historiografía italiana

46
 La st ori og rafi a pi ù re centesulla fi na nza i ta li a na de l l a pri ma e mode rna : g l i studi sul l a fi sca l i di L UCIANO PEZZOLO Un oggetto polimorfo In un re ce nte libr o s ul l ’istituzione de l corpo territoriale pa dov a no fra Quattro e Cinquecento l’autrice si preoccupa di avvertire il lettore che “nono- stante tratti soprattutto di tasse, … [il] lavoro non si propone di entrare nel merito del problema della fiscalità e della sua storia, perché questo è tutt’altro argomento” 1 . I n e f f e tti , gran parte de l l e pa g ine de l vol um e s ono de dica te a l l a tassazione diretta e ai conflitti che la sua ripartizione accende fra i diversi pro- tagonisti (città e contado, cittadine minori, comunità rurali…). Eppure l’autri- ce invita subito il lettore a non essere confusa con uno/a studioso/a di storia della fiscalità e, soprattutto, a non porre la sua ricerca nel novero della storia fiscale. Questa palese presa di posizione induce a domandarci che cosa sia allo- ra la storia fiscale, quali specifici strumenti metodologici e concettuali assuma, quali scopi si prefigga, e quali differenze invece sussistano rispetto ad altri set- tori della ricerca storica. È superfluo affermare che la storia fiscale ha come oggetto la fiscalità: ma questa banale affermazione apre una serie di questioni che forse, pur rapida- m e nte , va le la pe na di tocca re . L a f i s ca l i concerne s va r i a ti a s pe tti de l l ’attivi statale e locale, caratterizza la sfera del ‘pubblico’ ma si incunea anche in quel- la del ‘privato’, a ulteriore riprova che nell’antico regime i due ambiti non sono a f f a tto se pa r a bil i e f a cilm e nte r i conos ci bili . L a m a te ria f i sca l e si of f re com e campo privilegiato di ricerca sia allo storico economico che a quello politico, e questo crea non poche complicazioni per individuare e determinare con chia- r e zza un l avoro di s tori a f i s ca l e . I n que s te pag i ne f oca li zze r ò l a mia a ttenzi one 33 1 L . F AVARETTO, L’i sti tuzi o ne i nfo rm a le. I l Terr itori o p a do va no da l Qua ttr o c e nto a l Ci nque - cento , Milano 1998, p. XI.

Transcript of historiografía italiana

La storiografia pi recente sulla finanza italiana della prima et moderna: gli studi sulla fiscalitdi LUCIANO PEZZOLO

Un oggetto polimorfo In un recente libro sullistituzione del corpo territoriale padovano fra Quattro e Cinquecento lautrice si preoccupa di avvertire il lettore che nonostante tratti soprattutto di tasse, [il] lavoro non si propone di entrare nel merito del problema della fiscalit e della sua storia, perch questo tuttaltro argomento1. In effetti, gran parte delle pagine del volume sono dedicate alla tassazione diretta e ai conflitti che la sua ripartizione accende fra i diversi protagonisti (citt e contado, cittadine minori, comunit rurali). Eppure lautrice invita subito il lettore a non essere confusa con uno/a studioso/a di storia della fiscalit e, soprattutto, a non porre la sua ricerca nel novero della storia fiscale. Questa palese presa di posizione induce a domandarci che cosa sia allora la storia fiscale, quali specifici strumenti metodologici e concettuali assuma, quali scopi si prefigga, e quali differenze invece sussistano rispetto ad altri settori della ricerca storica. superfluo affermare che la storia fiscale ha come oggetto la fiscalit: ma questa banale affermazione apre una serie di questioni che forse, pur rapidamente, vale la pena di toccare. La fiscalit concerne svariati aspetti dellattivit statale e locale, caratterizza la sfera del pubblico ma si incunea anche in quella del privato, a ulteriore riprova che nellantico regime i due ambiti non sono affatto separabili e facilmente riconoscibili. La materia fiscale si offre come campo privilegiato di ricerca sia allo storico economico che a quello politico, e questo crea non poche complicazioni per individuare e determinare con chiarezza un lavoro di storia fiscale. In queste pagine focalizzer la mia attenzione

1 L. FAVARETTO, Listituzione informale. Il Territorio padovano dal Quattrocento al Cinquecento, Milano 1998, p. XI.

33

su ricerche che esplicitano sin dallinizio (direi dal titolo) un interesse specifico per il sistema fiscale (strumenti di accertamento e di prelievo), la finanza statale e locale (bilanci, analisi di politica finanziaria, istituzioni fisco-finanziarie), mentre non prender in considerazione gli ambiti del debito pubblico, della moneta e delle istituzioni creditizie, che sono esaminati in altre pagine di questa rivista. Gi questi temi implicano una scelta di carattere metodologico: vale a dire lanalisi e limpiego anzitutto di dati quantitativi; e, in secondo luogo, luso seppur cauto e storicamente collocati di concetti elaborati dalla disciplina tributaria2. Tuttavia tali limiti non soddisfano i requisiti che a mio vedere dovrebbero permettere di individuare la storia finanziaria. Come definire dunque questo particolare settore della ricerca storica? Almeno due possono essere le vie da seguire: anzitutto emerge una definizione empirica, che deriva dalloggetto dello studio (la storia della finanza riguarda tutto ci che concerne lattivit delle istituzioni pubbliche in ambito fisco-finanziario), che potremmo definire come branca delleconomia pubblica; una seconda via richiede un approccio normativo, che prenda in considerazione un ampio spettro non sempre connesso alla sfera pubblica. La proposta di Jean-Claude Waquet mi sembra degna di considerazione: per lo studioso francese Les finances ralisent la transformation des ressources publiques en prives et des ressources prives en publiques. Elles se dcomposent en un ensemble de processus dacquisition et de cession qui, mis en uvre par des sujets eux-mme publics et privs, exercent les uns sur les autres une influence rciproque3. Quanto agli obiettivi della storia fiscale, credo che debbano essere i pi ampi possibile. Se vero che uno degli scopi principali chiarire i rapporti tra entrate pubbliche nel loro complesso e incidenza che le stesse possono avere sul sistema economico di produzione e di consumo e sulla sua evoluzione4 avremmo bens raggiunto un importante traguardo, ma che certo non rappresenta il fine ultimo. La ricerca, anche fiscale, dovrebbe sforzarsi di individuare e porre in relazione i molteplici aspetti (economici, politici, sociali) che interessano la fiscalit per contribuire a porre ulteriori tasselli ad un mosaico assai difficile da ricostruire. Cos, per esempio, la problematica tributaria va a toccare questioni

2 Su alcuni fraintendimenti che possono verificarsi nelladozione di concetti propri della scienza finanziaria contemporanea vedi le osservazioni di O. BRUNNER, Terra e potere. Strutture pre-statuali e pre-moderne nella storia costituzionale dellAustria medievale, Milano 1983 (Wien 19655), pp. 382 sgg., 408 sgg. 3 J.-C. WAQUET, Le Grand-Duch de Toscane sous les derniers Mdicis. Essai sur le systme des finances et la stabilit des institutions dans les ancien tats italiens, Rome 1990, p. 175. 4 A. GROHMANN, La storiografia economica relativa allet medievale in Italia, in Due storiografie economiche a confronto: Italia e Spagna dagli anni 60 agli anni 90, a cura di A. Grohmann, Milano 1991, p. 114.

34

riguardanti lantropologia, se consideriamo il pagamento delle imposte come un atto di reciprocit che implica uno scambio fra i contribuenti e il principe5. Termini quali dono, sussidio, aiuto allora assumono un significato non meramente retorico ma sottendono un rapporto segnato da precisi doveri fra sudditi e sovrano6. Limposta, inoltre, deve trarre forza da una riconosciuta legittimit sancita dal diritto. Anche se la concezione diffusa nelle grandi monarchie che anzitutto il principe debba vivere del suo non pare altrettanto presente negli Stati italiani, altres vero che qualsiasi imposta abbisogna di una forte legittimit, che solitamente viene fornita dalla necessit della difesa della fede cattolica o del territorio. Il passaggio che avviene tra basso medioevo e prima et moderna della sacralit dello Stato dalla sfera religiosa a quella laica comporta anche nel campo fiscale profondi mutamenti: Christu-fiscus e patria vengono cos a costituire, nella costruzione ideologica dellepoca, un sistema di grande efficacia per legittimare la richiesta tributaria del sovrano e la diffusione di un nuovo concetto di dovere fiscale7.

Un panorama In questa sezione cercher di fornire un resoconto dei recenti lavori di storia fiscale riguardante i singoli Stati8, mentre nella parte successiva proporr alcune considerazioni a riguardo.

5 A. GURY, Le roi dpensier. Le don, la contrainte, et lorigine du systme financier de la monarchie franaise dAncien Rgime, in Annales ESC, 39, 1984, pp. 1241-69. Per il pi vasto contesto medievale G. TODESCHINI, I mercanti e il tempio. La societ cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza fra Medioevo ed Et Moderna, Bologna 2002, pp. 187 sgg.; e per quello moderno, N. ZEMON DAVIS, The gift in sixteenth-century France, Maddison 2000 (tr. it., Milano 2002). 6 Interessanti osservazioni sono svolte per il caso inglese da G.L. HARRIS, Aids, loans and benevolences, in Historical journal, 6, 1963, pp. 1-19. 7 Di grande fascino rimane la fine analisi condotta da E. KANTOROWICZ, I due corpi del re. Lidea di regalit nella teologia politica medievale, Torino 1989 (Princeton 1957), pp. 141 sgg., 243-49. La riproposta di P. PRODI, Introduzione a Fisco religione Stato nellet confessionale, a cura di H. Kellenbenz e P. Prodi, Bologna 1989, pp. 7-20, non sembra aver trovato ancora seguito. Ho provato ad applicare il modello nel mio, Il fisco dei veneziani. Finanza pubblica ed economia tra XV e XVII secolo, Verona 2003, pp. 25, 113-19. Alcune indicazioni per la Spagna sono fornite da C.J. JAGO, Taxation and political culture in Castile 1590-1640, in Spain, Europe and the Atlantic world. Essays in honour of John H. Elliott, ed. by R.L. Kagan and G. Parker, Cambridge 1995, pp. 48-72. Per un panorama generale, E. ISENMANN, Medieval and renaissance theories of state finance, in Economic systems and state finance, ed. by R. Bonney, Oxford 1995, pp. 21-52. 8 Per un quadro delle ricerche italiane nei decenni precedenti cfr. A. DI VITTORIO, Financial history in Italy in the writings of the last twenty-five years, in Journal of European economic history, 1, 1972, pp. 181-92; ID., La storia economica del mondo moderno, in La storiografia italiana degli ultimi

35

Per quanto riguarda gli Stati minori, la finanza farnesiana, dopo le ricerche di Romani, stata riconsiderata da Podest, che ha evidenziato gli importanti nessi fra politica e finanza nel momento della fondazione e del consolidamento del nuovo Stato. Alcuni lavori sono apparsi su altri ducati padani, ma si tratta di aspetti specifici, mancando ancora uno studio complessivo sulle vicende finanziare in et moderna9. Lo studio della finanza piemontese vanta una lunga e consolidata tradizione (si pensi agli esemplari lavori di Einaudi e Prato, e agli studi di Garino Canina), che stata ripresa e rinnovata da Enrico Stumpo nella sua monografia relativa al Seicento10. La finanza statale esaminata attraverso i bilanci di vertice

ventanni, a cura di L. De Rosa, II, Roma-Bari 1989, in particolare pp. 272-79; WAQUET, Le Grand-Duch de Toscane, pp. 137-74; G. FELLONI, Temi e problemi nella storia finanziaria degli stati italiani, in Rivista di storia finanziaria, 2, 1999, pp. 101-12. Per il periodo medievale, oltre a GROHMANN, La storiografia economica; P. MAINONI, Finanza pubblica e fiscalit nellItalia centro-settentrionale fra XIII e XV secolo, in Studi storici, 40, 1999, pp. 449-70. Si pu fare un interessante confronto con la storiografia finanziaria spagnola in base allampia e aggiornata rassegna di B. HERNNDEZ, Fiscalidad de reinos y deuda pblica en la Monarqua hispnica del siglo XVI, Crdoba 2002, pp. 1-52. 9 G.L. PODEST, Dal delitto politico alla politica del delitto. Finanza pubblica e congiure contro i Farnese nel Ducato di Parma e Piacenza dal 1545 al 1622, Milano 1995; con alcuni dati ulteriori, ID., Il patrimonio del principe: i Farnese, in Tra rendita e investimenti. Formazione e gestione dei grandi patrimoni in Italia in et moderna e contemporanea, Bari 1998, pp. 89-103. Di M.A. ROMANI si vedano, Finanza pubblica e potere politico: il caso dei Farnese (1545-1593), in Le corti farnesiane di Parma e Piacenza (1545-1622), I, a cura di M.A. Romani, Roma 1978, pp. 3-85; ID., Honesto ocio post laborem ad reparandam virtutem quiete: corte, finanze e loisir nei ducati padani tra Cinque e Seicento, in Il tempo libero. Economia e societ (Loisiris, leisure, Tiempo libre, Freizeit), secc. XIII-XVIII, a cura di S. Cavaciocchi, Firenze 1995, pp. 615-39; ID., Finanze, istituzioni, corti: i Gonzaga da padroni a principi (XIV-XVII sec.), in La corte di Mantova nellet di Andrea Mantegna, 1450-1550, a cura di C. Mozzarelli, R. Oresko e L. Ventura, Roma 1997, pp. 93-105; ID., e M. CATTINI, Le corti parallele: per una tipologia delle corti padane dal XIII al XVI secolo, in Lo Stato e il potere nel Rinascimento. Per Federico Chabod (1901-1960), in Annali della Facolt di Scienze politiche [di Perugia], 17, 1980-81, pp. 57-87. Si vedano anche le osservazioni di I. Lazzarini, Prime osservazioni su finanze e fiscalit in una signoria cittadina: i bilanci gonzagheschi tra Tre e Quattrocento, in Politiche finanziarie e fiscali nellItalia centro settentrionale (secoli XIIIXV), a cura di P. Mainoni, Milano 2001, pp. 87-123. Per gli Estensi qualche cenno in M. CATTINI, Dalleconomia della guerra alla guerra in economia. Prime indagini sullorganizzazione militare estense nei secoli XV e XVI, in Guerre Stati e citt. Mantova e lItalia padana dal secolo XIII al XIX, a cura di C.M. Belfanti, F. Fantini DOnofrio e D. Ferrari, Mantova 1988, pp. 31-40; G. GUERZONI, Angustia ducis, divitiae principum. Patrimoni e imprese estensi tra Quattro e Cinquecento, in Tra rendita e investimenti, pp. 57-87; ID., Loro bianco di Comacchio. Ovvero splendori e miserie delle saline estensi nella prima met del Cinquecento, in Cheiron, 17, 2000, pp. 103-35. 10 E. STUMPO, Finanza e Stato moderno nel Piemonte del Seicento, Roma 1979. Si vedano anche alcuni interventi successivi del medesimo autore: Finanze e ragion di Stato nella prima et moderna. Due modelli diversi: Piemonte e Toscana, Savoia e Medici, in Finanze e ragion di Stato in Italia e in Germania nella prima et moderna, a cura di A. De Maddalena e H. Kellenbenz, Bolo-

36

posta al centro del problema dellampliamento delle prerogative ducali sul territorio e della formazione di un apparato istituzionale e militare efficiente. Il modello proposto nel volume sottolinea i vantaggi che di fatto vennero goduti da uno Stato late comer rispetto alle formazioni statali di origine cittadina; vantaggi di carattere istituzionale (stato feudale-monarchico) ed economico (scarsa rilevanza delleconomia urbana) che permisero al piccolo ducato di attraversare una fase positiva proprio lungo il XVII secolo e di svilupparsi nel periodo successivo. Il periodo cinquecentesco non stato ancora analizzato in profondit11; per il Piemonte settecentesco, la finanza statale non ha visto recenti esami, gran parte dellinteresse si concentrato sulle vicende e i risultati della perequazione generale di Vittorio Amedeo II, che rappresenta ancora uno dei momenti cruciali della politica riformista sabauda12. Quanto allo Stato di Milano, occorre rilevare che le nostre conoscenze si sono notevolmente ampliate negli anni pi recenti. Le accurate pagine che Federico Chabod aveva dedicato ai problemi finanziari nella prima met del XVI secolo e il quadro delineato da Salvatore Pugliese per il Settecento costituivano ancora alle soglie degli anni settanta pressoch gli unici lavori dedicati alla finanza pubblica lombarda. Alcuni studi a livello locale, comunque, presentavano dati particolarmente interessanti circa le finanze cittadine13; si trattagna 1984, pp. 181-231; e Guerra ed economia. Spese e guadagni militari nel Piemonte del Seicento, in Studi storici, 27, 1986, pp. 382-88. Qualche cenno relativo alla finanza locale si trova in alcuni saggi di G. BRACCO, Taglie e gabelle. Studi e ricerche sulle finanze sabaude, Torino 1990. 11 Alcuni elementi sono offerti da P. MERLIN, Il Cinquecento, in P. MERLIN, C. ROSSO, G. SYMCOX, G. RICUPERATI, Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in et moderna, in Storia dItalia, diretta da G. Galasso, VIII, 1, Torino 1994, pp. 14-15, 68-69, 112-13, 127-34, 152-59. Per la situazione finanziaria tardomedievale, alcune indicazioni in A. BARBERO, Il ducato di Savoia. Amministrazione e corte di uno stato franco-italiano (1416-1536), Roma-Bari 2002, pp. 88-96, 98-120. 12 Oltre al classico lavoro di G. QUAZZA, Le riforme in Piemonte nella prima met del Settecento, Modena 1957, si vedano I. RICCI, Perequazione e catasto in Piemonte nel secolo XVIII, in Citt e propriet immobiliare in Italia negli ultimi due secoli, a cura di C. Carozzi e L. Gambi, Milano 1981, pp. 138-152; e D. BORIOLI, M. FERRARIS, A. PREMOLI, La perequazione dei tributi nel Piemonte sabaudo e la realizzazione della riforma fiscale nella prima met del XVIII secolo, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, 83, 1985, pp. 131-211. Elementi sintetici si trovano nei vari contributi di MERLIN, ROSSO, SIMCOX, RICUPERATI, Il Piemonte sabaudo. 13 B. CAIZZI, Il Comasco sotto il dominio spagnolo. Saggio di storia economica e sociale, Como 1956 (ho consultato la ristampa edita a Napoli nel 1980); ID., Il Comasco sotto il dominio austriaco fino alla redazione del catasto teresiano, Como 1955; ID., Economia e finanza a Vigevano nel Cinque e Seicento, in Nuova rivista storica, 39, 1955, pp. 357-76; I. JACOPETTI, Le finanze del comune di Cremona durante la dominazione spagnuola, Cremona 1961 (Annali della Biblioteca governativa e libreria civica di Cremona, XIV); U. MERONI, Cremona fedelissima. Studi di storia economica e amministrativa di Cremona durante la dominazione spagnola, Cremona 1950 (ivi, III); ID., Cremona fedelissima. Popolazione, industria e commercio, imposte camerali, commercio dei grani, moneta e prezzi a Cremona durante la dominazione spagnola, Cremona 1957 (ivi, X).

37

va di studi che, tuttavia, stentavano a collegarsi con il pi ampio quadro fiscofinanziario statale. Le successive ricerche di Alberto Cova e di Giovanni Vigo14, cos, si collocavano in un panorama storiografico sostanzialmente desolato, che dagli anni Settanta tuttavia ha fatto segnare un notevole ripopolamento. Il funzionamento e i tentativi di riforma delle istituzioni finanziarie sia in et spagnola che in quella austriaca sono stati messi in luce in vari contributi15. Una serie di dati quantitativi sulle finanze statali sono stati offerti ed elaborati in prima approssimazione. Purtroppo i significativi limiti, comuni a tale tipo di documentazione, che registrano in particolare i bilanci lombardi dellet spagnola hanno sinora impedito una approfondita analisi della finanza di vertice e dei flussi che essa muoveva16. Una spinta a rivedere il ruolo della spesa pubblica, in particolare quella destinata al settore militare, giunta dal noto lavoro di Sella, che ha rivalutato in senso positivo la funzione della denaro speso per la macchina militare17. Secondo lautore, infatti, i consistenti sussidi esteri e le rilevanti somme spese dentro i confini dello Stato rappresentarono un elemento di tenuta del sistema economico e sostennero alcuni settori produttivi, in particolare quelli connessi alle forniture militari. La guerra, dunque, gene-

14 A. COVA, Il Banco di S. Ambrogio nelleconomia milanese dei secoli XVII e XVIII, Milano 1972; G. VIGO, Fisco e societ nella Lombardia del Cinquecento, Bologna 1979; ID., Finanza pubblica e pressione fiscale nello Stato di Milano durante il secolo XVI, Milano 1979 (in parte ripreso in Rivista milanese di economia, 33, 34, 1990). 15 Una prima descrizione dellorganizzazione finanziaria dello Stato stata fornita da R. CELLI e M. PEGRARI, Le istituzioni finanziarie pubbliche del Ducato di Milano, Milano 1979; M. OSTONI, Gestione delle entrate e controllo contabile a Milano: i Magistrati dei redditi e la Tesoreria generale fra Cinque e Seicento, in La Lombardia spagnola. Nuovi indirizzi di ricerca, a cura di E. Brambilla e G. Muto, Milano 1997, pp. 209-23; ID., I conti dello Stato e la Tesoreria generale di Milano: la gestione di Muzio e Francesco Parravicino (1600-1640), in Storia economica, 1, 1998, pp. 563-99; ID., Aspetti, dinamiche e protagonisti dellamministrazione finanziaria dello Stato di Milano: la Tesoreria negli anni di Carlo V, in Sardegna, Spagna e Stati italiani nellet di Carlo V, a cura di B. Anatra e F. Manconi, Roma 2001, pp. 243-63; ID., Controllori e controllati: i ragionati nellamministrazione finanziaria milanese fra Cinque e Seicento, in Le forze del Principe. Recursos, instrumentos y lmites en la prctica del poder soberano en los territorios de la Monarqua Hispanica, in corso di stampa; D. MAFFI, Lamministrazione della finanza militare nella Lombardia spagnola: i veedores e i contadores dellesercito (1536-1700), in Storia economica, 5, 2002, pp. 51-106; C. CAPRA, Lamministrazione delle finanze e le prime riforme asburgiche nello Stato di Milano (1737-1753), Milano 1979; ID., Riforme finanziarie e mutamento istituzionale nello Stato di Milano: gli anni sessanta del secolo XVIII, in Rivista storica italiana, 91, 1979, pp. 313-68; G. MUTO, Il governo della Hacienda nella Lombardia spagnola, in Lombardia borromaica, Lombardia spagnola 1554-1659, a cura di P. Pissavino e G. Signorotto, I, Roma 1995, pp. 265-302. 16 Oltre a VIGO, Finanza pubblica, cfr. M. RIZZO, Finanza pubblica, impero e amministrazione nella Lombardia spagnola: le visitas generales, in Lombardia borromaica, Lombardia spagnola, pp. 303-61. 17 D. SELLA, Leconomia lombarda durante la dominazione spagnola, Bologna 1982 (Cambridge, Mass. 1979), in partic. pp. 113 sgg.

38

ralmente vista come un pozzo senza fine che distrugge risorse, venuta ad assumere una particolare considerazione fra gli storici lombardi, che stanno approfondendo le complesse relazioni fra guerra ed economia18. La fiscalit militare nello Stato di Milano fra i principali interessi della ricerca di Agnoletto: il periodo tra fine Seicento e inizio Settecento durante il passaggio dal dominio spagnolo al controllo austriaco stato esaminato basandosi in particolare sui bilanci preventivi19. Il volume affronta le questioni finanziarie e il dibattito che si svolge circa le riforme da intraprendere; dibattito che si pone alle origini della politica riformista che prende avvio con la Giunta per il nuovo Censimento del 1718. Emerge unimmagine dello Stato e della societ lombarda estremamente complessa, in cui i diversi corpi locali, gli interessi corporativi e la volont del governo centrale si confrontano sul tavolo della fiscalit in un continuo dialogo i cui risultati non sono sempre prevedibili. La conflittualit fra corpi, citt, comuni rurali e governo centrale rappresenta un altro campo particolarmente indagato dalla recente storiografia lombarda. Le vicende legate alla redazione dei due grandi catasti che segnarono unepoca, il censimento generale decretato sotto Carlo V e il catasto teresiano, sono state esaminate con una certa profondit, e collocate nel pi ampio contesto dei rapporti fra lites locali e autorit governative20. Se il catasto caro-

18 D. MAFFI, Guerra ed economia: spese belliche e appaltatori militari nella Lombardia spagnola (1635-1660), in Storia economica, 3, 2000, pp. 489-527; ID., Milano in guerra. La mobilitazione delle risorse in una provincia della monarchia, 1640-1659, in Le forze del Principe. Cfr. anche M.C. GIANNINI, Risorse del principe e risorse dei sudditi: fisco, clero e comunit di fronte al problema della difesa comune nello stato di Milano (1618-1660), in Annali di storia moderna e contemporanea, 6, 2000, pp. 173-225; ID., Citt e contadi dello Stato di Milano nella politica finanziaria del conte di Fuentes, in La Lombardia spagnola, pp. 191-208. 19 S. AGNOLETTO, Lo stato di Milano al principio del Settecento. Finanza pubblica, sistema fiscale e interessi locali, Milano 2000. 20 Per lestimo mercimoniale il libro di VIGO, Fisco e societ, rimane un punto fermo; quanto al catasto fondiario, dopo G. COPPOLA, Lagricoltura di alcune pievi della pianura irrigua milanese nei dati catastali della met del secolo XVI, in Aspetti di vita agricola lombarda (secoli XVI-XIX), Milano 1973, pp. 185-286, si vedano i contributi di A. ZAPPA, Lavvio dellestimo generale dello Stato di Milano nellet di Carlo V, in Societ e storia, 14, 1991, pp. 545-77; EAD., Le lotte e i contrasti per la realizzazione dellestimo generale dello Stato di Milano, in Lombardia borromaica, Lombardia spagnola, pp. 383-403. Per il catasto austriaco, oltre a S. ZANINELLI, Il nuovo censo dello Stato di Milano dalleditto del 1718 al 1733, Milano 1963, C. MOZZARELLI, Sovrano, societ e amministrazione locale nella Lombardia teresiana (1749-1758), Bologna 1982; D.M. KLANG, Tax reform in eighteenth-century Lombardy, New York 1977; A. COVA, Riforma dellimposta fondiaria e produzione agricola in Lombardia nella seconda met del Settecento, in Annali della Facolt di Scienze Politiche dellUniversit di Milano, 2, 1982, pp. 597-621; F. PINO, La citt di Milano e il censimento, in Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nellet di Maria Teresa, III, Bologna 1982, pp. 443-52. Per il travagliato percorso del catasto teresiano si vedano le pagine di C. CAPRA, Il Settecento, in D. SELLA, C. CAPRA, Il

39

lino innesc unaspra e annosa lotta fra le diversi componenti dello Stato; la riforma censuaria promossa dagli austriaci non incontr minor opposizione: le lungaggini, i ricorsi e le gherminelle frapposti da chi vedeva messe in pericolo le proprie posizioni di privilegio provocarono cos forti ritardi da rinviare per decenni la definitiva pubblicazione del catasto. I due catasti sono segnati da profonde differenze, nonostante alcune analogie, soprattutto di carattere tecnico e di filosofia contributiva. Come il catasto cinquecentesco anche quello settecentesco mantiene il principio della responsabilit solidale delle comunit di fronte al fisco, con conseguenze spesso disastrose per i contribuenti21. Analogamente, gi lestimo generale spagnolo spazza, almeno in parte, una congerie di privilegi fiscali legati alla condizione giuridica dei contribuenti e vengono altres ridotti i margini di evasione22. Il quadro che emerge al termine della lunga opera di catastazione quello di un assetto fiscale meno squilibrato rispetto al precedente periodo sforzesco e di un pesante ridimensionamento delle prerogative urbane nei confronti del contado. Il censimento teresiano, a sua volta, rappresenta il punto finale di una serie di tentativi, sino allora naufragati23, di rendere il carico fiscale meno squilibrato fra le diverse componenti dello Stato e di limitare in misura significativa gli ampi spazi di manovra ancora goduti dalle lites locali. Sebbene realizzata nel 1760 dopo una lunga interruzione, la riforma censuaria avviata con Carlo VI segna una significativa inversione di tendenza nelle relazioni fra ceti dirigenti locali e governo centrale: si tratta di un episodio che potrebbe collocarsi in quella congiuntura caratterizzata da un maggior tasso di assolutismo che interessa alcuni Stati italiani fra Sei e Settecento24. I due catasti si pongono cos come momenti esemplari di due differen-

Ducato di Milano dal 1535 al 1796, in Storia dItalia, diretta da G. Galasso, XI, Torino 1984, pp. 21329, 310-328, 338-50; e M. TACCOLINI, Riordino dei tributi ed esenzione dei beni ecclesiastici dello stato di Milano nel settecento: primi risultati di una ricerca in corso, in Annali di storia moderna e contemporanea, 3, 1997, pp. 87-137. 21 L. FACCINI, La Lombardia fra 600 e 700. Riconversione economica e mutamenti sociali, Milano 1988, pp. 93-94. 22 G. VIGO, Alle origini dello stato moderno: fiscalit e classi sociali nella Lombardia di Filippo II, in Studi in memoria di Mario Abrate, II, Torino 1986, p. 771, ha giudicato lestimo decretato nel 1543 come la prima imperfetta affermazione di quel principio di generalit e di impersonalit di fronte allimposta che costituisce il fondamento della finanza moderna. Laffermazione ripresa anche in ID., Uno stato nellimpero. La difficile transizione al moderno nella Milano di et spagnola, Milano 1994, p. 129. 23 S. ZANINELLI, Un Progetto dun nuovo sistema di taglia da pratticarsi nello Stato di Milano del 1709, in Archivio storico lombardo ser. VIII, 10, 1960, pp. 535-86; ID., Un precedente seicentesco della riforma tributaria nello Stato di Milano: il progetto Bigatti (1654-1679), in Studi in memoria di Mario Abrate, II, pp. 813-29. 24 M. VERGA, Tra Sei e Settecento: unet delle pre-riforme?, in Storica, 1, 1995, pp. 89-121.

40

ti modi di governare? Sarebbe troppo semplice rispondere affermativamente: i contesti erano notevolmente diversi, nonostante le pressanti necessit finanziarie di entrambi i governi; il quadro economico e sociale, di conseguenza, aveva registrato mutamenti che si riflettevano sugli equilibri politici; probabilmente le risorse che i gruppi di potere locale disponevano a Madrid erano diverse rispetto a quelle che potevano dispiegare presso la corte austriaca. Un confronto fra le diverse politiche fiscali, pertanto, dovrebbe considerare lo sfondo complessivo; uno sfondo popolato da istituzioni, da congiunture economiche, da rapporti di potere e da uomini con ideali e prospettive piuttosto differenti. Passando alla vicina Repubblica di Venezia, i problemi affrontati dagli studiosi della Lombardia sono per vari aspetti analoghi. Occorre tuttavia rilevare che le fonti finanziarie veneziane sinora pubblicate permettono una miglior conoscenza dei dati quantitativi di base rispetto alla situazione lombarda25, dove la ricostruzione quantitativa dellattivit della finanza di vertice risulta essere unimpresa quasi disperata26. Lavori analitici e di sintesi hanno recato una messe notevole di informazioni e di elaborazioni sia sulla finanza di vertice27 che

25 Mi riferisco naturalmente alla serie dei Bilanci generali della Repubblica di Venezia, I, a cura di F. Besta, Venezia 1912; ibid., II e III, Venezia 1903; ibid., IV, a cura di A. Ventura, Padova 1972. Chi scrive ha in preparazione il V vol. con bilanci che vanno da met Cinque agli inizi del Settecento. Per quanto riguarda lo Stato di Milano, invece, dati quattrocenteschi si possono trovare in F. LEVEROTTI, La crisi finanziaria del ducato di Milano alla fine del Quattrocento, in Milano nellet di Ludovico il Moro, II, Milano 1983, pp. 585-632; mentre per il periodo spagnolo si vedano F. CHABOD, Storia di Milano nellepoca di Carlo V, Torino 1971, pp. 248-49, 253-54, 281-82, 291, 315; ID., Lo Stato e la vita religiosa a Milano nellepoca di Carlo V, Torino 1971, p. 120; COVA, Il Banco di S. Ambrogio, appendice; SELLA, Leconomia lombarda, p. 117; VIGO, Finanza pubblica, pp. 12-16, con importanti avvertenze; RIZZO, Finanza pubblica, impero e amministrazione, pp. 342-54; MUTO, Il governo della hacienda, pp. 289-90; e per il Settecento AGNOLETTO, Lo Stato di Milano, pp. 179 sgg.; M. BIANCHI, Le entrate e le spese dellamministrazione centrale e delle province dello Stato di Milano nella seconda met del Settecento, in Archivio storico lombardo, 104, 1978, p. 174-96. 26 VIGO, Finanza pubblica, p. 12. 27 M. KNAPTON, La dinamica delle finanze pubbliche, in Storia di Venezia, III, Roma 1997, pp. 475-528; ID., Il fisco nello Stato veneziano di Terraferma tra 300 e 500: la politica delle entrate, in Il sistema fiscale veneto. Problemi e aspetti, XV-XVIII secolo, a cura di G. Borelli, P. Lanaro, F. Vecchiato, Verona 1982, pp. 15-57; ID., Il sistema fiscale nello Stato di Terraferma, secoli XIV-XVIII. Cenni generali, in Venezia e la terraferma. Economia e societ, Bergamo 1989; ID., Guerra e finanza (1381-1508), in G. COZZI e M. KNAPTON, La Repubblica di Venezia nellet moderna. Dalla guerra di Chioggia al 1517, in Storia dItalia, diretta da G. Galasso, XII,1, Torino 1986, pp. 273-353; L. PEZZOLO, Il fisco dei veneziani; ID., Loro dello Stato. Societ, finanza e fisco nella Repubblica veneta del secondo 500, Venezia 1990; ID., Sistema di potere e politica finanziaria nella Repubblica di Venezia (secoli XV-XVII), in Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed et moderna, a cura di G. Chittolini, A. Molho, P. Schiera, Bologna, 1994, pp. 303-27; ID., Economia e fiscalit nella Terraferma del Settecento, in Veneto, Istria e Dalmazia tra Sette e Ottocento, a

41

su quella municipale28. La dinamica delle entrate abbastanza chiara: si passa da un volume di entrate pari a circa 46 tonnellate dargento annue lungo il XV secolo a un livello di 55 ton. verso la fine del Cinquecento, si sfiorano le 100 ton. alla vigilia della peste del 1630, ci si assesta attorno alle 83 ton. a met Settecento per poi oltrepassare di poco le 100 negli ultimi anni della Repubblica. Come si vede, la capacit finanziaria della Serenissima era gi discreta nel Quattrocento e conobbe un incremento nel lungo periodo, in termini di cespiti reali, piuttosto contenuto rispetto ad altri Stati. Non diversamente da altri casi, anche per Venezia la tendenza delle entrate funzione anzitutto delle spese, e naturalmente delle spese militari. Salvo la congiuntura cinquecentesca, segnata come noto da un secolare rialzo dei prezzi che si riflette anche sui bilanci statali, sono gli impegni politico-militari della Repubblica che segnano il ritmo degli introiti; impegni che si diradano agli inizi del Settecento, quando allindomani

cura di F. Agostini, Venezia, 1999, pp. 29-42; ID., La finanza pubblica veneziana in et moderna, Dipartimento di Scienze economiche, Universit Ca Foscari di Venezia, Note di Lavoro, ottobre 2003; G. GULLINO, Considerazioni sullevoluzione del sistema fiscale veneto tra il XVI e il XVIII secolo, in Il sistema fiscale veneto, pp. 61-91; A. ZANNINI, La finanza pubblica: bilanci, fisco, moneta e debito pubblico, in Storia di Venezia, VIII, Roma 1998, pp. 431-77; G. ZALIN, La finanza pubblica e le sue difficolt nello Stato Veneto tra ancien rgime e restaurazione austriaca, in La finanza pubblica in et di crisi, a cura di A. Di Vittorio, Bari 1993, pp. 90-120; G. MAZZUCCATO, La politica finanziaria nella Repubblica di Venezia del Settecento, in Rivista di storia economica, 13, 1997, pp. 17396; ID., il pareggio il principio ispiratore della politica di bilancio della repubblica di Venezia nel XVIII secolo?, ibid., 19, 2003, pp. 7-40. 28 G. BARBIERI, La crisi finanziaria di un comune veronese del secolo XVI: Porto di Legnago, in Studi in memoria di Rodolfo Benini, Bari 1956, pp. 29-48; G.M. VARANINI, Il bilancio dentrata delle Camere fiscali di Terraferma nel 1475-76, in ID., Comuni cittadini e Stato regionale. Ricerche sulla Terraferma veneta nel Quattrocento, Verona 1992, pp. 73-123; M. KNAPTON, Lorganizzazione fiscale di base nello Stato veneziano: estimi e obblighi fiscali a Lisiera fra 500 e 600, in Lisiera. Immagini, documenti e problemi per la storia e cultura di una comunit veneta. Strutture, congiunture, episodi, a cura di C. Povolo, I, Vicenza 1981, pp. 377-418; ID., Cenni sulle strutture fiscali nel Bresciano nella prima met del Settecento, estr. da La societ bresciana e lopera di Giacomo Ceruti, s.n.t.; L. PEZZOLO, Dal contado alla comunit: finanze e prelievo fiscale nel Vicentino (secoli XVI-XVIII), in Dueville. Storia e identificazione di una comunit del passato, a cura di C. Povolo, I, Vicenza 1985, pp. 381-428; ID., Una fonte privilegiata dindagine: lestimo comunale, in Bolzano Vicentino. Dimensioni del sociale e vita economica in un villaggio della pianura vicentina (secoli XIV-XIX), a cura di C. Povolo, Vicenza, 1985, pp. 279-305; ID., Istituzioni e amministrazione in Valpolicella nel Cinquecento e primo Seicento, in La Valpolicella nella prima et moderna (1500 c.-1630), a cura di G.M. Varanini, Verona, 1987, pp. 249-316; A. TAGLIAFERRI, Udine nella storia economica, Udine 1983, pp. 149-209; L. MORASSI, Sistema fiscale e diritti giurisdizionali, in I Savorgnan e la Patria del Friuli dal XIII al XVIII secolo, Udine 1984; L. VECCHIATO, La vita politica economica e amministrativa a Verona durante la dominazione veneziana (1405-1797), in L. VECCHIATO e F. VECCHIATO, Verona tra Cinquecento e Settecento, in Verona e il suo territorio, V, 1, Verona 1995, pp. 219-336; G. SILVANO, Padova democratica (1797). Finanza pubblica e rivoluzione, Venezia 1996.

42

della sconfitta nella seconda guerra di Morea il ruolo internazionale di Venezia scade a quello di secondo rango nello scacchiere europeo. Ma oltre alle cifre la ricerca nel Veneto ha cercato di disvelare alcuni problemi, soprattutto di carattere politico e istituzionale, che riguardano la fiscalit. La vivace conflittualit incentrata sulla distribuzione dei carichi fiscali fra centri urbani e contadi si ritrova anche nel Veneto, con dinamiche ed esiti che richiamano lesperienza lombarda. Se nello Stato di Milano il catasto carolino a infuocare i rapporti fra citt e contadi, nella Terraferma lintroduzione del sussidio ordinario nel 1529 rappresenta uno dei momenti di svolta di un periodo gli anni successivi alla crisi di Agnadello che vede come protagonisti cittadini e comitatini impegnati a ripartirsi il nuovo onere e i secondi a cogliere loccasione per mettere in discussione assetti oramai desueti29. In effetti il prelievo attuato per mezzo del sussidio non risulta particolarmente gravoso (100.000 ducati in un bilancio di oltre un milione di ducati), ma esso si colloca in un contesto in forte movimento, nel quale nuove istanze, da parte dei contadi, si levano e spesso trovano ascolto nella capitale; stanno sorgendo istituzioni rappresentative dei comitatini; lites rurali si stanno formando; e le esigenze finanziarie di Venezia stanno sempre pi aumentando. Cos come in Lombardia anche nel Veneto il contenzioso fiscale il terreno sul quale si ingaggia un duro scontro fra i nascenti corpi territoriali e le citt; uno scontro che avr come esito pi eclatante un pesante ridimensionamento delle prerogative dei ceti urbano e un significativo riconoscimento delle richieste dei contadi30. Se let doro dei corpi territoriali stata esaminata in pi occasioni, ancora molto rimane da sapere circa gli esiti di lungo periodo dellaffermazione dei contadi,

G. DEL TORRE, Venezia e la terraferma dopo la guerra di Cambrai. Fiscalit e amministrazione (1515-1530), Milano 1986, pp. 77-83; PEZZOLO, Loro dello Stato, pp. 280-84; A. ROSSINI, Le campagne bresciane nel Cinquecento. Territorio, fisco, societ, Milano 1994, pp. 233-42; I. PEDERZANI, Venezia e lo Stado de Terraferma. Il governo delle comunit nel territorio bergamasco (secc. XV-XVIII), Milano 1992, pp. 134-35, 147-75; L. PEZZOLO, Finanza e fiscalit nel territorio di Bergamo (1450-1630), in Storia economia e sociale di Bergamo, II, a cura di M. Cattini e M.A. Romani, Bergamo 1998, pp. 59-64. 30 Oltre a S. ZAMPERETTI, I sinedri dolosi. La formazione e lo sviluppo dei Corpi territoriali nello Stato regionale veneto tra 500 e 600, in Rivista storica italiana, 99, 1987, pp. 269-320, cfr. M. KNAPTON, Il Territorio vicentino nello stato veneto del 500 e primo 600: nuovi equilibri politici e fiscali, in Dentro lo Stado italico. Venezia e la Terraferma fra Quattrocento e Seicento, a cura di G. Cracco e M. Knapton, Trento 1984, pp. 33-115; G.M VARANINI, Il distretto veronese nel Quattrocento. Vicariati del comune di Verona e vicariati privati, Verona 1980; G. MAIFREDA, Rappresentanze rurali e propriet contadina. Il caso veronese tra Sei e Settecento, Milano 2002; FAVARETTO, Listituzione informale; ROSSINI, Le campagne bresciane; e il numero monografico di Studi bresciani, con studi sulla Lombardia veneta e sullo Stato di Milano; per questultimo cfr. anche G. CHITTOLINI, Citt, comunit e feudi negli stati dellItalia centro-settentrionale (secoli XIV-XVI), Milano 1996.29

43

delle lites che li dirigevano e dei rapporti informali che intessevano con il gruppo dirigente della capitale e del loro ruolo nellassecondare o meno le richieste tributarie del governo. Passando allaltro grande Stato a carattere cittadino, quello toscano, la sensazione che si prova in Lombardia e in Veneto di muoversi su un terreno quello fiscale abbastanza conosciuto svanisce non appena si abbandona la Firenze quattrocentesca. Le ricerche sulla finanza fiorentina nel tardo medioevo sono note, e oramai costituiscono dei classici. Gli studi di Becker e di Molho hanno chiarito importanti aspetti della gestione e della politica finanziaria premedicea, e la ricerca di Conti risulta esemplare quanto a chiarezza e meticolosit31. Gi la Firenze laurenziana si presenta con molte ombre32 anzi, direi strade buie , ma con il sorgere del granducato che la finanza pubblica sembra essere un aspetto quasi negletto dalla recente storiografia. Certo, la situazione documentaria non agevola il ricercatore, costretto a perdersi tra i mille rivoli delle magistrature (e quindi delle casse) fiorentine; altres vero che la marcata commistione fra patrimonio personale del duca e finanza statale complica ulteriormente il lavoro, tuttavia non pu non destare sorpresa che la fiscalit abbia trovato ben pochi cultori nella Toscana della prima et moderna. Poche e incerte sono le cifre sui bilanci cinquecenteschi33, mentre possibile trovare dati seiM. BECKER, Problemi della finanza pubblica fiorentina della seconda met del Trecento e dei primi del Quattrocento, in Archivio storico italiano, 123, 1965, pp. 433-66; ID., Economic change and the emerging territorial state, in Studies in the Renaissance, 30, 1966, pp. 7-39 (tr. it. in La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello stato del Rinascimento, a cura di G. Chittolini, Bologna 1979, pp. 149-86); A. MOLHO, Florentine public finances in the early renaissance Florence, 1400-1433, Cambridge (Mass.) 1971; E. CONTI, Limposta diretta a Firenze nel Quattrocento (1427-1494), Roma 1984. I tratti interpretativi di questi studi sono stati recentemente ripresi da G. CIAPPELLI, Il cittadino fiorentino e il fisco alla fine del trecento e nel corso del quattrocento, Societ e storia, 11, 1989, pp. 823-72; ID., La fiscalitat urbana a Toscana i Florncia als segles XIV i XV. Fonts i problemes, Butllet de la Societat Catalan dEstudis Hstorics, 5, 1994, pp. 43-66; ID., Aspetti della politica fiscale fiorentina fra Tre e Quattrocento, in Istituzioni e societ in Toscana in et moderna, Roma 1994, pp. 61-75. Si veda anche il rapido ma stimolante profilo di P. CAMMAROSANO, Il sistema fiscale delle citt toscane nel tardo medioevo, in Actes. Col-loqui Corona, municipis i fiscalitat a la baixa Edat Mitjana, cur. M. Snchez i A. Furi, Lleida 1997, pp. 79-87; nonch D. HERLIHY, Direct and indirect taxation in Tuscan urban finance, ca. 1200-1400, ora in ID., Cities and society in Medieval Italy, London 1980, primo saggio. 32 Una fievole luce venne gettata da L.F. MARKS, La crisi finanziaria a Firenze dal 1492 al 1502, in Archivio storico italiano, 112, 1952, pp. 40-72; ID., The financial oligarchy in Florence under Lorenzo, in Italian Renaissance Studies, ed. by E.F. Jacob, London 1960, pp. 123-47; e recentemente R. GOLDTHWAITE, Lorenzo Morelli, Ufficiale del Monte, 1484-88: interessi privati e cariche pubbliche nella Firenze laurenziana, in Archivio storico italiano, 154, 1996, pp. 605-33. 33 Per il primo Cinquecento, F. GUIDI, Lotte, pensiero e istituzioni politiche nella Repubblica fiorentina dal 1494 al 1512, III, Firenze 1992, pp. 900-6. Alcune cifre di met secolo si trovano in A. DADDARIO, Burocrazia, economia e finanze dello Stato fiorentino alla met del Cinquecento, in Archivio storico italiano, 121, 1963, pp. 362-456; E. STUMPO, Problemi di storia dellItalia spa31

44

centeschi di una certa affidabilit solo grazie a una tesi di dottorato, nella quale stato ricostruito il sistema fiscale toscano per i decenni centrali del secolo34. Il periodo finale della dinastia stato esaminato nella monografia di Waquet, che tuttavia non offre molti dati sui bilanci35; analogamente, chi volesse trovare cifre globali nel volume di Dal Pane, che si occupato della finanza successiva sino al tramonto del granducato, rimarrebbe piuttosto deluso36. Vengono cos a mancare alcuni dati quantitativi cruciali non solo per determinare il peso del fisco nello Stato mediceo, ma anche per individuare i flussi finanziari che interessavano lintero territorio e in particolare la capitale. Si pu desumere, ad ogni modo, che la finanza granducale abbia registrato una rimarchevole stabilit circa il livello delle entrate tra la fine del Cinque e lungo il Seicento: poco pi di un milione di scudi allanno. Una cifra non certo elevata, che permette di ritenere che i contribuenti toscani non fossero oltremodo gravati37. interessante rilevare, inoltre, che le forme del prelievo non mutarono in misura significativa tra la fine del Quattrocento e il primo Cinquecento (che vede listituzione e il consolidarsi della decima)38 e lultimo quarto del Seicento, quando

gnola nellet di Filippo II, in Quaderni sardi di storia, 2, 1981, pp. 113-14; ID., Finanze e ragion di Stato, pp. 216-17; e F. DIAZ, Il Granducato di Toscana. I Medici, in Storia dItalia, a cura di G. Galasso, XIII, 1, Torino 1976, pp. 160-61. Un riferimento alle entrate ordinarie di fine Cinquecento in E. COCHRANE, Florence in the forgotten centuries 1527-1800, Chicago 1973, p. 173, che riporta una notizia di SIR R. DALLINGTON, Descrizione dello stato del granduca di Toscana. Nellanno di Nostro Signore 1596, a cura di N. Francovich Onesti e L. Rombai, Firenze 1983, p. 75. Larticolo di A.D. ROLOVA, La politica tributaria dei duchi di Toscana nella seconda met del 500 e agli inizi del 600, in Srednie Veka, 41, 1977, pp. 50-77 (in russo) rappresenta una rassegna abbastanza superficiale del sistema fiscale toscano e riporta cifre non sempre attendibili. 34 A. DALAIMO, La finanza pubblica del granducato di Toscana al tempo di Ferdinando II (1621-1670), Istituto universitario navale di Napoli, 1995. 35 WAQUET, Le Grand-Duch de Toscane. E il contributo di G. PANSINI, Per una storia del debito pubblico e della fiscalit al tempo di Cosimo III dei Medici (il monte sussidio vacabile e le collette universali), in La Toscana nellet di Cosimo III, a cura di F. Angiolini, V. Becagli, M. Verga, Firenze 1993, pp. 295-317. 36 L. DAL PANE, La finanza toscana dagli inizi del secolo XVIII alla caduta del Granducato, Milano 1965. Ma si veda ora A. CONTINI, La Reggenza Lorenese fra Firenze e Vienna. Logiche dinastiche, uomini e governo (1737-1766), Firenze 2002, pp. 194 sgg. 37 Un giudizio diverso per il secondo Cinquecento in ROLOVA, La politica tributaria, p. 71, secondo la quale i sudditi toscani furono colpiti pesantemente dalla tassazione; comunque lA. rileva che, rispetto al primo Cinquecento, dalla met del secolo la domanda fiscale si attenu (p. 52). 38 Rimangono ancora utili, pur con varie imprecisioni, G.F. PAGNINI DEL VENTURa, Della decima e di varie altre gravezze imposte dal comune di Firenze, I, Lisbona-Lucca 1765, pp. 37 sgg.; G. CANESTRINI, La scienza e larte di stato, Firenze 1862, pp. 203 sgg. Ma si vedano anche ROLOVA, La politica tributaria, p. 52; CONTI, Limposta diretta, pp. 281 sgg.; e, per alcuni aspetti particolari, A. MENZIONE, La propriet fiorentina e la decima: alcuni appunti, in Ricerche di storia moderna, a cura di G. Biagioli, IV, Pisa 1995, pp. 89-134.

45

emersero alcuni tentativi di mutare la natura di alcune imposte39. Tuttavia in caso di necessit il sistema fiscale sembra denunciare qualche problema, dovuto probabilmente a una scarsa elasticit. sufficiente un impegno relativamente breve come la guerra di Castro per mettere in serie difficolt le casse granducali40; e le ripetute richieste viennesi di un sussidio in denaro tra Sei e Settecento hanno esiti analoghi41. Sembra quasi che la capacit finanziaria del granducato, sebbene raramente messa alla prova da impegni bellici, non sia in grado di superare un tetto massimo che viene sfiorato gi durante i lunghi periodi di pace. Tuttavia opportuno arrestarci a questa rapida osservazione, auspicando che prossime ricerche chiariscano gli aspetti strutturali della finanza pubblica toscana nella prima et moderna. Se la finanza di vertice lamenta un preoccupante disinteresse, alcune problematiche inerenti ai rapporti fra centro e periferie sono state affrontate invece con una certa attenzione. Mentre nella pianura padana i giochi si svolgevano fra citt, istituzioni territoriali e governo centrale, nel granducato, viceversa, pare che le citt soggette non abbiano avuto un ruolo significativo nei rapporti fiscali fra capitale e contadini. Si pu ritenere che uno dei motivi risieda nellimpostazione originaria delle relazioni fra Dominante e nuovi territori soggetti: Firenze aveva scelto di staccare il contado dalle citt conquistate e di impostare un dialogo diretto con le comunit rurali estromettendo cos le lites urbane dal ruolo di mediazione e ponendo in seria discussione il controllo cittadino sulle campagne circostanti42. Una prassi, questa, che fu bens seguita in alcuni casi da ripensamenti e provvedimenti contraddittori. Nel campo fiscale, per esempio, se Pisa oramai appare estranea al suo contado, Pistoia riesce a riguadagnare una posizione di controllo e intermediazione fra le comunit rurali e la capitale43. A livello locale la presenza del fisco fiorentino appare rilevante, ma

39 Sulla trasformazione dellimposta sulla farina in un testatico cfr. ROLOVA, La politica tributaria, p. 59; A. CONTINI, La riforma della tassa delle farine (1670-1680), in La Toscana nellet di Cosimo III, pp. 241-74. Per lampliamento dellimposizione su alcuni generi lungo il Seicento, ROLOVA, La politica tributaria, p. 61. 40 Cfr. DALAIMO, La finanza pubblica, pp. 257-58. 41 WAQUET, Le Grand-Duch, pp. 88 sgg. 42 Naturalmente il riferimento dobbligo a G. CHITTOLINI, La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado. Secoli XIV-XV, Torino 1979, pp. 292-352. Cfr. anche A. ZORZI, Lo Stato territoriale fiorentino (secoli XIV-XV): aspetti giurisdizionali, in Societ e storia, 13, 1990, pp. 799-825; ID., Lorganizzazione del territorio in area fiorentina tra XIII e XIV secolo, in Lorganizzazione del territorio in Italia e Germania: secoli XIII-XIV, a cura di G. Chittolini e D. Willoweit, Bologna 1994, specie pp. 348-49. 43 G. PETRALIA, Imposizione diretta e dominio territoriale nella repubblica fiorentina del Quattrocento, in Societ, istituzioni, spiritualit. Scritti in onore di Cinzio Violante, Spoleto 1994, pp. 63952; e ID., Fiscality, politics and dominion in Florentine Tuscany at the end of the Middle Ages, in Flo-

46

pur sempre meno ingombrante rispetto ad altre situazioni. Se nei primi decenni del Quattrocento al culmine dello sforzo militare la domanda governativa sulle comunit soggette pressante44, lungo la prima et moderna i bilanci comunali lasciano intendere che vi un notevole spazio per la gestione di fondi che non prendono la via di Firenze45. Anche in questo caso per siamo costretti ad avanzare ipotesi che non hanno ancora trovato una solida verifica: nel fiorire di storie di comunit lo spazio per le questioni fiscali risultato assai ridotto, a conferma di una scarsa attenzione verso tali problemi. Mentre la finanza locale toscana sembra meno oscura rispetto a quella di vertice, limmagine che offre la ricerca in Liguria esattamente allopposto. Grazie soprattutto ai lavori di Giorgio Felloni siamo in grado di delineare con buona approssimazione landamento di lungo periodo della finanza statale genovese, almeno per quanto riguarda i dati di base46. Fra met Cinque e met Settecento le entrate statali crebbero in termini nominali di quattro volte, grazie soprattutto allaumento del gettito dellimposizione diretta, sia nella capitale che nel dominio, e in minor misura dei dazi sul consumo. Considerando alcuni parametri, comunque, si nota che lincremento degli introiti viene notevolmente ridimensionato: il valore (in moneta corrente) del commercio portuale genovese, ad esempio, nel medesimo arco di tempo cresce meno di due volte; il prezzo del grano di quasi cinque47; mentre il corrispettivo dei cespiti in argento passa da 9,4 quintali a una tonnellata. Le performances della finanza pubblica

rentine Tuscany. Structures and practices of power, ed. by W.J. Connell and A. Zorzi, Cambridge 2000, pp. 65-89. 44 Si veda il caso di Pescia esaminato da J. BROWN, In the shadow of Florence. Provincial society in renaissance Pescia, Oxford 1982, pp. 126-76. 45 E. STUMPO, Le forme del governo cittadino, in Prato. Storia di una citt, II, a cura di E. Fasano Guarini, Firenze 1986, p. 299; P. BENIGNI, Oligarchia cittadina e pressione fiscale: il caso di Arezzo nei secoli XVI e XVII, in La fiscalit et ses implications sociales en Italie et en France aux XVIIe et XVIIIe sicles, Rome 1980, pp. 55-56. W.J. CONNELL, Clientelismo e Stato territoriale. Il potere fioerentino a Pistoia nel XV secolo, in Societ e storia, 14, 1991, pp. 529-30. Ma L. CARBONE, Economia e fiscalit ad Arezzo in epoca moderna. Conflitti e complicit tra centro e periferia nella Toscana dei Medici 1530-1737, Roma 1999, sottolinea la crescente pressione esercitata dal governo centrale a partire da met Cinquecento. 46 Mi riferisco in particolare a G. FELLONI, Distribuzione territoriale della ricchezza e dei carichi fiscali nella repubblica di Genova, e Stato genovese, finanza pubblica e ricchezza privata: un profilo storico, ora in ID., Scritti di storia economica, I, Genova 1999, pp. 199-234, 275-95. Rimane ancora importante H. SIEVEKING, Studio sulle finanze genovesi nel Medioevo e in particolare sulla casa di S. Giorgio, (Atti della Societ ligure di storia patria, 35, 1905-06); mentre offrono numerose informazioni G. GIACCHERO, Il seicento e le compere di San Giorgio, Genova 1979; e ID., Storia economica del Settecento genovese, Genova 1951, pp. 198 sgg. Dati circa gli impegni ordinari in M. BUONGIORNO, Il bilancio di uno Stato medievale. Genova 1340-1529, Genova 1973. 47 FELLONI, Stato genovese, pp. 288, 292.

47

genovese diversamente da quella privata non appaiono certo rilevanti. Di fronte al mutare del quadro internazionale e alle crescenti necessit della spesa statale la Repubblica si mostra incapace di espandere il bilancio a causa dei limiti strutturali del sistema di potere ligure. Un sistema di potere che sincentra sullegemonia del patriziato e sulla preminenza della capitale sul resto del territorio, secondo i moduli classici dello Stato cittadino. I vincoli posti dalle comunit soggette allazione del governo centrale si dimostrano piuttosto forti e impediscono, cos, un efficace rastrellamento di risorse; risorse che risulta giocoforza trovare fra i contribuenti della capitale, che tuttavia non sono in grado di fornire in misura adeguata alle necessit. Cos, il compromesso pragmatico tra volont di potenza e tenace individualismo48 impedisce a Genova di svolgere un ruolo di qualche peso nel teatro europeo dancien rgime. Lo studio della finanza pontificia vanta una lunga tradizione, che continua sino agli anni pi vicini. Un interesse, quello per la finanza statale, che si giustifica da un lato per il ruolo internazionale della Santa Sede (finanza spirituale) e dallaltro per i legami con il processo di formazione dello Stato territoriale (finanza temporale). Naturalmente anche la finanza ha rappresentato e per certi versi continua a esserlo un terreno di confronto ideologico, ora fra studiosi protestanti e cattolici, ora fra assertori della modernit o dellarretratezza dellistituzione statale pontificia49. Essendo a disposizione eccellenti rassegne e studi di sintesi50, mi limiter a toccare alcuni problemi emersi recentemente. Anzitutto occorre rilevare che landamento della finanza pontificia fra basso medioevo ed et moderna conosce un tragitto piuttosto accidentato; limmagine insomma non certo quella di una crescita progressiva dei bilanci. Il periodo avignonese contrassegnato da un volume di attivit assai elevato, con entrate della Camera apostolica che nel periodo 1316- 77 si aggiravano attorno ai 200.000 fiorini doro con punte sino a oltrepassare il mezzo milione sotto il pontificato di Gregorio XI (1370-77); la maggior parte degli introiti proviene da diritti di natura religiosa51. Con il ritorno del pontefice in Italia e la riorga-

ID., La fiscalit nel dominio genovese tra Quattro e Cinquecento, ora in ID., Scritti, I, p. 250. Alcune osservazioni sulla tradizione storiografica sono svolte da M. ROSA, La scarsella di Nostro Signore: aspetti della fiscalit spirituale pontificia nellet moderna, in Societ e storia, 10, 1987, pp. 817-23. 50 A. GARDI, La fiscalit pontificia tra medioevo ed et moderna, in Societ e storia, 9, 1986, pp. 509-57; W. REINHARD, Finanza pontificia e Stato della Chiesa nel XVI e XVII secolo, in Finanze e ragion di Stato, pp. 353-87; ID., Finanza pontificia, sistema beneficiale e finanza statale nellet confessionale, in Fisco religione Stato, pp. 459-504; P. PARTNER, The Papacy and the Papal states, in The rise of the fiscal state in Europe, c. 1200-1815, ed. by R. Bonney, Oxford 1999, pp. 359-80. 51 F. PIOLA CASELLI, Lespansione delle fonti finanziarie della Chiesa nel XIV secolo, in Archivio della Societ romana di storia patria, 110, 1987, pp. 63-97. Cfr. anche L. PALERMO, La48 49

48

nizzazione dello Stato anche i tributi temporali iniziano ad assumere una certa rilevanza, sebbene sar solo a seguito della crisi della Riforma con la conseguente diminuzione dei cespiti spirituali che la fiscalit propriamente statale fornir quote sempre pi consistenti al bilancio pontificio. Fra Quattro e Cinquecento avviene dunque un profondo mutamento nella struttura delle entrate papali: i territori italiani costituiscono la vera e propria base fiscale per il papato, mentre i flussi un tempo cruciali dalle diocesi rimaste sotto il controllo cattolico diminuiscono sensibilmente, pur assicurando una quota consistente di risorse almeno sino alla met del Seicento52. Un ulteriore effetto del declino delle rendite spirituali pu essere visto nel massiccio ricorso allindebitamento che, a partire pressappoco dal secondo quarto del XVI secolo, caratterizza la politica finanziaria pontificia e che ha attirato un largo interesse fra gli studiosi53. Analogamente alla finanza di vertice, anche quella locale ha trovato vari ricercatori che, pur non potendo basarsi su una solida tradizione54, hanno recato importanti contributi alla conoscenza della finanza periferica55. Linteresse si

finanza pontificia e il banchiere depositario nel primo Quattrocento, in Studi in onore di Ciro Manca, a cura di D. Strangio, Padova 2000, pp. 349-78. 52 P. PARTNER, Papal financial policy in the renaissance and counter-reformation, in Past and present, 88, 1980, pp. 17-62; E. STUMPO, Il capitale finanziario a Roma fra Cinque e Seicento. Contributo alla storia della fiscalit pontificia in et moderna, 1570-1660, Milano 1985. Sul declino delle entrate spirituali fra Sei e Settecento, Rosa, La scarsella di Nostro Signore, pp. 842-43; e H. GROSS, Roma nel Settecento, Roma-Bari 1990 (Cambridge 1990), pp. 148-50. 53 Mi limito a segnalare, oltre al gi cit. lavoro di STUMPO, Il capitale finanziario, le ricerche di F. PIOLA CASELLI, Aspetti del debito pubblico nello Stato Pontificio: gli uffici vacabili, in Annali della Facolt di Scienze Politiche dellUniversit degli Studi di Perugia, 9, 1973, pp. 1-74; ID., La diffusione dei luoghi di monte della Camera apostolica alla fine del XVI secolo. Capitali investiti e rendimenti, in Credito e sviluppo economico in Italia dal Medio evo allet contemporanea, Verona 1988, pp. 191-216; ID., Innovazione e finanza pubblica. Lo Stato pontificio nel Seicento, in Innovazione e sviluppo fra teoria economica e ricerca storica (secoli XVI-XX), Bologna 1996, pp. 449-63; ID., Debito pubblico pontificio e imposte sui consumi romani nel Seicento, in Studi in onore di Ciro Manca, pp. 379-95; F. COLZI, Il debito pubblico del Campidoglio. Finanza comunale e circolazione dei titoli a Roma fra Cinque e Seicento, Roma 1999; il saggio introduttivo di R. MASINI a Il bilancio pontificio del 1657, a cura di G.V. Parigino, Napoli 1999, pp. 5-27; M. MONACO, Le finanze pontificie al tempo di Paolo V, 1605-1621, Lecce 1974; nonch alcuni contributi editi in mterhandel im Sptmittelalter und im 16. Jahrhundert, hrsg. von I. Mieck, Berlin 1984. 54 Ma si veda il saggio di R. ROIA, Lamministrazione finanziaria del comune dAncona nel secolo XV, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le Marche, ser. IV, 1, 1924, pp. 141-246. 55 Un sintetico quadro proposto da M. CARBONI, Camere delle citt e Camera apostolica: levoluzione dei rapporti finanziari fra centro e periferia nello Stato della Chiesa in et moderna, in Studi storici Luigi Simeoni, 50, 2000, pp. 9-22. Alcuni studi particolari: R. PACI, Politica ed economia in un comune del ducato di Urbino: Gubbio tra 500 e 600, Urbino 1966; C. ROTELLI, La finanza locale pontificia nel Cinquecento: il caso di Imola, in Studi storici, 9, 1968, pp. 109-44;

49

indirizzato pi sui rapporti finanziari nei confronti della capitale piuttosto che sulle dinamiche conflittuali circa la distribuzione dellonere fra le diverse componenti della societ locale. Non che mancassero questioni e problematiche simili a quelle che venivano discusse nelle aree settentrionali: anche in Romagna, ad esempio, i contadini dovevano fronteggiare sia la progressiva acquisizione di terre da parte di cittadini che il mancato aggiornamento della ripartizione degli oneri fiscali56. Tuttavia la pressione urbana non sembra aver condotto a reazioni in termini politico-istituzionali paragonabili agli sviluppi settentrionali. Mentre a nord del Po sorgevano e si affermavano i corpi territoriali, nelle aree al di sotto di tale linea le istanze rurali non trovavano un organo rappresentativo che si ponesse sullo stesso piano delle citt. Non certo questa la sede per analizzare i motivi di queste differenze, tuttavia opportuno sottolineare che i risvolti sul settore tributario probabilmente non furono insignificanti. Allo stato attuale delle conoscenze, comunque, sembra ancora prematuro proporre un quadro generale delle relazioni fiscali tra centro e periferie; limpressione che lo Stato pontificio accolga un sistema piuttosto complesso di

M. CARAVALE, La finanza pontificia del Cinquecento: le province del Lazio, Napoli 1974; R. CHIACCHELLA, Economia e amministrazione a Perugia nel Seicento, Reggio Calabria 1974; A.M. GIRELLI, Lo stato finanziario della comunit nelle carte della Congregazione del buon governo, in Assisi in et barocca, a cura di A. Grohmann, Assisi 1992, pp. 157-222; EAD., La finanza comunale nello Stato pontificio del Seicento. Il caso di Assisi, Padova 1992; M. CARBONI, Il debito della citt. Credito, fisco e societ a Bologna fra Cinque e Seicento, Bologna 1995; COLZI, Il debito pubblico del Campidoglio; ID., A proposito della fiscalit pontificia in et moderna. La gabella della carne di Roma tra XVI e XVII secolo, in Studi in onore di Ciro Manca, pp. 123-45; A.M. GIRELLI e S. MASI, In tema di finanza locale: un progetto di ricerca per la storia dello Stato pontificio. Il caso di Corneto, in Annali del Dipartimento di studi geoeconomici, statistici, storici per lanalisi regionale, 2000; P. BELLETTINI, Finanze e riforme. Ravenna nel secondo Settecento, Ravenna 1983; ID., Autonomia impositiva delle comunit e tributi camerali nello stato pontificio: il caso della legazione di Romagna nel Settecento, in Persistenze feudali e autonomie comunitative in stati padani tra Cinque e Settecento, a cura di G. Tocci, Bologna 1988, pp. 283-306; C. PENUTI, Finanza locale, pressione fiscale e societ a Cesena nei secoli XVI e XVII, in Storia di Cesena, III, a cura di A. Prosperi, Rimini 1989, pp. 265-339; P. BELLETTINI, La lenta trasformazione: finanze e societ a Cesena nel Settecento, ibid., pp. 341-99; M. CARBONI, La Gabella Grossa di Bologna. La formazione di una grande azienda fiscale, in Il Carrobbio, 16, 1990, pp. 114-22; ID., La Gabella Grossa di Bologna. Crisi di una grande azienda daziaria, ibid., 17, 1991, pp. 101-9; ID., La finanza locale nello Stato della Chiesa: il caso della Legazione bolognese fra Cinque e Seicento, Tesi di dottorato, Istituto universitario navale di Napoli; F. PIRO, Sistema fiscale, struttura e congiuntura in una economia preindustriale. Il caso di Bologna, 1564-1666, in Annali dellIstituto italo-germanico in Trento, 2, 1976, pp. 117-81 (ma da leggere tenendo presente la tesi di Carboni); C.F. BLACK, Perugia and Papal absolutism in the sixteenth century, in English historical review, 141, 1981, pp. 509-39. 56 Per Cesena, PENUTI, Finanza locale, pp. 324-27; e per larea romagnola, C. CASANOVA, Le mediazioni del privilegio. Economie e poteri nelle legazioni pontificie del Settecento, Bologna 1984, pp. 24-32 e passim.

50

istituzioni locali, economie e gruppi sociali collocati in un contesto di consuetudini e pratiche di governo tali da rendere estremamente arduo una sintesi efficace. Insomma, tra Bologna, seconda citt dello Stato ed esempio di accentuata autonomia anche finanziaria rispetto alla capitale57, e le altre comunit, costrette a inviare ogni anno alla Congregazione del buon governo un bilancio previsionale, il giudizio sulla reale capacit di controllo e di intervento di Roma rimane ancora sospeso. Un ulteriore aspetto da rilevare riguarda il ruolo della capitale nel sistema finanziario pontificio. Una recente analisi ha mostrato che Roma, pur essendo esente dallimposizione diretta, contribuisce in rilevante misura al bilancio statale; e quel che pi interessa che il gettito fiscale destinato ai pagamenti degli interessi del debito proviene in parte cospicua dai contribuenti romani58. Forse un aspetto che marca una differenza fra altre tra la struttura di potere pontificia e quella degli Stati territoriali di matrice urbana. Anche la finanza del regno di Napoli pu vantare un nutrito numero di ricerche, che si sono intensificate negli anni recenti. Dopo gli studi di Coniglio, De Rosa, Villani, Galasso, Di Vittorio e Villari, che hanno aperto nuovi filoni di ricerca, quelli successivi hanno consentito di chiarire e approfondire diversi aspetti della fiscalit del Mezzogiorno continentale. La finanza, cos, stata esaminata in funzione della costruzione dellapparato statale e delle relazioni con il sistema imperiale asburgico59. Tali studi hanno contribuito a ridimensionare la tradizionale immagine della rapacit del fisco spagnolo: o meglio, hanno specificato i tempi e i modi dellinnegabile incremento della domanda fiscale lungo il Cinque e Seicento. Calabria, nella sua monografia sul Regno nel Cinque e primo Seicento, ha ribadito che la fiscalit spagnola assunse un peso negativo nella struttura economica e sociale del paese solo a partire dalla fine del XVI secolo e in misura ancora maggiore durante la guerra dei Trentanni; la pressio-

Il caso bolognese stato particolarmente esaminato negli ultimi anni: cfr. i lavori, le cui divergenti impostazione e conclusioni emergono sin dal titolo, di A. GARDI, Lo Stato in provincia. Lamministrazione della Legazione di Bologna durante il regno di Sisto V (1585-1590), Bologna 1994; e di A. DE BENEDICTIS, Repubblica per contratto. Bologna: una citt europea nello Stato della Chiesa, Bologna 1995. 58 PIOLA CASELLI, Debito pubblico pontificio e imposte, pp. 393-94. 59 G. MUTO, Le finanze pubbliche napoletane tra riforme e restaurazione (1520-1634), Napoli 1980; R. MANTELLI, Burocrazia e finanze pubbliche nel Regno di Napoli, Napoli 1981; e del medesimo, Il pubblico impiego nelleconomia del Regno di Napoli: retribuzioni, reclutamento e ricambio sociale nellepoca spagnuola (secc. XVI-XVII), Napoli 1986; A. CALABRIA, The cost of empire. The finances of the kingdom of Naples in the time of Spanish rule, Cambridge 1991. Assai lucido il quadro tracciato da G. GALASSO, Economia e finanze nel Mezzogiorno tra XVI e XVII secolo, in Finanze e ragion di Stato, pp. 45-88 (ripubblicato anche in ID., Alla periferia dellimpero. Il Regno di Napoli nel periodo spagnolo, Torino 1994).57

51

ne si accentu proprio quando i segni delle difficolt economica stavano drammaticamente emergendo. In effetti, lespansione delle entrate non riusc a seguire la crescita dei prezzi lungo il Cinquecento, e solo dagli inizi del secolo successivo si apr una ampia forbice tra entrate statali in continua crescita e prezzi cerealicoli, in frenata. Del resto, se si considera il volume di entrate raggiunto verso la fase finale del trentennale conflitto (circa 235 tonnellate dargento contro unottantina nel primo Seicento e meno di settanta nel 1740-42) ricaviamo la netta immagine dellenorme sforzo cui venne chiamato il Regno60. La traiettoria finanziaria sembra assecondare, curiosamente, anche la dinamica amministrativa e istituzionale: lapparato statale di gestione e controllo della finanza nel Cinquecento, infatti, stato considerato per certi versi pi efficiente di coevi organismi di altri Stati e caratterizzato da un ceto di funzionari capaci e slegati dal rapporto personale con il sovrano61. Par di capire che il processo di degenerazione del sistema si avvi dal secondo decennio del XVII secolo, quando lesplodere della crisi finanziaria e la disarticolazione sociale ed economica si riflessero anche sullorganizzazione statale. Entrando nel XVIII secolo si respira unaria meno tesa, pur rimanendo seri problemi finanziari62. I tentativi di riforme non raggiunsero certo gli obiettivi prefissati, nondimeno vennero attuati miglioramenti importanti. Anzitutto la realizzazione del catasto conciario, sebbene possa essere considerato come la risultante di una lunga tradizione63, mise in discussione la pletora di privilegi ecclesiastici che caratterizzava il regime fiscale. Certo, le lites locali riuscirono a impedirne la piena realizzazione, tuttavia limpresa rappresent una svolta nella politica fiscale governativa. Inoltre, il governo fu in grado di ricomprare in parte le rendite alienate durante il periodo spagnolo; tale operazione aveva uno scopo finanziario evidente: rivendere a un prezzo pi favorevole i diritti di esa-

60 I dati, che ho elaborato in termini di argento, sono tratti da GALASSO, Economia e finanza, p. 63; CALABRIA, The cost of empire, pp. 134-35; e I. ZILLI, Carlo di Borbone e la rinascita del regno di Napoli, Napoli 1990, p. 72. 61 MUTO, Le finanze pubbliche, pp. 125 sgg., che si rif ovviamente al classico caso milanese esemplificato da Chabod. Un giudizio diverso, comunque, emerge da MANTELLI, Il pubblico impiego. 62 ZILLI, Carlo di Borbone; EAD., Imposta diretta e debito pubblico nel Regno di Napoli: 16691737. La Terra di Lavoro, Napoli 1990, pp. 41-94. Una rassegna sulla finanza napoletana dalla met del Sei al Settecento si trova in L. DE ROSA, Lazienda e le finanze, in Spagna e Mezzogiorno dItalia nellet della transizione. Stato, finanza ed economia (1650-1760), a cura di L. De Rosa e L.M. Enciso Recio, Napoli 1997, pp. 127-48 (ripreso anche in ID., Immobility and change in public finance in the kingdom of Naples, 1694-1806, in Journal of European economic history, 27, 1998, pp. 9-28). Per alcuni problemi metodologici, A. CALABRIA, Per la storia della dominazione austriaca a Napoli, 1707-1734, in Archivio storico italiano, 139, 1981, pp. 459-77. 63 A. BULGARELLI LUKACS, Limposta diretta nel Regno di Napoli in et moderna, Milano 1993, pp. 312-14.

52

zione appena riacquisiti64. Al di l del carattere speculativo, comunque, la ricompra attuata dal governo riafferm la sovranit statale su un settore che aveva visto una grave crisi delle prerogative del governo. Attraversiamo lo stretto e passiamo in Sicilia. Recenti lavori hanno recato nuovi e importanti apporti, soprattutto per quanto riguarda il XVI secolo65. Lanalisi dei bilanci ha permesso di delineare un sensibile aumento del gettito lungo il XVI secolo e una certa stabilit nel secondo Seicento: da 4-5 q. dargento dinizio Cinquecento si passa a 21-24 q. a fine secolo, per superare i 26 q. nel 1622 e fluttuare attorno ai 21 q. durante la seconda met del Seicento. Uno degli elementi pi importanti del bilancio siciliano rappresentato dal gettito derivante dallimposta sullesportazione del grano, che giustamente stata paragonata per importanza al ruolo svolto nelle finanze inglesi dalla tassazione sulla lana esportata66. In effetti, lungo il XVI secolo le entrate del Portulano risultano superiori al gettito del donativo, la principale imposta diretta pagata dai contribuenti siciliani67. Ed proprio sul donativo che sincentra lanalisi di Rossella Cancila, che esamina sia le questioni fiscali che, soprattutto, il tessuto economico-sociale in cui cade limposta, tramite i riveli, censimenti che dovrebbero illustrare le facolt nette dei soggetti sottoposti a contribuzione. Risulta cos che il secondo Cinquecento vede una diminuzione della ricchezza reale imponibile pro capite68, proprio mentre cresce la domanda fiscale da parte del governo. Si consideri che fra 1505 e 1583 il donativo aument di oltre cinque volte, mentre il patrimonio imponibile pro capite si limit a raddoppiare69. Anche per

64 Cfr. A. DI VITTORIO, Gli Austriaci ed il Regno di Napoli 1707-1734. Le finanze pubbliche, Napoli 1969, pp. 75-79; N. AJELLO, Il Banco di San Carlo: organi di governo ed opinione pubblica nel Regno di Napoli di fronte al problema della ricompra dei diritti fiscali, in Rivista storica italiana, 81, 1969, pp. 812-81. 65 Mi riferisco ad A. GIUFFRIDA, La finanza pubblica nella Sicilia del 500, Caltanisetta-Roma 1999; e a R. CANCILA, Fisco ricchezza comunit nella Sicilia del Cinquecento, Roma 2001. Per il Seicento, D. LIGRESTI, I bilanci seicenteschi del Regno di Sicilia, in Rivista storica italiana, 99, 1997, pp. 894-937; G. MARRONE, Leconomia siciliana e le finanze spagnole nel Seicento, Caltanisetta-Roma 1976; e L.A. RIBOT GARCIA, La Hacienda real de Sicilia en la segunda mitad del siglo XVII (Notas para un estudio de los balances del Archivo historico nacional de Madrid), in Cuadernos de investigacin historica, 2, 1978, pp. 401-42 (tr.. it. ridotta in La rivolta di Messina (1674-78) e il mondo mediterraneo nella seconda met del Seicento, a cura di S. Di Bella, Cosenza 1979, pp. 123-60); ID., La Monarqua de Espaa y la guerra de Mesina (1674-1678), Madrid 2002, pp. 323-410. 66 S.R. EPSTEIN, Potere e mercati in Sicilia. Secoli XIII-XVI, Torino 1996 (Cambridge 1992), p. 86. 67 GIUFFRIDA, La finanza pubblica, p. 61. 68 CANCILA, Fisco ricchezza, pp. 104 sgg. 69 Traggo i dati finanziari da GIUFFRIDA, La finanza pubblica, p. 112, che tuttavia non esamina il prelievo in termini pro capite; e da CANCILA, Fisco ricchezza, p. 106, per la ricchezza stimata, con qualche modifica.

53

quanto riguarda la Sicilia si ricava limpressione che in realt il Cinquecento, nonostante lespansione pur contenuta dellindebitamento e laumento della pressione fiscale, non sia stato un secolo particolarmente gravoso per i contribuenti. I problemi tuttavia non mancavano: la pubblica amministrazione si rivelava piuttosto inefficiente e causa di forti ammanchi nei conti70; il ruolo del capitale straniero soprattutto genovese iniziava a emergere prepotentemente; e il ridimensionamento della funzione strategica dellisola dopo Lepanto aveva provocato la diminuzione degli effetti benefici della spesa militare sul sistema economico; anzi, con lo spostamento dellattenzione degli Asburgo verso il teatro settentrionale considerevoli flussi finanziari presero la via del continente, in direzione di Genova, Milano e le Fiandre71. Il secolo successivo presenta una importante serie di bilanci statali che per attende ancora di essere collocata nel pi ampio quadro delleconomia e della societ siciliana. Non mancano scorci a riguardo, ma mi sembra che la pur notevole messe di dati non sia stata adeguatamente sfruttata. Del resto anche la disponibilit di dati di base sulle strutture economiche non particolarmente ampia, e questo probabilmente limita una maggior elaborazione dei dati finanziari. Chiudiamo questa veloce carrellata con la Sardegna. La produzione di studi specifici di storia fiscale appare piuttosto scarsa: la questione dei donativi risulta al centro dellattenzione72, mentre poco o nulla stato compiuto nel settore della finanza locale73. Le tematiche fiscali generali sono state ricollegate al pi ampio contesto della politica finanziaria asburgica e al ruolo svolto dallisola. La Sardegna si trova cos a partecipare attivamente allo sforzo bellico imperiale contribuendo con uomini e risorse finanziarie. Lincremento della domanda fiscale fra il terzo e quarto decennio del Seicento non condusse a una effettiva redistribuzione del carico fiscale fra i diversi Corpi e, anzi, le citt e i comuni rurali furono costretti a sopperire alla diminuzione dellapporto tributario dei magnati e dei personaggi eminenti74. La situazione che si presenta a met secolo non sembra molto diversa da quella riscontrabile negli altri regni: leconomia isolana sostanzialmente nelle mani dei titolari degli asientos, degli appaltatori della riscos-

CANCILA, Fisco ricchezza, pp. 365-81; GIUFFRIDA, La finanza pubblica, pp. 440-501. M. AYMARD, Bilancio di una lunga crisi finanziaria, in Rivista storica italiana, 84, 1972, pp. 988-1021. 72 G. SERRI, I donativi sardi nel XVI secolo, in Problemi di storia della Sardegna spagnola, Cagliari 1975, pp. 181-230; ID., Il prelievo fiscale in una periferia povera. I donativi sardi in et spagnola, in Annali della Facolt di Magistero [di Cagliari], 1983, pp. 45-52. 73 L. CODA, Il ceto dirigente sardo e la leva fiscale nel Settecento, in I ceti dirigenti in Italia in et moderna e contemporanea, a cura di A. Tagliaferri, Udine 1984, pp. 397-411. 74 G. TORE, Il regno di Sardegna nellet di Filippo IV. Centralismo monarchico, guerra e consenso sociale (1621-30), Milano 1996, pp. 115-24, 135-66.70 71

54

sione dei tributi e delle rendite pubbliche, concessi in cambio di adeguate anticipazioni monetarie al fisco regio75. La peste del 1652 colpir una regione oramai stanca e depressa76. Le informazioni disponibili sulla finanza sarda tuttavia sono ancora troppo scarse per tentare di delineare la dinamica dei bilanci e le ripercussioni sul sistema economico e sul tessuto sociale77. Negli anni pi recenti non si sono svolti ampi dibattiti su questioni di storia fiscale, a eccezione di un contenzioso che ha raggiunto toni inusualmente aspri circa la finanza locale nel Mezzogiorno continentale nella prima et moderna. La discussione ha preso avvio da un volume di Francesco Caracciolo che, tra laltro, indicava nel passaggio dal sistema di finanziamento ad apprezzo a quello basato sulle gabelle un momento cruciale della fiscalit comunale fra Cinque e Seicento. La scelta di raccogliere denaro tramite limposizione sui consumi stava a significare secondo lAutore che i gruppi dirigenti locali trasferivano sugli strati inferiori della popolazione il peso della tassazione e nello stesso tempo salvaguardavano la propria base imponibile, rappresentata dalla terra78. Alcuni interventi di Bulgarelli Lukacs e Mantelli, tuttavia, criticavano tale interpretazione e, anzi, proponevano un quadro assai diverso: le comunit del Regno avrebbero continuato nella gran parte a finanziarsi tramite limposizione sui beni immobili mentre il sistema per gabella era piuttosto limitato79. Le questioni sollevate dai due studiosi riguardavano problemi che andavano al di l del mero disaccordo con Caracciolo: si trattava di chiarire termini quali imposizione diretta e indiretta; problemi circa le relazioni fra ambiente geo-economico e forme impositive; i rapporti fra centro e periferia; la rappresentativit dei dati per suffragare tesi generali. Per quanto riguarda la geografia dei sistemi di prelievo locale, Alessandra Bulgarelli ha offerto un ampio ed esauriente panorama per il primo Settecento, dimostrando come in genere la

F. MANCONI, Castigo de Dios. La grande peste barocca nella Sardegna di Filippo IV, Roma 1994, p. 372. 76 A. MATTONE, Le istituzioni militari, in Storia dei sardi e della Sardegna, III, a cura di M. Guidetti, Milano 1989, p. 85. 77 Qualche indicazione su bilanci dellisola nel primo decennio del Seicento fornita da B. ANATRA, Dallunificazione aragonese ai Savoia, in J. DAY, B. ANATRA, L. SCARAFFIA, La Sardegna medioevale e moderna, in Storia dItalia, X, Torino 1984, pp. 519-20, mostrerebbe una fase piuttosto positiva della finanza pubblica. Sulla situazione di fine Seicento, ibid., pp. 644-47. 78 F. CARACCIOLO, Sud, debiti e gabelle. Gravami, potere e societ nel Mezzogiorno in et moderna, Napoli 1983. Tale interpretazione era gi stata ribadita in almeno due interventi precedenti: ID., Fisco e contribuenti in Calabria nel secolo XVI, in Nuova rivista storica, 47, 1963, pp. 504-38; e ID., Finanze e gravami cittadini in Calabria e nel Regno di Napoli al tempo di Filippo II, ivi, 56, 1982, pp. 37-58. 79 Vedi il dibattito in Nuova rivista storica, 70, 1986, pp. 646-70.75

55

prevalenza di una forma di prelievo piuttosto che laltra dipenda dal tasso di commercializzazione delleconomia, dalla struttura dellinsediamento e dai metodi di sfruttamento della terra80, nonch, aggiungerei, dalla struttura della propriet e dai rapporti interni di potere. stato notato, per, che anche il quadro tracciato dalla Bulgarelli pu non essere valido per altri periodi e che sarebbe necessario approfondire ulteriormente lanalisi le pratiche tributarie in ambito locale81. La scelta tra un finanziamento prevalentemente fondato sullapprezzo che sulle gabelle, ad esempio, emerge gi a fine Quattrocento in alcune comunit pugliesi82. Questo dibattito, proprio per i problemi generali di storia fiscale che sono stati affrontati meriterebbe di essere continuato e, possibilmente, riferito ad altri ambiti territoriali. Alcune evidenze, infatti, fanno ritenere che analoghi processi si svolgano in altri Stati. Il passaggio da un sistema di imposte immobiliari a una tassazione prevalentemente indiretta, infatti, non certo un fenomeno circoscritto ai comuni del Regno napoletano. Maurice Aymard ha notato che le comunit siciliane salvo quelle del nord-est si basano sempre pi sulle gabelle, e tale tendenza si accentuer dal Seicento in conseguenza del sorgere di villaggi di nuova colonizzazione, dove si sceglier il finanziamento per gabelle83. A Imola si verifica il medesimo fenomeno lungo il Cinquecento, con il sensibile passaggio dal prelievo indiretto a quello diretto84. I bilanci di Cremona fra Cinque e Seicento indicano che le entrate dalla fiscalit indiretta crescono di importanza rispetto agli introiti diretti85. Analoghe scelte vengono attuate dal

BULGARELLI LUKACS, Limposta diretta, pp. 146-209. G. SABATINI, Propriet e proprietari a LAquila e nel contado. Le rilevazioni catastali in et spagnola, Napoli 1995, pp. 286 sgg. 82 M.A. VISCEGLIA, Territorio, feudo e potere locale. Terra dOtranto tra Medioevo ed Et Moderna, Napoli 1988, p. 218. 83 M. AYMARD, Il sistema delle gabelle nelle citt siciliane fra Cinquecento e Settecento, in Citt e feudo nella Sicilia moderna, a cura di F. Benigno e C. Torrisi, Caltanisetta-Roma 1995, pp. 15-25. D. VENTURA, Randazzo e il suo territorio tra medioevo e prima et moderna, CaltanisettaRoma 1991, pp. 135-36, afferma che la tassazione indiretta prevaleva nel secondo Quattrocento a Randazzo, ma purtroppo non adduce prove a riguardo. 84 ROTELLI, La finanza locale, pp. 17-23, 32-38. 85 IACOPETTI, Le finanze del comune, pp. 101-3. Unanalisi delle vertenze circa la tassazione sul personale e sul reale nel comune di Maleo in C. STEFANINI, Fiscalit e tensione sociale in una comunit lombarda del 600: il caso di Maleo, in Studi bresciani, 4, 1983, pp. 7-31. Anche a Valladolid la tassazione sui consumi costituisce il cardine della finanza locale: F. RUIZ MARTN, Credit procedures for the collection of taxes in the cities of Castile during the sixteenth and seventeenth centuries: the case of Valladolid, in The Castilian crisis of the seventeenth century. New perspectives on the economic and social history of seventeenth-century Spain, ed. by I.A.A. Thompson and B. Yun Casalilla, Cambridge 1994, p. 178. E cfr. anche il quadro tracciato da A.J. MIRA JDAR, Las finanzas del municipio. Gestin economica y poder local. Sueca (S. XV-XVI), Valencia 1997.80 81

56

municipio di Torino lungo il XVII secolo86. Il caso di Assisi nel secondo Seicento, poi, mostra interessanti aspetti. Qui il comune cittadino sembra optare per una decisa espansione dellimposizione sui consumi, soprattutto a seguito dellintroduzione dellonere sul macinato nel 1659; ma in seguito limposta sulla terra riguadagna le posizioni perse in precedenza e contribuisce per oltre la met del gettito fiscale del comune nel primo Settecento87. Si tratta pertanto di mutamenti che si verificano nel giro di pochi anni e che non sempre assumono un carattere definitivo. La finanza locale, insomma, mostra in alcuni casi una notevole elasticit in relazione alla congiuntura economica e politica.

Quid novi? Nellultimo ventennio la storia della fiscalit ha registrato una forte continuit e, di converso, alcuni mutamenti. Anzitutto si sono diradati, sebbene non siano scomparsi, gli studi che si occupavano di estimi e catasti. Occorre dire che lItalia vanta una delle migliori storiografie a riguardo. Lo studio dello strumento fondamentale per la determinazione dellimponibile immobiliare rappresentava una via imprescindibile per affrontare un nodo meramente politico e sociale: la distribuzione della propriet fondiaria (il mezzo di produzione per antonomasia nellantico regime) e levoluzione dei rapporti di classe verso un sistema capitalista88. Una preoccupazione, questa, fortemente sentita fra gli anni 50 e 60, e che si progressivamente attenuata per vari motivi. Provo a proporne alcuni: lo smorzamento della spinta ideologica; il diffuso convincimento che i risultati conseguiti non potessero essere ulteriormente migliorati; la messa in discussione di concetti quali propriet e mercato della terra, feudalesimo e capitalismo; nonch lemergere di nuovi oggetti di ricerca che tendono a sfumare le separazioni fra ordini e ceti. Occorre poi rilevare che la vasta ricerca avviata dalla scuola di Mario Romani sul catasto teresiano aveva come obiettivo pi o meno esplicito il catasto come strumento emblematico dellaffermazione dello stato in Lombardia. Un approccio completamente diverso, invece, si registra negli ultimi anni, a partire dalla pubblicazione della grande ricerca di Klapisch-Zuber e Herlihy sul catasto fiorentino del 142789. Qui lo studio cata-

C. ROSSO, Uomini e poteri nella Torino barocca (1630-1675), estr. da Storia di Torino, s.n.t., pp. 113-14. 87 GIRELLI, La finanza comunale, pp. 57-58. 88 Si veda ancora limportante rassegna critica di R. ZANGHERI, Il catasto come fonte per la storia della propriet terriera, in ID., Catasti e storia della propriet terriera, Torino 1980, pp. 3-70. 89 D. HERLIHY e CH. KLAPISCH-ZUBER, Les Toscans et leur familles. Une tude du catasto florentin de 1427, Paris 1978 (tr. it., Bologna 1988).86

57

stale ha oltrepassato i confini dellanalisi della struttura economica e sociale per divenire soprattutto un lavoro di storia sociale. Se linteresse verso i documenti catastali sembra diminuito non significa tuttavia che sia stato completamente abbandonato. Mi sembra, piuttosto, che i recenti lavori pongano questo tipo di documento in un pi ampio contesto, affrontando sia gli aspetti economicosociali sia quelli pi specificamente fiscali90. Catasti e liste fiscali attendono per ancora una adeguata analisi interna, per quanto concerne cio lorigine e le nozioni sociali e ideologiche che stanno alla base di tale produzione. La classificazione fiscale rappresenta limmagine della societ che i governanti hanno o vogliono proporre; nello stesso tempo, i mutamenti che la documentazione registra nel corso del tempo testimoniano dei cambiamenti a livello di proiezione sociale e gerarchica, nonch delle diverse ottiche assunte dalla pubblica amministrazione91. Per ci che concerne lanalisi della finanza pubblica, mi sembra che grosso modo i recenti studi non si siano discostati dal percorso tracciato in precedenza. Le monografie si presentano strutturate secondo limpianto classico: organizzazione istituzionale, entrate, spese, debito. Lendiadi Stato e finanza pubblica continua a rappresentare il punto focale delle ricerche. Si tratta di un argomento che, per quanto concerne gli storici economici, ha mantenuto quasi inalterato linteresse, mentre, paradossalmente, gli storici politico-istituzionali, salvo qualche caso, hanno bens toccato largomento, ma non si sono addentrati in profondit. In effetti, La crisi dello Stato weberiano aveva condotto al ridimensionamento della funzione finanziaria dello Stato come oggetto privilegiato dindagine. interessante comunque rilevare che in Inghilterra, proprio in un ambiente dove Weber non aveva trovato grande accoglienza fra gli studiosi dello Stato, di recente emersa una tendenza a sottolineare con vigore il ruolo e lefficienza dello Stato centrale individuando nella burocrazia e nel prodotto fiscale i pilastri che sostennero la forza militare e, in definitiva, lespansione britannica nel mondo92. Se volgiamo lo sguardo altrove il nesso finanza-Stato sta

Cfr. ad esempio, SABATINI, Propriet e proprietari. Cfr. ad esempio, A. GURY, Etat, classification sociale et compromis sous Louis XIV: la capitation de 1695, in Annales ESC, 41, 1986, pp. 1041-60; e P. BURKE, Classificando il popolo: il censimento come rappresentazione collettiva, in ID., Scene di vita quotidiana nellItalia moderna, Roma-Bari 1988 (Cambridge 1987), pp. 35-50. 92 J. BREWER, The sinews of power. War, money and the English state 1688-1783, New York 1989, che rappresenta un imprescindibile punto di partenza. Per recenti sviluppi mi limito a citare P.K. OBRIEN, The political economy of British taxation, 1660-1815, in Economic history review, 41, 1988, pp. 1-32; ID., Fiscal exceptionalism: Great Britain and its European rivals. From civil war to triumph at Trafalgar and Waterloo, Working Paper, Economic History Department, London School of Economics; ID. e P.A. HUNT, The rise of the fiscal state in England, 1485-1815, in Historical research, 66, 1993, pp. 129-76; IDD., Excises and the rise of a fiscal state in England, 1586-1688, in90 91

58

godendo di un rinnovato interesse, soprattutto nellambito della sociologia dello Stato. Alcuni studiosi hanno preso a prestito pesantemente dalla storia finanziaria93. Dati finanziari, vagliati pi o meno criticamente, hanno offerto la base per considerazioni sullevoluzione degli stati dellet moderna e per attuare interessanti comparazioni (prodotto fiscale, incremento del gettito nel tempo). In Italia la vivace discussione negli anni 70 e primi 80 sugli Stati regionali non aveva condotto a mio vedere a significativi risultati per quanto riguarda la fiscalit. Certo, la questione fiscale offriva abbondante materiale per analizzare la conflittualit fra i corpi, ma quasi mai veniva affrontata nella sua interezza. Insomma, essa costituiva un ricco cesto da cui gli studiosi politici traevano esempi per illustrare le relazioni interne agli Stati territoriali fra tardo medioevo e prima et moderna, ma non riusciva ad assurgere a campo specifico dindagine. Paradossalmente, erano cultori