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I. — La realtà obbiettiva. Kant chiama idealismo trascendentale quella dottrina la quale insegna che gli oggetti del- l' esperienza, così come noi li conosciamo, nello spazio e nel tempo, con le loro qualità percepi- bili e i loro cangiamenti, non sono realtà in sè, assolute, indipendenti dalla nostra mente, ma sono fenomeni, realtà relative a un soggetto, cose che appariscono effettivamente a una co- scienza, rappresentazioni dunque del soggetto co- noscente. Questo non vuol dire che le cose che noi vediamo e tocchiamo non esistono al di fuori di noi, ma vuol dire che tutto quello che noi affermiamo delle cose nella loro esistenza obbiettiva non ha più nessun senso quando si faccia astrazione dalle forme e dalle leggi della conoscenza. Il mondo è scritto, a dir così, nel linguaggio della nostra coscienza : la sola realtà Biblioteca Comunale "Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br)

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I. — La realtà obbiettiva.

Kant chiama idealismo trascendentale quelladottrina la quale insegna che gli oggetti del-l' esperienza, così come noi li conosciamo, nellospazio e nel tempo, con le loro qualità percepi-bili e i loro cangiamenti, non sono realtà in sè,assolute, indipendenti dalla nostra mente, masono fenomeni, realtà relative a un soggetto,cose che appariscono effettivamente a una co-scienza, rappresentazioni dunque del soggetto co-noscente. Questo non vuol dire che le cose chenoi vediamo e tocchiamo non esistono al difuori di noi, ma vuol dire che tutto quello chenoi affermiamo delle cose nella loro esistenzaobbiettiva non ha più nessun senso quando sifaccia astrazione dalle forme e dalle leggi dellaconoscenza. Il mondo è scritto, a dir così, nellinguaggio della nostra coscienza : la sola realtà

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con la quale noi, come esseri conoscenti, siamo ef-fettivamente in contatto, sono le nostre percezionie la loro connessione in un'esperienza attualeo possibile. Che nella luna, dice Kant, ci sianoabitatori che nessuno ha mai veduto, è una cosache si può ammettere ma questo o non signi-fica nulla, o significa semplicemente che in unpossibile progredire della nostra esperienza noili conosceremmo, giacchè reale obbiettivamenteper noi è solamente quello che trova o può tro-var posto mediante la percezione nella tramadella nostra esperienza. Schopénhauer dice lastessa cosa con le note formule : il mondo è rap-presentazione, non v' ha oggetto senza soggetto.

Questa dottrina non è solamente il puntodi partenza, ma è il fondamento di tutto quelloche Schopenhauer ha pensato. Per cui, se vo-gliamo seguirlo, bisognerà pure che procuriamodi collocarci nel suo punto di vista. Ad evitaredunque, per quanto è possibile, i malintesi, saràbene che cominciamo a distinguere queste trecose : apparenza, fenomeno e cosa in sè.

Si dice apparenza (S c h ei n) una nostra rap-presentazione che non corrisponde a nessun og-getto reale, o è diversa dalla realtà che noiconosciamo o riconosciamo come obbiettiva. Leimmagini del sogno e le allucinazioni sono ap-parenze : così pure i palazzi e giardini dipintisulla scena di un teatro : stando al sistema co-pernicano, il giro del sole intorno alla terra èun' apparenza. In tutti questi casi, di contro

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all'apparenza sta la realtà obbiettiva sperimen-tabile o in qualunque modo accertabile, che cipermette di riconoscere l' illusione come tale edi non confonderla con ciò ch' è reale.

Si dice invece fenomeno (Erscheinung),nel senso gnoseologico della parola, non ciòeh' è illusorio, ma la realtà obbiettiva stessa, inquanto è oggetto di conoscenza, e in quantotutte le sue determinazioni sono relative al sog-getto conoscente. Che la neve è bianca, e cheil sole risplende, non sono illusioni, ma sonorealtà percepibili, salvo ch' è molto difficile direche cosa possano essere il bianco della neve e losplendore del sole, quando si faccia astrazionedalle sensazioni che noi abbiamo di quegli og-getti. La Critica pretende che non i colori sola-mente e le altre qualità sensibili, ma tutto quelloche noi conosciamo realmente degli oggetti, nonha senso se non quando si tien conto delle formee delle leggi della conoscenza; per cui tutte ledeterminazioni obbiettive non esprimono realtàassolute, ma realtà appunto che ci son date nelfatto della conoscenza, cioè a dire relativamentea un soggetto. E tutto lo sforzo della Criticasta nel determinare con precisione quali sono lecondizioni permanenti, che rendono possibileuna realtà obbiettiva: cioè a dire una realtàche non solamente è il contrario dell' apparenzaillusoria, ma non è nemmeno relativa a questoo quell' individuo particolare, ma è relativa alsoggetto come tale, a ciò che v' ha di comune

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in tutti gl' individui conoscenti, ossia è validaper tutte le coscienze, e che diventa perciò ilcriterio e come la pietra di paragone per rico-noscere e distinguere da essa così le apparenzeillusorie come le fantasie personali di questo o

E quell' individuo. Questa realtà, ch' è insomma ilmondo obbiettivo, è quello che Kant chiama fe-nomeno o connessione tra i fenomeni, o, in altromodo, contesto o trama dell' esperienza. E s'in-tende bene che, una volta concepito così il mondodei fenomeni, anche le apparenze che sappiamoillusorie possono entrare a far parte di quello,quando siano considerate esse stesse obbiettiva-mente come fatti che si producono e di cui siricercano le condizioni e le leggi, assegnandocosì a questi fatti il posto che loro compete nellanostra esperienza, un posto ben determinato enon confondibile con quello delle rappresenta-zioni che costituiscono la realtà effettiva deglioggetti.

Invece una cosa in sè dovrebbe essere qu odper se est, una realtà sussistente in se stessa,con determinazioni intrinseche a sè, affatto in-dipendenti dalla rappresentazione che noi pos-siamo averne o non averne. La coscienza comune(e vedremo a suo luogo per quale e con quantaragione) attribuisce precisamente una realtà cosìfatta agli oggetti dell' esperienza, e non ha ilpiù lontano sospetto che la realtà e sussistenzadelle cose in se stesse potrebbe essere diversa dallaloro realtà obbiettiva e conoscibile identifica

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cioè le due cose e quando sente dire che glioggetti sono fenomeni, ed è fatta avvertita diquel sistema di relazioni in cui la nostra espe-rienza consiste, essa ne conclude che dunque lanostra conoscenza è illusoria, perchè quello cheimporterebbe secondo lei, sarebbe conoscere lecose come sono in se stesse, indipendentementedall'essere o no conosciute : prima confondevala cosa in sè col fenomeno, ora, vedendosi ra- 'pite le sue cose in sè, confonde il fenomeno conl'illusione e attaccata al suo concetto dogma-tico di una realtà ch' è insieme obbiettiva e as-soluta, polemizza in nome di esso contro il con-cetto critico della realtà fenomenale, che appuntoperché obbiettiva e conoscibile, non può a menodi essere relativa a un soggetto e finisce con

accusare di scetticismo chi vorrebbe svegliarladal suo sogno, come se ricercare quali sono lecondizioni della conoscenza certa significasse ne-gare o mettere in dubbio il fatto e il valoredella conoscenza stessa.

A questa confusione tra il fenomeno e 1' ap-parenza illusoria se ne aggiunge un' altra, cheinsieme con la prima impedisce d' intendere ilsignificato della dottrina che esponiamo. Questosecondo malinteso consiste nell' identificare ilsoggetto che noi diciamo présupposto da ogniesperienza obbiettiva con questo o quello degl'in-dividui conoscenti, che vuol dire con uno deglioggetti che compongono il mondo : allora pareuna cosa enorme che uno degli oggetti diventi

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la condizione di tutti gli altri. S' identificacioè la coscienza di Pietro e di Paolo con laloro persona e col posto eh' essi occupano nellospazio: e poi si domanda : com' è possibile cheil cielo e la terra e tutte le cose che esistononon siano altro che rappresentazioni di Pie-tro e di Paolo, siano legati al filo tenuissimodi esistenze efimere che spariscono nell' immen-sità del mondo ? Senza riflettere che quando noigiudichiamo così, consideriamo Pietro e Paolocome oggetti, nella loro esistenza, limitatezza ecaducità fenomenale, in un dato punto dellospazio e del tempo mentre il soggetto come taleè quel punto di riferimento senza di cui non visarebbe conoscenza, rispetto al quale solamenteci sono oggetti e fenomeni : quindi non è maioggetto esso stesso, è quello che conosce tuttele cose e non è mai conosciuto: la sua esi-stenza è appunto quella di distinguersi e diopporsi a tutti gli oggetti, ed è sempre lo stessoin tutti gl' individui conoscenti, i quali nasconoe muoiono e occupano un posto nello spazio ilsoggetto come tale non esiste nello spazio e neltempo (chè questo vorrebbe dire essere uno deglioggetti), ma lo spazio e il tempo e tutte le coseche esistono, esistono per rapporto a lui comerealtà conosciute o conoscibili da lui. Si potrebbeanche dire così : in ogni individuo conoscente,in quanto conosce, si compiono funzioni e siattuano leggi che non sono una proprietà pri-vata dell'individuo come tale, ma hanno un va-

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lore universale, sono valide per tutte le coscienze;ed è l'insieme di queste funzioni e leggi uni-ficate e personificate da colui che dicendo Iooppone se stesso a tutto ciò che è conoscibile,quello che costituisce il soggetto conoscente dicui parliamo (la coscienza in genere, 1' unitàsintetica dell' appercezione di Kant).

Il soggetto così inteso, avverte Schopenhauersin dalle prime pagine dell'opera sua, è il sostegnodel mondo obbiettivo, la condizione costante sem-pre sottintesa di tutto ciò ch' è percepibile. Ogniindividuo conoscente è questo soggetto, ma sola-mente in quanto conosce, non in quanto essostesso è conosciuto come un oggetto. Il soggettoda una parte e 1' oggetto dall'altra (la realtà co-noscibile) sono le due parti costitutive del mondofenomenale, inseparabili l'una dall' altra, perchèognuna di esse non ha senso e non esiste se nonin rapporto all'altra (I, 35 e seg. ed. G-risebach).Per cui com' è vero il dire : non v' ha oggettosenza soggetto, è ugualmente vero che non v'hasoggetto conoscente senza oggetti, non v' hacoscienza che non sia coscienza di qualche cosa :non sono due entità separabili 1' una dall' altrain modo che una delle due venga prima o dopodell' altra, o sia effetto o prodotto dell'altra ; masono parti dello stesso tutto, e tutt'e due insieme,il soggetto e l'oggetto nella loro correlazione,'costituiscono appunto il mondo dei fenomeni, ilmondo come rappresentazione.

Quando dunque si dice che gli oggetti sono

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5,\`. •Are e che i fenomeni sono rappresentazioni,(-) • rola rappresentazione, qui, non significa

\o/immagine mentale impalpabile che si suppone

esistere dentro il cranio di chi conosce comeopposta all' oggetto reale fuori del cranio masignifica precisamente quest' oggetto reale stesso,con la sua estensione e materialità e le altre suequalità percepibili, in quanto realtà conosciuta oconoscibile nelle forme e secondo le leggi del sog-getto conoscente. E la differenza tra l'opinionecomune e la dottrina che esponiamo non è che laprima affermi e la seconda neghi o metta in dubbiol'esistenza delle cose percepibili, ma è che la primaignora e la seconda insegna che cosa è che noiconosciamo realmente quando diciamo di cono-scere le cose e dimostra come tutte le deter-minazioni obbiettive - tutte, nessuna esclusa -per cui noi diciamo reali le cose, sono determi-nazioni non assolute ma relative a un soggetto,in quanto presuppongono tutte le forme e leleggi della conoscenza.

Questa dottrina si chiama idealismo perchèinsegna dunque il carattere non fantastico, nonimmaginario, non illusorio, ma fenomenale omentale della realtà obbiettiva e si chiamaidealismo trascendentale o anche critico, perchèè il risultato di una ricerca la quale, scompo-nendo l'esperienza nei suoi elementi, scopre edetermina quali sono i fattori conoscitivi che larendono possibile, e che sono quindi da consi-derare come le condizioni necessarie perchè una

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realtà in senso obbiettivo esista. La Critica sidà per un' analisi della facoltà di conoscere, maessa non è nè una psicologia nè una storia dellaconoscenza : non racconta come dall' incontro diun supposto oggetto con un supposto soggettonasca il fatto del conoscere, e tanto meno rac-conta come una certa entità chiamata spirito oanima o altrimenti cavi fuori dal suo fondo lospazio, il tempo e tutto il mondo delle cose co-noscibili ma è veramente e semplicemente un'a-nalisi della realtà obbiettiva nei suoi elementicostitutivi, alcuni dei quali si rivelano a que-st' analisi come le forme costanti, universali enecessarie, di ogni realtà obbiettiva. Cosi almenoe con questo titolo, come analisi trascendentaledella realtà empirica (III, 41) Schopenhauer siè assimilata la dottrina della Critica.

Gli elementi di cui si compone la realtà ob-biettiva sono da una parte i dati sensibili (il mol-teplice sensibile, la materia dell'esperienza diKant), e dall'altra le forme e funzioni intellet-tuali che rendono possibili il raggruppamento,1' ordine e il nesso fra i dati sensibili. Da Lockein poi tutti sanno che alcune delle qualità chenoi percepiamo nei corpi sono in realtà le nostresensazioni riferite agli oggetti. Kant ha conti-nuato e approfondito 1' analisi iniziata da Locke,mostrando come oltre le sensazioni che sono ciòche v' ha di variabile e di accidentale nell' espe-rienza, vi sono condizioni universali e costantidi qualunque esperienza obbiettiva, fondate non

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sulle particolarità di questa o quella coscienza,e tanto meno di questo o quello organismo, masu ciò che costituisce la coscienza come tale, ilsoggetto conoscente come tale, ossia su quelleforme e funzioni senza di cui la coscienza nonsarebbe coscienza di oggetti, per cui nulla esiste(obbiettivamente che non si presenti a noi inquelle forme e non sia appreso secondo quellefunzioni. Queste forme e funzioni intellettualiche insieme coi dati sensibili costituiscono tuttala nostra esperienza obbiettiva, sono, secondo lasemplificazione che Schopenhauer ha fatto delladottrina kantiana, il tempo, lo spazio e la cau-salità.

Lo spazio e il tempo non sono cose nè pro-prietà delle cose: e intanto senza di essi noi nonpotremmo rappresentarci nessuno oggetto. Noinon potremmo percepire delle cose estese, fuori dinoi e fuori le une delle altre, e dei fatti che sisuccedono, se non possedessimo questa curiosacapacità d'intuire nelle forme dello spazio edel tempo. Un essere che percepisce è preci-samente un essere capace di ordinare le suerappresentazioni nelle forme dello spazio e deltempo. Non già che da una parte ci siano lecose e dall' altra, come ombre o maschere oreti gettate sulle cose, lo spazio e il tempo: lecose in tanto esistono come oggetti conosciuti econoscibili in quanto esistono nelle forme dellospazio e del tempo. Possiamo immaginare spo-stati o annientati tutti gli oggetti, il tempo e lo

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spazio occupati da quelli rimangono : non pos-siamo farne a meno, li portiamo sempre con noi,dovunque noi ci volgiamo ci accompagnano, conla loro infinità e gli altri loro attributi; e cia-scuno di noi è a volta a volta il centro del suospazio e il punto di mezzo della linea infinitadel tempo ch' egli si rappresenta. Sono realtàper se stesse vuote, che non somigliano a nes-sun' altra, sui generis, indefinibili: sono realtàomogenee in tutte le loro parti e continue, divi-sibili all' infinito e infinite ; e tutte le loro partisono a dir così solidali le une delle altre, costi-tuiscono un sistema di relazioni, e formano tutteil tempo unico e lo spazio unico, di cui i sin-goli tempi e i singoli spazi non sono come lespecie più concrete di un genere più astratto,ma sono parti, delimitazioni più o meno arbi-trarie; e tutti i punti dello spazio nelle sue tredimensioni come tutti gl' istanti del tempo nelsuo fluire perenne in tanto formano una totalitàcontinua e omogenea in quanto sono come rac-colti e tenuti insieme nell' intuizione unica chenoi ne abbiamo, ed è 1' illimitatezza di quest' at-tività sintetica della nostra intuizione che costi-tuisce appunto l' infinità loro.

Chi riflette a questi caratteri troverà pro-babilmente qualche difficoltà a staccare, a dircosi, da sè lo spazio e il tempo, e a considerarlicome due entità sussistenti in se stesse, indi-pendenti dalla sua attività rappresentatrice. Ese egli se l'immagina così, come due recipienti

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immensi, senza pareti, aperti da tutte le parti,nei quali egli stesso occupa il suo piccolo posto,vuol dire ch'egli non riflette più alla sua attività,rappresentatrice la quale si distende fino agli

• estremi confini del mondo, ma si rannicchia adir così in se stesso, considera se stesso comeun oggetto, delimitato dai limiti del propriocorpo, e allora niente di più naturale eh' egliveda al di fuori di sè, cioè a dire fuori di questosuo corpo, degli altri corpi estesi e reali comeil suo, e che tutti insieme costituiscono il mondodegli oggetti. Ma intanto, se egli continua a ri-flettere, deve considerare ancora che noi indi-pendentemente dalla conoscenza che abbiamo diquesto o di quell' oggetto particolare, siamo ingrado di determinare con intera certezza leleggi e le relazioni dello spazio e del tempo, esappiamo anticipatamente che tutti gli oggettiche furono o che saranno obbediscono a quelleleggi e sottostanno a quelle relazioni. Cosicchèaccade questo : che degli esseri limitati e accan-tonati nella loro piccola porzione di spazio e ditempo si trovano in possesso di una scienza uni-versale fondata unicamente sulle relazioni dellospazio e del tempo (le scienze matematiche), diuna scienza che già Galileo diceva non diversada quella divina per la sua certezza, di unascienza evidente, nella quale tutte le coscienzeconsentono e eh' è valida per tutti gli oggettidell' esperienza. Com' è possibile questo fatto ?Chi ha il gusto delle speculazioni metafisiche

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potrà credere di spiegarsi la cosa dicendo : c' èun' armonia prestabilita, o formatasi per via diadattamento, tra la realtà in sè delle cose e ilnostro modo di rappresentarci le cose. Kant eSchopenhauer, che non amano di affermare più diquello che sanno, si contentano di dire : il nostro modo di rappresentarci le cose è precisamente la realtà della nostra esperienza e di ' •questa realtà, la sola che noi conosciamo, lospazio e il tempo sono le condizioni permanenti.Conoscere vuol dire innanzi tutto essere in gradod' intuire lo spazio e il tempo, e la realtà everità delle cose, come oggetti di conoscenza, èessere presenti alla coscienza nelle forme dellospazio e del tempo. Ai quali quando si tolga illoro carattere d' intuizioni e quel sistema di re-lazioni intuibili che costituisce tutta l'essenza loro,non si capisce più in che senso si possano direreali : tanto vero questo, che quelli stessi che lipongono come I ealtà indipendenti dalla nostra co-scienza sono obbligati a concepirli o come intui-zioni di una mente assoluta o come funzioni diuna realtà spirituale inconscia che nella nostramente si solleva fino a diventar consapevole : lequali ipotesi, in questo caso, non sono altro cheun duplicato della nostra intuizione, non fanno cheproiettare in una sfera metafisica non sperimen-tabile lo stesso spazio e lo stesso tempo dellanostra esperienza. Se per realtà s'intende larealtà intuita o intuibile, non c'è nulla di piùreale dello spazio e del tempo, sono essi la con-

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dizione di ogni realtà percepibile : e in tanto leloro leggi e rapporti hanno un valore obbiettivo,in quanto sono essi, lo spazio e il tempo, cherendono possibili gli oggetti. La loro realtà evalidità obbiettiva dipende appunto dalla loroidealità trascendentale, dall'essere essi cioè leforme universali e necessarie della nostra intui-zione. Ma appunto per questo la loro realtà èempirica, non assoluta non costituisce la natura'in sè delle cose, ma la conoscibilità loro comeoggetti rappresentati : che un uomo sia alto unmetro e cinquanta centimetri e abbia 60 annidi età, sono determinazioni perfettamente realie obbiettive di quell' uomo ma nè la statura nè1' età nè nessuna delle determinazioni che si pos-sono esprimere nei termini dello spazio e deltempo, ci dànno la sua natura intrinseca, quelloeh' egli è in se stesso indipendentemente da ogniconoscenza, la cosa in sè di quell' uomo. Le sco-perte in Filosofia sono rare, dice Schopenhauer :egli considera come una di queste scoperte, lu-minosa e definitiva, la dottrina kantiana sullarealtà empirica e l' idealità trascendentale dellospazio e del tempo. La quale dottrina sarebbecertamente esposta a meno difficoltà e malintesiquando potesse rispondere a queste domande :com' è possibile che ci siano lo spazio e il tempo?com' è possibile che ci siano degli esseri cono-scenti e degli oggetti conosciuti in queste forme ?com' è possibile il fenomeno del mondo ? com' èpossibile questa dualità di soggetto e di oggetto,

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