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I CACCIATORI DI NUMERI

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  • i cacciatori di numeri

  • igor e grichka bogdanov

    i cacciatori di numeri

    Traduzione di Franca Genta Bonelli

  • titolo originale: La pensée de Dieu © editions grasset & Fasquelle, 2012

    redazione: Edistudio, Milano

    isbn 978-88-566-3331-3

    i edizione 2014

    © 2014 – ediZioni Piemme spa, milano www.edizpiemme.it

    anno 2014-2015-2016 – edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

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    PreFaZione

    1920, università di berlino. Quella sera albert einstein, già mostro sacro della scienza moderna (riceverà il Pre-mio nobel solo l’anno seguente), si attarda a conversare in una piccola aula ad anfiteatro con esther salaman, una delle allieve del suo corso di fisica teorica. Per il futuro Premio nobel è appena trascorso un anno dif-ficile. a berlino ha dovuto affrontare violente manife-stazioni antisemite, scatenate contro di lui da gruppi di attivisti pronti a tutto. non più tardi del 19 settembre, un dibattito sulla relatività, iniziato bene, ha rischiato di finire male: uno dei partecipanti, Philipp Lenard, ha ingaggiato uno scontro drammatico con il maestro contando su una folla pronta a scagliarsi con violenza contro «gli sporchi professori ebrei». Per evitare taf-ferugli c’è voluta tutta l’energia di Planck, che mode-rava il dibattito.

    Fortunatamente è poi tornata la calma. come ogni giovedì pomeriggio, il padre della relati-

    vità prende parte a un seminario tenuto da uno dei suoi studenti del corso di fisica. esther salaman è di fronte a lui. ecco cosa ricorda: «ero terribilmente nervosa. einstein era in prima fila, con la sua pipa1». un raggio di sole obliquo, di un giallo pallido, lambiva la fine-

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    stra. La ragazza si avvicinò alla scrivania di einstein, lo guardò, lo tempestò di domande. Parlava con accento russo, misurava le parole. davanti a lei, leggermente appoggiato sul liscio piano di legno della scrivania, il maestro l’osservava, attento al modo in cui riusciva a parlare senza smettere di sorridere. La giovane donna si soffermava sulle vocali, arrotava pesantemente le “r”. einstein si alzò. Le mani dietro la schiena, si diresse alla lavagna. Perché improvvisamente si sentì commosso? Forse perché la ragazza gli ricordava Le Lettere di do-stoevskij, nel contempo semplici e complesse, che in gioventù amava tanto. di colpo gli apparve di una bel-lezza inattesa. Le sue labbra carnose, quasi inaccessi-bili, gli occhi chiari e fissi come stelle, grandi, spalan-cati, enigmatici. di colpo tacque, sulla bocca un sorriso già spento. dopo un lungo silenzio chiese: «maestro, cosa cerca nelle sue equazioni?».

    einstein non rispose subito. Lentamente tornò alla sua scrivania e si sedette pro-

    prio di fronte alla ragazza. Forse turbato dalla bellezza ambigua della studentessa, sospirò, poi le prese la mano e mormorò, con parole appena udibili: «voglio sapere in che modo dio ha creato l’universo. non mi interessa que-sto fenomeno o quest’altro, questo elemento o quest’al-tro. voglio conoscere il pensiero di dio».

    il pensiero di dio!Queste parole avrebbero fatto il giro del mondo;

    avrebbero provocato rivolte nei laboratori, causato po-lemiche e suscitato discussioni interminabili. Fino ad arrivare al fisico stephen hawking che, nel suo cele-bre Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, si chiede perché l’universo esiste, e proprio nelle ultime ri-

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    ghe scrive: «La risposta a questa domanda sarà il trionfo definitivo della ragione umana: a quel punto conosce-remo il pensiero di dio».

    molto prima di hawking, nei primissimi anni del se-colo scorso, era forse questo misterioso “pensiero” quello che i matematici Felix klein, david hilbert e hermann minkowski cercavano di comprendere. e proprio loro tre, dalla famosa università di göttingen per quasi mezzo secolo dominarono il mondo della matematica. ispirati da Felix klein, che aveva studiato Leibniz, si racconta che i tre studiosi abbiano avuto innumerevoli conversazioni su quella che avvertivano come una sorta di “armonia pre-stabilita” tra la matematica e la fisica. in modo ancor più convinto di klein, hilbert e minkowski sostenevano la tesi per cui la matematica “ordina” le leggi fisiche che, a loro volta, “ordinano” il mondo in cui viviamo.

    ma da dove vengono queste leggi? come sono spun-tate fuori?

    arrivato il suo turno, riprendendo il testimone, toc-cherà a einstein parlare di «armonia prestabilita», per la prima volta nel 1918, dopo essere arrivato, con l’aiuto di hilbert, a una formulazione definitiva delle equa-zioni della relatività generale. sono infatti i grandi ma-tematici di göttingen ad averlo spinto verso l’idea se-condo cui l’ordine del mondo è il riflesso dell’ordine profondo della matematica. idea che non ha mai smesso di rafforzarsi. nel 1960, il fisico americano e Premio nobel eugene Wigner, che trent’anni prima era stato assistente di hilbert a göttingen, non esita a parlare di «miracolo»: «il miracolo dell’adeguamento del lin-guaggio matematico per formulare le leggi della fisica è un meraviglioso regalo, che non comprendiamo e non meritiamo2».

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    di fronte a questo “miracolo” come evitare le do-mande più estreme? Wigner stesso non riesce a sottrar-visi quando afferma che «l’esistenza delle leggi della natura non è affatto naturale». Quanto a tutti voi, un giorno o l’altro vi sarà certamente capitato di chiedervi: da dove viene la matematica? da dove vengono questi numeri, che utilizziamo tutti i giorni senza averli inven-tati? e questi teoremi che, con gioia infinita, i matema-tici scoprono come se fossero tesori?

    eccoci dunque nuovamente al desiderio di einstein di «conoscere il pensiero di dio». Questa frase strabiliante potrebbe diventare per alcuni l’orizzonte della scienza del ventunesimo secolo, come afferma il leggendario fi-sico teorico americano Freeman dyson: «La sfida sta nel leggere il pensiero di dio3». Leggerlo per scoprire per-ché l’universo esiste; grazie a quale miracolo è spuntato improvvisamente dal nulla, tredici miliardi di anni fa; perché c’è qualcosa piuttosto che nulla e perché questo “qualcosa” ha generato la vita e la coscienza.

    come vedremo nei prossimi capitoli, le risposte a que-ste domande ammettono solo tre ipotesi.

    La più semplice, ma anche la meno scientifica, con-siste nel sostenere l’idea secondo cui l’universo, la co-scienza e la vita sono il risultato di un formidabile “colpo di fortuna (hasard = caso) cosmico”, e null’altro. in que-sta ipotesi, la vita sarebbe apparsa “per caso” e la nostra esistenza sarebbe perfettamente arbitraria: come affer-mava all’epoca Jean-Paul sartre, «il mondo è assurdo».

    La seconda ipotesi è quella degli “universi paralleli”.stando ai suoi sostenitori, l’universo non sarebbe che la versione “vincente” di un’infinità di universi sterili: l’esistenza dell’universo “ordinato” in cui viviamo non

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    avrebbe nulla di notevole in quanto sarebbe sperduto in una moltitudine di universi “caotici”. Pur essendo di moda, questa ipotesi non è per nulla più scientifica della precedente; non è verificabile in modo sperimentale e, soprattutto – in tutti gli universi possibili – la matema-tica resterebbe necessariamente come è nel nostro uni-verso. e poiché la realtà fisica è interamente determi-nata dalla matematica che la sottende, è verosimile che si ricadrebbe sul nostro stesso universo.

    di qui la terza ipotesi, che ci sembra più in linea con la scienza, quella di un universo “unico” e strutturato da leggi fisiche: in questo caso, l’evoluzione cosmologica non lascia nulla al caso e la vita sarebbe comparsa come conseguenza inevitabile di uno scenario dettato con la massima precisione dalle leggi della fisica.

    un universo unico. in questa prospettiva, un sotto-stante codice di tipo matematico vagamente paragona-bile a quello che per un essere vivente è il codice gene-tico, spiega tutte le leggi fisiche e organizza tra loro, con precisione vertiginosa, i valori di tutte le costanti fonda-mentali fino a generare un universo ordinato e suscet-tibile di evolvere verso la vita e la coscienza. in effetti, un numero sempre maggiore di fisici rileva che le leggi fondamentali della natura devono essere calibrate con la massima precisione affinché le stelle e i pianeti pos-sano formarsi in modo da permettere alla vita di scatu-rire dalla materia. Per esempio, se la gravità fosse stata leggermente più elevata, l’universo sarebbe collassato prima che la vita avesse fatto in tempo a comparire e a evolversi. all’opposto, se fosse stata minore la materia si sarebbe dispersa nel vuoto e nessuna galassia avrebbe potuto formarsi, né alcuna stella, o pianeta.

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    Fino a non molto tempo fa, gli scienziati ponevano a obiettivo del loro lavoro la possibilità di scoprire la na-tura delle leggi fisiche e le conseguenze delle loro ap-plicazioni. evitavano accuratamente di porsi domande sulla “ragion d’essere” delle leggi stesse. ora, però, il progresso della scienza rende sempre più difficile so-stenere che, al momento del big bang, queste leggi ab-biano fatto il loro lavoro di strutturazione della mate-ria senza alcuna ragione particolare: gli scienziati hanno ormai il diritto di interrogarsi sul “perché” delle leggi e chiedersi se abbiano una ragion d’essere.

    Quattro secoli fa galileo aveva osato dichiarare: «il grande libro della natura è scritto in linguaggio matema-tico». e molti secoli prima di lui, attorno al 380 avanti cristo, il filosofo greco Platone aveva già ventilato l’idea secondo cui il regno della matematica era al di fuori dell’universo, uno spazio (spesso chiamato “cielo pla-tonico”) che non trovava collocazione nello spazio e nel tempo a noi noti. nello stesso ordine di idee, molto più vicino a noi, max tegmark, professore di fisica presso il mit, arriverà a concludere: «La realtà fisica “esterna” in cui viviamo si basa su una struttura matematica fuori del tempo. Questo vuol dire, in un senso ben definito, che l’universo “è” matematico: quando si evolvono in un mondo sufficientemente complesso per contenere sot-tostrutture autocoscienti, queste sottostrutture coscienti si percepiscono come esistenti in un mondo “reale”4».

    in altre parole, secondo tegmark il mondo «reale» non sarebbe dunque che una proiezione, in scala umana, di una realtà matematica profonda e inaccessibile; in-

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    somma, un’illusione. Forse qualcosa di paragonabile alla differenza abissale che intercorre tra l’immagine, la musica, i suoni di un film proiettato su uno schermo e la sua realtà profonda incisa, sotto forma di “0” e di “1”, nei solchi di un dvd. secondo questa interpreta-zione, l’illusione consiste nel considerare come “realtà” il film proiettato sullo schermo, mentre si tratta sempli-cemente di un’illusione perfetta, in quanto la sola realtà vera autentica di quel film si riduce alle informazioni in-cise nel dvd.

    L’universo è oggi fatto di materia, ma non è sempre stato così. nell’istante del big bang la materia “solida” non esisteva ancora. in quell’epoca lontana non c’era che un’energia torrenziale, che si riversava nel vuoto primor-diale. e ancora prima? Prima del big bang? in quell’era, che il grande filosofo americano george gamow (uno dei padri del big bang) definisce «l’era di sant’agostino», non esistevano ancora né materia, né energia, né spazio, né tempo. ma allora che cosa c’era? È quello che que-sto libro prova a farvi intravedere. c’è stato un tempo, vicino all’istante zero, in cui l’universo era immateriale. di che cosa era fatto? di quanto in campo scientifico si definisce oggi “informazione”; un pensiero puro nel cuore del nulla; un pensiero matematico. È dunque prima del big bang, nell’istante zero dell’universo, che avremo forse la possibilità di trovare, sotto la forma delle leggi e delle grandi costanti, il famoso «pensiero di dio» che einstein cerca.

    Le prossime pagine ci riserveranno alcune sorprese. scopriremo che nel cuore della materia i carismatici maestri di göttingen hanno effettivamente cercato la traccia di “qualcosa”, una sorta di riflesso dell’infinito.

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    tuttavia il fatto che l’infinito stesso resti per sempre inaf-ferrabile per lo spirito umano ha portato hilbert a escla-mare, il 4 giugno 1925, nel corso di una delle sue più belle conferenze (sobriamente intitolata Sull’infinito): «nella realtà l’infinito non esiste da nessuna parte5».

    sei anni più tardi ecco un nuovo shock: un altro “fi-glio” di göttingen, il misterioso logico kurt gödel, di-mostra che il nostro universo, nella misura in cui è logico, è “incompleto”. significa quindi che necessariamente di-pende da qualcosa che è al di fuori dell’universo stesso. ma di cosa si tratta? secondo i famosi teoremi di gödel, di qualcosa che effettivamente non può essere della sua stessa natura, e dunque immateriale.

    nel 1905 il matematico francese henri Poincaré – di cui nel 2012 si è festeggiato il centenario della morte e che, molto prima di einstein, si è rivelato il vero precur-sore del principio di relatività6 – affermava: «L’astrono-mia però non ci ha insegnato soltanto l’esistenza delle leggi, ma che queste sono ineluttabili e intransigenti… ci ha insegnato che le leggi sono infinitamente precise7».

    scopriremo in questo libro che le leggi fisiche sono in effetti «infinitamente precise». vedremo che con queste leggi l’universo “non transige”. Qual è la loro origine? Qual è il linguaggio matematico che ci permette di de-scriverle e decifrare il mistero? c’è una “ragione” per i formidabili vincoli fissati, nell’universo, dai valori delle leggi e delle costanti universali?

    Per la prima volta, grazie a strumenti prodigiosi – nello spazio il satellite Planck, che ha studiato la luce primordiale e, nelle viscere della terra, il colossale lhc che dà la caccia alla particella di dio – iniziano a emer-

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    gere i primi frammenti di una risposta. scoprendoli, capiremo che il misterioso «pensiero di dio» evocato un tempo da einstein si confonde con lo “spirito delle leggi” che governa il grande universo dall’istante in cui è emerso dal nulla. È arrivato il momento di saperne di più sulla loro origine.

    Prepariamoci dunque a quel che verrà, perché queste prime risposte sfoceranno nella più impressionante rivo-luzione a cui ci sia mai capitato di assistere. una rivolu-zione che ha sullo sfondo questa conclusione, a tal punto nuova e bruciante da causarci le vertigini: nell’istante del big bang non c’era posto per il caso. di fronte al perfetto concatenamento dei fenomeni verificatosi all’alba dei tempi, il grande astronomo allan sandage, Premio cra-foord per l’astronomia, un giorno ha azzardato: «trovo del tutto improbabile che un simile ordine abbia potuto aver origine dal caos. deve esistere una sorta di princi-pio organizzatore. Per me dio è un mistero, ma è la spie-gazione del miracolo dell’esistenza, perché esiste qualche cosa invece del nulla8».

    inizia una nuova era, oggi la scienza ci fornisce i mezzi per indagare e conoscere questo «principio organizza-tore». e forse per trovarne le tracce prima del big bang, nell’istante zero, in cui la materia ancora non esisteva; in quell’attimo tanto particolare in cui l’universo altro non era che una nube in formazione.

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    iL Pensiero di dio

    La natura, specchio dell’universo, è misteriosa. a ogni passo di un’innocente passeggiata in campa-

    gna, senza neppure rendercene conto sfioriamo questo mistero. come vedremo nel prossimo capitolo, in inverno la “stranezza” si manifesta nei fiocchi di neve. sono tutti unici: da quando nevica sul nostro mondo, da miliardi di anni, non sono mai caduti due fiocchi identici. ma c’è di più: questi cristalli di neve, tutti, proprio tutti, senza alcuna eccezione, formano una figura geometrica a sei punte, mai cinque, o sette. insomma, la geometria go-verna implacabilmente le forme di ciascuno dei miliardi di fiocchi di neve che cadono dal cielo.

    d’estate, sono i fiori a stupirci. come vedremo più avanti, il numero dei loro petali è rigorosamente deter-minato, senza il minimo errore possibile, da una costante matematica chiamata “numero aureo”.

    una margherita può avere cinque, otto o magari tre-dici petali, ma “mai” dieci o undici. com’è possibile? il caso è forse capace, da solo, di “ordinare” le cose con tanto successo?

    difficile non avere l’impressione che questi fiocchi di neve, o i fiori d’estate, siano stati “pensati”. ma da chi? Perché?

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    alziamo ora lo sguardo verso il cielo in una notte senza nuvole. soli infinitamente lontani brillano silen-ziosi nell’immensità stellare. da dove viene questo uni-verso? È brutalmente spuntato dal nulla 13,75 miliardi di anni fa. Pochi istanti dopo la nascita era così piccolo che lo si sarebbe potuto tenere nel palmo della mano! e al momento del big bang? si perdeva nell’invisibile, miliardi di volte più piccolo di un granello di polvere. ma perché l’universo nascesse e diventasse quello che è, non serviva forse che questa minuscola particella delle origini contenesse in sé i “piani” dei miliardi di stelle e di galassie che attualmente costituiscono il cosmo? si può immaginare che una torre di venti piani venga co-struita “per caso”, senza alcun progetto preliminare ela-borato da un architetto?

    come abbiamo scritto nel nostro precedente libro1, nel 2006 i due astrofisici americani george smoot e John mather hanno conseguito il Premio nobel per aver splendidamente fotografato, nel 1992, grazie a un satel-lite denominato coBe, la primissima luce emessa dall’uni-verso, 380.000 anni dopo il big bang. di fronte a questa immagine stupefacente, in preda all’emozione, george smoot ha gridato: «È come vedere il volto di dio!». Pe-raltro, non è stato l’unico. un collega, l’astrofisico ri-chard isaacman, che ha personalmente preso parte al programma coBe, nello scoprire sul suo schermo le fan-tastiche curve emesse dalla luce primordiale ha esclamato a sua volta: «ho avuto la sensazione di essere sul punto di guardare dio in faccia!2». e il 15 agosto 1997, sulla rivista «Science»3, ha nuovamente battuto sullo stesso ta-sto. in quest’occasione ha affermato che in quella luce ha creduto di leggere la «grafia di dio».

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    L’immagine è ancora più ardita. rievoca senza mezzi termini il «pensiero di dio» di einstein. ma perché questa affermazione, così rischiosa per uno scienziato? non a caso, in un messaggio inviatoci il 14 marzo 2010, smoot ci ha confidato senza giri di parole: «devo dirvi francamente che, il giorno stesso della mia scoperta, le mie parole su dio mi hanno causato diversi guai, in par-ticolare da parte della comunità scientifica».

    ma allora, perché mescolare dio con tutto questo? senza dubbio perché, come lui stesso ha confessato anni dopo, insieme ai suoi colleghi gli è sembrato di cogliere in quella luce primordiale “qualcosa” che assomigliava a un ordine; una sorta di progetto dettato da una sconcertante precisione. Qualcosa che si oppone con forza al caso e che smoot, decisamente ispirato, non esita a paragonare «all’impronta del creatore4». Qual è questa impronta? in-fime differenze di temperatura “regolano” la luce primor-diale con una precisione incredibile: dieci milionesimi di grado! uno scarto immensamente piccolo, l’equivalente di un francobollo su una strada lunga un chilometro. grosso modo il calore che potreste avvertire nel vostro giardino se qualcuno accendesse un fiammifero sulla luna!

    nel 2012, questa inspiegabile “regolazione” è stata mi-surata con precisione ancora maggiore grazie al satellite Planck, che ha fotografato «l’impronta» e scoperto diffe-renze di soli due milionesimi di grado. Per fare un esem-pio, in un campo di grano di un milione di spighe il sa-tellite sarebbe in grado di registrare la mancanza di due! si tratta ancora una volta della strepitosa “regolazione” del baby-universo, quando ha esattamente 380.000 anni.

    Facciamo ora un passo indietro nella storia dell’uni-verso, fino alla “scala di Planck”, che segna la terrifi-

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    cante frontiera dello stesso big bang. cos’è successo oltre questo limite inviolabile? La nascita bruciante della nostra realtà; l’apparizione della materia incan-descente e dell’energia riversata in tempeste titaniche; la comparsa dello spazio lacerato in schiuma quantica e del tempo ancora informe. i primi elementi fisici si staccano dal nulla, si riuniscono e si fondono nella spi-rale infinita dell’espansione che ha inizio.

    vuol forse dire che, nell’istante primordiale, il caos la fa da padrone? evidentemente no, altrimenti noi non esisteremmo. abbiamo parlato in precedenza dell’esi-stenza di un ordine estremamente preciso, individuato nel 1992 nella luce primordiale grazie al satellite coBe. È possibile che potesse esistere “già” nell’istante stesso del big bang, nel momento della nascita del cosmo? La risposta, qualificata, nelle parole del nobel John mather, autore, insieme a smoot, dell’esperimento coBe. il 25 febbraio 2010, in un messaggio a noi indirizzato, ci ha confidato: «Le anisotropie misurate da coBe, e oggi da molti altri strumenti, mostrano l’universo così com’era al momento del disaccoppiamento tra radiazione e ma-teria, all’incirca 389.000 anni dopo l’inizio. di certo, però, la struttura osservata deve essersi formata molto prima, mediante processi presumibilmente derivanti dalla meccanica quantistica, all’istante 10 elevato alla meno 43 secondi».

    Perché, paradossalmente, tutto avviene come se la de-flagrazione elementare facesse parte di un “programma” meticolosamente ordinato, un “programma” di cui i fisici cominciano a scoprire qua e là alcune tappe nel modello standard del big bang. insomma, mentre il mondo fisico è in via di formazione e in balia di indescrivibili convul-sioni, da parte sua la matematica resta fredda, immuta-

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    bile. Questo poiché è lei che sembra ordinare la nascita cataclismica della materia. e dunque la famosa regola-zione di poco prima è più che mai all’opera. nell’istante in cui si scatena il big bang – in realtà proprio perché possa scatenarsi – l’accordo tra i grandi parametri co-smologici raggiunge livelli che superano tutto quello che possiamo immaginare.

    a quell’epoca l’universo intero era incredibilmente piccolo, tanto che per misurarlo richiedeva unità speciali chiamate “unità di Planck”. Queste unità sono state sco-perte all’inizio del ventesimo secolo da max Planck, leg-gendario fisico tedesco, Premio nobel nel 1918 e amico di einstein. Planck suonava elegantemente il pianoforte, ha anche composto numerosi brani. talvolta capitava che, per rilassarsi dopo giornate massacranti, einstein al violino e Planck al pianoforte si lanciassero in inter-minabili concerti privati, durante i quali i famigliari e alcuni amici “privilegiati” ascoltavano coraggiosamente i due scienziati, senza osare interromperli.

    ora, verso la fine del diciannovesimo secolo, max Planck si ritrova bloccato sulla frontiera dell’infinita-mente piccolo. senza rimpianto, volta dunque le spalle alla meccanica classica e, subito dopo, fonda quella che viene chiamata “meccanica quantistica”, l’unica in grado di muoversi nel mondo degli atomi. dimostra che su scala così piccola l’energia è emessa in pacchetti, i “quanti”. Le celebri unità che portano il suo nome sono oggi av-volte da un’aura di mistero e segnano le ultime frontiere del nostro mondo fisico. ecco però che, di fronte a que-sto confine ultimo al di là del quale inizia l’infinitamente piccolo, max Planck viene colto dalla stessa emozione provata da einstein di fronte all’infinitamente grande.

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    emozione che esprime con parole che, curiosamente, evocano anch’esse il pensiero di dio: «tutta la mate-ria trova la sua origine ed esiste soltanto in virtù di una forza. dietro questa forza dobbiamo supporre l’esistenza di uno spirito cosciente e intelligente5».

    È lì che ritroviamo lo “spirito delle leggi” che gover-nano la nostra realtà, l’idea di un aggiustamento dell’uni-verso fin dalla sua origine. una “regolazione” che si basa su costanti fondamentali. Per esempio, la massa del neutrone è esattamente di 939,5653 mega-electron-volt. ora, come fa osservare il fisico François vannucci, se il peso del neutrone fosse stato anche solo di poco in-feriore, diciamo 939 mev, si sarebbe disintegrato ben più lentamente dei normali 885 secondi (un po’ meno di un quarto d’ora), il che avrebbe distrutto il delicato equilibrio delle particelle al momento del big bang. am-messo che avessero potuto formarsi, le stelle sarebbero esplose molto velocemente, lasciando un universo gelato e ostile. al contrario, se il peso fosse stato leggermente maggiore, per esempio 940 mev, si sarebbe disintegrato rapidissimamente (in poche decine di secondi). ancora una volta, il neonato universo sarebbe stato condannato.

    impossibile non essere affascinati da questa fanta-stica “regolazione”, dal momento che non c’era niente e nessuno per calcolarla. un altro esempio ancor più sorprendente: quello della celebre “costante cosmo-logica”. di che si tratta? di un numero puro, vale a dire che non dipende da nessuna unità di misura, un numero che doveva esistere nell’istante stesso del big bang, quando l’età dell’universo non era che di 0,0000000000000000000000000000000000000000001 secondi. Questa misteriosa costante è senza dubbio il numero che indica una quantità fisica che è la più pic-

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    cola dell’universo: 10 alla meno 120, ovvero zero vir-gola 119 zeri prima di trovare finalmente un 1. si tratta della costante che controlla minuziosamente la densità del cosmo, in modo tale che oggi quest’ultimo è quasi piatto (come è stato effettivamente misurato). all’istante del big bang, il rapporto tra la densità dell’universo e la densità critica (rapporto chiamato omega) era incredi-bilmente vicino a 1, ma non era “esattamente” 1. in ef-fetti, in quell’istante così enigmatico, il numero omega aveva un valore impercettibilmente superiore a 1 e dopo la virgola allineava una sfilza di 59 zeri prima che com-parisse finalmente un numero non nullo. Lo si può leg-gere in questo modo: 1,000000000000000000000000000000000000000000000000000000000001! Lo scosta-mento da 1, assolutamente piccolo, compare soltanto alla sessantesima cifra decimale. colpito da una regolazione così precisa, nel 1994 george smoot non esitò ad affer-mare: «un valore così vicino a 1 non può essere frutto del caso e le persone ragionevoli pensano che qualcosa “obblighi” omega a essere uguale a 16».

    Fatto sta che questo valore è quello corretto. e per fortuna!

    con qualche zero in meno dei suoi 119, la nostra co-stante avrebbe avuto un valore maggiore e l’universo si sarebbe espanso più in fretta, troppo perché le stelle e le galassie avessero avuto il tempo di formarsi. il co-smo sarebbe allora rimasto disperatamente vuoto, nero e freddo. al contrario, qualche zero in più e l’universo, incapace di espandersi correttamente, sarebbe ricaduto su se stesso come un soufflé mal riuscito.

    da dove viene dunque questo stupefacente valore? chi, o che cosa, l’ha “pensato” e calcolato? un calcolo molto semplice dimostra che la nostra famosa costante

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    ha una probabilità su un miliardo di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di finire “per caso” sul valore giusto! in effetti, avremmo molte più probabilità di trovare “al primo tentativo” l’unico granello di sabbia tinto di rosso tra tutti i gra-nelli di sabbia di tutti i deserti e di tutti gli oceani del mondo. ecco perché l’astrofisico Fred hoyle (che ne-gli anni cinquanta era decisamente contrario alla teoria del big bang) a proposito dell’universo non ha esitato a parlare di uno stupefacente «complotto». ordito da chi? da che cosa? senza proporre una risposta, il fisico Paul davies si prende tuttavia il disturbo di precisare: «non c’è alcun dubbio che parecchi scienziati disprez-zino l’idea stessa che possa esistere un dio, o persino un principio creatore impersonale». e continua con forza: «io non condivido questo atteggiamento sprezzante. non posso credere che la nostra esistenza in questo universo sia un semplice capriccio del destino, un evento fortu-ito nel grande dramma cosmico7».

    ed ecco che, all’inizio del ventesimo secolo, incon-triamo uno degli uomini più strani mai esistiti: srini-vasa ramanujan. Questo matematico geniale non ha mai imparato a far di conto; in compenso calcolava con la stessa facilità con cui respirava: senza mai pensarci, senza fatica. e alcune sue teorie, tra le centinaia che ha formulato, restano un mistero per i matematici di oggi. come amava ricordare, un’equazione ha senso solo se «esprime il pensiero di dio8».

    insieme ad altri – come einstein, gödel, dyson – ra-manujan puntava così il dito contro quello che, forse, co-stituirà la grande sfida della scienza del ventunesimo se-colo: «leggere il pensiero di dio9». cosa che si potrebbe

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    tradurre con “decifrare qualche frammento dell’im-menso mistero che circonda il big bang”. Pur ammet-tendo che di questo enigma non ne scopriremo e non ne capiremo che poche briciole, vedremo che al giorno d’oggi esistono voci nuove che ci permetteranno di ac-costarci meglio all’istante esatto, abbagliante, in cui «si è rinfocolata la fiamma che sta sotto alle equazioni»; e di intravedere forse anche cosa esisteva “prima” del fuoco del big bang.

    L’esempio stupefacente della costante cosmologica ci

    spinge dunque a pensare che le grandi leggi, i parame-tri cosmologici e le grandi costanti fossero già esistenti nell’istante del big bang.

    Per fare un altro strabiliante esempio, prendiamo il numero leggendario che in questo libro incontreremo in tutti i suoi aspetti: π (pi greco). cosa c’è di più fami-gliare di questo numero? Lo conosciamo tutti fin dagli anni della scuola e sappiamo che il suo valore appros-simativo è 3,14. eppure, cos’è più enigmatico di que-sta costante?

    in effetti, preparatevi a uno shock! Questo numero, che tanta parte ha nella nostra vita, era presente all’istante del big bang, nel momento in cui l’universo scaturisce dal nulla. La prova è in mano ai fisici. abbiamo già visto come, all’istante del big bang, l’età dell’universo fosse il tempo di Planck (un’infinitesima frazione di secondo) e la sua dimensione è la lunghezza di Planck (qualcosa di infinitamente piccolo). ecco l’incredibile: nelle for-mule matematiche di queste due unità fondamentali, troviamo il numero π!

    Questo numero vale sia per la temperatura sia per la massa dell’universo a questa scala. Perché? Perché

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    tutte queste formule contengono la celebre “costante di Planck”, la più piccola quantità di energia che possa esistere, divisa per 2 π. Più semplicemente, π altro non è che il rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio. ora, all’istante del big bang, l’orizzonte dell’universo può essere rappresentato come una sfera, il cui raggio corrisponde alla lunghezza di Planck. La presenza di questa sfera, detta “sfera di Planck”, implica dunque, inevitabilmente, la presenza di π. tutto que-sto vuol semplicemente dire che non solo π è presente all’istante del big bang in quanto entità matematica, ma che “per di più” controlla direttamente l’allucinante ca-scata di fenomeni fisici che seguono immediatamente l’istante primordiale.

    ma non c’è solo π. tutti i numeri reali e tutti quelli immaginari hanno un ruolo al momento del big bang. Perché? Perché, come ricordava il matematico god-frey hardy – colui che all’inizio del ventesimo secolo ha rivelato il genio di ramanujan – per definizione «la realtà matematica esiste indipendentemente da noi10». Possiamo completare aggiungendo che la realtà fisica non può esistere indipendentemente dalla realtà mate-matica. in altre parole, i numeri precedono la materia. insensibili alle condizioni fisiche, strutturano le leggi fi-siche e permettono alla materia di emergere e quindi di evolversi secondo schemi ultraprecisi, dando al reale na-scente contemporaneamente una scala, una forma e un senso. È il motivo per cui, oltre a π, nell’istante del big bang ci dobbiamo aspettare di incontrare tutte le grandi costanti del mondo matematico: la costante di eulero, quella di Pitagora e molte altre. insomma, in principio erano i numeri.

    e prima del big bang? cos’è successo?