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I Ciani. Mito e realtà Edizioni Città di Lugano Archivio storico 2017

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I Ciani.Mito e realtà

Edizioni Città di LuganoArchivio storico 2017

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Né va dimenticato il contributo di questa famiglia, dei due fra-telli e del loro discendente Antonio Gabrini, allo sviluppo urbani-stico della Città: basti pensare alla costruzione dell’albergo (prima Hôtel du Parc, poi Grand Hôtel Palace) il cui recupero è da annove-rare tra le vere novità degli ultimi anni, grazie a uno sforzo congiunto di pubblico e privato che ha letteralmente ridisegnato — attorno al LAC — un intero comparto cittadino abbandonato da tempo. Chi passa oggi da piazza Bernardino Luini non può fare a meno di am-mirare l’elegante facciata di quello che fu, per usare le parole di un personaggio di Piccolo mondo antico, l’«ottava meraviglia del mon-do». Una meraviglia che continua a destare, all’altro capo del golfo, l’elegante profilo di Villa Ciani, un edificio la cui storia pure si legge tra le pagine di questo libro e che in futuro si vorrebbe vedere utiliz-zato più spesso, ridando vita, con fantasia e in modo sostenibile, a uno dei luoghi più cari ai cittadini luganesi.

Roberto BadaraccoCapodicastero cultura, sport e eventidella Città di Lugano

Dovessimo fare un sondaggio presso i turisti che, a centinaia di migliaia, negli anni, abbiano passato almeno un giorno a Lugano, chiedendo loro quale sia il luogo che più ha lasciato traccia nella loro memoria, è probabile che rispondano in massima parte “il Parco Ciani”. Ed è altresì probabile che molti luganesi darebbero la stessa risposta. Non mancano, nella nostra Città, altre destinazioni di gran-de pregio naturalistico, culturale o architettonico, dalla Cattedrale di San Lorenzo a Santa Maria degli Angeli, dal San Salvatore al Monte Brè, eppure è sempre stata tale la forza di attrazione e di identifica-zione del Parco Ciani da non temere rivali di sorta.

Anche per questa ragione, oltre che per più profonde motiva-zioni storiche, sono felice di poter salutare questa pubblicazione, la prima interamente dedicata alla storia della famiglia Ciani, dalle sue lontane origini bleniesi fino al grande successo economico (con le maioliche, le sete, gli investimenti immobiliari, il credito) che sono riusciti a costruire a Milano nel giro di poche generazioni. Natural-mente l’importanza di questa famiglia per la Città di Lugano è tutta ottocentesca e si intreccia ai nomi dei suoi due membri forse più rappresentativi: i fratelli Giacomo e Filippo, le cui spoglie il Comune già aveva voluto riportare sul Ceresio nel 2013, a segno di quanto saldo sia ancora oggi il legame con la loro memoria.

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11 Elenco delle abbreviazioni

13 Stefano Levati Prefazione

La famiglia

19 Stefania Bianchi Leontica, Milano, Lugano: alla ricerca di ricchezza e potere

41 Massimiliano Ferri Leontica, Milano, Lugano: passioni politiche e strategie socioeconomiche

63 Pietro Montorfani I soggiorni inglesi dei fratelli Ciani (1823-36)

81 Antonio Gili La presenza discreta ma autorevole nel Ticino di «due signori lombardi» cosmopoliti e votati all’Italia

La villa

143 Riccardo Bergossi La residenza luganese di Giacomo e Filippo Ciani, un suburbano palazzo di città

Apparati

241 Diario di Giacomo Ciani

255 Testamento olografo di Giacomo Ciani

259 Bibliografia

267 Indice dei nomi di persona e di luogo

Indice delle materie

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AAT Fondazione Archivi Architetti Ticinesi, BellinzonaACRSMi Archivio delle Civiche Raccolte Storiche — Museo del Risorgimento, MilanoADBDR Archives départementales des Bouches-du-Rhône, MarseilleADL Archivio Diocesano di LuganoAEG Archives d’État de GenèveALPE Archivio Luoghi Pii Elemosinieri, MilanoAML Archives Municipales de LyonApSAZ Archivio parrocchiale di Sant’Alessandro in Zebedia, Milano ASCo Archivio di Stato di ComoASCMi Archivio Storico Civico di MilanoASMi Archivio di Stato di MilanoASOM Archivio storico dell’Ospedale Maggiore, MilanoAMRCo Archivio del Museo del Risorgimento “G. Garibaldi”, ComoASL Archivio storico della Città di LuganoASTi Archivio di Stato del Cantone Ticino, BellinzonaBACM Biblioteca e Archivio del Capitolo Metropolitano di MilanoBCLu Biblioteca cantonale, LuganoBSF Biblioteca Salita dei Frati, LuganoEDPRIV Archivio Edilizia privata, Dicastero immobili, LuganoEDPUB Archivio Edilizia pubblica, Dicastero immobili, LuganoMASI Museo d’arte della Svizzera italiana, LuganoNA The National Archive, LondonUBC Ufficio dei Beni culturali, Bellinzona

Elenco delle abbreviazioni

Per la stesura delle tavole genealogiche gli autori si sono serviti, oltre che della documentazione manoscritta reperita negli archivi sopra citati, di alcune pubblicazioni: Collezione delle iscrizioni lapidarie poste nei cimiteri di Milano, a cura di Giuseppe Casati, Milano, Tamburini, 1845-52, in 5 volumi; Vincenzo Forcella, Iscrizioni delle

chiese e degli altri edifici di Milano dal secolo VIII ai giorni nostri, Milano, Prato, 1889-93, in 12 volumi; Carlo Agliati, Lungo le rotte dei Ciani, tra Leontica, Milano e Lugano, «Il Cantonetto», LXIV, 1-2 (marzo 2017), pp. 21-40.

13I Ciani. Mito e realtà

1 Cfr. ad esempio Francesco Parnisari, «Andare per il mondo dalle valli lombar-de». Migrazioni, comunità e culture locali in età moderna, Milano, Unicopli, 2015.

legame che univa i migranti alle loro terre e alle loro comunità. Per quanto riguarda più specificamente l’arco alpino che va da Briga al passo dello Stelvio e che comprende anche la vitale e vivace area dei laghi (Orta, Maggiore, Como, Ceresio) e quindi l’odierno Can-ton Ticino, una delle destinazioni preferite era ovviamente la città di Milano, sia per motivi politici, dato che ancora agli inizi del Set-tecento entrambe le sponde del Verbano appartenevano al Ducato ambrosiano, sia per opportunità economiche, essendo la città me-neghina snodo e raccordo centrale tra le vie di comunicazione e commercio che mettevano in relazione il mondo mediterraneo con quello tedesco. Su Milano convergevano quindi consistenti catene migratorie, che di generazione in generazione si autoalimentavano, attraendo continuamente forze nuove chiamate ad esercitare le attività più diverse: accanto agli umili lavori di fatica indicati in precedenza è possibile identificarne altri professionalmente più qua-lificati e contrassegnati da forti specificità locali rispetto alla prove-nienza delle manovalanze. Per quanto riguarda nello specifico l’a-rea verbana e il Canton Ticino orientale le attività maggiormente richieste e praticate erano quelle connesse alla natura dell’econo-mia e dei traffici del Verbano: così, insieme alla legna e al materiale edilizio, al carbone, alla frutta e al vino, prodotti che percorrevano in continuazione i navigli meneghini, viaggiavano anche lavoratori “specializzati” originari delle aree di approvvigionamento di quei beni o ad esse adiacenti.1 In particolare dalla val di Blenio proveni-vano i venditori di castagne e i molti operatori del mercato del vino (brentadori, malossari, bettolinieri, osti, locandieri e negozianti), tant’è che ancora nella Milano di metà ottocento il termine “bru-gnon” (storpiatura di abitante della val di Blenio/Brenio) indicava, spregiativamente, il venditore di vino e in senso ancor più lato un

La storia della famiglia Ciani, che questo ricco e ben docu-mentato volume ricostruisce in tutta la sua importanza, può forse essere esemplificata dall’ossimoro formulato alla metà degli anni Settanta del secolo scorso da Edoardo Grendi per spiegare la pecu-liarità degli studi microstorici, ossia quello di “eccezionale norma-le”. Non siamo in questo caso di fronte ad uno studio riconducibile a quell’approccio storiografico, tuttavia l’ossimoro calza perfetta-mente per sottolineare come la straordinaria vicenda della famiglia di Leontica sia per molti versi simile a quella di tante altre famiglie di migranti alpini e le peregrinazioni e le speranze che alimentaro-no l’esistenza dei fratelli Giacomo e Filippo siano quelle di un’intera generazione.

Ancora agli inizi del XVIII secolo i Ciani erano una delle molte famiglie che dall’arco alpino e dalle sue propaggini si riversavano periodicamente verso le pianure e le città alla ricerca di quelle ri-sorse necessarie ad integrare gli insoddisfacenti raccolti di una terra povera e avara, incapace di sostentare i propri figli per tutto l’anno. Le aree alpine rappresentavano una sorta di «fabbrica di uomini», come le ha definite Fernand Braudel, il cui lavoro era essenziale non solo per la sopravvivenza delle comunità di origine, ma anche per le realtà che li accoglievano, fossero le ubertose pia-nure dell’area padana che richiedevano costantemente lavoratori stagionali per soddisfare le esigenze di un’agricoltura ormai avvia-ta ad uno sviluppo capitalistico o le ricche città che impiegavano le braccia forti di quegli uomini temprati alla fatica nell’attività edili-zia e nei lavori pesanti, manovali e facchini, mentre le donne svol-gevano ogni sorta di servizi domestici. Si trattava di flussi consi-stenti di manodopera, solo apparentemente caotici e sregolati: in realtà si spostavano con ritmi e cadenze precisi, definiti da un lato dalle necessità e dai tempi dell’economia “montana” di provenien-za e dall’altro da quelli della pianura e delle città che li ospitavano, in un incessante andirivieni che poteva essere interrotto solo dal fallimento o dal successo, circostanza in grado di spezzare il solido

Prefazione

di Stefano Levati

14 Stefano Levati

5 Archives départementales des Bouches-du-Rhône, État civil. Devo l’indi-cazione alla gentilezza del dottor Massimiliano Ferri che ringrazio vivamente.6 Elenco delle famiglie benestanti la di cui annua entrata oltrepassa le ses-santa mila lire, in Felice Calvi, Il patriziato milanese, Milano, Mosconi, 1865, pp. 450-452.

2 Cleto Arrighi nel suo Dizionario Milanese-italiano (Milano, Hoepli, 1886) infatti aggiunge al significato “professionale” quello più lato di buzzurro. Sull’ar-gomento rimando al mio contributo Il caso dei “brugnon” milanesi tra sette e ot-tocento, in corso di pubblicazione nel «Bollettino storico della Svizzera italiana».3 Luigi Lorenzetti, Emigrazione, imprenditorialità e rischi. I cioccolatai bleniesi (XVIII-XIX secoli), in Il cioccolato. Industria, mercato e società in Italia e Svizzera (XVIII-XX secolo), Milano, FrancoAngeli, 2007, pp. 39-52. Sulla migrazione dalla Val di Blenio a Milano in età moderna cfr. Ferdinando Cesare Farra, Giuseppe Gallizia, L’emigrazione dalla Val Blenio a Milano attraverso i secoli, «Archivio Storico Lombardo», nona serie, LXXXVIII, 6 (1961), pp. 117-130 e Raffaello Ceschi, Bleniesi milanesi. Note sull’emigrazione di mestieri dalla Svizzera italiana, in Col bastone e la bisaccia per le strade d’Europa. Migrazioni stagionali di mestiere dall’arco alpino nei secoli XVI- XVIII, Bellinzona, Salvio-ni, 1991, pp. 49-72; Stefania Bianchi, La “patria” di quartiere: identità e mercato dei servizi nella Milano dei facchini, «Percorsi di ricerca», 6 (2014), pp. 37-45.4 Sulla rivalutazione del mondo alpino e dei suoi abitatori cfr. Pier Paolo Viazzo, Comunità alpine. Ambiente, popolazione, strutture sociali nelle Alpi dal XVI secolo, Bologna, il Mulino, 1990 e Luigi Lorenzetti, Raul Merzario, Il fuoco acceso. Famiglie e migrazioni alpine nell’Italia d’età moderna, Roma, Donzelli, 2005.

XVII secolo. Inizialmente la migrazione, in direzione sud, ebbe ca-rattere temporaneo e stagionale: verso Milano, che accolse Carlo di Giuseppe e poi i suoi figli già sul finire del XVII secolo, e verso Marsi-glia, città portuale meta di un altro ramo della famiglia guidato da Giacomo, i cui figli Carlo e Antonio risultano registrati allo stato civi-le di quella città in qualità rispettivamente di sarto e cioccolataio.5 Con l’arrivo dell’estate gli emigranti tornavano a casa per seguire le attività agricolo-pastorali; in valle continuavano a nascere i loro figli che, ancor prima di diventare adolescenti, li avrebbero seguiti nelle lunghe trasferte e affiancati nell’esercizio della professione. Difficile stabilire con esattezza quando questo processo sia iniziato e con l’esercizio di quali attività. Le prime notizie certe riguardanti il ramo milanese — attentamente raccolte e vagliate da Stefania Bianchi — ci dicono che Carlo senior svolgeva con successo la professione di “maiolicaro”; i prosperi affari lo indussero presto a radicarsi in città e a rinunciare, probabilmente, ai ritorni periodici in Valle. In città trovò moglie, vedova di un cugino; in città nacque nel 1707 il figlio Giacomo; in città decise di essere sepolto nel 1742 e nel suo testa-mento stabilì di cedere ai nipoti rimasti a Leontica l’intero patrimo-nio immobiliare colà esistente. Il trasferimento definitivo a Milano fu dunque dettato probabilmente dal successo della sua attività im-prenditoriale. Analogamente, per molte altre famiglie immigrate già citate in precedenza, quali i Cioja, i Mellerio, i Taccioli, i Baroggi e i Greppi, il successo fu fattore di radicamento e di discontinuità.

Il radicamento in città rappresentò a sua volta una condizione essenziale per permettere un ulteriore arricchimento di queste fami-glie, processo che passò attraverso una progressiva diversificazione dell’attività mercantile. Per quanto riguarda i Ciani prima Giacomo senior e poi il figlio Carlo nel corso del Settecento ampliarono no-tevolmente il giro d’affari dell’azienda famigliare: dalle affittanze di aziende agricole all’approvvigionamento all’esercito, dal lucroso commercio delle sete all’attività di banca. All’arrivo delle armate fran-cesi a Milano nel 1796 la ditta Ciani era tra le più solide e accreditate della città, con un respiro d’affari internazionale, tanto che la fami-glia nel 1805 venne annoverata tra le 169 più ricche della città invi-tate all’incoronazione di Napoleone nuovo re d’Italia in Duomo.6

Tanta ricchezza si accompagnò presto ad altrettanto prestigio, come si evince non solo dalla presenza di membri della famiglia ai vertici delle istituzioni di categoria (Camera di commercio, Borsa va-

uomo rozzo;2 a queste due attività nel corso del XVIII secolo si ag-giunse quella dei cioccolatai.3

Della stragrande maggioranza di quegli anonimi migranti che popolarono la città di Milano e contribuirono alla sua crescita de-mografica ed economica non è rimasta quasi alcuna traccia: pochi invece, forse i più abili o intraprendenti o semplicemente i più for-tunati, ottennero un tale successo economico che permise loro di raggiungere, nell’arco di qualche generazione, i vertici della società ambrosiana: le vicende dei vigezzini Cioja e Mellerio, banchieri del papa i primi e grandi finanzieri della corona asburgica i secondi; dei comaschi Majnoni e Brentano, imprenditori del tabacco e uomini di finanza provenienti dalle sponde del Lario; dei verbani Taccioli e Baroggi, affermati negozianti di banco e seta i primi e abili sostrari i secondi, e infine i casi dei ticinesi Baccalà da Brissago e Fè da Viglio, rispettivamente osti e albergatori e impresari edili, lasciano chiara-mente intendere quale sia stato l’importante contributo apportato dagli emigranti provenienti dalle fasce collinari e alpine, ricchi di intraprendenza, di energie e di capacità, alla trasformazione econo-mica della città dalla fine Settecento prima e per tutto il secolo suc-cessivo. Tale consapevolezza storiografica ha contribuito non poco a mutare lo stereotipato giudizio sull’arretratezza e sul conservatori-smo del mondo rurale ed alpino, giudizio testimoniato, come ab-biamo visto, nell’utilizzo dispregiativo del termine “brugnon”.4

In questo contesto i Ciani da Leontica rappresentano un caso quasi paradigmatico: famiglia numerosa e radicata nella Val di Ble-nio, i suoi membri iniziarono ad emigrare a partire per lo meno dal

15Prefazione

8 Cfr. Luigi Mantovani, Diario politico ecclesiastico, a cura di Paola Zanoli, Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1985-93, vol. IV (1812-16), pp. 339-340, 5 novembre 1815.9 Maurizio Isabella, Risorgimento in esilio. L’internazionale liberale e l’età delle rivoluzioni, Roma, Laterza, 2009; Agostino Bistarelli, Gli esuli del Risor-gimento, Bologna, il Mulino, 2011.10 Alberto Mario Banti, La nazione del risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Torino, Einaudi, 2000, p. 172.

7 Su questo processo di emersione ed affermazione delle borghesie mer-cantili ambrosiane mi permetto di rinviare a Stefano Levati, La nobiltà del la-voro. Negozianti e banchieri a Milano tra ancien régime e restaurazione, Mila-no, FrancoAngeli, 1997.

fatto ancor meno trascurabile, ebbe in Gaetano Ciani – l’unico dei fratelli a non lasciare il paese e contro il patrimonio del quale non erano possibili eventuali ritorsioni — il socio di maggioranza, con un apporto di capitale di 800’000 lire, che non poteva essere evi-dentemente esclusivo frutto delle sue attività e dei suoi risparmi. Tuttavia più che sotto il profilo “commerciale” le vicende dei fratel-li Ciani sono paradigmatiche sotto quello politico: rappresentano la scelta di una generazione non disposta ad accettare la dissoluzione del progetto unitario voluta dalle grandi potenze europee. In que-sto senso va letta la decisione di Gaetano, fedele custode delle me-morie e delle tradizioni militari (e politiche) della appena cessata stagione napoleonica, di farsi ritrarre, in piena restaurazione, con la divisa e le insegne di ufficiale napoleonico, sollevando più di un brusio in città.8

Quanto a Giacomo e Filippo, dopo aver sostenuto il fallimen-tare progetto insurrezionale di Federico Confalonieri, per sfuggire alla polizia asburgica, decisero di lasciare la patria e di riparare all’e-stero, entrando a far parte di quel composito mondo degli esuli po-litici — oggetto recente degli studi di Maurizio Isabella e Agostino Bistarelli — che tra mille difficoltà continuarono a lottare per l’unità del paese.9 Emigrare di nuovo, come avevano fatto a suo tempo gli avi, ma non per garantirsi la sopravvivenza, bensì per poter conti-nuare a sostenere i propri ideali e non solo per sfuggire alla cattura; per farsi apostoli della causa nazionale, di quel risorgimento politico tanto anelato, vestendo i panni metaforici dei santi Filippo e Giaco-mo, evangelizzatori e martiri, con cui li volle significativamente ri-trarre Francesco Hayez a metà degli anni Venti.10 Certamente i due, forti dell’enorme patrimonio accumulato e del successo dell’attività commerciale mai cessata, non vissero la vita di stenti e di privazioni che caratterizzò l’esilio di molti italiani come dimostra l’attenta rico-struzione dei soggiorni inglesi operata da Pietro Montorfani. Anzi, grazie alle loro disponibilità finanziarie, Giacomo e Filippo si ado-perarono immediatamente per dare sostegno, conforto e a volte ospi-talità ai fuoriusciti italiani, e tutto ciò senza mai smettere di fare proseliti, non solo attraverso un’incessante opera di propaganda culturale — anzitutto tramite il finanziamento delle opere della tipo-

lori), ma anche nella partecipazione alla vita politica: prima nel Con-siglio comunale, poi ai Comizi di Lione e infine nel Collegio dei commercianti. Né il prestigio si limitò al solo mondo degli affari, ma trovò ulteriori conferme e opportunità nella intensa vita sociale e mondana, nell’attiva e stabile partecipazione alla stagione teatrale, sia alla Scala che al teatro della Canobbiana, per culminare infine nell’accesso alla corte del viceré Eugenio di Beauharnais.

Anche per questa ascesa sociale le vicende dei Ciani, pur nella loro peculiarità, appaiono in realtà paradigmatiche di quel processo che proprio nel corso dell’età napoleonica portò, anche in virtù di un massiccio, straordinario e diffuso arricchimento, al definitivo rico-noscimento sociale e politico del mondo degli affari, fino ad allora disdegnato e screditato dalle vecchie classi dirigenti patrizie.7

In particolare l’alta borghesia mercantile milanese seppe da subito farsi portatrice di una cultura rinnovata e di un’estetica nuo-va: ancora una volta i Ciani esprimono e riflettono appieno questa propensione, che nel loro specifico caso trova espressione nelle scelte operate in qualità di appaltatori del Teatro alla Scala, assieme ad al-tri soci banchieri, tra cui merita di essere ricordato Gaspare Porta, fratello del poeta Carlo, nel ricorso all’opera dell’architetto Luigi Clerichetti per la realizzazione della villa di Lugano e soprattutto nel sostegno alle nuove avanguardie pittoriche, da Francesco Hayez a Giuseppe Molteni, da Giuseppe Canella a Pelagio Palagi, tema su cui si soffermano da prospettive diverse i saggi di Massimiliano Ferri e Riccardo Bergossi.

Anche le vicende ottocentesche dei tre fratelli Ciani — Giaco-mo, Filippo e Gaetano —, oggetto in questo volume delle ricche in-dagini di Massimiliano Ferri e Antonio Gili, si prestano bene a rap-presentare alcuni eventi rilevanti della storia economica, politica e sociale della Lombardia e dell’Italia del XIX secolo. Innanzitutto i fratelli Giacomo e Filippo, al termine dell’esperienza napoleonica furono attivissimi e tempestivi nello sfruttare immediatamente la riapertura del mercato londinese per riavviare i loro lucrosi traffici, prima direttamente, attraverso la gestione della ditta fratelli Ciani, poi, dopo la fuga all’estero, indirettamente, tramite la fondazione della ditta Gavazzi e Quinterio, che aveva sede nello stesso edificio della precedente (in contrada dei Meravigli al numero 2’378). Affi-data nella conduzione ai fratelli Gavazzi, già soci gerenti della ditta Ciani, e a Felice Quinterio, loro uomo di fiducia, la nuova impresa venne creata lo stesso giorno dello scioglimento della precedente e,

16 Stefano Levati

11 Cfr. il volume I Tinelli. Storia di una famiglia (secoli XVI-XX), a cura di Marina Cavallera, Milano, FrancoAngeli, 2003 ed in particolare l’articolo di Franco Della Peruta, Luigi Tinelli e la Giovine Italia: 1831-33, pp. 49-66.12 Banti, La nazione del risorgimento.

grafia Ruggia prima e della Tipografia della Svizzera italiana poi — ma anche coinvolgendo parenti e clienti nella loro fitta trama cospirati-va.11 In particolar modo le numerose relazioni parentali, garantite loro dall’esistenza di un considerevole numero di nipoti — molti dei quali essi stessi esuli —, appaiono abilmente attivate per veicolare con relativa sicurezza il loro credo politico. Una dimensione, quella della parentela, che acquisisce nel caso dei Ciani un significato concreto, che va ben al di là di quello puramente retorico debita-mente evidenziato da Alberto Banti nei suoi studi quale categoria centrale nello strutturare una “comunità immaginata”.12

Merita egualmente rilievo l’attività sociale dai fratelli Ciani dopo il loro ritorno in Canton Ticino e la scelta strategica di Lugano come luogo di residenza utile non solo per coltivare i propri affetti, amministrare il patrimonio, alimentare la lotta politica, ma anche per intervenire concretamente e in prima persona nel favorire e promuovere quei cambiamenti epocali ritenuti essenziali per il pro-gresso del paese. In attesa che l’agognato processo di unificazione si compisse, essi non lesinarono sforzi per realizzare in città alcuni dei progetti che avrebbero dovuto nei loro intenti innervare il futu-ro Stato italiano: dal finanziamento delle scuole di mutuo insegna-mento d’ispirazione pedagogica lancasteriana all’apertura di asili e carceri realizzati sulla base delle più moderne concezioni pedago-giche e sociali. Un’attenzione all’infanzia, all’istruzione e alle sorti dei reietti che prefigura l’idea di una società liberale in uno Stato repubblicano.

Insomma, dalle ricche pagine di questo libro emerge in ma-niera inequivocabile ed avvincente la straordinaria vicenda umana della famiglia Ciani, attraverso la quale è possibile guardare con occhi nuovi e diversi alla storia d’Italia, della Lombardia e del Tici-no in uno dei momenti più effervescenti e affascinanti della loro esistenza.