I Esecuzione Forzata e Titolo Esecutivo
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02/04/2015
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ESECUZIONE FORZATA E TITOLO ESECUTIVO
L’esecuzione forzata
Con l’espressione “esecuzione forzata” si indica, in sintesi, l’insieme di
procedure intese alla attuazione per via giurisdizionale dei diritti insoddisfatti per la
mancata prestazione degli obbligati. L’aggettivo “forzata” sta ad indicare
l’irrilevanza della volontà di non adempiere e il corrispondente potere degli organi
giudiziari di sostituirsi all’obbligato renitente, riottoso o semplicemente inerte, per
la soddisfazione dell’interesse dell’avente diritto.
Le procedure esecutive appartengono all’ambito della tutela giurisdizionale
affiancandosi alla tutela dichiarativa. Mentre quest’ultima si manifesta nei
procedimenti di cognizione regolati dai libri II e IV del codice di rito, la tutela
esecutiva è specificamente disciplinata dal libro III del codice, intitolato appunto
“Dell’esecuzione forzata”. In questo libro sono regolate le singole procedure
esecutive secondo le tipologie dei diritti tutelati e le posizioni dell’obbligato. [1]
Il diritto alla tutela giurisdizionale attraverso il c. d. giusto processo (artt. 24 e 111 cost.; artt. 6 e 13 CEDU) ricomprende anche il diritto alla tutela esecutiva. In tal senso depongono la giurisprudenza della Corte costituzionale e quella della Corte di Strasburgo: la tutela dichiarativa può infatti non essere sufficiente e una tutela effettiva del diritto può richiedere anche l’attività giurisdizionale volta a realizzare sul piano pratico il diritto riconosciuto ma non rispettato.
Una strada per ottenere il risultato perseguito è quella di spingere l’obbligato ad
adempiere. Questa strada ha però il suo limite nel fatto che l’obbligato non può
essere fisicamente forzato a fare quel che egli si rifiuta di fare. Entro certi limiti egli
può essere indotto all’adempimento con meccanismi sanzionatori a carattere
pecuniario che danno luogo alla c. d. “esecuzione indiretta”: al fine di stimolare
l’obbligato ad adempiere, può prevedersi che questi incorra in conseguenze
negative presumibilmente più gravose dell’adempimento. È questo il meccanismo a
cui ricorre l’art. 614-bis per il caso di mancata attuazione degli obblighi infungibili
di fare o non fare: “Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia
1L’espropriazione dei beni immateriali è regolata dalle norme del Codice della proprietà
industriale (d. lgs. n. 30/2005). Navi e aeromobili (beni mobili registrati) sono pignorabili
secondo la procedura degli artt. 650 e 1061 cod. nav.
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manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta
dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni
ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna
costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione
o inosservanza”. [2]
L’esecuzione indiretta dell’art. 614-bis non consiste però in un’attività esecutiva
in senso stretto: l’articolo prevede infatti una pronuncia di condanna da parte del
giudice della cognizione che funge da presupposto di rimedi esecutivi (c. d.
astreinte) ma non è un rimedio esecutivo essa stessa. La vera esecuzione forzata
non si risolve infatti in ordini o accertamenti (o almeno non si esaurisce in essi), ma
dà sempre luogo alla materiale sostituzione dell’organo giurisdizionale all’obbligato
nella produzione del risultato perseguito. Solo nei casi in cui questo non è possibile
(infungibilità vera della prestazione = insurrogabilità dell’attività dell’obbligato: vi
ritorneremo in prosieguo) è giocoforza ricorrere alla via indiretta della astreinte.
Le attività esecutive possono essere di vario tipo poiché esse debbono essere
strettamente funzionali al tipo di risultato che avrebbe dovuto garantire l’obbligato
inadempiente. Così, se l’obbligato doveva rilasciare un immobile a favore
dell’avente diritto, è chiaro che l’attività dell’ufficio esecutivo dovrà essere
organizzata in modo da far sì che, all’esito dell’esecuzione, l’immobile ritorni nella
disponibilità dell’avente diritto; se invece l’obbligato era tenuto a pagare una
somma di danaro, la procedura esecutiva, che si estrinseca nella forma
dell’espropriazione, dovrà mirare a garantirgli l’apprensione della corrispondente
somma di danaro (e non un altro risultato).
Peraltro la sostituzione ha talvolta bisogno di attività complesse, che danno luogo
a procedimenti articolati. E così, mentre l’adempimento di un’obbligazione di
somma di danaro è strutturalmente semplice (pagamento), la correlata esecuzione
forzata dà luogo all’attività multiforme dell’espropriazione forzata, Questa,
fondandosi sul principio della garanzia patrimoniale dell’obbligazione, impone
dapprima il blocco dei beni del debitore (pignoramento), poi consente agli altri
2 Il primo comma prosegue stabilendo: “Le disposizioni di cui al presente comma non si
applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409”.
Il giudice determina l’ammontare della somma “tenuto conto del valore della controversia,
della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra
circostanza utile” (art. 614-bis c. 2).
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eventuali creditori di far valere le loro pretese nel procedimento iniziato dal
pignoramento (intervento fondato sull’art. 2741 c. c.: par condicio creditorum), poi
impone di liquidare i cespiti oggetto del pignoramento (vendita forzata), poi ancora
di distribuire la somma ricavata tra i creditori (con correlate controversie sulle
percentuali e sull’ordine dei crediti), il tutto sotto l’occhio vigile del giudice
dell’esecuzione, contestazioni del debitore, contraddittorio delle parti ecc. Solo alla
fine della procedura si potrà apprezzare che l’esito è omogeneo a quanto si sarebbe
realizzato con l’adempimento spontaneo: se tutto va bene, all’esito di questo ampio
iter di atti, il creditore riceve la somma che avrebbe dovuto ricevere dalle mani del
debitore.
Il titolo esecutivo
Mentre per procedere ad accertare un diritto è sufficiente che questo sia
semplicemente affermato (il processo di cognizione mira appunto alla verifica della
ragione affermata in domanda), un diritto non si può forzatamente eseguire se la sua
esistenza non si fonda su elementi obiettivi. Qui si tratta (non di discutere per
risolvere questioni ma) di produrre effetti concreti, cioè mutamenti delle situazioni
di fatto e di diritto con pregiudizi immediati per la parte esecutata: l’esecuzione del
diritto può dar luogo ad atti autoritativi idonei, secondo i casi, a seriamente limitare
la libera circolazione di beni, vendere a terzi tali beni contro la volontà del
proprietario, dar luogo a riscossione, incameramento e distribuzione di somme di
danaro, forzare serrature e sigilli, espellere fisicamente da immobili soggetti che
non possono più dimorarvi, distruggere manufatti e così via. Si tratta di dar vita a
modificazioni tangibili della realtà che debbono trovare la propria giustificazione in
qualcosa di più della mera affermazione di aver ragione.
Gli elementi obiettivi su cui si fonda il diritto di procedere ad esecuzione
forzata sono riassunti dal concetto di titolo esecutivo. “Avere un titolo esecutivo”
significa essere investiti della facoltà di ricevere la tutela esecutiva dagli appositi
organi giurisdizionali: chi ha un titolo esecutivo a proprio favore ha il diritto di
procedere ad esecuzione forzata, nel senso del potere di azionare la procedura
esecutiva intesa al risultato perseguito. Nello stesso tempo, per ricevere dallo
Stato (cioè dagli organi giudiziari competenti) la tutela esecutiva, non è richiesto
nulla di più del possesso di un titolo esecutivo a proprio favore. Il titolo esecutivo
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è dunque condizione necessaria, ma è anche condizione sufficiente
dell’azionabilità del proprio diritto in via esecutiva: l’esecuzione non ha bisogno
di altri presupposti. Si dice quindi che chi ha un titolo esecutivo a proprio favore
ha “azione esecutiva”, cioè può legittimamente procedere con le modalità del
processo di esecuzione contro il soggetto indicato dal titolo come obbligato.
In concreto il titolo esecutivo è rappresentato dal documento, così qualificato
dalla legge, che individua il diritto da eseguire, il titolare di tale diritto e il soggetto
contro cui è l’esecuzione può legittimamente aver luogo. L’art. 474, in apertura del
terzo libro del codice, stabilisce al suo primo comma: “L’esecuzione forzata non
può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed
esigibile”. La certezza del diritto significa che esso deve essere specificamente
individuato; la sua esigibilità vuol dire che esso, al tempo dell’esecuzione, deve
essere maturato (non è evidentemente eseguibile un diritto il cui termine di
esercitabilità non è ancora scaduto); la liquidità, che peraltro si riferisce ai soli
diritti di credito, vuol dire che essi debbono essere determinati nel loro preciso
ammontare (per es., il diritto di credito accertato nella sentenza di condanna
generica, non è ancora liquido e non dà quindi luogo a titolo esecutivo).
Quali sono i documenti considerati titoli esecutivi dalla legge? La risposta è data
sempre dall’art. 474 che, al suo secondo comma, indica quali titoli esecutivi:
1) le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce
espressamente efficacia esecutiva;
2) le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di
denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la
legge attribuisce espressamente la stessa efficacia;
3) gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a
riceverli.
Si ricava da questa elencazione la distinzione dei titoli esecutivi in due categorie
fondamentali: i titoli giudiziali ed i titoli stragiudiziali, atti, questi ultimi, frutto di
esercizio dell’autonomia privata.
La categoria dei “titoli giudiziali” comprende innanzitutto (e
fondamentalmente) i provvedimenti giudiziali e, in primo luogo le sentenze.
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Beninteso si deve trattare di sentenze di condanna [3] esecutive. Sono tali (sempre
che non ne sia stata sospesa l’efficacia esecutiva) le sentenze di primo grado, le
sentenze pronunciate in unico grado, le sentenze d’appello o rese in sede di
revocazione o di opposizione di terzo. Costituiscono inoltre titolo esecutivo le
sentenze di merito della Corte di cassazione (oltre a quelle che portano condanna
alle spese). Vengono poi in considerazione i provvedimenti (sempre di condanna)
in forma di ordinanza o di decreto ai quali la legge attribuisce espressamente
efficacia esecutiva (art. 474 n. 1). Sono tali, per fare qualche esempio (ma la
casistica è vasta) le ordinanze anticipatorie degli artt. 186-bis, 186-ter, [4] 186-
quater, 423; il decreto ingiuntivo (divenuto definitivo ex art. 647, ovvero munito
di provvisoria esecutività ai sensi dell’art. 642), l’ordinanza di convalida di sfratto
e l’ordinanza non impugnabile di rilascio dell’art. 665 c. 1.
Accanto ai provvedimenti, il n. 1 dell’art. 474 pone “altri atti ai quali la legge
attribuisce espressamente efficacia esecutiva”. Sono, questi, gli atti a carattere
non provvedimentale, categoria in cui si fanno rientrare i verbali di conciliazione,
redatti davanti all’autorità giudiziaria, nei quali una parte assume obbligazioni
verso l’altra (e così, per es., il processo verbale di conciliazione dell’art. 199, il
verbale della conciliazione che segue il tentativo esperito a norma dell’art. 185, la
conciliazione in sede non contenziosa dell’art. 322, la conciliazione nel rito del
lavoro ex art. 411).
Sono parimenti titoli esecutivi: - il c. d. titolo esecutivo europeo per il credito non contestato dal
debitore ai sensi del Regolamento CE n. 805/2004. Il titolo esecutivo europeo è un documento che consente alle decisioni giudiziarie, le transazioni giudiziarie e gli atti pubblici relativi a crediti non contestati, possano essere riconosciuti ed eseguiti automaticamente, in un altro Stato membro, senza procedimento intermedio;
- la ingiunzione europea di pagamento ai sensi del Regolamento CE n. 1896/2006 (di cui si è trattato in apposito paragrafo nel capitolo dedicato al procedimento monitorio).
I “titoli stragiudiziali” sono atti rappresentativi dell’obbligazione assunta dal
debitore a favore del creditore. Questi titoli hanno prevalentemente natura
3 Purché la condanna non abbia la caratteristica della condanna generica: art. 278.
L’accertamento del diritto contenuto nella condanna generica, lo ricordiamo, è privo dei
requisiti della liquidità e della esigibilità. 4 Non sempre, perché (come si ricorderà) la norma prevede anche casi di ordinanza
ingiuntiva non esecutiva.
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negoziale e garantiscono esecutivamente l’inadempimento dell’obbligazione
dispensando così il creditore dall’agire in cognizione per ottenere una condanna
esecutiva. Essi dunque facilitano la strada al recupero del credito autorizzando il
creditore a rivolgersi direttamente all’organo dell’esecuzione.
Appartengono a tale categoria:
a) le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di
denaro in esse contenute (art. 474 n. 2);
b) le cambiali, e degli altri titoli di credito ai quali la legge [5] attribuisce
espressamente la stessa efficacia (art. 474 n. 2);
c) gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge
[6] a riceverli (art. 474 n. 3).
Accanto ai titoli previsti dall’art. 474, altre figure di titolo esecutivo stragiudiziale
sono inoltre previste dall’ordinamento. Sono tali alcuni atti di autorità non giudiziali
definiti titolo esecutivo dalla legge (titoli di formazione amministrativa); [7] i
verbali che formalizzano la conciliazione delle controversie civili a seguito di
mediazione (art. 12 d. lgs. n. 28/2010), l’accordo “raggiunto a seguito della
convenzione” di c. d. negoziazione assistita ai sensi dell’art. 5 del d. l. n. 132/2014
conv. nella l. n. 164/2014 [8]
Il diritto contemplato nel titolo esecutivo deve essere certo. Il senso della certezza va però visto in stretta relazione al tipo di titolo impiegato.
Nel caso di titolo giudiziale, diritto certo significa diritto “accertato” dal provvedimento che funge da titolo. Qui si vede la pregiudizialità della cognizione rispetto all’esecuzione: il diritto diviene eseguibile in quanto accertato dal giudice e si può quindi apprezzare la scansione “cognizione/esecuzione”, “tutela dichiarativa/tutela esecutiva”. Naturalmente la certezza non è necessariamente assoluta e irremovibile, dal momento che sono titoli esecutivi anche le condanne non passate in giudicato; ne segue che la certezza del diritto dichiarato, per es., in una sentenza di primo grado, immediatamente ma pur sempre provvisoriamente esecutiva, scompare di fronte alla riforma in appello. In tal caso viene meno anche il titolo esecutivo, il che porta ad un’altra riflessione: non basta che il titolo esecutivo sussista per potere iniziare l’esecuzione, occorre anche che la sua efficacia non venga meno in seguito. Ma su questo si ritornerà in prosieguo.
5 Artt. 55, 86, 90, 100, 104 r.d. n. 1736/1933; art. 3 l. n. 386 /1990; artt.1684, 1790, 1791
cod. civ. 6 Segretario comunale, console italiano all’estero
7 Come, per es., quelli previsti dall’art. 23 del d.p.r. n. 602/1973, dall’art. 8 l. n. 689/1981,
dall’art. 2 t.u. n. 329/1910; art. 11 d.P.R. n. 1035/1972. 8 Art. 5. Esecutività dell’accordo e trascrizione. 1. “L’accordo che compone la
controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo
esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale”.
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Nel caso invece di titolo stragiudiziale, la certezza del diritto non riposa su alcun accertamento preventivo; qui la forza esecutiva del titolo dipende dallo spontaneo assoggettamento dell’obbligato, dalla sua scelta di subire l’esecuzione in caso di inadempimento. Chi firma una cambiale, assume l’impegno ad adempiere alla scadenza ma contestualmente autorizza il creditore ad agire direttamente in via esecutiva per l’ipotesi di inadempimento (ricorrendo alla cambiale, il creditore ha scelto preventivamente di rafforzare le proprie chances di soddisfazione di fronte al possibile inadempimento del debitore). Chi, in qualità di mutuatario, sottoscrive l’atto pubblico che consacra il contratto di mutuo concessogli da una banca, accetta che l’istituto mutuante usi tale atto come titolo esecutivo in caso di inadempimento (accetta cioè la superfluità per la banca di agire in cognizione per ottenere una condanna). Certezza qui significa riconoscimento, da parte dell’obbligato, del diritto ai fini dell’esecuzione.
La diversità tra i titoli costituiti da provvedimento giudiziale di condanna e gli
altri titoli non ha solo un valore classificatorio, poiché si riverbera sul tipo di difese
esperibili dal debitore esecutato. Come si vedrà più diffusamente in seguito,
l’esecutato può contestare il diritto di procedere ad esecuzione forzata del creditore
(nella forma dell’opposizione all’esecuzione) e quindi mettere in discussione il
titolo sulla cui base questi agisce. Ma mentre rispetto ai titoli di formazione
stragiudiziale egli potrà utilizzare tutte le opportune eccezioni, nel caso di titoli
consistenti in provvedimenti giudiziali il campo delle sue eccezioni non potrà
estendersi a quelle che dovevano farsi valere nel procedimento cognitivo di
formazione del titolo stesso; esso sarà invece ristretto alle eccezioni sorte in un
momento successivo e comunque non riservate alla cognizione. Così, per es., il
debitore nei cui confronti si fa valere una sentenza di condanna potrà certo opporre
di avere nel frattempo (cioè dopo la condanna) già pagato, ma non potrà certo far
valere che il creditore non aveva diritto all’accoglimento della domanda perché il
suo diritto era prescritto: è ovvio che questa eccezione poteva essere sollevata solo a
tempo debito nel processo di cognizione e che essa non ha quindi ingresso
nell’esecuzione.