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Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Valorizzazione e fruizione dei beni culturali tra gestione diretta ed indiretta AIDA GIULIA ARABIA I beni culturali tra Stato, regioni e autonomie locali SOMMARIO 1. Premessa 2. I principi costituzionali nel riparto di attribuzioni 2.1. L’interpretazione dell’art.9 della Costituzione 3. L’art.117 della Costituzione nel testo anteriore alla riforma costituzionale e la sua attuazione 3.1. Il primo e il secondo decentramento 3.2. Il terzo decentramento 3.3. L’attuazione regionale del federalismo amministrativo 4. La tutela e la valorizzazione dei beni culturali nella riforma costituzionale 5. Stato e regioni nella codificazione della legislazione nazionale

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Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione

Valorizzazione e fruizione dei beni culturali tra gestione diretta ed indiretta

AIDA GIULIA ARABIA

I beni culturali tra Stato, regioni e autonomie locali

SOMMARIO

1. Premessa 2. I principi costituzionali nel riparto di attribuzioni 2.1. L’interpretazione dell’art.9 della Costituzione 3. L’art.117 della Costituzione nel testo anteriore alla riforma costituzionale e la sua attuazione 3.1. Il primo e il secondo decentramento 3.2. Il terzo decentramento 3.3. L’attuazione regionale del federalismo amministrativo 4. La tutela e la valorizzazione dei beni culturali nella riforma costituzionale 5. Stato e regioni nella codificazione della legislazione nazionale

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1. Premessa

Il presente lavoro si propone, in primo luogo, di analizzare i fondamenti

costituzionali del riparto di attribuzioni tra lo Stato e le autonomie territoriali in

ambito culturale e di verificare, nel dettaglio, se l’art.9 Cost. e, in particolare, il

secondo comma, contenga una riserva di competenza a favore dello Stato.

Ripercorre, poi, quella che, nel testo originario della Costituzione e nella sua

attuazione, è stata la distribuzione delle competenze tra il centro e la periferia. Dà

conto, inoltre, del ruolo delle autonomie nel nuovo contesto costituzionale e

ricerca, infine, le funzioni di valorizzazione nella codificazione della legislazione

nazionale.

2. I principi costituzionali sul riparto di attribuzioni

2.1. L’interpretazione dell’art.9 della Costituzione

1. “ La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca

scientifica e tecnica”. 2. “Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico

della Nazione”. E’ questo il testo dell’art.9 della Costituzione dal quale bisogna

partire per analizzare la ripartizione delle competenze in materia di beni culturali.

Non si vuole, infatti, commettere l’errore di dimenticare completamente, o quasi, i

principi fondamentali della Carta costituzionale. Questo limite sembra governare

il dibattito che, negli ultimi anni, accompagna l’attuazione del federalismo.

Una parte della dottrina (1), soprattutto in passato, ha fatto coincidere la

nozione di “Repubblica” nell’art. 9 Cost. con quella di “Stato”. Da questa lettura

restrittiva, la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione sarebbe stata,

così, riservata alla legislazione e all’amministrazione statale. Gli autori ai quali ci

si riferisce “giustificano” la loro tesi col fatto che anche in altre norme

costituzionali (2) il termine “Repubblica” è utilizzato per indicare lo “Stato-

persona”, in contrapposizione agli altri enti territoriali; e che l’interpretazione più

(1) Spagna Musso, Lo Stato della cultura nella Costituzione italiana, 80; M. Grisolia, Arte, in Enc. Dir., Milano, Giuffrè, 1958, III, 96 ss.; G. Santaniello, Gallerie, pinacoteche e musei, in Enc. Dir., Milano, Giuffrè, 1969, XVIII, 438; G. Volpe, Tutela del patrimonio storico-artistico nella problematica della definizione delle materie regionali, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1971, 944 (ctr.); G. Piva, Cose d’arte, in Enc. Dir., Milano, Giuffrè, 1962, XI, 94; S. Mastropasqua, Tutela del patrimonio storico, archeologico e artistico, in Nss. D. I. , Appendice, Torino, Utet, 1987,VII, 943 ss.

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coerente della disposizione del secondo comma dell’art. 9, altrimenti sarebbe da

ritenere superflua, coinciderebbe con l’affermazione dell’esclusiva spettanza

statale della tutela del patrimonio (3). Una conferma in tal senso potrebbe trarsi,

ora, anche da una lettura “frettolosa” del d.lgs. n. 112 del 1998 e dalla legge cost.

n. 3 del 2001 che avrebbero, il primo, riservato allo Stato le funzioni

amministrative sulla tutela dei beni culturali, la seconda, attribuito la stessa

materia alla legislazione esclusiva statale. Questa tesi non è, però, da condividere.

Altra dottrina (4), ormai consolidata e incoraggiata anche da alcune decisioni della

Corte costituzionale (5), ha arricchito il significato del termine “Repubblica”, non

più inteso nel significato di Stato-persona, bensì in quello di Stato-ordinamento

nelle sue diverse articolazioni, comprensive di tutti i soggetti pubblici che operano

nell’ordinamento nell’ambito delle loro competenze istituzionali e, in particolare,

allo Stato, alle regioni, agli enti territoriali e agli enti dotati di autonomia.

Attribuire la tutela dei beni culturali allo Stato-ordinamento significa, dunque, non

solo realizzare quel “pluralismo operativo” (6) o meglio, “pluralismo

istituzionale”, che coinvolge una molteplicità di soggetti pubblici legati a

differenti ambiti territoriali e rispondenti a diversi impianti organizzativi e

normativi" (7), ma significa anche riconoscere che i diversi soggetti hanno un

compito comune e che in comune partecipano, mediante moduli organizzativi e

procedimenti di “compartecipazione”, alla realizzazione del medesimo obiettivo

(8).

Inoltre, anche rispetto alle recenti riforme amministrative e costituzionali

(d.lgs. n. 112 e legge cost.n.3), l’attribuzione allo Stato della competenza

legislativa e amministrativa sulla tutela dei beni culturali, non deve essere letta

come “una conferma, un’esplicitazione o una attuazione di una riserva di

(2) A titolo esemplificativo, cfr. art. 10, secondo comma, Cost.; art. 12 Cost.; art. 51, secondo comma, Cost. (3) Calogero, La scuola, la scienza e le arti, in Commentario sistematico della Costituzione italiana, Firenze, 1950, I, 33; Cantucci, La tutela giuridica delle cose di interesse artistico o storico, 32. (4) F. Merusi, Art. 9, in Commentario alla Costituzione a cura di G. Branca, Bologna-Roma, Zanichelli-Soc. Ed. de Il Foro it., 1976, (ctr pag 456); F. Salvia, I beni culturali: i ruoli istituzionali, in Le relazioni centro-perifiria, Milano, Giuffrè, 1984, I, 1880; M. Ainis, Cultura e politica, Padova, Cedam, 1991, 215 ss.; F. Rimoli, La libertà dell’arte nell’ordinamento italiano, Padova, Cedam, 1992,178; F.S. Marini, Profili costituzionali della tutela dei beni culturali, in Nuova rass., 1999, 633 ss. (5) Cfr. sent. n. 359 del 1985 e sent. 921 del 1988, sent. n. 277 del 1993, sent. n. 378 del 2000. (6) F. Merusi, Art. 9, in Commentario alla Costituzione, cit., 456. (7) D. Nardella, I beni culturali tra Stato e regioni e la riforma del Titolo V della Costituzione, in Dir. Pubbl., 2002, 2, 672. (8) F. Merusi, Art. 9, in Commentario alla Costituzione, cit., 456.

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competenza asseritamente dedotta dall’art.9, comma 2” (9). E questo, in sintesi,

nel dettaglio più avanti, per una serie di ragioni. Innanzitutto, perché l’art. 9

contiene una nozione di tutela molto più ampia di quella che si ritrova nell’art.

117, comma 2, lett.s), Cost.; poi, perchè il “patrimonio storico e artistico della

nazione” è una species del genus “beni culturali”; inoltre, perché l’art. 116,

comma 3, Cost., prevede l’attribuzione di “ulteriori forme e condizioni particolari

di autonomia”, in deroga alla esclusività statale sulla tutela dei beni culturali;

infine, perchè l’art. 118, comma 3, Cost., disciplinando “forme di intesa e

coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali”, sembra supporre che

l’esercizio delle funzioni amministrative debba essere ripartito tra diversi livelli

territoriali di governo. Esclusa, dunque, la riserva di competenza per l’intera

materia, la dottrina sostiene che la disposizione dell’art. 9 Cost. “costituisca una

′clausola di salvaguardia′ a favore dello Stato nell’allocazione delle competenze

sulla tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione”. E’, infatti, la stessa

natura dell’interesse di cui all’art. 9, comma 2, a non consentire un completo

decentramento della materia, “necessitando l’oggetto costituzionalmente tutelato

un apprezzamento discrezionale sulla nazionalità del bene” che, per logica, non

potrebbe essere svolto e regolato esclusivamente a livello locale. In altre parole, il

riferimento alla Repubblica e alla Nazione, “presuppongono una qualche

partecipazione statale alla normazione all’amministrazione in materia di quei beni

culturali che compongono il patrimonio nazionale” (10).

Inoltre, l’art. 9 Cost. deve essere letto anche in relazione ad altri principi

costituzionali diretti, in vario modo, a rafforzare il ruolo delle istituzioni

periferiche nell’azione di promozione e tutela della cultura. Più in particolare,

l’intervento pubblico culturale interagisce con il pluralismo istituzionale di cui

all’art.5 Cost. nel quale è disegnato un modello di organizzazione dei pubblici

poteri in grado di realizzare il pluralismo sociale, la cui espressione diretta si

rinviene nell’art.2 Cost. Sostiene la dottrina che quest’ultimo forma “una sorta di

saldatura tra gli obiettivi fissati nell’art.9 Cost. e quei principi fondamentali che

sottendono alla natura policentrica del potere pubblico nel settore in esame: se è

vero che l’interesse della persona ad accrescere le proprie conoscenze e a

sviluppare le proprie sensibilità attraverso l’accesso alla sfera culturale

rappresenta una strada efficace per garantire la sua emancipazione e il suo

(9) F.S.Marini, Lo statuto costituzionale dei beni culturali, Milano, Giuffrè, 2002, 245.

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radicamento sociale, è vero anche che l’assetto policentrico dell’ordinamento

possa ben rappresentare il modello adeguato all’effettiva realizzazione di tali fini

costituzionalmente tutelati” (11). Il modello costituzionale che tende a realizzare

un equilibrio tra centro e periferia è il solo in grado di captare le molteplici

sfaccettature dei fenomeni culturali, dando protezione e sostegno alle diverse

manifestazioni che ne sono diretta espressione e garantendo anche l’uguaglianza

sostanziale tra coloro che partecipano alla vita culturale del paese, impedendo,

mediante un’azione perequativa dei pubblici poteri, ogni forma di discriminazione

che tenda ad escludere dalla sfera sociale i soggetti e le categorie culturali più

deboli (12).

Infine, complementare alle impostazioni che escludono la riserva in favore dello

Stato risulta essere, poi, la definizione di cultura che, per altra parte della dottrina,

“non è una materia, ma è un valore, che tutto lo Stato-comunità deve proteggere e

perseguire (13).

3. L’art. 117 nel testo anteriore alla riforma costituzionale e la sua attuazione

3.1. Il primo e il secondo decentramento

Prima di passare ad analizzare le disposizioni costituzionali che hanno

riscritto l’assetto delle competenze regionali, è opportuno soffermarsi sulla

precedente articolazione delle competenze nel settore dei beni culturali. E questo

non solo per completezza di analisi, ma soprattutto al fine dell’interpretazione

storico-normativa delle “nuove” materie costituzionali e degli effetti che, in

particolare, le ultime recenti riforme amministrative, realizzate appunto nel

precedente contesto costituzionale, continuano a produrre. L’attuale ripartizione

delle funzioni amministrative è, infatti, ancora fondata proprio sulle norme del

terzo decentramento (14).

La dottrina ha sempre evidenziato la frammentarietà e la disarticolazione

dell’elenco delle materie contenuto nell’art. 117, comma 1, Cost., nel testo

anteriore alla riforma, sostenendo, per questo motivo, la difficoltà ad un esercizio

(10) F.S.Marini, Lo statuto costituzionale dei beni culturali, cit., 246 (11) D. Nardella, I beni culturali tra Stato e regioni e la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 674. (12) D. Nardella, I beni culturali tra Stato e regioni e la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 675. (13) G. Morbidelli, L’azione regionale e locale per i beni culturali, in Le regioni, 1987, 5, 946. (14) L’espressione è di S. Cassese, Il disegno del terzo decentramento, in G.d.a., 1997, 5, 417 ss.

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funzionale delle competenze (15). Le considerazioni generali valevano anche per il

settore dei beni culturali, dato che la formulazione costituzionale riservava alle

regioni solo la materia “musei e biblioteche di enti locali”. I numerosi dubbi

interpretativi che hanno dominato, in dottrina, la determinazione dei concetti di

museo e biblioteca (16), nonché di ente locale (17), hanno trovato, almeno per i

primi, risposta in fonti di rango subcostituzionali. Il riferimento corre,

innanzitutto, alle norme relative alla prima regionalizzazione che, iniziata con la

legge delega n. 281 del 1970, ha trovato attuazione, per la materia in esame, nel

d.p.r. n. 3 del 1972 (18). Questo primo trasferimento, col quale si è tentato un

ampliamento della disposizione costituzionale, era relativo, infatti, non soltanto

all’istituzione, all’ordinamento e al funzionamento dei musei e delle biblioteche,

ma si estendeva, in base agli artt. 7 e ss. del decreto richiamato, anche alla

manutenzione e al godimento pubblico delle cose raccolte. Nel decreto, inoltre, si

dava rilievo alla promozione culturale e si includevano nella materia regionale

anche “le mostre di materiale storico o artistico a cura e nell'ambito di musei e

biblioteche di enti locali o di interesse locale”. Il criterio utilizzato per

individuare le raccolte che, in un primo momento e in base ad una mera

interpretazione letterale della norma costituzionale (19), sembrava essere solo

quello dell’appartenenza, veniva integrato anche con quello dell’interesse locale.

Le funzioni di “protezione” restavano, ancora, di esclusiva competenza dello

Stato. L’art.9 del medesimo decreto n. 3 ne prevedeva, però, un’ampia delega.

Nessun chiarimento interpretativo conteneva il decreto in ordine alla nozione di

ente locale.

(15) A. D’Atena, Regione (in generale), in Enc. dir., Milano, Giuffrè, XXXIX, 336 ss. (16) G. Volpe, Tutela del patrimonio storico-artistico nella problematica della definizione delle materie regionali, cit. 383; Apolloni, Biblioteche, in Enc. dir., Milano, Giuffrè, V, 1959, 352. (17) La letteratura sull’argomento è vastissima. Cfr., A. Orsi Battaglini-D. Sorace, Contributo all’individuazione degli “altri enti locali” di cui all’art.57, comma 2, dello statuto toscano e all’art.118, comma 3, della Costituzione, in Foro amm., 1971, III, 550 ss.; F. Pizzetti, Sulla nozione di ente locale nel sistema costituzionale, in Le Regioni, 1975, 1105 ss.; G. Bert-N. Marzona, Enti locali, in N.ss. D.I., Torino, 1982, Appendice III, 393 ss.; G. De Martin, Enti pubblici territoriali, in Dig. disc. Pubbl., Torino, VI, 1991, 3 ss.; A. D’Atena, Dalla partitocrazia al pluralismo funzionale, ID., L’Italia verso il “federalismo”. Taccuini di viaggio, Milano, Giuffrè, 2001, 348. In particolare, con riguardo alla materia “musei e biblioteche”, cfr. Gasparri, Musei e biblioteche di enti locali, in ISAP, Studi preliminari sulle leggi-cornice, Milano, 1968, 89. (18) M. Bessone, Sul ruolo delle Regioni nell’amministrazione dei beni culturali. Prospettive di riforma, in Riv. trim. dir. pubbl., 1975, 33ss.; A. Moretti, Stato e Regioni alla ricerca di una politica dei beni culturali, in Le Regioni, 1975, 917 ss. (19) Per altre materie la Costituzione, nel testo originario, aveva espressamente richiamato l’interesse regionale. Così era per “tranvie e linee automobilistiche” e per “ viabilità, acquedotti e lavori pubblici”, entrambe appunto “di interesse regionale”.

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Con la seconda fase dei trasferimenti avvenuta col d.p.r. n. 616 del 1977,

dettato in attuazione della legge di delega n. 382 del 1975, pur se intessuto di

logiche conservatrici e centraliste, è stata realizzata un’ulteriore espansione delle

competenze regionali (20). Per la materia in esame, l’art.47 del decreto estendeva

le funzioni amministrative dai “musei” e dalle “biblioteche” a tutte le “raccolte di

interesse artistico, storico e bibliografico” e ai “servizi” relativi alle attività

museali e bibliografiche. Inoltre, le funzioni di promozione educativa e culturale

risultavano ampliate anche se con una formula ambigua di rinvio agli Statuti e alle

“attribuzioni regionali”. Inoltre, lo stesso art. 47 conteneva una sorta di

definizione di “ente locale”, riferendosi alle raccolte “appartenenti alla Regione o

ad altri enti anche non territoriali sottoposti alla sua vigilanza, e comunque di

interesse locale”(21). Un’altra norma che merita di essere segnalata è, infine,

l’art.48, il quale, pur essendo una norma meramente programmatica, contiene un

esplicito riferimento ai “beni culturali”. In essa era previsto, infatti, che, con una

futura legge statale sulla tutela dei beni culturali avrebbero trovato specificazione

le competenze amministrative delle Regioni e degli enti locali in ordine alla tutela

e valorizzazione del patrimonio storico, artistico, archeologico, monumentale,

paleo-etnologico ed etno-antropologico. Come giustamente evidenziato, pur

trattandosi di una semplice manifestazione di intenti, dalla disposizione emergeva,

comunque, la tendenza, realizzatasi vent’anni dopo, all’ampliamento dell’ambito

oggettivo delle funzioni amministrative regionali (22), persino nell’ambito delle

funzioni di tutela. Agli elementi di decentramento sopra rilevati sono seguite,

però, una serie di fallimenti che di fatto hanno impedito l’attuazione della riforma

del 1977 in materia di cultura. In primo luogo, non è stata emanata la legge statale

prevista dall’art.48 del d.P.R. 616; in secondo luogo, è da subito emersa una

generale incapacità del legislatore a costruire una disciplina basata

sull’individuazione dei differenti livelli di intervento (statale, regionale e

subregionale) in base al criterio, dominante nel vecchio regime costituzionale,

(20) Sul decreto, cfr., nel dettaglio, i commenti raccolti in A. Barbera-F. Bassanini (a cura di), I nuovi poteri delle Regioni e degli enti locali, Milano, Giuffrè, 1978 ss.; E. Capaccioli-F. Satta (a cura di), Commento al d.P.R. 616/1977, Milano, Giuffrè, 1980. (21) Per un’analisi più dettagliata della norma in esame, cfr., A. Predieri, Commento all’art. 47 del d.P.R. n. 616 del 1977, in A. Barbera-F. Bassanini (a cura di), I nuovi poteri delle Regioni e degli enti locali, cit., 311 ss.; (22) F.S.Marini, Lo statuto costituzionale dei beni culturali, cit., 254.

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dell’interesse locale o nazionale (23). A questo è da aggiungere che anche la

nascita del Ministero per i beni culturali e ambientali, istituito addirittura con un

provvedimento d’urgenza (d.l. n. 657 del 1974) per rispondere alle pressioni

politiche del tempo (24), con un’organizzazione centralizzata e burocratica e con

funzioni concentrate sulla sfera della tutela del patrimonio a danno delle funzioni

più prossime alla promozione e alla valorizzazione, si scontrava inevitabilmente

con il processo di decentramento, avviato nel 1972 e ripreso nel 1977 (25).

3.2. Il terzo decentramento

Ventun anni dopo l’emanazione del d.P.R. 616, un altro decreto

legislativo, il d.lgs. n. 112 del 1998 (26), ha operato, sempre a Costituzione

invariata, un ampio trasferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato

alle regioni, in attuazione delle leggi di delega nn. 59 e127 del 1997. Le due leggi

richiamate fissano, per la materia oggetto dello studio, rispettivamente, due criteri.

Il primo, riguarda la riserva allo Stato delle funzioni e dei compiti di tutela dei

beni culturali e del patrimonio storico-artistico; il secondo, concerne

l’individuazione dei musei statali la cui gestione deve essere trasferita, secondo il

principio di sussidiarietà, alle regioni, alle province o ai comuni. Il primo criterio

poneva il legislatore delegato sicuramente di fronte a due scelte contrastanti, la

prima, frutto di una interpretazione restrittiva, avrebbe ridotto la tutela alla mera

conservazione vincolistica dei beni culturali e avrebbe visto coinvolte le regioni e

gli enti locali nelle restanti attività; la seconda, frutto di una interpretazione

estensiva della riserva statale per la tutela, avrebbe portato alla concentrazione in

capo allo Stato di tutte le attività di difesa del patrimonio. Il legislatore delegato

ha optato, invece, per una soluzione intermedia, introducendo la parte relativa ai

beni culturali (27) con “un articolo a carattere definitorio” (28), l’art. 148, che ha

(23) Il criterio dell’interesse nazionale o locale dominava anche gli indirizzi della Corte costituzionale. Cfr., sent. n.278 del 1991. (24) Per le vicende relative all’istituzione del Ministero, cfr., G. Spadolini, Una politica per i beni culturali, Firenze, 1975. (25) Sul contrasto tra le due riforme, cfr. S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in L’amministrazione dello Stato, Milano, Giuffrè, 1976, 109 ss. (26) Per un commento alle disposizioni del decreto, cfr., G. Falcon (a cura di), Lo Stato autonomista, Bologna, Il Mulino, 1998; M. Stipo (a cura di), Commento al d.lgs. n. 112/1998-Il nuovo modello di autonomie territoriali, Maggioli, 1998. Cfr., inoltre, il n. 4/1998 di Le Istituzioni del federalismo. (27) Nel dettaglio, cfr., i commenti al Capo V del d.lgs. n. 112 di G. Pitruzzella (artt. 148-150) e di G. Corso (artt. 151-155), in G. Falcon (a cura di), Lo Stato autonomista, cit., rispettivamente 491 ss. e 504 ss.; di S. Amorosino, in M. Stipo (a cura di), Commento al d.lgs. n. 112/1998-Il nuovo

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diversificato materie, attività e funzioni. Così ha distinto, prima i beni culturali

dai beni ambientali. Poi, i beni dalle attività culturali e, infine, ha differenziato le

funzioni di tutela, di gestione e di valorizzazione dei beni culturali dalla

promozione dell’attività culturale. Con questo metodo ha lasciato fuori

dall’ambito della tutela, saldamente ancorata allo Stato, una serie di attività di

gestione del patrimonio culturale, avviando per esse un forte decentramento. “Si

tratta di una nuova forma di elencazione che mira all’obiettivo metodologico di

rendere più agevole la ricognizione delle competenze oggetto di disciplina e la

loro articolazione, a seconda dei casi, ai vari livelli dell’ordinamento” (29). Dopo

aver definito le diverse attività dei pubblici poteri, il decreto in esame entra nel

dettaglio delle singole definizioni. Rispetto al quadro normativo scaturito dalle

due prime regionalizzazioni, il provvedimento contiene elementi di continuità, ma

anche elementi innovativi non trascurabili. Quanto alle conferme di decisioni

consolidate, il decreto conserva il monopolio statale delle funzioni nel settore

delle tutela e continua ad utilizzare il meccanismo di ripartizione dei compiti tra

centro e periferia mantenendo competenze statali in tutti gli altri campi di attività

individuati dal decreto (gestione, valorizzazione e promozione). Sicuramente il

voler ancorare saldamente la tutela allo Stato si “giustifica” col fatto che, da

sempre, il settore in oggetto è considerato uno degli ambiti strategici delle

politiche culturali (in quanto destinatario della maggior parte delle risorse

pubbliche) e caratterizzato da un’elevata complessità tecnico-scientifica.

L’esclusività delle funzioni statali elencate, che vanno dall’apposizione di vincoli,

alle autorizzazioni, alle prescrizioni, ai divieti, al controllo sulla circolazione,

all’erogazione dei beni immobili, alla prevenzione e repressione di reati contro il

patrimonio, alla definizione delle metodologie delle attività di restauro, sembra

però mitigata dalle disposizioni del secondo e del quinto comma dell’art. 149 del

decreto dove è garantito, rispettivamente, il concorso alle attività di conservazione

dei beni culturali delle regioni e degli enti locali e la possibilità, sempre per questi

ultimi, di proporre singoli interventi di tutela (30).

modello di autonomie territoriali, cit., 623-635; di A. Vanelli, in Le Istituzioni del federalismo, cit., 645-647. (28) F.S.Marini, Lo statuto costituzionale dei beni culturali, cit., 255. (29) D. Nardella, I beni culturali tra Stato e regioni e la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 679. (30) Le due disposizioni assumono “i contorni di un palliativo” per D. Nardella, I beni culturali tra Stato e regioni e la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 680, nota 25.

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Quanto, invece, agli elementi innovativi, essi si rinvengono tutti al di fuori

delle funzioni di tutela. Il legislatore ha, infatti, previsto, in materia di gestione, la

devoluzione generale a regioni ed enti locali di musei o “altri beni culturali”, ad

esclusione, naturalmente, di quelli che in base al principio di sussidiarietà, restano

oggetto della competenza statale (31); in materia di valorizzazione e promozione

ha, invece, costruito un modello di ripartizione dei compiti incentrato sulla

cooperazione strutturale e funzionale (artt. 152-153) tra i diversi livelli

dell’ordinamento.

Più in particolare, quanto al primo punto, il d.lgs. n. 112 ha previsto la

costituzione di una commissione paritetica (composta da rappresentanti del

ministero e degli enti locali) per individuare i musei e gli altri beni culturali la cui

gestione rimane allo Stato e quelli per i quali essa è trasferita alle enti territoriali.

Il criterio su cui ruota, dunque, l’individuazione dei beni da trasferire non è più la

dimensione dell’interesse (nazionale o locale) ma il principio di sussidiarietà, che

determinerebbe l’allocazione della funzione presso l’autorità più vicina al

cittadino. Come sottolineato dalla dottrina, il solo criterio guida della

sussidiarietà, privo cioè di altre indicazioni in ordine ai criteri di scelta della

commissione se, da un lato, avrebbe potuto favorire il trasferimento di molti

musei e beni culturali statali, dall’altro, ha determinato una serie di difficoltà

proprio nell’individuazione dei criteri di selezione e delle modalità in base ai quali

effettuare il trasferimento (32). Rilevante appare, poi, la norma (art. 150, comma 7)

che attribuisce alle regioni la determinazione, in modo autonomo, delle modalità

di gestione e i servizi che garantiscono un’ampia fruibilità dei beni culturali.

Quanto alle forme di cooperazione con riguardo alla cura della

valorizzazione dei beni e alla promozione delle attività culturali, il decreto (art.

154) prevede, a tal fine, l’istituzione in ogni regione a statuto ordinario di una

Commissione per i beni e le attività culturali, un collegio rappresentativo di

interessi ministeriali, regionali, locali, religiosi e imprenditoriali, con funzioni di

programmazione, allo scopo di armonizzare e coordinare le iniziative statali,

locali e private (33).

(31) Sul punto, cfr., M. Siclari, Beni e attività culturali. Decentramento di funzioni amministrative e nuovo riparto di competenze fra Stato, Regioni ed enti locali, in Nuova rass., 1999, 1696 ss. (32) G. Marchi, I beni e le attività culturali nelle scelte del legislatore regionale, in Aedon, 2000, 3, par.1, www.aedon.mulino.it. (33) La dottrina qualifica, comunque, la commissione come “organo statale” o ulteriormente “amministrazione nazionale”. Cfr., G. Corso, Art. 154, in G. Falcon (a cura di), Lo Stato autonomista, cit., 511

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Come evidenziato per le altre precedenti fasi del regionalismo, anche

questo processo devolutivo si è scontrato con la riorganizzazione

dell’amministrazione centrale, avvenuta con l’istituzione, ad opera del d.lgs. n.

368 del 1998, poi, successivamente integrato dal d.lgs. n. 300 del 1999, del nuovo

Ministero per i beni e le attività culturali (34). Il modello che esce dalla riforma

appare in conflitto con le istanze regionaliste, sia nella definizione delle funzioni

(sono attribuite al ministero persino le politiche dello sport!) che nell’assetto

organizzativo. Rispetto a quest’ultimo profilo, infatti, la struttura ministeriale

“continua ad avere un ruolo ′totalizzante′, in sé conchiuso, per l’intero complesso

di materie contemplate” (35), al punto da determinare “un detrimento delle spinte

alla valorizzazione, alla gestione economica e alla fruizione collettiva” (36). Le

stesse conclusioni valgono per l’amministrazione periferica del ministero,

articolata e burocratica, con soprintendenze regionali che invadono i ruoli degli

apparati regionali, soprattutto in materia di programmazione.

3.3. L’attuazione regionale del federalismo amministrativo

La riforma amministrativa del 1997-1998 deve essere completata con

l’analisi delle legislazione regionale che ad essa è seguita (37). Tutte le regioni (ad

eccezione della Campania) hanno dato attuazione alle norme nazionali, alcune

sfruttando al massimo le opportunità offerte dalla riforma, altre meno attente ad

intervenire in modo puntuale ed organico in settori sensibili, quale appunto i beni

culturali, hanno elaborato, invece, leggi sommarie o meri copiati delle

disposizioni nazionali. Le leggi regionali hanno, pertanto, contenuti e forme

eterogenei e si passa da ordinamenti che hanno emanato una legge organica, che

disciplina tutte le materie, ad ordinamenti che hanno optato per la predisposizione

di singole leggi di settore per attuare la ripartizione delle funzioni per ciascuna

(34) Per un’analisi completa del nuovo assetto ministeriale, cfr., G. Corso, Il Ministero per i beni e le attività culturali (artt. 52-54), in A. Pajno-L. Torchia (a cura di), La riforma del Governo, Bologna, Il Mulino, 2000, 377 ss.; G. Sciullo, Alla ricerca del centro: Le trasformazioni in atto nell’amministrazione statale, Bologna, Il Mulino, 2000, 55-63. (35) G. Pastori, Il Ministero per i beni e le attività culturali. Il ruolo e la struttura centrale, in Aedon, 1999, 1, par.1, www.aedon.mulino.it. (36) G. Pitruzzella, L’organizzazione periferica del ministero e gli attori istituzionali locali, in Aedon, 1999, 1, par. 2, www.aedon.mulino.it. (37) Per l’analisi dei modelli attuativi, almeno delle prime leggi regionali emanate, cfr., G. Meloni, Le leggi regionali di attuazione del d.lg 112 del 1198, in G.D.A., 2000, 2, 121 ss.

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materia. Solo la Liguria, pur avendo disciplinato i conferimenti con una pluralità

di provvedimenti, non ha regolato la materia dei beni e delle attività culturali.

In linea generale, con le leggi regionali di attuazione del d.lgs. n. 112,

ciascuna regione ha provveduto ad indicare le funzioni, tra quelle conferite dal

legislatore nazionale, da trasferire agli enti locali e quelle che, per garantire

l’esercizio uniforme, devono restare in capo ad essa. Nel valutare, quindi, la

capacità regionale di attuare la riforma, tutta incentrata sul principio di

sussidiarietà, sicuramente il punto di partenza è rappresentato da questo criterio.

Per quanto riguarda, invece, la materia dei beni culturali, tale distinzione viene in

parte indicata direttamente dal legislatore delegato, quindi il criterio per valutare

la “bontà” del provvedimento regionale deve essere ricercato, non solo nell’analisi

delle funzioni, ma anche in altri elementi. L’analisi che segue prende in prestito

la griglia di lettura, già individuata, e successivamente ripresa, dalla dottrina a

commento dei primi progetti regionali di attuazione, che si compone, oltre che

dall’analisi delle distribuzione delle funzioni, dalle scelte operate dalle regioni in

materia di organizzazione e funzionamento dei musei e degli altri beni culturali

statali, la cui gestione dovrà ad esse essere trasferita; dagli strumenti individuati

per un miglior esercizio dei propri compiti e, infine, dalla posizione della regione

in ordine alla commissione per i beni e le attività culturali (38).

Per quanto riguarda la distribuzione delle funzioni emerge una sostanziale

eterogeneità nelle soluzioni adottate. Alcune regioni non hanno affrontato

l’argomento, altre rinviano ad una legge successiva la riorganizzazione della

materia, o copiano le disposizioni del decreto 112, altre, invece, hanno compiuto

una puntuale e completa ricognizione delle funzioni, a volte cercando anche di

specificare il contenuto del decreto stesso. A titolo esemplificativo, rientrano nel

primo caso le leggi delle regioni Marche, Emilia-Romagna, Abruzzo e Umbria.

Nulla dispone sui beni culturali la regione Marche che dedica al tema della

distribuzione delle funzioni, un solo articolo (39), tra l’altro titolato alle attività

culturali, disponendo che sono attribuite alle province le funzioni amministrative

riguardanti la concessione di contributi regionali, a titolo di concorso nelle spese,

alle università della terza età istituite o gestite da istituzioni pubbliche o private e

(38) G. Sciullo, Beni e attività culturali nei primi progetti di legge regionali di attuazione del d.lg. 112/1998, in Aedon, 1998, 2, par.1, www.aedon.mulino.it. e G. Marchi, I beni e le attività culturali nelle scelte del legislatore regionale, cit., par.2. (39) Si tratta dell’art. 72 della l.r. 17 maggio 1999, n. 10.

13

il finanziamento di corsi di orientamento musicale e di centri di educazione

permanente.

Opera un rinvio ad un futuro provvedimento di riordino della

normativa in materia di biblioteche, musei e altri beni culturali, la legge

dell’Emilia-Romagna (40) che, tra l’altro, fissa anche i criteri ai quali dovrà

attenersi la futura disciplina. Con l.r. 24 marzo 2000, n. 18, viene dato seguito alle

previsioni di riordino. La legge elenca le funzioni conservate in capo alla regione

e quelle trasferite alla province e ai comuni, coordinando quelle derivanti dai tre

processi statali di devoluzione di funzioni (d.P.R. del 1972, d.P.R. del 1977 e

d.lgs.112). In particolare, la prima esercita funzioni di indirizzo e

programmazione in materia di beni e istituti culturali degli enti locali o ad essi

affidati; alle province sono affidate funzioni di valorizzazione e i comuni

concorrono alle finalità della legge attraverso l’organizzazione e l’apertura al

pubblico di servizi culturali e informativi integrati. Sono l’esatta riproduzione

delle disposizioni del d.lgs. n. 112, le norme contenute nella legge dell’Abruzzo

(41), anche se una legge successiva (42) ha provveduto a disciplinare l’esercizio

delle funzioni amministrative in materia di musei e raccolte degli enti locali e di

interesse locale e, comunque, di ogni altro bene, anche affidato alla regione o agli

enti locali, con compiti di gestione, valorizzazione e promozione. La legge

attribuisce ai comuni l’esercizio di tutte le funzioni e la gestione di tutti i servizi,

esclusi quelli per i quali la legge opera una riserva in favore delle province e della

regione, utilizzando come criterio di differenziazione tra comuni e province, la

proprietà o l’affidamento in consegna del bene, e lasciando alla regione funzioni

di indirizzo, di coordinamento, di controllo e di programmazione.

Infine, l’Umbria si limita ad un quasi completo copiato delle disposizioni

contenute nel d.lgs. n. 112 (43).

Nella categoria di leggi che disciplinano in modo puntuale e organico, sia

pure con modi e diversi livelli di chiarezza, l’organizzazione regionale delle

funzioni e dei compiti nella materia in esame, rientrano sicuramente quelle delle

regioni Basilicata (44), Calabria (45), Lazio (46), Lombardia (47), Molise (48),

(40) Cfr. l.r. 21 aprile 1999, n. 3. (41) Cfr. artt.81 e 82 della l.r. 3 marzo 1999, n. 11. Con l.r.12 agosto 1998, n. 72, la regione aveva già organizzato le funzioni amministrative a livello locale, in attuazione della legge n. 59 del 1997. (42) Si tratta della l.r. 9 agosto 1999, n. 61. (43) Cfr. artt. 98-103 della l.r.2 marzo 1999, n. 3, dedicati ai “beni e attività culturali”. (44) Cfr. l.r. 8 marzo 1999, n. 7 (artt. 86-92). (45) Cfr., l.r. 12 agosto 2002, n. 34 (artt. 143-145).

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Piemonte (49), Puglia (50), Toscana (51) e Veneto (52). Sicuramente la maggiore

organicità si rinviene nella legge del Lazio che, partendo dal coordinamento della

nuova disciplina nazionale con le precedenti disposizioni sul riparto di funzioni,

utilizza, come criterio per l’attribuzione delle funzioni, il criterio dell’interesse.

Pertanto, le province eserciteranno, tra le altre, le funzioni relative all’istituzione e

alla gestione delle strutture e dei servizi culturali e scientifici di interesse

provinciale e i comuni quelli di interesse locale. Un’altra legge che merita

segnalazione è quella della Lombardia. Pur rinviando ad un futuro provvedimento,

elenca le funzioni mantenute in capo alla regione e riconducibili ai concetti di

gestione, valorizzazione e promozione, spesso interpretando le definizioni della

normativa nazionale e attribuisce alle province le funzioni amministrative

concernenti le attività e lo sviluppo dei sistemi museali locali, la promozione di

servizi e attività culturali di rilevanza locale e il coordinamento a livello

provinciale delle attività di censimento, inventariazione e catalogazione dei beni

culturali, secondo parametri organizzativi e strumentali approvati dalla regione.

Le province, inoltre, formulano progetti di sistemi integrati di beni e attività

culturali e programmi di manutenzione e restauro anche in cofinanziamento con

altri soggetti pubblici e privati.

Le altre leggi si limitano ad elencare le funzioni esercite da ciascun ente.

In particolare, il Molise, attribuisce agli enti locali la gestione e la valorizzazione

dei beni in base al rapporto di proprietà e la gestione di servizi e di attività

culturali in base alla dimensione dell’interesse. Non è presa, dunque, affatto in

considerazione l’ipotesi, considerata peraltro dal d.lgs. n. 112, del trasferimento

della sola funzione di gestione del bene, a prescindere dalla titolarità dello stesso.

La Basilicata e la Toscana utilizzano, invece, oltre al criterio della proprietà,

anche quello della detenzione. Quest’ultimo criterio è scelto anche dalla regione

Calabria. Quanto a quest’ultima, una particolarità da segnalare. Malgrado la legge

regionale di attuazione del d.lgs. 112 sia successiva alla riforma del titolo V della

Costituzione, il criterio utilizzato per l’allocazione delle funzioni è ancora quello

utilizzato negli altri provvedimenti regionali di attuazione della riforma

(46) Cfr. l.r. 6 agosto 1999, n. 14 (artt. 165-172). (47) Cfr. l.r. 5 gennaio 2000, n. 1 (art. 4, commi 130-148). (48) Cfr. l.r. 29 settembre 1999, n.34 (artt. 106-108). (49) Cfr. il testo coordinato delle ll.rr. 26 aprile 2000, n. 44 e 15 marzo 2001, n. 5 (artt. 124-130). (50) Cfr. l.r. 11 dicembre 2000, n. 24 (artt. 19-22). (51) Cfr. l.r. 26 novembre 1998, n. 85 (artt. 33-35). (52) Cfr. l.r. 13 aprile 2001, n. 11 (artt. 143-144).

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amministrativa, vale a dire, dell’attribuzione dei compiti, nell’ordine, a regione,

province e comuni. Forse la costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà

avrebbe invece, imposto, anche formalmente, di partire, per la distribuzione dei

compiti, dal livello più basso (il comune).

Per quanto riguarda, poi, l’attuazione della previsione dell’art. 150 del

d.lgs. n. 112 in ordine all’organizzazione e al funzionamento dei beni culturali

trasferiti in gestione, in quasi tutte le leggi regionali l’argomento, o non è preso in

considerazione, o è trattato in modo marginale. Le due esperienze che meritano di

essere segnalate, sono sicuramente, quelle dell’Abruzzo e dell’Emilia-Romagna.

In entrambe le regioni, l’argomento è stato affrontato nelle rispettive leggi di

riordino delle funzioni in materia di musei e beni culturali, previste dalle leggi di

attuazione del d.lgs. n. 112 (53). In Abruzzo, la legge di riordino ha previsto la

creazione di un sistema museale regionale operativamente unitario, al fine di

assicurare a costi sostenibili, almeno i livelli minimi indispensabili delle dotazioni

e delle prestazioni occorrenti per la normale attività di salvaguardia e di

valorizzazione della generalità del patrimonio culturale e per la funzionalità, la

qualità e la convenienza sociale ed economica dei servizi museali. Come

sottolineato dalla dottrina, l’introduzione di un sistema a rete garantirà “standard

omogenei non influenzati dalla diversità dei soggetti gestori” (54).

In Emilia-Romagna, il riordino è stato attuato, in primo luogo, prevedendo

una “condivisione” delle funzioni di promozione della valorizzazione dei beni

culturali tra regioni, enti locali e altri soggetti pubblici e privati. In secondo luogo,

improntando la gestione dei beni al rispetto dell’interesse tecnico-scientifico e

della loro più congrua fruizione. Infine, prevedendo l’adozione, da parte degli enti

titolari o affidatari dei beni, di forme gestionali, anche di natura associativa, per il

conseguimento dell’esercizio ottimale della gestione. Ampio spazio è dedicato,

inoltre, al ruolo dei musei e degli altri beni culturali; questi devono provvedere

alla conservazione e valorizzazione del proprio patrimonio e alla promozione di

ricerche e attività culturali per garantire la conoscenza e la fruizione del

patrimonio stesso. A tal fine gli enti titolari possono costituire sistemi museali,

stipulando convenzioni con altre istituzioni regionali, nazionali e internazionali.

(53) Si tratta delle già richiamate l.r. Abruzzo, n. 61 del 1999 e l.r. Emilia-Romagna, n. 18 del 2000. (54) G. Marchi, I beni e le attività culturali nelle scelte del legislatore regionale, cit., par. 2.

16

La legge affida, poi, all’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali (55),

l’elaborazione di standard, sulla base dei criteri indicati dalla legge stessa, di

servizio e di professionalità degli addetti ai servizi di conservazione, gestione e

valorizzazione dei beni culturali, che saranno approvati dalla giunta regionale, al

fine di incrementare la fruizione dei beni e assicurare la migliore qualità dei

servizi.

Passando alle modalità organizzative previste dalle regioni per l’esercizio

delle funzioni, solo quattro regioni hanno disciplinato l’istituzione di nuovi

organismi (Abruzzo, Basilicata, Lombardia e Piemonte); unico esempio di

riorganizzazione di organismi esistenti si ritrova, invece, in Emilia-Romagna. Le

altre regioni non hanno dettato disposizioni sull’argomento. In Abruzzo (56) è

prevista la costituzione, sia pure in termini vaghi e generici, di una società per

azioni alla quale partecipano soggetti pubblici e privati, per valorizzare e

promuovere il patrimonio storico, artistico, naturale e culturale. Per lo stesso fine,

ma anche per concorrere ad elaborare i criteri comuni per la formulazione di

proposte per l’esercizio della funzione di tutela, la Basilicata e la Lombardia

istituiscono, quale organo consultivo della giunta, la Conferenza permanente per i

beni e le attività culturali (57). È stato subito evidenziato (58), però, che i compiti

della Conferenza rischiano di sovrapporsi con quelli della Commissione regionale

per i beni e le attività culturali, di cui all’art. 154 del d.lgs. n. 112, la quale, tra gli

altri, ha anche il compito di formulare una proposta di piano annuale e

pluriennale di valorizzazione dei beni culturali e di promozione delle attività, al

fine di coordinare le iniziative delle istituzioni coinvolte. Inoltre, anche il

Piemonte (59), al fine di promuovere e coordinare il censimento, l’inventariazione,

il riordino e la catalogazione dei beni culturali, in concorso con gli enti pubblici e

privati interessati, secondo metodologie standard, istituisce il Centro regionale di

documentazione dei beni culturali.

Infine, l’ultimo elemento della griglia da analizzare concerne la disciplina

della Commissione regionale per i beni e le attività culturali. Anche rispetto a

questo elemento, le risposte regionali sono molto eterogenee. Cinque regioni

(55) L’Istituto è nato nel 1974 (l.r. n. 46) e successivamente modificato. Da ultimo, è stato riordinato con la l.r. n. 18 del 2000. (56) Cfr. l.r. n. 61 del 1999. (57) Cfr. per la Basilicata, art. 91, l.r. n.7 del 1999 e per la Lombardia, art.142, l.r. n. 1 del 2000. (58) G. Marchi, I beni e le attività culturali nelle scelte del legislatore regionale, cit., par. 2. (59) Cfr. art. 124, comma 7, del testo coordinato delle l.r. n. 44 del 2000 e l.r. n. 5 del 2001.

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(Abruzzo, Calabria, Lombardia, Marche e Toscana) non hanno disciplinato

l’organismo; tre regioni (Molise, Piemonte e Veneto) si “impegnano” ad

assicurarne l’insediamento; altre cinque regioni (Basilicata, Emilia-Romagna,

Lazio, Puglia e Umbria), hanno dedicato all’organismo un intero articolo e ne

disciplinano, a volte anche in modo puntuale, anche l’organizzazione e il

funzionamento. Probabilmente, lo hanno fatto, commettendo un errore di

valutazione nel considerare regionale un organismo che, come sottolinea la

dottrina (60), anche se il presidente della Commissione è scelto, tra i componenti,

dal presidente della giunta regionale, è da considerare al contrario statale,

altrimenti come se ne giustificherebbe la previsione in una legge dello Stato?

Condividendo questa posizione, però, le disposizioni delle leggi regionali in

esame sarebbero prive di legittimazione (61).

4. La tutela e la valorizzazione dei beni culturali nella riforma costituzionale

La riforma del Titolo V della Costituzione interviene a consolidare scelte

già prese in sede di riforme amministrative “a costituzione invariata” e

costituzionalizza principi e regole, nel tentativo di chiarire o, forse meglio,

ridefinire l’impianto delle competenze, sia legislative che amministrative, di stato,

regioni e autonomie locali. Dal punto di vista generale, una delle più rilevanti

novità della riforma è sicuramente il radicale ribaltamento della precedente

impostazione della ripartizione di attribuzioni contenuta nell’art.117 della

Costituzione. All’elenco delle materie di competenza regionale si sostituisce

l’elenco delle materie di competenza esclusiva dello Stato. Le regioni diventano,

così, titolari della potestà legislativa concorrente per una serie di materie, a fronte

della quale lo Stato conserva la determinazione dei principi fondamentali, e

soprattutto, questa la grande innovazione, diventano titolari di una potestà

residuale (o piena) sulle materie cosiddette “innominate”. Altra novità da

segnalare è il riconoscimento costituzionale della potestà regolamentare che viene

svincolata dalla titolarità della potestà legislativa e imputata, preferibilmente, al

soggetto cui fanno capo le funzioni amministrative (art. 117, comma 6, Cost.).

Allo Stato resta, pertanto, la potestà regolamentare relativa alle materie esclusive,

(60) G. Corso, Art. 154, in G. Falcon (a cura di), Lo Stato autonomista, cit., 511

18

“salva delega alle regioni”, mentre a queste ultime viene attribuita sia per le

materie concorrenti che per quelle “innominate”.

Sul versante specifico del settore dei beni e delle attività culturali, il

legislatore costituente ha operato una distribuzione delle competenze non rispetto

alla “materia (oggetto) a sé stante” (62) ma rispetto alle attività che li possono

riguardare. Con questo criterio ha riservato la tutela allo Stato (art. 117, comma 2)

e ha fatto rientrare la valorizzazione nella potestà legislativa concorrente (art. 117,

comma 3). Manca nella norma costituzionale il riferimento all’attività di gestione,

oggetto, invece, di disciplina puntuale nella legislazione ordinaria (d.lgs. n. 112

del 1998). La mancata menzione della gestione potrebbe avere un senso solo se

considerata “non come ′materia-fine ′, alla pari della tutela e della valorizzazione,

da incasellare nel campo della potestà concorrente piuttosto che in quella primaria

regionale, bensì – proprio alla luce della sua portata trasversale rispetto a ciascuna

delle altre due materie – come ′materia-funzione′, vale a dire un complesso di

attività propedeutiche e funzionali, secondo esigenze, sia alla tutela che alla

valorizzazione, perciò da non circoscrivere come materia autonoma, sottoposta ai

canoni di riparto dell’art. 117 Cost.” (63). Sulla questione si è pronunciato anche il

Consiglio di Stato (64) in occasione del parere sul regolamento ministeriale in

materia di società per la valorizzazione dei beni culturali. A giudizio del Collegio

la gestione, attività strumentale e finalisticamente neutra, in rapporto di

propedeuticità anche con la tutela, rientra nell’ambito della valorizzazione. Il

silenzio della Costituzione sull’argomento, si legge sempre nel parere, non può

portare nemmeno a considerare la gestione competenza piena delle regioni.

Questo per due ragioni. La prima di ordine ontologico-funzionale che rende

impossibile immaginarla come un complesso di interventi distinti sia dalla tutela

che dalla valorizzazione; la seconda che, a considerarla di esclusiva spettanza

delle regioni, si avrebbero leggi statali di principio solo sulla valorizzazione e non

anche sulla gestione. Infine, anche le regioni sembrano considerare l’attività in

esame come materia di legislazione concorrente. Come si legge, infatti, in alcuni

ricorsi alla Corte costituzionale a difesa della sfera di competenza ad esse

(61) G. Marchi, I beni e le attività culturali nelle scelte del legislatore regionale, cit., par. 2. (62) C. Barbati, I soggetti, in C. Barbati, M. Cammelli. G. Sciullo, Il diritto dei beni culturali, Bologna, Il Mulino, 2003, 108. (63)D. Nardella, I beni culturali tra Stato e regioni e la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 690.

19

spettante (65), le regioni contestano le norme statali non perché invasive di una

competenza esclusiva, ma per non contenere (non individuare) i principi

fondamentali della materia stessa.

Quanto alla potestà regolamentare, allo Stato rimane quella in materia di

tutela, salva delega alle regioni, e a queste ultime quella in materia di

valorizzazione.

Sul piano, dell’attribuzione delle competenze amministrative, con il nuovo

art.118 Cost., venuto meno il principio del parallelismo fra funzioni legislative e

funzioni amministrative, vengono costituzionalizzati i principi di sussidiarietà,

differenziazione e adeguatezza in base ai quali le funzioni amministrative sono

allocate in prima istanza presso l’ente più prossimo al cittadino (il comune) salvo

che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite, poi, nell’ordine, a

province, città metropolitane, regioni e Stato. Per quanto riguarda i beni culturali,

dalla lettura della disposizione costituzionale richiamata, ma già dalle norme del

Testo unico sull’ordinamento degli enti locali (d.lg. n. 267 del 2000) appare un

nuovo e importantissimo principio di fondo: e cioè che le funzioni amministrative

e, in particolare, quelle di gestione dei musei o altri beni culturali da parte dei

comuni (e degli altri enti locali) deve essere intesa “come modalità ordinaria,

mentre sarebbe la permanenza di tali gestioni in capo al governo nazionale a

dover trovare una giustificazione nel principio/obiettivo, se davvero applicabile a

casi del genere, di assicurarne l’esercizio unitario” (66). Alla luce di queste

conclusioni, pertanto, andrà riletto, sicuramente l’art. 150 del d.lgs. n. 112. D’altra

parte, sia per le attività di gestione che, a maggior ragione, per la materia della

tutela dei beni culturali si tratterà di capire il valore reale che acquisterà l’esigenza

di garantire l’indivisibilità delle funzioni amministrative a fronte dell’attuazione

dei principi consacrati nell’art. 118 Cost.: sarà difficile, infatti, che non si

verifichino situazioni in cui “lo Stato tenderà a trattenere a sé un determinato

ruolo nella difesa del patrimonio adducendo come giustificazione il necessario

′esercizio unitario′ delle funzioni in un settore, quello della tutela, rilevante sia

(64) Cfr., Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, parere n. 1794, Adunanza generale del 26 agosto 2002, in Aedon, 2002, 2; www.aedon.mulino.it. (65)Il riferimento è ai ricorsi contro l’art.33 della legge n. 448 del 2001 proposti dalle regioni Emilia-Romagna, Marche e Toscana, in Aedon, 2002, n.1, con commento di D. Nardella, L’art.33 della finanziaria 2002 davanti alla Corte costituzionalen, ibidem; cfr., inoltre, il ricorso della regione Toscana contro l’art.10 della legge n.137 del 2002, in Aedon, n.2.

20

per il significato che assume nella vita collettiva dei cittadini, sia, soprattutto, per

gli apparati strumentali, gli standard tecnici e le risorse necessarie al suo

funzionamento” (67).

Infine, per concludere queste brevi riflessioni, occorre riferire di alcuni

strumenti particolarmente innovativi previsti nel nuovo Titolo V che, per il caso

della materia in esame si traducono in veri e propri “correttivi, espliciti e impliciti,

al modello generale delineato nella riforma, capaci di incidere sia sul sistema di

′monopolio′ statale della tutela, sia sul sistema di potestà legislativa concorrente”

(68). Si tratta: in base all’art.117, comma 6, della possibilità di delega della potestà

regolamentare alle regioni da parte dello Stato. Per la materia in oggetto si tratta,

dunque, della possibilità di delegare quella che concerne la tutela dei beni

culturali e in base all’art.118, comma 3, dell’introduzione con legge statale e per il

settore, tra gli altri, della tutela dei beni culturali, di forme di intesa e

coordinamento tra Stato e regioni sul piano amministrativo. A questi correttivi

sono da aggiungere il cd. regionalismo differenziato (69) o, per utilizzare altra

definizione, la speciale specialità (70) che introduce l’art. 116, comma 3. La

norma contempla la possibilità di attribuire alle regioni a statuto ordinario

“ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” nelle materie oggetto di

potestà legislativa concorrente e in tre materie soggette alla potestà esclusiva dello

Stato, tra queste la ”tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.

5. Stato e regioni nella codificazione della legislazione nazionale

L’adozione di un Codice dei beni culturali e del paesaggio (71) nasce dalla

necessità, di cui si è resa interprete la legge delega n. 137 del 2002, con il suo art.

(66) P. Petraroia, Il ruolo delle regioni per la tutela, la valorizzazione e la gestione dei beni culturali: ciò che si “può” fare e ciò che “resta” da fare, in Aedon, 2001, n.3. (67)D. Nardella, I beni culturali tra Stato e regioni e la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 692. (68)D. Nardella, I beni culturali tra Stato e regioni e la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 693 (69) F. Palermo, Il regionalismo differenziato, in T. Groppi-M. Olivetti (a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, Giappichelli, 2001, 51 ss. (70) G. Falcon, Modello e transizione nel nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione, in Le regioni, 2001, 11 ss. (71) Per le innovazioni e le valutazioni critiche sul Codice, cfr. M. Cammelli, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio: dall’analisi all’applicazione, in Aedon, 2004, www.aedo.mulino.it; cfr., inoltre, G. Severini, I principi del codice dei beni culturali e del paesaggio, in G.d.A., 2004, 5, 469

21

10, di un adeguamento della disciplina delle materie richiamate alla riforma

costituzionale del Titolo V.

Le norme della Parte prima del Codice (artt.3-8), infatti, ridisegnano

l’assetto delle competenze in materia di beni culturali, alla luce dell’intervenuta

modifica della Costituzione e dei nuovi criteri di riparto delle funzioni legislative

e amministrative stabiliti dagli artt. 117 e 118 “riformati”, sostituendo in tal modo

tutte le norme precedenti.

Come sottolineato in precedenza, l’art. 117, commi 2 e 3, ha ripartito nelle

“due aree funzionali” (72) della tutela e della valorizzazione la materia dei beni

culturali, assegnandone alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la prima

e alla competenza legislativa concorrente di Stato e regioni la seconda. I nuovi

artt. 3 e 6 del Codice definiscono rispettivamente gli ambiti della tutela e della

valorizzazione. Nella tutela risultano essere identificati non solo quello che è

regolazione e amministrazione giuridica dei beni culturali, ma anche ciò che è

intervento operativo di protezione e difesa dei beni stessi (73). Nella

valorizzazione, invece, rientrano il complesso delle attività di intervento

integrativo e migliorativo ulteriore finalizzate alla fruizione pubblica dei beni. E’

stabilito, inoltre, che essa deve avvenire solo in forme compatibili con la tutela e,

comunque, non pregiudizievoli per la stessa. La valorizzazione riveste, quindi,

“una posizione complementare se non ancillare rispetto alle funzioni di tutela”

(74).

Il Codice, dunque, per questo aspetto si discosta dal solco delle riforme

amministrative del 1998 e sceglie di non definire altre attività, diverse dalla tutela

e dalla valorizzazione, superando il riferimento alla gestione, presente nel d.lgs. n.

112 e che tanto ha fatto discutere gli interpreti, contribuendo così “ad eliminare le

difficoltà che si opponevano ad una chiara individuazione di quali fossero gli

ambiti che qualificavano la valorizzazione distinguendola dalla gestione” (75).

Sulla base di questa preliminare divisione, il Codice interviene, poi, a

dettare tutta la disciplina legislativa delle funzioni di tutela nel presupposto della

ss.; cfr. infine, il numero 62/2004 di Prime Note Zoom, a cura di C. D’Antone – G. Altavilla, con contributi di commento al Codice. (72) G. Pastori, Le funzioni dello Stato in materia di tutela del patrimonio culturale (art. 4), in Aedon, 2004, 1, www.aedon.mulino.it (73) In tal senso, la sentenza della Corte costituzionale n. 9 del 2004. (74) G. Pastori, Le funzioni dello Stato in materia di tutela del patrimonio culturale (art. 4), cit. (75) C. Barbati, La valorizzazione del patrimonio culturale (art. 6), in Aedon, 2004, 1, www.aedon.mulino.it

22

competenza esclusiva dello Stato e i principi fondamentali da osservarsi nella

disciplina legislativa della valorizzazione da parte delle regioni. Gli artt. 4 e 5

disciplinano il riparto delle funzioni amministrative in materia di tutela. Ed ecco il

primo ritorno al passato. L’art. 118 Cost., superando il principio del parallelismo,

sul quale si reggeva la precedente disciplina, dispone che le funzioni

amministrative spettino in via primaria al comune, salvo quelle che per

assicurarne l’esercizio unitario, la legge statale e regionale secondo le rispettive

competenze attribuisca alle province e a salire fino allo Stato sulla base, tra gli

altri, del principio di sussidiarietà. Sulla base di questo principio anche nelle

materie esclusive lo Stato può e deve (a titolo di attribuzione e non di delega)

ripartire le funzioni amministrative al livello di governo più vicino cittadino.

L’art.4 del Codice, invece, stabilendo che, al fine di garantire l’esercizio unitario

delle funzioni di tutela, ai sensi dell’art.118 Cost., tutte le funzioni stesse sono

riservate allo Stato e per esso al Ministero dei beni culturali, non fa altro che

“rispolverare” il principio del parallelismo, tornando a far coincidere l’ambito

della competenza legislativa con quella della competenza amministrativa.

L’attribuzione al Ministero (e non allo Stato) implica che sia il Ministero a

disporre delle funzioni e che sia esso a conferire l’esercizio delle funzioni alle

regioni. La “ sconcertante” (76) norma richiamata, infatti, stabilisce che sia il

Ministero a esercitarle direttamente o a conferirne l’esercizio alle regioni per

quanto “tramite forme di intesa e coordinamento “, quindi, sempre mediante atti

normativi sublegislativi. Sulla base dell’art. 118 il conferimento dell’esercizio di

funzioni amministrative alle regioni o ad altri enti territoriali deve, invece, sempre

avvenire con legge.

Passando, più propriamente alla valorizzazione, le indicazioni accolte nel

Codice non si discostano da quelle contenute nel d.lgs. n. 112 del 1998 e

quest’ultima sembra caratterizzarsi ancora per essere finalizzata alla promozione e

al sostegno della conoscenza, fruizione e conservazione del patrimonio culturale,

individuazione, che nel nuovo Codice risulta comunque, più netta e precisa, non

dovendo da essa distinguere gli ambiti della gestione (77). Per quanto riguarda,

invece, continuare a considerare la valorizzazione, così come la tutela, stante la

lettera della Costituzione, funzionale alla individuazione delle competenze,

condivisa tra Stato e regioni la prima ed esclusiva statale la seconda, il Codice

(76) G. Pastori, Le funzioni dello Stato in materia di tutela del patrimonio culturale (art. 4), cit.

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sembra risolverlo nell’art.112, comma 5, dove non elegge la valorizzazione ad

ambito assegnato alle regioni, ma la riduce, come già fatto in occasione del d.lgs.

n.112, a compito che spetta al soggetto che ha la disponibilità del bene. “In

sostanza il Codice ha inteso mitigare quella separazione tra tutela e

valorizzazione………e lo ha fatto proponendo un’interpretazione dell’art.117,

comma 3, che ne riduce il potenziale significato, quanto al ruolo spettante alle

regioni in materia di valorizzazione”( 78). Nell’art.6 del Codice, pertanto, si

definiscono le attività di valorizzazione che lo Stato (per i propri beni) e le regioni

(per gli altri beni) sono chiamati a porre in essere (comma 1); viene ribadita la

subordinazione della valorizzazione alle prioritarie esigenze della tutela (comma

2) “la quale si conferma così parametro ed insieme limite capace di conformare

l’estensione e le modalità degli altri interventi in materia di beni culturali” (79);

infine, viene recepito, anche per la valorizzazione, quel principio di sussidiarietà

orizzontale che l’art. 118, comma 4, Cost., ha elevato a criterio per l’allocazione e

l’esercizio delle attività di interesse generale (comma 3).

(77)C. Barbati, La valorizzazione del patrimonio culturale (art. 6), cit. (78)C. Barbati, La valorizzazione del patrimonio culturale (art. 6), cit. La scelta del Codice è coerente con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sent. n. 26 del 2004, con la quale ha ritenuto che anche dopo l’entrata in vigore del Titolo V debbano valere i criteri che, in merito all’esercizio dell’attività di valorizzazione, aveva dettato il d.lgs. n. 112, vale a dire che essa spetti al soggetto cui compete la titolarità del bene. Sulla sentenza vedi il commento di D. Nardella, Un nuovo indirizzo giurisprudenziale per superare le difficoltà nell’attuazione del Titolo V in materia di beni culturali?, in Aedon, 2004, n. 2, www.aedo.mulino.it. (79)C. Barbati, La valorizzazione del patrimonio culturale (art. 6), cit.