, a cogliere aspetti pro-blematici ed innovativi, soprattutto quando è una formazione a largo spettro non specialistica...»
«... è importante la formazione di base che sia la laurea o perché se l’è fatta sul cam-po va bene lo stesso, (è importante) il lavoro d’équipe e la capacità dialogica...»
«... conta parecchio (...) anche se fosse solo per fare l’operaio avere una laurea conta...»
«...avere un’istruzione è sempre qualcosa in più, anche se non si deve fare il lavoro per cui si è studiato aiuta in tutto, si riesce meglio in tutto...»
«... uno di terza media è preferito ad un diplomato...»
«... alle volte trovano lavoro più facilmente quelli che sono diplomati...»
«... una persona laureata va bene per qualsiasi cosa, la cultura fa bene a tutti...»
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«... elasticità mentale che viene data solo se c’è un’istruzione di base che crea que-sto tipo di mentalità (diploma e laurea) non c’è una grande differenza...»
«... (conta) tantissimo, da 1 a 10, dieci, io lo so adesso (...) se hai un certo livello di stu-dio fai meno fatica a restare anche nel lavoro (...) avendo un certo livello di studio in tan-te cose riesci ad arrangiarti...un laureato è sempre, non 1, ma 3 gradini più in alto...»
«... che serva la laurea senz’altro perché parti già con un gradino in più...»
«... credo che la laurea serva...anche se si fa un lavoro diverso se uno ha una cultura alle spalle serve sempre...»
«... conta parecchio, conta parecchio anche la laurea, anche se sono dell’idea che nel mondo del lavoro conta le capacità che uno ha...»
«... un perito non conta niente un ingegnere conta qualcosa...»
«... se uno sa usare il trapano va bene se non sa scrivere pazienza...»
«... in ambito lavorativo forse da la possibilità di non essere un semplice operaio e probabilmente da anche la possibilità di maggiori sfoghi...»
«... l’università spero che dia degli sbocchi un po’ migliori anche a livello salariale...»
Invitati a rifl ettere sulle caratteristiche che un individuo deve possedere per avere ga-
ranzia di riuscire nel mondo del lavoro, i genitori non attendono molto prima di farne una
questione di volontà: sono l’impegno, la responsabilità, la tenacia e la determinazione
profusi in un’attività ciò che permette di ottenere buoni risultati.
Accanto alle energie necessarie e alla costanza, un individuo, specialmente al giorno
d’oggi, deve inoltre possedere la capacità di adattarsi, di trasformarsi in base alle esi-
genze che ogni particolare situazioni pone in essere. L’attuale mondo del lavoro premia
chi si rende fl essibile ed elastico, chi dispone dell’intelligenza di rendersi camaleonte di
fronte alle contingenze del momento. Tutto questo condito con una buona dose di umiltà
ed una predisposizione a rendersi disponibili e a farsi trovare sempre pronti.
I genitori stilano l’elenco delle qualità del perfetto lavoratore, consapevoli che, oggigiorno
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non garantiranno il successo possibile di un tempo, ma costituiranno sicuramente un
background ottimale per riuscire a raggiungere gli obiettivi avvicinabili in un’epoca colma
di incertezze e accidentalità.
Tuttavia, è necessario non dimenticare l’importanza che la professione assume nella vita
di ogni giorno: nonostante i sacrifi ci che comporta, il lavoro deve restare un divertimento,
un’attività piacevole, poiché esso impegnerà a lungo la maggior parte di una giornata e
non può costituire un motivo di sofferenza.
• Quali altre caratteristiche bisogna avere per riuscire nel mondo del lavoro?«... avere buona volontà, sapersi adattare a qualsiasi situazione ...»
«... per riuscire bisogna essere molto elastici, sapersi adattare, avere la curiosità d’imparare, di mettersi in discussione, di non fossilizzarsi nello specifi co per quello che si è studiato...»
«... l’intelligenza di adattarsi a quello che offre il mercato...»
«... caratteristiche: disponibilità di fare le cose (...) nel senso che prima devi dare poi ricevi...»
«... (bisogna essere) dei camaleonti senza essere troppo selettivi, avere un po’ di elasticità, pazienza e costanza...»
«... il lavoro deve essere come un divertimento, non deve essere una sofferenza andare a lavorare, è un impegno che hai nella vita...»
«... la capacità e la volontà di voler fare, essere disponibili (...) guardarti attorno e imparare dagli altri...»
«... intelligenza senz’altro (...) capacità di saper affrontare situazioni un po’ diverse (...) un po’ di intraprendenza...»
«... caratteristiche la serietà e tanta voglia di fare...»
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Flessibilità e precarietà: sinonimi della stessa incertezza del domani
Nell’ottica di immaginare il futuro dei propri fi gli e, in generale, delle giovani generazioni,
i genitori pongono quello della precarietà come un problema ingente, che demotiva sul
lavoro e immobilizza qualsiasi altra scelta. Il precariato rende vacillanti, non permette il
naturale svolgimento della propria vita, colpisce il bisogno di progettualità ed il desiderio
di proseguire guardando al domani come una ricchezza. L’impossibilità di poter contare
su un impiego sicuro rende incerto il quotidiano e sfuma il senso dell’avvenire. Non c’è
spazio per pensare ad una famiglia, per conseguire obiettivi personali: la precarietà è un
limite, un freno per tutto, che appesantisce il senso del vivere e impoverisce l’individuo
delle sue libertà.
Solo per un genitore, la precarietà è un fi nto problema e può costituire un limite unica-
mente nel caso in cui un individuo approccia al lavoro assumendo un atteggiamento da
precario.
Più in generale, l’instabilità che caratterizza l’odierno mondo del lavoro si traduce nell’ob-
bligo del continuo rinviare tutti i problemi personali nel tempo.
La certezza di oggi si chiama precariato e, volendo sforzarsi e pensare ad esso come
ad uno stimolo, qualcuno afferma che può unicamente costituire una spinta a compiere
più in fretta possibile tutte le scelte idonee a contenerne gli effetti: scelte di percorso, al-
ternative professionali, preferenze verso corsi di studio che, pur non corrispondendo alle
specifi che velleità individuali, tendono a costituire un margine di sicurezza maggiore.
A questo si aggiungono le conseguenze di una falsa fl essibilità, che invece di rappresen-
tare uno stimolo o un atteggiamento atto a smorzare l’effetto della precarietà, si trasforma
in un espediente aziendale che spesso ha il solo risultato di inasprire il contesto di insicu-
rezze preesistenti per celare dietro ad un altro nome la natura stessa della precarietà.
Al contrario, nei casi in cui la fl essibilità sia intesa nel suo signifi cato originario, i genitori
non dubitano che questa possa rappresentare un arricchimento individuale, un vero e
proprio incentivo alla costruzione di un progetto di vita. La fl essibilità, se di fl essibilità
si tratta, rappresenta una possibilità alla libertà personale, ponendo tuttavia un limite al
raggiungimento di un profi lo professionale di maggiore levatura: per imparare, per miglio-
rare le proprie capacità, un soggetto ha bisogno di restare per un lungo periodo in una
realtà lavorativa.
Precarietà e fl essibilità, al giorno d’oggi, si fondono insieme in un complessivo disagio, al
punto da costituire un unico spettro che prende il nome del timore, al punto da costituire
due sinonimi di un’unica condizione: la sospensione.
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• Pensa che la precarietà e la fl essibilità rappresentino per i suoi fi gli un problema o uno stimolo per migliorare?
«... uno stimolo per migliorare, un precario resta precario fi nché ha un comporta-mento da precario, nel momento in cui diventa in gamba un datore di lavoro, se è accorto, non se lo fa scappare...»
«... la precarietà in assoluto la vedo come un problema, perché rinvia tutti i problemi personali nel tempo, la fl essibilità potrebbe essere accettata anche in maniera più positiva, ma se la fl essibilità comporta precarietà è negativa...»
«... un problema perché il fatto di essere precari è un ostacolo per il futuro, perché non ti puoi prendere certi impegni, porterebbe le cose per le lunghe, per il resto lo reputo uno stimolo...»
«... la precarietà è un problema, la fl essibilità è uno stimolo, la precarietà non induce a quella fl essibilità che è costruzione di progetto, ma io non progetto un bel niente se sono precario anche nel mio lavoro...»
«... La precarietà è uno stimolo per evitarla in questo senso sì, la fl essibilità è un atteggiamento mentale che è utile...»
«... è un problema un po’ per tutti (la precarietà) perché sappiamo che non ci sono certezze...»
«... fl essibilità è un’apertura che può arricchire la persona, la precarietà non ti da nessuna garanzia (...) ti senti un po’ preso in giro...»
«... (fl essibilità) per me è sempre uno stimolo (...) però c’è sicuramente chi ne ap-profi tta (datori di lavoro nei confronti di quelli a tempo determinato)...»
«... una persona deve anche essere stimolata di poter migliorarsi...»
«... io non ho mai capito perché deve esistere il precario, cioè per esistere il precario vuol dire che c’è una persona che a casa e che prende soldi che non lavora (...) perchè ci sono le leggi che lo permettono (es. insegnanti-politici)...»
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«... (quelle sul precariato) sono leggi che non servono a niente, servono per am-mortizzare le spese di un’azienda (...) le grandi aziende hanno questi paracaduti statali...»
«... le certezze sono importanti anche per costruire una famiglia...»
«... la precarietà, sarai più libero, ma non ti da certezze per il futuro è sempre limitante...»
«... anche la fl essibilità (...) più o meno lo stesso (...) uno ha bisogno di conoscere il suo mondo lavorativo (...) per dare di più...»
«... sono (tutti e due) degli aspetti che fanno paura ai giovani in generale...»
«... uno non si sente sicuro...»
«... potrebbero anche dare una spinta per fare il meglio possibile, però potrebbero demotivare una persona...»
«... loro sono consci che l’aspetto di non avere un lavoro per tutta la vita è una cosa assodata...»
«... fa un po’ paura...»
«... il problema del precariato ne hanno discusso con la zia (che era precaria) e l’hanno approfondito (...) non so se per loro è un migliorarsi, è un disagio che ve-dono (...) se loro lo vedono come un bene o un male questo non saprei dirti...»
I genitori dei giovani lavoratori
Chi ha un fi glio che lavora, afferma di essere soddisfatto dell’occupazione attuale del
fi glio. Le aspettative genitoriali, nella maggioranza dei casi, non sono state deluse; e an-
che quando il lavoro effettivamente svolto dalla progenie differisce in parte da quanto il
genitore si era in precedenza raffi gurato, vi è la constatazione che si tratta pur sempre di
un’occupazione che soddisfa il giovane in questione. In generale, dunque, i genitori tro-
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vano una conferma delle loro attese: la facilità di accesso al mondo del lavoro è relativa-
mente facile (anche se spesso la coerenza con gli studi effettuati ne risulta sacrifi cata),
e i fi gli paiono piuttosto appagati.
Le diffi coltà che i genitori riscontrano con maggior frequenza, pensando all’inserimento
lavorativo dei propri fi gli, risiedono nel reddito, che nei primi anni di carriera fatica a de-
collare, e a volte in un non agevole adattamento ai ritmi che il lavoro impone: neanche
l’aver svolto, negli anni precedenti, dei lavori saltuari o stagionali, garantisce dall’impatto
del lavoro full-time sulla scansione della vita quotidiana. C’è inoltre, chi vede nel fi glio
l’ansia da competizione, e scorge i primi sintomi di coping, ovvero di quella sensazione
di insicurezza e di inadeguatezza di chi non si reputa in grado di rivaleggiare – in termini
di competenze, abilità e produttività – con il mondo circostante. In generale, comunque,
il primo contatto con il mondo lavorativo non risulta così drammatico, e spesso i giovani
riescono ad affrontarlo con il loro entusiasmo e il loro spirito di adattamento.
I genitori, almeno a parole, sembrano disposti ad un supporto ad ampio raggio in tale
fase di transizione dall’esperienza studentesca a quella lavorativa: un supporto che si tra-
duce in aiuti fi nanziari, ma anche in un dialogo e, non di rado, in una realistica “messa in
guardia” di fronte all’impraticabilità di determinati e troppo ottimistici progetti di carriera.
L’atteggiamento di padri e madri nei confronti di una possibile emigrazione dei fi gli si
conferma, come già evidenziato nella relazione quantitativa, molto positivo: se il lavorare
all’estero può contribuire alla realizzazione personale e professionale del fi glio, secondo i
genitori si tratta di una scelta da fare. Essi, per il bene dei fi gli, si dicono rassegnatamen-
te disposti ad affrontare l’inevitabile sentimento di dispiacere e di sofferenza causato dal
distacco.
Molti genitori credono che i propri fi gli attribuiscano al lavoro, come valore, una premi-
nenza rispetto alla famiglia; vi sono tuttavia molte voci discordanti, proprie di chi vede nel
lavoro un mero mezzo per il sostentamento personale. Come dice un genitore intervista-
to, “[per i miei fi gli] la famiglia è un punto di rifugio, il nocciolo, il signifi cato della loro vita;
del lavoro c’è bisogno”.
• Quando pensava al futuro lavorativo dei suoi fi gli che cosa immaginava?«... visti gli studi (laurea in ingegneria) una relativa facilità di accesso al lavoro ed una iniziale diffi coltà parlo di retribuzione economica...»
«... pensavo che avrebbe fatto il lavoro che adesso fa...»
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«... speravo che mia fi glia potesse realizzare quello che era il suo studio (...) però si era capito che le cose non potevano essere così...»
«... l’importante è avere un lavoro possibilmente che soddisfa...»
«... che avessero un lavoro che gli desse soddisfazione...»
• Come è stata invece la realtà?«... quello che immaginavo è successo in realtà...»
«... ha fatto quello che io pensavo che avrebbe fatto (l’insegnante)...»
«... diversa, però vedo che c’è soddisfazione in quello che sta facendo...»
«... mia fi glia ha cercato il lavoro in un certo ambito (ristorazione) e l’ha trovato (...) ed è stata abbastanza soddisfatta...»
«... al ragazzo interessava solo guadagnare qualcosa e ha trovato da caricare e sca-ricare i container e gli andava bene...»
«... (ha fatto un’esperienza di 2 mesi in una ditta con un lavoro manuale) in un certo qual senso ha visto com’era il mondo del lavoro vero e proprio, in parte è rimasto un po’ deluso perché, immaginava forse, che ci fosse un po’ più di dialogo con il datore di lavoro...»
• Hanno incontrato delle diffi coltà? Se sì di che tipo?«... oltre a quelle economiche no...»
«... no nessuna, almeno non me ne ha mai parlato...»
«... non ha trovato diffi coltà (...) anche perché ha un carattere volitivo...»
«... ha trovato tante diffi coltà...»
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«... fare la stagione va bene, ma essere assunto in modo stabile non è facile (...) e ha avuto dei momenti di scoraggiamento (...) (per un posto) si trovava a competere con un sacco di altre persone...»
«... come diffi coltà nessuna anche a livello di colleghi...»
• Pensa di essere riuscito ad aiutarli a superare queste diffi coltà? Se sì come (materialmente, spiritualmente inteso magari come modello a cui ispirarsi)?
«... sì economicamente, ma poco nel momento dell’acquisto di certi oggetti per la casa...»
«... se dovesse incontrare delle diffi coltà peso di essere in grado di farlo...»
«... il dialogo è la cosa che aiuta di più per cui penso di sì parzialmente...»
«... qualcosa credo di avere aiutato nel senso di star tranquilla (...) le ho sempre detto che se aveva bisogno di soldi (...) ero disponibile (...) adesso mi sembra che in quel posto sia abbastanza contenta...»
«... ho sempre cercato di spiegargli che nel mondo del lavoro a volte si devono fare i lavori che tutti evitano...»
• Se suo fi glio/a avesse trovato lavoro all’estero, lei come genitore che cosa avrebbe detto?
«... penso che noi genitori non siamo tanto contenti quando vanno a lavorare lonta-no, non siamo affatto cambiati dai nostri genitori...»
«... non dico sofferenza, dolore, peccato, dispiace quando ci si allontana però va bene così...»
«... a me dispiacerebbe un pochino (...) però se trova quello pazienza, potrei essere anche d’accordo...»
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«... è una cosa positiva se è una cosa che è un suo desiderio...»
«... per me non c’è problema (...) se trovano un lavoro soddisfacente, ma lontano, faranno la loro vita lontano da casa, in un’altra città, in un altro Stato, per me non è un problema, la vita è loro...”
• In defi nitiva pensa che per loro sia più importante la famiglia od il lavoro?«... farei 50 e 50 se fosse possibile in questo momento qui...”
«... per mio fi glio il lavoro (studia ancora), per mia fi glia il lavoro perché è preca-ria...”
«... sono due valori completamente diversi, una ti accompagna per tutta la vita, e una può cambiare nell’arco della vita...”
«... penso attualmente il lavoro (...) prima della famiglia vengono altre cose: gli ami-ci, ecc.,...”
«... il lavoro senz’altro prima della famiglia (...) perchè la famiglia si è un po’ disgre-gata...”
«... potrei dirti alla pari sono consapevoli che per vivere c’è bisogno del lavoro...”
«... per tutti e due penso che la famiglia sia il punto di rifugio, il nocciolo, il signifi -cato della loro vita, del lavoro c’è bisogno...”
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L’indagine quantitativa è stata condotta mediante sondaggio telefonico CATI (Computer
Assisted Telephone Interview), all’interno di un campione di 200 giovani tra i 15 e i 29
anni residenti in provincia di Treviso, rappresentativi dell’universo di riferimento in base
ai parametri di sesso, età e comune di residenza (capoluogo/non capoluogo), e di un
campione di 200 residenti in provincia di Treviso con fi gli tra i 15 e i 29 anni-
Le interviste sono state somministrate nel periodo che va dal 1al 15 dicembre 2007.
I metodi utilizzati per l’individuazione delle unità fi nali sono di tipo casuale, come per i
campioni probabilistici. Tutti i parametri sono uniformati ai più recenti dati forniti dall’ISTAT.
I dati sono stati ponderati al fi ne di garantire la rappresentatività rispetto ai parametri di
sesso, età e comune di residenza (capoluogo/non capoluogo).
Parametri dei due campioni
Il campione di 200 giovani intervistati risulta così composto:
Sesso
Maschio 52
Femmina 48
Età
15-17 anni 17
18-20 anni 17
21-23 anni 19
24-26 anni 21
27-29 anni 26
Comune di residenza
Treviso 9
altri 91
Metodologia
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Il campione di 200 genitori intervistati risulta così composto:
Sesso
Maschio 47
Femmina 53
Età
35-44 anni 17
45-54 anni 17
55-64 anni 19
sopra i 64 anni 21
Comune di residenza
Treviso 10
altri 90