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Hans Jonas (1903-1993): introduzione a Il Principio Responsabilità

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Hans Jonas (1903-1993):

introduzione a

Il Principio Responsabilità

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Premessa

• Nel corso del Novecento si è sviluppato un

ambito dell’indagine filosofica che viene

definito filosofia ambientale, costituito da due

indirizzi ben precisi:

1) filosofia dell’ecologia, che utilizza nozioni e

metodi dell’ecologia (l’economia della

natura);

2) filosofia della crisi ecologica, il cui interesse

è la distonia nel rapporto esseri

umani/natura. Questo indirizzo, di cui Jonas è

l’esponente di spicco, legge la storia del

pensiero occidentale in chiave “dominativa”.

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• Il 21 agosto 2010 [19 agosto nel 2014] la

Terra ha raggiunto il suo Overshoot Day,

ovvero il giorno in cui si calcolano

esaurite per l’anno in corso le risorse

rinnovabili del pianeta, incominciando a

intaccare il “capitale” delle risorse

naturali in termini di deforestazione,

prosciugamento delle falde acquifere,,

estinzione dei ghiacciai montani,

scioglimento delle calotte polari,

riduzione della biodiversità,

inquinamento e produzione di gas

serra…

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…L’Earth Overshoot Day è, quindi, il giorno in

cui la generazione presente continua a

sopravvivere chiedendo una sorta di

prestito alle generazioni future, cioè

togliendo risorse naturali ai propri gifli e

nipoti, nonché a tutti gli altri esseri viventi

non-umani che abitano il globo.

Nel 2009 questa data era caduta il 25

settembre ed è dal 1986, ormai, che il

pianeta va regolarmente in rosso in date

sempre più lontane dall’ipotetico pareggio

di bilancio fissato al 31 dicembre.

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Un’etica per la civiltà tecnologica

- insufficienza dell’etica

tradizionale

- la potenza umana

rischia di tramutarsi in

sventura per l’uomo

stesso

- è necessaria un’etica

dell’auto-restrizione e

del futuro.

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La mutata natura dell’agire umano.

Le premesse fondanti delle etiche

tradizionali sono, secondo Jonas, le

seguenti:

• immutabilità della natura umana;

• possibilità di determinare il bene

umano;

• portata circoscritta dell’agire umano;

• inviolabilità dell’equilibrio naturale.

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I.Kant (1724-1804)

Aristotele (384-322 a.C.)

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Caratteri generali dell’etica classica (cit.1,2):

• le tecniche sono neutrali sotto l’aspetto etico;

• l’etica tradizionale è antropocentrica;

• l’uomo è soggetto della techne;

• il campo di azione dell’uomo è ristretto, ha una

portata “immediata”: il campo dell’etica è il “qui ed

ora”. Tutti gli imperativi dell’etica classica sono

riferiti ad un universo di contemporanei: l’agente

e l’altro partecipano ad un presente comune, sia

sul piano temporale che su quello spaziale;

• l’etica è ateoretica, e, reciprocamente, la

concezione della scienza è avalutativa, non

interpretabile secondo categorie etiche.

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1. L’invulnerabilità del tutto, le cui profondità non

vengono turbate dall’invadenza umana, vale a dire la

sostanziale immutabilità della natura in quanto ordine

cosmico, costituiva in effetti lo sfondo di tutte le

imprese dell’uomo mortale, inclusi i suoi interventi in

quell’ordine stesso. La sua vita si svolgeva fra il

permanente e il mutevole: il permanente era la natura,

il mutevole erano le sue opere. (Jonas, Il principio

responsabilità, p.6)

2. [la polis] costituiva l’intero e unico ambito della

responsabilità umana. La natura non era oggetto di tale

responsabilità; essa provvedeva a se stessa e, se

adeguatamente sollecitata e incalzata, anche all’uomo.

(ivi, p.7)

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L’idea che la natura sia stata creata a

beneficio dell’uomo è stata una

credenza generalizzata nell’arco di

tutta la storia occidentale:

E Dio disse: “Facciamo l’uomo […] e

domini sui pesci del mare e sugli

uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte

le bestie selvatiche e su tutti i rettili

che strisciano sulla terra.(Genesi, 1, 26)

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Dimmi, Eutidemo: non ti è mai accaduto di riflettere sulla cura che gli dei hanno avuto nel fornire all’uomo ciò di cui egli ha bisogno? Ora, vedendo che abbiamo bisogno di cibo, pensa a come essi hanno fatto la terra per produrlo, e a tal fine hanno stabilito appropriate stagioni che forniscono in abbondanza le diverse cose che corrispondono non solo alle nostre necessità, bensì anche al nostro divertimento.

(Senofonte, Detti memorabili di Socrate)

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Caratteri dell’etica nell’era tecnologica (cit.3-5):

• l’uomo è divenuto eticamente responsabile di

tutta la natura, dato che la dimensione artificiale,

un tempo limitata alla polis, è ora estesa alla totalità

della natura;

• l’etica della civiltà tecnologica deve considerare il

problema della sopravvivenza, del futuro della

specie umana. La questione dell’ignoranza delle

conseguenze del nostro agire presente sulle

generazioni future acquisisce rilevanza etica

• l’etica deve iniziare a porsi il problema del bene

anche in una prospettiva “extra-umana”;

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3. Certo, le antiche norme dell’etica del “prossimo” […]

continuano a essere valide, nella loro intrinseca

immediatezza, per la sfera più prossima, quotidiana

dell’interazione umana. Ma questa sfera è oscurata dal

crescere di quella dell’agire collettivo, nella quale l’attore,

l’azione e l’effetto non sono più gli stessi: ed essa, a

causa dell’enormità delle sue forze, impone all’etica una

nuova dimensione della responsabilità, mai prima

immaginata. (ivi, p.10)

4. […] la natura dell’agire umano si è de facto modificata e

[…] un oggetto di ordine completamente nuovo,

nientemeno che l’intera biosfera del pianeta, è stato

aggiunto al novero delle cose per cui dobbiamo essere

responsabili, in quanto su di esso abbiamo potere. […] La

natura come responsabilità umana è certamente una

novità sulla quale la teoria etica deve riflettere. (ivi, p.10)

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5. Nessun’etica del passato doveva tener

conto della condizione globale della vita

umana e del futuro lontano, anzi della

sopravvivenza, della specie. Proprio il

fatto che essi siano oggi in gioco esige, a

dirla in breve, una nuova concezione dei

diritti e dei doveri, per la quale né l’etica

né la metafisica tradizionali offrono i

principi e, men che mai, una dottrina

compiuta. (ivi, p.12

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• imperativi di tipo nuovo: l’etica deve ora assicurare le condizioni per la presenza dell’uomo nel mondo fisico (cit.6);

• etica del futuro: questi nuovi imperativi implicano non la coerenza dell’azione privata (della massima) con il principio universale (l’imperativo), ma piuttosto la coerenza tra gli effetti dell’agire e la continuità della presenza umana nell’avvenire (cit.7);

• l’etica tecnologica introduce un orizzonte temporale che manca in quella kantiana;

• l’uomo stesso, oltre che la natura, è oggetto della techne: l’uomo non è solo homo creator ma anche homo materia (cit.8-9).

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6. Un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire

umano e orientato al nuovo tipo di soggetto

agente, suonerebbe pressappoco così: “Agisci

in modo che le conseguenze della tua azione

siano compatibili con la permanenza di

un’autentica vita umana sulla terra”, oppure,

tradotto in negativo: “Agisci in modo che le

conseguenze della tua azione non distruggano la

possibilità futura di tale vita”, oppure,

semplicemente “Non mettere in pericolo le

condizioni della sopravvivenza indefinita

dell’umanità sulla terra”, o ancora, tradotto

nuovamente in positivo: “Includi nella tua scelta

attuale l’integrità futura dell’uomo come oggetto

della tua volontà”. (ivi, p.16)

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7. […] noi non abbiamo il diritto di scegliere o

anche solo rischiare il non-essere delle

generazioni future in vista dell’essere di quelle

attuali. (ivi, p.17)

8. Se ne abbia il diritto, se sia qualificato ad

assumere tale ruolo creativo, ecco la questione più

seria […] Chi saranno gli artefici dell’”immagine”,

secondo quali modelli e in base a quale sapere?

Qui si pone altresì la questione concernente il

diritto morale di condurre esperimenti su futuri

esseri umani. Tale questione e altre affini […]

dimostrano nel modo più lampante fino a che

punto il nostro potere di agire ci sospinga oltre le

coordinate di ogni etica precedente. (ivi, p.28)

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9. Si è permesso al passato di precorrere il futuro […]

e lo si è fatto nella sfera più intima: nella sfera della

domanda “chi sono?” Questa domanda deve

provenire dal segreto e può trovare risposta soltanto

se la ricerca resta accompagnata dal segreto.

L’artificiale esser noto all’inizio, l’assenza soggettiva

del segreto, distrugge la condizione di autentica

crescita. [...] In poche parole, il prodotto della

clonazione è defraudato in anticipo della libertà, che

può prosperare solo sotto la protezione del non

sapere. Defraudare volutamente di questa libertà un

essere umano che deve ancora nascere è, perciò, un

crimine imperdonabile che non si deve commettere

neppure un’unica volta. (H.Jonas, Tecnica, medicina

ed etica. Prassi del principio responsabilità.)

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Doveri dell’etica del futuro

(euristica della paura)(cit.10-11)

• temere ciò che

ancora non si è

esperito.

• lasciarsi influenzare

nel presente dalla

sventura o

dall’infelicità anche

solo immaginate

degli uomini del

futuro

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10. […] nel nostro caso, riguardante la ricerca di un’etica

della responsabilità a lunga portata […] soltanto il

previsto stravolgimento dell’uomo ci aiuta a formulare il

relativo concetto di umanità da salvaguardare; abbiamo

bisogno della minaccia dell’identità umana – e di forme

assolutamente specifiche di minaccia – per accertarci

angosciati della reale identità dell’uomo. Finché il

pericolo è sconosciuto, non si sa che cosa ci sia da

salvaguardare e perché. (ivi, pp.34-35)

11. “Il prendere in mano il proprio sviluppo”, il sostituire

cioè, confidando nella ragione, l’operare cieco e lento del

caso con una pianificazione consapevole e dagli effetti

rapidi, ben lungi dall’offrire all’uomo una prospettiva più

sicura di successo evolutivo provoca al contrario

un’incertezza e un pericolo del tutto nuovi, […] si priva

altresì del tempo di correggere gli errori – ormai

inevitabili e non più di poco conto. (ivi, p.40)

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Il principio incondizionato dell’etica del

futuro (cit.13):

che ci sia un’umanità

ovvero

che si riconosca la volontà di

vita come un fatto originario.

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13. Fra le opere possibili della tecnologia ve ne

sono ora alcune che presentano

cumulativamente questa estensione globale e

questa profondità, vale a dire possono mettere

radicalmente in pericolo o l’esistenza o l’essenza

dell’uomo futuro. […] Ma dall’umanità futura non

è possibile ottenere e neppure supporre un

consenso sul suo non-essere e sulla sua

disumanizzazione […] Infatti esiste un

incondizionato dovere dell’umanità all’esserci,

che non va confuso con il dovere condizionato di

esistere di ogni singolo. Sul diritto individuale al

suicidio si può discutere, sul diritto dell’umanità

al suicidio invece no. (ivi, pp.46-47)

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Il recupero di Aristotele da parte di

Jonas (cit.16-17) Aristotelicamente, la

Natura ha uno scopo, che è la

vita: si deve quindi ammettere

che la Natura, in quanto

produce degli scopi,

custodisce anche dei valori: il

bene, è fondato nell’essere

(la Natura) e non più in una

volontà o desideri o bisogni

soggettivi.

L’assiologia (teoria dei valori)

diviene parte dell’ontologia.

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16. Forti della testimonianza della vita [...] affermiamo

quindi che lo scopo in generale è insito nella natura.

[…] Ha senso, ed è probabilmente più vero del suo

contrario, parlare di un “lavoro” della natura e

affermare che “essa” lavora per vie tortuose in vista

di qualcosa oppure che “qualcosa” lavora nella

natura in modi molteplici. (ivi, p.92 e 94, passim)

17. Infatti, comunque uno scopo sia dato e

perseguito de facto, il suo conseguimento diventa un

bene e il suo mancato conseguimento un male: e con

tale distinzione ha inizio la possibilità di attribuire

valore. (ivi, p.101)

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Fu Darwin a seppellire definitivamente l’idea che la natura esista per servire l’uomo:

Se si riuscisse a provare che una parte qualsiasi della struttura di qualsivoglia specie sia stata formata per il bene esclusivo di un’altra specie, ciò distruggerebbe la mia teoria, perché tale parte non avrebbe potuto essere prodotta attraverso la selezione naturale.

(C.Darwin, L’origine delle specie)Una caricatura di Charles Darwin

(1809-1882)

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In altri termini, Darwin afferma che le

specie naturali esistono come fini

(scopi) in se stesse (Aristotele

parlava di causa finale): non esistono

a beneficio di una qualunque altra

specie.

Il fine di una specie, in termini

biologici, è sopravvivere e riprodursi:

le specie che hanno fallito questo

obiettivo si sono estinte.

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(cit.15)

Ad una teoria antropocentrica del valore:

uomo=valore intrinseco

altre forme di vita=valore strumentale,

dobbiamo sostituirne una NON

antropocentrica:

tutte le forme di vita=valore intrinseco

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15. […] l’etica […] non può arrestarsi

allo spietato antropocentrismo che

contraddistingue l’etica tradizionale

dell’Occidente […] Le potenzialità

apocalittiche insite nella tecnologia

moderna ci hanno insegnato che

l’esclusività antropocentrica potrebbe

essere un pregiudizio e comunque

necessita quantomeno di una verifica.

(ivi, p.57)

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Conseguenze etiche:

• non la forma (Kant) ma il contenuto

dell’agire ha la priorità;

• il summum bonum, oggetto dell’agire, è il

transeunte per definizione, la vita delle

generazioni future (e non un’entità

temporale/assoluta) (cit.22);

• il sentimento morale (il rispetto kantiano) è,

secondo Jonas, evocato dall’oggetto (la

natura stessa, eteronoma).

Dunque:

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22. […] questo oggetto ben lontano dalla

“perfezione”, del tutto contingente nella

sua fattualità, percepito proprio nella sua

transitorietà, indigenza e insicurezza, deve

avere la forza di indurmi, grazie alla sua

semplice esistenza (e non con le sue

qualità particolari), a mettere a

disposizione la mia persona, libero da ogni

desiderio di appropriazione. (ivi, p.111)

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• Responsabilità, per il soggetto, è

l’assumersi ciò che è in suo potere

per qualcosa e qualcuno che dipende

da lui nel bene e nel male;

Responsabilità è che il su (le

generazioni future su cui ho

influenza) divenga per (operare per il

bene di tali generazioni), e non la

semplice e vuota responsabilità

formale dell’agente per le proprie

azioni (cit.24).

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24. Il “per che cosa” si trova fuori di me,

anche se nell’ambito di influenza del mio

potere, e ne dipende nel bene e nel male.

Il “per che cosa” contrappone al mio

potere il suo diritto di esistere a partire

da ciò che è o può essere […] Ciò che è

dipendente nel suo diritto autonomo

acquista potere normativo, ciò che è

potente nella sua causalità viene

sottoposto a obbligazione. (ivi, p.117)

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per Platone (il bene) e

Kant (il sommo bene)

l’etica ha un

orientamento

verticale;

il discorso di Jonas è,

invece, rivolto alla

dinamica orizzontale

determinata dal potere

tecnologico i cui effetti

causali, scatenati nel

mondo, sono l’oggetto

della responsabilità

(cit.29).

Platone

(328-348)

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29. L’eros platonico, orientato verso l’eternità e non

verso la temporalità, non è responsabile per il suo

oggetto. Ciò a cui esso tende è un qualcosa di

superiore che non “diventa”, bensì “è”. Ma una cosa

simile, a cui il tempo non può nuocere, a cui non

accade nulla, non può essere oggetto di

responsabilità. […] Responsabili si può essere

soltanto per ciò che è mutevole ed è minacciato dalla

corruzione e dalla decadenza, in breve, per il

transitorio nella sua transitorietà […] La nostra

preoccupazione per la conservazione della specie è

sete di temporalità nelle sue concretizzazioni sempre

nuove […] Questa sete impone i suoi nuovi doveri,

tra i quali non figura quello dell’aspirazione verso ciò

che è perfetto e intrinsecamente definitivo. (ivi,

pp.156-157, passim)

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L’etica del futuro e i limiti del programma

baconianoCompito dell’etica della

responsabilità, infine, è

quindi quello di mettere

le briglie all’euforia

post-baconiana, prima

che lo faccia la natura

stessa (cit.32-33):

[…] che cosa capiterà a

quell’essere, se io non

mi prendo cura di lui?

Quanto più oscura

risulta la risposta, tanto

più nitidamente

delineata è la

responsabilità.

F.Bacone

(1561-1626)

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32. Il potere congiunto alla ragione implica per sé

responsabilità. Da tempi immemorabili questo è

stato scontato nell’ambito delle relazioni

interumane. Il fatto che, varcando questi confini, la

responsabilità si sia di recente estesa anche alla

condizione della biosfera e alla sopravvivenza

futura della specie umana, è semplicemente la

conseguenza dell’ampliamento del relativo potere,

che è in primo luogo un potere di distruzione. […]

proprio in questa luce appare il nuovo dovere.

Generato dal pericolo, spinge per forza di cose e in

prima istanza verso un’etica della conservazione,

della salvaguardia, della prevenzione e non del

progresso e della perfezione. (ivi, pp.177-178,

passim)

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33. La formula baconiana ci dice che il

sapere è potere. Ora però il programma

baconiano, lasciato a se stesso, ha

rivelato al culmine del trionfo la sua

insufficienza, anzi la sua intima

contraddizione, perdendo cioè

l’autocontrollo, il che comporta

l’incapacità di proteggere non soltanto

l’uomo da se stesso, ma anche la natura

dall’uomo. (ivi, p.181)

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