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PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
HELMUTH PLESSNER
Copyright © 2020 Stefano Martini
(Vita, opere, pensiero)
[I]
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
Vita e opere
Copyright © 2020 Stefano Martini
Primo incontro10 gennaio 2020
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
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Premessa
Helmuth Plessner (1892-1985) è stato un filosofo e
sociologo tedesco. Con Max Scheler (1874-1928) e
Arnold Gehlen (1904-1976) è considerato tra i
fondatori dell‟antropologia filosofica contemporanea.
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Nascita a Wiesbaden nel 1892
Helmuth Plessner nasce a Wiesbaden (Germania
centro-occidentale, dal 1945 capitale del Land Assia)
il 4 settembre 1892. Figlio di Fedor, medico e direttore
di una clinica privata, e di Elisabeth, cresce in un ambiente
ricco di stimoli e di interessi scientifici.
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Studi di medicina a Freiburg (1910)
Appassionato alle scienze della natura e della vita, s‟iscrive
alla Facoltà di Medicina dell‟Università di Freiburg,
dove frequenta le lezioni del fisiologo
Johannes Adolf von Kries (1853-1928)
e stringe amicizia con il botanico Albrecht Reuber.
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Studi di zoologia a Heidelberg (1911-1912)
Dopo soli due semestri si trasferisce a
Heidelberg, per dedicarsi alla zoologia,
inizialmente sotto la guida di Otto Bütschli
(1848-1920), poi di Kurt Herbst (1866-1946) e
Wolfgang Freiherr von Buddenbrock-
Hettersdorff (1884-1964) – entrambi
pionieri nel campo della zoologia
sperimentale – e infine del più noto
esponente del neovitalismo contemporaneo, il
biologo Hans Driesch (1867-1941).
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Interesse per la filosofia (1911-1912)
Contemporaneamente, avendo maturato
un considerevole interesse per la filosofia, egli segue
i seminari del neokantiano Wilhelm Windelband
(1848-1915) e frequenta ambienti dove si incontrano
filosofi e sociologi affermati.
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Ricerche zoologiche (1913)
Plessner prosegue le ricerche zoologiche e,
anche se con notevoli perplessità,
rifiuta momentaneamente la proposta di Windelband
di presentare come dissertazione universitaria
un lavoro squisitamente filosofico.
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Prima pubblicazione di rilievo (1913)
Nel 1913 compare la sua prima pubblicazione di rilievo,
Die wissenschaftliche Idee. Ein Entwurf über ihre Form
(ora in Gesammelte Schriften I, pp. 7-141), ispirato a un
recente saggio di Driesch.
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L’idea scientifica. Un abbozzo sulla sua forma
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Studio della filosofia a Göttingen (1914-1915)
Decide di approfondire la conoscenza della filosofia
recandosi a Göttingen, dove insegna il fondatore
della fenomenologia, Edmund Husserl (1859-1938).
Si dedica soprattutto allo studio del pensiero
di Immanuel Kant (1724-1804).
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Trasferimento a Erlangen (1916)
Dopo che Husserl (nell‟aprile del 1916)
ha lasciato Göttingen per Freiburg,
Plessner si trasferisce a Erlangen,
dove insegna un allievo di Windelband,
Paul Hensel (1860-1930).
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Laurea in filosofia (1916)
Qui, proprio con Hensel, Plessner si laurea in filosofia
con uno scritto, poi ampliato e pubblicato nel 1918
con il titolo Krisis der transzendentalen Wahrheit im Anfang
(ora in Gesammelte Schriften I, pp. 143-310).
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Crisi della verità trascendentale all’inizio
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Abilitazione alla libera docenza (1920)
Con Hans Driesch e Max Scheler, nel 1920
consegue all‟Università di Köln
l‟abilitazione alla libera docenza,
presentando un lavoro dal titolo
Untersuchungen zu einer Kritik der Philosophischen
Urteilskraft (ora in Gesammelte Schriften II,
pp. 7-321) e una relazione orale
sulla teoria dell‟origine del linguaggio
di Johann Gottfried Herder (1744-1803).
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Ricerche su una critica del giudizio filosofico
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Insegnamento di filosofia a Köln (1920-1933)
A partire dal 1920, Plessner
è docente di filosofia a Köln,
come assistente di Max Scheler.
Ivi, comincia a porre le basi
della sua antropologia filosofica.
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L’unità dei sensi (1923)
Nel 1923 pubblica l‟opera Die Einheit der Sinne.
Grundlinien einer Aesthesiologie der Geistes
(ora in Gesammelte Schriften III, pp. 7-315),
una sorta di “critica dei sensi” che affianca
filosofia trascendentale kantiana
e metodo fenomenologico. Comincia a pensare
a un ampio progetto di indagine antropologica,
di carattere filosofico ma in stretto contatto
con le scienze contemporanee.
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L’unità dei sensi. Linee fondamentali di una estesiologia dello spirito
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Limiti della comunità (1924)
Dopo appena un anno, nel 1924, appare
Grenzen der Gemeinschaft. Eine Kritik des sozialen
Radikalismus (ora in Gesammelte Schriften V, pp. 7-133),
la prima opera in cui vengono trattate questioni
di carattere etico-sociale.
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Limiti della comunità. Una critica del radicalismo sociale
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Contro il mito della comunità e le sue possibili degenerazioni
Plessner polemizza contro il mito della comunità
e contro le sue possibili degenerazioni illiberali e totalitarie.
Attraverso un‟analisi del rapporto comunità-società,
egli afferma la necessità di metter mano a un‟immagine
etico-politica più equilibrata dell‟individuo e del potere.
Si tratta di una riflessione sui problemi inerenti
alla costruzione dell‟identità politica,
elaborata negli anni della Repubblica di Weimar,
ma ancora attuale di fronte al riemergere
delle questioni etniche e dei dibattiti sull‟identità nazionale.
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Costituzione di Weimar
(11 agosto 1919)
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L‟amicizia con Buytendijk
Ha inizio in questo periodo l‟amicizia con il fisiologo olandese
Frederik Jacobus Johannes Buytendijk (1887-1974),
conosciuto in casa Scheler.
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L‟“Indicatore filosofico” (1925-1930)
Esce il primo numero di «Philosophischer Anzeiger.
Zeitschrift für die Zusammenarbeit von Philosophie
und Einzelwissenschaft» (ne appariranno
complessivamente 4 volumi, tra il 1925 e il 1930),
una rivista interdisciplinare curata da Plessner
in collaborazione con alcuni dei maggiori esponenti
della cultura filosofica e scientifica del tempo.
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Cooperazione tra filosofia e scienze speciali
Grazie a tale rivista, che si prefigge la cooperazione tra
la filosofia e le scienze speciali, Plessner prende contatto
con la filosofia tedesca del tempo, in particolare, oltre a
Max Scheler, con Nicolai Hartmann (1982-1950),
Martin Heidegger (1889-1976) e Georg Misch (1878-
1965).
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Influsso diltheyano di Misch
Proprio per merito di Georg Misch, Plessner si avvicina
al pensiero di Wilhelm Dilthey (1833-1911).
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L’interpretazione delle espressioni mimiche (1925)
Nel primo numero della rivista, Plessner pubblica
il saggio, scritto in collaborazione con Buytendijk,
Die Deutung des mimischen Ausdrucks. Ein Beitrag
zur Lehre von Bewußtsein des anderen Ichs
(ora in Gesammelte Schriften VII, pp. 67-130).
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L’interpretazione delle espressioni mimiche. Un contributo
alla dottrina della conoscenza dell’altro io
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I gradi dell’organico e l’uomo (1928)
Nel 1928 esce la sua opera più significativa,
Die Stufen des Organischen und der Mensch.
Einleitung in die philosophische Anthropologie
(ora in Gesammelte Schriften IV), in cui
Plessner espone in forma sistematica
la propria teoria della realtà organica
e della natura umana
e propone la maggior parte dei concetti chiave
del suo pensiero antropologico (cfr. infra).
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I gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione alla antropologia filosofica
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Incomprensione e definitiva rottura con Scheler
Uscito nello stesso anno in cui vede la luce
Die Stellung des Menschen im Kosmos
di Max Scheler, il libro di Plessner
passa inizialmente abbastanza inosservato,
ma segnerà prima l‟incomprensione
di Scheler e poi la definitiva rottura con lui,
il quale, insinuando una forma di plagio,
pretende che il termine Fondazione del sottotitolo
diventi semplice Introduzione.
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Potere e natura umana (1931)
Nel 1931 viene pubblicato Macht und menschliche Natur.
Ein Versuch zur Anthropologie der geschichtlichen
Weltansicht (ora in Gesammelte Schriften V, pp. 135-234),
volume dedicato al rapporto tra antropologia e politica.
Vi si sviluppa una riflessione,
in piena crisi della Repubblica di Weimar,
su concezione del nemico, guerra
e radici bio-antropologiche del potere.
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Potere e natura umana. Per un’antropologia
della visione storica del mondo
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Necessità di accogliere le sfide della storia
Il testo afferma e dimostra come, nel periodo tra le due guerre mondiali,
occorra accogliere le sfide messe all‟ordine del giorno dalla storia e in particolare
dal disfacimento della prima esperienza di democrazia parlamentare in Germania.
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La nascita della Repubblica di Weimar
(9 novembre 1918)
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Per un‟antropologia del politico
Dialogando con il pensiero filosofico
del primo trentennio del Novecento
e confrontandosi con teorie provocatorie come quelle
di Martin Heidegger e di Carl Schmitt (1888-1985),
ma senza mai perdere di vista le scienze naturali e
biologiche, Plessner propone un‟antropologia del politico
che sappia strutturarsi come filosofia della vita
e liberare l‟agire politico dalle maglie della statualità.
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Remota anticipazione del dibattito sulla biopolitica
Oggi il suo contributo viene riletto come una remota anticipazione
del dibattito europeo sulla biopolitica,
così come si è configurato a partire dalle ricerche
di Michel Foucault (1826-1984).
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Destituzione dall‟insegnamento (1933)
Con l‟avvento del regime nazista, Plessner deve lasciare
l‟incarico di professore a Köln, a causa delle origini ebraiche
di suo padre. Dopo un soggiorno in Turchia, riceve l‟invito
dell‟amico biologo Buytendijk a recarsi a Groningen,
presso l‟Istituto di Fisiologia da lui diretto.
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Il riso e il pianto (1941)
Parte per i Paesi Bassi nel gennaio del 1934. A questo periodo
pare risalga la redazione di Lachen und Weinen.
Eine Untersuchung der Grenzen menschlichen Verhaltens
(ora in Gesammelte Schriften VII, pp. 201-387),
ma il saggio uscirà solo nel 1941. L‟autore intraprende
una dettagliata analisi del riso e del pianto, collocandola
nel contesto dell‟antropologia filosofica, dove l‟uomo è un tutto
unitario in cui fisico e psichico non sono che aspetti diversi
di una inscindibile realtà naturale (cfr. infra).
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Riso e pianto. Una ricerca sui limiti del comportamento umano
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Conferenze all‟Università di Groningen (1934-1935)
Da alcune conferenze tenute
all‟Università di Groningen
ha origine il saggio, pubblicato nel 1935,
Das Schicksal deutschen Geistes im Ausgang
seiner bürgerlichen Epoche, ristampato nel 1959 con il titolo
Die verspätete Nation. Über die politische Verführbarkeit
bürgerlichen Geistes (ora in Gesammelte Schriften VI, pp. 7-223).
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Il destino dello spirito tedesco alla fine della sua epoca borghese
La nazione in ritardo. Sulla seducibilità politica dello spirito borghese
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Insegnamento di sociologia a Groningen (1936-1940)
Dopo i primi due anni di soggiorno nella città olandese,
ottenuto un sostegno finanziario dalla Fondazione Rockfeller,
dal 1936 Plessner diviene docente di sociologia presso
l‟Università di Groningen.
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Occupazione tedesca dei Paesi Bassi (1940)
Tuttavia, a causa dell‟occupazione tedesca, nel 1940
egli è costretto alla clandestinità, trasferendosi prima
a Utrecht, poi ad Amsterdam. Riesce a sopravvivere
grazie all‟aiuto di amici e allievi olandesi.
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Insegnamento di filosofia a Groningen (1946-1951)
Ritornato a Groningen solo nel 1946, dopo la liberazione,
in tale data Plessner è nominato professore ordinario
di filosofia nell‟Università cittadina, restandovi fino al 1951.
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Cattedra di sociologia a Göttingen (1952)
Ormai sessantenne, nel 1952 torna in Germania,
perché chiamato dall‟Università di Göttingen,
per ricoprire la cattedra di sociologia.
Plessner accetta l‟incarico a condizione di potersi occupare di filosofia.
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Il sorriso (1953 [1950])
L‟anno successivo pubblica la raccolta di saggi
dal titolo Zwischen Philosophie und Gesellschaft.
Ausgewählte Abhandlungen und Vorträge
(Francke, Bern 1953), contenente anche il saggio
Das Lächeln, pubblicato per la prima volta
nel 1950 in un volume collettivo,
sul fenomeno del sorriso, da Plessner
nettamente distinto da quello del riso (cfr. infra).
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Tra filosofia e società. Selezione di saggi e conferenze
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Collaborazione con l‟IFS (1952-1961)
Nello stesso periodo Max Horkheimer (1895-1973) e
Theodor Adorno (1903-1969) lo invitano in qualità di
collaboratore eminente presso l‟Institut für Sozialforschung
(Istituto per la Ricerca Sociale ) di Frankfurt.
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Rettorato universitario (1960-1961)
Plessner si occupa della situazione
delle università tedesche, questione alla quale
dedica anche alcune pubblicazioni. Durante il periodo
di Rettorato universitario, tra il 1960 e il 1961,
contribuisce alla promozione di un programma
di istruzione per adulti e favorisce i rapporti
interuniversitari.
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Plessner, 1960 Rektor in Göttingen
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Docenza alla New School for Social Research (1962)
Per un anno è professore alla “New School for Social Research”
di New York.
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Università di Zürich e riconoscimenti (1963-1976)
Ritiratosi in Svizzera per la vecchiaia, si stabilisce nei pressi
di Zürich, dalla cui Università Plessner è invitato a tenere
lezioni e seminari. Nel 1964 riceve la laurea honoris causa in
filosofia dall‟Università di Groningen e nel 1972 il medesimo
riconoscimento dall‟Università di Zürich.
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Al di qua dell’utopia (1966)
Tra la seconda metà degli anni ‟60 e degli anni ‟70,
quando ancora la sua attività intellettuale è feconda,
escono alcune raccolte di saggi. Si possono ricordare,
per esempio, Diesseits der Utopie. Ausgewählte Beiträge
zur Kultursoziologie (Diederichs, Düsseldorf-Köln 1966),
dove l‟analisi si sviluppa su due piani:
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Al di qua dell’utopia. Contributi scelti sulla sociologia della cultura
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quello dei rinvii storici a un passato culturale
comune nella riflessione dell‟europeo contemporaneo
(con riferimento alla portata storica del sentimento
politico di Öffentlichkeit [vita pubblica - politicità]
nella storia tedesca tra ‟800 e ‟900); e quello di una
analisi dei momenti socio-politici in cui l‟individuo
sceglie della propria libertà (con un invito a prendere
consapevolezza dell‟emblematicità degli strumenti
che possono condurre l‟uomo a realizzarsi
nella prassi storica oppure a disumanarsi).
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Analisi su due piani
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Antropologia filosofica e Condizione umana (1961-1976)
Inoltre, Philosophische Anthropologie (Fischer,
Frankfurt a.M. 1970), e Die Frage nach der Conditio
humana. Aufsätze zur philosophischen Anthropologie
(Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1961, 1976).
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La questione della condizione umana. Saggi di
antropologia filosofica
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Antropologia dei sensi (1980)
E infine: Anthropologie der Sinne
(Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1980).
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Ulteriori contaminazioni
Oltre che dagli autori già citati, lo sviluppo del suo pensiero
fu influenzato anche dal neokantiano Emil Lask (1875-1915) e
dal sociologo Max Weber (1864-1920). Durante la Repubblica
di Weimar si interessò pure al Bauhaus (1919-1933) e alla
sociologia della conoscenza di Karl Mannheim (1893-1947).
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Opere complete (1980-1985)
Nel 1980, l‟editore Suhrkamp di Frankfurt a.M.
inizia la pubblicazione delle Gesammelte Schriften,
in 10 volumi,
così suddivisi:
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Opere complete (1980-1985)
I, Frühe philosophische Schriften 1 (1980);
II, Frühe philosophische Schriften 2 (1981);
III, Anthropologie der Sinne (1980);
IV, Die Stufen des Organischen und der Mensch (1980);
V, Macht und menschliche Natur (1981);
VI, Die verspätete Nation (1982);
VII, Ausdruck und menschliche Natur (1982);
VIII, Conditio humana (1983);
IX, Schriften zur Philosophie (1985);
X, Schriften zur Soziologie und Sozialphilosophie (1985).
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Morte a Göttingen nel 1985
Il 1985, l‟anno in cui escono gli ultimi due volumi,
è anche quello della scomparsa di Helmuth Plessner,
che muore a Göttingen dopo una lunga malattia.
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Immagini
Monika e Helmuth Plessner
davanti alla propria casa di Göttingen (1954)
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Grazie e arrivederci
al prossimo incontro di
venerdì 7 febbraio 2020
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HELMUTH PLESSNER
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(Vita, opere, pensiero)
[II]
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Pensiero (prima parte)
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7 febbraio 2020
Secondo incontro
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54
Note introduttiveHelmuth Plessner, come già detto,
è considerato uno dei maggiori rappresentanti
della antropologia filosofica contemporanea.
Pur essendo egli, fino a qualche anno fa, ancora
poco noto in Italia, dove si sono meglio affermati
i nomi di Max Scheler e di Arnold Gehlen
(esponenti della medesima corrente di pensiero),
i suoi molteplici contributi agli attuali
studi antropologici e sociologici hanno avuto
in Germania ormai ampi riconoscimenti.
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Adozione
Nel suo complesso, tuttavia, questo percorso di riscoperta è stato piuttosto lento e
tardivo. „Adottato‟ come auctor dalla scuola (Collegium philosophicum di Münster)
di Joachim Ritter (1903-1974) e segnatamente da Odo Marquard (1928-2015),
che è stato tra i curatori delle Gesammelte Schriften;
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56
Menzione e valorizzazione
canonicamente, ma spesso distrattamente,
menzionato nelle ricostruzioni del concetto
di „sfera pubblica‟, a cominciare da quella di
Jürgen Habermas (1929-); qua e là valorizzato
dalla sociologia di indirizzo fenomenologico
(e per la psicoanalisi di tale orientamento occorre
fare il nome di Ludwig Binswanger [1881-1966]),
oppure da quella, anche americana,
di ambito etno-antropologico;
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57
Utilizzazione
precocemente, ma isolatamente, utilizzato
da Maurice Merleau-Ponty (1908-1961),
sebbene stranamente assente in quella
filosofia francese che si avvia,
tra gli anni Venti e Trenta,
a una stagione felice
anche sotto il segno
di Edmund Husserl (1859-1938);
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Convocazione e rifioritura
convocato in frangenti filosoficamente decisivi da un pensatore
della statura di Hans Blumenberg (1920-1996);
rifiorito a scottante attualità
dopo la dissoluzione
della Repubblica Democratica Tedesca
e la riunificazione delle due Germanie
(1989-1990); eppure,
Plessner conosce solo da qualche decennio
un‟attenzione monografica e mirata.
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59
Contributo degli allievi e della vedova
È il caso di ricordare, altresì, che
negli anni Novanta del secolo scorso,
alcuni suoi discepoli olandesi e tedeschi
– pur in assenza di una „scuola‟ in senso proprio,
accademicamente e organizzativamente visibile –,
oltre alla vedova Monica Artzert Plessner
(1913-2008), hanno avviato un lavoro paziente
di valorizzazione della sua opera,
collocatasi per troppo tempo
alla periferia del dibattito filosofico.
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60
Rivalutazione del suo pensiero
Il processo di rivalutazione e ripresa del suo pensiero si è comunque intensificato
negli ultimi anni, incentivato probabilmente anche dalla pubblicazione della sua
opera completa. La produzione letteraria di Plessner è tanto vasta quanto vari
sono stati gli ambiti dei suoi interessi: dalla biologia alla filosofia, dalla sociologia
alla teoria politica.
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61
Originalità e ricchezza di pensiero
Non si tratta, pertanto, di un mero coinvolgimento e
assorbimento nell‟ambito della più nota
antropologia filosofica scheleriana e gehleniana
(senza nulla togliere alla sua rilevanza), bensì di
una voce del tutto originale, che ha tanto da dire
in molteplici aspetti della vita dell‟uomo.
Addentriamoci, dunque, nel pensiero plessneriano,
ripercorrendone alcune tappe significative.
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Gli iniziali studi scientifici
In lui non viene mai meno la fiducia
nel rigore scientifico che ha caratterizzato
gli studi fisiologici e zoologici condotti
nei primi anni universitari sotto la guida
di alcuni tra i più illustri scienziati del tempo:
Johannes Adolf von Kries,
Otto Bütschli e Hans Driesch.
Anzi, della necessità di determinare
il carattere e i criteri del sapere scientifico
Plessner fa uno dei suoi primi impegni filosofici.
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HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
63
Contro un rigido meccanicismo
Nondimeno, non trascura le legittime esigenze che si celano al fondo di talune
concezioni metafisiche del tempo, specialmente nel contrastare una impostazione
della ricerca scientifica e filosofica dominata ancora per buona parte da una
rigida visione meccanicistica.
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64
L‟avvicinamento progressivo alla filosofia
Sono i primi contatti con il neokantismo
di Wilhelm Windelband e il successivo rapporto
con la fenomenologia di Edmund Husserl
a spronarlo ad approfondire lo studio
di Immanuel Kant e dell‟idealismo tedesco,
a dedicarsi con intensità sempre maggiore
al pensiero filosofico e a intervenire quindi
nelle principali questioni del dibattito culturale
dell‟epoca, confrontandosi tra l‟altro
con la Lebensphilosophie e con l‟esistenzialismo.
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65
L‟attenzione per la dimensione storica, sociale e politica
L‟incontro con l‟ermeneutica e lo storicismo
di matrice diltheyana, favorito soprattutto
dal rapporto con Georg Misch, è invece decisivo
nel determinare la sua costante attenzione
per la dimensione storico-culturale dell‟esistenza.
A essa si correlano le questioni di carattere
più strettamente sociologico e politico,
a cui Plessner dedicherà buona parte
della propria attività letteraria e didattica.
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66
La struttura composita e unitaria dell‟uomo
La molteplicità dei piani di applicazione della sua indagine teoretica
trova nella realtà composita, e tuttavia unitaria, dell‟essere umano
il proprio momento centrale.
L‟uomo è per Plessner un tutto armonico,
in cui fisico e psichico non sono che
aspetti diversi di una inscindibile realtà naturale.
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67
I gradi dell‟organicoNon ha dunque alcun senso distinguere in essa due lati,
come se la loro giustapposizione e correlazione desse
origine all‟insieme dell‟uomo: propriamente non è
di un “insieme” che si tratta, ma di una “totalità”
(fisica, psichica e spirituale). Dell‟essenza unitaria dell‟uomo,
della sua specifica costituzione e del suo rapporto
con il restante mondo naturale, Plessner si è occupato
nella voluminosa opera del 1928,
Die Stufen der Organischen und der Mensch
[I gradi dell’organico e l’uomo].
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68
Il concetto di posizionalità
In essa egli propone la teoria dei modali organici, anche
detta “teoria aprioristica dei caratteri organici essenziali”;
con tale teoria, egli opera una deduzione (in senso kantiano)
delle categorie e dei princìpi a priori dai quali dipendono
le caratteristiche della vita in generale e di quella dell‟uomo in particolare.
Al cuore di questa teoria è il concetto di posizionalità (Positionalität),
da cui si deduce la differenziazione (a livello sia ontologico sia conoscitivo),
da un lato, tra realtà organica e inorganica, e,
dall‟altro, tra mondo animale e mondo umano.
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69
Corpo inanimato e corpo vivente
Mentre fra un corpo inanimato e lo spazio che lo contiene
il limite è un confine statico ed esterno,
nel vivente i limiti appartengono
al corpo medesimo e funzionano
come interfaccia di relazione
tra un dentro e un fuori:
l‟organismo si attua e si realizza
in quanto delimitato rispetto all‟esterno,
ma lo fa instaurando con il suo habitat
n rapporto dinamico di continuo scambio.
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70
I tre regni della natura
Servendosi del concetto di posizionalità, Plessner
individua la peculiarità della natura organica
nella capacità dell‟essere vivente di “porsi”
rispetto a se stesso e all‟altro da sé,
e la differenza essenziale sussistente
tra gli organismi dei tre regni naturali
(vegetale, animale, umano)
nel differente grado di sviluppo della posizionalità
(si parla di scala posizionale)
rispetto all‟ambiente circostante.
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71
Il grado vegetale
Il primo livello di questa scala dell‟organico
è dato dal vegetale, contrassegnato
da una forma aperta in cui la pianta si trova
ad essere immediatamente inserita.
Sicché l‟organismo vegetale si trova
inglobato nell‟area di cui fa parte
senza potersene distinguere,
ma restando necessariamente legato
al ciclo vitale cui appartiene.
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72
Rapporto solo assimilatorio con l‟ambiente
Si ha dunque, in tal caso, un rapporto soltanto assimilatorio
con l‟ambiente favorevole allo sviluppo, senza alcuna possibilità
di distaccarsene per far affiorare la propria individualità.
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73
Mancanza di un organo centrale
Nel grado vegetale manca, quindi, la capacità di distinguere tra mondo esterno e
mondo interno, che risultano unificati nell‟esigenza di sopravvivenza, proprio in
forza del fatto che manca un organo centrale, un sé che conferisca consapevolezza
al soggetto.
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74
„Dividuo‟ e non „individuo‟
Anzi, l‟unità individuale dell‟organismo vegetale è così precaria, che la pianta
potrebbe considerarsi un dividuo, anziché un individuo. Essa è, inoltre, incapace
di muoversi in senso proprio; tutt‟al più può compiere movimenti impercettibili e
involontari (tende verso la luce, verso l‟acqua, ecc.).
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75
Mutamento incessante
Infine, la forma aperta dell‟albero non perviene mai
al proprio completamento, ma si trova in un mutamento
incessante: dalla nascita alla morte, continua a crescere,
ad allungarsi, giacché la sua caratteristica
è un‟intrinseca incompiutezza.
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76
Il grado animale
Il grado animale dell‟organico mostra invece
una forma chiusa, nel senso che il corpo dell‟animale
si collega solo in modo mediato al campo vitale
che lo ospita. L‟animale è un organismo capace di
reagire all‟ambiente in base ai propri impulsi,
istinti e sensazioni.
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77
Dipendenza e indipendenza
A seconda delle proprie esigenze,
l‟animalità si apre o si chiude
al suo habitat, cioè si mostra
da un lato dipendente (come la pianta),
dall‟altro indipendente, ovvero dotata
di una “centricità” propria
che le consente di distinguersi
e di opporsi al mondo esterno.
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78
Apparato percettivo e coscienza …
Questo particolare atteggiamento è dovuto al fatto che l‟animale possiede un
apparato percettivo e una coscienza, anche se quest‟ultima appare ancora
limitata, perché rivolta esclusivamente verso l‟esterno: gli animali hanno un
corpo e vivono in un ambiente (che conoscono e su cui agiscono), ma non sanno
di avere né l‟uno né l‟altro.
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79
… ma non autocoscienza
Secondo Plessner l‟animale, in quanto è privo di autocoscienza, si muove partendo
dal centro costituito dal suo corpo organico, ma senza avere alcuna consapevolezza
di ciò che fa: «l‟animale esiste a partire dal suo centro, vive nel suo centro, ma non
vive come centro». La centricità dell‟animale non esprime ancora una autentica
individualità capace di sapersi tale: esso non ha riflessività e il suo organo centrale
non è ancora un io.
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80
Il grado umano
Nell‟uomo la capacità di autoriflessione
diviene invece prevalente. Nel grado umano
la vita non solo si rende autonoma dall‟ambiente,
ma prende coscienza di sé, distanziandosi dal
suo stesso centro («si pone alle proprie spalle»).
In questo guardarsi dal di fuori, l‟uomo riesce ad
affrancarsi dal dominio della necessità biologica,
che impone all‟animale di rimanere nella sua
collocazione rigidamente centrata nell‟ambiente.
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Auguste Rodin, Il pensatore, 1880-1902 (part.)
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81
Eccentricità dell‟essere umano
L‟essere umano può quindi assumere
una posizione “eccentrica” (Exzentrizität),
che Plessner indica come il carattere
veramente distintivo della nostra specie.
L‟uomo riassume infatti in sé
tutte le caratteristiche
degli altri gradi organici:
ha un corpo vivente (pianta),
è nel suo corpo come centro (animalità/coscienza),
sa stare fuori dal suo corpo (eccentricità/autocoscienza).
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82
Corpo, corporalità e persona
Nello stesso tempo, perciò, l‟uomo “è” corpo (Körper)
e “ha” corpo, vale a dire vive se stesso
come corporalità (Leib) e insieme la controlla,
la gestisce, quasi ne fosse in qualche modo separato.
A tal proposito Plessner scrive che l‟uomo
«è corpo, nel corpo (come vita interiore o anima)
e fuori del corpo, come il punto di vista da cui
derivano entrambi. Un individuo
posizionalmente caratterizzato
in questo triplice modo si dice persona».
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83
Soggetto e oggetto del proprio agire
Per questa sua posizione egli si muove in un mondo
polivalente, si orienta in una esistenza che organizza
attivamente e può essere definito in senso proprio,
appunto, una persona (Person), in quanto unità
individuale di mediazione e coordinazione di sé
e in quanto soggetto e oggetto del proprio agire.
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84Copyright © 2020 Stefano Martini
Auguste Rodin, Il pensatore, 1880-1902 (part.)
Da individuo a persona
Insomma, se con l‟animale si passa dal dividuo (tipico
del vegetale) all‟individuo (che è la singolarità garantita
dal centro), con l‟uomo e con la sua eccentricità si passa
dall‟individuo alla persona, cioè compiutamente individuo,
il più perfetto modo di essere se stesso e di riflettere su di sé,
raggiungendo l‟autocoscienza.
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85
Il paradosso del vivere umano
Proprio in questa forma esistenziale
– vissuta all‟insegna della ricchezza
e della complicazione dei rapporti,
di una distanza obiettivante e
dell‟autoprogettazione – consiste
il paradosso del vivere umano.
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Maurits Cornelis Escher, Salita e discesa, 1960 (part.)
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86
Libero e prigioniero
Infatti, se l‟uomo è libero più di qualunque animale, al contempo è prigioniero
della necessità: dei bisogni materiali e delle difficoltà per soddisfarli, in generale
della sua esistenza corporea e altresì della sua esistenza spirituale, del bisogno di
trovare un senso al mondo e alla sua stessa vita.
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87
Una diversa naturalità
La posizione eccentrica gli sottrae
la possibilità di una vita realmente naturale,
basata, come quella animale, su un equilibrato
rapporto di adattamento all‟ambiente
e di soddisfazione istintuale, per offrirgli
in cambio un complesso sistema
di sofisticate mediazioni, di prese di distanza
e di simbolizzazioni che inevitabilmente
trasformano la sua naturalità.
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Vasilij Kandinskij, Composizione VIII, 1923
Grotte di Lascaux, Sala dei tori (16.500 a.C.)
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88
Le tre leggi antropologiche fondamentali
Come può l‟uomo assumere un‟adeguata posizione all‟interno della sua vita?
Su quali basi deve fondare il proprio agire?
A costituire un ostacolo al modo di vivere umano
è l‟opposizione conflittuale tra eccentricità e vitalità.
Esponendo le tre leggi antropologiche fondamentali,
Plessner intende mettere in luce
come l‟uomo costruisca la sua vita
nel distacco originario dal proprio habitat naturale.
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89
La legge dell‟artificialità naturale (I)
La prima è la legge dell‟artificialità naturale (natürliche Künstlichkeit), per cui
l‟uomo non vive in contatto immediato con l‟ambiente, ma ha bisogno di ricorrere
a cose artificiali. Se l‟animale esiste semplicemente senza conoscersi e senza
riflettere sull‟ambiente di cui è parte, l‟uomo ha smarrito la naturalezza e deve
tramutare il mondo naturale in mondo artificiale, trovandosi in una situazione di
disagio e di instabilità costante.
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90
Il rapporto natura-cultura
Si vede costretto a produrre strumenti
(utensili, abitazioni, vestiti) per vivere nella natura.
L‟uomo trova nell‟artificialità del mondo della cultura
la sua seconda terra di nascita e può in tal maniera
infrangere tutti i limiti che lo vincolano
a un‟esistenza soltanto naturale: se vuole sopravvivere,
deve agire e deve farlo in modo intelligente,
superando le carenze che la natura gli ha imposto
(l‟uomo come «essere carente [Mängelwesen]»,
cfr. Johann Gottfried Herder).
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Johann Gottfried Herder
(1744-1803)
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91
Il ricorso a mezzi artificiali
Proprio perché è in grado di far ricorso a mezzi artificiali (e con essi raggiunge
un equilibrio che la sola natura mai gli avrebbe concesso), l‟uomo è il più alto
livello del processo vitale.
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92
La legge dell‟immediatezza mediata (II)
La seconda è la legge dell‟immediatezza mediata (vermittelte Unmittelbarkeit),
per cui l‟uomo vive al contempo come organismo animale nella immediatezza
della natura e come essere eccentrico nella mediazione culturale. Nel
comportamento umano sussiste una costante correlazione tra gli aspetti a priori
e quelli a posteriori: la produttività umana e la capacità di dar vita a ciò che
prima era inesistente richiedono sempre una trasformazione del naturale.
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93
La creazione artificiale
Si parte dalla natura immediata
e la si tramuta in una creazione
artificiale. Dall‟immediatezza
dell‟esigenza di potenziare
la forza umana si è passati
all‟artificiosa mediazione del
martello, inventato appunto
per potenziare la forza della mano.
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94
Sradicamento dell‟uomo
Tuttavia, l‟eccentricità si delinea altresì come il più
profondo degli abissi e l‟essere rischia di
smarrirvisi. L‟uomo si scopre allora sradicato, privo
di consistenza, e sperimenta la propria nullità.
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n u l l a
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95
La legge del luogo utopico (III)
Ecco, allora, la terza legge, quella del luogo utopico (utopisches Standort), per
cui l‟uomo, in quanto essere eccentrico, si trova sempre proiettato al di là di tutto
ciò che gli si presenta dinanzi: rinunciando a ogni stabilità, egli non ha patria,
non può contare su una propria casa nel mondo. È da ricercarsi qui la scaturigine
dell‟insicurezza umana e dell‟inquietudine.
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96
La mancanza di precisa collocazione
Secondo Plessner, un essere in grado
di spostarsi ovunque, di progredire
indefinitamente e di spaziare senza limiti
nell‟universo della coscienza, sente di
non avere alcuna precisa collocazione e
un posto che sia veramente suo, si trova
dietro e sopra la propria vita e
sperimenta se stesso e il mondo come
elementi contingenti e del tutto deboli.
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97
Dal pessimismo nichilistico all‟apertura verso Dio
L‟eccentricità della sua forma di vita,
il suo non esser mai da nessuna parte
(il luogo utopico per l‟appunto),
dischiudono all‟uomo le più svariate possibilità,
che spaziano da un pessimismo nichilistico
a un‟apertura verso Dio
(ricorso alla trascendenza,
nel tentativo di trovare una patria
e di dare un ordine alla propria esistenza).
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98
L‟espressività umanaNonostante quanto sopra detto,
la vita dell‟uomo conserva uno stretto vincolo
con l‟organicità naturale.
Il fenomeno espressivo, mentre testimonia
di tale vincolo corporeo gettando inoltre luce
sulla particolare essenza dell‟uomo,
finisce per raccogliere intorno a sé,
e in certo modo per rappresentare,
le difficoltà teoriche gravanti
sulla questione del rapporto tra psichico e fisico.
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99
L‟interiorità psichica o spirituale
Le manifestazioni espressive, infatti, passano attraverso il corpo, ma riflettono o
esternano qualcosa che di per sé non è corporeo, qualcosa che sembra appartenere
a un altro “livello” dell‟essere, a una interiorità psichica o spirituale.
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Louis-Léopold Boilly,
Studio di 35 espressioni del volto,
1825 ca.
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100
Interesse per le manifestazioni espressive …
Dell‟espressione Plessner si è occupato a lungo
e con grande interesse, trattando sia delle sue
caratteristiche generali, sia dei suoi diversi fenomeni
presi singolarmente.
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Louis-Léopold Boilly, Le smorfie, 1820 ca.
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101
… dal 1923 e 1925 …
E se già l‟opera del 1923 Die Einheit der Sinne
[L’unità dei sensi] lasciava chiaramente intendere
quale ruolo avrebbe potuto giocare lo studio
delle manifestazioni espressive nel contesto
della ricerca antropologica, il saggio scritto
due anni più tardi in collaborazione con Buytendijk,
Die Deutung des mimischen Ausdrucks [L’interpretazione
dell’espressione mimica] prova il grado di attenzione
e il livello di serietà scientifica con la quale
Plessner ha inteso dedicarsi alla questione.
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102
… al 1970
Per non dimenticare la più tarda sintesi
Anthropologie der Sinne [Antropologia
dei sensi], pubblicata nella raccolta
Philosophische Anthropologie del 1970
(ora in Gesammelte Schriften III).
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103
Espressione mimica, gesti simbolici e linguaggio
Espressione mimica, gesti simbolici, linguaggio
determinano il patrimonio delle manifestazioni
della vita umana coprendo ciascuno dei suoi livelli
costitutivi, dalle più elementari necessità organiche
al più complesso intreccio di emozioni e ragionamenti.
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104
Der Mensch als Lebewesen (1967)
Naturalmente, le diverse manifestazioni hanno
funzioni e portata differenti. Il linguaggio, che tra le
forme espressive si situa in una posizione chiave per la
definizione del monopolio specifico della natura umana,
consente una comunicazione articolata e fondata
sull‟astrazione concettuale. Interessante, a questo
proposito, è il testo Der Mensch als Lebewesen
[L’uomo come essere vivente], del 1967
(ora in Gesammelte Schriften VIII, pp. 314-327),
che leggeremo insieme.
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105
Le manifestazioni fonetiche animali …
Il linguaggio parlato non può essere confuso
con le semplici manifestazioni fonetiche degli animali.
La loro emissione di suoni ha una funzione
biologica immediata e trasmette direttamente
impulsi ed eccitazioni.
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106
… e il linguaggio parlato umano
Le parole invece indicano un significato che riceve
la propria modulazione inserendosi in un preciso
contesto linguistico, riferito a circostanze fattuali e
oggetti, rispetto ai quali esso rimane indipendente
pur essendo loro coordinato.
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Pieter Bruegel il Vecchio,
La (grande) Torre di Babele, 1563
Pieter Bruegel il Vecchio,
La (piccola) Torre di Babele, 1565 ca
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107
Senso della strumentalità e capacità di imitazione
Come per l‟uso di utensili, il senso della
strumentalità (del mondo circostante,
del proprio corpo, della propria voce, ecc.)
è condizione necessaria al comparire del linguaggio.
Alla base dell‟elaborazione e dell‟uso dell‟espressione
parlata si trova così la facoltà di oggettivare,
di “cosalizzare” la realtà, di astrarre e
universalizzare, insieme a un‟altra dotazione
eminentemente umana, la capacità di imitazione.
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108
Espressione mimica
La semplice espressione mimica, una modalità
parzialmente condivisa dal mondo animale, va distinta
innanzitutto dal linguaggio mimico, vale a dire dal gesto
(Geste) in senso proprio, una forma di comunicazione
simbolica che pur non facendo uso della parola, in virtù
della sua specifica modalità, si colloca tuttavia
nell‟ambito dell‟espressione linguistica.
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109
Atteggiamenti espressivi
Gli atteggiamenti espressivi o la gestualità (Gebärde)
in senso lato sono invece immediati, non simbolici, involontari
e non necessariamente legati a situazioni comunitarie.
Attraverso l‟atteggiamento corporeo e la raffinatezza
della mimica facciale, la gestualità esterna direttamente le emozioni provate.
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110
Non segni, ma specchio di emozioni
Queste manifestazioni non sono forme
sostitutive di altri atti o di parole (come
invece i gesti simbolici) e non sono a loro
volta sostituibili; non sono segni, strumenti
di mediazione per la trasmissione
di significati (si pensi ad esempio alla
stretta di mano), ma specchio di emozioni,
movimenti con un significato intrinseco che
rimanda senza intermediari allo stato o
all‟impulso che li ha suscitati.
Copyright © 2020 Stefano Martini
Albrecht Dürer, Studi sulle mani, 1408
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111
Non azioni finalizzate, residui di azione o surrogati di azione …
E benché appartengano all‟ampia categoria
degli atti comportamentali, queste spontanee
manifestazioni gestuali non sono azioni
finalizzate, né residui di azione
come voleva Charles Darwin [1809-1882])
o surrogati di azione dovuti
a fenomeni di associazione tra sensazioni
(come suggeriva Theodor Piderit [1826-1912]).
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112
… ma qualcosa di simile a una azione
Più corretto è invece, secondo Plessner,
seguire almeno in parte le indicazioni
di Ludwig Klages (1872-1956),
il quale interpreta l‟espressione mimica
come qualcosa di simile a una azione
che, non essendo né un derivato
né un succedaneo di questa,
le si colloca accanto mantenendo
un propria autonomia e un differente valore.
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113
Peculiari forme di espressione mimica
Riguardo all‟espressione mimica, un particolare interesse rivestono per Plessner
alcune peculiari sue forme, vale a dire il riso, il pianto e il sorriso, argomenti
di cui ci occuperemo nel prossimo incontro.
Copyright © 2020 Stefano Martini
Grazie e arrivederci
114
al prossimo incontro di
venerdì 6 marzo 2020
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
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PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
HELMUTH PLESSNER
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(Vita, opere, pensiero)
[III]
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116
Pensiero (seconda parte)
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6 marzo 2020
Terzo incontro
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117
Il riso e il piantoVeniamo ora al riso e al pianto.
Considerati l‟emblema dei due volti dell’umore,
essi rappresentano le opposte reazioni
dell‟uomo di fronte a ciò che lo tocca,
lo colpisce, lo sottrae all‟indifferenza.
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118
Riso-pianto = piacere-dolore?
È perciò facile e assai frequente ricondurre riso e pianto
rispettivamente a uno stato di piacere e a uno stato di dolore.
Ma è davvero così semplice? Non si danno forse anche casi in cui
si ride nel dolore o si piange di gioia?
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119
Semplici errori di espressione? Fenomeni non trasparenti
Si tratta allora di semplici “errori di espressione”, di momenti di confusione?
Certo è che il riso e il pianto sono fenomeni peculiari e non trasparenti, il cui
statuto ha sovente destato curiosità e interesse. Tuttavia, affidarsi a semplici
luoghi comuni o perseverare nell‟uso di grossolane riduzioni non aiuta a
scoprirne e a chiarirne il significato.
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120
Fondamentale affinità
Per raggiungere questo scopo,
nel saggio Lachen und Weinen
[Il riso e il pianto], comparso per la prima volta
in una pubblicazione olandese del 1941,
a distanza di qualche tempo dalla stesura,
Helmuth Plessner intraprende
una dettagliata analisi dei motivi
e delle modalità di manifestazione di tali fenomeni,
considerati forme di espressione della natura umana
caratterizzate da una fondamentale affinità.
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121
Trattazione simmetrica di entrambe le forme espressive …
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La peculiarità del saggio consiste senz‟altro
nella trattazione simmetrica delle due forme espressive.
Come rileva lo stesso autore
nella introduzione alla prima edizione,
la letteratura ha ampiamente trascurato l‟analisi del pianto
per occuparsi principalmente del riso
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
122
… e non sbilanciata su una delle due
e ha trattato non tanto delle sue caratteristiche
in rapporto alle altre forme dell‟espressione umana
e alla sua funzione nel contesto esistenziale,
quanto piuttosto dei suoi motivi,
delle occasioni che lo suscitano,
in particolare della comicità
e del motto di spirito.
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123
Ottica settoriale
In tal modo le teorie del riso,
come anche le poche del pianto,
sono rimaste per lo più subordinate
alle concezioni parziali dell‟estetica
o di una inadeguata psicologia
e racchiuse, comunque,
in un‟ottica settoriale.
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124
Impostazioni da evitare
È proprio questo che il percorso seguito
da Plessner cerca di evitare,
nell‟esaminare i fenomeni
del riso e del pianto.
Esso non trascura né i risultati della
ricerca neurofisiologica contemporanea,
né la varia letteratura filosofica
disponibile sull‟argomento,
naturalmente in conformità con il taglio
e gli scopi della sua impostazione.
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125
Bergson …
Per quanto concerne il tema del riso,
Plessner si sofferma in particolare a discutere
le posizioni di Henri Bergson (1859-1941),
Le rire. Essai sur la signification du comique
[Il riso. Saggio sul significato del comico]
del 1899,
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126
… e Freud, ma non solo
e di Sigmund Freud (1856-1939),
Der Witz und seine Beziehung zum Unbewußten
[Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio]
del 1905, senza tuttavia trascurare
la vasta e varia letteratura più recente.
Per quanto riguarda il pianto,
la letteratura di cui egli si avvale
è principalmente
di carattere scientifico.
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127
Significato in relazione alla natura dell‟uomo
Per Plessner non è semplicemente in gioco
uno studio del riso e del pianto in quanto tali,
non si tratta solo di determinare
quando e perché essi si presentino
o quale ruolo rivestano
nel contesto del vivere comune,
ma in primo luogo
quale sia il loro significato
in relazione alla natura dell’uomo.
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128
Progetto antropologico di dimensioni molto ampie
Questa analisi sul riso e sul pianto,
rinvia così a un progetto antropologico
di dimensioni molto ampie,
avente lo scopo di determinare
l‟essenza “uomo”
nella concretezza della sua realtà
biologico-materiale ed esistenziale.
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129
Forme espressive „sui generis‟ …
Con il sorriso (di cui ci occuperemo
più avanti e che, comunque,
è qualcosa di assai diverso dal riso,
benché venga spesso a esso accostato),
il riso e il pianto costituiscono
secondo Plessner delle forme
espressive ‘sui generis’, e per questo
meritano una trattazione separata.
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130
… e propriamente umane
Il riso e il pianto
non si possono accostare
al linguaggio, ma,
esattamente come l‟espressione linguistica,
sono appannaggio specifico dell’uomo.
Non hanno perciò nulla a che vedere
con quei fenomeni
riscontrabili nel regno animale
che sembrano ricordarli.
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131
Alcun rinvio a un passato filogenetico remoto
Non solo. Alla stregua
delle manifestazioni mimiche in generale,
non rappresentano nemmeno fenomeni di
rinvio a un passato filogenetico oramai remoto.
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132
Espressioni significative, funzionali ed emblematiche
Il riso e il pianto sono, invece,
espressioni significative,
funzionali ed emblematiche
dell‟essere (umano)
che dà loro vita.
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133
Non semplici manifestazioni mimiche
Non sono però neppure semplici manifestazioni mimiche.
Non presentano infatti affinità alcuna con l‟azione e,
nonostante il legame con un motivo scatenante,
manca loro quella trasparenza
capace di connettere
in modo chiaro e immediato
la reazione con il relativo
affetto e sentimento.
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134
La trasparenza espressiva degli atti gestuali …
Gli atti gestuali, in genere, per quanto
impetuosi, improvvisi o sconsiderati,
sono comunque dotati solitamente
di una trasparenza espressiva
che palesa lo statuto interiore dell‟uomo
mediante la vivace animazione del corpo.
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135
… e l‟opacità delle manifestazioni di riso e di pianto
Al contrario, l‟opacità delle manifestazioni di riso e pianto
è la conseguenza di una totale perdita del dominio
esercitato dall‟uomo sul proprio corpo.
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Francis Bacon, Tre studi per autoritratto, 1976
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136
… con fenomeno di caduta
In essi viene meno il passaggio dall‟interno all‟esterno
che consente all‟espressione di fungere
da specchio della relativa motivazione,
e a un fenomeno di vera e propria estrinsecazione
se ne sostituisce uno di caduta.
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Amedeo Modigliani,
Testa di giovane ragazza, 1916
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137
Sintomi di una frattura interna all‟uomo
Il riso e il pianto sono sintomi
di una frattura interna all’uomo,
di una scissione di quella unità personale
che giorno dopo giorno progetta
e conduce una esistenza di mediazione
– tanto complessa quanto equilibrata –
con il mondo circostante.
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138
Di norma, contesto di continuità e di senso
A prescindere dal tipo di faccende in gioco
e dall‟atteggiamento che sceglie di adottare,
l‟uomo si muove di norma in un contesto di continuità e di senso,
all‟interno del quale agisce e reagisce in modo razionale,
in genere potendo gestire
il proprio comportamento corporeo
in maniera tale da offrire
la risposta più consona alle circostanze.
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139
Puro meccanismo fisiologico
Ma non è sempre così.
Talora la situazione lo disarma e lo sopraffà;
egli si lascia prendere la mano, perde il dominio
e precipita in una reazione incontrollata,
in un puro meccanismo fisiologico
dal decorso forzato.
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Edvard Munch, Grido, 1910
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140
Incapacità di affrontare da situazione
Quando l‟uomo non è in grado
di affrontare la situazione,
di adottare un contegno adeguato
alla sua natura mediatrice,
la sua unità superiore di controllo
abdica in favore della pura corporeità.
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René Magritte, Il pellegrino, 1966
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141
Fenomeni ai limiti del comportamento
In questo senso il riso e il pianto sono fenomeni
che si presentano ai limiti del comportamento,
al quale di fatto suppliscono.
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142
La sola risposta possibile in una situazione impossibile
Non si deve però pensare
che si tratti di manifestazioni
indegne dell‟uomo,
in qualche modo indecorose.
Benché espressione di una rottura
e di una capitolazione,
il riso e il pianto rappresentano ancora una risposta:
la sola possibile in una situazione impossibile.
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143
Capacità di far fronte alla situazione
In questo modo, anche nel momento in cui sembra perduto,
l‟uomo – dice Plessner – «rimane persona»,
mostrandosi capace di far fronte alla situazione
e di venirne a capo.
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144
Il proprio potere in una condizione di impotenza
Soltanto un essere, che può prendere distanza dal mondo
e non si lascia assorbire completamente dalla situazione,
è realmente in grado di giocare l‟ultima carta del riso e del pianto;
solo una natura eccentrica
è in grado di mostrare il proprio potere
anche in una condizione di impotenza,
di esercitar una forma di libertà
quando ogni possibile libertà sembra perduta.
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145
Sostanziali differenze tra pianto e riso
Naturalmente, però, il riso e il pianto non si possono confondere. Il fatto che
rappresentino fenomeni dello stesso genere, manifestazioni di emancipazione del
corpo sulla unità psicofisica dell‟uomo, se giustifica la necessità di trattare
congiuntamente le due forme espressive, non autorizza certo a trascurare le
sostanziali differenze che le caratterizzano.
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146
Motivi …
La loro profonda diversità viene messa in luce
da Plessner attraverso una accurata analisi
dei motivi che suscitano le due reazioni fisiche.
Essa non dipende da questi in quanto tali:
ci sono, infatti, diversi motivi
dinanzi ai quali possono determinarsi
entrambe le manifestazioni.
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147
… modi e condizioni oggettive
Il presentarsi dell‟una o dell‟altra dipende
dal modi in cui i motivi ci colpiscono,
dalle condizioni oggettive
che vengono a determinarsi
nel rapporto tra l‟uomo e la situazione.
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148
Situazione ambivalente ed equivoca
Con il riso l‟uomo regola una situazione
che contemporaneamente lo vincola
e lo lascia libero,
una situazione ambivalente ed equivoca
in cui domina la non serietà.
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Jacob Cornelisz van Oostsanen,
Sciocco che ride,
1500-1510
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
149
Dissoluzione di una condizione di tensione latente
Quando, pur senza trovarsi realmente in pericolo,
l‟uomo non riesce a conservare
un comportamento consueto,
perché lo stato di cose non è chiaro e univoco,
si crea una condizione di tensione latente
che solo il riso può dissolvere.
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150
Momenti di attrazione e momenti di repulsione
Si tratta di situazioni – non importa se determinate
da occasioni comiche, imbarazzanti o di altro genere –
nelle quali si incrociano e si sovrappongono,
senza annullarsi reciprocamente,
momenti di attrazione
e momenti di repulsione,
varie direzioni del percorso razionale, più sensi,
e l‟uomo non riesce a trovare
un punto stabile a cui agganciarsi.
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Linee di forza del campo magnetico
generato da un magnete
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151
Quando la situazione è resa impossibile
Secondo Plessner, l‟ambiguità e la pluralità
dei significati di un motto di spirito,
del comportamento bizzarro di una persona, o
dello svolgersi di una determinata scena,
impediscono all‟uomo di dare una risposta
tramite il normale modo di agire
e rendono la situazione impossibile.
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152
L‟unica risposta in grado di conferire ancora qualche senso
Tuttavia, anche nella impossibilità
l‟uomo riesce a trovare una possibilità,
riesce a dare alla situazione
l’unica risposta in grado di conferire
ancora qualche senso
a ciò che sembra sfuggire
a ogni senso.
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153
Apertura dell‟uomo al mondo
Il suo riso rappresenta al contempo
una conferma e un abbandono della situazione,
una affermazione di sé e un sacrificio;
ma soprattutto sancisce un distacco,
una presa di distanza dalla situazione,
e rende l‟uomo aperto al mondo,
proiettato fuori di sé, verso gli altri.
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Caspar David Friedrich,
Viandante sul mare di nebbia,
1818 ca.
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154
Carattere sociale del riso
Per Plessner non è un caso
che il riso sia tanto più autentico,
sentito e divertente
quanto più è sociale.
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Esempio del comico figurativo
nel Rinascimento lombardo
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
155
Incontro con il consenso altrui
Se il motivo scatenante si presenta come oggettivo
e il riso incontra il consenso altrui,
esso soddisfa il proprio carattere di esternazione.
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Esempio del comico figurativo
nel Rinascimento lombardo
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
156
Chiusura dell‟uomo in se stesso e suo isolamento
Al contrario, il pianto comporta una chiusura dell’uomo in se stesso, una
esclusione del mondo dal proprio orizzonte e conseguentemente
un isolamento dell’individuo.
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Edvard Munch,
Malinconia serale,
1891
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
157
Motivo scatenante soggettivamente vissuto
Il motivo scatenante è tanto più efficace quanto più soggettivamente vissuto, e
anzi la condivisione del motivo può essere una causa di inibizione del pianto.
Copyright © 2020 Stefano Martini
Edvard Munch,
Malinconia,
1892
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
158
Incapacità di prendere distanza dal meccanismo corporeo
Le situazioni che impediscono un comportamento consueto
in questo caso sono tali da abbandonare l‟individuo
al puro meccanismo corporeo,
ma in modo tale che
l‟uomo ne rimane coinvolto,
incapace di prenderne distanza.
Copyright © 2020 Stefano Martini
Rogier van der Weyden,
Deposizione,
1435-1440
(part.: Il volto di Maria, Madre di Gesù)
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
159
Il venir meno della relatività dell‟esistenza umana
Muovono al pianto quelle situazioni in cui,
senza che si presentino circostanze
realmente minacciose
che costringerebbero l‟uomo alla fuga,
la relatività dell’esistenza individuale viene meno
di fronte alla potenza di un termine assoluto.
Copyright © 2020 Stefano Martini
Rogier van der Weyden,
Deposizione,
1435-1440
(part.: Il volto di Maria di Cleofa)
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
160
Senso di impotenza
In tal caso – non importa se l‟occasione è data
da un dolore, da un sentimento sublime
o da qualcos‟altro – l‟uomo è preso
interamente e immediatamente dalla cosa.
Il senso di impotenza suscitato
dalla cattura sentimentale di qualcosa di immane
non gli lascia spazio per un distacco.
Copyright © 2020 Stefano Martini
Rogier van der Weyden,
Deposizione,
1435-1440
(part.: Il volto di Giuseppe d’Arimatea)
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
161
Il meccanismo corporeo delle lacrime
Così l‟uomo le si abbandona, dando libero sfogo alle lacrime.
Un puro meccanismo corporeo anche questo,
che di nuovo si presenta
come l‟unica via d‟uscita possibile
di fronte a una situazione impossibile.
Copyright © 2020 Stefano Martini
Rogier van der Weyden,
Deposizione,
1435-1440
(part.: Il volto di Salome)
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
162
Due diverse modalità di limitazione del comportamento
Il contrasto che caratterizza il riso e il pianto
non si spiega dunque mediante il principio del
piacere e del dolore, ma attraverso l‟esistenza
di due diverse modalità di limitazione del
comportamento.
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Peter Paul Rubens, Democrito e Eraclito, 1603
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163
Inibizione del normale rapporto con il mondo
L‟inibizione del normale rapporto dell’uomo
con il mondo si determina
o in caso di mancata chiarezza della situazione,
divenuta equivoca e ambigua,
o in caso di perdita della relatività della propria esistenza,
dietro il potente richiamo
di un sentimento completamente coinvolgente,
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HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
164
Improvvisa caduta concessa solo a una natura eccentrica
e le sole reazioni possibili
di fronte a tale inibizione
sono generalmente il riso e il pianto,
una improvvisa caduta concessa
soltanto a una natura eccentrica,
a una natura che può giocare il rapporto con se stessa
tra gli estremi dell‟essere un corpo
e dell‟avere un corpo.
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165
Rischio e unicità dell‟umana esistenza
In questa dialettica duplicità,
dell‟essere un corpo e dell‟avere un corpo,
che richiede un‟ininterrotta mediazione,
consiste il rischio e, insieme,
l‟unicità dell’umana esistenza.
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166
Forme di caduta degne dell‟uomo
È per questo che tali forme di caduta, riso e pianto,
secondo Plessner non sono meno degne dell’uomo
di quanto lo siano, per esempio, la posizione eretta o
l‟uso del linguaggio: espressioni perfettamente
adeguate a situazioni di fronte alle quali solo l‟uomo
può trovarsi e riuscire a venirne a capo.
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167
Il sorrisoQualche parola, ora, per il sorriso,
cui dedicheremo una lettura peculiare
nell‟ambito del nostro Corso: Das Lächeln
[Il sorriso], da Plessner pubblicato per la
prima volta nel 1950 in un volume collettivo
e, successivamente, nel 1953 e nel 1970 in
raccolte di saggi, e, infine, nel 1982, in
Gesammelte Schriften VII, pp. 419-434.
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HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
168
Ambiguità …
Il sorriso, il cui fascino ha stregato poeti, musicisti,
ma specialmente scultori e pittori di ogni tempo,
ispirando alcune delle opere più straordinarie della cultura mondiale,
ha una ambiguità che supera quella di qualunque altra espressione mimica umana
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169
… e adattabilità
e possiede una adattabilità
alle più differenti e contrastanti
disposizioni dell‟animo
che decreta l‟assoluta impossibilità
di determinare con esattezza
a quali motivi si possa legare la sua comparsa.
Copyright © 2020 Stefano Martini
Jan Vermeer,
Ragazza con l’orecchino di perla,
1665-1666
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
170
Il troppo e il troppo poco delle lievi fossette laterali
Il sorriso del neonato, il sorriso amichevole,
quello ironico o beffardo,
il sorriso di piacere e quello di amarezza,
non hanno tra loro nulla in comune, se non
una determinata contrazione muscolare del volto,
con allungamento delle labbra
e formazione di lievi fossette laterali che,
fotografata nel suo darsi puramente esteriore,
dice – insieme – troppo e troppo poco:
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Giovan Francesco Caroto,
Fanciullo con disegno, 1523
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171
Vasto campo di possibilità accennate
mentre non traspare
univoca ragione di scatenamento
né sensazione provata,
dalla sua sola immagine
prende spazio un vasto campo
di possibilità accennate,
impercettibilmente presenti.
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Frans Hals,
Giullare che suona un liuto, 1623-1624
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172
Lo studio sulle emozioni di Charles Darwin
Il noto studio di Charles Darwin, dal titolo
L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali
(1872), che si avvale peraltro
di minuziose osservazioni antropologiche
e di testimonianze fotografiche,
nel valutare il rapporto tra certe sensazioni
e le manifestazioni fisiche loro conseguenti,
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173
Fisiologia del sorriso
si è soffermato sulla fisiologia del sorriso,
precisando che, oltre all‟intervento
dei grandi muscoli zigomatici,
avviene una moderata contrazione anche
di alcuni muscoli del labbro superiore
e contemporaneamente una
dei muscoli orbicolari dell’occhio,
sia nella parte superiore sia in quella inferiore.
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174
Ricerche anatomiche e morfologiche
Copyright © 2020 Stefano Martini
Una simile descrizione fisiologica del sorriso,
tutt‟altro che fine a se stessa,
recepiva numerosi risultati
di ricerche anatomiche e morfologiche
– animali e umane,
precedenti e contemporanee –,
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175
Continuità di forma, modalità e funzione
inserendosi all‟interno di un lavoro
di ricerca che mirava a sottolineare
la continuità di forma, modalità e funzione
delle espressioni emotive tra specie differenti
e tra l’animale e l’essere umano.
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176
Intento di altra natura
Con un intento di altra natura,
Plessner propone un breve ma
intenso saggio sul sorriso,
cercando di interrompere
la consueta separazione tra una
lettura estetico-fenomenologica
dell‟espressione e la sua analisi
fisiologico-funzionale.
Copyright © 2020 Stefano Martini
Leonardo da Vinci, Monna Lisa (Gioconda), 1503-1504
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
177
L‟espressione insieme più spontanea e artificiosa
Impegnato in una scrupolosa indagine
sul valore specificamente antropologico
delle diverse forme dell‟espressione e della comunicazione,
Plessner sostiene che il sorriso rappresenta
la forma più duttile e convincente
della “eccentricità” umana;
esso è inoltre l’espressione insieme
più spontanea e più artificiosa che possa darsi.
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178
Nulla a che fare con il riso
Ma soprattutto, egli sottolinea con forza – diversamente
dalla maggior parte degli autori di trattazioni filosofiche e scientifiche –
che il sorriso non ha nulla a che fare con il riso, e che, benché possa darsi
un passaggio graduale dall’una all’altra forma espressiva,
il valore antropologico del riso e quello del sorriso
sono non solo diversi, ma persino opposti.
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179
Qualcosa di difficilmente catalogabile
Nella Introduzione alla II edizione (1950) de Il riso e il pianto egli scrive:
«Il sorriso è una modalità espressiva sui generis: 1. è una forma germinale,
frenata e di passaggio al riso e al pianto, e perciò è una espressione mimica
nell‟ambito delle espressioni non mimiche; 2. è espressione mimica “di” e gesto
“per” una sterminata quantità di sentimenti, sensazioni, azioni, relazioni e stati,
come la cortesia e l‟impaccio, la superiorità e l‟imbarazzo, la compassione, la
comprensione, l‟indulgenza, la sciocchezza e la ragionevolezza, la dolcezza e
l‟ironia, l‟irrilevanza e la lealtà, la difesa e la seduzione, lo stupore e il
riconoscimento; 3. è gesto di costume […], che dice tutto e nulla, e atteggiamento
semplicemente rappresentativo, essendo specchio della eccentricità come distanza
dell‟uomo da se stesso».Copyright © 2020 Stefano Martini
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
180
Quasi in forma di appunto, Plessner condensa
i principali motivi che escludono l’opportunità
di una trattazione congiunta del riso e del sorriso.
A suo parere, il riso va trattato insieme al pianto,
non al sorriso; perché come il pianto,
riveste il significato assai particolare
e ben definito di manifestazione estrema,
di “limite comportamentale” e al contempo
di superamento di detto limite.
Copyright © 2020 Stefano Martini
Non trattazione congiunta di riso e sorriso
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
181
Riso, manifestazione violenta e improvvisa …
Come abbiamo già visto,
dal punto di vista fenomenico,
il riso è una manifestazione
violenta e improvvisa;
potente nella sua irruenza,
e rumorosa, aperta
e singolarmente coinvolgente;
Copyright © 2020 Stefano Martini
HELMUTH PLESSNER. PER UN‟ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL SORRISO
182
… difficilmente controllabile e meccanica
ma anche difficilmente controllabile, per molti aspetti meccanica,
come se l‟intera persona fosse improvvisamente caduta in preda
a un processo puramente fisiologico, “profondo” e autonomo;
tutto ciò è sintomo del fatto che il riso costituisce
un fenomeno di rottura e di disorganizzazione,
una manifestazione dal significato
univoco e inequivocabile.
Copyright © 2020 Stefano Martini
Wenceslaus Hollar,
Incisione del 1645
da disegno
di Leonardo da Vinci
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183
E testimonianza di una crisi, come il pianto
Esattamente come il pianto, il riso
testimonia l’irrompere di una crisi,
di deragliamento dell‟uomo rispetto
a una situazione che lo spiazza;
denuncia una insanabile
(ancorché momentanea) debolezza,
lasciando trasparire l‟esistenza di uno iato
all‟interno dell‟ente “eccentrico”;
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Il sorriso è un‟altra cosa
pur mantenendo integra
la responsabilità della persona,
esso quietanza una situazione,
decreta una chiusura.
Il sorriso è un’altra cosa.
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Jan van Scorel,
Ritratto di Agatha van Schoonhoven,
1529
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Il fenomeno assai diverso del sorriso
Il sorriso è un fenomeno assai diverso;
e se si prescinde dal fatto che
talora i processi di civilizzazione
li hanno accomunati nella funzione
di gesto simbolico o di maschera,
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Sandro Botticelli, La nascita di Venere, 1482-1485 (part.)
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La rozzezza del riso
il riso e il sorriso hanno ben poco
a che vedere l‟uno con l‟altro,
a partire dal fatto che
la rozzezza del riso sembra
male adattarsi all‟immagine
di un essere che si vuole
«padrone di sé e del proprio linguaggio» e che
«cerca di affinare la propria esistenza corporea».
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Battista Dossi,
Democrito (che ride), 1540-1548
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Strumento espressivo raffinato, duttile e polivalente
Al contrario del riso,
il sorriso costituisce
uno strumento espressivo
estremamente raffinato,
duttile, polivalente,
capace di mostrare –
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Antonello da Messina,
Ritratto di giovane uomo, 1470 ca.
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Autocontrollo e padronanza di sé
attraverso una configurazione
solo apparentemente
sempre identica –
di quali livelli di autocontrollo
e padronanza di sé
sia in grado di disporre
la natura umana.
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Sandro Botticelli,
Primavera, dettaglio: Flora, 1482 ca.
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La più autentica espressione dell‟umanità dell‟uomo
Libero, pertanto, ma altresì
sempre imprigionato (come
l‟essere umano, d‟altronde),
equivoco e ambiguo,
il sorriso rappresenta
dal punto di vista espressivo
l‟emblema più azzeccato
della condizione antropologica:
è, in definitiva,
la più autentica espressione dell’umanità dell’uomo.
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Antonello da Messina,
Ritratto d’ignoto marinaio, 1465-1470
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Fonti
B. Accarino, Le ragioni del mondo. L’anti-comunitarimo di H.P., “Postfazione” a Helmuth Plessner, I limiti della comunità,
Laterza, Roma-Bari 2001;
Enciclopedia Garzanti di Filosofia e Logica, ecc., s.v. Plessner, Garzanti, Milano 1993²;
D. Fusaro (a cura di), Helmuth Plessner, http://www.filosofico.net/plessner.htm;
F. Grigenti, Plessner: l’uomo come essere eccentrico, in U. Curi (a cura di), Il coraggio di pensare, 3B, Loescher, Torino 2018;
H. Plessner (1941), Il riso e il pianto. Una ricerca sui limiti del comportamento umano, Bompiani, Milano 20072;
H. Plessner (1950), Il sorriso, Inschibboleth, Roma 2018;
V. Rasini, Il riso e il pianto nel pensiero di Helmut Plessner, in H. Plessner, Il riso e il pianto, cit.;
V. Rasini, Il valore antropologico del riso nel pensiero di Helmuth Plessner, I castelli di Yale online, V, 2017, 2;
V. Rasini, Il sorriso, espressione virtuale e virtuosa, scienzaefilosofia.it, S&F, n. 18, Dossier, 2017;
V. Rasini, L’espressione, il riso, il sorriso, in H. Plessner, Il sorriso, cit.;
M. Russo, Postfazione a H. Plessner (1970), Antropologia dei sensi, Raffaello Cortina, Milano 2008;
Wikipedia, l‟enciclopedia libera, Helmuth Plessner, https://it.wikipedia.org/wiki/Helmuth_Plessner, pagina modificata per
l‟ultima volta il 9 dicembre 2019.Copyright © 2020 Stefano Martini
Grazie e arrivederci
191
al prossimo incontro di
venerdì 3 aprile 2020
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