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(1902-1978) HAROLD DWIGHT LASSWELL

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HAROLD DWIGHT LASSWELL

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GLI STUDI

Lo studioso di scienze politiche, indicato tra i massimi pionieri dello studio scientifico della comunicazione, si laurea nel 1922 e consegue il Dottorato all’Università di Chicago nel 1926, per poi recarsi in Europa, dove studia Freud e Marx e conosce Keynes e Bertrand Russell.

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LA PROPAGANDA

La sua prima opera

importante è la tesi di

dottorato apparsa nel 1927,

che analizza le tecniche di

propaganda impiegate

nella prima guerra

mondiale e costituisce la

prima testimonianza

dell’apparato concettuale

della Mass Communication

Research.

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LA PROPAGANDA

Con lo studio della propaganda inizia il suo percorso di politologo consapevole della grande importanza della comunicazione politica ma anche attento alle esigenze metodologiche della sociologia empirica.

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PUBLIC OPINION

Assistant Professor nel Dipartimento di Scienze Politiche dal 1926, insegna a Chicago fino al 1938, contribuendo alla fondazione (1937) della rivista Public Opinion Quarterly.

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A ridosso del secondo conflitto mondiale, conduce due grandi ricerche (per la Library of Congress e per la Stanford University) riguardanti i simboli della propaganda, le opinioni dell’élite e la stampa di prestigio.

25 settembre1956, War College di Carlisle, (Penn.). Lasswell con il Comandante Man S. Johnson, F. S. Dunn, il Vice comandante E. C. Doleman e William T. Fox (Columbia University.

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YALE

Nel 1948 ottiene la docenza alla Yale Law School. Ricopre importanti ruoli per il governo e nel 1955 diventa presidente dell’American Political Science Association.

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LA PROPAGANDA

Il suo lavoro del 1927 sulle tecniche di propaganda usate

da americani, inglesi, francesi e tedeschi durante la

prima guerra mondiale non giunge a formulare una

teoria generale, ma produce una razionale analisi del

campo di indagine, distinguendo i messaggi secondo i

pubblici cui sono diretti e individuando i temi ricorrenti,

ristretti sostanzialmente in 8 gruppi.

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LA PROPAGANDA

L’opera ha quindi un carattere descrittivo e analitico, fondato sulla costruzione di tipologie. Fornisce tuttavia l’impressione che si possano ricostruire le strategie propagandistiche dei diversi governi e anche predire le mosse future degli eventuali nemici.

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VISIONE TECNICA E STRUMENTALE

Le funzioni che Lasswell attribuisce alla propaganda definiscono il suo concetto di comunicazione politica, ritagliato sull’orientamento elitista respirato durante la sua formazione e ampiamente condiviso dallo spirito dell’epoca.

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CHARLES EDWARD MERRIAM

Lasswell è infatti un allievo di Charles Merriam, che ha insegnato dal 1900 al 1940 nel dipartimento di Scienza politica di Chicago, predicando il superamento della storia delle idee e della teoria politica e un contatto più stretto con la psicologia e l’economia. Secondo Merriam la ricerca, nelle scienze sociali, e nella politica, deve essere davvero empirica, sul campo, e mirare alla trasformazione della società e delle istituzioni.

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CHARLES EDWARD MERRIAM

Da questa visione, che riserva alle dinamiche di formazione delle élites il segmento aureo della «scienza politica» (relegando le masse popolari sullo sfondo, come soggetto passivo ed elemento residuale), preoccupata di mettere in evidenza gli aspetti pratici della disciplina, discende una lettura della comunicazione politica in chiave pratica, che tende a identificare propaganda e democrazia.

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VISIONE TECNICA E STRUMENTALE

Nell’ottica di Lasswell, che interpreta

un’opinione molto diffusa, la propaganda è uno

strumento indispensabile nelle democrazie

moderne perché è l’unico in grado di strutturare

il consenso delle masse popolari.

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VISIONE TECNICA E STRUMENTALE

L’approccio scientifico alla propaganda viene così ancorato alla valutazione della sua efficacia, al riparo da considerazioni sulla distribuzione del potere o di tipo etico (che vengono dislocate in altri settori), e trae giovamento dall’inquadramento come un insieme di «tecniche», un mezzo neutrale che costituisce un’alternativa economica alla violenza e alla corruzione nella gestione del potere.

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MAX WEBER

Per comprendere la facilità con cui si afferma una visione della comunicazione politica così attenta agli aspetti tecnici e così ambigua e «sbrigativa» sul piano morale, occorre considerare il quadro teorico generale della riflessione sociologica e in particolare la specifica influenza su alcuni punti del pensiero di Weber, morto nel 1920.

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MAX WEBER

In particolare era ormai

manifesta l’influenza sulla politica

dell’agire razionale rispetto allo

scopo (Zweckrationalität), la

categoria enucleata da Weber,

del quale in quegli anni erano particolarmente apprezzate sia

l’accentuazione «realistica» della

sua sociologia politica, sia l’invito

alla netta separazione tra giudizi

di valore e giudizi scientifici.

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SCIENZA NATURALE

La separazione fra giudizi scientifici e giudizi di valore

contribuisce a plasmare una scienza politica «comportamentale», che svincola l’azione politica

dalle radici storiche per poterla decifrare in un

contesto più «meccanico», con l’ausilio degli strumenti offerti dalla psicologia e dalla sociologia.

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SCIENZA NEUTRALE

Ma soprattutto può essere usata come un grimaldello per scardinare le responsabilità di tipo etico che gravano sulla politica e poterne così valorizzare più liberamente gli aspetti «tecnici» in termini di risorse, obiettivi e strategie.

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In quest’ottica naturalmente diventano interessanti per l’analisi i comportamenti dei gruppi organizzati, delle élite, dei grandi personaggi, cioè dei soggetti «attivi» che fanno la politica anziché limitarsi a «subirla». Perciò Lasswell, introducendo la teoria elitista all’interno del dibattito politologico americano, sostiene in Chi ottiene che cosa, quando e come (1936) che la massa non riveste che scarso interesse per uno studioso della politica.

5 febbraio 1913, il governo di Francisco Madero a una cerimonia

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Del resto, già nel 1933, nella voce «Propaganda» scritta per l’Enciclopedia delle Scienze Sociali, Lasswell ha chiaramente ridimensionato l’idea fondamentale del pensiero democratico secondo cui ciascuno è arbitro del proprio interesse: «Non dobbiamo soccombere» egli ha scritto «a dogmatismi democratici del tipo che gli uomini sono migliori giudici dei propri interessi».

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Poiché la maggior parte delle persone è ancora preda della superstizione e dell’ignoranza, spiega lo studioso, l’avvento della democrazia, in America come in altri paesi, «obbliga a sviluppare un insieme di tecniche di controllo, soprattutto attraverso la propaganda», che è un «mezzo di mobilitazione di massa più conveniente della violenza, della corruzione o di altre possibili tecniche di controllo».

H. D. Lasswell, «Propaganda», in Encyclopedia of the Social Sciences, Macmillan, New York 1930-5, 1954 reprint, pp. 523 e passim.

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Se la gente comune non è in grado neppure di capire qual è il suo interesse, è evidente che le masse devono essere emarginate e controllate. In una democrazia efficiente la propaganda diventa quindi un mezzo lecito e vantaggioso per indurre i cittadini a fare scelte che spontaneamente non farebbero.

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«Il nostro pensiero è stato troppo a lungo distratto dalle

logore contrapposizioni fra democrazia e dittatura, fra

democrazia e aristocrazia. Il nostro problema è essere

guidati dalla verità sulle condizioni di relazioni umane

armoniche e la scoperta della verità è un oggetto della

ricerca specialistica; non è monopolio del popolo in

quanto tale né dei governanti in quanto tali. Da che

sono stati inventati e diffusi i nostri metodi di

accertamento, essi sono spiegati e applicati da molti

individui all’interno dell’ordine sociale. La conoscenza di

questo tipo è una accumulazione lenta e laboriosa.

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Il Presidente dell’American Political Science Association Walter J. Shepard afferma nel 1934 che il governo dovrebbe essere in mano a “un’aristocrazia di intelletto e di potere”, mentre agli “elementi ignoranti, anticonformisti e antisociali” non deve essere permesso di decidere l’esito delle elezioni, come sciaguratamente è stato fatto in passato.

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These voices welcoming fascism were not marginal radicals but mainstream writers, presidents of major associations and editors of popular journals. In his 1934 presidential address, the president of the American Political Science Association — the nation’s oldest and largest organization of political scientists — railed against “the dogma of universal suffrage” and argued for abolishing a democracy that allowed “the ignorant, the uninformed and the antisocial elements” to vote. If these reforms smacked of fascism, he concluded, then “we have already recognized that there is a large element of fascist doctrine and practice that we must appropriate.”

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To what extent should we look at Shepard's view as being emblematic of larger trends in play at that time? In Democratic Faith, Patrick Deenan, professor of political science at Notre Dame, says they were more representative than one might think:

It might be easy in retrospect to dismiss Shepard as a bit of a crank or mis-guided authoritarian. Yet, he was a respected and influential figure in the American academy, and delivered this speech as president of the American Political Science Association (APSA), which was then and remains the main organization of the discipline. His sentiments were far from unrepresentative of the views of leading figures in the behavioral revolution in the years preceding World War II. They reflected the logical conclusion of many then contemporary ideas about the insufficiencies of democratic institutions and its citizens.

He then goes on to list a number of high profile intellectuals of that time who would have agreed with the idea that American democracy had failed, and something new was needed.

In addition to Graham Wallas and Walter Lippmann, prominent critics of democratic faith included respected scholars such as University of Chicago political scientists Charles E. Merriam, Harold F. Gosnell, and Harold Lasswell (later Yale), Harvard psychologists Elton Mayo and William S. Mc-Dougall, Columbia University sociologist Robert S. Lynd, and Smith College sociologist Harry Elmer Barnes.

It's worth noting, however, that very few in this list would have embraced fascism per se. Certainly McDougall and Barnes had broad sympathies for German Nazism, but many other intellectuals on this list simply believed that American democracy had failed and must be superceded by something else. Underlying this was a central thesis: the defining test of democracy could not be participation, but had to be results.

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Lo stesso disprezzo per il cittadino comune viene esibito anche da Edward Bernays, che su questi temi riveste nel mondo degli affari quel ruolo chiave che negli studi accademici spetta a Lasswell: «L’americano adulto medio» osserva il guru delle pubbliche relazioni «ha solo sei anni di scolarizzazione (…) perciò i leader democratici devono fare la loro parte nell’ingegneria del consenso».

L. Bernays, «The Engineering of Consent», The Annals of the American Academy of Political and Social Sciences, 250, March 1947, p. 114-5.

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Il telespettatore medio italiano ha l’intelligenza di un bambino di undici anni, nemmeno troppo

intelligente.

Ettore Bernabei

Ricordate che i nostri spettatori hanno solo la terza media e non

sedevano nemmeno tra i primi banchi.

Silvio Berlusconi

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Nel suo articolo del 1947 Bernays chiarisce bene su quali basi si debba sostenere l’uso della propaganda in una democrazia. Occorre accettare l’equiparazione della propaganda con la persuasione e di questa con la democrazia. «L’ingegneria del consenso» egli asserisce con convinzione «è la vera essenza del processo democratico, la libertà di persuadere e di esortare».

All the King’s Men, Usa 1949

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Lo stesso percorso era stato illustrato da Lasswell vent’anni prima: «Si sono sviluppate nuove abitudini che favoriscono la circolazione delle opinioni e il comportamento elettorale. La maggior parte di ciò che in precedenza sarebbe stato fatto con la violenza e l’intimidazione deve ora essere ottenuto con gli argomenti e la persuasione».

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E conclude con una frase a effetto: «La democrazia

ha proclamato il dominio della discussione e la

tecnica per dominare il dominatore si chiama

propaganda».

Harold D. Lasswell, «The Theory of Political Propaganda», The American

Political Science Review, Vol. 21, No. 3, Aug. 1927, pp. 627-631,

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In questa prospettiva, la propaganda in sé non ha

ovviamente nulla di negativo: è uno strumento, moralmente neutro, che si può usare bene o male,

quanto la maniglia di una pompa dell’acqua.

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Il tentativo di condurre la scienza politica nell’alveo

delle scienze «esatte», oltre i suoi tradizionali binari

etico-filosofici e storici, viene elaborato da Lasswell

sulla scia delle indicazioni di Merriam e sulla base di

un marcato orientamento elitista.

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L’analisi della politica viene spostata su un terreno concreto, in cui azioni e obiettivi specifici sono valutati oggettivamente, entro un quadro teorico massicciamente ispirato alla psicologia dell’epoca che tende a risemantizzare le nozioni di «simbolo» e di «valore» nell’ambito di un gergo «tecnico» che conferisce un’aura più fredda e razionale.

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Spunta anche qui l’entusiasmo per le idee di Freud, già diffuso da Bernays nelle pubbliche relazioni, che sembrano poter rendere la politologia ancor più «scientifica», grazie al loro carattere «sperimentale» e alla promessa di poter modificare i comportamenti umani.

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Incoraggiato da Merriam, dopo un soggiorno in Europa tra il 1928 e il 1929, Lasswell pubblica un volume ispirato direttamente alle teorie freudiane (Psychopathology and Politics, 1930) in cui propone, attingendo a piene mani dalla psicoanalisi, una disamina del comportamento di alcuni leader famosi.

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GUIDARE LE MASSE

James Elder Christie, The Pied Piper of Hamelin, 1881

«I risultati delle ricerche sulla personalità mostrano che

l’individuo è un giudice mediocre del proprio interesse.

La persona che sceglie di impegnarsi su una linea

politica in genere sta provando ad alleviare il suo

disturbo con palliativi irrilevanti. Un esame delle

condizioni generali della persona frequentemente

mostrerà che la sua idea del proprio interesse è assai

distante dal percorso che veramente potrebbe dargli

una vita stabile e felice».

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GUIDARE LE MASSE

«La propensione dell’uomo verso lontani obiettivi sociali, la dimestichezza coi quali e al di là dell’esperienza personale, tranne rari casi, è molto probabilmente il frutto di un adattamento simpatetico piuttosto che un comportamento sano e ponderato».

Harold D. Lasswell, Psychopathology and Politics, (University of Chicago Press, 1930)

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L’affermazione che la gente è spesso all’oscuro del proprio vero interesse viene solitamente accusata di condurre alla conclusione che sia necessaria una dittatura. Ma nessuno studente di psicologia dell’individuo può ignorare la conclusione di Kempf che “la società non è sicura (…) quando è costretta a seguire la dittatura di un individuo, di un apparato assoluto, non importa quanto splendido e altruista sia il tipo di condizionamento”.

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Egli elabora una tipologia

delle leadership basandosi

sulle esperienze personali,

gli atteggiamenti e lo

sviluppo della personalità

dei loro interpreti,

classificati come teorici,

amministratori e agitatori.

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La caratteristica essenziale dell’agitatore, ad esempio, è l’alto valore che egli attribuisce alla risposta emotiva del pubblico. Sia che difenda le istituzioni sociali, oppure le attacchi, l’agitatore, come dice il nome, si eccita così tanto per le questioni politiche da trasmettere il suo fervore a quelli che gli stanno attorno.

Béla Kun, leader della Rivoluzione ungherese del 1919

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Secondo Lincoln Allison, l’idea più interessante e meno riconosciuta del libro è, in termini polemici, la distinzione fra soggetti normali (noi) che apprezzano i dettagli della vita, guardano il cielo notturno e sentono l’odore dei fiori, e i politici guidati dalle loro psicopatologie (loro), che invece vogliono risvegliare la nostra coscienza, aumentare la nostra consapevolezza e perciò di volta in volta sono stati “puritani”, “socialisti” e più di recente “ambientalisti”.

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Costoro sono diversi da noi, hanno difficoltà a mangiare senza interrogarsi sulla sostenibilità dell’economia che porta il cibo nel piatto e hanno bisogno di attenzione, potere, status etc. perché qualcosa non ha funzionato nella loro educazione.

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Questa è l’idea centrale del libro, che però – dice Allison - invece di esplorarne le implicazioni teoriche consistenti, spende le sue 319 pagine per narrare una serie di case studies in cui le polluzioni notturne nel letto condiviso col padre conducono ad adorare Stalin oppure un’erezione durante un fustigazione motiva l’approdo al fondamentalismo religioso.

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«Al tempo Lasswell sembra voler predisporre meccanismi per evitare che gli psicopatici giungano al potere: in un libro scritto dopo un soggiorno in Germania alla fine degli anni Venti, sembra comunque una buona prova di preveggenza!»

Lincoln Allison

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Oggi questo «scientismo freudiano» può sembrare perfino risibile e lo stesso Lasswell (secondo cui le gelosie omosessuali represse nello stato maggiore avevano causato la sconfitta della Germania, p.178) fu poi consapevole dei risultati “modesti” che aveva dato l’ibridazione tra il freudismo e gli studi politici. Perciò, mentre la facilità con cui s’impadroniva del gergo di altre discipline colloca talora Lasswell tra i padri della psicologia, molti studiosi tendono a espellere Psychopathology dalla sua biografia.

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HAROLD LASSWELL (1902-1978)

Referenti:

• La psicologia delle folle (Le

Bon)

• Il behaviorismo (Watson)

• Le teorie sul condizionamento

(Pavlov)

• La psicologia sociale (Mc

Dougall)

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Resta tuttavia il fatto che quest’approccio alla costruzione del leader politico - che trasforma in questioni di pubblico interesse motivi privati dislocati sul piano della sfera pubblica - struttura il percorso interpretativo dell’azione politica che forma l’ossatura costante del pensiero di Lasswell.

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L’essenza dell’azione

politica consiste infatti, secondo lui, nel “tradurre”

gli stati psicologici individuali

nella dimensione degli

oggetti pubblici. L’azione può essere razionalizzata in

termini di pubblico interesse

o legge morale, ma in fondo

è motivata da complessi,

nevrosi e psicosi.

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Convinto che gli scienziati politici devono studiare il «comportamento politico» più che le idee politiche, Lasswell definisce la politica come quell’aspetto del processo sociale che si traduce nella competizione per il potere, il complesso delle azioni riguardanti la lotta per il possesso, la gestione e la distribuzione delle risorse, cioè l’abilità di partecipare alle decisioni e di produrre deliberatamente effetti su altre persone.

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La visione di Lasswell è quella di un «gioco politico» a somma zero, in cui si distribuiscono dall’alto risorse scarse, ed è inevitabile che l’impegno politico si traduca nel dividersi, nel parteggiare per gli uni o per gli altri, nell’ottenere benefici a spese altrui lungo un percorso istituzionalizzato piuttosto che in forme di aggregazione partecipativa. La concezione della democrazia che ne risulta è di tipo «procedurale», piuttosto arida e fredda.

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La scienza politica, che si occupa di questi fenomeni, studia le trasformazioni nella distribuzione sociale dei modelli di valore e, poiché la distribuzione è basata sul potere, il punto focale dell’analisi sono le dinamiche del potere. In questo contesto i valori sono definiti non come mete da perseguire in nome degli ideali, ma come gli obiettivi che guidano materialmente le azioni individuali.

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Lasswell individua otto tipi di «valore», quattro connessi al benessere personale (salute, ricchezza, abilità professionale e conoscenza) e quattro al benessere «sociale» (potere, affetto, onorabilità e rispetto). Il potere ha la peculiarità di essere non solo un valore-fine, ma anche un valore-mezzo, ossia una risorsa che permette il raggiungimento di altri valori.

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Per conseguire questi valori, che naturalmente nell’ambiente sociale sono distribuiti in maniera diseguale, vengono impiegate sia risorse materiali (beni economici e violenza), che incidono direttamente sulla «situazione» degli attori, sia risorse intellettuali (i «simboli»), che agiscono invece sulle attività mentali e sulle «prospettive».

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Sono le risorse simboliche ad attivare e articolare i processi mentali che attraverso dinamiche inconsce (io, es e super-io) traducono l’energia psichica della cerchia primaria (sfera privata) verso la cerchia secondaria (sfera politica). La capacità di usare i «valori» per influenzare la condotta altrui, mediante l’uso di meccanismi di sanzione o gratificazione, trova quindi il suo terreno elettivo nello «scambio simbolico» e nella comunicazione il suo strumento privilegiato.

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Il pensiero di Lasswell viene dunque a collimare col processo di «indurimento» delle scienze sociali che, sedotte dal neopositivismo, cercano di guadagnare prestigio attraverso il rinnegamento delle ipoteche soggettivistiche e storicistiche e l’aspirazione a nuovi statuti scientifici improntati al metodo razionale e a un’oggettività di tipo «naturalistico».

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La ricerca, più o meno affannosa, di nuovi paradigmi scientifici unisce alla percezione di una potente e irreversibile trasformazione della realtà la consapevolezza, da parte del pensiero occidentale, dell’impossibilità di attingere a verità «assolute», aggravata dalla crisi del positivismo.

Edmund Husserl (1859-1938)

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Il peso di questa situazione sposta l’attenzione di

molti studiosi sugli strumenti di «mediazione» di senso,

per valutarne la portata e l’efficacia, nella logica

come nell’analisi del linguaggio e nella ricerca sulla

riproduzione sociale della cultura.

1926, Margaret Mead

tra due samoane.

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Una buona traduzione nel campo comunicativo di questo nuovo orientamento orfano di ogni fondazione “ontologica” è la chiara avvertenza pronunciata da Lippmann ne L’opinione pubblica, secondo cui quasi ogni nostro atteggiamento è ormai mediato dalle rappresentazioni sociali di cui possiamo disporre, circostanza che aumenta in modo esponenziale il valore strategico dei mezzi dedicati allo scambio di significati.

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La comunicazione vede così allentarsi i vincoli che ancora la costringevano a confrontarsi con la manifestazione dell’essere, con la descrizione del reale, con la definizione del vero. Anche su questo versante, la categoria dell’utile prende il sopravvento su quelle del giusto e del vero.

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La comunicazione può allora essere costruita concettualmente come uno strumento, una tecnica «neutrale» che trova il suo fondamento negli obiettivi che la innescano e la sua «misura» nel risultato ottenuto. Lo stesso «contenuto» non deve più tanto risponde a criteri «esterni» di validazione quanto essere weberianamente adeguato alle finalità di chi lo esprime.

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Il lavoro di Lasswell si inserisce perfettamente nel solco di questa new wave. Il suo nome è infatti strettamente connesso alla tecnica della content analysis, un metodo per lo studio sistematico dei messaggi comunicativi che si coniuga con la rivoluzione comportamentista che dagli anni Trenta agli anni Sessanta egemonizza gli studi politici negli Stati Uniti.

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ANALISI DEL CONTENUTO

L’analisi del linguaggio, e più in generale della comunicazione, è infatti per Lasswell lo strumento che permette la comprensione del comportamento politico; la ricerca sui modi di comunicare fornisce una base scientifica per lo studio della pratica politica.

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ANALISI DEL CONTENUTO

Egli affianca fin dall’inizio al lavoro di ricerca la costante elaborazione degli strumenti empirici in grado di decifrare gli obiettivi espressi dalla politica mediante la comunicazione, che lo porta a creare la metodologia di cui è considerato il padre: la content analysis (o analisi del contenuto).

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Secondo una notissima

definizione di Bernard

Berelson del 1952, la

content analysis «è una

tecnica per la descrizione

obiettiva, sistematica e quantitativa del contenuto

manifesto della

comunicazione».

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ANALISI DEL CONTENUTO

«Insieme ampio ed eterogeneo di tecniche manuali o assistite da computer di interpretazione contestualizzata di documenti provenienti da processi di comunicazione in senso proprio (testi) o di significazione (tracce e manufatti), aventi come obiettivo finale la produzione di inferenze valide e attendibili». Giuseppe Tipaldo, L'analisi del contenuto e i mass media. Oggetti, metodi e strumenti, Bologna, Il Mulino, 2014, p. 42,

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LA CONTENT ANALYSIS

Questa procedura sistematica consente il monitoraggio dei flussi informativi implicati nel processo di policy-making e di formazione dell’opinione pubblica, attraverso la classificazione dei simboli in categorie pertinenti e il calcolo delle frequenze che permette di determinarne l’intensità e la direzione.

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Lo studioso è ora in grado, grazie a una procedura scientifica funzionale allo studio obiettivo dei messaggi, di individuare i nessi significativi tra • la personalità, il ruolo sociale e le intenzioni dell’emittente

e i simboli chiave del messaggio.

• il contenuto della comunicazione e gli effetti sul pubblico

• i diversi tipi di simboli chiave ricorrenti nella comunicazione.

Piazza Rossa, 1° maggio 1920

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Una delle applicazioni più celebri della nuova tecnica compare nel volume del1949 The language of politics. Studies in quantitative semantics (a cura di Harold Lasswell e Nathan Leites) ed è l’analisi, condotta con il sovietologo Sergius Yakobson, degli slogan del partito comunista sovietico esposti a Mosca durante la tradizionale parata del 1° maggio, dal 1918 al 1943.

Piazza Rossa, 1° maggio 1932

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La ricerca dimostra che i contenuti propagandistici variano di concerto con la linea politica del partito. L’aumento dei simboli nazionalisti e di politica interna coincide infatti con il diminuire dei simboli che celebrano la rivoluzione e l’internazionalismo. Si registra altresì un aumento degli indirizzi e dei moniti sui problemi interni rispetto agli slogan che denunciano possibili pericoli esterni.

Piazza Rossa, 1° maggio 1936

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Viene così assodata da Lasswell e Yakobson la continuità tra le forme della propaganda e la linea politica ufficiale del partito comunista sovietico, che negli anni Trenta si concentra sulla stabilizzazione interna del potere e, constatate le enormi difficoltà ad esportare la rivoluzione fuori dai confini dell’URSS, accantona l’obiettivo internazionalista.

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La comunicazione politica, la propaganda in particolare, costituisce un campo d’indagine particolarmente fruttuoso per lo studio del potere politico. l’agire politico, in quanto fenomeno storico-sociale, può essere adeguatamente compreso analizzando il linguaggio della politica, che si assume esserne una sorta di rispecchiamento fedele.

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Lo studio della comunicazione politica può, in particolare, contribuire a svelare il "mito politico", come Lasswell lo chiama, ovvero l’insieme delle istanze ideologiche (di cui i simboli-chiave presenti nel linguaggio della politica sono l’espressione diretta) che legittimano determinati rapporti di potere. «Il termine ‘mito’» precisa Lasswell «non implica necessariamente l’attribuzione di un carattere fittizio, falso o irrazionale ai simboli, anche se talvolta ciò accade. Tale termine si ricollega a concetti che hanno avuto un ruolo importante nella letteratura politica classica: la ‘nobile menzogna’ platonica, la ‘ideologia’ marxiana, il ‘mito’ di Sorel, la ‘formula politica’ di Mosca, le ‘derivazioni’ di Pareto, l ‘ideologia’ e la ‘utopia’ di Mannheim, e così via» (Lasswell, 1979).

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E, a proposito dei simboli-chiave, osserva: «Un simbolo-chiave è un termine elementare e fondamentale del mito politico. Negli Stati Uniti sono simboli-chiave parole come ‘diritti’, ‘libertà’, ‘democrazia’, ‘eguaglianza’. Tali termini figurano negli oscuri trattati dei professori, nelle sentenze emesse dai tribunali, nei discorsi che si possono ascoltare al Senato e alla Camera dei rappresentanti, agli angoli delle strade, per tutto il paese. Una funzione evidente dei simboli-chiave è quella di fornire una esperienza comune a tutti all’interno dello stato, del leader politico più potente, al filosofo, al più umile uomo della strada».

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La raccolta precisa dei dati e l’analisi del contenuto consentono di alimentare una psichiatria sociale e una politica preventiva.

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Con la soluzione carismatica i nuovi politologi eliminano anche il conflitto etico e possono rassegnarsi a pensare una società che sviluppi in automatico la razionalità politica, realizzando non il sogno ma l’incubo di Weber.

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THE GARRISON STATE

Nel gennaio del 1941 Lasswell scrive sull’American Journal of Sociology (University of Chicago Press) un articolo intitolato “The Garrison State” (Stato-caserma), in cui tenta di delineare la direzione di sviluppo delle forme politiche contemporanee.

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La lettura delle tendenze di sviluppo dei sistemi politici fra le due guerre porta Lasswell a ipotizzare l’evoluzione delle forme statuali verso la costruzione di «Stati-caserma» o «Stati-guarnigione», in cui sarebbero stati gli specialisti della violenza, cioè i militari, ad assumere le principali responsabilità di governo e a esercitare il potere politico. Essi avrebbero rapidamente controllato la propaganda, la violenza, i beni e le prassi sociali. Avrebbero imposto la loro disciplina, organizzato la società, orientato l’economia. I nuovi militari non sarebbero stati soltanto capaci di maneggiare armi sofisticate, ma si sarebbero rivelati managers della coercizione. Di conseguenza, sarebbero cambiati i sistemi di valore e di gratificazione sociale.

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THE GARRISON STATE

Le prospettive non appaiono

per niente confortanti. Secondo

Lasswell, il corso futuro della

politica mondiale avrà sempre meno bisogno di esperti nelle

trattative (gli uomini d’affari) e

sempre più degli specialisti della

violenza, cioè dei militari.

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THE GARRISON STATE

L’élite politica del nuovo stato dovrà familiarizzare con le abilità prevalenti nella moderna gestione degli affari civili, soprattutto con la manipolazione dei simboli nell’interesse dello spirito pubblico e della coesione sociale.

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THE GARRISON STATE

Lasswell schematizza in modo

sommario le conseguenze

dell’ordine sociale incombente:

abolizione “psicologica” dei problemi sociali, parificazione

dei redditi nell’ottica della

moderna «condivisione del

rischio».

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THE GARRISON STATE

A un esercizio del potere di tipo dittatoriale, integrato e centrale, corrisponderà una distribuzione accurata della sicurezza, mentre le piramidi del reddito e della reputazione saranno piatte al vertice e panciute nelle zone medio-alta e medio-bassa.

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THE GARRISON STATE

Le nuove élites vorranno infine

mantenere le capacità elevate

della società moderna nella

produzione di beni di consumo, superando il controllo

dell’economia e la rigidità del

militarismo grazie al contributo

della scienza e della tecnologia.

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THE GARRISON STATE

L’incubo descritto da Lasswell

rappresenta un invito a usare

gli strumenti previsionali forniti

dalla scienza moderna per

presagire il futuro possibile,

anche per mitigarne gli

eventuali effetti negativi per

la democrazia

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Quando riprende la sua tesi circa vent’anni dopo, nel 1962, a Lasswell sembra di veder confermata l’ascesa delle élites militari e ribadisce il rischio acuto dell’affermarsi e del consolidarsi di Stati-guarnigione, a causa dell’«equilibrio del terrore», delle frequenti crisi internazionali e della presenza decisionale forte delle élites militari negli Stati Uniti e in URSS, facilmente irradiabile negli altri paesi.

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Effettivamente in quel periodo era da poco terminata

la Presidenza di Eisenhower negli Stati Uniti e un’altra

grande democrazia occidentale, la Francia aveva

affidato al generale de Gaulle la risoluzione dei suoi

problemi. Si trattava effettivamente di due valorosi

generali diventati molto popolari a cui le democrazie

statunitense e francese avevano deciso di ricorrere in

circostanze politiche più o meno difficili.

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Tuttavia, nonostante la visibilità dovuta alla brillante carriera di capi militari, i loro comportamenti di governo, forse un po’ paternalistici, non ebbero nulla di antidemocratico e non alimentarono più di tanto eventuali tendenze militariste.

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Ma ancora una volta questo approccio «scientista»

alla politica tradisce, soprattutto nel descrivere

l’evoluzione dei valori, uno schematismo di tipo

«meccanico» poco attento allo spirito autentico

della storia e ai sentimenti collettivi.

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BERNARD CRICK

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LA RIVOLUZIONE DEI MANAGERS

In quegli anni alcuni studiosi individuano nelle responsabilità organizzative il fulcro di un processo di trasformazione della struttura delle classi sociali. I «dirigenti» sembrano destinati, in un contesto che mescola l’industrializzazione avanzata e un massiccio intervento dello Stato, a sostituirsi agli imprenditori come classe dominante, sia nei regimi di mercato che in quelli a economia pianificata.

Inghilterra, anni Trenta. Managers di una ditta di esplosivi

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Il più esplicito sostenitore della tesi dei managers come nuova classe è James Burnham (The managerial revolution, 1941), che sottoscrive le tesi sul nuovo potere dei managers, allargando il conflitto tra costoro e i capitalisti tradizionali e sostenendo che il contrasto tra l’effettivo controllo dei mezzi di produzione e i privilegi legati alla proprietà del capitale sia destinato a concludersi con la completa vittoria dei managers.

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Si tratta di una vera e propria rivoluzione sociale, da cui i managers emergeranno come nuova classe dominante. Burnham crede di individuare la trasformazione in contesti economico-politici diversi, come il New Deal americano, la Germania nazista e l’URSS di Stalin.

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In tutti questi contesti il fondamento del nuovo potere dei managers è, da un lato, il concreto lavoro di direzione tecnica e di coordinamento del processo produttivo e, dall’altro, il controllo dei mezzi di produzione non direttamente attraverso la proprietà individuali, ma attraverso il controllo dell’apparato statale, che a sua volta controlla le decisioni d’investimento in base a ideologie diverse di natura collettivo-tecnocratica.

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Ritenendo che fosse in atto una profonda trasformazione dalla società capitalistica al collettivismo burocratico, di cui il comunismo sovietico costituisce solo una delle espressioni, i capitalisti vengono soppiantati dai managers, che fondano il loro potere sull’ideologia della proprietà collettiva dei mezzi di produzione e sulla realtà del controllo burocratico del processo produttivo e di distribuzione del prodotto sociale.

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Il difetto principale di queste tesi è l’indebita assimilazione di situazioni profondamente diverse e di composizioni disomogenee della nuova classe dominante nei diversi paesi. Burnham definisce i managers come coloro che gestiscono e controllano gli strumenti della produzione e ottengono un trattamento privilegiato nella distribuzione del prodotto, ma non analizza i conflitti di potere tra i leaders e i quadri dell’apparato di partito e i dirigenti delle aziende statali.

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IL “MODELLO” DI LASSWELL

Il nome di Lasswell è infine legato a un celebre modello «lineare» della comunicazione, elaborato nel 1948 e noto come modello di Lasswell o modello delle 5 W.

Harold D. Lasswell (1902-1978)

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QUESITI

• Chi dice

• Che cosa

• Attraverso quale canale

• A chi

• Con quale effetto

«The Structure and Function of Communication in Society», in L. Bryson (ed.), The Communication of Ideas, Harper, New York 1948.

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ANALISI

• degli emittenti

• del contenuto

• dei mezzi tecnici

• dell’audience

• degli effetti

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Lo schema di Lasswell si colloca in una posizione intermedia fra le due tendenze principali che orientano all’epoca la cultura sociologica americana: il comportamentismo, che ha guadagnato terreno grazie alla sua pretesa esattezza sperimentale e l’approccio struttural-funzionalista, che offre la più ampia cornice sistematica per la ricerca empirica.

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L’opzione comportamentista sta alla base della teoria ipodermica della comunicazione, che porta a leggere la stampa, la radio e il cinema come strumenti che inoculano messaggi manipolatori nelle masse, quella struttural-funzionalista è invece protesa a fornire un quadro meno semplicistico dell’audience e del legame diretto tra media e società.

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Nel modello di Lasswell la comunicazione è ancora

intesa come processo lineare in cui avviene un

trasferimento di informazioni tra emittente e ricevente.

Il pubblico è dunque analizzato in termini di reazione agli

stimoli dell’emittente.

Non sono contemplati gli effetti di lungo periodo né

eventuali effetti imprevisti e inconsapevoli nel processo

comunicativo.

Gli individui sono concepiti solamente in relazione ad un

contesto macro-sociale e privi di relazioni interpersonali

significative.

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Insufficienza del modello.

È un modello trasmissivo, comportamentista e dirigistico.

Anche l’analisi del contenuto contiene insufficienze

Dietro c’è un’idea della politica legata all’epoca e alla

cultura

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LE FUNZIONI DELLA COMUNICAZIONE

Lasswell individua tre funzioni principali per le

comunicazioni di massa

• Sorveglianza dell’ambiente

• Correlazione con la risposta da parte della

società

• Trasmissione del patrimonio sociale

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HAROLD LASSWELL

Visione tecnica e strumentale della

propaganda

Identificazione tra propaganda e democrazia.

• La propaganda è il solo mezzo per ottenere il

consenso delle masse.

• È un'alternativa economica alla violenza e alla

corruzione

• È uno strumento neutro, morale quanto la leva della

pompa dell'acqua

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Nei suoi ricordi Edward Shils, che all’epoca frequentava Lasswell, afferma che, pur rispettandone le opinioni, trovava riprovevole gran parte del suo pensiero, in particolare lo scientismo amorale (l’atteggiamento di “uno spietato chirurgo sociale” nelle parole di Shils), unito a un entusiasmo comtiano per l’ingegneria sociale.

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Shils considera la concezione che

Lasswell ha della politica una

hobbesiana lotta per il potere

frutto di un’infelice sintesi di Pareto

e Freud, unilaterale e moralmente

dannosa. Afferma poi di essersi

sempre più affezionato a Lasswell,

specialmente dopo la seconda

guerra mondiale, e rimpiange di

non aver potuto restargli vicino per

evitargli di rimane stupidamente

legato a una fede “schematica e

utopistica” nell’ingegneria sociale.

Jefferson D. Pooley, An

Accident of Memory. Edward

Shils, Paul Lazarsfeld and the

History of American Mass

Communication Research (Tesi

di Dottorato), Columbia

University, 2006.

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Lasswell era terribilmente goffo - Isaiah Berlin lo

chiamava queer duck – e notoriamente un pessimo

espositore del suo pensiero farcito di neologismi. il

suo gergo tecnicista fu durante tutta la sua carriera

un impedimento alla comprensione.

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Lasswell pubblica libri «toccata e fuga» in cui ogni volta adotta quadri concettuali interamente nuovi, abitudine che rende automaticamente «vecchi» libri precedenti. La sua improvvisa conversione alla «democrazia» alla fine degli anni Quaranta, in particolare, segna una forte discontinuità tra la «fase elitista» degli anni Trenta, consegnata all’oblio, e la sua agenda politica durante la guerra fredda.

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A riprova di ciò, va detto che quando nel 1963 Wilbur Schramm (la figura più rilevate nella stabilizzazione accademica della “comunicazione”) indica Lasswell come uno dei “padri fondatori” del settore, lo considera un campione degli «effetti limitati», l’ortodossia allora in auge, ignorando completamente che i suoi scritti sulla propaganda nel periodo fra le due guerre sono tra i pochi a sostenere realmente l’onnipotenza dei media.