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licazioni » Indice della pubblicazione » Articolo NZIONE DEL NOTAIO NELLA CIRCOLAZIONE DEI BENI CULTURALI ta osservanza delle formalità necessarie e ritrasferimento del bene cult o Guida in Napoli ssa asferimento dei beni di interesse culturale è disciplinato dal D.l io 2004, n. 42 (codice dei beni culturali), il quale all’articolo 59 p gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi tito ietà o la detenzione di beni culturali sono denunciati al Ministero». rmativa è abbastanza articolata in quanto prende in considerazione nu specie e disciplina l’esatto procedimento in base al quale deve avvenir zia. ligo di tale denunzia nasce dalla apposizione del relativo vincolo da Organi competenti e scaturisce dalla valutazione di interesse cultura in oggetto, che può essere sia su un bene mobile che un bene immobil do caso, il ruolo del notaio in occasione del trasferimento assu ione determinante, avendo spesso l’onere prima di rilevare il vincolo e edere alla denunzia del relativo trasferimento. elle difficoltà maggiori che si pone in presenza dell’interesse cultura i con particolare ricaduta sull’attività notarile - è rappresentata ità poco trasparenti di costituzione del vincolo stesso. Il vincolo, da un decreto ministeriale ed è soggetto a trascrizione presso l’Agenz torio - servizio pubblicità immobiliare. vincoli, peraltro, soprattutto quelli risalenti nel tempo, non sono

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Pubblicazioni » Indice della pubblicazione » ArticoloLA FUNZIONE DEL NOTAIO NELLA CIRCOLAZIONE DEI BENI CULTURALIMancata osservanza delle formalità necessarie e ritrasferimento del bene culturaledi Paolo GuidaNotaio in Napoli

Premessa

Il trasferimento dei beni di interesse culturale è disciplinato dal D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali), il quale all’articolo 59 prevede che «gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di beni culturali sono denunciati al Ministero».

La normativa è abbastanza articolata in quanto prende in considerazione numerose fattispecie e disciplina l’esatto procedimento in base al quale deve avvenire tale denunzia.

L’obbligo di tale denunzia nasce dalla apposizione del relativo vincolo da parte degli Organi competenti e scaturisce dalla valutazione di interesse culturale del bene in oggetto, che può essere sia su un bene mobile che un bene immobile; nel secondo caso, il ruolo del notaio in occasione del trasferimento assume una posizione determinante, avendo spesso l’onere prima di rilevare il vincolo e poi di provvedere alla denunzia del relativo trasferimento.

Una delle difficoltà maggiori che si pone in presenza dell’interesse culturale - e quindi con particolare ricaduta sull’attività notarile - è rappresentata dalle modalità poco trasparenti di costituzione del vincolo stesso. Il vincolo, cioè, nasce da un decreto ministeriale ed è soggetto a trascrizione presso l’Agenzia del territorio - servizio pubblicità immobiliare.

Molti vincoli, peraltro, soprattutto quelli risalenti nel tempo, non sono stati trascritti, per cui non sono facilmente conoscibili dai terzi pur essendo ugualmente opponibili.

Si verifica, nella pratica, la possibilità che un atto di trasferimento, pur avendo ad oggetto un bene immobile vincolato, possa non essere stato denunziato alle competenti Autorità, creando un vulnus sugli effetti del trasferimento e, conseguentemente, sul successivo ritrasferimento.

Occorre, dunque, esaminare con attenzione la fattispecie della mancata osservanza delle formalità necessarie per un corretto passaggio di proprietà, e successivamente le ricadute sul

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ritrasferimento del bene di interesse culturale.

La normativa

L’art. 10 D.lgs. 42/2004 riporta un’elencazione dei beni d’interesse culturale, distinguendoli in due macro categorie che si differenziano dalla titolarità degli stessi.

Il comma 1 della citata norma classifica come beni culturali una serie di beni, la cui elencazione prosegue ai successivi commi 2 e 4, in quanto appartenenti allo Stato, alle Regioni o ad altri enti pubblici territoriali e non, nonché ad enti privati senza scopo di lucro ed enti ecclesiastici riconosciuti(1).

Il comma 3 della citata norma stabilisce, poi, che i beni ivi indicati possono, altresì, essere culturali, se dichiarati tali, pur essendo in titolarità di persone fisiche o giuridiche con scopo di lucro.

L’art. 12 D.lgs. 42/2004 delinea una presunzione iuris tantum di culturalità dei beni appartenenti a soggetti pubblici o privati senza scopo di lucro, ovvero ad enti ecclesiastici riconosciuti, la quale può, tuttavia, venir meno in seguito all’espletamento di un procedimento ricognitivo che dia esito negativo.

Viceversa, affinché i beni appartenenti a privati siano riconosciuti come culturali occorre che essi siano sottoposti ad un procedimento di verifica ex ante. Tale procedimento è disciplinato, nelle sue fasi successive, dall’art. 14 D.lgs. 42/2004 e si conclude con una dichiarazione di culturalità del bene, dotata di valenza costitutiva del vincolo culturale.

I beni afferenti alla prima delle descritte categorie, quelli cioè di titolarità di soggetti pubblici(2), enti privati senza scopo di lucro o enti ecclesiastici riconosciuti, oltre ad essere assoggettati alla disciplina prevista ex artt. 59 e ss. del codice dei beni culturali, necessitano, in caso di trasferimento, della preventiva autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi degli artt. 55 e ss. D.lgs. 42/2004(3).

I beni culturali in titolarità di privati(4)sono, invece, soggetti alle sole prescrizioni di cui agli artt. 59 e ss. D.lgs. 42/2004, che disciplinano la c.d. prelazione dello Stato.

Trattasi di una prelazione legale sui generis. Il diritto di prelazione viene, infatti, definito come il diritto soggettivo di essere preferito in caso di alienazione di un determinato bene a parità di condizioni.

par condicio è, in genere, elemento essenziale della prelazione, mentre è quasi del tutto assente quale parametro per la prelazione dello Stato(5). Ciò si giustifica in ragione degli interessi pubblici di rango costituzionale che la normativa è volta a soddisfare, attinenti alla conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale (art. 9 Cost.)(6).

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A differenza della normale operatività del diritto di prelazione, che impone l’obbligo di comunicazione preventiva (c.d. denuntiatio) dell’alienazione del bene al prelazionario, nel caso della prelazione artistica la denuntiatio è effettuata dopo la stipula dell’atto traslativo, che nelle more resta sospeso.

Né, in conseguenza della peculiarità della disciplina tratteggiata, è necessario alcun diritto di riscatto, caratteristico, invece, delle prelazioni legali: la tutela del diritto di prelazione dello Stato opera, infatti, ex ante.

L’assenza della parità di condizioni influisce, poi, inevitabilmente sull’ambito applicativo della normativa in commento, ampliando notevolmente il novero degli atti sottoposti alla prelazione.

Riferimenti essenziali per delineare il campo di applicazione della normativa sono gli artt. 59 e 60 del D.lgs. 42/2004.

La prima delle citate norme stabilisce che devono essere denunciati al Ministero per i beni e le attività culturali «gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o, limitatamente ai beni mobili, la detenzione di beni culturali»(7).

Così ha inizio il procedimento che consente l’esercizio della prelazione artistica. La denuntiatio deve essere effettuata entro trenta giorni dalla stipula dell’atto dai soggetti indicati al comma 2 della suddetta norma(8).

Ratio della denuncia è consentire all’Autorità amministrativa di venire a conoscenza delle vicende circolatorie dei beni d’interesse storico-artistico(9).

L’art. 60 consente, poi, all’Autorità amministrativa di esercitare il diritto di prelazione sui beni culturali «alienati a titolo oneroso o conferiti in società»(10), chiarendo, nel successivo comma, che il diritto opera anche nel caso di vendita in blocco, ovvero senza previsione di un corrispettivo, o di permuta. Il comma 4 estende, poi, l’operatività della prelazione ai casi in cui «il bene sia a qualunque titolo dato in pagamento».

La descritta disciplina consente, dunque, di definire il campo applicativo della normativa in commento, comprendendovi sicuramente atti a titolo oneroso, anche se caratterizzati dall’infungibilità delle prestazioni, nel novero dei quali rientrano: compravendita, datio in solutum, permuta, conferimento in società(11).

Quanto all’oggetto del trasferimento, è sottoposto alla prelazione artistica non solo il trasferimento della piena proprietà, ma anche della nuda proprietà(12). In quest’ultimo caso, infatti, la temporaneità del diritto reale che limita la proprietà e la naturale vis espansiva che la contraddistingue consentono comunque allo Stato di divenire pieno proprietario in futuro.

Al contrario, non si ritiene operante la prelazione per il trasferimento di diritti reali limitati, non essendo idoneo tale trasferimento a soddisfare la ratio della disciplina in commento, quella cioè di

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assicurare allo Stato la definitiva acquisizione dei beni per la conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale.

Diverse sono, poi, le ipotesi in cui è discussa l’applicabilità della disciplina in esame: esse spaziano dal contratto preliminare, alla divisione, passando, poi, alla transazione, all’alienazione di quota indivisa dell’immobile culturale, fino ad arrivare alle operazioni societarie straordinarie(13).

Non è questa, tuttavia, la sede per esaminare ciascuna singola ipotesi, viceversa, appare ai nostri fini sufficiente precisare che ogni qualvolta vi sia un trasferimento, a qualsiasi titolo, della piena o nuda proprietà di un bene culturale, anche in caso di corrispettivo infungibile, s’impone l’osservanza delle formalità previste dagli artt. 59 e ss. del codice dei beni culturali.

L’art. 61 D.lgs. 42/2004 impone un termine di sessanta giorni dalla ricezione della denuntiatio ex art. 59 per l’esercizio della prelazione. In pendenza del suddetto termine l’efficacia dell’atto di alienazione è sospesa da una condicio iuris.

Nonostante il comma 4 della citata norma si riferisca espressamente alla condizione sospensiva dell’ «esercizio della prelazione», si ritiene preferibile attribuire alla stessa contenuto negativo, caratterizzato, cioè, dal mancato esercizio della prelazione da parte dello Stato. Diversamente, infatti, l’atto traslativo sarebbe destinato a rimanere inefficace in perpetuo: tale sarebbe in attesa dell’espressione del potere ablatorio(14)dello Stato; tale rimarrebbe tanto nel caso in cui la prelazione venga esercitata, quanto qualora il diritto non sia esercitato, venendo, in tale ultimo caso, a mancare l’evento dedotto in condizione.

La condizione de qua deve essere esplicitata nell’atto di trasferimento e sottoposta a trascrizione. Alla scadenza del termine previsto dalla citata norma è, poi, prassi stipulare un atto ricognitivo dell’avveramento della condizione.

In pendenza della condizione, il medesimo comma 4 dell’art. 60 impone inoltre un divieto di consegna del bene in capo all’alienante, con gravi conseguenze in caso di inosservanza.

Qualora all’esito del procedimento disciplinato dall’art. 62 D.lgs. 42/2004 l’Autorità amministrativa decida di giovarsi del diritto di prelazione, essa deve notificare il provvedimento di prelazione ad alienante ed acquirente entro il termine previsto dall’art. 61, comma 1 e richiamato nella norma da ultimo citata. Ai sensi del comma 4 art. 62: «La proprietà del bene passa all’ente che ha esercitato la prelazione dalla data dell’ultima notifica».

Secondo il disposto dell’art. 60, D.lgs. 42/2004, il prezzo da corrispondersi per l’esercizio della prelazione nelle alienazioni a titolo oneroso è pari a quello indicato come corrispettivo o valore del bene nell’atto di trasferimento. Negli atti con corrispettivo infungibile il prezzo è determinato d’ufficio dal soggetto pubblico prelazionario.

In caso di opposizione da parte del titolare-alienante, il suddetto corrispettivo può essere

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sottoposto al vaglio di un arbitratore, ai sensi dell’art. 1349 c.c., come si evince dalla disciplina del terzo comma della disposizione in commento.

Il mancato pagamento del prezzo da parte dello Stato non incide sulla fattispecie traslativa in favore di quest’ultimo, ma semplicemente può venire in rilievo come inadempimento contrattuale(15).

Ai sensi dell’art. 15 D.lgs. 42/2004 nel caso in cui il bene che ne è oggetto sia sottoposto a sistemi di pubblicità immobiliare o mobiliare, la dichiarazione suddetta deve essere notificata al proprietario e - nella prima ipotesi - trascritta(16).

La trascrizione non adempie funzione né di pubblicità dichiarativa, come di solito le compete, né di pubblicità costitutiva. Essa semplicemente svolge un ruolo di pubblicità notizia relativa ad un vincolo costituito con la dichiarazione di cui all’art. 13 e reso opponibile al proprietario con la sua notificazione.

Come già ricordato, purtroppo, non di rado il procedimento costitutivo del vincolo si conclude nonostante la mancanza della detta pubblicità. Tale omissione, non consentendo ai terzi di venire a conoscenza del vincolo - il quale tuttavia sussiste ugualmente in virtù della dichiarazione di culturalità - determina così la possibile lesione della disciplina in relazione ai trasferimenti di proprietà del bene.

La mancata osservanza delle formalità necessarie e gli effetti sull’atto

Può verificarsi l’ipotesi che un contratto di trasferimento di beni di interesse culturale non venga assoggettato alle dette formalità previste dal D.lgs. 42/2004.

Tale omissione può essere originata da diverse motivazioni, dovute a vizi legati alla mancata autorizzazione ai sensi dell’art. 55 D.lgs. 42/2004, ovvero a vizi legati alla notifica.

Tale seconda ipotesi può scaturire da:

1) mancata conoscenza del vincolo per:

a) omessa notifica del vincolo;

b) omessa trascrizione del vincolo;

c) inadeguata informazione del proprietario;

2) mancata denuncia dell’atto di trasferimento all’Autorità competente per:

a) negligenza;

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b) erronea individuazione dell’Autorità cui notificare l’atto;

c) erroneo procedimento di denuncia;

d) ritardo nella denuncia;

e) incompletezza della denuncia.

Come già chiarito, l’omissione della notifica o della trascrizione non determina un vizio costitutivo del vincolo culturale, rispetto al quale rileva la sola dichiarazione di culturalità del bene ex art. 13 D.lgs. 42/2004. I beni che ne sono destinatari sono, quindi, in ogni caso assoggettati alla disciplina degli artt. 59 e ss.

La normativa prevede la possibilità di sanare l’omissione della denuncia attraverso un adempimento tardivo, disciplinato all’art. 61 comma 2, D.lgs. 42/2004. In alternativa al termine fisiologico di sessanta giorni, onde consentire l’esercizio della prelazione all’Amministrazione pubblica, infatti, la citata disposizione, per il caso di denuncia omessa o tardiva, prevede un termine allungato di centottanta giorni dalla data di recezione della denuncia stessa da parte del Ministero.

La possibilità di sanatoria è riproposta e confermata dall’art. 62, il cui comma 4, dispone che: «Nei casi in cui la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente oppure risulti incompleta, il termine indicato al comma 2 è di novanta giorni, ed i termini stabiliti al comma 3, primo e secondo periodo, sono, rispettivamente, di centoventi e centottanta giorni. Essi decorrono dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva o ha comunque acquisito tutti gli elementi costitutivi della stessa ai sensi dell’art. 59, comma 4».

Nelle ipotesi in cui non venga effettuata neanche la denuncia tardiva, il trasferimento del bene risulta viziato, ed anzi l’articolo 164 D.lgs. 42/2004 così recita: «Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del titolo I della parte II, o senza l’osservanza delle condizioni e le modalità da esse prescritte, sono nulli».

Tale sanzione, peraltro, è stata oggetto di approfondimenti da parte della dottrina e della giurisprudenza di legittimità. Sono state, in particolare, proposte tre diverse tesi circa la sua effettiva natura giuridica.

Un’isolata dottrina(17)ha sostenuto che si tratti di nullità assoluta, in considerazione della generica formulazione della norma. La nullità costituisce sanzione residuale nel nostro sistema normativo ed opera erga omnes. A sostegno di tale orientamento si rileva che tale assolutezza ben si addice ad una normativa preposta a tutelare interessi generali, quali la conservazione e la pubblica fruibilità del patrimonio artistico dello Stato.

Secondo il brocardo latino quod nullum est, nullum producit effectuum, una così rigida sanzione escluderebbe la produttività di effetti tout court nell’atto non denunciato, che non opererebbe nei

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confronti dello Stato, ma neanche tra le parti.

Altra parte della dottrina(18), e la costante giurisprudenza di Cassazione(19), giungono ad una qualificazione di detta nullità in termini di nullità relativa, che, in quanto nullità “protettiva” di interessi pubblici, potrebbe essere fatta valere solo dallo Stato.

Tale tesi, tuttavia, interferisce con la qualificazione della sanzione di nullità nella teoria generale del diritto. La nullità, come già chiarito, si caratterizza proprio in virtù della sua assolutezza e risulterebbe quanto meno strano affermare che un negozio, invalido nei confronti di un soggetto, peraltro non contraente, risulti valido nei confronti delle parti, direttamente in esso coinvolte(20).

La categoria della nullità relativa, inoltre, quando comminata, si trova espressamente disciplinata come tale dal legislatore(21).

Come pure, sembra contraddittorio sostenere che il negozio nasca valido, divenendo solo parzialmente invalido alla scadenza del periodo previsto per l’adempimento, anche tardivo, delle formalità richieste dalla normativa in esame. L’invalidità, infine, lo colpirebbe definitivamente e con valenza retroattiva solo nel momento in cui lo Stato eserciti effettivamente il diritto di prelazione(22).

Non si può fare a meno di notare, peraltro, che la nullità normalmente incide sul negozio ab initioAppare incongruo che uno stato patologico del negozio dipenda da eventi ad esso successivi(23), che, invece, ben possono incidere sulla sua efficacia, determinando un’inefficacia successiva.

La prevalente dottrina, in particolare quella notarile(24), ritiene, a dispetto del dato letterale dell’art. 164 D.lgs. 42/2004, che la sanzione comminata non sia di nullità, trattandosi, piuttosto, di inefficacia relativa e successiva. In caso di omissione delle formalità prescritte, dunque, l’atto è valido, ma inopponibile allo Stato.

Né si ritiene, per tal via, tradita la ratio della normativa del codice dei beni culturali, non risiedendo quest’ultima nell’assicurare allo Stato l’acquisizione dei beni d’interesse culturale ad ogni costo, quanto nel preservare questi ultimi consentendone la fruizione all’intera collettività. Tale interesse non è leso se i beni in questione vengono conservati adeguatamente all’interno dello Stato, sebbene non in titolarità di quest’ultimo.

Chiarita la natura giuridica della sanzione ex art. 164, occorre, peraltro, rilevare che la stessa norma al comma 2 stabilisce che: «Resta salva la facoltà del Ministero di esercitare la prelazione ai sensi dell’art. 61, comma 2».

Si consente, quindi, che l’inopponibilità dell’atto nei confronti dell’Amministrazione pubblica sia solo temporanea, potendo l’alienante effettuare una denuncia tardiva, sanando, così, la fattispecie.

Allo stesso modo, peraltro, si ritiene sanabile l’atto mancante dell’autorizzazione ex art. 55 D.lgs.

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42/2004, mediante, cioè, la richiesta di un’autorizzazione successiva(25).

Non sono da sottovalutare, infine, le gravi sanzioni penali comminate dall’art. 173 D.lgs. 42/2004(26) per l’inosservanza delle formalità prescritte ed in particolare per i casi di:

1) mancata richiesta dell’autorizzazione;

2) mancata denuncia;

3) consegna del bene in pendenza del termine.

Tali risvolti non potranno essere temperati in caso di adempimento tardivo delle formalità previste dalla disciplina in commento.

In conclusione può affermarsi che - quale che sia la tesi accettata circa la natura giuridica della sanzione ex art. 164 D.lgs. 42/2004 - il risultato in termini di efficacia dell’atto è il medesimo. Ciò che cambia è la qualificazione della sanzione come nullità relativa o inopponibilità allo Stato.

Occorre, come precedentemente chiarito, quindi, distinguere gli effetti dell’atto nei confronti delle parti e del Ministero per i beni e le attività culturali (e degli enti pubblici territoriali interessati):

a) tra le parti: l’atto di trasferimento è efficace, per cui l’acquirente diviene proprietario del bene culturale.Tale efficacia può essere resa definitiva nel caso in cui, in seguito alla denuncia tardiva, il Ministero competente non eserciti il diritto di prelazione, ma è destinata ad essere inficiata e venir meno nel caso contrario.

b) verso il Ministero per i beni e le attività culturali (e gli enti pubblici territoriali): l’atto di trasferimento è inefficace durante tutto il periodo in cui l’Autorità amministrativa non riceve la denuncia e per i sei mesi successivi alla ricezione della denuncia tardiva. Alla medesima conclusione, infatti, si giunge tanto che si ritenga l’atto viziato da nullità relativa, quanto nel caso si acceda alla tesi della semplice inopponibilità all’autorità amministrativa.

Il ritrasferimento del bene culturale

In caso di mancata osservanza delle formalità di cui sopra si pone il delicato problema del successivo ritrasferimento del bene d’interesse storico-artistico.

Come osservato, infatti, l’atto di trasferimento è valido tra le parti ed idoneo, pertanto, a trasferire la proprietà del bene in capo all’acquirente, pur in mancanza della notifica nei confronti del Ministero competente, che lo rende ad esso inopponibile.

Occorre, dunque, interrogarsi sul modus procedendi e sulla sorte dell’atto mediante il quale il

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proprietario del bene culturale intenda, poi, ritrasferirlo a terzi.

In particolare, i casi di mancato adempimento delle formalità che si possono presentare all’attenzione del notaio incaricato della stipula dell’atto di ritrasferimento attengono a due tipologie di atti:

1) titolo di provenienza immediatamente antecedente a quello da rogarsi;

2) titoli di provenienza precedenti (addirittura risalenti nel tempo).

La legge prevede che il notaio rogante dovrà richiedere che vengano espletati gli adempimenti tardivi, come stabilito ai sensi del comb. disp. artt. 164 comma 2 e 61 comma 2 D.lgs. 42/2004(27).

Per porre in essere un atto di ritrasferimento del bene culturale pienamente valido ed efficace, si rende, quindi, necessario, che prima di esso vengano curati gli adempimenti tardivi collegati all’alienazione non notificata all’Autorità amministrativa, privandola per tal via della possibilità di giovarsi del diritto di prelazione. Come già sottolineato, ciò nonostante non potranno essere escluse le sanzioni penali previste dall’art. 173 D.lgs. 42/2004.

In seguito alla ricezione della denuncia tardiva il Ministero ha centottanta giorni per pronunciarsi in merito. È da notare come l’art. 61 comma 2, innovando rispetto alla precedente disciplina, fissa un preciso arco temporale per l’esercizio della prelazione dallo Stato. L’art. 61 L. 1089/39 consentiva, infatti, di esercitare la prelazione in ogni tempo. L’avverbio “sempre” ricorreva anche nel successivo testo unico 490/99, sebbene l’esercizio della prelazione fosse all’epoca interpretato come da potersi attuare nei due mesi successivi alla ricezione della denuncia, come la stessa normativa disponeva nell’ipotesi fisiologica(28).

Due le ipotesi che, a questo punto, possono verificarsi.

Il Ministero non esercita il diritto di prelazione, lasciando decorrere inutilmente il termine più lungo previsto dalla norma per l’adempimento tardivo. Si determina per tal via un silenzio-assenso che sana definitivamente la fattispecie, consentendo liberamente il successivo trasferimento del bene.

In alternativa, è possibile che l’Autorità amministrativa sia interessata all’acquisto del bene, ed eserciti la prelazione.

In quest’ipotesi, con tutta evidenza, non vi sarà più spazio per la stipula dell’atto di ritrasferimento.

Le soluzioni normative

Come già precedentemente accennato, la mancata osservanza delle formalità prescritte dagli artt.

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59 e ss. D.lgs. 42/2004 può essere rilevata in diverse occasioni, ovvero con riferimento:

A) al titolo di provenienza;

B) ai titoli precedenti al titolo di provenienza.

Il codice dei beni culturali sanziona espressamente l’ipotesi della mancata notifica dei titoli precedenti, prevedendo, tuttavia, la possibilità di un procedimento tardivo con termini allungati per l’esercizio della prelazione e, precisamente, di centottanta giorni dalla notifica anziché sessanta, ai fini di sanare la fattispecie.

Appare evidente, dunque, che porre in essere una denuncia tardiva, onde consentire allo Stato l’esercizio della prelazione a suo tempo preclusagli, rappresenta la soluzione aderente al dettato normativo.

Non poche difficoltà si presentano, tuttavia, in questo caso dal punto di vista attuativo.

In entrambe le descritte ipotesi, i problemi che si pongono sono essenzialmente di tre generi, e cioè relativi ai soggetti legittimati a presentare la denuncia tardiva, al prezzo da corrispondersi per l’esercizio della prelazione ed ai tempi necessari per completare il procedimento.

Si rende opportuno, sotto tali profili, distinguere le due fattispecie sopra indicate.

Inosservanza delle formalità nel titolo di provenienza

a) Soggetto legittimato

Si pone il problema di chi sia il soggetto legittimato ad effettuare la denuncia tardiva.

La regola generale prevede che la denuncia venga effettuata dai soggetti indicati ai sensi dell’art. 59 D.lgs. 42/2004. In particolare, nel caso di trasferimento della proprietà per atto inter vivos legittimato è l’alienante.

È evidente che in caso di necessità di denuncia tardiva l’originario dante causa - soggetto obbligato - possa essere irreperibile, ovvero si rifiuti di prestare la necessaria collaborazione.

La normativa nel disciplinare la denuncia tardiva, purtroppo, nulla stabilisce in relazione alla legittimazione ad effettuarla, né tiene conto della particolare situazione che può venirsi a creare nella pratica.

Si rende, allora, necessaria un’interpretazione adeguatrice della norma.

Riterrei inevitabile, in tal caso, considerare valida la denuncia effettuata dall’originario acquirente (attuale venditore), se non altro come soggetto interessato a rendere efficace un atto

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di cui è parte(29).

b) Prezzo

Ci si domanda se notificato tardivamente il titolo di provenienza, il Ministero sia facultato ad esercitare la prelazione in virtù del prezzo ivi indicato ovvero a quello di mercato al momento della notifica.

Appare evidente, infatti, la diversa posizione delle parti (tra le quali un originario dante causa, al giorno d’oggi potenzialmente non più reperibile) ed il Ministero, il quale avrebbe la possibilità di esercitare la prelazione ad un prezzo ormai non più realistico.

Ai sensi dell’art. 60 D.lgs. 42/2004 la prelazione può essere esercitata «al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione».

Purtroppo questo punto non viene preso in considerazione dalle norme che disciplinano il procedimento tardivo per l’esercizio della prelazione.

La tesi che sosterrebbe l’applicazione di un prezzo conforme al valore di mercato al momento del ritrasferimento non trova, purtroppo, un riferimento normativo. Attenendosi alla disciplina prevista per l’ipotesi fisiologica, la prelazione potrebbe essere esercitata al prezzo indicato nel titolo di provenienza, con evidente frustrazione delle ragioni dell’allora acquirente, odierno venditore(30).

Si potrebbe proporre una rivalutazione del prezzo, la quale, tuttavia, potrebbe lasciare comunque scontento l’attuale alienante.

Una soluzione potrebbe essere offerta dall’interpretazione analogica del comma 3 dell’art. 60.

Come già in precedenza chiarito, infatti, nel caso di alienazioni con corrispettivo infungibile, secondo la citata norma, il prezzo per l’esercizio della prelazione può essere determinato d’ufficio dal Ministero. Il suddetto comma 3 consente, tuttavia, all’alienante che «non ritenga di accettare la determinazione così effettuata» di attivare un procedimento di determinazione del prezzo da parte di un terzo arbitratore, ai sensi dell’art. 1349 c.c., nominato concordemente dall’alienante stesso e dal soggetto prelazionario.

Non sembra potersi negare la sussistenza di un’eadem ratio nell’ipotesi patologica in considerazione, non espressamente disciplinata da questo punto di vista. Anche in questo caso si pone un esigenza di tutela dell’odierno proprietario/alienante, sebbene derivi da una diversa situazione di fatto e cioè dall’esercizio della prelazione artistica a distanza di tempo dal titolo d’acquisto, momento rispetto al quale il valore del bene può sicuramente essere aumentato.

Sarebbe indubbiamente auspicabile un intervento legislativo volto a chiarire e disciplinare specificamente le conseguenze della prelazione esercitata dal Ministero nel caso di specie, oltre

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alla ricaduta sulla sorte del prezzo pagato con riferimento anche a soggetti oggi non più coinvolti.

Inosservanza delle formalità nei titoli precedenti al titolo di provenienza

Più delicata è l’ipotesi di dover sanare la mancata notifica di titoli precedenti al titolo di provenienza, che potrebbe essere stato effettuato a diverso titolo.

a) Soggetto legittimato

Oltre alle problematiche sopra esposte, va evidenziato che in questa ipotesi la notifica verrebbe effettuata da un soggetto che non è stato nemmeno parte del titolo “viziato”.

Ci troveremmo, cioè, in un caso in cui un terzo notifica un atto soggetto a prelazione, ma i cui effetti ricadono su soggetti completamente diversi da coloro che hanno sottoscritto l’atto stesso.

In caso di esercizio del diritto di prelazione, infatti, il Ministero (o gli enti pubblici territoriali) incide su un atto i cui partecipanti sono all’oscuro della notifica - e quindi dell’eventuali ricadute delle conseguenze - e verso la quale potrebbero, viceversa, avanzare dubbi, ovvero non concordare sulla necessità (vedi il problema relativo alla eventuale necessità del procedimento di prelazione in caso di esistenza di vincolo parziale e/o indiretto).

Resterebbero così da definire - in maniera diabolica - le eventuali conseguenze, le responsabilità ed i risarcimenti in caso di esercizio del diritto della prelazione, ed in capo chissà a quale soggetto.

È evidente che ci troviamo di fronte a fattispecie in cui risvolti negativi di tipo patrimoniale ricadrebbero su soggetti non coinvolti oggi in sede di trasferimento (o addirittura sui loro eredi), i quali viceversa avrebbero potuto esprimere parere contrario all’adempimento, avanzando possibili e/o legittime eccezioni.

Di tutta evidenza infatti, appare il danno, laddove il terzo comma dell’art. 60 prevede espressamente che - nelle ipotesi ivi contemplate - l’alienante potrebbe rifiutarsi di accettare la determinazione effettuata e quindi, attivare la procedura che prevede la nomina di un terzo arbitratore.

Senza trascurare, infine, l’ipotesi di un titolo precedente costituito da un conferimento in società, con tutte le ricadute possibili sulla situazione patrimoniale della società stessa e dei terzi che vi hanno fatto affidamento.

b) Prezzo

Anche in questa ipotesi si pone con maggior rilievo il problema del prezzo del trasferimento con tutte le considerazioni sopra effettuate al punto b) del precedente paragrafo.

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c) Termini

La normativa prevede che in caso di denunzia tardiva i termini per l’esercizio della prelazione sono aumentati a centottanta giorni.

Si pone il problema se, in caso di mancata notifica di più atti, sia possibile notificare in contemporanea, ed in unica soluzione, tutti gli atti non denunciati, ovvero sia necessario notificarne uno alla volta, con una successiva decorrenza dei centottanta giorni ad ogni singola notifica, ed un inevitabile prolungamento dei tempi certamente non coerente alle esigenze del mercato.

Le soluzioni alternative

Le soluzioni normative comportano inevitabilmente notevoli problemi sia in ordine al rischio di una prelazione esercitata a prezzi “vili”, sia in ordine ad un prolungamento dei termini non tollerabile dal mercato.

La dottrina, quindi, sta approfondendo ipotesi di soluzioni alternative più adeguate alle esigenze delle parti, pur rispettando il dettato normativo e lo spirito della legge.

Una delle strade percorribili è quella dell’usucapione, che consentirebbe alle parti di superare i vizi dei titoli di provenienza, laddove questi siano particolarmente remoti.

Non sembrano, infatti, sussistere ostacoli alla possibilità di sanare ogni possibile vizio del titolo mediante l’usucapione ordinaria ventennale(31).

L’istituto dell’usucapione appare, quindi, idoneo a superare le problematiche in oggetto. Né, come rilevato anche dalla giurisprudenza di legittimità(32), sarebbe necessario in tal caso munirsi, prima del ritrasferimento del bene culturale, della sentenza di accertamento dell’usucapione del medesimo, avendo quest’ultima valenza meramente dichiarativa dell’avvenuto acquisto della proprietà.

Tantomeno l’usucapione risulta idoneo a privare il bene del requisito della culturalità(33), essa infatti non può incidere sulla natura del bene, che rimane tale anche in seguito, restando, dunque, per il futuro comunque sottoposto alla disciplina del D.lgs. 42/2004.

Ciò che, invece, resta discusso è l’ammissibilità dell’usucapione abbreviata decennale.

Come è noto, l’acquisto per usucapione abbreviata, ai sensi dell’art. 1159 c.c., si basa su una serie di presupposti, quali: l’acquisto a non domino; il titolo astrattamente idoneo; la trascrizione del suddetto titolo; il possesso; il trascorrere del tempo, ridotto dagli ordinari venti a dieci anni dalla data della trascrizione; nonché dal punto di vista soggettivo: la buona fede dell’acquirente.

L’adesione all’una o all’altra delle sopra esposte teorie relative alla natura giuridica della

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sanzione ex art. 164 D.lgs. 42/2004, ancora una volta, non cambia il risultato circa la possibilità o meno di applicare l’art. 1159 c.c. alle ipotesi in considerazione, sebbene differenti risultano le argomentazioni.

La Corte di Cassazione(34)ha sostenuto, in merito, che l’usucapione abbreviata dovrebbe essere esclusa per la violazione del divieto di consegna del bene ai sensi dell’art. 61 comma 4, D.lgs. 42/2004, che non consentirebbe, dunque, l’inizio di un valido possesso ad usucapionemQuest’ultima interpretazione, in realtà, sembra spingersi ben oltre il dato dell’art. 1159 c.c., dal quale non è dato presumere che l’atto mediante il quale si realizza la traditio del bene debba necessariamente consistere in un comportamento non vietato(35).

In realtà, seguendo la tesi più accreditata nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il titolo di provenienza non notificato all’Autorità amministrativa sarebbe inficiato da nullità relativa, ciò che verrebbe a mancare è il requisito dell’idoneità del titolo, il quale non sarebbe astrattamente idoneo a trasferire la proprietà del bene.

Secondo la tesi prevalente dell’inefficacia relativa come inopponibilità allo Stato del titolo d’acquisto ad esso non notificato, tale titolo sarebbe viceversa idoneo ai sensi della normativa in tema di usucapione.

Nella fattispecie di riferimento ciò che difetta è, invece, il requisito essenziale per l’operatività dell’usucapione abbreviata: quello, cioè, dell’acquisto a non domino(36). L’alienante che non procede ad effettuare la denuncia del trasferimento del bene culturale è, pur sempre, l’effettivo proprietario del bene, non essendo definibile “non domino”. Tale rilievo sarebbe di per sé sufficiente ad escludere in nuce l’istituto dell’usucapione abbreviata. Eppure non può non rilevarsi che sembrerebbe contraddittorio consentire l’usucapione nei tempi più ristretti dell’art. 1159 c.c. nel caso in cui l’alienante non sia dominus del bene e non, invece, qualora egli lo sia.

Al fine di ammettere l’usucapione abbreviata, si potrebbe pensare di aderire alla tesi della nullità radicale dell’atto di trasferimento non tempestivamente denunciato al Ministero per i beni e le attività culturali. Nel caso in cui il titolo d’acquisto sia tacciato di nullità, infatti, il successivo acquirente compirebbe un acquisto a non domino. Tale acquisto, tuttavia, rappresenterebbe un ulteriore titolo nullo, in quanto anch’esso sanzionabile ai sensi dell’art. 164 D.lgs. 42/2004 e, come tale, inidoneo a dare adito all’usucapione ex art. 1159 c.c.(37)

Altra riflessione va, poi, fatta quanto l’ultimo titolo di provenienza sia stato regolarmente notificato mentre non lo sono stati quelli precedenti; si potrebbe sostenere che il vizio della mancata notifica di un titolo, soprattutto se risalente, possa essere sanato di fatto dalla notifica del titolo di ritrasferimento successivo.

In sostanza trovandosi in presenza di un titolo di provenienza regolarmente notificato e per il quale non è stata esercitata la prelazione, “l’accanimento” del sistema potrebbe essere inutile.

La pubblica amministrazione, infatti, ha già valutato, con riferimento all’ultimo titolo la

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opportunità di esercitare la prelazione, ed anzi al ricevimento della notifica avrà già avuto modo di notare dai propri archivi la mancata notifica del titolo precedente.

L’interesse pubblico, pertanto, è stato già tutelato dalla valutazione in sede di esame del titolo notificato, con inevitabile rilievo nel vizio del titolo precedente.

In sintesi, con il ricevimento della notifica di un titolo di trasferimento la pubblica amministrazione ha già avuto tutti gli strumenti per verificare la regolarità della filiera e quindi, se ne deve dedurre una implicita presa d’atto dei titoli precedenti.

In caso contrario la pubblica amministrazione potrebbe autonomamente intervenire per denunziare il vizio del trasferimento precedente, attivandosi con i rimedi previsti dalla legge.

Non potrebbe, poi, ritenersi applicabile il principio della pubblicità sanante, disposto ex art. 2652 n. 6 c.c. La norma tutela l’acquisto dei terzi in buona fede che sia stato trascritto prima della trascrizione della domanda giudiziale volta a far valere la nullità (o l’annullabilità) e solo nel caso in cui quest’ultima trascrizione sia avvenuta ad oltre un quinquennio di distanza dalla prima.

In primo luogo può notarsi che la tutela degli interessi privati non può che cedere di fronte agli interessi di stampo pubblicistico già evidenziati, a cui è ispirata l’intera disciplina del D.lgs. 42/2004.

La pubblicità sanante, inoltre, interessa la situazione del subacquirente da chi ha acquistato con titolo viziato(38), quindi al più potrebbe valere nell’ipotesi del ritrasferimento del bene culturale. A ciò si può, tuttavia, obiettare che il principio dettato dall’art. 2652 n. 6 c.c. attiene agli acquisti a non domino e, come già precedentemente chiarito, non si ritiene che le fattispecie di alienazione del bene culturale in spregio della disciplina della prelazione artistica diano luogo ad acquisti a non domino, essendo il titolo valido ed efficace inter partes.

Anche qualora si ritenesse operante il principio della pubblicità sanante nell’ipotesi del ritrasferimento, bisognerebbe presupporre che tale titolo non sia viziato(39). Se, tuttavia, con ciò s’intende che sono state poste in essere le formalità tardive per consentire l’esercizio del diritto di prelazione, emerge nuovamente l’inadeguatezza del principio de quo nelle ipotesi in esame.

La responsabilità del notaio

L’intervento del notaio in tale complessa fattispecie si articola in tre fasi: prima, durante e dopo la stipula dell’atto di trasferimento.

Nelle fase preparatoria il suo ruolo impone la verifica della sussistenza del vincolo nonché dall’effettivo esatto procedimento di notifica del/dei titolo/titoli di provenienza.

Circa tale verifica, il notaio ha vari strumenti di indagine, tra i quali quello “principale” è

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rappresentato da una certificazione rilasciata dalle Autorità competenti.

Possono, poi, essere di aiuto il reperimento delle note di trascrizione del vincolo presso la Conservatoria dei RR.II., oppure la consultazione della banca dati informatica tenuta presso il Ministero e consultabile tramite la Run.

Delicato problema deriva dalla mancata conoscenza dell’esistenza del vincolo, dovuta eventualmente alla mancata trascrizione dello stesso, in quanto si ripete, il vincolo culturale è costituito in virtù della dichiarazione ex art. 13 D.lgs., 42/2004, avendo la trascrizione mera valenza di pubblicità notizia.

Qualora dalle visure ipotecarie il vincolo non dovesse risultare, ma sussistano degli indici obiettivi della culturalità del bene, il notaio rogante avrà cura di informarsi dall’alienante se costui abbia ricevuto notifica della suddetta dichiarazione dal Ministero competente, nonché di verificare se i titoli di provenienza del bene riportino la condizione sospensiva, volta a consentire l’esercizio della prelazione artistica.

Nel caso, poi, dovesse emergere che il bene è stato effettivamente dichiarato di interesse culturale e nei titoli di provenienza siano mancate le formalità prescritte, il notaio consiglierà all’attuale alienante di porre in essere le formalità tardive, come sopra descritte. Ciò potrebbe essere escluso - aderendo alla conclusione di cui sopra - nel caso in cui sia trascorso un ventennio dall’ultimo titolo di provenienza, essendo maturato il termine per l’usucapione del bene, anche in mancanza della relativa sentenza d’accertamento.

Con riferimento alle problematiche fin qui esaminate, si sostiene(40), dunque, che una adeguata informazione delle parti circa la mancata notifica del titolo/titoli di provenienza, esoneri il notaio da ogni responsabilità in materia.

Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità(41), infatti, non è sottoponibile a responsabilità il notaio che riceva un atto di trasferimento di un bene usucapito senza che prima sia stata emessa la sentenza dichiarativa dell’usucapione, non essendo l’atto tacciabile di nullità. Ciò è tanto più vero nel caso di specie, in cui, oltre al possesso ad usucapionem, sussiste anche un atto di trasferimento, seppur viziato per l’inosservanza della disciplina ex D.lgs. 42/2004.

Spostandoci alla fase della stipula è, poi, auspicabile che il notaio rogante inserisca nell’atto di trasferimento condizionato l’espressa assunzione dell’obbligo di stipulare l’atto di avveramento, decorso il periodo prescritto dalla normativa. Tale atto sarà annotato a margine della trascrizione dell’atto di trasferimento consentendo così di accertare la regolarità dell’acquisto.

Nonostante nulla disponga la disciplina del codice dei beni culturali in tal senso, infatti, nella prassi, all’atto di trasferimento del bene culturale condizionato sospensivamente al mancato esercizio della prelazione, si fa seguire un atto ricognitivo dell’avveramento o mancato avveramento della suddetta condizione.

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Nella terza fase, cioè quella successiva alla stipula, occorre analizzare gli obblighi previsti per le

L’art. 59 D.lgs. 42/2004, come più volte rilevato, pone, infatti, l’obbligo di denuncia in capo ai soggetti direttamente coinvolti nel trasferimento. Nella prassi, tuttavia, sovente la denuncia è predisposta, nonché notificata, ad opera del notaio incaricato della stipula dell’atto di trasferimento del bene culturale, pur essendo sottoscritta dal soggetto obbligato e, su espresso mandato di quest’ultimo.

Si pone, infine, il problema dell’eventuale responsabilità ex art. 28 L. 89/1913 del notaio che abbia ricevuto l’atto di trasferimento del bene in mancanza delle prescrizioni previste dal codice dei beni culturali.

L’art. 164 D.lgs., 42/2004 commina, infatti, una sanzione di nullità. Secondo la dottrina più risalente(42) l’atto in questione sarebbe, pertanto, irricevibile dal notaio, in quanto lesivo del citato art. 28.

La più recente dottrina(43)ritiene, invece, che non sussista responsabilità per il notaio che abbia rogato l’atto in mancanza delle formalità necessarie: come già chiarito, infatti, l’atto sarebbe semplicemente caratterizzato da inefficacia relativa.

Anche qualora si volesse accedere alla tesi della nullità relativa, tuttavia, è la stessa giurisprudenza di legittimità che, per consolidato indirizzo, esclude tale tipo di nullità dall’ambito di applicativo dell’art. 28 L. 89/1913, nel quale rientra la sola ipotesi di nullità assoluta.

(1) Questi ultimi di recente introduzione nella normativa con D.lgs. 62/2008. La menzione dei soli enti ecclesiastici riconosciuti, lascia pensare che ai non riconosciuti si applichi la diversa disciplina prevista per i privati.

(2) È appena il caso di sottolineare che la disciplina relativa alla negoziabilità dei beni non è applicabile ai beni demaniali di titolarità dello Stato o di enti territoriali, essi, infatti, non sono alienabili, ma solo utilizzabili dietro concessione. Pertanto, a tali beni non si applica né la disciplina dell’autorizzazione, né quella della prelazione. Cfr. G. CASU, «Codice dei beni culturali. Prime riflessioni», studio n. 5019, in Studi e materiali, 2004, 2, p. 686.

(3) Per un’approfondita analisi in argomento vedi A. PISCHETOLA, «La “nuova” autorizzazione all’alienazione dei beni culturali», in Notariato, 2008, p. 695 e ss.

(4) Tali sono secondo l’art. 10, comma 3, D.lgs. 42/2004 «quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’articolo 13»: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico particolarmente importante; b) gli archivi e i singoli documenti che rivestono interesse storico particolarmente importante; c) le raccolte librarie di eccezionale

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interesse culturale; d) le cose immobili o mobili che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche collettive o religiose; e) le collezioni o serie di oggetti che non siano ricomprese tra quelle elencate al comma 2 che, per tradizione, per fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse.

(5) Cfr. G. CASU, op. cit., p. 688.

(6) Come affermato anche dalla Corte Cost., 20 giugno 1195, n. 269, in Giur. cost., 1995, p. 1927.

(7) Tale norma è stata oggetto di recente innovazione ad opera dell’art. 4 D.l. 78/2011, in ragione della semplificazione normativa che ispira l’intervento legislativo. La precedente formulazione imponeva l’obbligo di denuncia in qualsiasi caso di trasferimento anche della semplice detenzione, tanto per i beni mobili, quanto per gli immobili. Tale differente formulazione determinava una seppur minima discrasia nell’ambito applicativo della disciplina de qua. gli atti di trasferimento della detenzione di beni immobili, ai quali, come si vedrà in seguito, si ritenevano sotto questo profilo equiparabili i trasferimenti di diritti reali limitati, dovevano comunque essere denunciati al Ministero competente, sebbene non siano soggetti al diritto di prelazione da parte di quest’ultimo.

(8) Art. 59, comma 2, D.lgs. 42/2004: «La denuncia è effettuata entro trenta giorni: a) dall’alienante o dal cedente la detenzione, in caso di alienazione a titolo oneroso o gratuito o di trasferimento della detenzione; b) dall’acquirente in caso di trasferimento avvenuto nell’ambito di procedure di vendita forzata o fallimentare ovvero in forza di sentenza che produca gli effetti di un contratto di alienazione non concluso; c) dall’erede o dal legatario, in caso di successione a causa di morte...».

(9) Così anche G. CASU, op. cit., p. 691.

(10) Precedentemente era discussa l’applicabilità della normativa alla fattispecie del conferimento in società, l’espressa previsione è stata introdotta nella norma in commento, onde dissipare i dubbi in materia, dall’ art. 2 D.lgs. 156/2006.

(11) Gli atti a titolo gratuito inter vivos o mortis causa sono, invece, tradizionalmente esclusi dall’applicazione della prelazione de qua. Il menzionato recente intervento del D.l. 78/2011, rivolto alla semplificazione ed all’eliminazione delle discrasie nel campo applicativo tra l’obbligo di denuncia ed esercizio della prelazione, potrebbe far pensare ad un’estensione dell’applicazione del diritto di prelazione anche a tali fattispecie. Ciò anche in considerazione dell’essere la denuncia l’atto introduttivo del procedimento che consente all’Amministrazione pubblica di esercitare il diritto di prelazione. Viceversa restando ancorati all’interpretazione tradizionale, le suddette fattispecie andrebbero denunciate - ai sensi dell’art. 59 a e c, D.lgs. 42/2004 -

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unicamente ai fini dell’aggiornamento dei Registri dei proprietari di beni culturali.

(12) In tal senso Cons. Stato, 24 maggio 1995, n. 348, in Foro it., 1996, p. 226; D. BOGGIALI - C. LOMONACO, «Ulteriori riflessioni sul codice dei bei culturali», studio n. 5140, in materiali, 2004, 2, p. 716.

(13) Per una approfondita analisi sul tema si rinvia a G. CASU, op. cit., p. 706; D. BOGGIALI - C. LOMONACO, op. ult. cit.

(14) Sostiene, invece, che si tratti di potestà d’imperio Cass., 21 agosto 1962, n. 2613, in Giur. it., 1962.

(15) In tal senso Cass. 5 agosto 1996, n. 7142, in Mass. Giur. it., 1996.

(16) Così D. MINUSSI, Proprietà, possesso, diritti reali, Napoli, 2009, p. 75; C. FABRICATORE - A. SCARPA, La circolazione dei beni culturali, Milano, 1998, p. 35 ed anche G. CASU, «Testo unico in materia di beni culturali ed ambientali», studio n. 2749/2000, in Studi e materiali, 1998- 2000, 6.1, p. 875, in seguito a perplessità iniziali relative al dato letterale della norma, che parla di efficacia nei confronti di terzi determinata dalla trascrizione. In giurisprudenza: Cass. 9 dicembre 1985, n. 6180, in Giust. Civ., 1986, I, p. 1044.

(17) R. FUCCILLO, «La circolazione dei beni culturali d’interesse religioso», in Dir. eccl., p. 630.

(18) E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Napoli, 1994, p. 484; L. PUCCINI, sulla nullità relativa, Milano, 1967, p. 92.

(19) Cass. 24 maggio 2005, n. 10920, in Foro it., 2006, 6, c. 1880, la quale, in particolare, ha affermato che, trattandosi di nullità relativa, non può nemmeno essere rilevata d’ufficio dal giudice; Cass. 12 ottobre 1998, n. 10083, in Foro it., 1999, c. 126; Cass. 26 aprile 1991, n. 4559,

Mass Giur. it., 1990; Cass. 12 giugno 1990, n. 5688, in Mass Giur. it., 1990; Cass., S.U., 24 novembre 1989, n. 5070, in Mass Giur. it., 1989; Cass., S.U., 15 maggio 1971, n. 1440, in 1971, I, c. 2829.

(20) Così anche G. CASU, «Codice dei beni culturali. Prime riflessioni», cit. , p. 712.

(21) Come si riscontra, ad esempio, nell’art. 2 D.lgs. 122/2005, che così dispone: «...a pena di nullità del contratto che può essere fatta valere unicamente dall’acquirente».

(22) G. CASU, op. ult. cit., parla espressamente di «strano groviglio di discrasie nei principi».

(23) Vedi in tal senso R. SCOGNAMIGLIO, «Sull’invalidità successiva dei negozi giuridici», in dir. comp., 1951, p. 85-89; V. SCALISI, voce Inefficacia, in Enc. dir., vol XXI, Milano, 1971, p. 368.

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(24) Cfr. G. CASU, «Codice dei beni culturali. Prime riflessioni», cit., p. 712; C. LOMONACO, «Denuncia tardiva del trasferimento di un bene culturale ed effetti del decorso del termine», quesito CNN 528-2006/C, in Studi e materiali, 2007, 1, p. 805; A. PISCHETOLA, «Circolazione dei beni culturali e attività notarile», in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, 2006, p. 53; G. LEONE A.L. MARASCO, Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Padova, 2006.

(25) In tal senso G. CASU, «Codice dei beni culturali. Prime riflessioni», cit., p. 713.

(26) La norma da ultimo citata, infatti, impone la sanzione penale della reclusione fino ad un anno e della multa da un minimo di euro 1.549,50 ad un massimo di euro 77.469,00 a carico del soggetto che abbia posto in essere ognuna delle suddette violazioni.

(27) Si esprime in tal senso la consolidata dottrina notarile, vedi: C. LOMONACO, op. cit., A. PISCHETOLA, op. cit., p. 53.

(28) Cfr. A. PISCHETOLA, op. cit., p. 54.

(29) Si potrebbe prendere spunto in tal senso dalla normativa in tema di condono edilizio, che consente la presentazione delle domande non solo al proprietario, ma anche all’occupante.

(30) Come notano anche C. LOMONACO, «In tema di beni culturali: omessa denuncia ed usucapione», quesito CNN n. 500/2007/C, inedito e G. CASU, voce Prelazione artistica, Dizionario del Notariato, Milano, 2006.

(31) In tal senso C. LOMONACO, op. cit., p. 805; G. CASU, «Codice dei beni culturali. Prime riflessioni», cit., p. 714; A. PISCHETOLA, op. cit., p. 53.

(32) Cass. 5 febbraio 2007, n. 2485 in Notariato, 2007, 6, p. 628 con nota di C. BOTTA, «Acquisto per usucapione e validità dell’atto di trasferimento dell’immobile».

(33) Così anche C. LOMONACO, op. ult. cit., p. 805.

(34) Cass. 7 aprile 1992, n. 4260, in Giur. it., 1994, p. 1242 con nota, di parere contrario, di A. DE ANGELI, «Sull’opponibilità al terzo di buona fede della nullità dell’alienazione di bene artistico».

(35) In tal senso G. CASU, «Beni culturali e contrattazioni immobiliari», studio CNN n. 2011/1998, in Studi e materiali, 1998-2000, 6.1, p. 827.

(36) Così G. CASU, op. ult. cit. e D. MINUSSI, op. cit., p. 75.

(37) Si esprime in tal senso anche G. CASU, «Codice dei beni culturali. Prime riflessioni»,

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(38) Questo motivo porta G. BARALIS, «Il ruolo della trascrizione del vincolo; opponibilità dei vincoli non trascritti», in questo volume, ad escluderne categoricamente l’applicabilità, rilevando, altresì, che la salvezza del diritto del subacquierente vale solo nei confronti del suo dante causa e non in quelli di terzi aventi diritto, come può essere lo Stato nelle ipotesi in considerazione.

(39) In tal senso pare pronunciarsi A. PISCHETOLA, «Profili di criticità della circolazione dei beni culturali nell’attività notarile», in Atti del Convegno “La circolazione dei beni culturali”, Vicenza 20 maggio 2011. Tuttavia, precisando che l’applicabilità della pubblicità sanante andrebbe limitata ai soli casi in cui l’acquisto da parte del terzo non sia viziato e chiarendo che non può trattarsi di «soluzione rimediale e riparatoria del vizio del titolo invalido (che resta tale)», l’Autore sottolinea che non farebbe venir meno il diritto di prelazione spettante all’Autorità pubblica.

(40) G. CASU, «Codice dei beni culturali. Prime riflessioni», cit., p. 827; D. MINUSSI, op. cit., p.

(41) Cass. 5 febbraio 2007, n. 2485, cit.

(42) C. FABRICATORE - A. SCARPA, op. cit., p. 100.

(43) G. CASU, «Beni culturali e conseguenze dell’omessa denuncia», quesito CNN n. 104-2008/C, in Studi e materiali, 2008, 2, p. 827.