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18 Dental Tribune Italian Edition - Settembre 2016 Teknoscienza I dispositivi impiantabili riducono i sintomi dell’apnea notturna ostruttiva Denver, Filadelfia, Stati Uniti – Un nuovo apparecchio im- piantabile promette miglioramenti per i pazienti che sof- frono di moderata o severa apnea notturna ostruttiva e che non tollerano il più comune trattamento in uso, il CPAP (continuous positive airway pressure). Dopo un iniziale trial clinico di successo nel 2014, che ha coinvolto istituzioni me- diche europee e americane, un nuovo studio condotto da ri- cercatori americani ha dimostrato che l’apparecchio riduce notevolmente i sintomi dell’apnea notturna ostruttiva. Fin dagli anni Ottanta il CPAP, attraverso il quale si applica aria compressa continua al fine di mantenere le vie aeree aperte, è stato il trattamento più utilizzato per l’apnea not- turna ostruttiva. Tuttavia, molti pazienti non tollerano l’ap- parecchio per la sua scomodità o per differenti ragioni. Per aiutare questi pazienti Inspire Medical Systems ha sviluppa- to uno strumento chiamato Inspire Upper Airway Stimula- tion, impiantabile sulla parte superiore del petto. Durante l’intervento uno stimolatore viene posizionato vi- cino alla clavicola e connesso a un elettrodo posto sul ner- vo ipoglosso, il quale controlla il movimento della lingua. Inoltre, lo stimolatore è connesso a un sensore di pressione tra i muscoli intercostali che serve a individuare lo sforzo re- spiratorio. Dopo aver determinato il modello di respirazione del paziente, l’apparecchio stimola il nervo ipoglosso che si allarga, stabilizzando le vie aeree superiori e migliorando il controllo del respiro. I pazienti possono usare un teleco- mando per accenderlo e spegnerlo in modo da utilizzarlo soltanto durante il riposo notturno. Nello studio, ricercatori della Perelman School of Medici- ne all’Università della Pennsylvania hanno esaminato 20 pazienti che avevano ricevuto l’impianto tra gennaio 2015 e marzo 2016. I partecipanti allo studio erano tipicamente sovrappeso, di mezza età e soffri- vano di apnea notturna ostruttiva severa. Tutti i pazienti hanno subito una polisonnografia di riferimento e un’altra circa due mesi dopo che l’apparecchio era stato impiantato, al fine di stabilire la severità del disturbo e ricercare qualsiasi cambiamento dopo l’intervento. Secondo i ricercatori, il punteggio totale sull’in- dice dell’apnea-ipopnea, che misura la severità della condizione contando il numero di pause nel respiro durante il sonno, è sceso significati- vamente per tutti i pazienti dopo che il dispo- sitivo era stato impiantato, con una media di 35 pause all’ora. Ciò corrisponde a una riduzione media dell’84%. Inoltre, il livello più basso mi- surato di ossigeno nel sangue durante la notte è aumentato notevolmente, dal 79% al 90%. Il precedente trial clinico, che portò all’appro- vazione dell’apparecchio da parte della Food and Drug Ad- ministration nell’aprile 2014, era stato condotto in condi- zioni controllate. Secondo i ricercatori, lo studio attuale va oltre, guardando ai risultati nell’uso clinico. Replicando il successo del trial clinico, le scoperte mostrano che il conge- gno è efficace per l’intera popolazione come lo è stato per i partecipanti che avevano i requisiti imposti dal trial clinico. «Considerando che l’apnea notturna può portare pressione alta, infarti, ictus e altri seri problemi, è molto importante studiare strumenti diversi dal CPAP per trattare i pazienti con questo disturbo», ha detto il principale autore dello stu- dio, il dott. Richard Schwab, professore di Medicina all’ospe- dale della University of Pennsylvania e co-direttore presso il Penn Sleep Center. «Non esiste un sistema perfetto per trat- tare l’apnea notturna, tuttavia i nostri dati preliminari mo- strano che la stimolazione del nervo ipoglosso può aiutare efficacemente i pazienti che soffrono della condizione e che non tollerano il CPAP». I ricercatori hanno presentato lo studio a SLEEP 2016, il tren- tesimo meeting annuale della American Academy of Sle- ep Medicine e della Sleep Research Society, che si è tenuto dall’11 al 15 giugno a Denver. DTI Secondo uno studio condotto da ricercatori americani, un nuovo strumento impiantabile riduce notevolmente i sintomi di apnea notturna ostruttiva (Foto: ChameleonsEye/Shutterstock). OSAS, l’odontoiatria e le altre discipline un “logico concerto di competenze sinergiche” Congressi e convegni dedicati all’OSAS (sindrome delle apnee ostruttive del sonno) si stanno moltiplicando. L’ultimo è quello che si è svolto il 1 luglio al Centro Congressi SGR di Rimini indetto da Sonnair Dextra intitolato “Il respiro del sonno”. L’interdisciplinarietà e la complessità del tema ha dato lo spunto a Bruno Davide Pugliese, dentista a San Patrignano, per alcune considerazioni. Si sta evidenziando un focus so- ciale nuovo, quello dei disturbi del sonno. Da sempre delegato ad altre specialità mediche, il tema viene oggi affrontato anche dal- le competenze odontoiatriche. Se ne parla spesso a seguito di recenti disposizioni ministeriali allertati da nuovi provvedimenti di sicurezza stradale. A monte c’è un riposo notturno non efficace che provoca una minor lucidità di guida. In tutto questo cosa c’entra l’odontoiatria? È indubbio che una diagnosi in questa problematica mette in primo piano l’aspetto obiettivo respiratorio, la valuta- zione dei parametri di saturazione di O2 e il livello di rischio di apnea, condizionato a sua volta dal bilan- cio ponderale e dalla pervietà del- le alte vie respiratorie. Però è deduttivamente noto come l’atteggiamento della mandibola a causa della sua dinamica postu- rale o dei rapporti dentali, possa condizionare la fisiologia dell’i- pofaringe. Di qui competenze che diventano anche orali. Del resto l’armonia del massiccio cranio- facciale, dal rapporto delle basi ossee alle relazioni occlusali, se rappresenta un equilibrio morfo- funzionale, definisce e completa anche l’efficienza del contributo oro-antrale nell’attività respi- ratoria. Si è quindi definito un logico concerto di competenze, pneumologiche, metaboliche, otorinolaringoiatriche, maxillo- facciali e odontoiatriche, che se supportate da un politica sanita- ria dedicata, possono impegnarsi sinergicamente sul paziente con patologia del sonno. Nell’ostruzione delle vie respi- ratorie in cui si associano apnee, le così dette OSAS (sindrome del- le apnee ostruttive del sonno) presentano componenti neuro- vascolari che favoriscono com- plicanze di ordine neurologico e cardiologico. In casi severi, la risposta terapeutica diventa un trattamento ventilatorio con di- spositivi meccanici (CPAP – conti- nuous positive airway pressure), o addirittura interventi chirurgici a livello della funzionalità compro- messa, per ridurre l’ostruzione. Attualmente sono ricorrenti gli incontri dedicati a questi temi in cui si confermano esperien- ze cliniche, dove viene integrata la multidisciplinarietà medico odontoiatrica, creando nuovi profili sulle competenze della salute orale. Sempre più diverse specialità mediche trovano nel- la bocca, il focus diagnostico o un contributo nel pattern tera- peutico, riqualificando la logica biunivocità tra salute orale e si- stemica a beneficio di una mag- giore efficienza nelle cure e di un ampliamento dell’odontoiatria su problematiche ad ampia tra- sversalità. Patologie del sonno, dai vari livel- li di roncopatia all’OSAS, trovano infatti linkate tutte le dimensioni sanitarie, da quella ospedaliera per le diagnosi e gli accertamen- ti clinico-anamnestici, a quella ambulatoriale specialistica a de- finizione delle precedenti, tra cui l’odontoiatra, la cui prescrizione al laboratorio odontotecnico re- alizza il dispositivo orale. Atenei e società scientifiche dedicate estendono una matrice culturale orientata in questa direzione, in vista di ampliare figure specia- listiche in grado di dare risposte a queste patologie; la progressio- ne del loro monitoraggio e degli studi probabilmente arriverà a una stima maggiore a quanto riscontriamo oggi. Debitamen- te concertato, potrà definire un modello di integrazione medica e di operatività dedicate alle al- lerte sociali. Bruno<Davide<Pugliese Il prof. Giuseppe Cuman e il dr. Bruno Davide Pugliese.

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18 Dental Tribune Italian Edition - Settembre 2016Teknoscienza

I dispositivi impiantabili riducono i sintomi dell’apnea notturna ostruttivaDenver, Filadelfia, Stati Uniti – Un nuovo apparecchio im-

piantabile promette miglioramenti per i pazienti che sof-

frono di moderata o severa apnea notturna ostruttiva e che

non tollerano il più comune trattamento in uso, il CPAP

(continuous positive airway pressure). Dopo un iniziale trial

clinico di successo nel 2014, che ha coinvolto istituzioni me-

diche europee e americane, un nuovo studio condotto da ri-

cercatori americani ha dimostrato che l’apparecchio riduce

notevolmente i sintomi dell’apnea notturna ostruttiva.

Fin dagli anni Ottanta il CPAP, attraverso il quale si applica

aria compressa continua al fine di mantenere le vie aeree

aperte, è stato il trattamento più utilizzato per l’apnea not-

turna ostruttiva. Tuttavia, molti pazienti non tollerano l’ap-

parecchio per la sua scomodità o per differenti ragioni. Per

aiutare questi pazienti Inspire Medical Systems ha sviluppa-

to uno strumento chiamato Inspire Upper Airway Stimula-

tion, impiantabile sulla parte superiore del petto.

Durante l’intervento uno stimolatore viene posizionato vi-

cino alla clavicola e connesso a un elettrodo posto sul ner-

vo ipoglosso, il quale controlla il movimento della lingua.

Inoltre, lo stimolatore è connesso a un sensore di pressione

tra i muscoli intercostali che serve a individuare lo sforzo re-

spiratorio. Dopo aver determinato il modello di respirazione

del paziente, l’apparecchio stimola il nervo ipoglosso che si

allarga, stabilizzando le vie aeree superiori e migliorando

il controllo del respiro. I pazienti possono usare un teleco-

mando per accenderlo e spegnerlo in modo da utilizzarlo

soltanto durante il riposo notturno.

Nello studio, ricercatori della Perelman School of Medici-

ne all’Università della Pennsylvania hanno esaminato 20

pazienti che avevano ricevuto l’impianto tra gennaio 2015

e marzo 2016. I partecipanti allo studio erano

tipicamente sovrappeso, di mezza età e soffri-

vano di apnea notturna ostruttiva severa. Tutti

i pazienti hanno subito una polisonnografia

di riferimento e un’altra circa due mesi dopo

che l’apparecchio era stato impiantato, al fine

di stabilire la severità del disturbo e ricercare

qualsiasi cambiamento dopo l’intervento.

Secondo i ricercatori, il punteggio totale sull’in-

dice dell’apnea-ipopnea, che misura la severità

della condizione contando il numero di pause

nel respiro durante il sonno, è sceso significati-

vamente per tutti i pazienti dopo che il dispo-

sitivo era stato impiantato, con una media di 35

pause all’ora. Ciò corrisponde a una riduzione

media dell’84%. Inoltre, il livello più basso mi-

surato di ossigeno nel sangue durante la notte è

aumentato notevolmente, dal 79% al 90%.

Il precedente trial clinico, che portò all’appro-

vazione dell’apparecchio da parte della Food and Drug Ad-

ministration nell’aprile 2014, era stato condotto in condi-

zioni controllate. Secondo i ricercatori, lo studio attuale va

oltre, guardando ai risultati nell’uso clinico. Replicando il

successo del trial clinico, le scoperte mostrano che il conge-

gno è efficace per l’intera popolazione come lo è stato per i

partecipanti che avevano i requisiti imposti dal trial clinico.

«Considerando che l’apnea notturna può portare pressione

alta, infarti, ictus e altri seri problemi, è molto importante

studiare strumenti diversi dal CPAP per trattare i pazienti

con questo disturbo», ha detto il principale autore dello stu-

dio, il dott. Richard Schwab, professore di Medicina all’ospe-

dale della University of Pennsylvania e co-direttore presso il

Penn Sleep Center. «Non esiste un sistema perfetto per trat-

tare l’apnea notturna, tuttavia i nostri dati preliminari mo-

strano che la stimolazione del nervo ipoglosso può aiutare

efficacemente i pazienti che soffrono della condizione e che

non tollerano il CPAP».

I ricercatori hanno presentato lo studio a SLEEP 2016, il tren-

tesimo meeting annuale della American Academy of Sle-

ep Medicine e della Sleep Research Society, che si è tenuto

dall’11 al 15 giugno a Denver.

DTI

Secondo uno studio condotto da ricercatori americani, un nuovo strumento impiantabile riduce notevolmente i sintomi di apnea notturna ostruttiva (Foto: ChameleonsEye/Shutterstock).

OSAS, l’odontoiatria e le altre discipline un “logico concerto di competenze sinergiche”Congressi e convegni dedicati all’OSAS (sindrome delle apnee ostruttive del sonno) si stanno moltiplicando. L’ultimo è quello che si è svolto il 1 luglio al Centro Congressi SGR di Rimini indetto da Sonnair Dextra intitolato “Il respiro del sonno”. L’interdisciplinarietà e la complessità del tema ha dato lo spunto a Bruno Davide Pugliese, dentista a San Patrignano, per alcune considerazioni.

Si sta evidenziando un focus so-

ciale nuovo, quello dei disturbi

del sonno. Da sempre delegato ad

altre specialità mediche, il tema

viene oggi affrontato anche dal-

le competenze odontoiatriche.

Se ne parla spesso a seguito di

recenti disposizioni ministeriali

allertati da nuovi provvedimenti

di sicurezza stradale. A monte c’è

un riposo notturno non efficace

che provoca una minor lucidità di

guida. In tutto questo cosa c’entra

l’odontoiatria? È indubbio che una

diagnosi in questa problematica

mette in primo piano l’aspetto

obiettivo respiratorio, la valuta-

zione dei parametri di saturazione

di O2 e il livello di rischio di apnea,

condizionato a sua volta dal bilan-

cio ponderale e dalla pervietà del-

le alte vie respiratorie.

Però è deduttivamente noto come

l’atteggiamento della mandibola

a causa della sua dinamica postu-

rale o dei rapporti dentali, possa

condizionare la fisiologia dell’i-

pofaringe. Di qui competenze che

diventano anche orali. Del resto

l’armonia del massiccio cranio-

facciale, dal rapporto delle basi

ossee alle relazioni occlusali, se

rappresenta un equilibrio morfo-

funzionale, definisce e completa

anche l’efficienza del contributo

oro-antrale nell’attività respi-

ratoria. Si è quindi definito un

logico concerto di competenze,

pneumologiche, metaboliche,

otorinolaringoiatriche, maxillo-

facciali e odontoiatriche, che se

supportate da un politica sanita-

ria dedicata, possono impegnarsi

sinergicamente sul paziente con

patologia del sonno.

Nell’ostruzione delle vie respi-

ratorie in cui si associano apnee,

le così dette OSAS (sindrome del-

le apnee ostruttive del sonno)

presentano componenti neuro-

vascolari che favoriscono com-

plicanze di ordine neurologico

e cardiologico. In casi severi, la

risposta terapeutica diventa un

trattamento ventilatorio con di-

spositivi meccanici (CPAP – conti-

nuous positive airway pressure), o

addirittura interventi chirurgici a

livello della funzionalità compro-

messa, per ridurre l’ostruzione.

Attualmente sono ricorrenti gli

incontri dedicati a questi temi

in cui si confermano esperien-

ze cliniche, dove viene integrata

la multidisciplinarietà medico

odontoiatrica, creando nuovi

profili sulle competenze della

salute orale. Sempre più diverse

specialità mediche trovano nel-

la bocca, il focus diagnostico o

un contributo nel pattern tera-

peutico, riqualificando la logica

biunivocità tra salute orale e si-

stemica a beneficio di una mag-

giore efficienza nelle cure e di un

ampliamento dell’odontoiatria

su problematiche ad ampia tra-

sversalità.

Patologie del sonno, dai vari livel-

li di roncopatia all’OSAS, trovano

infatti linkate tutte le dimensioni

sanitarie, da quella ospedaliera

per le diagnosi e gli accertamen-

ti clinico-anamnestici, a quella

ambulatoriale specialistica a de-

finizione delle precedenti, tra cui

l’odontoiatra, la cui prescrizione

al laboratorio odontotecnico re-

alizza il dispositivo orale. Atenei

e società scientifiche dedicate

estendono una matrice culturale

orientata in questa direzione, in

vista di ampliare figure specia-

listiche in grado di dare risposte

a queste patologie; la progressio-

ne del loro monitoraggio e degli

studi probabilmente arriverà a

una stima maggiore a quanto

riscontriamo oggi. Debitamen-

te concertato, potrà definire un

modello di integrazione medica

e di operatività dedicate alle al-

lerte sociali.

Bruno<Davide<PuglieseIl prof. Giuseppe Cuman e il dr. Bruno Davide Pugliese.

19Dental Tribune Italian Edition - Settembre 2016 Teknoscienza

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L’Associazione Dentale Danese avverte: molti alimenti per gli sportivi danneggiano i denti

Copenhagen, Danimarca – Dopo

aver valutato il contenuto di zucche-

ro in 40 bevande e snack dedicate

agli sportivi, l’Associazione Dentale

Danese ha messo in guardia i con-

sumatori sull’utilizzo di integratori

energetici come bibite energetiche,

gel e barrette proteiche. Nonostan-

te spesso siano reclamizzati come

sani, la maggior parte dei prodotti

testati conteneva grandi quantità

di zucchero ed era altamente acida;

entrambi fattori che aumentano il

rischio di erosione dentale e carie.

Il test, condotto dall’Associazione

Dentale Danese in collaborazione

con il National Food Institute, ha

mostrato che la maggior parte dei

prodotti energetici contengono li-

velli di zucchero paragonabili alle

normali bevande e snack. Per esem-

pio, mezzo litro di frullato proteico

conteneva 50 gr di zucchero – simile

alla quantità contenuta in 500 ml di

cola – e una barretta energetica con-

teneva 23 gr di zucchero, paragona-

bile a una ciambella al cioccolato.

«I produttori sono esperti nel far

apparire i prodotti sani e invi-

tanti», ha affermato il presidente

dell’Associazione Dentale Dane-

se, Freddie Sloth-Lisbjerg, sul sito

dell’organizzazione. «Ma il nostro

studio mostra che in molti casi le

persone che consumano bevande e

barrette energetiche durante gli al-

lenamenti giocano con la salute dei

propri denti». Mentre si fa esercizio

i denti sono particolarmente vul-

nerabili ai danni da acidi, ha sotto-

lineato Sloth-Lisbjerg. Se la saliva

generalmente protegge i denti, lo

sforzo fi sico spesso porta secchezza

delle fauci. «Se poi si ingeriscono li-

quidi ad alto contenuto acido, come

gel e bibite energetiche, i denti ven-

gono quasi immersi nell’acido» ha

affermato.

Sloth-Lisbjerg ha suggerito di bere

molta acqua durante gli allenamenti

e piuttosto mangiare frutta. Se i pro-

dotti hanno un basso contenuto di

zucchero ma sono molto acidi – come

nel caso di molte bibite light – ha con-

sigliato di bere rapidamente e non a

piccoli sorsi, sciacquandosi successi-

vamente la bocca con acqua o latte.

Nonostante non esistano dati stati-

stici di lungo periodo sugli effetti di

questi prodotti sulla salute dentale,

è certo che sono diventati sempre

più popolari e spesso sono conside-

rati non solo prodotti sportivi ma

vere e proprie mode. Se questo do-

vesse portare a un incremento del

loro utilizzo, i problemi associati al

contenuto trascenderanno la salute

orale, ha aggiunto Sloth-Lisbjerg. I

risultati del test si possono trovare

sul sito dell’Associazione Dentale

Danese all’indirizzo www.tandlae-

geforeningen.dk.

DTI

Bevande e snack sportivi sono spesso troppo acidi e contengono troppo zucchero per essere etichettati come salutari, come mostra

un nuovo studio di prodotto dell’Associazione Dentale Danese (Foto: Syda Productions/Shutterstock).

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21Dental Tribune Italian Edition - Settembre 2016 Teknoscienza

Concentrated Growth Factors (CGF): protocollo e caratterizzazione

Il CGF (Fig. 1) è un concentrato pia-

strinico autologo, inizialmente svi-

luppato da Sacco nel 2006, ottenuto

da un semplice prelievo di sangue

venoso, successivamente sottoposto

a uno standardizzato protocollo di

separazione per mezzo di un’apposi-

ta centrifuga (Medifuge 200, Silfra-

dent, Forlì, Italia), senza l’aggiunta di

sostanze esogene. La principale ca-

ratteristica del CGF risiede nella sua

consistenza: si tratta, infatti, di una

matrice organica ricca in fi brina, in

grado di “intrappolare” piastrine e

leucociti e rilasciare fattori di cresci-

ta; elementi che insieme svolgono

un ruolo importante nei processi di

rigenerazione. Se, da una parte, i fat-

tori di crescita rilasciati dalle piastri-

ne e dai leucociti sono importanti per

stimolare la rigenerazione cellulare,

dall’altra, la rete di fi brina costituisce

un valido scaffold temporaneo.

Come si prepara il CGFIl CGF è ottenuto tramite un sem-

plice prelievo di sangue, utilizzando

provette in polietilene rivestite con

micro particelle di silice, o in vetro,

senza l’aggiunta di sostanze esogene

(Fig. 2). Una volta eseguito il prelievo,

i campioni di sangue vengono imme-

diatamente centrifugati, utilizzando

un’apposita centrifuga (Medifuge, Sil-

fradent) (Fig. 3).

Oltre alla centrifuga dedicata, il mate-

riale necessario per preparare il CGF è

il seguente:

1. disinfettante;

2. laccio emostatico;

3. ago da prelievo (Butterfl y);

4. cerotti;

5. provette Vacuette (Greiner Bio-

One, GmbH, Kremsmunster, Au-

stria) o provette in vetro (Silfra-

dent, Forlì, Italia);

6. rack porta provette.

Centrifuga CGF Medifuge (Silfradent)Caratteristiche:

- centrifuga da banco dedicata alla

produzione di CGF, con un appo-

sito rotore a velocità alternate e

controllate, con un’accelerazione

sempre al di sotto di 300 RCF;

- il dispositivo medicale Medifuge,

consente di utilizzare fi no a 8 pro-

vette, a gruppi di due, per la prepa-

razione del CGF;

- un sistema di controllo a micro-

processore consente di mantenere

la velocità costante;

- l’eccezionale sistema del rotore

con autoventilazione protegge il

prelievo ematico da un eccessivo

innalzamento della temperatura.

Il vano porta rotore, lo sportello di

chiusura e le camicie portaprovet-

te garantiscono la sicurezza biolo-

gica in termini di biocontenimen-

to, in caso di rottura accidentale

delle provette;

- le camicie portaprovette e il rotore

sono costruiti in materiale termi-

co-antistatico e antimagnetico,

facilmente pulibile, estraibili e ste-

rilizzabili in autoclave a 135°;

- Medifuge è dotata inoltre di un ci-

clo di decontaminazione con luce

rifl essa UVC, della durata di 5 mi-

nuti a 1000 giri;

- il motore a controllo elettronico

e la sua componentistica interna

non richiedono una manutenzio-

ne specifi ca. Il livello di rumorosità

è al di sotto degli standard richiesti

e non supera i 57 dBA.

Protocollo di centrifugazione per il CGF (one step protocol)30’’ accelerazione

2’ 2.700 rpm/735 g

4’ 2.400 rpm/580 g

4’ 2.700 rpm/735 g

3’ 3.000 rpm/905 g

33’’ decelerazione e stop

Al termine della centrifugazione, in

ciascuna provetta di sangue si posso-

no evidenziare tre strati (Fig. 4):

1. uno strato superiore, che rappre-

senta la fase liquida del plasma, de-

nominata “plasma povero di pia-

strine” (PPP – Platelet Poor Plasma);

2. uno strato inferiore, costituito

principalmente da eritrociti (RBC –

Red Blood Cells);

3. uno strato intermedio, denso e

gelatinoso, che rappresenta il CGF,

che si continua inferiormente con

la parte rossa.

Biologia del CGFIl CGF è costituito da una rete di fi brina

che “imbriglia” molti componenti cel-

lulari del sangue, che ne determinano

le attività terapeutiche di tipo rigene-

rativo.

Rete di fi brina

L’utilizzo della microscopia elettronica

(SEM – Scanning Electron Microscopy)

ha permesso di osservare che la rete di

fi brina del CGF è costituita da elemen-

ti fi brillari sia sottili sia spessi (Rodella

et al., 2011). Inoltre, la rete di fi brina si

presenta fortemente compatta con

maglie strette, in prossimità dell’in-

terfaccia tra la parte bianca e la parte

rossa del CGF, mentre diventa più lassa

a mano a mano che ci si allontana da

questa (Borsani et al., 2015).

Cellule del sangue

Nel CGF sono presenti eritrociti, leuco-

citi e piastrine. Gli eritrociti sono pre-

senti nella parte rossa del CGF; i leu-

cociti sono localizzati principalmente

nell’interfaccia tra la parte bianca e la

parte rossa del CGF (Fig. 5).

Le piastrine sono localizzate principal-

mente in prossimità dell’interfaccia

tra la parte bianca e la parte rossa, seb-

bene degli aggregati piastrinici siano

presenti in tutto il CGF (Fig. 6).

Rilascio “in vitro” di fattori di crescita dal CGFLa cinetica di rilascio “in vitro”, di

alcuni fattori di crescita del CGF ha

permesso di osservare che questa è

specifi ca per ciascun fattore (Borsani

et al., 2015).

Alcuni di essi, come TNF-a, hanno un

rilascio rapido e raggiungono il mas-

simo accumulo dopo un giorno; altri,

come IGF-1 e BMP-2, hanno un rilascio

più lento e raggiungono il massimo ac-

cumulo dopo 6-8 giorni; altri ancora,

come TGF-b1 e BDNF, hanno un accu-

mulo costante.

Applicazioni “in vitro” del CGFIl CGF è stato testato “in vitro” su di-

verse linee cellulari, mostrando delle

ottime capacità proliferative. In parti-

colare è stato utilizzato su:

- cellule di midollo osseo di ratto

(Takeda et al., 2015; Honda et al.,

2013);

- cellule staminali del legamento

parodontale (Yu et al., 2014);

- fi broblasti, osteoblasti e cellule

endoteliali umane (Borsani et al.,

2015);

- cellule di Schwan (Qi et al., 2016).

<> pagina 22

Fig. 1 - Concentrated Growth Factors (CGF).

Fig. 2 - Materiali per la preparazione del CGF.

Fig. 3 - Medifuge 2000 Silfradent.

Fig. 4 - Strati presenti nella provetta dopo centrifugazione.

Fig. 5 - Distribuzione di eritrociti e leucociti nel CGF.

Fig. 6 - Immunoistochimica delle piastrine per CD61.

22 Dental Tribune Italian Edition - Settembre 2016Teknoscienza

<< pagina 21

Applicazioni cliniche del CGFIl CGF rappresenta un valido ausilio nel campo della

medicina rigenerativa, per accelerare i processi di rige-

nerazione, mostrando talvolta proprietà rigenerative e

versatilità di utilizzo maggiori rispetto ad altri preparati

piastrinici (Park et al., 2016).

Il CGF è stato utilizzato nei seguenti ambiti clinici:

- riempimento di alveoli post-estrattivi (Tadic et al.,

2014);

- riempimento di cavità dopo cistectomie (Mirkovic et

al., 2015);

- rialzo del seno mascellare (Chen et al., 2016; Kim et al.,

2014; Del Fabbro et al., 2013; Sohn et al., 2011; 2009);

- trattamento di recessioni gengivali (Dogan et al., 2015);

Il CGF può anche essere utilizzato insieme al particolato

osseo autologo o a biomateriali (Wang et al., 2016; Ghe-

no et al., 2014).

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UOC di Odontoiatria pediatrica, Sapienza Università di Roma

I disturbi dello spettro autistico

(DSA) sono un sottogruppo dei di-

sturbi pervasivi dello sviluppo. In

Italia, gli osservatori indicano una

prevalenza minima di 4,5 casi per

10.000, mentre per la fascia corri-

spondente alla scuola elementare il

dato sale sopra il 7 su 10.000. Inoltre

le statistiche mostrano che i tassi di

incidenza sono aumentati dal 10 al

17% ogni anno e sono caratterizzati

in larga misura da deficit nelle abi-

lità sociali e comunicative, quali

l’imitazione, la pragmatica della co-

municazione, la teoria della mente e

l’empatia, così come dalla presenza

di modalità di comportamento, in-

teressi e attività ristrette, ripetitive

e stereotipate.

Fornire cure orali a persone con

disabilità intellettiva richiede un

adattamento delle competenze di

uso quotidiano, ma in realtà molte

persone con lieve o moderata disa-

bilità intellettiva possono essere

trattate con successo nella pratica

grazie a una impostazione generale.

Le persone con disabilità intelletti-

va imparano lentamente e spesso

con difficoltà. Attività ordinarie

della vita quotidiana, come lavarsi

i denti e vestirsi e la comprensione

del comportamento degli altri come

pure i loro, può rappresentare una

vera e propria sfida per se stessi e

soprattutto per i loro parenti. Men-

tre la maggior parte delle persone

con disabilità intellettiva non pone

problemi di comportamento signi-

ficativi che complicano trattamenti

odontoiatrici, l’ansia per il tratta-

mento di questi soggetti si verifica

spesso.

Chi non conosce uno studio denti-

stico, le sue attrezzature e strumen-

ti, potrebbe mostrare paura. Alcuni

reagiscono con un comportamento

non cooperativo, come il pianto, cal-

ci, linguaggio aggressivo, o qualsiasi

cosa che li aiuta a evitare i tratta-

menti, nei bambini con autismo è

più difficile interpretare i segni di

paura e quindi intercettarli prima

di perdere la collaborazione. È pos-

sibile effettuare le cure orali in una

migliore esperienza di comforting

per i pazienti sapendo riconoscere

la loro ansia. In generale, le persone

con disabilità intellettuale presen-

tano una scarsa salute orale e igiene

orale rispetto a quelli senza que-

sta condizione. I dati indicano che

hanno più carie non trattate e una

maggiore prevalenza di malattie

parodontali e gengiviti rispetto alla

popolazione generale.

Il primo caso giunto all’osservazio-

ne nella UOC di Odontoiatria pedia-

trica del Policlinico Umberto I, nel

2008, è stato un paziente autistico

di 12 anni, che presentava una lesio-

ne cariosa destruente del 3.6. Per lui

il ricorso alla sala operatoria è stato

inevitabile, in quanto la terapia ca-

nalare richiede tempi di esecuzione

e di gestione alla poltrona troppo

lunghi per un soggetto autistico. Il

dato rilevante però è che l’utilizzo

del metodo educativo sensoriale ha

permesso di effettuare una prima

medicazione e, dopo l’intervento in

sala operatoria, il paziente ha man-

tenuto una buon livello di collabo-

razione durante le visite successive,

fino a oggi, a 8 anni dopo il primo

intervento.

Questo primo risultato positivo ha

motivato l’équipe pedagogica-odon-

toiatrica a stendere un Protocollo

di ricerca che non fosse un “diktat”

metodologico, ma una linea guida

nel rispetto della disabilità e delle

sue diverse manifestazioni. Si è visto

che nonostante una diagnosi di auti-

smo, comune a ogni singolo soggetto

esaminato esistono molteplici sfac-

cettature nel modo di manifestarsi

della patologia. Infatti, non si parla

più di autismo al singolare, ma di

autismi o di casi che rientrano nello

spettro autistico. Questo passaggio è

fondamentale in quanto l’odontoia-

tra, realizzando che l’autismo non è

che un’etichetta sotto cui si può uni-

formare una categoria di pazienti,

deve adottare modalità di approccio

diversificate, flessibili e adattabili a

ogni singolo caso.

Nel 2008, presso l’Unità Operati-

va Complessa (UOC) di Pedodonzia

del Policlinico Umberto I di Roma,

si è costituita un’équipe pedagogi-

ca-odontoiatrica, composta da un

educatore-pedagogista, due igieni-

sti e tre odontoiatri, con l’obiettivo

di realizzare un modello innovativo

di approccio per migliorare le con-

dizioni in poltrona dei pazienti au-

tistici e in genere di tutti quelli che

rientrano nella categoria dei “non

collaboranti”. Pazienti in età dello

sviluppo con deficit “seri” di tipo

cognitivo-comportamentale, con

modalità relazionali problematiche

e difficoltà verbali.

Tale studio ha visto nell’educazio-

ne la possibilità di perfezionare il

trattamento odontoiatrico, sia per

limitare esperienze traumatiche

nel paziente autistico e consentir-

gli una continuità nelle cure, sia

per migliorare il suo livello di col-

laborazione, evitando così la sala

operatoria e conseguente anestesia

generale per piccoli interventi (le-

sioni cariose minimali, sigillature

e ablazioni tartaro, oltre che per il

follow-up). Il progetto di ricerca ha

condotto l’équipe a realizzare in

anni di intenso lavoro svolto nel

reparto di Odontoiatria pediatrica,

un metodo educativo-sensoriale in

grado di modificare e intercettare

atteggiamenti particolari e singola-

ri di ciascun paziente, che possono

ostacolare le manovre odontoiatri-

che e non consentire la gestione e

il mantenimento di una corretta

igiene orale domiciliare, il tutto at-

traverso il prezioso apporto delle

famiglie. Per condurre tale lavoro ci

si è avvalsi dell’esperienza di gruppi

di ricerca che in letteratura hanno

prodotto linee guida di comporta-

mento per la gestione del paziente

autistico e delle sue problematiche

in ambito sanitario.

Tale ricerca si è posta due obiettivi:

1. Dimostrare la possibilità, attra-

verso un intervento educativo, di

poter eseguire trattamenti odon-

toiatrici di minimal intervention,

quali ablazioni tartaro, lesioni ca-

riose minimali e nonché visite di

controllo e terapie preventive, senza

ricorrere alla sala operatoria in ane-

stesia generale.

2. Valutare l’efficacia di una colla-

borazione sinergica tra pedagogia,

psichiatria e odontoiatria, per perfe-

zionare la terapia odontoiatrica sul

piccolo paziente special-need.