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Hugo Orlando Discorsi sulle arti visive Teoria e storia A cura di Venanzio Raspa 1

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Hugo Orlando

Discorsi sulle arti visiveTeoria e storia

A cura di Venanzio Raspa

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Indice

Premessa

Hugo Orlando: un profilo biografico e intellettuale di Venanzio Raspa1. Una breve biografia – 2. L’arte tra riflessione teorica ed esperienza conoscitiva – 3. I manoscritti di Hugo Orlando

Indice cronologico dei manoscritti

I. Saggi

1. TEORIA DELL’ARTES 1 Consapevolezza storica – Autonomia – MoraleS 6 Cenni utili per la comprensione del concetto di arte visiva e del valore conoscitivo del linguaggio

dell’arte visivaS 7 ‹Giudizio estetico e fruizione›S 3 ‹Arte e conoscenza. Messaggio artistico e coefficiente d’arte›S 8 Ipotesi per la ricerca di una nuova dimensione estetica

2. STORIA DELL’ARTES 4 Cultura europea e pittura italiana del NovecentoS 5 Perché l’arte moderna è definita “rivoluzionaria”S 2 Nascita e sviluppo dell’arte modernaS 9 Cenni sullo sviluppo dell’arte contemporanea

II. Lezioni radiofoniche

L 1 ‹Teoria del colore. Colore, forma, emozione estetica›L 2 ‹Composizione e uso del colore›

III. Riflessioni, appunti, abbozzi

R 1 ‹Arte, artista, mass-media›, ‹Schema di un’eventuale lezione›R 2 RiflessioniR 3 ‹Filosofia e pittura. Idealismo e rappresentazione›R 4 ‹Astrattismo e creazione. Impegno morale e riferimento al presente›R 5 ‹Cézanne e il Cubismo›R 6 ‹Cubismo e Astrattismo›R 7 ‹Picasso, Klee, Kandinsky e Bryen sull’arte moderna›R 8 ‹L’emozione estetica›R 9 ‹Sulla pittura italiana dell’Ottocento›

Dichiarazione di poetica

Tavole

Indice dei nomi

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Premessa

Non sono pochi i pittori la cui riflessione teorica ha segnato la critica d’arte e l’estetica della pittura. Si pensi a Leonardo e, in tempi a noi più vicini, a Kandinskij, Klee, Mondrian, ma anche ai nostri Boccioni, De Chirico, Sironi. Il punto di vista di un pittore su un quadro è quello di chi si sente ed è intimamente coinvolto da ciò su cui esprime un giudizio estetico. Proprio per questo è un punto di vista prezioso. Lo è quello dei grandi, e lo è anche quello di artisti poco noti.

Hugo Orlando è stato un pittore, ed è stato anche un critico d’arte. Non sono poche le sue presentazioni e recensioni delle opere di pittori con i quali è venuto a contatto. Così come non sono pochi i suoi interventi pubblici, in cui si cimenta più in generale con l’arte, in special modo con la pittura contemporanea. E sono proprio questi interventi l’oggetto del presente volume.

La pubblicazione dei manoscritti di Hugo Orlando rinvenuti nella sua casa intende favorire la conoscenza delle sue idee sulle arti visive e, allo stesso tempo, porre in rilievo un aspetto non secondario della sua personalità e attività: quello di divulgatore e operatore culturale, interessato alla vita della città e della realtà a lui più vicina. Per chi l’ha conosciuto, sarà un’occasione per riascoltarlo, per altri, di incontrarlo per la prima volta.

Urbino, maggio 2013Venanzio Raspa

Hugo Orlando: un profilo biografico e intellettualedi Venanzio Raspa

E non che mai, se non con le parole ed i segni della nostra umana esperienza, riusciremo ad esprimere la nuova tenerezza degli affetti? Se il pauroso succedersi di crisi di violenza non ha distrutto né la nostra vita né la speranza, ciò vuol dire che le forze della creazione, quelle cioè che si generano dalla struttura, sono più valide di quelle distruttive, che si generano dalla sovrastruttura della società. (R 4.1, p. 79)

Sebbene teorizzi che il pittore, come ogni artista, si esprime con il linguaggio a lui congeniale, ovvero dipingendo, pur tuttavia Hugo Orlando si è espresso, e non di rado, anche mediante la parola. Le sue tesi di teoria e storia delle arti visive si nutrono – come egli stesso non manca di rilevare più volte – di una lunga pratica come pittore. Il suo punto di vista sulle arti visive e sulla storia dell’arte contemporanea è infatti maturato non soltanto attraverso lo studio, ma anche e soprattutto dipingendo. All’inizio, specialmente durante il soggiorno fiorentino, dipingendo le opere dei classici presenti negli Uffizi; ovviamente – teneva a precisare Hugo Orlando – in un formato diverso dall’originale, altrimenti avrebbe dipinto un falso.

UNA BREVE BIOGRAFIA1

Ugo Orlando (in arte Hugo) nasce a Ripabottoni (Campobasso) il 12 luglio 1910, quarto di sei figli, da Federico Orlando e Vittoria Catelli. Nel 1924 la famiglia si trasferisce a Termoli e qui il giovane Hugo inizia il suo apprendistato come pittore sotto la guida del padre, valente decoratore e affreschista di scuola ottocentesca, del quale ricordiamo gli affreschi nella chiesa di Santa Maria Assunta di Ripabottoni. Anche gli altri fratelli si impegnano sporadicamente nella pittura; Hugo la sceglie come professione, ma essere pittore non è solo un lavoro, è anche un peculiare modo di guardare il mondo.

La severa disciplina del padre Federico permette al giovane Hugo di acquisire una buona tecnica pittorica, ma si rivela in ultima analisi lenta e limitante nel favorire lo sviluppo di una 1

Quali fonti per questa breve biografia sono stati utilizzati i testi presenti nei cataloghi Hugo Orlando: pitture dal 1936 ad oggi, Termoli: Landolfi, 1982; IX Rassegna Nazionale d’Arte Contemporanea, a cura di Leo Strozzieri, Campomarino: Comune, 1994, p. 33; inoltre Lino Mastropaolo, Di cronaca e critica: viaggio nel mondo delle arti visive in Molise dal fascismo ad oggi, presentazione di Alessandro Masi, introduzione di Adalberto Cufari, Roma: Edizioni d’arte A x A, 1994. Altre informazioni sono state fornite direttamente da Maria Gabriella Colantonio, nipote di Hugo Orlando, Nino Barone e Renato Marini.

propria inventiva. A Hugo, dal forte carattere indipendente, una preparazione tecnica per la decorazione murale e l’affresco non basta, e così nel 1938, nell’intento di ampliare la propria cultura pittorica, si trasferisce a Firenze.

L’esperienza fiorentina resterà fondamentale per gli sviluppi successivi della sua pittura. Sotto la guida del prof. Gianni Vagnetti, dalla cui scuola trae gli elementi della costruzione inventiva dell’opera d’arte, Hugo apprende nuovi modi di visione e nuove tecniche cromatiche e formali, che lo porteranno a superare quel naturalismo di marca ottocentesca appreso dal padre. È a Firenze che ha effettivamente inizio la sua attività artistica.

Nel 1939 gli viene assegnata una borsa di studio per recarsi in Spagna, allo scopo di condurre degli studi su Goya. Durante il soggiorno spagnolo, a Siviglia, alcuni amici gli procurano l’esecuzione di due grossi affreschi nel Cafe de los Amigos, centro di ritrovo per pittori e poeti andalusi. Hugo vi rappresenta scene gitane e del folclore andaluso, traendo profitto sia dalla recente esperienza fiorentina sia dall’insegnamento paterno.

Nel 1940 Hugo rientra in Italia e si stabilisce a Roma. Qui, spronato dal fratello Pietro, partecipa con successo a un concorso bandito dal Ministero del Tesoro e inizia a lavorare nella burocrazia, senza però mai smettere l’attività artistica. Nel 1941 partecipa a varie mostre collettive romane, raccogliendo consensi e incoraggiamenti. Sposa Tecla Del Monaco e dal loro matrimonio nascono due figlie: Silvana nel 1942 e Vanda nel 1943.

Nel febbraio del 1943, in pieno periodo bellico, chiede e ottiene il trasferimento a L’Aquila, dove rimane fino al 1947. Al termine della guerra, a L’Aquila si forma un gruppo di artisti guidati dall’allora giovane critico d’arte Nicola Ciarletta. Il gruppo, del quale fa parte per un breve periodo anche Remo Brindisi, organizza mostre personali e collettive presso la Sala Rossa del Teatro Comunale. Ciò non significa che l’attività di Hugo sia limitata al solo centro abruzzese; nel 1945 ha luogo una sua personale a Zurigo, nel 1946 a Pistoia, nel 1947 a Prato, nel 1948 a Modena. Sempre nel ’48 rientra con la famiglia a Firenze, ove partecipa, successivamente, a diverse mostre collettive.

Nel 1957 Hugo torna a Roma e prosegue la sua attività artistica fra i cosiddetti “pittori della domenica”. Nel 1958 partecipa con sette opere (quattro paesaggi e tre nature morte) alla mostra collettiva presso il “Salon du Violon d’Ingres”, a Lione, ottenendo ampi consensi di critica. Nello stesso anno organizza, partecipandovi, la prima mostra fra dipendenti dello Stato sotto il porticato del Ministero del Tesoro. Sempre nel 1958 viene premiato con medaglia d’oro alla collettiva di Frascati e con cavalletto d’oro alla IV Mostra d’Arte di Termoli; inoltre, espone in collettiva al Circolo Sabino insieme a Domenico Purificato, Sante Monachesi, Giovanni Stradone, Vittorio Miele e Renzo Vespignani. In questo periodo assume il nome d’arte Hugo. Nel 1960 è invitato a partecipare con tre opere alla Rassegna d’Arte di Roma e Lazio presso il Palazzo delle Esposizioni. Nel 1962 viene di nuovo premiato con medaglia d’oro alla collettiva tenuta presso la Galleria Civica di Roma in via Milano. In questo periodo passa alle poetiche informali. Negli anni 1962 e 1963 è invitato al Premio Michetti, a Francavilla a Mare.

Gli inizi degli anni ’70 coincidono con la morte della moglie Tecla e con il ritorno a Termoli, dove Hugo si inserisce a pieno titolo nella realtà locale, impegnandosi non solo come artista, ma anche come operatore culturale (e accanito sostenitore della squadra di calcio locale). Alla fine degli anni ’70, insieme a Raffaele Orlando, Hugo fonda il Centro culturale “La bottega dell’arte”, che, fra le sue attività, prevede anche dei corsi di pittura per bambini. Intanto nel 1971 aveva contratto un secondo matrimonio con Rosa Raspa.

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Dal 1968 al 1975 espone alla Mostra Nazionale del Premio Termoli; nel 1974 partecipa a Campobasso alla mostra Verifica ’74. Il suo senso critico e la passione per le arti ne fanno un punto di riferimento per i giovani artisti molisani. Oltre che critico e saggista, prevalentemente per le arti visive molisane, egli è uno dei fondatori del Premio Castello Svevo di Termoli, che, quale collaboratore di Achille Pace, contribuisce a promuovere. Nel 1982 il Comune di Termoli gli dedica una mostra antologica presso il Castello Svevo dal titolo Hugo Orlando: pitture dal 1936 ad oggi. Hugo diceva che sarebbe stata la sua ultima esposizione, invece nel 1987, sotto l’egida del Ministero della Cultura Spagnola, espone a Valladolid, Madrid, Barcellona, Valencia e Siviglia.

Nel 1989 organizza a Campomarino, insieme a Renato Marini e Leo Strozzieri, la IV Rassegna d’Arte Contemporanea intitolata Duplice versante, con la partecipazione di diciotto artisti abruzzesi e diciassette molisani. Nel 1991 espone a Casacalenda alla mostra Kalenarte ’91. Nel 1990 partecipa, insieme a Renato Marini, alla fondazione del Premio Campomarino e del Centro Culturale “Il Campo”. La collaborazione con “Il Campo” segna i suoi ultimi anni di vita: nel 1991 vi organizza, insieme a Renato Marini e Giannino Mastronardi, la Rassegna d’Arte Contemporanea intitolata Le due sponde, in cui espongono dodici artisti albanesi e undici molisani, incluso lo stesso Hugo; nel 1992 ha luogo, sempre presso “Il Campo”, la sua ultima personale, dal titolo Concreto e astratto, comprendente opere dal 1936 al 1992; partecipa inoltre alla Prima Biennale Piccolo Formato, organizzata a Campomarino da “Il Campo” dal 13 dicembre 1992 al 6 gennaio 1993. Il 17 settembre 1993 Hugo Orlando si spegne a Termoli.

Nel 1993, presso il Palazzo Farnese di Ortona, l’Associazione “Progetti Farnesiani” e il Centro Culturale “Il Campo” organizzano la mostra Artisti molisani, in cui sono esposte anche opere di Hugo Orlando. L’anno successivo, la IX Rassegna Nazionale d’Arte Contemporanea Città di Campomarino ospita un Omaggio a Hugo Orlando con opere dell’artista. Ed è recente la mostra Hugo Orlando. Carte d’artista organizzata presso l’Officina Solare Gallery di Termoli dal 9 al 28 aprile 2011.

L’ARTE TRA RIFLESSIONE TEORICA ED ESPERIENZA CONOSCITIVA

Altri, con ben altre competenze, hanno scritto sulla pittura di Hugo Orlando 2. Io mi limiterò a tracciare le linee principali delle sue tesi riguardo all’arte e all’artista.

«La storia dell’arte» – scrive Hugo Orlando parafrasando lo storico dell’arte Herbert Read

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Ricordo qui G. Lopez de Villalba, Nicola Ciarletta, Raul Chrietien, Virgilio Guzzi, Caro Barbieri, Franco Desideri, Valerio Mariani, Salvatore Moffa, Achille Pace, Leo Strozzieri, i cui testi sono stati per la maggior parte pubblicati nel catalogo della mostra antologica dedicata a Hugo Orlando: pitture dal 1936 ad oggi (cit.) allestita presso il Castello Svevo di Termoli dal 31 luglio al 4 settembre 1982. Di recente hanno scritto su Hugo Orlando Tommaso Evangelista, in occasione della mostra Hugo Orlando. Carte d’artista organizzata presso l’Officina Solare Gallery di Termoli dal 9 al 28 aprile 2011 (URL: http://www.officinasolaregallery.com), e Sabrina Izzi, Hugo Orlando, tutto nasce dal disegno ma poi diventa macchia, in «I fatti del nuovo Molise», 19 luglio 2011 (URL: http://ilnuovomolise.it/9985/hugo-orlando-tutto-nasce-dal-disegno-ma-poi-diventa-macchia).

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– «dovrebbe essere scritta in termini d’arte, cioè come una graduale trasformazione di forme visive»3; una trasformazione di cui sono artefici tanto gli artisti, quali individui isolati ma attivi in seno alla società, quanto fattori di ordine storico-sociale e culturale 4. L’arte è, inestricabilmente, evento sociale e individuale, ambito dello spirito umano che si comprende e si sviluppa, oltre che per una sua dialettica interna, nella costante relazione con la riflessione filosofica ad essa coeva e a seguito di un forte impegno etico da parte dell’artista, condizioni necessarie – ritiene Hugo Orlando – perché si possa produrre pittura.

Un pensiero centrale della riflessione di Hugo Orlando è la convinzione riguardo al valore conoscitivo dell’arte, e quindi anche della pittura. Con ciò egli intende dire che l’arte concorre, insieme alla scienza, a estendere e approfondire la nostra conoscenza del mondo. Sia nell’artista che nello scienziato, infatti, «agisce quel medesimo impulso che domina l’uomo: l’impulso ad appropriarsi del mondo entro il quale si trova, a svolgere a chiarezza e a ricchezza quell’angusta e confusa coscienza dell’essere nella quale egli si vede circoscritto»5. Ovviamente, si tratta di due diverse maniere di conoscere: quella scientifica è una conoscenza discorsiva e analitica, quella pittorica intuitiva ed emozionata6. Ciò che giunge ad espressione nell’opera d’arte è quel dato indistinto, non esprimibile in maniera discorsiva, che, per la sua complessità, l’artista riesce a rendere solo mediante il fatto artistico7. «Il messaggio artistico, dunque, è un fatto emotivo captato e sintetizzato dall’artista, il quale sente di doverlo esternare per rendere partecipi gli altri con il mezzo espressivo che gli è più congeniale» 8. Ma dire che la conoscenza pittorica è intuitiva ed emozionata non significa affatto dire che essa è essenzialmente ed esclusivamente ‘spontanea’. Al contrario, «per raggiungere una “creazione autonoma” non è sufficiente affidarsi alla sola spontaneità»9, ma sono bensì necessarie tanto la conoscenza, intesa quale sapere10, quanto una teoria filosofica, più precisamente una teoria della conoscenza. Perché?

Perché la conoscenza del mondo – nel caso della pittura, la visione del mondo11 –, da cui l’artista muove nella ricerca di nuove soluzioni pittoriche, non è un fatto puro o neutrale: «noi vediamo ciò che impariamo a vedere», per cui «la visione diventa un’abitudine, una convinzione, una scelta parziale di tutto quello che c’è da vedere e un compendio deformato del resto»12. Quanto detto potrebbe sembrare oggi scontato, ma non è stato sempre così. In passato, la visione del mondo era legata indissolubilmente alla rappresentazione della realtà e 3 S 1, p. 15; cfr. Herbert Read, Breve storia della pittura moderna, trad. it. di L. Marchiori e M. Attardo Magrini, Milano: Il Saggiatore, 1959, p. 50.4 Cfr. S 1, p. 15; S 2, p. * e S 5, p. *.5 S 6, p. *; cfr. anche S 6, p. * e S 3, p. *.6 Cfr. R 2.2, p. *; S 2, p. *; S 3, pp. *, in particolare le pp *, dove, nel parlare della struttura conoscitiva dell’uomo, è appunto in quella che chiama la fascia emozionata del preconscio che Hugo individua l’ambito proprio dell’arte.7 Cfr. S 3, pp. *.8 S 3, p. *.9 S 1, p. *.10 «Il problema della “conoscenza” diventa primario anche e soprattutto se detto problema reclama un impegno che la nostra epoca tende a rendere pesante. Una volta bastavano poche cognizioni sia per fare arte che per afferrarne i significati. Oggi, se non si vuole rimanere ai margini e non si vuole essere trattati come “oggetti” dai grandi sistemi culturali, bisogna responsabilmente moltiplicare le proprie conoscenze» (S 3, p. *).11 «Tutta la storia dell’arte è una storia di modi di percezione visiva, delle varie maniere in cui l’uomo ha visto il mondo» (S 2, p. *).12 S 2, p. *.

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delle apparenze della natura; giungere a ritenere che «la natura e tutte le superfici e le strutture visibili della natura sono puramente idee soggettive, nostre costruzioni teoretiche o pratiche»13, è stato il frutto di un difficile processo di elaborazione, contestualizzabile in un determinato momento storico, quello a cavallo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. In questo periodo – sostiene Hugo Orlando, d’accordo con John Rothenstein – un ruolo centrale, tanto da determinare un intero ciclo culturale e, quindi, anche un certo modo di fare pittura14, è stato svolto dall’idealismo filosofico post-kantiano: nel proporre una nuova teoria della conoscenza, esso ha sollecitato, in ambito artistico, la rivolta contro il verismo e il naturalismo. Questa è stata generata, infatti, oltre che da motivi di ordine sociologico – la caduta del mecenatismo15 –, da motivi di ordine filosofico: il «crollo di fiducia nella validità delle nostre percezioni»16. Ciò si è verificato allorché si è inteso che «il così detto “oggetto della conoscenza” o della percezione non ha nulla a che fare con ciò che è posto di fronte a colui che guarda e che pensa, ma è esso stesso una costruzione autonoma di colui che guarda e pensa»17. Tale concezione ha avuto una portata davvero liberatoria per l’artista, poiché liberava l’immaginazione e qualsiasi creazione della mente dai lacci imposti loro dall’ordine naturale delle cose18 e, contemporaneamente, comportava l’esigenza di elaborare un nuovo linguaggio, «sillaba per sillaba, immagine per immagine»19.

Se quanto detto è vero, allora, come in passato, così anche oggi «il grande nodo dell’arte non può essere sciolto se non tramite il superamento dell’“impasse” filosofica che sta a monte di tutta la crisi del mondo artistico contemporaneo. Credo» – continua Hugo Orlando – «che sia ora di prendere in esame e mettere a fuoco una nuova teoria filosofica della conoscenza per stabilire da quale punto ottico bisogna tentare il rilancio del pensiero umano, ridare vita alle nostre “polluzioni” ideologiche per revisionare, aggiornare e perciò adeguare al nostro senso reale, tutte le sovrastrutture psicologiche dell’uomo»20. Ciò non vuol dire che l’artista, per dipingere, abbia necessariamente bisogno di una propria teoria della conoscenza, né tantomeno che sia suo compito elaborarne una21; il rapporto fra pittura e filosofia non ha luogo a livello individuale, bensì sovraindividuale, sociale (se così si può dire): come incontro fra due diversi ambiti dello spirito umano. Compito dell’artista è, piuttosto, quello di inventare delle forme22, sintetizzare e comunicare emozioni23, elevare ad espressione il dato visivo24, la propria visione del mondo e la propria conoscenza25. In questo modo, egli si rende creatore «di fatti o documenti storici»26; «l’arte diventa la costruzione della realtà»27. E appunto in ciò sta

13 S 5, p. *; R 5, p. *.14 Cfr. S 2, p. *; S 4, p. *; S 5, p. *.15 Cfr. S 5, p. *; S 2, p. *.16 S 5, p. *.17 S 2, p. 53; cfr. anche S 9, p. 58; R 3, p. 78.18 Cfr. S 2, p. *.19 S 2, p. *.20 S 3, p. *.21 Cfr. S 3, p. *.22 Cfr. S 1, p. 16.23 Cfr. S 3, p. *.24 Cfr. S 6, p. *.25 Cfr. R 2.1, p. *.26 S 4, p. *.27 S 3, p. *.

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l’impegno etico dell’artista: «nella piena libertà della “creazione”»28.L’arte – si è detto – non è solo evento sociale, ma anche individuale; ed è l’impegno etico

a sorreggere e stimolare il singolo, l’artista, nella continua ricerca di nuove soluzioni pittoriche; senza tale impegno non si avrebbe mai il coraggio di compiere quei salti necessari che la ricerca e la scoperta del nuovo richiedono. Nonostante l’arte sortisca l’effetto di trasportare l’artista in «un mondo di emozioni sue proprie»29, tuttavia questi, in quanto vive in una società, non può fuggire il mondo in cui vive30, ma deve assolvere al compito di contribuire, con la propria opera, a gettare le fondamenta per un nuovo tipo di società. L’arte è conoscenza e, allo stesso tempo, se vuole essere arte, deve essere conoscenza – conoscenza offerta dall’artista alla propria epoca.

Del resto, nonostante «le deviazioni e gli sbalzi dell’arte moderna», nonostante alcuni artisti contemporanei siano stati «violenti e distruttori, altri ancora irriflessivi e impazienti» 31 – dice ancora Orlando con Read –, le maggiori figure dell’arte pittorica contemporanea (Cézanne, Matisse, Picasso, Kandinsky, Mondrian, Pollock) hanno sempre perseguito un fine morale, «hanno sempre avuto una ferma consapevolezza del problema del nostro tempo, una costante vigilanza per evitare false soluzioni. Presentare una immagine visiva chiara e precisa dell’esperienza dei sensi è sempre stato il fine costante di questi artisti e il ricco patrimonio di immagini che essi hanno creato è la base sulla quale sarà costruita la civiltà del futuro»32.

I MANOSCRITTI DI HUGO ORLANDO

I testi qui raccolti costituiscono un’ampia scelta fra tutti i manoscritti di Hugo Orlando rinvenuti nella sua casa. In effetti, come si spiegherà più avanti, sono stati esclusi solo tre testi (ovvero L 3, L 4, L 5); sono invece stati messi a disposizione del lettore anche brevi saggi e appunti che sono confluiti in scritti di più ampio respiro, al fine di permettere al lettore di farsi un’idea del modo di lavorare di Hugo Orlando.

Questi rivedeva e rielaborava i suoi scritti, a volte traslando dall’uno all’altro interi brani (di ciò si dà conto nelle note). Certo, egli non ha pensato di pubblicarli; in tal caso, avrebbe curato ulteriormente la forma, aggiunto qualche citazione, cercato di ovviare alle ripetizioni e, probabilmente, di fornire una forma unitaria agli scritti. Questo fatto, che essi non siano stati stesi per la pubblicazione, deve essere tenuto presente dal lettore. In qualche testo, infatti, si possono rilevare asprezze linguistiche e talune improprietà33; a volte potrà sembrare che siano date per presupposte delle nozioni oppure che non vengano sufficientemente approfondite determinate questioni o, ancora, che certi argomenti siano presentati in maniera troppo semplice e concisa. Al riguardo bisogna precisare, innanzi tutto, che Hugo Orlando è un pittore, che, nonostante le notevoli capacità di esporre in maniera discorsiva e argomentata le

28 Cfr. R 4.1, p. *.29 L 1, p. *.30 Cfr. S 2, p. *; S 5, p. *.31 S 1, p. 16; S 2, p. *.32 S 2, p. *.33 Ad esempio, «approccio di concetto generale», «conoscenziale», «infarcendovi accanto», «raziocinizzante» ecc.; può inoltre capitare di incontrare un indicativo laddove ci si aspetterebbe di trovare un congiuntivo.

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proprie convinzioni in materia di pittura, non ha scelto la scrittura quale forma privilegiata di espressione. In secondo luogo, se è vero che alcune affermazioni possono apparire azzardate, o delle questioni troppo brevemente risolte, è altrettanto vero che l’analisi dettagliata e approfondita delle singole problematiche avrebbe certamente richiesto uno spazio di gran lunga maggiore rispetto a quello offerto dalla forma del discorso e dalle circostanze in cui è stato letto. Gli scritti qui raccolti, salvo qualche eccezione, sono infatti testi di discorsi rivolti a un pubblico, il cui carattere occasionale si evince particolarmente bene da alcune espressioni e frasi di circostanza in essi più volte ricorrenti; ed è evidente come, in questi casi, possa accadere che ci si stacchi dalla pagina scritta per illustrare meglio un determinato pensiero.

La successione in cui sono stati ordinati i testi non è strettamente cronologica, ma è organizzata secondo le affinità tematiche dei medesimi. Oltre che dall’impossibilità di datare con certezza alcuni manoscritti, la scelta è stata motivata dall’intento di offrire un quadro il più possibile unitario degli scritti. Alcuni manoscritti sono firmati in calce (S 1, S 3, S 5, L 1) oppure con la dicitura “di Hugo Orlando” o “di Ugo Orlando”apposta affianco al titolo (S 6, S 4, S 9).

La prima sezione, intitolata Saggi, è divisa in due parti: in una sono raccolti i testi che vertono principalmente sull’arte in generale e sulla pittura in particolare, nell’altra quelli dedicati più specificamente allo sviluppo storico dell’arte contemporanea (sebbene quasi tutti i testi vi si cimentino); connessa a entrambi i temi è la riflessione sull’artista e sul compito che questi è tenuto ad assolvere nella società contemporanea. Come già detto, i saggi erano per lo più destinati a una pubblica lettura.

Le Lezioni radiofoniche raccolte nella seconda sezione costituiscono un gruppo omogeneo di conferenze, di cui L 1, L 2, L 3, L 4 e S 3 – che corrisponde, fatta eccezione per l’introduzione, a un’altra di tali lezioni radiofoniche – sono state trasmesse da Radio TRT a partire dal 14 gennaio 1982 il giovedì alle ore 17. A suggerire tale datazione concorrono, oltre alla data, gennaio 1982, apposta in calce a L 1, un brano all’inizio di L 2: «la mia trasmissione delle ore 17 di giovedì 14 scorso», e vari altri riferimenti, in L 2 e L 3, dai quali si evince che le trasmissioni avevano appunto luogo il giovedì. L 5 è il testo di una lezione radiofonica scritta presumibilmente per il previsto ciclo primaverile, successivamente non trasmesso. Le lezioni L 3, L 4 e L 5 sono state omesse, perché le informazioni in esse contenute sono reperibili nei testi di storia dell’arte. Nel caso specifico, L 3 e L 4 si basano sostanzialmente su Gli impressionisti e la loro epoca, testo di Jean Cassou, Roma: Edizioni Mediterranee, 1962, pp. 5-15; L 5 su Herbert Read, Breve storia della pittura moderna, trad. it. di L. Marchiori e M. Attardo Magrini, Milano: Il Saggiatore, 1959, pp. 34-40. Del resto, l’interpretazione dello sviluppo storico dell’arte moderna da parte di Orlando risulta abbastanza compiutamente dai testi presenti nel volume.

Gli scritti raccolti nella terza sezione, Riflessioni, appunti, abbozzi, sono per lo più estratti o annotazioni, risalenti a diversi periodi di tempo, di cui Hugo si serviva per la stesura dei suoi discorsi.

L’ultimo testo della raccolta, la Dichiarazione di poetica, è l’unico finora edito, essendo stato inserito da Hugo nel catalogo della mostra antologica del 1982, e anche ora, come allora, vuole essere una sorta di introduzione alla sequenza delle tavole, un piccolo assaggio

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dall’opera di Hugo Orlando, poste a chiusura del presente volume.

Nella trascrizione dei testi, si sono resi necessari alcuni interventi, al fine di agevolare al lettore l’immediata comprensione dei medesimi. In particolare:- evidenti sviste di carattere ortografico (lapsus calami) sono state tacitamente corrette,

mentre interventi di maggior rilevanza sono stati segnalati con il corsivo;- si è cercato di colmare, segnalandole con parentesi uncinate (‹›) eventuali lacune dovute

a danneggiamenti del materiale cartaceo, oppure le si è evidenziate con uno o più asterischi;

- si è dato un titolo, segnalando l’intervento sempre con parentesi uncinate (‹ ›), agli scritti che ne erano sprovvisti;

- riguardo alla grafia e alla punteggiatura, ci si è attenuti a criteri di sostanziale conservazione: si è intervenuto sulla punteggiatura, che riflette il ritmo e le pause del discorso orale, solo in presenza di sviste palesi; si sono uniformate le virgolette, usando quelle a sergente (« ») per le citazioni, gli apici doppi (“ ”) per le enfasi;

- fra doppie parentesi quadre ([[ ]]) compaiono le espunzioni operate dall’autore, che si è però ritenuto opportuno ripristinare nel testo al fine di favorire una migliore comprensione del medesimo;

- altri interventi, volti unicamente ad agevolare la lettura dei testi, sono stati sempre segnalati nel seguente modo: fra parentesi uncinate (‹ ›) le parole da aggiungere; fra parentesi quadre ([ ]) le parole da espungere.

Nei punti controversi, laddove l’espressione o la proposizione è risultata ambigua o passibile di diverse interpretazioni, si è preferito lasciare inalterato il testo e rimettere al giudizio personale del lettore l’interpretazione del senso del discorso.

Tutte le note in calce alle trascrizioni sono del curatore. In esse sono riportati i brani cancellati nei manoscritti, non però, salvo qualche eccezione, le singole parole cancellate, spesso dovute a ripensamenti o a una migliore resa stilistica; si è infatti ritenuto opportuno dare alle stampe la versione contenente le ultime revisioni dell’autore. Sempre nelle note si dà notizia delle fonti utilizzate, che sono raramente citate da Hugo Orlando, il quale molto liberamente parafrasa, modifica o riscrive brani dei testi utilizzati, facendoli così propri.

Forse è vero, come scrive Frédéric Boyer in Techniques de l’amour, che «l’esistenza come la scrittura sta tutta nella ripetizione di una frase rubata a un altro». E anche questa è una citazione rubata a Atiq Rahimi.

RINGRAZIAMENTI

Ho lavorato a una prima stesura del presente volume nell’autunno-inverno 1994/95; ma successivamente ho abbandonato il progetto, limitandomi a pubblicare, nel 1996, un breve articolo, “Parole” di Hugo, su «Molise mese» (II, n. 5, pp. 19-20). Claudia Pandolfi mi ha insegnato per prima su questi testi, circa venti anni fa, come curare un manoscritto. Maria Gabriella Colantonio, Nino Barone e Renato Marini mi hanno fornito alcune informazioni biografiche; questi ultimi mi hanno coadiuvato anche nella scelta delle tavole. Roberto M.

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Danese e Graziella Travaglini mi hanno agevolato, con i loro consigli, nell’operare alcune, a prima vista, non facili scelte editoriali. Dario Di Pinto ha svolto per mio conto alcune ricerche bibliografiche. Grazie a tutti. Sono ovviamente da addebitare a me eventuali errori e imprecisioni.

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Indice cronologico dei manoscritti*

R 1 ‹Arte, artista, mass-media›, ‹Schema di un’eventuale lezione›. Prima dell’aprile 1965 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica), f. 1.

S 1 Consapevolezza storica – Autonomia – Morale. Roma, 5 aprile 1965 (data apposta in calce al manoscritto), ff. 2.

S 6 Cenni utili per la comprensione del concetto di arte visiva e del valore conoscitivo del linguaggio dell’arte visiva. Dopo il 1977 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica), ff. 5.

S 8 Ipotesi per la ricerca di una nuova dimensione estetica. Dopo il 1977, successivo a S 6 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica), f. 1.

R 8 ‹L’emozione estetica›. Dopo il 1977, successivo a S 6 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica), f. 1.

S 7 ‹Giudizio estetico e fruizione›. Dopo il 1977 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica), ff. 2.

R 2 Riflessioni. Dopo il 1977 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica), ff. 4.S 5 Perché l’arte moderna è definita “rivoluzionaria”. Dopo la metà degli anni ’70

(datazione suggerita dall’analisi contenutistica), ff. 4.R 7 ‹Picasso, Klee, Kandinsky e Bryen sull’arte moderna›. Dopo la metà degli anni ’70

(costituisce un completamento di S 5; il materiale cartaceo è lo stesso di S 5), f. 1.L 1 ‹Teoria del colore. Colore, forma, emozione estetica›. Termoli, gennaio 1982 (data

apposta in calce al manoscritto), conferenza radiofonica trasmessa il 14 gennaio 1982 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica e dal confronto con i manoscritti delle altre lezioni), ff. 10.

L 2 ‹Composizione e uso del colore›. Termoli, gennaio 1982 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica e dal confronto con i manoscritti delle altre lezioni), conferenza radiofonica trasmessa il 21 gennaio 1982 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica), ff. 10.

L 3 ‹Storia dell’arte. L’Impressionismo/I›. Termoli, gennaio-febbraio 1982 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica), ff. 7.

L 4 ‹Storia dell’arte. L’Impressionismo/II›. Termoli, gennaio-febbraio 1982 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica), ff. 9.

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Le sigle apposte dal curatore rimandano al contenuto dei manoscritti (S = saggi; L = lezioni radiofoniche; R = riflessioni).

L 5 ‹Storia dell’arte. Matisse›. Termoli, presumibilmente primavera del 1982 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica e dal confronto con gli altri manoscritti), ff. 4.

S 3 ‹Arte e conoscenza. Messaggio artistico e coefficiente d’arte›. Termoli, gennaio-febbraio 1982 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica); primi di marzo 1985 (data apposta in calce al manoscritto), ff. 15.

S 2 Nascita e sviluppo dell’arte moderna. Dopo la metà degli anni ’80 (datazione suggerita dall’analisi contenutistica), ff. 13.

MANOSCRITTI NON DATABILI

S 4 Cultura europea e pittura italiana del Novecento, ff. 7.S 9 Cenni sullo sviluppo dell’arte contemporanea, ff. 2.R 3 ‹Filosofia e pittura. Idealismo e rappresentazione›, f. 1.R 4 ‹Astrattismo e creazione. Impegno morale e riferimento al presente›, f. 1.R 5 ‹Cézanne e il Cubismo›, f. 1.R 6 ‹Cubismo e Astrattismo›, f. 1.R 9 ‹Sulla pittura italiana dell’Ottocento›, f. 1.

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I. Saggi

1. Teoria dell’arte

‹S 1› Consapevolezza storica – Autonomia – Morale34

La storia dell’arte dovrebbe essere scritta in termini d’arte, cioè come una graduale trasformazione di forme visive35.

Di fronte ad un fenomeno così inafferrabile come l’arte, dovremmo additare le identità e le affinità che rivelano come l’artista creatore, pur restando isolato da convergenze d’ordine pratico, resta sempre esposto a una disseminazione di spore invisibili che la società emana (Mass-Media)36.

Ciò non significa sottovalutare le forze sociali ed intellettuali che hanno trasformato la civiltà del mondo moderno. A questo riguardo le arti plastiche e tutte le arti sono profondamente inserite, come causa e come effetto, nel processo della storia. Esse prefigurano e danno un profilo plastico alle inibizioni e aspirazioni degli individui che altrimenti rimarrebbero represse e inespresse. In tal senso gli artisti sono incorporati nella società e agiscono come unità isolate in mezzo ad essa, piuttosto che come membri di uno o più gruppi autosufficienti e indipendenti37.

La fonte di creazioni pittoriche non è più derivante dal genio individuale, bensì dalla meditazione dell’artista sul proprio retaggio estetico e sulla propria assimilazione di tale retaggio.

L’artista è, in primo luogo, un critico le cui riflessioni sulla sua opera fanno nascere un’arte consapevole della propria “essenza” che si concretizza e si struttura in una realtà dimensionale diversa dalla rituale38.

Ogni nuova opera pittorica deve rappresentare una scelta precisa su ciò che è vivo e reale e ciò che è morto e inattuale della pittura del passato. Operando su ciò che è vivo e reale è probabile raggiungere l’originalità come espressione creativa autonoma.

34

Testo redatto su due fogli di un registro di computisteria, numerati solo sul recto, rispettivamente, con i numeri 22 e 23. Le pagine precedenti del registro mancano; si può pertanto ipotizzare che il saggio costituisca una parte, probabilmente quella finale, di un più ampio manoscritto andato smarrito. Data di stesura: Roma, 5 aprile 1965 (data apposta in calce al manoscritto). Il testo è scritto con biro nera, biro blu e pennarello verde; presenta inoltre piccole correzioni, segno che è stato sottoposto a revisione. Sul terzo foglio del registro è scritto il titolo Il Colore-forma e il colore luce, ma tutti i fogli successivi che lo compongono sono bianchi. La prima parte di S 1 riprende R 1.1-3 (v. infra, p. 73).35 La storia dell’arte… di forme visive] cfr. Herbert Read, Breve storia della pittura moderna, trad. it. di L. Marchiori e M. Attardo Magrini, Milano: Il Saggiatore, 1959, p. 50. Il libro era presente nella biblioteca personale di Hugo Orlando. Cfr. anche R 1.1, infra, p. 73.36 Il termine “Mass-Media”, aggiunto fra parentesi, è probabilmente un segno di richiamo a R 1.3 (v. infra, p. 73): tale riflessione è infatti preceduta dalla messa in evidenza, a guisa di titolo, del termine “mass-media”.37 Ciò non significa… autosufficienti e indipendenti] cfr. H. Read, op. cit., pp. 50-51. Cfr. anche R 1.1, infra, p. 73.38 La fonte di creazioni pittoriche... diversa dalla rituale] cfr. S 6, infra, p. 19, n. 7; R 1.2, infra, p. 73.

2

Nelle diverse fasi evolutive, la mia pittura è rimasta sempre legata al convincimento che per raggiungere una “creazione autonoma” non è sufficiente affidarsi alla sola spontaneità, bensì è necessaria una identificazione paziente e intensa delle realizzazioni già esistenti‹,›

affinché da queste ci si appropri dello spirito e della forza con cui sono state determinate.L’arte è sempre stata un processo di realizzazione, la creazione di cose dotate di una

esistenza indipendente, autonoma e terrena. L’aderenza alla terra non muta se un’arte non oggettiva sostituisce quella della rappresentazione delle cose. Il dipinto deve avere una vita propria, deve esistere, quindi, come “cosa”, indipendente dai sentimenti soggettivi dell’artista.

Il pittore che si sente “chiamato” ad esprimere se stesso e i suoi sentimenti soggettivi, assume più le caratteristiche del ciarlatano che dell’artista.

Il concetto di una norma assoluta della creazione artistica è stato da lungo tempo sacrificato e con la perdita di tale concetto è andato distrutto il senso di emulazione dell’abilità tecnica. Così stante le cose‹,› si è constatata la saturazione di determinati mezzi tecnici con cui l’artista non poteva continuare a lavorare. Ma nel momento in cui certi mezzi espressivi perdono la loro efficacia, compaiono nuovi mezzi di cui prima non era nota l’efficacia.

A questo punto il criterio di giudizio per l’artista diventa il proprio senso di liberazione, la rivolta ad ogni conformismo‹,› per cui tutti quei nuovi valori estetici che riesce a strutturare sulla superficie della tela sono solo valori accidentali o incidentali che non hanno più alcuna relazione con quelli dell’ordine simbolico, associativo o psicologico. Ciò potrebbe indurre a credere che la scomparsa di certi valori tradizionali possa essere estesa anche all’ordine ontologico delle nuove forme estetiche. Quello che a buon diritto si deve esigere da un artista è che inventi delle forme, che esplori uno spazio qualitativo; cioè che crei e che non si limiti a constatare e a distruggere soltanto.

Il movimento artistico moderno è stato spesso definito come intimamente corrotto‹,› per cui potrà sembrare paradossale presentarlo come un impulso purificatore. Ma tale è stato, è e continuerà ad essere dal momento in cui Cézanne decise di realizzare le sue sensazioni davanti alla natura senza alcun intervento sia dell’ordine razionale, sia delle impressioni irrazionali.

Anche se coscientemente dobbiamo ammettere le deviazioni e gli sbalzi dell’arte moderna, questa deve essere considerata come un immenso sforzo compiuto per sbarrare la strada alla più terribile malattia della mente dell’uomo; cioè la corruzione della coscienza.

Forse alcuni artisti del nostro tempo sono stati violenti e distruttori, altri ancora irriflessivi e impazienti, ma in generale quelli più avvertiti e autentici hanno sempre avuto un fine morale, che è poi quello che si presenta a tutta la nostra cultura e a tutta la civiltà contemporanea39.

Roma, 5 aprile 1965

39 Il movimento artistico moderno... tutta la civiltà contemporanea] cfr. H. Read, op. cit., pp. 284, 287, e pp. 13, 15 per la frase su Cézanne. Cfr. anche S 2, infra, p. 56.

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«La filosofia e la politica, la scienza e la legge, tutto si basa, in ultima analisi, sulla chiarezza con cui si percepiscono i dati della realtà e della conoscenza‹,› e l’Arte è sempre stata la disciplina principale per formare nell’uomo idee chiare e comportamenti adeguati»40.

H. Read

40 «La filosofia e la politica... comportamenti adeguati»] cfr. H. Read, op. cit., p. 287. Il passo citato non è del tutto fedele al testo originale, che dice: «La filosofia e la politica, la scienza e la legge, tutto si basa, in ultima analisi, sulla chiarezza con cui si percepiscono e si interpretano i dati dell’esperienza, e l’arte è sempre stata – direttamente, grazie agli artisti e ai poeti, e indirettamente in virtù dell’uso fatto dagli altri dei segni e delle immagini creati da questi poeti e da questi artisti – il mezzo principale per formare idee chiare dei sentimenti e delle sensazioni». Cfr. anche S 2, infra, p. 56.

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‹S 6› Cenni utili per la comprensione del concetto di arte visivae del valore conoscitivo del linguaggio dell’arte visiva41

Per scegliere il tema di questo modesto saggio è stata necessaria una lunga meditazione. Dovevo orientarmi verso una delle tante disquisizioni che si fanno sui movimenti artistici contemporanei, parlare delle “performance” di avanguardia, oppure trascurare tutti i vari comportamentismi e soffermarmi sul concetto generale di Arte? O meglio dovevo scrutinare la funzione del linguaggio dell’arte inteso come messaggio di comunicazione?

Tutti argomenti indubbiamente interessanti e pertinenti per fare chiarezza sui problemi dell’arte visiva, che avrebbero richiesto tempo e spazio considerevoli.

Ho preferito orientarmi su un approccio di concetto generale di Arte facendo più leva sull’ipotesi di estetica quale ordine formale corrispondente ad un certo ordine spirituale.

Ciò non perché io dubiti che ciascuno di noi non abbia una sua idea di cosa sia l’arte. Al contrario.

Sono convinto che ognuno di noi sia in grado di dare una propria definizione dell’arte, ma purtroppo sono altrettanto convinto che tutte le definizioni che potremmo dare sarebbero una differente dall’altra perché, dopo decenni di polemiche ideologiche ed estetiche, il concetto generale dell’Arte rimane fermamente legato alla problematica di natura psicologica di cui l’uomo non può fare a meno‹,› essendo una delle componenti essenziali della sua struttura conoscitiva.

A mio parere occorre rielaborare alcuni concetti per rendere chiare le nostre idee non tanto su cosa si debba intendere per arte, ma su cosa bisogna intendere per funzione estetica dell’arte‹,› allo scopo di recuperare alla stessa il valore particolare ed insostituibile che ha all’interno della più generale economia della gestione della conoscenza umana42.

Le problematiche dibattute da circa un secolo intorno ai molteplici movimenti artistici possono riassumersi nel concetto che l’arte visiva è essa stessa la “realtà”, cioè non commenta 41

Testo redatto su cinque fogli, numerati progressivamente sul recto da I a V. Tranne che del quinto foglio, sono stati utilizzati sia il recto che il verso. Il testo presenta molte correzioni, alcune di notevole entità, segno che è stato sottoposto a revisione da parte dell’autore, il quale vi ha apportato sensibili modifiche, soprattutto cancellando interi brani. Le modifiche sono chiaramente riconoscibili per il fatto che egli ha utilizzato una biro blu su inchiostro nero. Il titolo è stato modificato da Nozioni di estetica utili per la comprensione dell’arte visiva contemporanea in quello attuale. Probabilmente, l’autore ha adattato il testo originario a un diverso contesto o uditorio. Qui è riprodotta l’ultima versione. Delle cancellature più notevoli, non di quelle riguardanti una singola parola o un articolo, si dà conto nelle note; in questo modo è possibile ricostruire anche il testo originario. Nel saggio ricorrono molte idee presenti in R 8, infra, pp. 83-84. Inoltre, due lunghi brani – «A mio parere occorre ... potenzialità conoscenziale dell’individuo» (pp. 18-19) e «Chiunque abbia la capacità... l’opera vuol raffigurare» (pp. 19-21) –, ripresi per intero e con pochi mutamenti formali, costituiscono S 8. Data di stesura: dopo il 1977. Suggeriscono tale datazione un brano cancellato nel testo: «Da oltre 70 anni i pittori e gli scultori lottano eroicamente contro una civilizzazione brutale ed antiestetica» (p. 19, n. 7) e, soprattutto, il fatto che il testo presuppone la lettura dell’antologia La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, a cura di Roberto Salvini, Milano: Garzanti, 1977, in particolare del saggio di Clive Bell, L’ipotesi estetica, ivi, pp. 255-272. Il volume era presente nella biblioteca personale di Hugo Orlando.42 Per scegliere il tema... gestione della conoscenza umana] cfr. S 3, infra, p. 27.

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o deduce, ma semplicemente si pone43.Sarà utile quindi precisare che tutte le poetiche ruotanti intorno al concetto di arte hanno

ormai un punto fermo su un concetto ben determinato, e pertanto le loro esplicazioni hanno delle sequenze logiche compatibili, e non omologhe, con la potenzialità conoscenziale dell’individuo44.

Il concetto di Arte dunque si solleva, nella sua spoglia determinatezza, ben al disopra di tutte le faticose e inconcludenti costruzioni contenutistiche, sottratto, com’è ormai, ad ogni contaminazione edonistica. Né valori di sentimento né valori di pensiero sono cose essenziali all’arte visiva del nostro tempo, la quale ha una sola, chiara funzione: quella di isolare il nostro dato visivo e portarlo ad espressione pura ed autonoma. Mi sembra che solo così possa saldamente affermarsi il principio del valore conoscitivo dell’arte45. Del resto questa teoria esplicativa è ormai generalmente divulgata, quindi si può senz’altro affermare che essa prende l’avvio dalla definizione che l’opera d’arte è innanzitutto espressione esteriore di una necessità interiore. Necessità interiore che oggi non sorge soltanto in un determinato ambiente sociale. Basta osservare per un momento il mondo moderno per capire che le frontiere del Medioevo non esistono più46.

È chiaro che, in dipendenza di ciò, la posizione dell’attività artistica nell’ambito della vita spirituale appare sotto un punto di vista diverso da quello ‹da› cui eravamo soliti considerarla. Finché la conoscenza del mondo rimaneva vincolata al pensiero scientifico eravamo costretti a contrapporre l’attività artistica all’attività scientifica e a escogitare per questa un particolare significato‹,› onde giustificarne l’esistenza accanto a quella artistica come la più nobile ed unica importante funzione dello spirito umano. Ora vediamo, invece, l’artista apparire accanto allo scienziato. In ambedue agisce quel medesimo impulso che domina l’uomo: l’impulso ad appropriarsi del mondo entro il quale si trova, a svolgere a chiarezza e a ricchezza quell’angusta e confusa coscienza dell’essere nella quale egli si vede circoscritto47.

43 l’arte visiva è essa stessa… semplicemente si pone] cfr. S 4, infra, p. 44.44 A mio parere… potenzialità conoscenziale dell’individuo] cfr. S 8, infra, p. 34. Sarà utile quindi… potenzialità conoscenziale dell’individuo] cfr. S 3, infra, p. 28.45 Il concetto di Arte dunque… valore conoscitivo dell’arte] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., pp. 16-17. Segue un brano cancellato: «la quale si affianca da pari a pari alla scienza. Naturalmente arte e scienza rispondono ambedue, sia pure in modi diversi, all’impulso innato nell’uomo a svolgere a chiarezza e a ricchezza quell’angusta e confusa coscienza dell’essere nella quale egli si vede circoscritto». Cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 16.46 Segue un brano cancellato: «L’angoscia esistenziale è ora una condizione generale dell’umanità. Come criterio di distinzione fra un popolo e l’altro (o fra un uomo e l’altro) rinasce solo il loro grado di consapevolezza di questa angoscia».47 È chiaro che... si vede circoscritto] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 94. Il brano è nuovamente riportato al termine del presente saggio, ma separato dal contesto e sicuramente trascritto successivamente. Segue un lungo brano cancellato: «Nel nostro tempo ogni nuova opera visiva rappresenta una decisione su ciò che è vivo e ciò che è morto nell’arte del passato. Ciò perché la meditazione dell’artista moderno non è più quella di rapporto oggettivo verso il mondo esterno, ma una meditazione su se stesso, sul proprio gusto, sui propri interessi intellettuali, sui concetti sociali, sul proprio retaggio estetico, sulla propria assimilazione di tale retaggio. [Cfr. S 1, supra, p. 15; R 1.2, infra, p. 73.]

Da oltre 70 anni i pittori e gli scultori lottano eroicamente contro una civilizzazione brutale ed antiestetica, lo fanno come un gesto di liberazione, cioè come affermazione della dignità dell’intelligenza umana.

È difficile capire l’arte del nostro tempo se non la si intende come priva di tradizione, come poesia del non-poetico, come assenza di ogni mito, contro ogni calcolo rappresentativo e imitativo.

L’arte contemporanea elabora forme autonome che solo attraverso la loro indipendenza raggiungono l’esistenza. Ciò che essa crea non è una sua rappresentazione del mondo oggettivo già esistente».

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Chiunque abbia la capacità di provare una emozione estetica di fronte ad ogni specie di arte visiva, scopre la qualità essenziale dell’opera d’arte, cioè la qualità che distingue l’opera d’arte da ogni altra categoria di oggetti.

Tutte le opere d’arte visiva possiedono qualche qualità comune, diversamente quando parliamo di queste chiacchieriamo a vuoto.

Quando parliamo di arte visiva eseguiamo evidentemente una classificazione mentale‹,›

mediante la quale distinguiamo la classe “opere d’arte” da tutte le altre classi di oggetti.Che cosa giustifica questa classificazione? Quale è la qualità comune e peculiare a tutti

gli oggetti appartenenti a questa classe? Perché siamo tanto profondamente commossi di fronte a particolari rapporti di forme e di colori? Quale è la qualità comune agli affreschi di Giotto, ai capolavori di Piero della Francesca, alle modulazioni di Cézanne48, alle strutture autonome di Picasso, all’immaterialità oggettiva di Kandinsky, al simbolo, forma e colore di Gorky e Hofmann, all’incarnazione segnica di Hartung?49

A questi pressanti interrogativi mi sembra che appaia possibile formulare questa valida ipotesi: ‹detta qualità comune è› “la sintesi dei rapporti formali significanti che condensa e raggruppa sia l’estetico che il metafisico”.

A mio parere, questa ipotesi sembra ‹esprimere› l’unica qualità essenziale ‹comune› a tutte le opere d’arte di qualsiasi genere ed ha per lo meno il merito di validità che è negato, invece, a molte altre ipotesi più famose e brillanti: ci aiuta a capire le cose50.

Per quanto attiene in particolare alla pittura‹,› tutti noi conosciamo dei dipinti che ci interessano e suscitano la nostra ammirazione, ma non ci commuovono affatto come “opere d’arte”.

Appartiene a questa categoria tutto ciò che universalmente chiamiamo “pittura descrittiva”, vale a dire una pittura nella quale le forme e i colori sono usati non come oggetti di emozione, ma come mezzi per suggerire sentimenti o trasmettere nozioni. Ritratti di valore psicologico e storico, quadri che narrano storie e suggeriscono situazioni, illustrazioni di ogni genere: ecco ciò che appartiene a questa classe. Infatti a chi non è accaduto di dire che il tale o talaltro dipinto è ottimo come illustrazione ma non vale nulla come “opera d’arte”? Naturalmente alcune pitture descrittive possiedono, tra le altre qualità, anche significati formali e pertanto sono opere d’arte; ma sono di più quelle che non li possiedono. Secondo la mia ipotesi, queste non sono opere d’arte. Esse non toccano le nostre emozioni estetiche

48 Chiunque abbia la capacità… alle modulazioni di Cézanne] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., pp. 255-256.49 Segue un lungo brano cancellato, i cui pensieri sono ripresi e rielaborati nel seguito del saggio: «A questi interrogativi mi sembra che una sola risposta appaia possibile: “i rapporti formali sintetizzati, cioè ciò che raggruppa l’estetico e il metafisico in rapporto situato”. Questi rapporti e combinazioni di luce e colori che ci procurano una commozione estetica sono appunto che l’unica qualità comune a tutte le opere d’arte visiva.

A questo punto mi si può obiettare che io vado riducendo l’estetica ad un affare meramente soggettivo ,

poiché l’unico dato di fatto su cui mi baso è l’esperienza individuale di una particolare emozione.Posso liberamente rispondere che un sistema di estetica che pretendesse di fondarsi su qualche verità

oggettiva sarebbe così tangibilmente ridicolo da non essere degno di discussione. Quale altro mezzo noi possediamo per riconoscere se una opera d’arte si tale se non il sentimento che essa suscita in noi?.

Ai fini dell’estetica non abbiamo alcun diritto, né alcuna necessità di indagare l’oggetto che profondamente ci commuove rapportandolo alla rappresentazione che in esso è realizzata». Cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., pp. 256-257.50 Tutte le opere d’arte… a capire le cose] cfr. R 8, infra, p. 83.

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perché non sono le loro forme ad impressionarci, bensì le loro idee o i dati d’informazione suggeriti o comunicati dalle loro forme51.

Col perfezionamento dei processi fotografici e del cinematografo, la pittura di questo genere è diventata superflua; serve solo a far perdere delle ore a tante brave persone che potrebbero impiegare il loro tempo in opere di maggiore utilità.

Tuttavia non si può escludere in modo categorico che l’illustrazione o la rappresentazione siano cattive in se stesse: una forma realistica può essere altrettanto significante quanto una forma astratta. Sia chiaro però che se una forma rappresentativa o descrittiva ha valore, lo ha in quanto “forma” e non rappresentazione o descrizione.

Per apprezzare un’opera d’arte visiva dobbiamo lasciare dietro di noi tutto il nostro bagaglio di elementi di vita, ogni nostra nozione delle sue idee e dei suoi affari, ogni familiarità con le sue emozioni.

L’arte ci trasferisce dal mondo dell’attività umana in un mondo di esaltazione estetica. Per un attimo noi siamo isolati da ogni interesse umano; le nostre convinzioni e i nostri ricordi si arrestano; siamo solo al di sopra del fiume della vita52.

Il piacere che un’opera d’arte produce nell’osservatore consiste nel fatto che essa trasmette al suo animo un senso di accresciuta capacità emozionale al di fuori di quello che l’opera vuol raffigurare53.

A questo punto si può obiettare che‹,› affermando ciò‹,› si riduce il godimento estetico ad un affare meramente soggettivo‹,› poiché l’unico dato di fatto su cui l’affermazione si basa è l’esperienza individuale di una particolare emozione. Si dirà che gli oggetti che suscitano questa emozione non sono gli stessi per ciascun individuo e che pertanto tale sistema estetico non può avere validità oggettiva.

A queste obiezioni si può rispondere che un sistema di estetica che pretendesse di fondarsi su qualche verità oggettiva sarebbe così tangibilmente ridicolo da non essere degno di discussione. Noi non possediamo altri mezzi per riconoscere un’opera d’arte se non il nostro sentimento per essa54.

51 A mio parere… dalle loro forme] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 261.52 Tuttavia non si può escludere… fiume della vita] cfr. ivi, pp. 265-266. Per apprezzare un’opera d’arte… fiume della vita] cfr. L 1, infra, p. 64; S 8, supra, 35. Segue un lungo brano cancellato: «Se in qualche opera d’arte è presente qualche irrilevante elemento rappresentativo o descrittivo non è cosa che deve sorprenderci. Il perché cercherò di esporlo in altra occasione. La rappresentazione non è in se stessa nociva e forme altamente realistiche possono essere estremamente significanti. Assai spesso comunque la rappresentazione è un segno di debolezza in un artista.

Un pittore troppo debole per cercare forme capaci di trasmettere la più piccola emozione estetica, cercherà di supplirvi suggerendo le emozioni della vita. E per cercare le emozioni della vita è obbligato a servirsi necessariamente della illustrazione.

Per esempio un pittore che vuole dipingere una esecuzione capitale, nel timore di riuscire sbiadito e poco realista inventando forme autonome e significanti la tragedia, tenterà di far colpo con una illustrazione il cui contenuto suscita una emozione di terrore o di compassione. Ma se nell’artista l’inclinazione a giocare sulle emozioni della vita è spesso segno di vacillante ispirazione, nel fruitore la tendenza a cercare al di là della forma le emozioni della vita è sempre segno di difetto di sensibilità. Significa che le sue emozioni estetiche sono deboli o comunque imperfette». Cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 267-268.53 Chiunque abbia la capacità… l’opera vuol raffigurare] cfr. S 8, infra, pp. 34-35.54 A questo punto si può obiettare… sentimento per essa] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 256. Cfr. anche R 8, infra, p. 83.

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Non abbiamo il diritto di considerare opera d’arte qualcosa che non susciti in noi una reazione emotiva; tantomeno abbiamo diritto di cercare la qualità essenziale in qualcosa che non sentiamo essere un’opera d’arte55.

Per discutere proficuamente di emozione estetica è sufficiente essere d’accordo che forme ordinate e combinate secondo certe leggi ignote e misteriose hanno il potere di commuoverci in modo particolare‹,› indipendentemente dalla rappresentazione oggettiva per la quale sono state create.

Questo mi sembra il nocciolo, il fulcro della nuova presa di coscienza della realtà così come l’avverte e nella quale opera la generalità degli artisti contemporanei.

Una costante delle varie poetiche artistiche contemporanee è il porre l’accento sul campo autonomo dell’opera d’arte, mai intesa come supporto di immagini o di visioni naturalistiche, bensì come elemento essenziale della libera creazione formale.

Compito dell’artista di oggi è quello di muovere dette forme sia ritmicamente che spazialmente fino ad elevare al rango di forma la superficie o lo spazio ‹,› intesi come estensione strutturante il significato ideale della forma56.

Solo così l’opera d’arte visiva diventa forma che si crea fuori da ogni imitazione rappresentativa. Questa forma, che è insieme anche contenuto, non deve esprimere che se stessa. Il resto che essa esprime, nella sua qualità di linguaggio illustrativo, sta al di là dei confini dell’arte.

Da questa asserzione possiamo ricavare una constatazione; cioè: la formula che esprime l’essenza dell’arte è fondamentalmente semplice. Elevazione della nostra coscienza intuitiva da uno stadio oscuro e confuso alla sua ‹forma di› chiarezza e di determinazione concreta57.

______________

È chiaro che, in dipendenza di ciò, la posizione dell’attività artistica nell’ambito della vita spirituale appare sotto un punto di vista diverso da quello cui eravamo soliti considerarla. Finché la conoscenza del mondo rimaneva vincolata al pensiero scientifico eravamo costretti

55 Non abbiamo il diritto di… essere un’opera d’arte] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 257.56 Segue un brano cancellato: «Nella natura non esistono linee. Chiunque può fare questa esperienza mettendo il naso fuori di casa e cercando, matita alla mano, di ridurre in linea il visibile. Ogni cosa si sottrarrà a questo tentativo: le foglie degli alberi, le onde dell’acqua, le nuvole del cielo. Anche se gli può sembrare che uno scuro tronco d’albero o un tetto, ben disegnati nell’aria, sembrino facilmente fissabili in un sistema di contorni, si accorgerà presto che la linea non può essere che un’astrazione, poiché ciò che egli vede non sono linee, ma masse, masse chiare o scure che si staccano da un fondo di altro colore. In sostanza forme, anche se nell’esempio si tratta di forme oggettivate». Cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 205.57 Questa forma, che è insieme… determinazione concreta] cfr. ivi, pp. 116-117. Il materiale cartaceo risulta in questo punto danneggiato. Segue un brano cancellato: «Chi sente poco o nulla l’emozione per la fo‹rma colorata› si sente sempre a mal partito davanti a un’op‹era d’arte› visiva. Egli è come un sordo a un conce‹rto. Sa di› trovarsi in presenza di qualcosa di grande, m‹a gli manca› la capacità di percepirlo. Così egli legge dentro ‹le forme› dell’opera quei fatti e quelle idee per le quali è c‹apace› di provare commozione e prova per esse la sola emo‹zione› che è capace di provare: le emozioni della vita quotidi‹ana›. Di fronte a quell’opera, egli mette istintivamente in rapporto le sue forme col mondo ‹da› dove egli viene. Tratta la forma autonoma creata come se fosse forma imitata, tratta l’opera d’arte come se fosse fotografia delle cose che conosce. Invece di lasciarsi trasportare dalla corrente dell’arte in un nuovo mondo di esperienza estetica, fa un brusco dietro-front e se ne torna diritto a casa propria, cioè nel mondo degli interessi umani. L’opera d’arte non aggiunge nulla alla sua vita, rimescola soltanto il suo vecchio materiale di conoscenza oggettiva». Cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 268. Cfr. anche L 1, infra, pp. 64-65.

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a contrapporre l’attività artistica all’attività scientifica e a escogitare per questa un particolare significato‹,› onde giustificarne l’esistenza accanto a quella artistica come la più nobile ed importante funzione dello spirito umano. Ora vediamo, invece, l’artista apparire accanto allo scienziato. In ambedue agisce quel medesimo impulso che domina l’uomo: l’impulso ad appropriarsi del mondo entro il quale si trova, a svolgere a chiarezza e a ricchezza quell’angusta e confusa coscienza dell’essere nella quale egli si vede circoscritto58.

58 È chiaro che… si vede circoscritto] aggiunta successiva (v. supra, p. 19, n. 7).

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‹S 7› ‹Giudizio estetico e fruizione›59

Generalmente il fruitore si pone di fronte ad un’opera d’arte munito solo del criterio del suo gusto personale.

È assodato, invece, che al nostro gusto sfugge ogni segreto dell’arte e pertanto il giudizio che ne deriva non giunge mai a sfiorare il significato essenziale dell’opera d’arte60.

Chi nelle opere d’arte riconosce solo l’appagamento del suo gusto, dimostra di considerare l’opera d’arte niente più che un mezzo di eccitazione della propria sensibilità estetica. Ma l’eccitabilità e la raffinatezza estetica non consentono, né giustificano affatto la pretesa di capire e giudicare sulle cose d’arte61. Il giudizio di gusto, infatti, si formula al di fuori della conoscenza delle cose, mentre il giudizio artistico si forma solo attraverso la conoscenza. Ognuno ha la facoltà di formulare un giudizio di gusto, esso è connaturato all’uomo come la coscienza. Assai pochi invece sanno giudicare l’arte.

Il giudizio estetico sulla bellezza o bruttezza di un oggetto, sul suo piacere o dispiacere è puramente soggettivo e perciò non è sottoposto a nessuna legge di validità generale. Il giudizio artistico invece deve in ogni caso essere riferito a determinati canoni di validità generale, poiché esso non viene espresso dal nostro gusto personale, ma dal nostro intelletto.

Il logoro concetto che stabiliva come all’arte fosse affidato il compito di esprimere, mediante la rappresentazione oggettiva, una bellezza fissa, assoluta e immutabile, è ormai considerato un avanzo del pensiero dogmatico, simile al frammento di un edificio rovinato tenuto ancora in piedi da vecchi pregiudizi conformistici. Oggi non è più lecito accogliere con tranquilla fiducia un concetto come quello della bellezza assoluta62.

Perciò il nostro giudizio sui meriti d’una determinata opera d’arte non dipende più dai nostri specifici piaceri derivanti dalle nostre comuni emozioni. Infatti tutti quelli che ancora non sanno distinguere fra gli specifici piaceri pittorici e i piaceri letterari, cadono nell’errore di giudicare una pittura per la sua presentazione gioiosa o drammatica di una situazione data e già storica e perciò chiedono63 ch’essa sia, prima di ogni altra cosa, una “illustrazione” della cosa oggettivata.

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Testo redatto con biro nera su due fogli, recto e verso, numerati sul recto con 1 e 2. Il saggio è stato probabilmente scritto per introdurre alla visita della Galleria Civica di Termoli. A suggerire tale interpretazione, un breve brano cancellato nel testo: «Perché la vostra visita sia fruttuosa». Data di stesura: dopo il 1977. Suggeriscono tale datazione un brano interno al testo: «Tutti i testi artistici che la Galleria civica ha raggruppato in oltre 20 anni di mostre nazionali» (p. 24) – la Galleria civica di Termoli ha iniziato la sua attività nel 1955 – e il fatto che il testo presuppone la lettura dell’antologia La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo (cit.). Il saggio presenta correzioni.60 Generalmente il fruitore… essenziale dell’opera d’arte] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 111-112.61 Segue un breve brano cancellato: «Le opere d’arte non possono essere giudicate sui precetti del gusto».62 Chi nelle opere d’arte… della bellezza assoluta] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., pp. 109-110. Segue un breve brano cancellato: «Qualcuno potrà obiettare che finché perdura nella natura umana la facoltà di sensazione estetica».63 chiedono] corregge «chiedendo».

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Ma le cose che vediamo hanno anche una vita funzionale, cioè esprimono un’azione, azione che non potrà mai essere rappresentata attraverso l’imitazione grezza dei movimenti e dei gesti che si osservano in natura; perciò l’artista dovrà raffigurarla non come “agita”, ma come “veduta”‹,› cioè tradurla in forme in modo da renderla chiara ed evidente. Se ciò non avviene‹,› l’opera d’arte cade in quell’aberrazione artistica che è il verismo64. Ma oggi sappiamo con certezza che il predominio esclusivo del verismo è fatale all’opera d’arte. Non v’è una sola opera senza unità, senza armonia generale, senza ritmo d’insieme: è questa l’impronta dello spirito creatore, tanto più forte quanto più lo spirito è possente. Questo elemento artistico che unifica, centralizza, collega ad un motivo dominante tutte le parti dell’opera, possiamo chiamarlo “elemento strutturale”65. È l’elemento essenziale dell’arte contemporanea, e perciò è più difficile ad essere recepito a prima vista. Eppure riesce a comunicare‹,› al fruitore che non abbia ancora afferrato tutti i passaggi formali, un senso di benessere mentale, la percezione emozionante della salute psichica, come se improvvisamente il cerchio angoscioso della sua impossibilità, dell’anchilosi, della sofferenza si allontanasse e si disfacesse.

Ma che uso bisogna fare dei nuovi testi artistici che dette strutturazioni propongono?Questa mi sembra la domanda più incalzante che il fruitore rivolge alle opere dei pittori e

scultori della nostra epoca.Proverò a rispondere a questo interrogativo nella speranza di riuscire ad essere chiaro ed

esplicito nella formulazione dei diversi concetti che ruotano, alternativamente, intorno all’arte del nostro tempo.

Guardando le opere d’arte che la Galleria civica di Termoli ci offre in una sequenza morfologicamente unitaria e rigorosamente conseguente, possiamo scorrere la successione del percorso delle diverse strutture che hanno generato la rivoluzione delle arti plastiche da oltre 50 anni66.

Come ogni tipo di arte visiva, anche quella informale risponde all’appello della “realtà”; entra, cioè, in dialogo con le sue materie, con i segni, con i suoi ambigui e molteplici aspetti, con il suo spazio, la sua luce, il suo colore. Solo che l’artista contemporaneo lavora con una duplice realtà: quella dei suoi mezzi che insistentemente s’impongono nella realizzazione dell’opera, e quella sulla quale egli forma i suoi mezzi. Tutti i testi artistici che la Galleria civica ha raggruppato in oltre 20 anni di mostre nazionali, raccolgono testimonianze di arte informale e oltre l’informale che vanno dalla componente automatista alla prevalenza e puntualizzazione dei fattori esistenziali, dall’organicismo all’attivismo pragmatico, dalla materia al rischio, al presente, all’ambiguità.

Rivolgendosi ad ogni singola opera esposta è indispensabile che il fruitore si spogli delle sue abitudini, smetta di inseguire una conclusione, di volere necessariamente un approdo, e si abbandoni67 invece alle argomentazioni che l’autore propone, al ritmo del linguaggio che si

64 Ma le cose che vediamo… che è il verismo] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 21.65 Ma oggi sappiamo… “elemento strutturale”] cfr. ivi, p. 293.66 Segue un breve brano cancellato: «Ma prima di entrare nel merito delle spiegazioni possibili (perché l’arte presenta anche quelle impossibili) dovrò rivolgermi, perché la vostra vista sia fruttuosa».67 si abbandoni] corregge «abbandonarsi».

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dispiega in forma frammentaria, attraverso cunei di luce e zone di buio, in successione di domande e risposte che si presentano continuamente e danno il senso infinito dell’interrogazione. Sì, perché molte opere moderne più che parlare, interrogano.

Il fruitore dovrebbe adattarsi a questo tipo di decifrazione‹,› perché ciò gli servirà a “comprendere” nel senso tradizionale del termine, ma più di tutto gli servirà a lasciarsi rieducare per mezzo di una ginnastica mentale che lo stesso autore dell’opera esegue contemporaneamente insieme a lui; una caratteristica questa che non lascia il fruitore a distanza, come se fosse un osservatore distaccato, ma lo coinvolge68 in un’attività che si svolge in presenza dell’opera, nel cammino del pensiero che l’ha69 vista nascere dal nulla e che pertanto esibisce le esitazioni, le soste, i dubbi, le accelerazioni, i ritorni e le impossibilità connaturate all’uomo. Molte opere invitano al dubbio, all’esame cioè della realtà di oggetti indipendenti. Lo spettatore affina l’arte che gli si presenta allo stato bruto, determina il peso dell’opera sulla bilancia estetica e decifra i suoi significati profondi.

68 lo coinvolge] corregge «coinvolgendolo».69 ha] corregge «hanno».

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‹S 3› ‹Arte e conoscenza. Messaggio artistico e coefficiente d’arte›70

Il tema delle Arti visive in fabbrica lascia poco spazio d’indagine ad un pittore come me. È argomento adatto più al sociologo o allo psicologo, i quali possono scrutinare con molta perizia sia i tempi che la fenomenologia derivanti da un accostamento così diverso nella specificità dei rispettivi fatti produttivi.

In fabbrica il prodotto finito è opera di centinaia di gesti, di interventi separati, di lavoro ripetitivo, forse anche alienante. Delle arti visive il prodotto è il quadro, la scultura, la grafica, la fotografia, cioè opere concluse da un singolo individuo‹,› il quale si avvale di mezzi produttivi che nulla hanno a che fare con i prodotti in serie.

Due operazioni distinte e separate, ma, secondo me, altamente qualificanti l’operosità di ogni individuo.

In questo stabilimento Fiat si producono motori e nel nuovo capannone un motore nuovo con ‹un› macchinario dei più progrediti nel mondo industriale.

Ai dirigenti, ai tecnici ed alle maestranze è riservato il privilegio di produrre oggetti che fanno ricchezza, benessere e sostanza produttiva che danno vita alla ditta, alla nazione ed al singolo lavoratore.

Rendersi conto di quanto tutto ciò è importante, significa acquisire una esperienza fondamentale del vivere civile così come oggi impone l’epoca industriale che stiamo vivendo.

Questa realtà non può essere appannata ed elusa per puro calcolo speculativo oppure negata per mero opportunismo. In quest’era di massificazione produttiva il lavoro cessa di essere “fatica” (così come noi meridionali siamo avvezzi definirlo) per diventare impegno morale e coscienziale.

E qui non vado oltre per ovvie ragioni di prudenza.La direzione di questo stabilimento, pur essendo gravata dalla grossa responsabilità di

condurre con efficienza la mole poderosa del mastodontico complesso industriale, è aperta e disponibile al miglioramento culturale delle maestranze.

Offre questo splendido locale al CEDAS71, dove, oltre ai concerti, possono esporre le loro opere i fotografi, i pittori e gli scultori aderenti al CEDAS medesimo.

Insieme ai motori ed al frastuono dei macchinari, ecco che per incanto qui si spandono suoni superbi di brani musicali classici e si espongono opere di arte visiva.70

Testo redatto con biro nera e stilografica nera sul recto di quindici fogli a quadretti. Il saggio corrisponde a un discorso tenuto in pubblico a Termoli, presso il Cedas della Fiat, il 3 marzo 1985 (data apposta in calce al manoscritto). Dal punto di vista della redazione, esso consiste di due parti: l’introduzione, corrispondente al brano «Il tema delle arti visive... nell’assegnazione dei premi», stesa nei giorni immediatamente precedenti la lettura; il corpo del saggio, corrispondente al testo, leggermente rivisto, di una conferenza radiofonica tenuta presumibilmente in data successiva al 21 gennaio 1982. A suggerire questa duplice datazione concorrono sia il fatto che il materiale cartaceo della seconda parte è lo stesso di L 1 e L 2, sia alcune espressioni cancellate nel testo come «amici ascoltatori» e la chiosa finale «Buonasera e a risentirci giovedì prossimo sempre alla stessa ora». Per informazioni sulle lezioni radiofoniche, v. supra, p. 10. Il saggio presenta piccole correzioni.71 Centro di attività sociale della Fiat Auto di Termoli.

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La pittura, la scultura, la grafica e la fotografia entrano in fabbrica non come antidoto morfinizzante il duro lavoro giornaliero, ma come espressione di vigore spirituale che ogni uomo sensibile possiede ed esterna.

Lavoro, Arte e Cultura, è questa la triade sulla quale la Fiat fonda ogni sua azione produttiva. Sono tre cose che si integrano e si condensano in un alto senso umanitario.

A me personalmente è stato benevolmente affidato il compito di dialogare con voi sull’argomento delle Arti visive ed io colgo l’occasione con vero entusiasmo. Naturalmente dovrò spostare l’asse contingente riguardante questa mostra. Delucidazioni e chiarimenti critici su queste opere potrò fornirle a chiusura di questa chiacchierata. Ognuno di voi potrà liberamente chiedermi quali sono stati i criteri e la metodologia usati nell’assegnazione dei premi72.

Ho detto al principio che per scegliere il tema di questo saggio sono rimasto a lungo indeciso. Dovevo orientarmi verso una delle tante disquisizioni che si fanno sui movimenti artistici contemporanei, parlare delle poetiche informali e del loro superamento, delle “performance” di avanguardia, oppure trascurare le varie Pop-Art – Body Art – Land Art[e] – Comportamentismi ecc... e soffermarmi, invece, sul concetto generale di Arte? Oppure dovevo scrutinare la funzione del linguaggio dell’Arte inteso come messaggio di comunicazione?

Ho preferito orientarmi su un approccio al concetto generale di Arte facendo più leva sul messaggio artistico di cui molto si parla e su cui poco si medita. Ciò non perché io dubiti che ciascuno di noi [non] abbia una sua idea di cosa sia l’Arte. Al contrario. Sono fermamente convinto che ognuno di noi è in grado di dare una propria definizione dell’arte, ma purtroppo[[, amici ascoltatori,]] sono altrettanto convinto che tutte le definizioni che potremmo dare sarebbero una differente dall’altra perché, dopo molti decenni di polemiche ideologiche ed estetiche, il concetto generale dell’Arte rimane legato indissolubilmente alla problematica di natura psicologica, di cui l’uomo non può fare a meno ‹,› essendo una componente essenziale della sua struttura conoscitiva.

A mio parere, per parlare proficuamente di Arte occorre elaborare concetti semplici per rendere chiare le nostre idee non tanto su cosa si debba intendere per Arte, ma su cosa bisogna intendere per messaggio artistico‹,› allo scopo di recuperare allo stesso la funzione particolare e insostituibile che ha all’interno della più generale economia della gestione della conoscenza umana73.

Personalmente posso dirvi di avere avuto modo e tempo per approfondire e meditare diverse teorie filosofiche orientate sull’estetica.

Da questi studi non ho rilevato mai una definizione precisa e netta dell’arte in generale e della pittura in particolare.

Il mondo che l’artista forma vedendo e vede formando, non è mai quello che si lascia 72 Il riferimento è alle opere di una collettiva di artisti dell’azienda esposte allora presso il Cedas medesimo. Qui termina l’introduzione e inizia la seconda parte del manoscritto, redatta su un diverso materiale cartaceo. Il brano «fornirle a chiusura… nell’assegnazione dei premi» è scritto su una striscia di carta incollata sul terzo foglio. Il brano sottostante è cancellato, si legge solo: «Oggi tratterò un argomento fortemente polemico, lungamente».73 Ho detto al principio che... della conoscenza umana] cfr. S 6, supra, p. 18. A mio parere… della conoscenza umana] cfr. S 8, infra, p. 34.

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inquadrare in concetti74. L’inquadramento concettuale è la presunzione anche di molta Critica che nel contatto fenomenico dell’Arte irretisce in un’arida teorizzazione concettuale le motivazioni, gli esiti e le finalità che l’arte si propone.

Fare critica[[, amici ascoltatori,]] non consiste nell’elaborare un apparato di concetti normativi sull’Arte, bensì studiare operativamente la fenomenologia della produzione artistica nel momento stesso in cui essa si offre alla nostra indagine. Tuttavia se la Critica può parlare di schemi generali (soprattutto in fatto di poetiche artistiche), si tratta sempre di norme dedotte a posteriori dalle opere che si studiano. Solo in questo senso anche una poetica morfologicamente e naturalmente molto caratterizzata, può essere meglio definita a seguito di una diretta e flagrante esperienza della sua realtà.

Ma l’intelligenza pittorica opera diversamente dalla semplice intelligenza. Essa è elementare, molto vicina allo spirito, all’anima e alla vita. Condensa energie formidabili e le scarica nel produrre l’oggetto d’Arte che‹,› una volta realizzato, tramanda un messaggio fortemente spiritualizzato75.

Il messaggio artistico, dunque, è un fatto emotivo captato e sintetizzato dall’artista ‹,› il quale sente di doverlo esternare per rendere partecipi gli altri con il mezzo espressivo che gli è più congeniale. Il poeta scriverà versi, il musicista musica, lo scultore scolpirà e il pittore dipingerà.

Chiaro che quando parlo di “emotività” è implicito anche il riferimento al travaglio che domina l’artista sia nel momento della percezione sia in quello della realizzazione del prodotto artistico. Questa mia affermazione potrà far torcere il naso a tutti quelli che pretendono fare Arte strumentalizzando ancora determinati ideologismi che, pur giustificabili da un punto di vista socio-politico, non hanno nulla in comune con la creazione artistica. Tutto il problema di questi operatori si racchiude nello sforzo di mobilitare o ravvivare un discorso con un linguaggio letterario rinfrescato nel dialetto e nel vernacolo. E da questa problematica pseudo-letteraria, vediamo uscir fuori figure di popolani e borghesi travestiti da eroi o coturnati personaggi tragici scendere nella cronaca per recitare la commedia o la farsa76. (Tutta la pittura verista dell’Ottocento 77 abusa di questa ideologia 78.)

Per sgombrare ogni idea preconcetta in chi mi ascolta, sarà bene precisare che tutte, dico tutte le problematiche ruotanti intorno al concetto di Arte, stabilito che non possono essere strumentalizzate con sovrastrutture dottrinarie, hanno, però, un punto fermo su un concetto generale ben determinato e pertanto le loro esplicazioni hanno delle sequenze logiche compatibili, e non omologhe, con la potenzialità conoscenziale dell’individuo79.

Non voglio fare, così dicendo, di ogni erba un fascio, ma riferirmi a certe operazioni estetiche sulle quali sono stati innestati, uno sull’altro, artifici ed espedienti condotti con una

74 Il mondo che l’artista… inquadrare in concetti] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 121.75 Ma l’intelligenza pittorica opera... un messaggio fortemente spiritualizzato] cfr. S 2, infra, p. 53.76 Tutto il problema... o la farsa] cfr. S 4, infra, p. 41.77 Ottocento] corregge «800». Il più delle volte l’autore indica il secolo in cifre, d’ora in poi lo si scriverà sempre in lettere.78 Tutti i sottolineati sono dell’autore.79 sarà bene precisare… conoscenziale dell’individuo] cfr S 6, supra, pp. 18-19; S 8, infra, p. 34.

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sequenzialità autogratificante che li ha posti, aberratamente, fuori da ogni contesto storico. Il grande nodo dell’arte non può essere sciolto imbastendovi sopra un’arbitraria vocazione popolaresca, intessendovi dentro certe memorie evocate oppure infarcendovi accanto frammenti di episodi con lo smarrimento di chi, di un certo fatto, non sa dire se l’ha sognato o vissuto.

A mio modesto parere il grande nodo dell’Arte non può essere sciolto se non dal superamento dell’“impasse” filosofica che sta a monte di tutta la crisi del mondo artistico contemporaneo. Credo che sia ora di prendere in esame e mettere a fuoco una nuova teoria filosofica della Conoscenza per stabilire da quale punto ottico bisogna tentare il rilancio del pensiero umano, ridare vita alle nostre “polluzioni80” ideologiche per revisionare, aggiornare e perciò adeguare al nostro senso reale, tutte le sovrastrutture psicologiche dell’uomo. Non tocca agli artisti e tantomeno a me formulare nuove teorie filosofiche. Personalmente mi interesso di filosofia solo per ragioni indotte alla professionalità pittorica81.

Tuttavia per rendervi ancora più chiara la mia affermazione sulla necessità di formulare una nuova teoria filosofica, ritengo necessario fare una breve digressione allo scopo preciso di ricollegare il problema dell’Arte a quello della conoscenza.

Chiunque abbia seguito le più semplici argomentazioni filosofiche, sa che in quel campo i problemi centrali sono due: quello “ontologico” e quello “gnoseologico”. Per quelli che non sono addentro a questa problematica, spiegherò le due impostazioni. Il primo ‹problema›, [cioè] l’ontologico, attiene all’essere; cioè nel suo ambito si discute l’esistenza dell’essere, dell’esistere e di tutti i perché ‹che› ruotano intorno a tale problematica. E ancora, badate bene, l’ontologia è parte della Metafisica‹,› che considera l’ente nella sua essenza e nella ‹sua› forma. Il secondo, il ‹problema› gnoseologico, attiene alla conoscenza: studio dell’origine, del valore e dei limiti della nostra facoltà di conoscere, cioè nel suo ambito si discute cosa sia la conoscenza, come nasce, come si gestisce, in che misura essa sia vera o non vera ed infine se essa sia rispondente o meno all’interesse di chi se ne serve come strumento di collegamento con la Realtà.

Questi due problemi centrali della storia dell’umanità sono stati affrontati e variamente interpretati dalle varie correnti filosofiche in un costante progredire di dialogo che sicuramente non avrà mai fine e di cui noi, uomini del nostro tempo, pur con tutta la nostra presunzione, stiamo vivendo solo uno dei momenti; cioè quello “Esistenziale”.

Ebbene mi sia concesso affermare che l’Arte non è un problema che rientra nell’ontologico, cioè nell’esistente. L’Arte non è un valore assoluto e definitivo da scoprire; essa è per sua natura mutevole, perché segue le evoluzioni, in positivo e in negativo, della conoscenza umana. Fare dell’Arte da parte dell’artista non significa contribuire per una ricerca che tenda ad un “assoluto”‹,› ma più semplicemente significa sintetizzare delle emozioni e comunicarle.

Ovviamente sto parlando dell’artista vero, non della mezza tacca o addirittura del mistificatore che ha per stimolo l’ambizione di voler emergere ad ogni costo.

Se si possono sollevare obiezioni su certi esiti della pittura, ciò avviene anche perché la

80 polluzioni] corregge «pollazioni».81 Segue un breve brano cancellato: «Intanto non sono né potrei essere filosofo».

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professionalità del pittore spesso ricorre a metodi analogici, cioè definisce il processo pittorico con analogie scientifiche. Infatti questa metodologia non è mai adeguata al messaggio che si vuol fornire anche quando il risultato è positivo. Così agendo l’artista non si rende conto che nel momento in cui la pittura fa un passo avanti, quel suo concetto scientifico viene annullato e superato. E dato che oggi la pittura cambia stile ed aspetto con molta rapidità, i concetti analogici [si] invecchiano molto rapidamente. Più esattamente, i termini estratti dalla psicologia della Gestalt, dalla fisica nucleare, dalla filosofia fenomenologica diventano improvvisamente inadeguati quando si tratta di cogliere ciò che è stato realizzato sulla superficie del quadro al fine ultimo di comunicare un messaggio.

Ma il messaggio artistico presuppone non solo un polo comunicante; cioè l’artista, ma anche un polo ricevente che è il fruitore‹,› perché è questi il destinatario del messaggio. E qui l’analisi della questione diventa più complessa‹,› perché bisognerebbe scrutinare una lunga serie di problemi accessori. Scelgo il più attinente alle Arti-visive che è quello della “Sintesi”.

Si dice che il messaggio artistico sia anche sintesi.... Ed è vero. Nelle Arti-visive l’indistinto, l’ineffabile è più intuito che descritto appunto perché ha uno spessore, una complessità di sfumature mai avvertibile ad un esame superficiale. Questo fatto obbliga l’artista a sintetizzare nell’opera tutto ciò che per la sua complessità ed evanescenza non può esprimere con altro mezzo espressivo se non col fatto artistico.

A questo punto, però, si potrebbe dire che gli uomini comunicano fra loro tutti i giorni. Io parlo a voi, voi parlate a me, parlate fra di voi e vi intendete benissimo. A che serve allora l’Arte se per comunicare basta il linguaggio quotidiano? Si potrebbe ancora obiettare che l’artista, avendo provato una sensazione emozionata‹,› la potrebbe descrivere usando come mezzo di comunicazione la struttura linguistica. Certo la lingua parlata o scritta, anche se la usiamo tutti i giorni e quindi la teniamo in poco conto, è uno degli strumenti che ha permesso alla specie umana di emergere dal restante mondo biologico. L’artista stesso la usa quotidianamente.

Allora perché ad un certo momento l’artista sente il bisogno di usare come mezzo di comunicazione il linguaggio artistico anziché il linguaggio comune, quotidiano, cioè quello intessuto di concetti finiti? Per chiarire questi interrogativi che ognuno di voi [[ascoltatori]] mi potrebbe rivolgere, sono obbligato ad analizzare più dettagliatamente la struttura conoscitiva dell’uomo in generale, e dell’artista in particolare. Non scomoderò né Freud, né Jung e nemmeno la psicanalisi. Troppo arduo diverrebbe il mio compito che, a ben guardare, ci porterebbe molto lontani dal tema riguardante le arti-visive. Tuttavia dovrò pur rispondere alle domande che io stesso mi sono poste. Lo farò in modo molto semplice ed elementare.

Mentre con il linguaggio usuale, quindi razionale, l’artista esprime tutto ciò che ha per certo, con il linguaggio artistico vuole esprimere quello che non ha per certo, ma è per lui stesso indistinto, non compiutamente ed esaustivamente esprimibile. ‹È› cioè nella fase “emozionale”.

Infatti c’è nella struttura conoscitiva di tutti gli uomini, cioè nell’apparato delle credenze memorizzate dalle quali discendono le condotte operative che regolano ogni comportamento, una fascia di conoscenze chiare, ben strutturate ed organizzate, dove regna sovrana la logica con i suoi meccanismi. In questa fascia ogni domanda ottiene una risposta, non importa se

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esatta o no, ma comunque netta, consequenziale, raziocinizzante.Sempre nella struttura conoscitiva dell’uomo, c’è ancora una seconda fascia di

conoscenze indistinte, labilmente strutturate, non ben governabili dalla logica e dai meccanismi logici. Una specie di chiaroscuro mentale, sempre presente e di grande importanza, tuttavia ingovernabile col raziocinio e perciò mentalmente82.

C’è, infine, la fascia del misterioso, cioè la zona d’ombra con la quale la nostra struttura conoscitiva confina e di cui avverte la presenza. Questa zona d’ombra è fuori dalla portata del nostro raziocinio e pertanto anche della nostra emozionalità. Resta estesa e confinata nell’inconosciuto. Comunque l’individuo deve gestirla lo stesso e lo fa affidandola a delle ipotesi di soluzione.

Non è che tra le tre fasce o zone vi sia una distinzione così netta come potrebbe sembrarvi da questa mia elementare semplificazione. La suddivisione l’ho fatta così per comodità di analisi, ma i confini sono incerti e tra le zone vi sono delle profonde intersecazioni e delle reciproche influenze.

Per tornare in argomento, a noi interessa la seconda fascia, quella relativa all’indistinto, che aleggia intorno al razionale ma razionale non è.

In questa zona maturano e prendono corpo tutte le nostre emozioni. L’artista che opera nel campo delle arti visive, per realizzare la sua opera, compie azioni e reazioni totalmente soggettive.

In quella fascia emozionata, che possiamo chiamare “pre-conscio”‹,› l’artista percepisce una notazione emotiva e, durante l’atto di creazione‹,› lotta sia con le sue intenzioni, sia con le sue reazioni che non può analizzare col metro della razionalità, cioè in quella zona che ho descritto per prima. La lotta verso la realizzazione della sua opera è costituita da una serie di sforzi, di dolori, di soddisfazioni, e di rifiuti che non saranno mai pienamente coscienti almeno sul piano estetico. Lo stesso risultato di questa lotta che va dall’intenzione alla realizzazione dell’opera, è fuori da ogni razionalità. Infatti manca un anello alla catena delle reazioni che accompagnano l’atto creativo. Questa frattura che rappresenta l’impossibilità per l’artista di esprimere completamente la sua percezione o la sua intenzione, questa differenza tra la progettazione e ciò che egli ha effettivamente realizzato, rappresenta il coefficiente d’arte contenuto nell’opera83. Naturalmente le possibilità espressive di ogni singolo artista possono essere realizzate in modo diverso, ma ognuno è legato spiritualmente al personale contenuto espressivo. Possono esistere accostamenti e somiglianze per affinità di poetica, mai collisioni o mescolamenti. Per esempio: è pittorico Bernini ed è pittorico Rembrandt, eppure sono due mondi spirituali diversi‹,› oltre ad essere Bernini architetto e Rembrandt pittore. In questo caso il coefficiente d’arte contenuto nelle opere dei due grandi maestri può anche figurare privo d’espressione, ma ad un esame più rigoroso da quel coefficiente emana un alto e spiccato carattere spirituale.

Il coefficiente d’arte, naturalmente, presume non solo uno svolgimento formale interno; cioè nell’animo dell’artista, ma deve ‹far› lievitare un preciso carattere spirituale in chi guarda.82 Segue un breve brano cancellato: «suffragata dalla “Emozionalità”».83 La lotta verso la realizzazione… contenuto nell’opera] cfr. Marcel Duchamp, Le processus créatif [Il processo creativo], in «Art News», LVI (1957), n. 4.

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Molti di voi [[ascoltatori]], pur accettando queste mie considerazioni, si chiederanno che cosa abbia a vedere la spiritualità con le opere d’arte-visiva.

Ebbene, amici cari, è tutta qui la sostanza della mia voluta polemica con la quale (se vi siete accorti) rifiuto tutte quelle poetiche artistiche che hanno accresciuto la confusione e la crisi del vedere in modo “obiettivo” il mondo in cui viviamo. Tutto quanto vi ho detto è strettamente legato alle mie convinzioni personali, è vero, ma sono convinzioni maturate nei circa 60 anni di professionalità pittorica. Questa mia polemica non cambierà certamente il corso e il cammino delle Arti-visive contemporanee, ma consoliderà la certezza nell’eterna spiritualità che conforta l’essere sensibile.

Dicevo, perciò, che il coefficiente d’arte di un dipinto, di una scultura o di un brano musicale, esiste e si tramanda nel tempo solo quando ad esso si attribuisce un valore elevatamente spirituale. Quel valore, di cui oggi non si parla più per ovvie ragioni speculative, solo ed unicamente quel benedetto valore spirituale è capace di confermare la nostra coscienza d’esistere, accrescendo, così, il nostro senso di vitalità.

Il coefficiente d’arte non è, dunque, il rivale arrogante del contenuto dell’opera d’arte, così come molta critica contemporanea ci vuol ammannire.

Tuttavia, per non essere frainteso, devo ancora precisare qualcosa rivolta a tutti quelli (e sono ancora diversi) che negano categoricamente all’arte ogni progresso e rinnovamento.

Chi riposa ancora nella convinzione che l’opera d’arte sia solo l’unità di misura del suo piacere personale, non ha compreso affatto né il suo significato e nemmeno ha intuito quel coefficiente di cui sto parlando. Un’opera d’arte può anche dispiacere o non rispondere a quel determinato ideale di bellezza standardizzata, ma rimane sempre ugualmente pregevole poiché, tra le tante cose che l’uomo crea, le viene attribuito un valore tanto più grande, in quanto essa è nella storia un gesto essenziale84 a conferma dell’eterna spiritualità umana. Per avvalorare questa affermazione, vi leggo una massima del grande filosofo Konrad Fiedler, ricavata dai suoi aforismi: dice:

«Potrà comprendere appieno l’Arte solo chi non le imporrà una finalità ‹estetica né› simbolica, perché essa è assai di più che un oggetto di eccitazione estetica e, più che illustrazione, è linguaggio al servizio della conoscenza»85.

Potrei continuare a leggervi brani teorici enunciati dai più eminenti e celebrati filosofi che hanno trattato l’estetica. Ci vorrebbero giorni e mesi per farlo. Vi accontenterete delle deduzioni che io ho tratto in lunghi anni di applicazione. Tutte le disquisizioni e le teorizzazioni emergenti dalla filosofia che tratta l’estetica, naturalmente enunciano diversi concetti atti a gestire il fatto artistico. Chiaro che ogni filosofo elabora una tematica secondo una ben strutturata concettualità, ma, per quanto io ne sappia, mai nessuno di essi ha negato all’Arte il fine ultimo della “conoscenza”.

Quale è, allora, il migliore atteggiamento da assumere al cospetto dell’Arte-visiva?Per darvi una risposta appropriata e valida, vi leggerò ancora un brano sempre del filosofo

84 Sul concetto di “gesto essenziale” dell’opera d’arte cfr. S 4, infra, p. 39.85 Cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 112. Il brano citato compare in una forma leggermente modificata rispetto all’originale, in quanto omette le parole «estetica né», riportate fra parentesi uncinate.

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Fiedler, ricavato dalla sua Teoria della Pura visibilità. Detto brano dice:

«Il giudizio sull’opera d’arte deve assolutamente evitare di costituirsi un codice di leggi prefisse alle quali il fenomeno artistico deve assoggettarsi. La comprensione segue sempre e mai può precedere l’opera dell’artista e, lo stesso giudizio, non può dedurre in anticipo quale sarà il compito della futura attività dell’artista»86.

E ancora:

«È insopportabile la presunzione di coloro che di fronte alle opere d’arte fanno la faccia del maestro, dal quale, tuttavia, differiscono proprio per il fatto che la natura ha negato loro la capacità di una propria attività artistica. In luogo di mostrare modestia di fronte all’energia artistica, in luogo di considerare le opere d’arte come una fonte inesauribile di studio e di conoscenza, invece di venerare nel vero artista quella forza che lo anima per allargare il campo dell’impero spirituale dell’uomo, ebbene costoro si atteggiano talvolta a superintenditori pretendendo che gli artisti non abbiano altro da fare se non seguire, in modo più o meno pedantesco, ciò che loro pretendono»87.

Da queste citazioni del grande filosofo, padre della teoria della “pura visibilità”, ricavate voi, amici che mi ascoltate, le deduzioni culturali e morali.

Ogni argomento da me trattato oggi sfocia nel campo della “conoscenza” e della spiritualità connesse ad ogni Arte.

Il problema della “conoscenza” diventa primario anche e soprattutto se detto problema reclama un impegno che la nostra epoca tende a rendere pesante. Una volta bastavano poche cognizioni sia per fare arte che per afferrarne i significati. Oggi, se non si vuole rimanere ai margini e non si vuole essere trattati come “oggetti” dai grandi sistemi culturali, bisogna responsabilmente moltiplicare le proprie conoscenze.

Indubbiamente molte altre poetiche, tutte imperniate sulle odierne problematiche estetiche, potranno liberamente confutare queste mie polemiche asserzioni. Non posseggo la verità del Vangelo, né vi ho posti argomenti dogmatici. Vi ho solo detto come la penso nella maniera franca e sincera che mi è abituale. Tuttavia affermo, fuori da ogni presunzione, che il piccolo pregio di quanto ho detto sia da attribuirsi alla ‹mia› lunga esperienza nel campo specifico della pittura artistica.

E per chiudere voglio infine precisare che se la realtà formale e l’obiettività dell’artista rimangono impermeabili e mai adulterati, inevitabilmente fanno affiorare “Valori”‹,› quei valori che non hanno bisogno di essere dichiarati o imposti‹,› poiché essi sono scritti nei cuori di tutti gli uomini liberi88.

86 Cfr. ivi, p. 72. Il passo citato non è del tutto fedele al testo originale, che dice: «Da ciò discende infine che il giudizio (sc. sull’opera d’arte) deve assolutamente evitare di costituirsi un codice di leggi prefisse alle quali i fenomeni artistici debbano assoggettarsi. La comprensione segue sempre e mai può precedere l’opera dell’artista e non può sapere in anticipo quale sarà il compito che le imporrà la futura attività degli uomini».87 Cfr. ivi, p. 73. Anche questa citazione non è del tutto fedele al testo originale, che dice: «È insopportabile la presunzione di coloro che di fronte alle opere d’arte fanno la faccia del maestro, dal quale tuttavia si distinguono proprio per il fatto che la natura ha loro negato la capacità di una propria attività artistica. In luogo di imparare la modestia di fronte alle espressioni dell’energia artistica, in luogo di considerare le opere d’arte come una fonte inesauribile di studio e di conoscenza, invece di venerare nel vero artista una forza che opera con imprevedibile attività ad allargare il campo dell’impero spirituale dell’uomo, i critici si atteggiano talvolta come se gli artisti non avessero altro da fare che eseguire in modo più o meno soddisfacente ciò che essi già da un pezzo conoscono».88 Segue un breve brano cancellato: «Buonasera e a risentirci giovedì prossimo sempre alla stessa ora».

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3-3-1985al Cedas-Fiat

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‹S 8› Ipotesi per la ricerca di una nuova dimensione estetica89

Dalle istanze della nuova avanguardia delle Arti visive, possiamo isolare l’ansia di un recupero formale che anima le giovani generazioni di pittori e scultori italiani. Sembra che le loro poetiche avvertano il bisogno di rielaborare alcuni concetti per rendere chiare le idee non tanto su cosa si debba intendere per Arte visiva, ma su cosa bisogna intendere per funzione estetica dell’arte‹,› allo scopo di recuperare alla stessa il valore particolare ed insostituibile che ha all’interno della più generale economia della gestione della conoscenza umana90.

Tutte le problematiche estetiche dibattute da circa un secolo intorno ai molteplici movimenti artistici possiamo riassumerli nel concetto che l’arte visiva è essa stessa la “realtà”; cioè non commenta o deduce, ma semplicemente si pone91.

Tuttavia sarà utile precisare che se tutte le poetiche ruotanti intorno al concetto di Arte hanno un punto fermo nel suddetto concetto, è altrettanto vero che le loro esplicazioni hanno delle sequenze logiche compatibili, e non omologhe, con la potenzialità conoscenziale dell’individuo92.

Se abbiamo la capacità di provare una emozione estetica di fronte a ogni specie di arte visiva, dobbiamo essere capaci di scoprire la qualità essenziale dell’opera d’arte, cioè la qualità che distingue l’opera d’arte da ogni altra categoria di oggetti.

A proposito sarà bene precisare che tutte le opere d’arte visiva possiedono qualche qualità comune, diversamente quando parliamo di queste chiacchieriamo a vuoto. Quando parliamo di arte visiva eseguiamo evidentemente una classificazione mentale mediante la quale distinguiamo la classe “opere d’arte” da tutte le altre classi di oggetti.

Che cosa giustifica questa classificazione? Quale è la qualità comune e peculiare a tutti gli oggetti appartenenti a questa classe? Perché siamo tanto profondamente commossi di fronte a particolari rapporti di forme e di colori?93

A questi pressanti interrogativi cercheremo di formulare la seguente ipotesi: “la sintesi dei rapporti formali significanti che condensi e raggruppi sia l’estetico che il metafisico”.

Ci sembra che questa scarna ipotesi, nel momento attuale delle arti visive, può servire a mettere in evidenza l’unica qualità essenziale ‹comune› a tutte le opere d’arte di qualsiasi 89

Testo redatto con biro blu sul recto e sul verso di un unico foglio. Fatta eccezione per la prima proposizione, l’intero saggio ricorre sostanzialmente in S 6 e, come quello, presuppone la lettura di C. Bell, L’ipotesi estetica, cit. (v. supra, p. 18, n. 1). Il titolo attuale sostituisce un precedente Concetto di Arte visiva e il suo valore conoscitivo, che richiama con evidenza il titolo di S 6. Data di stesura: dopo il 1977; tuttavia, il fatto che il saggio presenta poche cancellature e correzioni induce a ritenere che sia, sebbene correlato, successivo a S 6.90 Sembra che le loro… della conoscenza umana] cfr. S 3, supra, p. 27.91 Tutte le problematiche… semplicemente si pone] cfr. S 4, infra, p. 44.92 Sembra che le loro poetiche… potenzialità conoscenziale dell’individuo] cfr. S 6, supra, pp. 18-19. Segue un brano cancellato: «È chiaro che, in dipendenza di un recupero formale, la posizione della attività artistica nell’ambito della vita spirituale appare sotto un punto di vista diverso da quello cui era».93 Se abbiamo la capacità… di forme e di colori?] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., pp. 255-256. Quando parliamo di arte visiva… rapporti di forme e di colori?] cfr. R 8, infra, p. 83.

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genere e sembra avere per lo meno il merito di validità che è negato, invece, a molte altre ipotesi più famose e brillanti: ci aiuta a capire le cose d’arte94.

Per quanto attiene in particolare alla pittura‹,› tutti noi conosciamo dei dipinti che ci interessano e suscitano in noi l’ammirazione, ma non ci commuovono affatto come “opere d’arte”. Appartiene a questa categoria tutto ciò che universalmente chiamiamo “pittura descrittiva”, vale a dire una pittura nella quale le forme e i colori sono usati non come oggetti di emozione, ma come mezzi per suggerire o trasmettere nozioni e descrizioni. Infatti a chi non è accaduto di dire che il tale o talaltro dipinto è ottimo come illustrazione ma non vale nulla come opera d’arte? Naturalmente alcune pitture descrittive possiedono, tra le altre qualità, anche significati formali e pertanto sono opere d’arte; ma sono di più quelle che non li possiedono. A tener ferma la nostra ipotesi, queste non sono opere d’arte. Esse non toccano le nostre emozioni estetiche perché non sono le loro forme ad impressionarci, bensì le loro idee o i dati d’informazione suggeriti o comunicati dalle loro forme95.

Col perfezionamento dei processi fotografici e del cinematografo, la pittura di questo genere è diventata superflua.

Tuttavia non si può escludere in modo categorico che 1’illustrazione o la rappresentazione siano cattive in se stesse: una forma realistica può essere altrettanto significante quanto una forma astratta, sia chiaro però che se una forma realistica ha valore, lo è in quanto forma e non altro.

Per apprezzare un’opera d’arte visiva dobbiamo lasciare dietro di noi tutto il nostro bagaglio di elementi di vita, ogni nostra nozione delle nostre idee e dei nostri affari, ogni nostra familiarità con le nostre convinzioni.

L’Arte ci trasferisce dal mondo dell’attività umana in un mondo di esaltazione estetica. Per un attimo noi siamo isolati da ogni interesse umano; le nostre convinzioni e i nostri ricordi si arrestano; siamo soli al di sopra del fiume della vita96.

Il piacere che un’opera d’arte produce nel fruitore consiste nel fatto che essa trasmette al suo animo un senso di accresciuta capacità emozionale al di fuori di quello che l’opera rappresenta97.

94 Ci sembra che questa… a capire le cose d’arte] cfr. R 8, infra, pp. 83-84.95 Ci sembra che questa… dalle loro forme] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 261.96 Tuttavia non si può escludere… fiume della vita] cfr. ivi, pp. 265-266.97 Se abbiamo la capacità… che l’opera rappresenta] cfr. S 6, supra, pp. 19-21. Per apprezzare un’opera d’arte… al di sopra del fiume della vita] cfr. L 1, infra, p. 64.

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2. Storia dell’arte

‹S 4› Cultura europea e pittura italiana del Novecento98

Quando si dice che l’arte moderna è arte europea o internazionale s’intende che tale è la condizione di civiltà nella quale ogni opera si realizza e si giustifica; anzi concorre, col proprio valore, a definire. Di qui l’antitesi di concreto ed astratto che si pone tra il concetto di europeo o internazionale e le vaghe e labili idee di cosmopolitismo e universalismo; le quali presuppongono un ideale formale trascendente, non soltanto indeclinabile secondo “variabili” nazionali, ma sottratto al divenire stesso della storia e perciò irrealizzabile nell’opera d’arte, che è sempre un fatto della storia; mentre europeismo è concetto storico, definizione di uno stato attuale della coscienza.

Diremo con le parole di Benda, che coscienza europea è l’adozione di «un certo sistema di valori morali ed estetici», «l’esaltazione di un certo modo ‹di› pensare e di agire, il disprezzo di un altro», la glorificazione di certi eroi della Storia, la svalutazione di altri. Dunque l’esercizio assiduo di una esigenza critica, che sappiamo da chi e da quando legata all’intelligenza europea, il cui oggetto, a ben guardare, non può essere altro che la nostra esperienza e la tradizione ch’è in noi, così come il suo fine è la pratica di una vita morale in un mondo totalmente acquisito e spiegato alla nostra conoscenza storica. Questa coscienza, noi diciamo è europea o internazionale, e non mondiale o universale: termini di orizzonte a una nostra aspirazione “umanitaria” o simboli di un pacifico futuro, cui tuttavia sappiamo di non poter accedere se non attraverso l’odierno lottare e patire, oppure questo presente ch’è agire e del quale non potremo avere coscienza se non nell’azione.

Pensiero d’Europa è il pensiero di una Storia in atto, il momento più attuale e drammatico dell’eterna vicenda del presente che incalza il passato per farsi passato a sua volta. Ma questa vicenda non avrebbe luogo se ‹noi s›tessi non la determinassimo superando continuamente il

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Testo redatto sul recto e sul verso di sette fogli a righe numerati progressivamente da 1 a 7 sul recto. Si tratta probabilmente del manoscritto più antico: il materiale cartaceo è molto vecchio e risulta danneggiato in più punti. Fra parentesi uncinate vengono date le parole o i completamenti di parole introdotti per ricostruire il testo. Questo è in gran parte costituito di estratti, per lo più trascritti con poche variazioni rispetto all’originale, a volte però anche sintetizzati, da Giulio Carlo Argan, Pittura italiana e cultura europea, in «Prosa», I, (1946), n. 3, pp. 276-302; rist. in Id., Studi e note, Roma: Bocca, 1955, pp. 21-56. Il titolo originario, successivamente sostituito dall’attuale, era identico a quello dell’articolo di Argan; è possibile che il testo fosse inizialmente una raccolta di estratti, in seguito utilizzati e adattati per un discorso. Non è possibile stabilire una data di stesura del manoscritto: gli unici due riferimenti temporali interni ad esso – «L’epistemologia della storia è, da trent’anni, profondamente influenzata da questo sviluppo della scienza dell’uomo» (p. 39) e «nessuna cosa riesce a mettere a fuoco la sua (sc. di De Chirico) opera metafisica meglio della trita e abusata pittura che oggi produce» (p. 43) – non forniscono alcuna indicazione precisa in merito. Va tuttavia osservato che l’autore non si firma ancora con il nome d’arte “Hugo”, ma con il nome di nascita “Ugo”. Il testo è stato successivamente rivisto: nel primo dei due brani citati, «trent’anni» corregge un precedente «vent’anni», per cui si può ipotizzare che le correzioni siano state apportate molto tempo dopo la stesura originaria.

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dato della ‹nostra espe›rienza imponendoci quell’esercizio di critica che serve a ‹defini›re puntualmente la nostra azione morale.

‹Perciò ri›teniamo che l’universalismo rimane una immobile ide‹ologia o un orizzo›nte remoto e irraggiungibile sul quale la cronaca quotidiana si proietta e si staglia senza risolversi in Storia e sosteniamo invece, che l’internazionalismo può attuarsi in un serrato processo dialettico, sorprendendolo nell’atto stesso del suo formarsi attraverso la critica, nel tormento delle coscienze impegnate ad attuarlo come il valore essenziale della civiltà moderna.

Europei non si nasce, ma si diventa confutando e distruggendo criticamente, punto per punto, quanto di noi, appartenendo ad una tradizione o a un passato, è una remora all’azione presente; anche se ciò che crederemo di aver distrutto ritornerà nel presente, trasformato e rigenerato attraverso quella critica moralizzatrice, e il segno di una servitù antica diventerà il segno di una libertà nuova.

Non fa meraviglia, dunque, che i primi annunci di un “pensiero d’Europa” s’avvertano proprio in quello storicismo romantico che, dopo l’universalismo illuministico, ritrova con gioia «la vecchia religione, le vecchie costumanze nazionali, regionali, locali», e così s’avvia a dare un contenuto storico all’idea di “nazione” («una d’arme, di lingua, d’altare – di memorie, di sangue e di cor»).

Un’unità, tuttavia‹,› che non ha soltanto un valore patrimoniale e dimostrativo, ma è il profondo movente morale di una fattiva, rivoluzionaria rivendicazione di libertà contro l’oppressione delle caste dominanti, antinazionali già per il fatto stesso di essere tali, e dell’affermazione del diritto storico della Società contro i pigri ed immeritevoli epigoni, portatori non più di virtù, ma di privilegi e prerogative.

Come l’iniziativa di libertà si sia trasferita dal Terzo al Quarto Stato, non è qui necessario spiegare; ma non si può avvertire la portata del superamento della coscienza nazionale ‹in› quella internazionale o europea se non si tiene ben prese‹nte che› la crisi attuale investe tutta una concezione storicistica ‹del pensiero e›d oppone a questa esigenza, ancora tipicamente umani‹stica, un’›esigenza incondizionatamente “umana”.

“Umanistica” è infatti la posizione filosofica che considera la vita morale come decisione o volontaria trasposizione nella realtà di un disegno concetto, poiché in quel disegno è implicita una nozione assodata, già storica‹,› della realtà; mentre nella coscienza moderna l’accento cade sull’intenzione come sentimento che nasce e si sviluppa con “l’azione” e non si conclude, se pur si conclude, che col termine di essa.

Infine pensare il mondo come “umanità”‹,› nella quale ci confondiamo e con la quale non possiamo stabilire altra relazione fuori del dare e del ricevere dell’azione morale, invece che come “natura”‹,› rispetto alla quale non possiamo coltivare altro interesse che non sia di conoscenza: ecco la differenza profonda tra l’idea Classica e l’idea Moderna della vita99.

Ci sforzeremo d’individuare le cause che hanno determinato l’inversione di questi termini 99 Quando si dice che l’arte moderna… l’idea Moderna della vita] cfr. G. C. Argan, op. cit., pp. 276-278. Segue un brano cancellato: «Tutto lo sforzo teoretico e critico dell’arte moderna, è diretto a sgretolare le basi ideologiche del secolare prestigio del Classicismo e a ricondurlo dalla sfera delle pure idee, dove l’aveva posto l’idealismo hegeliano, alla sfera dei fatti storici.

Anche i passi più validi della storiografia artistica dell’Ottocento muovono da questa concezione sociale della Storia, dalla romantica esaltazione del Medioevo, come il tempo nel quale gli ideali religiosi si concretano in un’organizzazione fattiva della vita sociale». Cfr. ivi, p. 278.

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concettuali.Il contrappeso del passato ossessiona l’uomo moderno, come ossessionava già

Chateaubriand con i primi esempi di navigazione a vapore, e [che] faceva dire al Conte di Laborde nel 1855 che la società del suo tempo era gettata dalle scoperte della chimica e della fisica «in un movimento di novità, di sconvolgimenti da far girare la testa, da fare impazzire».

Fra tutte le creature della terra, l’uomo sembra essere stato creato dalla natura per saggiare la coscienza del tempo. Come ogni essere vivente, egli è composto di passato, presente ed avvenire – cioè di cose superate, attuali e possibili. Prima dello sviluppo della civiltà scientifica, la marcia maestosa del tempo faceva vivere gli uomini in un’atmosfera di continuità. I costumi, le istituzioni, non s’evolvevano tanto rapidamente da dare all’individuo la sensazione che nel corso della vita avvenisse un profondo mutamento. La precisa coscienza del presente era un’armoniosa articolazione fra il passato e l’avvenire: il passato non era un “tempo superato”‹,› cioè, che si dissolve, ma al contrario, era la tradizione, cioè, qualcosa di duraturo.

I romantici, attirati verso il passato dal trauma degli avvenimenti politici che avevano messo a soqquadro l’Europa, derivarono dalla coscienza del tempo vissuto un sentimento aspro della morte. Tentarono allora di sfuggirvi coltivando un Amore come etica individuale: amore che desse loro un valore di “eternità” – cioè facendo di un “istante” un “assoluto”, procurandosi, così, una “trance” metafisica.

A questo concetto romantico, segue un periodo in cui l’essere ritrova il sentimento della continuità. Fra un passato considerato come garanzia, e un avvenire che appariva una promessa, gli Europei occidentali poterono soffermarsi a vivere il puro presente. L’Impressionismo è l’immagine di questa felicità. Mai il trittico del tempo fu così ben equilibrato; mai, forse, il suo centro, il presente, era stato così bello.

La catastrofe della I guerra mondiale (1914-18) rompe quest’armonia. La morte, mietendo legioni di vittime, ridà all’uomo l’ansiosa coscienza del tempo. Egli tenta di sfuggire all’incubo di un orribile passato, gettandosi affannosamente verso il futuro, cosa che finisce per spegnere in lui il sentimento del presente. Porsi nella condizione di “vivere domani” significa cessare di vivere oggi: e questo ci porta, per la via più breve, al momento estremo.

Il progressismo affonda le radici nelle origini della civiltà europea. La tradizione cristiana, ordinando il mondo secondo i decreti di un Dio-Provvidenza, assicurava la vittoria finale contro il male, sollevando‹,› così, l’uomo dalla sua miseria originaria, orientando la marcia del tempo in senso progressivo.

Laicizzandosi la società europea doveva ereditare dal cristianesimo questo progressismo, ma sostituendo al paradiso celeste il paradiso terrestre, obietti‹vo› della scienza.

Per l’uomo, l’obbligo di evolversi verso un perfezionamento senza fine assume, da questo momento, l’imperativo fatale di un destino.

Ben presto il concetto di velocità si propaga alla storia, il cui ritmo si accelera. Ma non è che l’inizio, pazienti ascoltatori, perché questa accelerazione‹,› trasferita su scala mondiale dall’ultima guerra, ha messo a soqquadro, in pochi anni, la stessa fisionomia del globo terrestre più di quanto non fecero secoli, o millenni.

Comincia per l’individuo, staccato dal tessuto connettivo e diventato elemento di

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discontinuità, quella vita precaria, costantemente minacciata dall’evoluzione, e la cui incertezza si accresce fino all’agonia, vittima, ormai, della brusca accelerazione del ritmo di evoluzione.

“Disumanizzazione del mondo moderno” è stato detto più volte con certa faciloneria, specie dai pulpiti eminentemente umanistici. Slogan assurdo, dal momento che mai un’epoca, come quella attuale, ha raggiunto un livello tanto elevato e universale di umanesimo; mai l’uomo si è tanto interessato all’uomo.

In questo rapido sguardo sul passato e, al tempo stesso, sul presente della Civiltà Europea, senza risalire necessariamente più in là dell’era cristiana, si possono distinguere tre periodi nell’evoluzioni intellettuali che hanno stimolato il cammino dell’uomo verso la conoscenza di se stesso: il periodo della teologia, quello della biologia e quello, infine, della psicologia. La psicologia‹,› che comprende la sociologia, è la prima preoccupazione dei nostri contemporanei, che discutono sull’uomo come un tempo si discuteva di Dio.

L’epistemologia della storia è, da trent’anni100, profondamente influenzata da questo sviluppo della scienza dell’Uomo.

Compito della storia non è più quello di stabilire successioni cronologiche e fattori temporali che accompagnano l’evoluzione della civiltà; ma la ricerca delle “costanti”, dei principi ciclici, delle evoluzioni progressive o recessive, dei ritmi oscillatori, di tutto ciò che è andato a far luce sull’anima umana. Lo studio stesso del divino è disceso dalle altezze della metafisica alla psicologia. Infatti ciò che, oggi, interessa alla filosofia, è sapere come l’uomo abbia creato Dio.

Da questo momento in cui la verifica dei fatti diviene secondaria nella finalità della Storia, l’opera d’arte assume un valore considerevole agli occhi dello storico e del sociologo, insegnando loro a considerarla come un testo umano, indipendentemente dalle circostanze temporali che l’hanno vista nascere.

All’opera d’arte viene, così, attribuito un valore tanto più grande, in quanto essa è, nella storia, un “gesto essenziale”101. La nozione di oggetto utile, indipendente da ogni finalità artistica, è del nostro tempo.

La maggior parte degli oggetti che ci ha trasmesso il passato hanno un valore artistico, sia mediato (attraverso una finalità magica, teologica, spirituale o sociale) sia immediato, cioè per finalità intrinseca. Non è dunque più possibile ignorare l’importanza di un fattore tanto essenziale dell’attività umana. Nelle scienze dell’uomo, l’interpretazione delle forme ha assunto una funzione altrettanto importante di quella che da un secolo ha la filologia.

Anche i passi più validi della storiografia artistica dell’Ottocento muovono da questa concezione sociale della Storia. Ad esempio è ancora da studiare il legame profondo che unisce la polemica di Ruskin e Morris per un’arte sociale a quella vasta corrente della storiografia tedesca che, parallelamente alla gigantesca ricerca del Wundt sulla psicologia dei popoli, si dà a ricercare, con ammirevole rigore filologico, i caratteri di uno spirito nazionale nelle cosiddette arti minori102.

100 trent’anni] correzione d’autore su «vent’anni».101 Sul concetto di “gesto essenziale” dell’opera d’arte cfr. S 3, supra, p. 32.102 Segue un brano cancellato: «Tutto lo sforzo teoretico e critico della scuola viennese di storia dell’arte, dal Wickhoff al Dvořák, è inteso a sgretolare le basi ideologiche del secolare prestigio del Classicismo e a

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Le grandi personalità artistiche non sono più le creatrici di eterni esemplari di bellezza, ma ritrovano il loro posto di creatrici di fatti o documenti storici. Né poteva essere diversamente, poiché quando una concezione del mondo non si pone più come sistema universale, evolvendo con le coscienze e giustificandosi soltanto in quel presente che non è dato pensare se non come azione, detta concezione finisce per gravitare tutta sulla coscienza morale103.

Non si nega il limite grave, addirittura l’involuzione positivistica, delle teorie della pura visibilità, che sono il punto d’arrivo di quello storicismo; ma non si può negare che quelle teorie fossero un modo di considerare l’opera d’arte in una sua oggettività e autenticità di fatto o documento104.

Infatti105 la rinuncia alla conoscenza e l’idea morale dell’arte erano già implicite, e con ben altra forza, nella rivolta religiosa di Van Gogh, nella violenza morale di Rimbaud, nella sfiducia di Gauguin per i miti della “civilizzazione”, nel richiamo dell’arte negra e infine nell’abbandono dei Fauves a un sentimento che cresce ed urge nell’interno, ribolle nella furia del fare pittorico, arriva alla tragedia senza passare per l’emozione. «Io ho cercato di esprimere con il rosso e il verde le terribili passioni umane»‹,› scriveva Van Gogh; ma Picasso va oltre‹:› «quando non ho del blu, metto del rosso». Ed infatti il colore non è più una qualità della cosa nella quale il sentimento si oggettiva o si traspone in metafora, ma la materia nella quale il sentimento immediatamente si realizza. È allora, proprio attraverso la generosa esperienza dei Fauves, che l’Espressionismo tedesco amaramente scopre, sia pure nel sanguigno rigurgito di una sua originaria germanicità, l’interna minaccia, l’imminente tragedia di quell’Europa che si pensava per sempre composta nell’universale armonia del nuovo Illuminismo; e che gravissima si profila la contraddizione tra l’ottimistico cosmopolitismo societario e la dura realtà sociale; tra l’auspicato componimento delle tradizioni nazionali in una specie di federalismo culturale e la spietata denuncia di ogni tradizione, la distruzione di ogni intellettualismo, la disperata scelta di una condizione di nudità e di solitudine umana.

Il problema della tradizione, non soltanto nell’arte, è ormai posto in termini tragici ed estremi.

Da questo confine di angoscia non si può più discutere, scrutinare, discriminare un passato che non è più illuminante chiarezza di storia, ma oscura tara di origine, responsabilità da accettare e scontare senza riserve.

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ricondurlo dalla sfera delle pure idee, dove l’aveva posto l’idealismo hegeliano, alla sfera dei fatti storici». Cfr. G. C. Arrgan, op. cit., p. 278.103 Gli ultimi due capoversi sembrano essere un’aggiunta successiva, come mostra la diversa grafia. Le pagine successive sembrano costituire un altro testo, che è stato in seguito unito al precedente in un unico testo.104 Anche i passi più validi… autenticità di fatto o documento] cfr. G. C. Arrgan, op. cit., p. 278.105 Il seguente brano, che precede questo capoverso, è stato cancellato: «Tutto il movimento artistico che parte dall’Impressionismo ed arriva fino a Picasso si fonda, infatti, sulla persuasione che l’arte non sia “rappresentazione” ma “fatto”; e non consista nell’invenzione, sempre naturalistica, ma nell’impegno di un fare, che è necessariamente “realistico”». Cfr. ivi, p. 279

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A questo pensiero d’Europa qual è stato il contributo della pittura italiana? Come ha concorso ad allargare i confini o ad approfondire le radici?

Da quello che s’è detto sembra desumibile che per partecipare e concorrere ad un’arte veramente europea, era necessario eliminare lo zelo con cui si custodiva la tradizione figurativa nazionale distruggendola col rigore di una serrata confutazione critica.

L’incontestabile ritardo della pittura italiana sul gusto europeo dipendeva, anzitutto, da una scarsa responsabilità morale nella valutazione del nostro Ottocento.

Che in quel secolo si sia fatta, in Italia, della meschina pittura, non è argomento sufficiente per escluderlo dalla nostra responsabilità storica, e permetterci il lusso di non pensarci più; o peggio, per obbligarci all’ingrata fatica didattica di ritornare su quegli errori e correggerli, lasciando che intanto il resto del mondo cammini per la sua strada.

La pittura italiana dell’Ottocento ha almeno un punto in comune con l’Impressionismo, cioè la dissoluzione della tradizione classica. Di questa tradizione l’aneddotismo e il verismo dell’Ottocento non arrivano ad essere una confutazione e un rifiuto, perché è mancata la forza morale di contrapporre una idea sociale a una idea nazionale; ma sono tuttavia il segno di una smarrita fiducia nella forza conoscitiva e rappresentativa dell’arte.

L’Impressionismo ha avuto il coraggio di rompere con l’idealismo classico, a costo di buttarsi a capofitto nel buio pesto del positivismo.

L’Ottocento italiano non sa staccarsi dall’idealismo classico, non arrischia salti. Ma un passo cauto, maldestro lo tenta: e fa partire il processo espressivo della “constatazione”.

La percezione, noi sappiamo, non presuppone ed accerta altro che l’esistenza del soggetto, lo strappa alla continuità della sua storia, tronca netto il corso della tradizione; invece la “constatazione” presuppone una nozione tramandata, di cui è la verifica. È un processo che invece di aprirsi, si richiude su se stesso dopo un giro vizioso. Sarà perciò il caso di analizzarlo questo processo.

La nozione acquisita che si vuole ricondurre e controllare sul vero non è, naturalmente ‹,› il “vero” (se mai di un vero oggettivo si potesse parlare). È invece il dato di una tradizione contesta con le componenti più diverse (figurative, letterarie, popolaresche) e che non è più distinguibile dal comune linguaggio della “volgar lingua” nazionale106. Tutto il problema dei pittori italiani dell’Ottocento si racchiude nello sforzo di mobilitare o ravvivare quel linguaggio e quella parlata, innalzarlo a linguaggio letterario e rinfrescare quella par‹lata› nel dialetto e nel vernacolo.

Astratto problema di generi letterari dal quale vediamo uscir fuori popolani e borghesi travestiti da Eroi e coturnate persone tragiche scendere nella cronaca a recitare la commedia o la farsa107.

Era, infatti, inevitabile che il dato della tradizione, così accettato, tendesse per forza d’inerzia a prolungarsi, a mescolarsi alle vicende e a confondersi con un ipotetico vero 108. Ed è soltanto a questo punto che entra in campo l’“emozione”, la quale, se non vogliamo ricadere nel più stretto sensismo, presume una memoria e nasce dall’illusione di vederla d’un tratto inverarsi, prendere corpo nei suoi fluttuanti lineamenti e colore nei suoi sbiaditi vapori. Difatti 106 L’incontestabile ritardo... della “volgar lingua” nazionale] cfr. R 9, infra, p. 87.107 Tutto il problema… la commedia o la farsa] cfr. S 3, supra, p. 28.108 Era, infatti, inevitabile... con un ipotetico vero] cfr. R 9, infra, p. 87.

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ciò che nell’emozione riceve corpo, colore e nitidezza di tratti, è pur sempre quella nozione tramandata, sicché dalla “constatazione emozionata” si torna di rimbalzo al punto di partenza, come quando si accerta e si tocca con la mano la presenza reale di una cosa prevista. Insomma accadeva a quei pittori quel che accadrebbe a chi, tra due specchi, si rivolgesse affannato dall’uno all’altro per stabilire e certificare quale sia l’oggetto reale e quale l’immagine riflessa senza avvedersi di essere, proprio lui che guarda, la cosa reale che gli specchi riflettono e, quel che è peggio, senza rendersi conto che quei due specchi, identificandosi con la tradizione e la natura, sono fatti della stessa sostanza, perciò, anche a scambiarli di posto, l’immagine che riflettono rimarrebbe immutata.

In questa analisi sommaria dei procedimenti espressivi della pittura italiana dell’Ottocento c’è occorso parlare di tradizione, di memorie evocate, di emozione; mai, per forza di cose, di coscienza e di storia. Dall’altra sponda di un torbido Lete di sensismo, quegli smemorati pittori non distinguono più le linee maestre dell’intellettualismo classico della tradizione, ed è già molto se riescono a ricordare qualche episodio o frammento con lo smarrimento di chi, di un certo fatto, non sappia dire se l’abbia sognato o vissuto. E con tono dimesso e domestico, sia pure con la commozione di chi ritrova parole udite nell’infanzia, continuavano a dipingere senza partecipare alla tradizione nazionale. Ma altro è l’effetto di una consuetudine fa‹mig›liare, altra è la coscienza di una tradizione nazionale.

Ma esisteva ancora una tradizione nazionale?Se mai i pittori si fossero accorti che il provincialismo figurativo dell’Ottocento ha

avuto‹,› nei confronti della grande tradizione classica, la stessa funzione di contaminazione e disgregazione che aveva avuto, nei confronti dell’arte aulica di Roma antica, la produzione artigiana delle province romane tra il II e il IV secolo, forse anche oggi, come allora, da quel dissolvimento della tradizione sarebbe nata la possibilità di un nuovo Medioevo figurativo internazionale. Invece, guidati dallo storicismo idealistico, quei pittori hanno perfettamente riconosciuto l’inconsistenza dello storicismo figurativo dell’Ottocento; ma non sono arrivati ad intendere che la vitalità fittizia di quella tradizione era già di fatto esaurita e conclusa fin da quando l’idealismo filosofico, riassumendo nella definizione del concetto di Arte tutta l’esperienza della tradizione figurativa classica, l’aveva svuotata di ogni contenuto storico per trasferirla, come idea di una eterna classicità, sul piano teoretico.

Così la più recente pittura italiana si è impegnata a correggere l’errore di rotta che sembrava aver condotto la navicella dell’idealismo figurativo italiano ad arenarsi nelle secche del positivismo109; a sforzarsi di ritrovare il tronco vivo del passato, oltre quel ramo morto dell’Ottocento; a scansare il pericolo di un nuovo Medioevo ricostruendo un nuovo Umanesimo.

C’è, in questo atteggiamento dei pittori italiani, un motivo profondo, e, soprattutto, una più seria coscienza della dignità umana. Risalire, infatti, alla causa attraverso la distruzione degli edonistici effetti significa scoprire, oltre la coscienza raggiunta, il movente etico di una volontà di conoscere e di rintracciare le fonti religiose di un “ethos” nazionale.

La rinuncia dei “Fauves” era stata ben più recisa. Pur di mettere a nudo il nucleo più riposto e più vivo della propria umanità avevano dovuto usare violenza alla propria

109 Così la più recente pittura… nelle secche del positivismo] cfr. R 3, infra, p. 78.

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intelligenza critica, opporre ad una intransigenza intellettuale un’intransigenza morale e religiosa, oltrepassare i limiti della storia per immergersi in una eterna preistoria: avvilire l’orgoglio della propria civiltà fino ad eleggere a modello i feticci dei negri.

Ricorso di barbarie?No, attento uditorio. Oggi, ad una più matura ed amara esperienza, quell’atto di violenza

morale appare come la più risoluta difesa dei supremi valori della civiltà contro quelle rinascenti mitologie naturalistiche della “razza” germanica e della “gens” latina.

È proprio negli artisti più seri e riflessivi, per i quali l’esperienza europea non era stata soltanto un’avventura di provinciali inurbati, che si manifesta più grave ed esplicito il problema di un “italianismo artistico”.

Il primo segno è la pittura Metafisica.Per aver relegato la cosa e lo spazio (che il Classicismo riuniva in una dialettica

intellettiva ed il Cubismo in una simultaneità percettiva) in due entità distinte e incomunicanti, la pittura Metafisica è costretta a giustificarne la coesistenza in una condizione del soggetto, in uno stato d’animo.

La tematica affettiva dei pittori metafisici insiste tutta sulla delusione di una conoscenza impossibile, allo stesso modo che la tematica affettiva dei pittori del Rinascimento insisteva tutta sulla sicurezza della conoscenza raggiunta. Nelle opere metafisiche di De Chirico emerge il “mistero laico” come in quelle di Raffaello e Tiziano emerge il “mistero sacro”.

Dove nel Classicismo era piena coscienza e certezza di vita, completo dominio, acquisizione dello spazio nella fermezza volitiva del gesto; nella pittura Metafisica diventa il tonfo di una grave caduta a perpendicolo e perciò, inerzia. A quel De Chirico l’esperienza ha dimostrato che l’antitesi della realtà è la natura e nessuna cosa riesce a mettere a fuoco la sua opera metafisica meglio della trita e abusata pittura che oggi produce.

Occorreva l’impegno e la severa preoccupazione storica di Carrà per avvertire, invece, [di] una precisa contraddizione o la forza di un assurdo rapporto logico tra la cosa e lo spazio che si evidenzia nella pittura metafisica.

Infatti se la cosa non si riassorbe nello spazio e ne rimane la palmare contestazione, lo spazio non avrà più alcun rapporto con la natura, sarà una intuizione a priori nella quale nessuna sensazione si è ancora iscritta, perciò detto spazio‹,› più che forma, sarà la matrice comune di tutte le forme che è dato pensare. Partendo da questa convinzione la pittura di Carrà diventa sintassi, grammatica, dal periodare chiuso, densissimo, fitto di articolazioni. Computa appiombi, distanze, angoli, incontri di linee e di piani, bilanci di masse dove i colori s’addensano e si diramano fino a svaporare nella luce110.

Quel fare pittorico che in Carrà, Morandi e De Pisis era ancora una via di elezione, diventa per Rosai una condanna, una croce da portare; e in un tempo in cui all’artista piace dichiararsi artigiano, Rosai si accontenta di essere un operaio della pittura. E non importa fare il conto dei compensi riscossi o perduti per questa rinuncia. A noi basta osservare come‹,› una volta tanto, un pittore non s’è posto al centro, ma nell’angolo più nascosto dell’Universo.

110 la rinuncia alla conoscenza… fino a svaporare nella luce] cfr. G. C. Argan, op. cit., pp. 283-290. Segue un brano cancellato: «Caduto qualsiasi riferimento ad un orizzonte comune perché ormai le cose sono soltanto i fenomeni e non i simboli dello spazio. [Cfr. ivi, p. 290.]

Procedendo sul filo di una contraddizione». Cfr. ivi, p. 294.

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Ma la segregazione non è ancora rivolta, né l’atteggiamento ancora azione morale.Infatti “rivolta” e “azione” non potevano chiedersi, umanamente, a quella generazione che

si era così volentieri specchiata nelle due facce del Cubismo. Il dramma avvolge la più giovane generazione pittorica italiana. Siamo negli anni ’30. È il dramma di una generazione esclusa dalla vita e dalla cultura europee. Per questa generazione il chiaro volto d’Europa, dopo essere stato illuminato da più di un problema italiano, torna a velarsi di oscuri vapori e ridiventa un enigma, una causa d’angoscia.

Troppo grave era il sacrificio morale che si esigeva per una scaduta collaborazione intellettuale sul piano dell’universalismo idealistico.

Ma come e con quali valori avrebbe risposto l’Europa all’offerta di una più stretta e impegnata solidarietà morale?

Quanto più grave era l’incognita, tanto più il pensiero “d’Europa” trovava in Italia accenti accorati e patetici, d’amore non corrisposto. Così come gli artisti della generazione precedente avevano saputo individuare nella storia recente del gusto europeo i momenti più lucidi ed illuminanti, i giovani cercano i momenti di più scorato tormento.

Per Scipione, se non lo vietasse l’altezza del suo dramma, si potrebbe perfino arrischiare un’interpretazione freudiana; una Europa idolatrata e proibita che, per una strana involuzione‹,› si traduce in un complesso d’inferiorità e si confonde alle cause segrete che ne inibiscono il possesso.

Scipione arriva a un pensiero d’Europa, certamente unilaterale, ma terribilmente penetrante. Un’Europa la cui eterna spiritualità si sconta nella colpa.

Se un legame segreto unisce la pittura di Scipione all’ormai lontana pittura metafisica, è un’accentuata condizione di morte. Ma se anche la morte respinge, non c’era che da riprendere il proprio fardello e rimettersi, senza speranza, sulla strada del mondo.

L’Arte non è altro che questo: il ritorno dal fondo111. Se, infatti, la tradizione di una pittura moderna[[, che potesse dirsi italiana,]] non è andata oltre l’opera dei maestri che l’anno aperta, ciò è accaduto perché il raggio della loro morale non è andato oltre la difesa della loro dignità personale. Essi si sono così negati alla Storia per rimanere fedeli ad uno storicismo e non hanno inteso che morire con l’Europa era infine l’unico modo di partecipare senza riserve ad un destino europeo112.

Il dilemma della più giovane pittura italiana, anche se tolga a prestito dal conflitto politico le etichette di conservatorismo e progressismo, è in realtà il dilemma di una pittura d’idee e di una pittura senza idee, di una pittura che contenga e risolva e di una pittura che costituisca un problema.

Perché una pittura veramente realista – che non rappresenti od interpreti, ma sia essa stessa la realtà – non commenta o deduce, ma semplicemente si pone 113. Quello che comunemente si chiama il suo problema non è altro che il problema del nostro atteggiamento di fronte alla “realtà”.

Onde si può concludere che un errore comune associa i conservatori ai progressisti ed è quel pensarsi “vivi” oltre l’opera d’arte e porla come un momento della propria storia, invece 111 Quel fare pittorico che in Carrà… il ritorno dal fondo] cfr. ivi, pp. 295-297.112 Se, infatti, la tradizione… ad un destino europeo] cfr. ivi, pp. 299-300.113 Perché una pittura… semplicemente si pone] cfr. S 6, supra, p. 18; S 8, supra, p. 34.

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che come momento della storia del Mondo. Infine, quell’associarsi all’inutile ed ipocrita diatriba che si ‹va› da molte parti inscenando intorno alla spoglia della ‹ci›viltà europea: quando soltanto morendo, con essa, è possibile nascere ad una nuova realtà114.

114 Il dilemma della più giovane… nascere ad una nuova realtà] cfr. G. C. Argan, op. cit., p. 302.

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‹S 5› Perché l’arte moderna è definita “rivoluzionaria”115

«Siamo andati avanti creando una nuova grammatica pittorica perché lungo la via ci siamo creati una vita. La nostra azione pittorica è la somma delle nostre speranze. Dicono che siamo uomini in crisi. D’altra parte preferiamo rimanere in questo giorno di tentazioni piuttosto che cedere a quella pigrizia che riduce la vita a una serie di vigliaccherie». (E. Vedova)

“Arte moderna” è ormai una definizione sanzionata e santificata da parecchi decenni di uso. Naturalmente detta definizione non è entrata nell’uso corrente senza una ragione. Tuttavia non dobbiamo pensare ad una specie di concetto ipostatizzato che abbia una vita sua propria, una direzione e uno sviluppo indipendenti dalle attitudini, dalle aspirazioni degli artisti che da circa un secolo operano il continuo rinnovamento della visione estetica.

“Arte moderna”, dunque, è una frase d’uso corrente, poiché essa è qualcosa della cui modernità i contemporanei si sono resi conto in maniera che forse non trova riscontro nella storia dell’arte. Naturalmente i critici conservatori, da Aristofane e Platone in poi, hanno protestato molto spesso contro il nuovo nell’arte; ma fino al nostro secolo, con poche eccezioni, le innovazioni sono state sempre considerate e comprese entro una comune e discutibile intelaiatura di idee. Viceversa, l’arte moderna viene generalmente considerata come essenzialmente “rivoluzionaria” nel senso di aver rotto completamente col passato, con la tradizione e il conformismo.

Può darsi che ci appaia così solo perché è troppo vicina a noi che perciò manchiamo di prospettiva. Fra un secolo, o forse prima, i nostri figli si meraviglieranno della nostra miopia e della nostra mancanza di comprensione. Ciò è molto probabile, a nostro parere, e crediamo che in avvenire si comprenderà con maggiore chiarezza che l’arte rivoluzionaria dei nostri giorni, a dispetto del suo distacco formale dal passato, è un fenomeno affatto arbitrario, ma che può essere invece ragionevolmente messo in relazione con l’avvenuto cambiamento nel rapporto fra artista e società e nel concetto che l’uomo ha di se stesso e del proprio posto nella natura116.

Proveremo a sintetizzare le cause che, secondo noi, hanno influito sul capovolgimento dei concetti estetici e morfologici delle arti visive.

Dal Rinascimento al declino dell’Impressionismo l’influenza reciproca degli ideali formali fu sempre costante. La pittura europea era tutta raccolta nella lotta di due tendenze.

115

Testo redatto con biro blu e biro nera sul recto di quattro fogli numerati progressivamente da 1 a 4. Parte del saggio ricorre in S 2. Data di stesura: dopo la metà degli anni ’70. A suggerire tale datazione, un brano interno al testo: «Cercheremo di raccogliere i dati della nostra esperienza accumulata da oltre 60 anni di studio e di operazioni estetiche», dove il «60» corregge un precedente «50». Il saggio presenta correzioni.116 “Arte moderna” è ormai… posto nella natura] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, con introduzione di John Rothenstein, Roma: Edizioni mediterranee, 1962, p. 5. Il libro era presente nella biblioteca personale di Hugo Orlando.

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Quella di rappresentare il più esattamente possibile la comprensione del mondo visibile oppure quella di evolvere le forme immanenti e perfette di cose e persone.

Ciascuna di queste tendenze o aspirazioni attinse potenza e vigore dalla propria lotta contro la materia trattata, ciascuna creò le proprie immagini e il proprio tipo specifico di poesia117. Queste due aspirazioni si cristallizzarono in quelli che per comodità vengono definiti gli ideali “classico” e “romantico”.

Ma dalla fine dell’Ottocento detti ideali hanno perduto ogni stimolo di ispirazione per la maggior parte degli artisti. È dubbio che l’invenzione della fotografia abbia avuto una influenza determinante su quel declino. È probabile che vi siano altre cause, più profonde e non collegate alla pittura, in questa ansia di distacco e di rinnovamento 118. Cercheremo di raccogliere i dati della nostra esperienza accumulata da oltre 60119 anni di studio e di operazioni estetiche.

Un tempo appariva logico che l’esame minuzioso degli aspetti della natura potesse accrescerne la comprensione e l’effetto estetico. Per il pittore le apparenze della natura erano l’unica guida possibile verso la realtà, nonché gli unici simboli della realtà a sua disposizione poiché il mondo della vista esteriore e interiore costituiva tutto il mondo visivo in suo possesso.

Ai nostri giorni appare ovvio il fatto opposto120.La maestosità della quercia e lo splendore della bellezza umana, i loro colori e le loro

forme, sono soltanto costruzioni della mente. Dietro vi sono gli atomi e il vuoto, o il mondo turbinoso e selvaggio delle impressioni dei sensi. La natura e tutte le superfici e strutture visibili sono puramente idee soggettive, nostre costruzioni teoretiche o pratiche che distano un grado dalla realtà, la quale è pura attività dello spirito121.

Ci sembrano queste, all’incirca, le teorie che da molti decenni sono enunciate da scienziati e filosofi.

È interessante e significativo che, proprio come il voluto disinteresse o la positiva antipatia alla rappresentazione possono venir messi in relazione con le dottrine dominanti nella filosofia europea, così anche l’ossessione moderna circa la libertà creativa e la liberazione dell’ego dalle pastoie della natura e dei concetti teorici e pratici, può essere messa in rapporto con alcune dottrine-chiave della filosofia.

La filosofia europea, da Kant in poi, è consistita nel complesso di variazioni su un Idealismo filosofico che ha contribuito a formare tutta una cultura. La stessa filosofia ha accettato anche qualche verità affine: quello, per esempio, che è stato definito il principio rivoluzionario, o la fede nel fatto che la visione rivoluzionaria significhi progresso spirituale, e la dottrina di una pura essenza estetica come sistema primo, prelogico e autonomo di auto-espressione dello spirito, superiore ad ogni altra sua attività.

Infatti se il così detto “oggetto della nostra conoscenza” o della nostra percezione non ha nulla a che fare con ciò che è posto di fronte a noi che guardiamo e pensiamo, ma è esso

117 “Arte moderna” è ormai... tipo specifico di poesia] cfr. S 2, infra, pp. 50-51.118 Queste due aspirazioni… e di rinnovamento] cfr. S 2, infra, p. 52.119 60] correzione d’autore su «50».120 Un tempo appariva logico… ovvio il fatto opposto] cfr. S 2, supra, p. 53; S 9, infra, p. 57.121 La natura e tutte le superfici… pura attività dello spirito] cfr. R 5, infra, p. 80.

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stesso una nostra costruzione, allora ci sembra evidente che la vecchia contesa circa la rappresentazione della natura è completamente priva di senso. Se le apparenze del mondo non sono di guida alla realtà, allora i vecchi ideali del classicismo e del romanticismo diventano un miraggio122.

Questo crollo di fiducia nella validità delle nostre percezioni può aver generato il processo di liberazione dalla rappresentazione naturalistica.

Dunque le ragioni di principio dell’arte moderna sono al di fuori della storia degli stili e delle tradizioni. Tuttavia esse non sono solo di natura filosofica, ma anche di natura sociologica che, entro certi limiti, può essere collegata col tramonto del mecenatismo.

Quando i pittori e gli scultori ricevono commissioni per lavori che danno loro da vivere, in una chiesa, in un edificio pubblico o in casa del mecenate, il soggetto è obbligato e si deve soddisfare il cliente. Esiste un tema e pertanto una stretta relazione fra artista e società 123 e non è frequente che vi sia, anche per caso, molta simpatia per il primo shock estetico e per l’immediato momento lirico o drammatico che di solito ci si aspetta dall’opera d’arte non commissionata. Il tramonto del mecenatismo fu accompagnato, com’era naturale, dalla decadenza del sistema dell’apprendistato, sostituito dalla scuola d’arte. Quando i quadri erano commissionati e i pittori imparavano a dipingere nello studio o ‹nella› bottega del maestro, nella disciplina e nella tradizione di una cultura abbastanza omogenea, mancavano le ragioni per farsi venire il mal di capo o l’esaurimento nervoso nella ricerca di che cosa si dovesse dipingere, di come dipingerlo o nell’ossessione della libertà creativa. I problemi si risolvevano da soli124.

Nel nostro secolo irrequieto il pittore è spinto a ipotizzare, a tentare e sperimentare tutto ciò che nelle arti visive non è stato mai fatto prima. Ma questo non è tutto. La grande maggioranza degli artisti dei nostri giorni ha preso in prestito un linguaggio rivoluzionario, ricorrendo al bisogno imperativo di lottare contro tutto ciò che sa di conformistico e di tradizionale125.

Fin dal 1890 incominciarono a fiorire ideologie e teorie nuove sulla pittura moderna. Van Gogh vide i quadri in termini di «misteriose operazioni che trasmettono la poesia e il dramma». Maurice Denis, ricapitolando alcune discussioni teoriche sulla pittura, dichiarava:

«Si deve ricordare che qualsiasi dipinto, prima di essere un cavallo da battaglia, una donna nuda o un qualsiasi aneddoto, è essenzialmente una superficie piatta coperta di colori e disposta in un certo ordine formale»126.

Gauguin era di tempra più dura e decisa nel dire:

«La pittura dovrebbe farvi pensare, come la musica, senza l’aiuto di idee, semplicemente per la misteriosa 122 Dal Rinascimento al declino... diventano un miraggio] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., pp. 8-9. Cfr. anche R 3, infra, pp. 77-78; S 9, infra, pp. 57, 58. Segue un breve brano cancellato presente anche in R 3, infra, p. 77: «Significativa la seguente definizione di Benedetto Croce: “Messo di fronte alla bellezza naturale‹,›

l’uomo è esattamente il mitico Narciso che si specchia nella fonte”»; su cui cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., p. 9.123 Un tempo appariva logico... relazione fra artista e società] cfr. S 2, infra, pp. 53-54.124 Quando i pittori e gli scultori…risolvevano da soli] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., p. 14.125 Nel nostro secolo irrequieto… e di tradizionale] cfr. ivi, p. 13. La grande maggioranza degli artisti… e di tradizionale] cfr. S 2, infra, p. 53.126 Maurice Denis… un certo ordine formale»] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., p. 10. Il brano è stato prima cancellato e poi riscritto.

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affinità che esiste tra le nostre menti e le composizioni di colori e forme». (1)127

Il concetto nuovo di essenza estetica ha avuto indubbiamente larga parte nel pensiero degli scrittori di estetica e, pertanto, ha influenzato almeno due generazioni di artisti che hanno operato dal 1890 ad oggi.

Ormai è a conoscenza di tutti che l’Umanità vive in un mondo tutto collegato e i pittori operano in questo mondo: per questo le considerazioni culturali e sociali sono importanti per la comprensione di quanto accade nella pittura128.

La storia della pittura moderna è la storia della più spinta manifestazione della libera auto-espressione spirituale. Tutto ciò ha veramente un valore supremo nell’arte di oggi ed ecco perché il nostro modesto saggio è iniziato, in sottotitolo, con la citazione di E. Vedova.

Riteniamo opportuno concludere con un duro avvertimento di Arshile Gorky, cioè di un importante esegeta e pittore moderno:

«Un gran numero di critici, di artisti e di spettatori si librano nell’aria come avvoltoi, aspettando la morte dell’arte del nostro tempo. Dimenticano che, sebbene l’artista non lavori mai fuori dal proprio tempo, pure la sua arte finirà col fondersi, gradualmente, nella nuova arte di una nuova epoca.

Non sentiremo parlare, contrariamente a quanto costoro si aspettano, della morte dell’arte. Questi artisti, questi critici e questi spettatori sono condannati a rimanere delusi. Non hanno compreso affatto né il movimento spirituale né la forza della tradizione, e non hanno mai capito il significato spirituale di alcuna forma d’arte. Eppure basterebbe che riuscissero a rendersi conto che l’arte moderna si realizza sotto una legge di progresso estetico universale così come avviene nelle scienze, nella matematica e nella fisica».

Hugo Orlando

127 Cfr. ivi, p. 10. Il passo citato non è del tutto fedele al testo originale, che dice: «La pittura dovrebbe farvi pensare, come la musica, senza l’aiuto di immagini o idee, semplicemente per la misteriosa affinità che esiste tra le nostre menti e le composizioni di colori e linee». Il segno di richiamo «(1)» rimanda a un breve testo, R 7, infra, p. 82, il quale reca anch’esso il segno «(1)» e costituisce un completamento del discorso che qui si sta facendo.128 Il concetto nuovo di essenza… accade nella pittura] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., p. 15. Ormai è a conoscenza… accade nella pittura] cfr. infra, S 2, infra, pp. 54-55; R 5, infra, p. 80.

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‹S 2› Nascita e sviluppo dell’arte moderna129

Allo storico abituato a studiare lo sviluppo del pensiero scientifico o filosofico, la storia dell’arte offre uno spettacolo inquietante, poiché sembra (dico sembra) che invece di avanzare segni un regresso. Eppure non si tratta mai di un regresso poiché nel complesso come nei particolari, l’equilibrio della vita estetica è continuamente instabile.

La storia dell’arte contemporanea sconcerta uno scrittore perché egli ne sa troppo, ma anche perché quello che egli sa non è ancora assimilato, è troppo slegato, frammentario. Soltanto dopo un’attenta e prolungata riflessione, si incomincia a vedere quello che era essenziale e importante, a vedere e a rendersi conto delle cose accadute e, pertanto, a scrivere la storia invece che la cronaca.

Chi vi parla ha dedicato una lunga ed attenta riflessione ai fatti che costituiscono la storia del movimento moderno delle arti visive, ma non pretende di poter formulare alcuna legge. Tuttavia un approccio di ricapitolazione è possibile in rapporto ai miei oltre 60 anni di attività professionale.

Tutta la storia dell’arte è una storia di modi di percezione visiva: delle varie maniere in cui l’uomo ha visto il mondo. L’ingenuo potrà obiettare che c’è un modo solo di vedere il mondo: quello in cui si presenta alla visione immediata. Ma ciò non è vero e le scienze moderne hanno dimostrato con esattezza che noi vediamo ciò che impariamo a vedere, che la visione diventa un’abitudine, una convenzione, una scelta parziale di tutto quello che c’è da vedere e un compendio deformato del resto.

Noi vediamo ciò che vogliamo vedere, e quello che vogliamo vedere non è mai determinato dalle leggi inevitabili dell’ottica o dal nostro istinto di conservazione, ma dal nostro desiderio di scoprire e di costruire un mondo verosimile. Naturalmente quello che vediamo deve essere reso reale poiché solo in tal modo l’arte diventa la costruzione della realtà130.

Potrei a questo punto dilungarmi illustrandovi le varie teorie della “pura visibilità” che hanno riscosso ampi consensi nel mondo dei maestri delle arti visive moderne. La materia richiede un’analisi approfondita ed impegnativa che mi porterebbe fuori dal tema che vi ho 129

Testo redatto sul recto di tredici fogli a quadretti di cui solo i primi nove sono numerati progressivamente da I a IX. Il saggio riprende e rielabora un ampio brano di S 1 e diversi altri di S 5, che ricorrono anche in S 9. Data di stesura: dopo la metà degli anni ’80. Suggeriscono tale datazione due brani interni al testo: «Tuttavia un approccio di ricapitolazione è possibile in rapporto ai miei oltre 60 anni di attività professionale» (p. 50) e «A distanza di oltre 80 anni» (p. 52); al riguardo non è rilevante il fatto che quest’ultima espressione ricorra nel libro di Read, in cui il termine a quo è il 1889 e si parla di «settanta anni». Si è già detto che in S 5, nel brano «Cercheremo di raccogliere i dati della nostra esperienza accumulata da oltre 60 anni di studio e di operazioni estetiche» (p. 47), il «60» corregge un precedente «50»: si può dunque ritenere che, nonostante il comune riferimento agli oltre sessant’anni di attività, S 2 sia successivo a S 5. Inoltre, S 2 è successivo anche a S 3, in cui si dice di «convinzioni maturate nei circa 60 anni di professionalità pittorica» (p. 32).130 Allo storico abituato… la costruzione della realtà] cfr. H. Read, op. cit., pp. 11-13. I primi due capoversi sono delle citazioni da Robin G. Collingwood, Speculum mentis or The map of knowledge, Oxford: Oxford University Press, 1924, pp. 82 e 236, riferite da Read.

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proposto131.“Arte moderna” è ormai una frase sanzionata e santificata da quasi un secolo di uso.

Appare quindi molto naturale il fatto di accettarla nella certezza che a questa frase corrisponda veramente una maniera tipica di dipingere e di vedere il mondo. Naturalmente detta frase non è entrata nell’uso corrente senza una ragione. Non si deve pensare a una specie di concetto ipostatizzato che abbia una vita sua propria, una direzione e uno sviluppo indipendenti dalle attitudini, dalle aspirazioni e dalle ambizioni degli artisti operatori e creatori di fatti estetici. Essi sono elementi attivi della storia e non servitori passivi di una Musa né di movimenti o di tendenze più forti di loro.

“Arte moderna” è ormai una frase d’uso corrente, poiché essa è qualcosa della cui modernità i contemporanei si sono resi conto in una maniera che forse non trova risconto nella storia.

Ovviamente i critici conservatori, da Aristofane e Platone in poi, hanno protestato molto spesso contro il “nuovo” nell’arte e spesso in nome della morale. Analizziamo come si concepiva l’arte prima del movimento moderno.

Fino allo scorso secolo (all’Ottocento) le innovazioni sono state considerate come legate da un certo senso di continuità al passato, o per lo meno comprese dentro una comune, discutibile intelaiatura di idee. Viceversa l’arte moderna viene considerata e giudicata rivoluzionaria nel senso di aver rotto completamente col passato.

Può darsi che ci appaia così solo perché è troppo vicina a noi che manchiamo di prospettiva. Fra un secolo o anche molto prima, i nostri nipoti si meraviglieranno della nostra mancanza di comprensione. Ciò è molto probabile e credo che in avvenire si comprenderà con maggiore chiarezza che l’arte rivoluzionaria dei nostri giorni, a dispetto del suo distacco formale dal passato, è un fenomeno affatto arbitrario, ma che può essere messo ragionevolmente in relazione con alcuni cambiamenti nel rapporto fra l’artista e la società e nel concetto che l’uomo ha di se stesso e del proprio posto nella natura132.

La storia delle arti visive europee fino alla fine dell’Ottocento fu in gran parte la storia della lotta di due tendenze contro la resistenza opposta dal mondo della natura. Provo ad esaminarle.

Una tendenza [che] si proponeva di rappresentare il più esattamente possibile la comprensione del mondo visibile, e l’altra [quella] di evolvere le forme immanenti delle cose e persone. Ciascuna di queste aspirazioni ha attinto potenza e vigore dalla propria lotta contro la materia trattata; ciascuna ha creato le proprie immagini e il proprio tipo specifico di poesia133.

A questo punto sarà necessario ripercorrere a ritroso nel tempo per cercare di illustrarvi, per sommi capi, ciò che avvenne nel 1880 in Europa e particolarmente in Francia.

Il grande rinnovamento della pittura moderna porta quella data; cioè dall’insorgere della poetica “Impressionista”.

131 Segue un breve brano cancellato in un modo che lo rende indecifrabile.132 “Arte moderna” è ormai una frase sanzionata… posto nella natura] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., p. 5.133 La storia delle arti visive europee… tipo specifico di poesia] cfr. ivi, p. 8. “Arte moderna” è ormai una frase sanzionata... tipo specifico di poesia] cfr. S 5, supra, pp. 46-47.

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Dopo i pittori realisti e gli scrittori naturalisti, gli impressionisti approfondiscono un netto distacco dal vecchio modo di vedere il mondo. L’impressionismo marcia di pari passo con le rivoluzioni che si producono in altri domini dello spirito (scultura, musica, poesia e pensiero). Ad esempio: sono state analizzate tutte le analogie che dobbiamo stabilire tra la rivoluzione della pittura e la ricerca di movimento nella scultura di Rodin, le modulazioni carezzevoli ed espressive di Debussy, l’invenzione del verso libero e tutte le invenzioni del “simbolismo”, e un po’ più tardi la filosofia di Bergson, la sua scoperta della durata, afferrata intuitivamente ed opposta ai tempi aritmeticamente contati in vista di usi pratici e sociali. Allorquando scoppierà la reazione contro l’impressionismo, avverrà in nome della intelligenza, e all’impressionismo si rimprovererà di essere stato “un’arte acefala”. Certo “arte acefala”‹,› arte prodotta da uno strumento, l’occhio. Ma quale strumento meraviglioso!!! Qui consentitemi di fare una digressione dal racconto storico, per esporvi una mia personale considerazione‹,›

poiché parte della mia attività pittorica fu dedicata proprio al post-impressionismo.L’arte impressionista fu senz’altro l’arte generata dall’occhio, cioè dalla visione esterna

delle cose‹,› e pertanto l’assoluto primato della “sensazione”. Ma che meraviglioso strumento l’occhio! Nervoso, sottile, esasperato, i cui spasimi fanno nascere meraviglie infinitesimali, uno strumento che si accorda con la natura. Posso ammettere che una fase della storia dell’arte moderna sia nata per il fatto che quel tipo di uomo, che è il pittore impressionista, abbia limitato la propria ambizione e non abbia osato di più; si può ammettere che questo tipo umano, il pittore, abbia deciso di realizzare nel modo più completo il proprio tipo del pittore, che insomma solo questo era il significato della pittura e che essa non aveva altro scopo che lo stretto accordo con la natura134.

Tornando in argomento analizziamo i fatti e le cause che sempre intervengono a spingere in avanti le ricerche e le scoperte delle arti visive. Anche al tempo dell’impressionismo le aspirazioni degli artisti si cristallizzarono in quelli che per comodità vengono definiti gli ideali classici e romantici. L’influenza reciproca di quegli ideali fu costante. Ma dalla fine dell’Ottocento essi hanno perduto ogni stimolo di ispirazione per la maggior parte dei grandi maestri contemporanei. È dubbio che l’invenzione della fotografia abbia avuto una influenza notevole su tutto questo. Sembrerebbe quasi che, avendo gli impressionisti raggiunto un massimo di compiutezza, lo stesso loro successo abbia stimolato un senso di stanchezza, e la profonda convinzione che occorreva, in qualche modo, ricominciare tutto da capo. È probabile, però, che vi siano altre cause, più profonde e non collegate alle arti-visive, in questa ansia di rinnovamento135.

A distanza di oltre 80 anni, possiamo rilevare come una nuova volontà di “astrazione” incomincia a farsi strada nell’arte europea, osservando come fossero frammentarie, ed apparentemente disunite, le prime aspirazioni all’astratto. L’attrazione che le silografie giapponesi esercitavano sugl’impressionisti, l’uguale attrazione che l’arte primitiva aveva su Gauguin e per i Sintetisti, la ricerca di una struttura geometrica fatta da Seurat per la tecnica

134 Allorquando scoppierà la reazione… accordo con la natura] cfr. Gli impressionisti e la loro epoca, testo di Jean Cassou, Roma: Edizioni Mediterranee, 1962, p. 7. Il libro era presente nella biblioteca personale di Hugo Orlando.135 Anche al tempo dell’impressionismo… ansia di rinnovamento] cfr. ivi, p. 8. Cfr. anche S 5, supra, p. 47.

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“divisionista”, la subordinazione della visione realista di Munch a un ritmo di arabesco, rappresentavano in ciascuno la ricerca di una nuova formula. L’arte aveva perduto tutte le sue funzioni tradizionali: quella divina al servizio di Dio, poiché Dio era morto, quella umana al servizio della comunità, perché l’uomo aveva perduto tutte le sue catene 136. Sono concetti storici e io li riporto come sono.

Nel nostro secolo irrequieto l’artista possessore di doti superiori è spinto a tentare ciò che non è stato mai fatto prima.

La maggioranza degli artisti contemporanei hanno preso in prestito un linguaggio rivoluzionario, ricorrendo al bisogno imperativo di lottare contro il “realismo”, la rappresentazione, la tradizione e la convenzione137; cioè contro ogni ostacolo che si opponga alla perfetta libertà e alla libera auto-espressione dello spirito138.

L’intelligenza pittorica opera diversamente dalla semplice intelligenza. Essa è elementare, molto vicina allo spirito, all’anima, alla vita. Condensa energie formidabili e le scarica nel produrre l’oggetto d’arte che‹,› una volta realizzato‹,› tramanda un messaggio fortemente spiritualizzato139.

Queste aspirazioni erano fonte di travaglio e di impegno morale per gli artisti più seri e consapevoli‹,› i quali pensavano che le arti visive andassero rielaborate al di fuori dei temi tradizionali.

Altre istanze e nuove ambizioni, oltre quelle accennate, facevano lievitare il mondo dell’arte dalla poesia alla letteratura, dalla musica all’architettura, dalla scultura alla pittura.

Cerchiamo con serenità di analizzare quello che succedeva prima di questi fermenti.Un tempo, infatti, appariva logico che l’esame minuzioso degli aspetti della natura

potesse accrescere la comprensione e l’effetto estetico. Si riconosceva che per il pittore le apparenze della natura (badate bene che ho detto “apparenze”), [queste apparenze] erano in ogni caso l’unica guida possibile verso la realtà, nonché gli unici simboli della realtà, dato che il mondo della vista interiore ed esteriore costituiva tutto il mondo visivo che l’artista possedeva.

Ai nostri giorni, invece, appare ovvio il fatto opposto140.Quello che l’occhio vede non è quello che i nostri predecessori pensavano ingenuamente

di vedere. La natura e tutte le superfici e le strutture visibili della natura sono puramente idee soggettive, nostre costruzioni teoretiche o pratiche, che distano un grado dalla realtà, la quale è pura attività dello spirito.

Queste sono anche, all’incirca, le teorie che allora erano enunciate da molti scienziati e filosofi. Nell’Europa continentale gli effetti dell’idealismo filosofico post-kantiano ebbero larga eco tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Essi hanno influito su un intero ciclo culturale. Prenderò in esame analitico l’“oggetto della conoscenza” che emerge dal pensiero di Kant.

136 A distanza di … tutte le sue catene] cfr. H. Read, op. cit., p. 25.137 La maggioranza degli artisti… la tradizione e la convenzione] cfr. S 5, supra, p. 48.138 Nel nostro secolo irrequieto… auto-espressione dello spirito] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., p. 13.139 L’intelligenza pittorica opera... un messaggio fortemente spiritualizzato] cfr. S 3, supra, p. 28.140 Un tempo, infatti, appariva logico… ovvio il fatto opposto] cfr. S 5, supra, p. 47; S 9, infra, p. 57.

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Se il così detto “oggetto della conoscenza” o della percezione non ha nulla a che fare con ciò che è posto di fronte a colui che guarda e che pensa, ma è esso stesso una costruzione autonoma di colui che guarda e pensa, allora è chiaro che la vecchia contesa circa la “rappresentazione” della natura era completamente priva di senso. Oggi possiamo liberamente affermare che le immaginazioni, o le libere creazioni della mente, indipendentemente dall’ordine naturale delle cose, non sono meno valide e informative, sono anzi più valide in quanto esse sono più vicine al centro creativo dell’immaginazione e del pensiero141.

In sostanza veniva emergendo una consapevolezza dei problemi dialettici nel processo dell’arte, che potevano essere risolti solo mediante una trasformazione rivoluzionaria nell’impostazione del problema estetico. Il vecchio linguaggio dell’arte non era più adeguato alla coscienza umana: bisognava stabilire un nuovo linguaggio, sillaba per sillaba, immagine per immagine, finché l’arte potesse tornare ad essere una necessità sociale e individuale142.

Ecco perché le ragioni e le cause di principio dell’arte moderna sono ritenute al di fuori della storia degli stili e delle forme tradizionali artistiche. Dette cause sono di natura filosofica e sociologica. Ho accennato alla prima, a quella filosofica. La seconda, quella sociologica, è collegata‹,› dentro certi limiti, col tramonto del mecenatismo.

Quando i pittori e gli scultori ricevevano commissioni per eseguire lavori con i quali operavano e vivevano, in una chiesa, in un edificio pubblico o in casa del mecenate, il soggetto da realizzare era obbligato, e perciò si doveva soddisfare il cliente. Esisteva una tematica e una stretta relazione fra autore e società143. Il quadro e la scultura non commissionati hanno creato una nuova serie di reazioni e di preferenze. Naturalmente questo fattore di distacco ha avuto notevoli conseguenze. Come ho detto prima, l’artista moderno era spinto a tentare ciò che non era mai stato fatto prima. Ricorrendo al bisogno imperativo di lottare contro il verismo, la rappresentazione, la tradizione e la convenzione si liberava da ogni ostacolo che gli impedisse l’auto-espressione del suo spirito. Per parecchi decenni questa lotta rimase priva di un bersaglio specifico. Non vi erano più Bastiglie da prendere d’assalto né restrizioni alla libertà assoluta dell’artista. Chiaro che tutto ciò non poteva che sfociare nel più assoluto individualismo.

«L’individualismo – scriveva Ozenfant – non è altro che lo spirito della libertà reso succube dal proprio EGO. L’universo e l’umanità sono ai piedi dell’individuo. L’unica preoccupazione è che l’Ego sia soddisfatto. L’artista dipinge, scolpisce o scrive come gli pare e piace, e molto più per se stesso che per la società. Un’anarchia dell’Ego: egotismo sia esso inconscio che cosciente. Eppure questa coscienza dell’ego ebbe una certa fecondità; scavò per così dire la tomba a tutti i privilegi e le mistificazioni. Non accettò nulla che non avesse verificato personalmente; l’ego era il centro del mondo, e il verbo fu plasmato a sua somiglianza»144.

141 Un tempo, infatti, appariva logico… dell’immaginazione e del pensiero] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., pp. 8-9. Se il così detto “oggetto della conoscenza”… dell’immaginazione e del pensiero] cfr. S 9, infra, p. 58; R 3, infra, p. 78.142 […] una consapevolezza dei problemi … una necessità sociale e individuale] cfr. H. Read, op. cit., p. 29.143 Un tempo, infatti, appariva logico... dell’immaginazione e del pensiero. [...] Ecco perché le ragioni... fra autore e società] cfr. S 5, supra, pp. 47-48.144 Ecco perché le ragioni… a sua somiglianza»] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., pp. 13-14. Il passo citato non è del tutto fedele al testo originale, che dice: «L’individualismo di oggi non è altro che lo spirito della libertà reso succube dal proprio EGO: l’universo e l’umanità sono ai piedi dell’individuo. L’unica preoccupazione è che l’ego sia soddisfatto. L’artista immagina, dipinge, scrive come gli pare e piace, e molto più per se stesso che per la società... Un’anarchia dell’Ego: egotismo sia esso inconscio che cosciente e guidato… Eppure questa coscienza dell’ego ebbe una certa fecondità; scavò per così dire la tomba a tutti i privilegi salvo a

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Una esposizione molto dura e crudele, ma molto vicina alla verità, non perché è citata da un grosso filosofo145 (sic!), ma perché mi sembra che centri l’aspetto più pregnante del rapporto tra artista e società.

Oggi l’umanità vive in un mondo tutto collegato e gli artisti operano in questo mondo: per questo le considerazioni culturali filosofiche e sociali sono importanti per la comprensione di quanto è accaduto e ancora accade nelle arti visive146.

Una norma assoluta sulla quale dovrebbero conformarsi tutti gli artisti è andata distrutta oppure è stata deliberatamente sacrificata. Criterio di giudizio per l’artista dei nostri giorni diventa il proprio senso di liberazione e perciò tutti i valori che possono esistere nelle opere attuali, il bello o la vitalità, sono semplicemente incidentali o accidentali. Ma vi è sempre la possibilità che “l’accidentale” sia anche l’archetipo e che il gesto spontaneo sia guidato da istinti primordiali.

Le opere gigantesche del tempo attuale, le prodigiose scoperte della scienza hanno cambiato l’aspetto del mondo così come sono cambiati i rapporti umani. Dopo il declino delle poetiche impressioniste, cubiste, espressioniste ecc. nascevano concetti e poetiche che affermavano con vigore che l’opera d’arte dell’avvenire non doveva più essere accidentale, eccezionale, impressionistica, inorganica o pittoresca, ma invece universale, statica, capace di cogliere nella natura un fattore costante. La chiarezza, la fedeltà al concetto: questi dovevano essere gli ideali della nuova arte. Per queste caratteristiche ideologiche fu scelto il termine di “Purismo”‹,› che stava a significare l’atto di auto-espressione dello spirito.

A questo punto crollano definitivamente tutti i concetti di arte aneddotica, facilmente comprensibile, insomma di un’arte accademica.

È il vero punto di rottura con il passato.La storia dell’arte registra altre poetiche alternativamente collegate a dottrine filosofiche,

a quelle sociali e scientifiche.Tra le tante dottrine formulate dominava quella del tentativo di sintetizzare tutte le arti

plastiche (pittura, scultura e architettura); una sintesi delle arti plastiche in cui le categorie tradizionali sparivano in un nuovo complesso costruttivo.

Il Bauhaus venne fondato da Gropius proprio con un simile ideale di sintesi che era anche quello di De Stijl147. Per dieci anni fecondi il Bauhaus unì artisti di ogni categoria in questo tentativo comune. La prima dichiarazione pubblica fu fatta a Weimar nel 1919 e sosteneva che tutte le arti dovevano essere unificate intorno alla “Costruzione”.

Quella coraggiosa aspirazione fu frustrata dalle macchinazioni dei politicanti filistei, ma il Bauhaus divenne, e rimane ancora oggi, il simbolo di tutto ciò che è creativo e costruttivo in un’età di disordine economico e politico.

Nei 14 anni della sua esistenza diede grossi mezzi creativi a Kandinsky e più di tutto a

quello che considera l’uomo pari a Dio. Non accettò nulla che non avesse verificato personalmente; l’ego era il centro del mondo, e il verbo fu plasmato a sua immagine».145 filosofo] correzione d’autore su «esegeta».146 Oggi l’umanità vive… nelle arti visive] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, p. 15. Cfr. anche S 5, supra, p. 49; R 5, infra, p. 80.147 Rivista d’arte e di architettura, fondata nel 1917 a Leida da Theo van Doesburg e rimasta attiva fino al 1932.

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Klee; due grandi maestri delle arti visive contemporanee148.Non credo di parlarvi degli ideali e della poetica di questi due colossi 149. La mia breve e

succinta esposizione è limitata ai fatti storici, agli accadimenti e alle cause che hanno generato la rivoluzione delle arti plastiche e visive. Naturalmente molte altre cause, di minore importanza, ma sempre registrate dalla storia, le ho dovuto trascurare per non rendervi pesante ed uggiosa questa chiacchierata.

Oggi siamo un po’ restii a usare espressioni come “Anima” o “Vibrazioni dello spirito”, ma sostituendo i termini della psicologia sviluppatasi dal 1912 in poi, è agevole rilevare che la messa a punto di quanto fu fatto al Bauhaus è abbastanza chiara. Basta analizzare e studiare in profondità le teorie, le regole e la prassi esecutiva e costruttiva delle opere d’arte realizzate in Europa e nel resto del mondo dal momento in cui Klee e Kandinsky stabilirono una massa enorme di nuove teorie sulla genesi dell’arte.

Il movimento artistico moderno è stato qualche volta dipinto come intimamente corrotto, che potrà sembrare paradossale presentarlo come un influsso purificatore. Ma tale è ed è stato, dal momento in cui Cézanne decise di realizzare le sue sensazioni davanti alla natura “obiettivamente” come un oggetto, senza alcun intervento, sia dell’ordine razionale, sia delle emozioni irrazionali.

Nonostante le deviazioni e gli sbalzi, detto movimento deve essere considerato un immenso sforzo per sbarazzare la mente dalla corruzione, la quale in forma di costruzione fantastica o di repressione, di sentimentalismo o di dogmatismo, costituisce una falsa testimonianza per la sensazione e per l’esperienza.

Gli artisti moderni sono stati qualche volta violenti e distruttori, irriflessivi e impazienti; ma in generale hanno sempre avuto presente un fine morale, che è poi quello che si presenta a tutta la nostra civiltà.

La filosofia e la politica, la scienza e la legge, tutto si basa, in ultima analisi, sulla chiarezza con cui si percepiscono e si interpretano i dati dell’esperienza, e l’arte è sempre stata – direttamente, grazie agli artisti e ai poeti, e indirettamente, in virtù dell’uso fatto dagli altri dei segni e delle immagini creati – il mezzo principale per formare idee chiare dei nostri sentimenti e delle nostre sensazioni.

Qualche singolo artista avrà potuto creare un po’ di confusione nelle finalità generali, ma le grandi personalità del movimento pittorico moderno – Cézanne, Matisse, Picasso, Kandinsky, Mondrian e Pollock – hanno sempre avuto una ferma consapevolezza del problema del nostro tempo, una costante vigilanza per evitare false soluzioni. Presentare una immagine visiva chiara e precisa dell’esperienza dei sensi è sempre stato il fine costante di questi artisti e il ricco patrimonio di immagini che essi hanno creato è la base sulla quale sarà costruita la civiltà del futuro150.

148 Il Bauhaus venne fondato…delle arti visive contemporanee] cfr. H. Read, op. cit., p. 212.149 Segue un breve brano cancellato in un modo che lo rende indecifrabile.150 Il movimento artistico moderno... civiltà del futuro] cfr. H. Read, op. cit., pp. 284, 287. Cfr. anche S 1, supra, p. 16.

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‹S 9› Cenni sullo sviluppo dell’arte contemporanea151

Cimentarsi in una esposizione dei fatti e dei problemi che interessano l’ormai statuita rivoluzione delle moderne arti plastiche in generale, e della moderna pittura in particolare, è impresa veramente ardua se si tien conto dell’arco di tempo ricchissimo di eventi che andrebbe analizzato e che abbraccia, ormai, circa un secolo di Storia dell’Arte.

La forzata brevità cui siamo obbligati nel redigere questi brevi cenni e la stringatezza dei concetti rapportabili alle cause che hanno generato il continuo rinnovamento delle Arti plastiche dal 1880 ad oggi, ci costringe ad eludere i particolari, anche importanti, che accompagnano, caratterizzandolo, detto rinnovamento. Per questo e per altri ovvi motivi facilmente intuibili, limiteremo il nostro dire all’essenziale succedersi dei fatti salienti, sforzandoci di porre l’accento sulle cause che hanno generato la nuova concezione di vedere il Mondo e di concepire la realtà.

Una volta appariva logico che l’esame minuzioso della “Natura” potesse accrescere la comprensione e l’effetto estetico‹,› per cui si sosteneva che il mondo della vita interiore ed esteriore costituiva tutto il mondo visivo che 1’uomo possiede. Ai giorni nostri, invece, appare ovvio il fatto opposto152.

Ormai non vi è più alcun dubbio che ciò che viene chiamato il “movimento moderno dell’arte” incomincia dalla decisione isolata e personale di un pittore francese. Quel pittore si chiamava Cézanne.

Prima di Cézanne, i pittori avevano visto il Mondo come si presentava ai sensi sotto le varie luci o da diversi punti di osservazione. L’artista si valeva di facoltà extra-visive per risolvere i problemi dell’Arte. Ad esempio: 1’immaginazione gli permetteva di trasformare gli oggetti del mondo visibile e di cercare uno “spazio ideale” occupato da forme ideali; l’intelletto gli consentiva di costruire una prospettiva nella quale credeva di dare all’oggetto una posizione esatta, senza rendersi conto che tutto ciò che 1’occhio vede in un sistema prospettico non è una rappresentazione esatta della realtà.

La concezione di Cézanne operava in contrapposizione con quella degli impressionisti suoi predecessori. Detta concezione consisteva nel vedere il mondo, o quella parte di esso che più lo interessava, come un “oggetto”, senza alcun intervento sia dell’ordine razionale, sia delle impressioni irrazionali. Per l’insoddisfazione di Cézanne veniva dunque ripresa in considerazione tutta l’ossatura e la struttura delle cose153‹,› la cui conseguenza consisteva nella generazione di una serie di nozioni che, più tardi, dovevano riscuotere ampi consensi nel 151

Testo redatto con biro blu sul recto e sul verso di un bifolio. Manoscritto non databile. Il saggio è sostanzialmente costituito di parti di S 5, S 2 e R 3. Il titolo attuale sostituisce Osservazioni storiche sullo sviluppo dell’Arte moderna. Il saggio presenta correzioni. Di nuovo l’autore si firma non con il nome d’arte “Hugo”, ma con il nome di nascita “Ugo”.152 Una volta appariva logico… ovvio il fatto opposto] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., pp. 8-9. Cfr. anche S 5, supra, p. 47; S 2, supra, p. 53; R 3, infra, p. 77.153 Per l’insoddisfazione di Cézanne… la struttura delle cose] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., p. 7.

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mondo dei maestri della pittura moderna. È bene citarle queste nozioni.Si incominciava ad ammettere che [per] dipingere secondo verità significava evocare

nell’osservatore sensazioni esatte e sentimenti appropriati; si condannava l’imitazione ormai ritenuta un passivo e inconseguente modo di dipingere; si ammetteva che la natura e tutte le superfici e strutture visibili di essa, erano pure idee soggettive, nostre costruzioni teoretiche o pratiche, che distano un grado dalla realtà, la quale è pura attività dello spirito154.

A questo puntò, badate bene, siamo già dinanzi ad uno degli aspetti più importanti dell’atteggiamento moderno verso l’Arte155‹,› per cui sarà bene soffermarci un solo momento per cogliere l’essenza di quel mondo culturale entro cui maturavano dette nozioni.

La filosofia europea consisteva nel complesso di variazioni su un idealismo che, riassumendo nella definizione del concetto di Arte tutta l’esperienza della tradizione figurativa classica, l’aveva svuotata d’ogni contenuto storico per trasferirla, come idea di una eterna classicità, sul piano teoretico. (1) Quella stessa filosofia accettava anche delle verità affini: come, per esempio, il principio rivoluzionario o la fede nel fatto che la “visione rivoluzionaria” significhi progresso spirituale avvalorando, così, la dottrina di una pura essenza estetica quale sistema primo, prelogico e autonomo di auto-espressione dello spirito. (Croce)156

È probabile che da questo principio si avvalori la teoria di un noto studioso americano che suona pressappoco così: «poiché la somiglianza con la natura è, nella migliore delle ipotesi, superflua e, nella peggiore, fonte di distrazione, tanto varrebbe [ad] eliminarla»157.

Infatti se il così detto “oggetto della conoscenza” o della “percezione” non ha più nulla a che fare con ciò ch’è posto davanti a colui che guarda e che pensa, ma è esso stesso una costruzione autonoma di colui che guarda e che pensa; se le apparenze del mondo sono fallaci ed ingannatrici, se esse non sono di guida alla realtà, se sono pure immagini dell’uomo ‹,› [e] allora è logico che i vecchi ideali del Classicismo e del Romanticismo si dissolvono inesorabilmente o per lo meno diventano un miraggio. E, consentitemi di dire, idealizzare o rappresentare un miraggio è inutile e sciocco158.

154 si ammetteva che la natura… è pura attività dello spirito] cfr. ivi, p. 9.155 Per l’insoddisfazione di Cézanne... dell’atteggiamento moderno verso l’Arte] cfr. R 5, infra, p. 80.156 La filosofia europea consisteva… auto-espressione dello spirito. (Croce)] cfr. S 5, supra, p. 47; S 2, supra, p. 54; R 3, infra, pp. 77-78.157 La filosofia europea consisteva… tanto varrebbe [ad] eliminarla] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., p. 15. Cfr. anche R 3, infra, p. 77.158 Infatti se il cosiddetto “oggetto della conoscenza”… inutile e sciocco] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., p. 9. Cfr. anche S 5, supra, pp. 47-48; R 3, infra, p. 78. Segue un lungo brano cancellato, scritto con una biro blu diversa dalla precedente, segno che esso è un’aggiunta successiva al testo originale: «A questo punto possiamo riprendere la sequenza dei fatti storici [[, per quanto debole e lieve, ci piace ricordarlo, il legame che univa la concezione di Cézanne a quella del Cubismo.]]. Su queste convinzioni si innesta [[il movimento Cubista]] la verità scoperta dal Cubismo e che consiste nell’inversione puntuale dell’ideale romantico per porsi come teoria generale dell’arte, liberata, ormai, da ogni carattere immaginativo o fantastico. Il Cubismo non si proponeva con ciò di promulgare una nuova estetica, ma teorizzava il “fare artistico” contrapponendo alla concezione della forma come trascendenza, la concezione della forma come assoluta immanenza. Il suo assunto non è eversivo, ma rivoluzionario. Gli stessi storici dell’arte hanno sentito il bisogno di giungere alla conclusione che il Cubismo rappresenta il superamento definitivo del Romanticismo. Il carattere di critica in atto che accompagna il farsi della pittura cubista, critica ch’è insieme distruttiva e ricostruttiva (vedasi Picasso) conferisce all’opera d’arte un superamento e un rinnovamento degli schemi della visione ‹,› per cui il Cubismo rientra nell’ambito del grande rinnovamento di quella teoria dell’arte che va sotto il nome di “pura visibilità”.

Negato il concetto di forma come espressione di contenuto e posto il principio della forma come atto

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autonomo della coscienza, è chiaro – dice Fiedler – che «principio e fine dell’attività artistica è la creazione di forme che soltanto per mezzo suo raggiungeranno l’esistenza». [Cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 64.]

Siamo già nel periodo di tempo che va dall’anno 1908 al 1912‹,› durante il quale nuove concezioni incalzavano l’ormai svuotato idealismo romantico. Nasceva il Cubismo, cioè quella corrente artistica che lievemente staccandosi dalla concezione di Cézanne, poneva il principio del rinnovamento totale delle leggi della visione. Una rivoluzione che non aveva l’eguale nella storia dl’arte dal Rinascimento in poi e che non doveva interessare solo le arti plastiche, ma investiva tutte le Arti, dalla poesia alla musica e dall’architettura al teatro.

Il primo, rivoluzionario, assunto del Cubismo affermava il principio che l’arte, non più catartica e liberatrice rappresentazione della esterna realtà, sia atto della coscienza che pone e costruisce la realtà e che perciò diviene atto di pieno impegno nel senso umano e in quello sociale. Il Cubismo teorizzava il “fare artistico” contrapponendo alla concezione della forma come trascendenza la concezione della forma come assoluta immanenza. Per essere più chiari diciamo che il Cubismo ‹,› negando categoricamente il concetto di forma come espressione di contenuto, poneva il principio della forma come atto autonomo della coscienza.

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II. Lezioni radiofoniche

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L 1 ‹Teoria del colore. Colore, forma, emozione estetica›159

ColoreFormaEmozione estetica

Adoperare il colore – cioè “colorire” le cose e gli oggetti di uso pratico – mettere in risalto visivamente la vivezza dell’oggetto – soddisfare il nostro senso visivo – appagare il nostro gusto estetico.

A mio modesto parere questi sono alcuni elementi base della pittura intesa come operazione coloristica a diffusione generalizzata; cioè alla portata di ogni singolo individuo. L’uso corrente della parola “Pittura” è strettamente legato al colore o, se vi piace, al “colorire”.

Infatti noi non usiamo dire: “devo colorire la camera da letto”, ma ‹“›devo ‘pitturare’ detta camera”, non diciamo ‹“›devo colorire la barca‹”›, ma diciamo ‹“›devo pitturare la barca‹”›... così di seguito per tutte le operazioni che si riferiscono al colore, all’uso del colore e all’applicazione della materia “colore”.

Possiamo liberamente affermare che la Pittura è uguale al colore. “Senza il colore non esiste pittura!”

Questa affermazione potrà sembrarvi banale, ma nel prosieguo delle mie esposizioni sull’Arte pittorica, mi sentirete molto spesso fare riferimento al “colore” quale elemento essenziale della pittura.

Oggi è prematuro parlare d’Arte della pittura senza aver prima fornito al radioascoltatore tutti quegli elementi di base che ruotano intorno al concetto di Arte pittorica ma che non sono ancora Arte.

Il discorso intorno al perché la pittura cosiddetta generalizzata diventa poi Arte è lungo e molto impeg‹n›at‹iv›o, perciò ritengo necessario arrivarci per gradi successivi in modo da non creare confusione e noia in chi ci seguirà o riterrà utile apprendere e conoscere il mondo e la storia delle Arti visive.

Dicevo che Pittura è uguale a Colore e che senza questo non può esistere pittura... Dico pittura di qualsiasi genere... dalle più semplici applicazioni alle più complicate e sublimi realizzazioni artistiche.

Nasciamo e viviamo sulla Terra, questo splendido pianeta celeste, avvolto d’aria e baciato di luce solare, tutto punteggiato di stupendi colori. Impariamo da bimbi a vedere e a constatare che il cielo è celeste o plumbeo, che il mare è turchino o verdastro sporco, che le piante sono verde chiaro o scuro, che le messi di grano maturo sono gialle, che il suolo terreno è marroncino o calcareo giallastro, che la notte è oscura, buia e piatta. Questi colori del Mondo sono colori fissi, immutabili, anche se le loro gradazioni variano a seconda dell’intensità della luce solare. (1)

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Testo redatto con biro nera su dieci fogli a quadretti. Si tratta della lezione introduttiva a un ciclo di lezioni radiofoniche tenute presso Radio TRT nell’inverno 1982. Data di stesura: gennaio 1982 (data apposta in calce al manoscritto). La trasmissione ha avuto luogo il 14 gennaio 1982, come è detto esplicitamente all’inizio di L 2, infra, p. 66. Il testo presenta correzioni.

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La luce determina il colore della natura. Senza la luce il colore non appare alla nostra vista se non in una gamma bruno-grigio-opaco piatta e uniforme, come la notte.

A volte la luce del sole, filtrata attraverso particolari disposizioni atmosferiche, si scinde, si frantuma in rifrangenze cromatiche determinando altri colori fissi e immutabili. Sono i colori dell’iride, visibili con l’arcobaleno. Detti colori sono la base della cromia fondamentale della gamma coloristica.

I 7 colori dell’iride posti su un disco ruotante velocemente perdono la loro peculiare gamma specifica, si mischiano, si intersecano fino a formare un solo colore: il Bianco. Cioè la luce solare. È il fenomeno opposto all’arcobaleno. È un fenomeno che conosciamo da quando eravamo scolari alle elementari‹,› e perciò piccoli e grandi sanno perché ciò avviene. Sarebbe troppo lungo e tedioso spiegarlo.

Queste piccole notazioni, amici ascoltatori, possono sembrare superflue e inopportune per un discorso sulla pittura. Tuttavia, anche se a conoscenza dei più, questi elementi sono l’A-B-C del nostro Senso visivo‹,› del quale parleremo in altro momento.

Per tornare all’argomento di oggi, mi sembra di avere accennato, sia pure brevemente, che la Natura del mondo su cui viviamo è ricca di colori fissi, anche se congiunti di tono a seconda del filtro della luce, ma sempre immutabili anche quando il ciclo stagionale ne cambia i connotati. (2) Intervento dell’uomo

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Ma su questo Mondo non esistono solo i colori naturali fissi. Esistono, infatti, i colori delle cose, degl’oggetti che l’uomo continuamente crea per soddisfare i suoi bisogni della vita quotidiana. Gli oggetti più disparati: le sedie, il tavolo, il letto, i piatti, le bottiglie ecc... e ancora l’automobile, la casa, la barca (specie quella da diporto). Alcune cose prese così a casaccio senza una scelta preferenziale. Se riflettiamo bene nel guardarli ci rendiamo conto che tutti gli oggetti che ci circondano non hanno un colore fisso come nella Natura. Ogni oggetto assume un suo colore nel momento stesso della sua fabbricazione secondo il gusto del produttore e le esigenze di mercato. Le sedie saranno color noce, mogano, acero, bianche, verdi, rosse‹,› così come tutti gli altri oggetti creati dall’uomo.

Tuttavia se l’oggetto lo acquistiamo così come ce l’offre il mercato, noi abbiamo la facoltà e la libertà di cambiargli colore. Le sedie ci piacciono blu, il tavolo bianco, la macchina rossa e così di seguito.

L’uomo non ha la capacità di cambiare i colori della Natura, ma può facilmente cambiare il colore degli oggetti. Questa capacità dell’uomo di trasformare visivamente gli oggetti è legata strettamente al suo gusto personale. Il colore dell’oggetto che assumiamo in proprio deve anche soddisfare il nostro gusto. (3)

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Nel caso specifico possiamo affermare che la scelta di uno specifico colore è un fatto meramente soggettivo e pertanto intimamente legato al fascino di attrazione verso determinate

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e precise gamme cromatiche.A questo punto facciamo insieme una semplice riflessione per renderci conto che ciò che sto dicendo non è una banale serie di parole vuote di senso, ma cause e fatti peculiari essenzialmente utili per stabilire un contatto pratico con il Colore. Nessuno di noi può ignorare l’esistenza del colore‹,› poiché ci viviamo dentro e intorno dalla nascita alla morte.

Colore fisso e immutabile della Natura e colore variabile e mutevole degli oggetti. Noi stessi, amici ascoltatori, siamo fisicamente colorati... dai capelli ai piedi. Ovunque guardiamo, a meno d’essere daltonici, vediamo colori. Essi ci avvolgono e ci fasciano in un abbraccio interminabile lungo gli anni della nostra vita.

Provate ad immaginare un mondo senza colori!Vi ritrovereste davanti un arido deserto visivo, così uniformemente avvilente da causarvi

nausea e disprezzo.Dunque di colori noi siamo avvolti, circondati, fatti di colore stesso‹,› e perciò esso è parte

importante della nostra vita terrena.Per renderci conto con precisione del rapporto che intercorre tra noi e il colore sarà

necessario distinguere nettamente il modo di percezione per mezzo della vista. Ogni uomo ospita nel proprio cervello un mondo di colore e di forme per cui la prima coscienza di ognuno si popola di percezioni delle cose nella loro apparenza visibile.

Prima che si sviluppi la capacità di formulare dei concetti e di assoggettare la successione della causa e dell’effetto, l’uomo popola il proprio spirito delle molte immagini dell’esistenza oggettiva fortemente colorata. Direi, senza timore di esagerare, che il colore è un piacere genuinamente estetico‹,› cioè esalta e attivizza i comuni nostri processi psichici da cui derivano tutti o quasi tutti i nostri piaceri. Faccio un esempio.

Supponiamo che io sia solito colorire un oggetto con intensità cromatica di forza 2. Dipingendo lo stesso oggetto con intensità cromatica ‹di› forza 4, proverò il piacere immediato di un raddoppio della mia energia mentale. Né la cosa si ferma qui. Chi è capace di cogliere diretto piacere prodotto dall’intensità cromatica di un oggetto, generalmente è portato agli ulteriori piaceri dell’analisi e della riflessione.

Ricordiamoci sempre che, per realizzare un oggetto colorato‹,› noi dobbiamo conferire valori tattili alle sensazioni della nostra retina. Somministrandoci questi valori tattili più rapidamente di quelli che ci offre l’oggetto incolore, cioè non dipinto, ci procuriamo‹,› oltre all’accrescimento della nostra capacità visiva, una più vivida acquisizione dell’oggetto medesimo160.

A questo punto sorge una domanda che, benché irrilevante, è difficile tacere: “perché siamo tanto profondamente commossi da particolari rapporti di colore?”

La risposta più sincera è questa: “Perché il colore‹,› organizzato secondo alcune leggi gestaltiche, diventa forma e perciò espressione‹”›.

Per discutere seriamente su ogni fatto pittorico è sufficiente essere d’accordo che forme e colori ordinati secondo certe leggi ignote e misteriose hanno il potere di commuoverci in modo tutto particolare. Tali combinazioni e organizzazioni di colori e forme capaci di

160 Segue un breve brano cancellato: «Le proporzioni di questa mia breve esposizione mi vietano di approfondire un tema al cui pieno trattamento occorrerebbe più dell’intero tempo a mia disposizione».

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suscitare emozioni, le chiameremo “Forme significanti”.Il termine “Forma significante” comprende combinazioni di linee e colori. Infatti è

impossibile distinguere, filosoficamente, colore e forma. È inconcepibile una linea priva di colore o uno spazio privo di colore; né è possibile concepire un rapporto informe di colori161. Il solo colore soddisfa il nostro senso visivo, anzi meglio, la nostra vita fisicamente detta, ma non ha potere emozionale se non quando esso è organizzato in forme specifiche.

Per apprezzare una organizzazione di forme e colori fino alla commozione noi dobbiamo lasciare dietro di noi tutto il nostro bagaglio di elementi di vita comune, ogni nostra cognizione delle idee e degli affari quotidiani, ogni familiarità con le nostre comuni emozioni. L’organizzazione di alcune forme e di particolari colori ci trasferisce dal mondo della giornaliera e comune attività umana in un mondo di esaltazione estetica. Di fronte a questo fatto eccezionale, per un attimo, noi siamo isolati da ogni interesse umano; le nostre previsioni e i nostri ricordi si arrestano; siamo soltanto al di sopra del fiume della vita162.

Ma nel momento di provare una emozione estetica guardando la combinazione di colori e forme, percepiamo anche intellettualmente la giustezza e la necessità di quella combinazione?

Se è così (e personalmente non ne dubito)‹,› ciò spiegherebbe perché noi riconosciamo, d’acchito, la bontà di certe espressioni di forme e colori attraversando velocemente una sala dove sono esposti dei quadri di pittura. È come se avessimo riconosciuto intellettualmente la giustezza di quelle forme colorate senza esserci fermati per fissare la nostra attenzione. Se è così, sarebbe legittimo indagare se siano le forme in se stesse oppure la nostra percezione sensibile la causa della nostra emozione estetica.

Ma non credo che sia il caso di attardarci a discutere qui questo argomento. Lo faremo più in là.

Sono andato indagando sul perché [di] certe combinazioni di forme e colori hanno il potere di commuoverci. Non avrei imboccata una strada diversa se avessi voluto, invece, indagare perché certe combinazioni di forme colorate sono da noi percepite come giuste e perché la nostra percezione della loro giustezza susciti in noi commozione.

Ciò che volevo dire è questo: il pensatore assorto nelle sue speculazioni e colui che guarda e contempla quella particolare combinazione formale-cromatica, abitano in un mondo carico di un intenso e particolare significato. Quel significato non ha rapporto coi significati della vita comune. In questo mondo non hanno luogo le emozioni della vita. È un mondo di emozioni sue proprie.

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Per apprezzare la bontà delle forme colorate, dobbiamo essere forniti di sensibilità alla forma e al colore. Quel poco di conoscenza, ammetto, è essenziale per apprezzare il valore formale che ci procura emozione. Chi sente poco o nulla l’emozione per la forma colorata si trova sempre a mal partito davanti al fatto d’arte visiva. Egli è come un sordo a un concerto. Sa di trovarsi al cospetto di qualcosa di grande, ma gli manca l’organo per percepirlo. Sa che dovrebbe provare una forte commozione, ma accade che quella speciale Emozione che quelle 161 A questo punto sorge una domanda… un rapporto informe di colori] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., pp. 256-258. Sulla nozione di forma significante cfr. anche ivi, pp. 43-44.162 Per apprezzare una organizzazione… fiume della vita] cfr. S 6, supra, pp. 21; S 8, supra, 35.

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forme possono163 suscitare sia di un genere ch’egli non ha la capacità di sentire. Così egli legge dentro quelle forme colorate quei fatti e quelle idee per le quali è capace di provare commozione e prova per esse le sole Emozioni che è capace di provare: le emozioni della vita quotidiana164. Invece di lasciarsi trasportare dalla corrente emotiva in un mondo di esperienza estetica, fa un brusco dietro-front e se ne torna diritto in casa propria, cioè nel mondo degl’interessi umani165.

Siete mai stati a visitare un Museo delle Cere? Nel Museo delle Cere troviamo figure riprodotte a grandezza naturale, somiglianti al personaggio esistito o esistente, completamente in cera o in plastica, con un colorito della pelle che sembra vero, complete di occhi, capelli ecc...

Lo spettatore che guarda queste figure artificiali e somiglianti al vero, non riceve l’impressione della vita, ma sente l’orrore della morte. Perché?

Perché a quelle figure così somiglianti agli originali, mancano i moti sublimi che accompagnano la vita.

A questo punto sarà meglio concludere questo mio primo approccio con voi radioascoltatori. È stato un contatto veloce e‹,› come tutte le cose fatte in fretta, ha appena sfiorato la problematica che ruota intorno alle Arti visive e alla pittura in particolare. Gli argomenti trattati andrebbero approfonditi e discussi non solo attraverso le mie teorizzazioni pratiche e conoscenziali, ma confortate dai rilievi e dalle osservazioni di voi che ricevete in ascolto radiofonico queste asserzioni.

Personalmente non ho nessuna inclinazione al cattedratico. Ho sempre ritenuto positivo e formativo il dialogo aperto e sincero tra chi enuncia massime e teorie e chi le riceve. È augurabile che questa musica culturale che Radio TRT dona agli ascoltatori trovi credito di consensi e d’intervento. Sì‹,› anche d’intervento, perché sia io che il Prof. Raffaele Orlando pensiamo che la divulgazione e l’acquisizione del fatto artistico non sarà mai efficace se non si riesce a creare una comunione di consensi tra chi enuncia e chi ascolta. ‹Perciò› invitiamo gli ascoltatori di Radio TRT a partecipare alla nostra rubrica, scrivendo o telefonando per porre quesiti, obiezioni o critiche a quanto noi ‹and›iamo esponendo.

La partecipazione attiva ‹dei vos›tri interventi stabilirà un rapporto fecondo così nece‹ssario per› portare chiarezza ai tanti problemi, mai interamente ‹riso›lti, che affliggono l’uomo contemporaneo così crudelmente esposto alle deviazioni intellettuali e morali della società dei consumi e dei mass-media.

Arrivederci, anzi, a risentirci alla prossima trasmissione.

– Gennaio 1982 –

163 Possono] corregge «può».164 Chi sente poco o nulla... le emozioni della vita quotidiana] cfr. R 8, infra, p. 84.165 Per apprezzare una organizzazione… degl’interessi umani] cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., pp. 265-268. Chi sente poco… degl’interessi umani] cfr. S 6, supra, p. 22, n. 16.

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L 2 ‹Composizione e uso del colore›166

Chi ha seguito la mia trasmissione delle ore 17 di giovedì 14 scorso, si sarà domandato perché insisto tanto sulle teorie del colore e su quelle della sua applicazione. La mia insistenza fa leva sul desiderio d’informare il radioascoltatore in modo semplice e concreto perché egli possa trarre notizie utili alla sua formazione conoscenziale. Non si può capire l’Arte visiva senza conoscenza! Queste notizie così schematiche saranno utilissime quando tratterò i problemi dell’Arte. E badate che quando dico “Arte” mi riferisco alla pittura, alla scultura e al disegno di ogni tempo ed epoca e non solo dell’Arte cosiddetta moderna167.

Oggi la mia lezioncina sarà d’ordine tecnico e pratico e perciò esposta in termini quanto mai accessibili anche al più sprovveduto ascoltatore in materia.

Parlerò della composizione del colore. Di che materia è fatto. Di come adoperarlo nelle diverse tecniche pittoriche. E accennerò brevemente alle diverse applicazioni del colore per realizzare opere d’arte pittoriche.

Il colore è un composto naturale o chimico (cioè derivato dai processi di trasformazione chimica).

I colori naturali sono ricavati da terricci dotati di particolari pigmenti, giacenti in cave site in zone di terreno particolarmente ricche di materia colorante. Queste materie vengono estratte e isolate da altri ingredienti estranei fino al punto da ottenere un amalgama puro rispondente ad una particolare gamma cromatica. Colori naturali sono le cosiddette terre che adesso vi elencherò.

Esse sono: Terra gialla – Terra ocra – Terra di Siena – Terra di Pozzuoli – Terra rossa – Rosso inglese – Terra d’ombra – Terra verde – Bruno Van Dyck – Nero di Kassel – Nero avorio.

Dette terre sono fissate in gamme naturali o bruciate, cioè più scure del timbro base. Naturalmente in commercio le troviamo d’intensità diversa‹,› variabile secondo la ditta che le produce e le confeziona in paste o in polvere.

Oltre alle cosiddette Terre vi sono altri colori ricavati chimicamente; cioè i solfuri, i cloruri e i carbonati.

I solfuri derivano dal trattamento chimico dello Zinco, del Titanio, del Cromo, del Cadmio e del Cobalto. I carbonati invece esclusivamente dall’Argento e dal Piombo. Ma di questi farò un discorso a parte‹,› poiché il loro uso comporta una serie di precauzioni ed anche perché sono pochissimi.

I colori solforosi sono: il bianco e il verde di Zinco, il bianco di Titanio – che è anche un cloruro –, il giallo di Cromo chiaro e scuro, il giallo di Cadmium nelle diverse tonalità, il blu

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Testo redatto con biro nera su dieci fogli a quadretti. Si tratta della seconda lezione radiofonica tenuta il 21 gennaio 1982. Data di stesura: gennaio 1982. Il testo presenta correzioni.167 Segue un breve brano cancellato ripreso nella riga successiva.

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oltremare, il blu Cobalto168 e il viola, il rosso vermiglio, il rosso cinabro (questo può essere ricavato sia dal composto tra mercurio e zolfo‹,› e allora è un solfuro, oppure può essere trovato al naturale in giacimenti in Toscana e nelle Alpi Venete‹,› e allora è considerato una Terra), l’indaco ricavato sia da un vegetale che cresce nelle Indie e nel Messico, oppure ottenuto chimicamente da un particolare trattamento della naftalina.

Infine i carbonati ricavati da sali formati dall’applicazione dell’acido carbonico sull’argento e sul piombo. Questi ultimi, cioè i carbonati, sono pochi, addirittura 3, cioè il bianco d’argento (ormai quasi in disuso per l’alto costo di produzione e per la scarsa applicazione in pittura ed anche per la sua tendenza ad ossidare presto sia al naturale che mescolato ad altri colori) ed infine i derivati dal piombo che sono il Verde Veronese e il Blu di Prussia‹,› che ora vengono usati spesso solo nella pittura ad olio perché la chimica ha trovato un solvente che ne ritarda l’ossidazione e la tossicità. Il loro uso deve essere comunque molto moderato e richiede una tecnica d’applicazione particolare. Essendo in commercio anche per usi decorativi, cioè per pitturare camere o suppellettili, adoperarli non è mai consigliabile. Particolarmente il Verde Veronese e il Blu di Prussia (essendo derivati dal Piombo) a contatto con l’aria e la luce ossidano e emanano nocive esalazioni pericolose agli occhi, alla pelle e alla respirazione.

Anche per l’uso nella pittura ad olio la loro applicazione comporta alcuni accorgimenti. Se spalmati in purezza, cioè senza mescola, possono ritardare la loro ossidazione se impregnati esclusivamente con olio di Papavero. Questo speciale olio è l’unico solvente con il quale è possibile trattare i carbonati di Piombo. Né ‹l’›olio di lino, né quello di noce e tantomeno l’essenza di trementina o l’acqua ragia, possono venire a contatto con detti carbonati senza accelerare la loro ossidazione che si manifesterà nel breve termine di giorni. Tuttavia si adoperano mescolati ad altri colori di natura solforosa sempre che si introduca nella miscela l’olio di Papavero. Assodato, quindi, che i carbonati di piombo possono usarsi al naturale e uniti a colori solforosi conservando nel tempo la loro forza tonale, rimane da precisare l’assoluto divieto del loro uso con mescolanze di colori terrosi; cioè con le Terre di cui ho parlato in principio. La mescolanza dei carbonati di piombo con i colori di Terra produce una reazione immediata, cioè nel momento stesso dell’amalgama. La loro fusione altera sia il tono che la brillantezza del colore che si vuole ricavare, producendo un composto cretoso ed opaco non utile per nessuna applicazione.

[[A me]] sembra di aver detto abbastanza sulla composizione del colore, anche se ho corso il rischio di annoiarvi un poco. Del resto, amici ascoltatori, le teorie e le poetiche con le quali si è soliti parlare di pittura, non fanno da soli “conoscenza”‹,› se non ‹sono› confortate da quelle notizie tecnico-pratiche quasi sempre un poco ostiche da recepire.

Veniamo, perciò, a un argomento più confortante e meno pesante del precedente. La spiegazione delle diverse tecniche pittoriche che presumono fattezze di natura artistica. Cioè i quadri di pittura.

Le tecniche pittoriche per realizzare opere visibili da un punto essenzialmente estetico-figurale, sono le seguenti: il pastello, l’acquerello, il guazzo, la tempera grassa e secca, l’affresco, l’olio e per certe realizzazioni secondarie l’incisione, la xilografia, la litografia,

168 Segue un breve brano cancellato: «dal quale si ottiene anche l’indaco».

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l’eliografia, la calcografia e la serigrafia – l’acquaforte.‹Per› spiegarle tutte in una sola lezione e per di più a mezzo radio occorrerebbe molto

tempo. Oggi limiterò la spiegazione alle sole tecniche del pastello, dell’acquerello, del guazzo e della tempera. L’affresco e l’olio comportano notizie lunghe e dettagliate in quanto tecniche difficili.

Cos’è e come si usa il Pastello. I pastelli sono gessetti colorati compressi che non contengono alcun collante per renderli omogenei e adesivi. Sono in commercio in bastoncini cilindrici oppure racchiusi in involucri di legno come le matite. La loro gamma timbrica può giungere oltre gli 80 toni. Questa vasta disponibilità di toni cromatici è in strettissima relazione con l’uso tecnico dei pastelli che, pur assumendo aspetti formali, devono essere strofinati su una superficie bianca o tinteggiata. Preferibilmente su carta non patinata, cioè non liscia. Infatti strofinando il pastello su una superficie si origina una polvere che non avendo corpo adesivo per l’assenza di collante, può, sulla carta troppo patinata, non aderire perfettamente e perciò disperdersi.

Quindi ‹bisogna› usare una carta un poco ruvida in modo da permettere al pigmento polveroso di stazionare nel posto voluto. La posa in opera del pastello non può essere effettuata per sovrapposizione. Una volta strofinato e posto in una determinata zona dello spazio un giallo cromo, (per esempio) non si può sovrapporre ad esso ‹un’›altra tonalità di giallo. Succederebbe un pasticcio cromatico poiché i due colori sovrapposti non ‹si› mescolerebbero mai perfettamente. Vedremo poi che la stessa regola vale anche per l’acquerello. Ogni colore va posto al posto preciso dove si decide di collocarlo. Se si sbaglia detta collocazione il lavoro in pastello perde splendore e vivezza e diventa uno scarabocchio169.

Ma, vi domanderete, un lavoro eseguito a pastello, essendo polvere mancante di collante adesivo, è soggetto a cancellarsi facilmente! Effettivamente è così. E allora la scienza inventa un collante che può essere usato per fissare quei colori sulla superficie data. Nessun collante o fissativo può essere spalmato a pennarello sui pastelli senza correre il rischio di sporcare e confondere‹,› con un elemento liquido, una superficie colorata con polveri. Ed ecco inventato un fissativo spray che‹,› nebulizzato adeguatamente sulla superficie pastellata, fissa i colori senza nuocere sia al tono che alla forma di ogni singola partitura cromatica. Il lavoro pastelloso così trattato non subisce cancellazioni o dispersioni della materia usata. Naturalmente la pittura in pastello così come altre pitture che esamineremo, non è lavabile e per conservare la durata è necessario porla sottovetro. È sufficiente questa spiegazione? Se riterrete di no, scrivete o telefonate a Radio TRT e state certi di ottenere risposte esaurienti.

Vediamo di trattare la pittura all’acquerello‹,› la cui tecnica di realizzazione presenta difficoltà analoghe se non superiori al pastello. A differenza del pastello che si usa a secco, l’acquerello (lo dice la parola stessa) si realizza sciogliendo il colore con l’acqua. I colori sono in commercio sia in pasticche compresse che in pasta in tubi speciali. Nelle due versioni il pigmento colorante è impastato con un collante (generalmente gomma arabica) che ne consente il fissaggio in opera con immediatezza senza timore di cancellazioni. I colori per acquerellare non sono così numerosi come i pastelli e manca assolutamente il bianco. La

169 Segue un breve brano cancellato: «Seguendo le regole che ho descritte, si otterranno lavori meravigliosi che poche altre tecniche pittoriche danno».

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gamma cromatica va dal giallo cromo al nero avorio‹,› per cui difficilmente supera una dozzina di colori. Ciò perché le mezze macchie o mezzi toni, cioè quelli intermedi da un colore all’altro, vanno ottenuti diluendo il colore base con l’acqua. L’assenza del bianco è giustificata dalla tecnica dell’acquerello. Il bianco è la luce massima che una figura o un oggetto riceve170. Ebbene quel bianco o luce massima deve risultare dalla superficie della carta sulla quale si acquerella e perciò deve rimanere scoperta. Ecco perché si acquerella normalmente su carta bianca e raramente su altro materiale lievemente colorato. Importante anche per questa tecnica usare una carta speciale che è fornita da cartolerie particolari. La carta più idonea è quella fabbricata a mano dalle Cartiere Miliani di Fabriano. Detta carta o cartoncino ha la prerogativa di assorbire il colore liquido senza alterarlo con macchie eterogenee. Consente, altresì, di operare sfumature del colore adoperato dallo scuro al chiaro-luce. Queste sfumature si ottengono diluendo il colore che si usa con acqua sempre pulita e chiara. Ma il colore fluido e acquoso posto sulla carta rimarrà umido per un certo periodo di tempo‹,› durante il quale non è possibile accostarlo, facendolo combaciare, con altro colore. Il rischio che si corre‹,› se non si rispetta questa regola‹,› è quello di vedere i due colori mischiarsi tra loro alterando quello che si vuole ottenere. Non è escluso che il provetto acquarellista ricorra all’uso e all’accostamento di due colori diversi ancora nello stato umido e acquoso. Se lo fa‹,› è sempre spinto dalla esigenza di creare effetti particolari che agendo diversamente non possono realizzarsi. Questa tecnica è riservata a chi ha acquisita una lunga esperienza della pittura acquerellata. Come per il pastello‹,› anche per l’acquerello non è permesso sovrapporre un colore sull’altro anche dello stesso timbro. Si perde la freschezza e la trasparenza del primo colore messo in opera ch’è la qualità più pregevole di un buon acquerello. Dunque è essenziale, prima di colorire, sciogliere la tinta, liquefarla nella bacinella fino al punto d’intensità cromatica voluta e infine porla sulla carta per compiere o modellare la cosa che si vuole raffigurare. La pittura ad acquerello non ha bisogno di fissativo. Il pigmento contiene un collante che lo fissa sulla carta in modo indelebile. Tuttavia anch’essa andrà conservata sottovetro per preservarla dalla polvere e da macchie eterogenee. Naturalmente anche questa pittura non è lavabile171.

Esaminiamo, adesso, la tempera e il guazzo.La tecnica di realizzazione è quasi uguale. Le differenze sono minime. Il colore a tempera

contiene‹,› nel suo amalgama, un collante‹;› perciò, nell’uso è solo necessario diluirlo con un poco d’acqua fino a ridurlo di densità robusta, cioè molto spessa, in modo che la messa in opera abbia forza di copertura. Il colore per il guazzo non contiene collante (anche se oggi si trovano in commercio colori in tubi mescolati a colla). Il più tradizionale colore per il guazzo è amalgamato con acqua. Per usarlo bisognerà mescolarlo con un collante tenuto in disparte. Si bagna il pennello nel collante e si scioglie il colore volta per volta. Solo così è possibile

170 Segue un breve brano cancellato: «nel chiaroscurare quello che si vuole fissare».171 Segue un brano cancellato: «Qui mi fermo pensando alla vostra pazienza che può aver raggiunto il livello di guardia.

Queste cose dette per radio hanno solo un valore informativo. Insegnarle in modo più efficace è possibile solo nelle scuole d’arte dove alla comunicazione si accoppia l’uso e la pratica di determinate tecniche. A Termoli esiste un’ottima scuola d’arte privata‹,› condotta dal Prof. Raffaele Orlando‹,› che sta dando già risultati positivi per chi vuole apprendere praticamente cognizioni pittoriche anche a solo titolo di “conoscenza”.

A ben risentirci al prossimo giovedì alle ore 17».

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fissarlo sulla superficie a disposizione. La pittura a tempera e a guazzo può realizzarsi su carta, cartone, legno, nonché sui muri. A differenza del pastello e dell’acquerello, nelle due tecniche d’applicazione è permessa la sovrapposizione di più sostanze colorate. Se la prima stesura di una tinta non è di gradimento‹,› si può coprirla con un altro colore‹,› purché quello precedente sia ben asciugato. Ciò consente una maggiore libertà d’uso e non fa correre il rischio di mescolanze scadenti.

Ma ho fatto una distinzione parlando della pittura a tempera. Ho detto: tempera secca e tempera grassa. Vi spiegherò la differenza. La tempera secca è chiamata anche tempera acrilica‹,› cioè un amalgama speciale a prosciugamento rapidissimo che una volta applicato asciuga subito e subisce un abbassamento tonale molto lieve; cioè oscurisce lievemente. Questa qualità consente l’uso veloce della materia che non subisce variazioni tonali. La tempera grassa, invece, mette più tempo ad asciugare e quando asciuga il tono cromatico schiarisce lievemente e perciò cambia forza timbrica. Questo processo di schiarimento tonale avviene ancora più pronunziato nella pittura al guazzo‹,› quindi nelle due tecniche di applicazione deve calcolarsi la forza tonale una volta che [che] i colori ‹si› asciugano.

Naturalmente le tecniche che brevemente vi ho illustrate richiedono un lungo tirocinio di applicazione per ottenere risultati soddisfacenti. Più è vasta la conoscenza delle tecniche particolareggiate per ogni tipo di pittura, più agevole è il risultato che si vuole ottenere. Ecco perché ho sempre ritenuta la pittura una “disciplina” e mai uno svago di natura empirica. Una disciplina sia d’ordine tecnico che morale.

A risentirci al prossimo giovedì.

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L 3 ‹Storia dell’arte. L’Impressionismo/I›

Testo redatto con biro blu su sette fogli. Data di stesura: gennaio-febbraio 1982. Il testo presenta poche correzioni. Si basa su Gli impressionisti e la loro epoca, cit., pp. 5-9, di cui riproduce interi brani.

Contenuto:In generale sull’impressionismo.Manet.Contatti fra pittura, poesia e filosofia (Laforgue).Valore dell’impressionismo sui movimenti pittorici successivi.Pissarro.Monet (la pittura si emancipa dal mondo esterno; di qui si comprende l’essenza di tutta la pittura moderna).

L 4 ‹Storia dell’arte. L’Impressionismo/II›

Testo redatto con biro nera e biro blu su nove fogli. Data di stesura: gennaio-febbraio 1982. Il testo presenta poche correzioni. Si basa su Gli impressionisti e la loro epoca, cit., pp. 9-15, di cui riproduce interi brani, e presuppone la lettura di H. Read, Breve storia della pittura moderna, cit.

Contenuto:Renoir.Degas.Toulouse-Lautrec.Gauguin.(Simbolismo).Van Gogh (incontro fra Van Gogh e Gauguin).Redon.Cézanne (l’unico vero precursore di tutti i movimenti artistici contemporanei).Il Doganiere Rousseau.

L 5 ‹Storia dell’arte. Matisse›

Testo redatto con biro nera sui primi quattro fogli di un quaderno. Data di stesura: presumibilmente nella primavera del 1982. Il testo presenta poche correzioni. Eccetto la pagina introduttiva, il testo si basa su H. Read, Breve storia della pittura moderna, cit., pp. 34-40.

Contenuto:L’arte sottostà al passare del tempo.Matisse (sviluppo della sua pittura, la sua poetica, il rapporto con la pittura di Cézanne).

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III. Riflessioni, appunti, abbozzi

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‹R 1› ‹Arte, artista, mass-media›172

‹R 1.1›1) La storia dell’arte dovrebbe essere scritta in termini d’arte, cioè come una graduale trasformazione di forme visive. Ciò non significa sottovalutare le forze sociali ed intellettuali che hanno trasformato la civiltà del mondo occidentale. A questo riguardo le arti plastiche e tutte le arti sono profondamente inserite, come causa e come sintomo, nel processo della storia. Esse prefigurano e danno un profilo plastico ad inibizioni e aspirazioni che altrimenti rimarrebbero represse e inespresse. In tal senso gli artisti sono incorporati nella società e agiscono come unità disperse in mezzo ad essa, piuttosto che come membri di uno o più gruppi autosufficienti e indipendenti173.

‹R 1.2›In questa epoca di autocoscienza storica, la fonte di creazioni significative non è più derivante dal genio individuale, bensì dalla meditazione dell’artista sul proprio retaggio estetico e sulla propria assimilazione di tale retaggio.

Egli è, in primo luogo, un critico le cui riflessioni sul quadro fanno nascere un’arte consapevole della propria essenza in una nuova dimensione174.

‹R 1.3› mass-mediaOggi si vive sempre meno in presa diretta; ci impongono la conoscenza della realtà attraverso la potente mediazione dei mezzi di comunicazione di massa (mass-media): televisione, cinema, rotocalchi, fumetti, affissi pubblicitari: immagini che fanno aggio, che sembrano più concrete degli stessi oggetti corposi che riproducono. La vita sembra un sogno! Sembra pellicola, teleschermo, fotografia, poster, carta stampata, simbolo. Ecco “simbolo”; tutta la vita un simbolo.

‹R 1.4› ‹Schema di un’eventuale lezione›

1) Il contributo degli anzianiMarcel DuchampAndré MassonWilli Baumeister

2) Simbolo – Forma – ColoreArshile Gorky

172

Appunti redatti con biro blu su un foglio bianco piegato in due. Sul recto si trovano R 1.1-3, sul verso R 1.4. Data probabile di stesura: prima dell’aprile 1965. Lo suggerisce la ripresa di R 1.1-3 in S 1, v. supra, p. 15.173 Cfr. H. Read, op. cit., pp. 50-51.174 Cfr. S 6, supra, p. 19, n. 7.

8

MattaCamille BryenHans HofmannE. W. Nay

3) Pit tura come Sintesi di un’azione Jackson PollockGeorges MathieuEmilio Vedova

4) Incarnazione del SegnoHans HartungMark TabeyJaroslav SerpanHenri MichauxShiryn Morita

5) Il Dubb ioso Modello WolsWillem de KooningAntonio SauraHans Platschek

8

‹R 2› Riflessioni175

‹R 2.1›L’artista offre, in grazia alla propria originalità, un contenuto nuovo alla sua epoca, elevando nell’espressione la propria visione del mondo, la propria conoscenza‹,› offrendo[ne] all’umanità di farle proprie per un tempo più o meno lungo. Solo così egli arricchisce di giorno in giorno l’universo degli uomini.

La sua formazione culturale consiste nel riconoscere ed accogliere in sé l’infinita varietà delle istituzioni della vita e del mondo, come giorno per giorno furono elaborate attraverso i secoli dagli uomini grandi176.

‹R 2.2›Chi riconosce o crede di riconoscere.

La scienza è sviluppo ed elaborazione della coscienza discorsiva; l’arte è sviluppo ed elaborazione della coscienza intuitiva. Nella riflessione e nella ricerca l’uomo pone la sua coscienza discorsiva sempre in primo piano. Raramente si accorge che anche la coscienza intuitiva dà lavoro al suo pensiero, e fatalmente omette di riconoscere che essa è determinata da uno sviluppo indipendente che si trova nell’arte‹,› la cui essenza in null’altro consiste se non nello sviluppo della coscienza intuitiva177.

‹R 2.3›Quando l’uomo contempla la propria vita spirituale, quando scorge le sensazioni condensarsi in percezioni, foggiarsi le immagini, formarsi i concetti, e come poi questo pensiero si spoglia anche del variopinto abito della lingua per presentarsi in semplici forme e colori, allora si fa consapevole dell’evoluzione della propria natura spirituale che lo innalza al più alto destino cui egli è chiamato fra le altre creature178.

‹R 2.4›Emerge una tendenza inquieta che raddoppia l’intensità visiva‹,› per cui le deformazioni convulse delle forme naturali cercano di esprimere l’inquietudine che si prova dinanzi a una natura fortemente inquinata e perciò ostile e disumana.

175

Le riflessioni R 2.1-5 sono scritte con biro blu su quattro fogli di un block notes a quadretti recanti disegni geometrici a matita, fra i quali mancano alcuni fogli, forse contenenti altre riflessioni e annotazioni. Data di stesura: dopo il 1977. Lo suggerisce il fatto che quell’anno è apparso il volume La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo (cit.), dal quale sono presi alcuni estratti. I testi presentano alcune correzioni.176 Cfr. La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., p. 116.177 Cfr. ivi, p. 113.178 Cfr. ivi, p. 84.

8

‹R 2.5›La realtà che detta scuola trasmette ai giovanissimi allievi179 sovrasta il gioco e il diletto per trasferirla tutta nella fantasia di ogni singolo individuo.

Così questi fanciulli fanno esperienza sul comportamento ricettivo dell’organo sensoriale‹,› attraverso il quale acquistano immediata coscienza conoscitiva sia della realtà esterna che di quella interna180.

‹R 2.6›2000 g. di Farine vegetali proteiche1000 g. di Rosso d’uovo essiccato 200 g. di Farina di erba medica disidratante 200 g. di Farina di carne 200 g. di Lecitina di uovo 20 g. di Bifosfato di vitamina B1 20 g. di Monofosfato di sodio

179 Riferimento alla scuola di pittura per bambini, una delle attività del Centro culturale “La bottega dell’arte”, fondato da Hugo Orlando e Raffaele Orlando alla fine degli anni ’70.180 Segue un breve brano cancellato: «della vita del senso visivo».

8

‹R 3› ‹Filosofia e pittura. Idealismo e rappresentazione›181

Un tempo appariva logico che l’esame minuzioso degli aspetti esterni della “Natura” potesse accrescere la comprensione e l’effetto estetico‹,› per cui si sosteneva che il mondo della vista interiore ed esteriore costituiva tutto il mondo visivo che l’uomo possiede.

Ai nostri giorni invece appare ovvio il fatto opposto.La maestosità di una montagna, la solennità di un albero, l’armonia della bellezza umana,

sono soltanto costruzioni della nostra mente. Dietro tutto ciò vi sono gli atomi e il vuoto oppure il mondo turbinoso delle impressioni dei sensi. Le infinite superfici e strutture visibili della natura sono pure idee soggettive, nostre costruzioni teoretiche, molto lontane dalla “realtà”, che è pura attività dello spirito.

Queste, pressappoco, le teorie enunciate per alcuni decenni da molti scienziati e filosofi.Il concetto di “essenza estetica” ha avuto grande parte nel pensiero degli scrittori di

estetica fino al punto di influenzare i trattati di critica. È probabile che da detto concetto si avvalori la teoria di un noto studioso americano che suona pressappoco così: «poiché la somiglianza con la natura è, nella migliore delle ipotesi, superflua e, nella peggiore, fonte di distrazione, tanto varrebbe [ad] eliminarla»182.

È interessante e molto significativo annotare come il disinteresse e l’antipatia alla rappresentazione possono venir messi in relazione con le dottrine dominanti nella filosofia europea183.

La stessa ossessione moderna circa la libertà creativa e l’emancipazione dell’io dalle pastoie della natura, può essere messa in rapporto con alcune dottrine-chiave della filosofia del Croce, che sintetizza tante comuni esigenze184. Significativa la seguente considerazione del grande filosofo: «Messo di fronte alla bellezza naturale‹,› l’uomo è esattamente il mitico Narciso che si specchia nella fonte».

La filosofia europea, da Kant in poi, è consistita nel complesso di variazioni su un idealismo filosofico che, riassumendo nella definizione del concetto di arte tutta l’esperienza

181

Testo redatto con penna stilografica sul recto e il verso di un unico foglio. Il recto è numerato con I. Manoscritto non databile. Si tratta di una pagina di appunti estratti, eccetto l’ultimo capoverso («La pittura [[moderna]]… nelle secche del positivismo»), da I pittori moderni e il loro mondo, cit., pp. 8-9, 15. I pensieri qui contenuti ricorrono tutti, in forma più o meno rielaborata, in S 4, S 5 e S 2, fatta eccezione per un breve brano («Significativa la seguente considerazione… si specchia nella fonte»») che, dapprima trascritto in S 5, è stato successivamente cancellato. Il testo è stato rivisto in un secondo momento e presenta correzioni.182 È probabile che da detto concetto… tanto varrebbe [ad] eliminarla] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., p. 15. Cfr. anche S 9, supra, p. 58.183 Segue un brano cancellato: «L’ossessione moderna circa la libertà creativa e la liberazione dell’io dalla soggezione della natura può essere messa in rapporto con alcune dottrine-chiave della filosofia che ha accettato qualche verità come quel principio e la fede rivoluzionaria in arte significhi progresso spirituale creando una dottrina che ammette la “pura essenza estetica” come primo sistema, prelogico e autonomo di auto-espressione dello spirito, superiore e al di sopra di ogni altra attività».184 Segue un breve brano cancellato: «Infatti la filosofia europea, da Kant in poi, è consistita nel complesso di variazioni su un “Idealismo” che ha contribuito a creare tutta una cultura».

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della tradizione figurativa classica, l’aveva svuotata d’ogni contenuto storico per trasferirla sul piano teoretico. Quella stessa filosofia ha accettato anche delle verità affini: come, per esempio, il principio rivoluzionario o la fede nel fatto che la “visione rivoluzionaria” significhi progresso spirituale, e la dottrina di una pura essenza estetica quale sistema primo, prelogico e autonomo di auto-espressione dello spirito185.

Infatti se il così detto “oggetto della conoscenza” o “della percezione” non ha più nulla a che fare con ciò che è posto davanti a colui che guarda e che pensa, ma è esso stesso una costruzione autonoma di colui che guarda e che pensa, [e] allora è chiaro che la vecchia e logora contesa circa la “rappresentazione” della natura era completamente priva di senso. Le immagini e le libere creazioni fuori dall’ordine naturale non sono meno valide e informative della “rappresentazione”. Anzi oggi sono ritenute più valide per il semplice fatto che esse sono più vicine al centro creativo dell’immaginazione e del pensiero186. Se, infine, le apparenze del mondo sono fallaci ed ingannatrici, se esse non sono di guida alla realtà, se sono pure immagini dell’uomo‹,› [e] allora è chiaro e logico che i vecchi ideali del classicismo e del romanticismo, si dissolvono inesorabilmente o per lo meno diventano un miraggio. E sarebbe sciocco e inutile idealizzare o rappresentare un miraggio187.

La pittura [[moderna]] si è impegnata a correggere l’errore di rotta che sembrava di aver condotto la navicella dell’idealismo figurativo ad arenarsi nelle secche del positivismo188.

185 Segue un brano cancellato: «Ma le ragioni di principio di un’arte priva di collegamento col passato e pertanto al di fuori degli stili o delle forme tradizionali, non sono solo ed unicamente di natura filosofica. Queste ragioni sono prevalentemente sociologiche». Cfr. S 5, supra, p. 47; S 2, supra, p. 54.186 Infatti se il così detto “oggetto della conoscenza”… dell’immaginazione e del pensiero] cfr. S 2, supra, p. 54.187 Un tempo appariva logico… rappresentare un miraggio] cfr. S 5, supra, pp. 47-48. La filosofia europea consisteva… rappresentare un miraggio] cfr. S 9, supra, p. 58.188 La pittura [[moderna]]… nelle secche del positivismo] cfr. S 4, supra, p. 42.

8

‹R 4› ‹Astrattismo e creazione. Impegno morale e riferimento al presente›189

‹R 4.1›Ma chi si aspettava che, risvegliandosi dall’incubo, gli artisti di oggi si ribeassero nella contemplazione della natura e riuscissero finalmente a riaccendere la logora e scaduta vocazione classica, è stato disingannato.

I segni e le forme nuove reperiti attraverso una lunga e travagliata indagine sull’origine semantica e sulle accidentalità della forma si sono profondamente stampati nella coscienza degli uomini di tutto il mondo190.

E non che mai, se non con le parole ed i segni della nostra umana esperienza, riusciremo ad esprimere la nuova tenerezza degli affetti? Se il pauroso succedersi di crisi di violenza non ha distrutto né la nostra vita né la speranza, ciò vuol dire che le forze della creazione, quelle cioè che si generano dalla struttura, sono più valide di quelle distruttive, che si generano dalla sovrastruttura della società.

Perciò possiamo affermare che solo ed unicamente nella piena libertà della “creazione” si realizza e si esprime il nostro impegno morale.

In un tempo come quello presente‹,› in cui sembra che tutti i valori vacillino e crollino a causa di smodate sovrastrutture, molti artisti contemporanei hanno avuto il coraggio morale di proporre e pronunciare un invito all’ottimismo. Non all’abbandono di un ottimismo smemorato, ma alla responsabilità e al dovere di un ottimismo cosciente.

‹R 4.2›«Il sentimento come egoismo, difesa di qualcosa di nostro, che non vogliamo alienato al mondo; ecco la prima tara dell’uomo contemporaneo». Si dice che la vita è lotta; e il sentimento è il riposo dopo la lotta. Si pretende di avere due volti; uno aperto e cordiale verso la natura, l’altro spietato e furente verso la società; ed, ecco, ci si accorge che la natura e la società sono una cosa sola.

‹R 4.3›(1) Perciò i segni, le forme nuove e i vari elementi, reperiti attraverso questa lunga e travagliata indagine e che concorrono a formare una nuova estetica, offrono all’artista una smisurata gamma di strumenti materiali e ideali per ricostruire, in un nuovo metro, la parte indagata dell’Universale: tali strumenti, provenienti dalla più varie fonti come i più diversi sono i campi di ricerca, assumono un significato che assolutamente non è più quello che ad essi deriva dalla loro convenzionale fisicità. Attraverso questo nuovo significato essi attingono una libertà espressiva mai raggiunta, che, per conservare intera la propria efficacia, 189

Testo redatto con biro blu sul recto e il verso di un unico foglio. Manoscritto non databile. Presenta correzioni.190 Segue un breve brano cancellato: «È questa la loro esperienza e non si può cambiare».

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deve raggiungere le stesse dimensioni di quel mondo, i cui orizzonti si sono aperti, improvvisamente allontanati e dissolti nell’Infinito.

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‹R 5› ‹Cézanne e il Cubismo›191

Per l’insoddisfazione di Cézanne veniva ripresa in considerazione tutta l’ossatura e la struttura delle cose‹,› per cui si coniavano una serie di nozioni che dovevano riscuotere poi ampi consensi nel mondo dei maestri della pittura moderna.

Si incominciava ad ammettere che [per] dipingere secondo verità significava evocare nell’osservatore sensazioni esatte e sentimenti appropriati; si condannava l’imitazione ritenendola un modo vuoto di conseguenze; si scopriva che la natura e tutte le superfici e strutture visibili di essa erano pure idee soggettive, nostre costruzioni teoretiche o pratiche, che distano un grado dalla realtà, la quale è pura attività dello spirito192.

A questo punto, badate bene, siamo già dinanzi ad uno degli aspetti più importanti dell’atteggiamento moderno verso l’Arte193‹,› che di solito gli storici saldano con la fine dell’Impressionismo e la nascita del Cubismo.

E indubbiamente un distacco esiste fra Cézanne e il Cubismo ed è necessario metterlo subito in evidenza.

Cézanne aderiva appassionatamente ed ostinatamente al soggetto che dipingeva, il Cubismo, invece, creava forme pure e le esponeva indipendentemente da qualsiasi realtà esterna, affermando, così, la convinzione che un dipinto è un oggetto autonomo con propria efficacia, e non una sbirciatina di sfuggita nella realtà, e neppure una reminiscenza diversa dalla propria realtà autonoma194.

«Il Cubismo – scrisse Apollinaire – differisce dalle vecchie scuole di pittura in quanto esso non mira a un’arte di imitazione ma a un’arte di concezione, la quale tende ad innalzarsi al livello della creazione»195.

L’umanità vive in un mondo tutto collegato e i pittori operano in questo mondo: per questo le considerazioni culturali e sociali sono importanti per comprendere quanto è accaduto e accade nella pittura196.

Consigliamo, perciò, agli iniziati ai problemi dell’arte di studiare gli aggruppamenti storici di pittori, i Fauves, i Brücke, i Cubisti, gli Espressionisti, i Surrealisti‹,› ai quali per assenza di spazio possiamo solo accennare197.

191

Testo redatto con biro blu sul recto di un unico foglio. Manoscritto non databile. Presenta correzioni. Il testo presuppone un pubblico di ascoltatori. Come risulta dalle note, si basa su I pittori moderni e il loro mondo, cit.192 si scopriva che la natura… pura attività dello spirito] cfr. S 5, supra, p. 47.193 Per l’insoddisfazione di Cézanne... dell’atteggiamento moderno verso l’Arte] cfr. S 9, supra, pp. 57-58.194 Per l’insoddisfazione di Cézanne… dalla propria realtà autonoma] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., pp. 7-8, 9.195 «Il Cubismo – scrisse… livello della creazione»] cfr. ivi, p. 14.196 L’umanità vive… accade nella pittura] cfr. S 5, supra, p. 49; S 2, supra, p. 55.197 L’umanità vive… possiamo solo accennare] cfr. I pittori moderni e il loro mondo, cit., p. 15.

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‹R 6› ‹Cubismo e Astrattismo›198

Senza199 alcun dubbio oggi si può affermare che il Cubismo non voleva con ciò promulgare l’esigenza di una nuova estetica, che come vedremo appresso doveva diventare l’esigenza e il problema dell’Astrattismo, ma poneva indubbiamente le basi di una nuova figuratività‹,› che non discendeva o dipendeva più dalla esperienza storica, ma, riflettendosi su di essa, serviva a chiarificarla200.

La stessa posizione dell’artista nel mondo assumeva un nuovo valore. Scriveva Apollinaire:

«I grandi poeti e i grandi artisti hanno la missione sociale di rinnovare senza posa le sembianze che la natura riveste agli occhi degli uomini. Senza i poeti e gli artisti gli uomini si annoierebbero presto della monotonia naturale: l’idea sublime che hanno dell’universo ricadrebbe con una rapidità vertiginosa».

Ma a questo punto si può obiettare: negandosi all’artista ogni iniziazione o ispirazione, ogni speciale capacità d’emozione di fronte al reale, si pone il problema di che cosa realmente sia il processo genetico della forma col quale s’inizia e si conclude l’attività artistica201.

Formulando detta obiezione s’entra d’un fiato nel vivo della problematica delle correnti artistiche moderne‹,› il cui assunto principale è la negazione di ogni rapporto tra fatto artistico e natura. Queste correnti si chiamano generalmente astratte ed offrono il quadro di una profonda crisi dell’arte figurativa.

198

Testo redatto con biro blu sul recto di un unico foglio, numerato col numero romano «II». Si può dunque ipotizzare che R 6 costituisca il seguito di un più ampio lavoro; ciò risulta anche dalla semplice lettura del testo. Manoscritto non databile. Presenta correzioni.199 Il seguente brano, che precede l’inizio di questo, è stato cancellato: «In termini più realistici, si può affermare che il Cubismo non formulava o promulgava l’esigenza di una nuova estetica, che come vedremo doveva rappresentare, ma poneva le basi di una figuratività nuova che non dipendeva o discendeva più dalla esperienza storica ma che fosse il riflesso su di essa».200 Segue un breve brano cancellato: «In definitiva oggi sappiamo con certezza che il Cubismo costituisce l’esperienza formale senza la quale non è possibile intendere l’arte antica».201 Segue l’inizio di un nuovo capoverso cancellato: «In questa obiezione s’innesta la problematica dell’Astrattismo».

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‹R 7› ‹Picasso, Klee, Kandinsky e Bryen sull’arte moderna›202

Certo è che questi concetti erano diffusi dagli impressionisti di quel calibro ancor prima della fine dell’Ottocento. Picasso, Kandinsky, Klee e Bryen vanno oltre.

«In fin dei conti non si ha che la propria personalità ed essa è un sole che ha mille raggi nel ventre. Il resto è nulla» (Picasso).

In Sullo spirituale nell’arte Kandinsky afferma:

«Non è essenziale dare alla forma e al colore un’apparenza materiale, cioè di oggetti naturali. La forma stessa è l’espressione di un significato interiore, la cui intensità dipende dagli armonici rapporti di colore».

Klee tramanda ai posteri due messaggi che molti artisti hanno forse dimenticato o fanno finta di non conoscere; questi:

«L’impulso creativo sgorga subitamente alla vita, come una fiamma, passa attraverso la mano sulla tela, dove si diffonde ancor più, finché, come la scintilla che chiude un circuito elettrico, ritorna alla sorgente: l’occhio e la mente».

«Il mio interesse è rivolto non alle forme “formate” della natura (cioè ai relitti di forme), ma alle sue forze “formanti”».

Camille Bryen è il più esplicito assertore di una realtà suprema quando afferma:

«Non credo in una netta differenziazione o in una gerarchia fra Monna Lisa, il sogno di un cane o il pensiero di un cristiano. La pittura è prima di tutto creazione, poi è scoperta. Essa non è più definizione o significato e, ancor meno, espressione: esprimere va bene per i limoni, in pittura è una volgarità».

Potremmo continuare lungamente a citare concetti e teorie di altri eminenti maestri della pittura moderna; correremmo il rischio di rasentare la pedanteria e di tediare il lettore.

Ci basta aver accennato soltanto da quali nuovi significati nasce e prende consistenza l’azione operativa dell’arte pittorica contemporanea.

202

Testo redatto con biro nera sul recto di un unico foglio. Data di stesura: dopo la metà degli anni ’70. Il brano sembra essere la continuazione di un discorso già iniziato; è stato rivisto e rielaborato con aggiunte; presuppone un lettore, non un ascoltatore. Molto probabilmente si inserisce in S 5 (v. supra, p. 49, n. 13). Il materiale cartaceo su cui è redatto R 7 è lo stesso di S 5, per cui si può ipotizzare che i due testi siano stati scritti contemporaneamente.

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‹R 8› ‹L’emozione estetica›203

Per parlare seriamente di un qualsiasi sistema di estetica dobbiamo sempre riferirci alla nostra personale esperienza di una speciale emozione. Le cose che suscitano in noi questa speciale emozione, le chiamiamo opere d’arte. Tutte le persone sensibili sono d’accordo nell’ammettere l’esistenza di una particolare emozione suscitata dall’opera d’arte. Naturalmente non vogliamo dire che tutte dette opere producono la stessa emozione. Chiaro che ciascuna opera produce una emozione diversa, tuttavia tutte queste emozioni sono dello stesso genere. Esiste, cioè, un particolare genere di emozione suscitata dall’arte visiva che raggruppa pitture, sculture, edifici, monumenti, vasi, intagli etc... Se riusciamo a scoprire la qualità comune che dette opere producono in noi‹,› allora ci renderemo conto che la commozione che esse suscitano è una “emozione estetica”. Solo così riteniamo che si possa discutere seriamente del problema centrale dell’estetica. Dobbiamo ammettere che tutte le opere d’arte visiva possiedono delle qualità comuni, altrimenti quando parliamo d’arte chiacchieriamo a vuoto.

A questo punto si può obiettare che‹,› affermando ciò‹,› si riduce l’estetica ad un affare meramente soggettivo‹,› poiché l’unico dato di fatto su cui si basa detta teoria è l’esperienza individuale di una particolare emozione. Si potrà ancora dire che gli oggetti che suscitano questa emozione non sono gli stessi per ciascun individuo e che pertanto detto sistema estetico non può avere validità oggettiva.

Ebbene possiamo rispondere tranquillamente che se un sistema di estetica pretendesse di fondarsi su qualunque verità oggettiva sarebbe così pacchianamente ridicolo da non essere degno di discussione204.

Quando parliamo di arte visiva eseguiamo evidentemente una classificazione mentale‹,›

mediante la quale distinguiamo la classe “opere d’arte” da tutte le altre classi di oggetti che ci circondano. Perché istintivamente facciamo questa classificazione? Quale è la qualità comune e peculiare appartenente a questa classe di oggetti? Ci deve pur essere una qualità senza la quale l’opera d’arte non può esistere. Quale è la qualità comune alle vetrate di Chartres, alla scultura messicana, ai tappeti cinesi, agli affreschi padovani di Giotto, ai capolavori di Cézanne, di Kandinsky, di Klee e di Picasso?205

La sola risposta che ci sembra possibile è che in ciascuna di quelle opere una particolare combinazione di linee, di colori e di particolari rapporti formali provocano in noi emozioni

203

Testo redatto con biro nera sul recto e sul verso di un unico foglio di un registro di computisteria, probabilmente lo stesso sul quale è scritto S 1. Data probabile di stesura: dopo il 1977. Suggerisce tale datazione il fatto che il testo presuppone la lettura dell’antologia La critica d’arte della pura visibilità e del formalismo, cit., in particolare del saggio di C. Bell, op. cit., pp. 255-256, 261, 268. Inoltre, le poche cancellature e correzioni introdotte inducono a ritenere che sia successivo a S 6.204 Segue un breve brano cancellato: «Infatti quali altri mezzi possediamo per riconoscere un’opera d’arte se non il nostro sentimento per essa?».205 Quando parliamo di arte visiva… di Klee e di Picasso?] cfr. S 8, supra, p. 34.

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estetiche. Ecco ciò che dobbiamo intendere per l’unica qualità comune a tutte le opere d’arte visiva.

L’ipotesi che detti rapporti siano la qualità essenziale dell’opera d’arte ha per lo meno un merito che è negato invece a molte altre ipotesi più famose e brillanti: ci aiuta a capire le cose206.

Chi sente poco o nessuna emozione da quelle combinazioni di rapporti formali si trova sempre a mal partito davanti a qualsiasi opera d’arte. Egli è come un sordo a un concerto. Sa di trovarsi in presenza di qualcosa di grande, ma gli manca l’organo per percepirlo. Così egli legge dentro le forme dell’opera d’arte solo quei fatti e quelle idee per le quali è capace di provare emozione e prova per esse le sole emozioni che è capace di provare; cioè le emozioni della vita quotidiana207.

206 L’ipotesi che detti rapporti… a capire le cose] cfr. S 8, supra, p. 34.207 Dobbiamo ammettere che… della vita quotidiana] cfr. S 6, supra, pp. 20, 21 n. 16.

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‹R 9› ‹Sulla pittura italiana dell’Ottocento›208

E a questo punto la mia chiacchierata209 può anche diventare un poco ferocetta perché dovrò parlare necessariamente della inconsistenza realistica della pittura italiana del primo e del medio periodo dell’Ottocento.

L’incontestabile ritardo della pittura italiana su quella europea dipendeva, anzitutto, da una scarsa responsabilità morale nella valutazione del nostro Ottocento pittorico. Che in quel secolo si sia fatta, in Italia, della pittura priva di realtà210, non è un argomento sufficiente per escluderlo dalla nostra responsabilità storica e permetterci il lusso di non pensarci più, o peggio, per obbligarci all’ingrata fatica didattica di ritornare su quegli errori e correggerli.

La pittura italiana dell’Ottocento ha almeno un punto in comune con l’Impressionismo. Cioè la dissoluzione della tradizione classica. È un merito che nessuno può negarlo. Di questa tradizione l’aneddotismo e il verismo dell’Ottocento non arrivano, però, ad essere una confutazione e un rifiuto, perché a quei pittori è mancata la forza morale di contrapporre una idea sociale a una idea nazionale. Tuttavia sono il segno di una fiducia ormai smarrita nella forza rappresentativa dell’arte.

Storicamente sappiamo che l’Impressionismo ha avuto il coraggio di rompere con l’idealismo classico a costo di buttarsi a capofitto nel buio-pesto del positivismo. L’Ottocento italiano non sa staccarsi dall’idealismo classico, non arrischia salti. Però un passo cauto, maldestro lo tenta: e fa partire il processo espressivo della “constatazione”. Ma, signori miei, la constatazione noi sappiamo che presume una nozione tramandata ed è pertanto un processo che invece di aprirsi a soluzioni realistiche211, si richiude su se stesso dopo un giro vizioso che necessariamente sfocia nella verifica. Infatti la nozione acquisita che si vuole ricondurre e controllare sul “Vero” non è naturalmente il vero oggettivo. È, invece, il dato di una tradizione avviluppata nelle componenti più diverse (figurative – letterarie – popolaresche) che va a ‹far› lievitare, invece che un linguaggio, una parlata della “volgare lingua” nazionale.

Era, infatti, inevitabile che il dato della tradizione, così accettato, tendesse per forza d’inerzia a prolungarsi, a mescolarsi alle vicende e a confondersi con un ipotetico Vero.

208

Testo redatto con penna nera sul recto di un unico foglio. I pensieri ivi espressi – fatta eccezione per la prima proposizione – ricorrono sostanzialmente, anche se non letteralmente, in S 4, supra, p. 41, e pertanto parafrasano C. G. Argan, op. cit., pp. 284-285. Manoscritto non databile, ma successivo a S 4. Presenta pochissime correzioni.209 chiacchierata] correzione d’autore su «polemica».210 realtà] correzione d’autore su «spiritualità».211 realistiche] correzione d’autore su «spirituali».

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Dichiarazione di poetica212

Dopo aver raggiunto e vissuto le diverse esperienze figurative e informali, il mio fare artistico trova una motivazione logica e conseguente proprio nell’operare partendo dal tessuto formale tradizionale, organizzandolo, strutturandolo e articolandolo fino a giungere ad una immagine che non sia gratuitamente oggettivata, ma che si sviluppi in modo organico fino al raggiungimento di una dignità espressiva.

A questa operazione si associa quel senso di ordine formale atto a stimolare la visualizzazione senza incorrere nel campo scontato del “formalismo” tradizionale.

Sarà bene precisare, tuttavia, che questa mia operazione non tende a una rappresentazione mitografica dell’ordine formale sfociante nel gelido registro “neoplastico”, ma di un’equazione formale impostata e risolta secondo armonici e calibrati sviluppi visuali.

Data per scontata una mia determinata predisposizione formale, lo sviluppo e l’evoluzione compositiva è strettamente collegata alle generali possibilità della forma.

L’habitus pittorico è prevalentemente legato al medesimo contenuto espressivo.A ben guardare, la mia fantasia formale ha nel suo interno svolgimento una doppia

funzione: essa può essere intesa come evoluzione del senso decorativo (decorativo nell’accezione più ampia del termine, come tutto ciò che è otticamente stimolante) ed apre al tempo stesso la via ad una nuova concezione e interpretazione della realtà.

Così operando emergono ogni volta nuove movenze formali, ma anche nuove scoperte nel mondo del visibile.

Infatti in questa evoluzione formale la sensibilità decorativa ha maggiore importanza di ogni ricerca mimetica.

Il progressivo differenziarsi del colore (base essenziale ad ogni mia operazione) non è legato ad una più intensa osservazione del reale. Il fatto è che la mia visione si attenua attraverso colori ed armonie predeterminate dal sentimento.

Chiaro che la mia opera pittorica non consiste nell’imitare una percezione meccanica e pseudo-positiva di una apparenza formale qualsiasi, ma nel sollecitare quelle condizioni visive che servono a fissare un certo valore di effetto dell’opera compiuta.

Infatti, per mettere in opera una natura non oggettivata e perciò fuori da ogni riferimento imitativo o aneddotico, ho sempre bisogno di eliminare tutte quelle sovrastrutture deboli ed insignificanti della natura che mi è di fronte.

Così operando, penso di riuscire a creare una condizione ideale per una possibilità di dialogo tra creazione e fruizione, o, meglio, un colloquio al quale il fruitore partecipi attivamente impegnando la sua capacità di giudizio, la sua situazione culturale e morale in modo tale che la sua dignità venga esaltata dalla possibilità di dare compiutezza alle qualità 212

Pubblicato in Hugo Orlando: pitture dal 1936 ad oggi, Termoli: Landolfi, 1982.

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formali dell’opera d’arte proposta.Giungo, così, per lo più a realizzazioni formali la cui stesura investe quasi sempre

quell’ambito di situazioni contenenti implicazioni di ordine morale, articolando zone, ritmi e forme attraverso lo sviluppo di una precisa evidenziazione d’immagini, il cui esito resta strettamente legato ad un colore mobile o vibrato, graduale nei passaggi e nelle trasparenze, abbagliante o sospeso, calibrato secondo scansioni armoniche, ostinatamente impegnato per scoprire i termini del suo essere luce e forma.

HUGO

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Indice dei nomi

Apollinaire, GuillaumeAristofaneAttardo Magrini, Maria

Barbieri, CaroBarone, NinoBaumeister, WilliBell, Arthur Clive HewardBenda, JulienBergson, Henri-LouisBernini, Gian LorenzoBoccioni, UmbertoBoyer, FrédéricBrindisi, RemoBryen, Camille

Carrà, CarloCassou, JeanCatelli, VittoriaCézanne, PaulChateaubriand, François-Auguste-René deChrietien, RaulCiarletta, NicolaColantonio, Maria GabriellaCollingwood, Robin G.Croce, BenedettoCufari, Adalberto

Danese, Roberto M.Debussy, Claude-AchilleDe Chirico, GiorgioDegas, Hilaire-Germain-EdgarDel Monaco, TeclaDenis, MauriceDe Pisis, FilippoDesideri, FrancoDi Pinto, DarioDuchamp, Marcel

Dvořák, Max

Evangelista, Tommaso

Freud, Sigmund

Gauguin, PaulGiotto di BondoneGorky, ArshileGoya y Lucientes, Francisco JoséGropius, WalterGuzzi, Virgilio

Hartung, HansHofmann, Hans

Izzi, Sabrina

Jung, Carl Gustav

Kandinskij, Vasilij Vasil´evičKant, ImmanuelKlee, PaulKooning, Willem de

Laborde, Alexandre-Louis-Joseph conte diLaforgue, JulesLeonardo da Vinci

Manet, EdouardMariani, ValerioMarchiori, LauraMarini, RenatoMasi, AlessandroMasson, AndréMastronardi, GianninoMastropaolo, LinoMathieu, Georges

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Matisse, HenriMatta Echaurren, Roberto Sebastián

AntonioMichaux, HenriMiele, VittorioMoffa, SalvatoreMonachesi, SanteMondrian, PietMonet, ClaudeMorandi, GiorgioMorita, ShirynMorris, WilliamMunch, Edvard

Nay, Ernest Wilhelm

Orlando, FedericoOrlando, PietroOrlando, RaffaeleOrlando, SilvanaOrlando, Ugo (Hugo)Orlando, VandaOzenfant, Amédée

Pace, AchillePandolfi, ClaudiaPicasso, PabloPiero della FrancescaPissarro, CamillePlatonePlatschek, HansPollock, JacksonPurificato, Domenico

Raffaello, SanzioRahimi, AtiqRaspa, Rosa

Raspa, VenanzioRead, HerbertRedon, OdilonRembrandt, Harmenszoon van RijnRenoir, Pierre AugusteRimbaud, Jean-Nicolas-ArthurRodin, AugusteRosai, OttoneRothenstein, JohnRousseau, Henri detto il DoganiereRuskin, John

Salvini, RobertoSaura, AntonioScipione (Gino Bonichi)Serpan, JaroslavSeurat, Georges PierreSironi, MarioStradone, GiovanniStrozzieri, Leo

Tabey, MarkTiziano VecellioToulouse-Lautrec, Henri deTravaglini, Graziella

Vagnetti, GianniVan Gogh, VincentVedova, EmilioVespignani, RenzoVillalba, G. Lopez de

Wickhoff, FranzWols (Alfred Otto Wolfgang Schulze)Wundt, Wilhelm

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