Guida pratica a cura di Valerio Zupo e di riferimento … Sommario 4 Uso dell’ozono per la...

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Guida pratica e di riferimento per il negoziante a cura di Valerio Zupo 1

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Guida praticae di riferimentoper il negoziante

a cura di Valerio Zupo

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Una guida

per il professionista

esperto

I nuovi mezzi telematici offrono molte risorse preziose ma anche informazioni errate e

fuorvianti, fuori dal controllo accademico e tecnologico. Il professionista del settore,

stretto tra esperienze variegate dei clienti e notizie imprecise che diventano “virali”, stenta

talvolta a trovare la risposta giusta.

Per questo abbiamo sviluppato questa guida dedicata al nostro lettore esperto e desti-

nata a divenire strumento di consultazione per trovare risposte ai quesiti più frequenti e

complessi. Abbiamo scelto il tema dell’acquario marino, perché in questo campo il clien-

te investe risorse consistenti ed è fondamentale dunque disporre di strumenti appropriati

e conoscenze concrete.

Questo inserto rappresenta una guida pratica per dimensionare correttamente sump e

filtri nell’acquario marino, consigliare lo schiumatoio giusto adatto alle esigenze del clien-

te, valutare la qualità dell’ozonizzatore e la quantità di gas da somministrare in relazione

alla qualità dei reflui e al tipo di filtro utilizzato. Ci occupiamo in questa pubblicazione

anche di materiali filtranti adeguati alle speciali caratteristiche di un acquario marino, e

delle tecniche di filtraggio adeguate all’acquario ricco di invertebrati, in relazione agli ali-

menti somministrati.

Tra gli argomenti poi che possono far risaltare le competenze e la preparazione dell’ope-

ratore professionale vi sono gli aggiornamenti riguardo alla coltura di fitoplancton e ali-

menti vivi, la qualità dell’acqua e dei nutrienti in essa contenuti, la qualità del fondo per

la realizzazione di un mini-reef (argomento sempre “di moda”), oltre alla costruzione di

DSB e di filtri di nuova generazione.

Completa questo numero l’intervista esclusiva ad un grande esperto di acquari per inver-

tebrati, Jake Adams, che fornisce consigli pratici di assoluta attualità al negoziante spe-

cializzato.

In definitiva si tratta di una guida completa sul tema, da tenere sempre a portata di mano

per identificare soluzioni tecniche relative alla pianificazione e alla gestione di acquari

marini, ma anche da rileggere, a distanza di tempo, per rinfrescare le idee sui temi fon-

damentali e più complessi.

Siamo certi che questa guida, offerta in esclusiva ai lettori di Vimax Magazine, costituirà

un autorevole punto di riferimento per il professionista dell’acquario.

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Sommario 4 Uso dell’ozono per la filtrazione e la biofiltrazione

8 Rapporti chimici e fisici tra fondo, invertebrati e filtro: come progettare al meglio

un mini-reef

12 Ampia superficie vs supporti lisci: lo stato dell’arte

16 La cosiddetta “triade” e altri interpreti moderni della qualità dell’acqua nel marino

21 Invertebrati marini, alimenti specifici e tecniche di filtraggio adeguate

25 Le colture di fitoplancton: sistemi per sfruttarne il valore nutritivo

30 Reattori di elementi nell’acquario marino, pianificazione e uso

34 Realizzazione pratica di DSB e sistemi alternativi

40 Diluizioni e croce di Sant’Andrea

44 Intervista a Jake Adams

Valerio Zupo è un biologo marino. Ha frequentato un

corso PhD presso l’Università Livre di Bruxelles e ha ricevuto, nel 1994,

un Fullbright Award dal governo degli Stati Uniti. È stato coordinatore di

numerosi progetti di ricerca e svolge la propria attività quale ricercatore

della Stazione Zoologica di Napoli e coordinatore dell’Unità di allevamento e riproduzione di

organismi modello per la ricerca scientifica. Collabora con varie riviste divulgative internazionali

ed è titolare dal 2014 di un corso universitario sulla Gestione delle Risorse Costiere presso l’U-

niversità Federico II di Napoli (Laurea Mare). È inoltre associato alla Open University (UK)

quale direttore degli studi di PhD in ecologia marina. I suoi interessi di ricerca sono focalizzati

sull’ecologia chimica, l’ecofisiologia dei crostacei decapodi, le reti trofiche in ambienti costieri

e i rapporti piante-animali. Ha prodotto 12 libri divulgativi sugli acquari, le malattie dei pesci,

fauna e flora del Mediterraneo, distribuiti attraverso il sito Apple Store, ed è Assistant Editor

di alcune riviste scientifiche internazionali. Sostiene numerose collaborazioni di ricerca inter-

nazionali e ha prodotto 130 pubblicazioni scientifiche su riviste refertate. È candidato alla pre-

sidenza della Società Internazionale per la Riproduzione e lo Sviluppo degli Invertebrati.

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La materia organica naturaleLa materia organica naturale è detta dagli autori anglosassoni NOM (Natural Orga-nic Matter) e rappresenta esattamente quello che un filtro d’acquario deve elimina-re. Ovviamente esistono molte forme di NOM e ognuna di esse necessita di specificitrattamenti per non creare problemi all’hobbista. Il filtro per l’acquario marinodev’essere progettato così da eliminare in modo specifico le forme di materia orga-nica naturale che più probabilmente si produrranno in base alla tipologia degli orga-nismi allevati e agli alimenti somministrati. La presenza di NOM, peraltro, modificamolte caratteristiche dell’acqua: ad esempio, livelli elevati di materia organica ren-dono l’acqua più difficilmente sterilizzabile mediante prodotti chimici (cloro, iodoforio specifici medicamenti). La materia organica reagisce con l’ozono durante il pro-cesso di schiumazione, producendo dei sottoprodotti tossici, inoltre è substrato perbatteri eterotrofi e modifica dunque il processo di maturazione di un filtro biologico.Pertanto è fondamentale eliminare la materia organica naturale prima di sottoporrel’acqua a trattamento con ossidanti chimici o all’attività di un filtro biologico. Unsistema suggerito da molti autori prevede di sottoporre l’acqua a intensa ozonizza-zione, in modo da aumentare la biodegradabilità della materia organica prima di ini-ziare il processo di filtrazione biologica. Questo processo, infatti, lega gruppi funzio-nali ossidati alle particelle organiche, rendendole ideale substrato per il lavoro deibatteri aerobi.

Le varie qualità di NOMSi possono prendere in considerazioni varie tipologie di NOM ma, classificandoleper grandi gruppi, possiamo distinguere: a) quelle a elevato contenuto di carbonio (tra 4 e 10 mg/l) e di acidi organici;b) quelle relativamente povere (meno di 4 mg/l) di carbonio organico;

Uso dell’ozono per la filtrazione e la biofiltrazione

LA SOSTANZA ORGANICA DISCIOLTA RAPPRESENTA UN INQUINANTE DI QUALITÀ

VARIABILE, CHE DEVE ESSERE MONITORATO E TRATTATO. POSSIAMO MISURAR-

NE LA CONCENTRAZIONE USANDO L’ASSORBANZA UV, E POSSIAMO CONTROL-

LARNE LA CONCENTRAZIONE DOSANDO OPPORTUNAMENTE LE SOMMINISTRA-

ZIONI DI OZONO

Tutti gli invertebrati dimostrano migliore stato di salute e si espandono a potenziali redox relativamente elevati (sopra i 200-250 mV)

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c) quelle ricche di essudati e glicoproteine, come negli acquari ricchi di cianobatteri;d) quelle ricche in acidi umici.Ognuna di queste categorie meriterebbe un filtraggio specifico, ma in questa sedeesamineremo i sistemi ideali per trattarle in qualsiasi acquario. Per ottenere unamisura relativa della quantità di NOM in un acquario, si può utilizzare un colorimetroda campo che disponga di radiazioni UV. Infatti l’assorbimento delle radiazioni UV(comprese tra 254 e 280 nm) rappresenta un elemento comunemente associato allapresenza di materia organica naturale. In alternativa ci si potrà affidare a uno dei tantilaboratori specializzati, dedicati alle analisi in acquario, facilmente reperibili in rete.Basterà confrontare le letture dell’acqua prelevata dall’acquario con controlli costi-tuiti da acqua distillata per avere un’idea dell’inquinamento organico che caratterizzaun qualsiasi acquario. Altra possibilità è fare riferimento a un laboratorio di analisi cli-niche, chiedendo di effettuare una lettura in assorbimento a 254 nm del campione,usando come controllo della comune acqua distillata. I valori forniti dal laboratorio serviranno a definire i livelli di inquinamento nell’acqua-rio del cliente: più elevata l’assorbanza, maggiore la quantità di carbonio organicodisciolto. In particolare, acque contenenti elevate percentuali di anelli di carbonioaromatico (es. quelle ricche in acidi umici), prossime a 0,1 ppm hanno assorbanzemolto elevate che non vengono facilmente modificate dall’attività di un filtro biolo-gico, mentre acque con assorbanze basse (inferiori a 0,02 ppm) sono più facilmentetrattabili con un filtro biologico. Pertanto, i livelli di assorbanza UV, che possonoessere facilmente misurati da un comune laboratorio di analisi cliniche o da un labo-ratorio specializzato per acquari, indicano se sia opportuno trattare l’acqua con unfiltro biologico (bassi livelli di assorbanza UV) o pre-trattare l’acqua con ozono e altricomposti ossidanti (alti livelli di assorbanza UV).

Trattamento con ozonoTutti sappiamo che l’ozono è un eccellente ossidante ma raramente si offrono datisulle reali quantità di gas che è necessario distribuire per ottenere un’azione ade-guata a migliorare l’attività del filtro e a sterilizzare l’acqua. Il processo stesso diozonizzazione può produrre mineralizzazione per via chimica di una notevole quan-tità di carbonio organico (tra 6% e circa 30% di quello disciolto inizialmente) e quan-tità crescenti di ozono producono rimozioni proporzionali di NOM. Sostanze orga-niche con elevato peso molecolare sono più facilmente degradate dalla presenza diozono e le quantità ideali da disciogliere sono comprese tra 1 e 2 mg di ozono permg di carbonio organico presente in ogni litro d’acqua. Al contrario, in presenza dicomposti organici di basso peso molecolare, le aggiunte di ozono hanno scarsa effi-cacia. Pertanto, prima di consigliare l’uso di questo gas ossidante bisognerebbeeffettuare un’analisi di assorbanza UV (come sopra descritto) per determinare il tipodi inquinanti presenti. Se le assorbanze indicano valori bassi (prossimi a 0,02) potre-

Ozono e quantità di materia organica interagiscono per creare le condizioni ecologiche di un acquario marino

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mo prevedere elevata efficienza dell’ozonizzazione. Se le assorbanze indicano valorielevati (prossimi a 0,1) potremo prevedere scarsa efficienza, e dovremo quindi usaresistemi diversi.

Misura della concentrazione di ozonoLe misure dirette di ozono sono abbastanzacomplesse e in genere non alla portata delnegoziante specializzato, richiedendo analisitipiche dei laboratori di ricerca. Tuttavia sappia-mo che all’aumentare dell’ozono discioltoaumenta anche l’ORP (Oxidation ReductionPotential), misurabile mediante un qualsiasitest redox per acquari. Sappiamo anche che larelazione non è diretta, perché i livelli ORP sonolegati in generale alla presenza di sostanzeossidanti disciolte (es. cloro attivo), alla tempe-ratura e ad altri valori dell’acqua. Come cidovremo regolare allora per seguire il processodi ozonizzazione in un acquario marino?Stabiliamo innanzitutto che a parità di pH moltesostanze hanno un effetto simile sull’ORP. AipH tipici dell’acqua di mare (8.2, per conven-zione) si può calcolare che l’aggiunta di 5 mg diozono per litro d’acqua produce in condizionistandard un aumento redox pari a circa 100mV. Pertanto, per ottenere gli effetti sopra desi-derati (aggiungendo 1-2 mg di ozono per litro)dovremo leggere aumenti redox attorno ai 20-40 mV mediante un test ORP da acquari. Que-

Tabella 1. Principali caratteristiche “medie” dell’ozonizzatore

Mg di ozono da disciogliere 1-2 mg/l carbonio organico discioltoEffetto dell’ozonizzazione Massimo con assorbanze UV inferiori a 0,02Effetto su ORP dell’ozonizzatore Aumento ORP di 20 mV per ogni mg ozono/litro discioltoEffetti indesiderati Aumento pH, aggiunta bromati e clorati, forte ossidazionePer eliminare ozono in eccesso Carbone attivo all’uscita della colonna di contattoAumenti desiderabili attivi di ORP 20-40 mV sopra i valori di partenza, in condizioni medie

Si può misurare la quantità di materia organica disciolta anche ricorrendo ad apposite analisi di laboratorio

La misura dell’ORP rappresenta il dato più immedia-to per valutare la quantità di ozono disciolta, parten-do dai valori di base misurati prima di attivare l’ozo-nizzatore

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sti livelli assicurano anche un discreto potere battericida, per cui misurando questiincrementi ORP potremo contare anche su un’azione preventiva abbastanza effica-ce per le malattie dei pesci.

Effetti indesiderati dell’ozonoInnanzitutto la stessa dissoluzione dell’ozono fa salire il pH. Questo, entro certi livel-li, non ha effetti negativi sull’acquario marino, ma a concentrazioni elevate di ozonocorrispondono pH troppo elevati. Un secondo effetto molto grave riguarda la pro-duzione di bromati e ipocloriti, come sottoprodotti dell’ossidazione dei bromuri e deicloruri. Anche in questo caso, se le somministrazioni sono contenute, questi inqui-nanti non raggiungono livelli molto tossici nell’acqua e vengono disattivati al sem-plice contatto con la sostanza organica disciolta. L’effetto indesiderato principaledell’ozono però è relativo proprio al suo potere ossidante, che distrugge l’epidermi-de degli invertebrati più sensibili e “brucia” le branchie dei pesci. Pertanto dovremoassicurarci di aver eliminato tutto (o quasi) l’ozono disciolto prima di mettere l’acquaozonizzata a contatto con pesci e invertebrati. La cosa è abbastanza semplice, con-siderando che il comune carbone attivo funge da catalizzatore per il processo discomposizione della molecola di ozono (O3) in molecole di ossigeno (O2).Per ottenere questo risultato utilizzeremo un comune schiumatoio come colonna dicontatto e disporremo un sacchetto di carbone attivo all’uscita dell’acqua. Il carbo-ne attivo, come già detto, funge da catalizzatore ma non partecipa alla reazione,quindi non si esaurisce. Esso, semplicemente, ci garantirà che il gas tossico nonfuoriesca dalla colonna di contatto, permettendoci di ossidare la sostanza organicae di sterilizzare l’acqua al suo interno. Non sarà necessario sostituirlo, dunque.In definitiva, dovremo misurare valori di ORP nella colonna di contatto pari a circa20-40 mV maggiori rispetto a quelli che misuriamo nella vasca (corrispondenti aconcentrazioni attive di ozono) e questo semplice processo potrà confermare lacorretta utilizzazione del gas ossidante, la sua eliminazione all’uscita e un’azione fil-trante ideale, grazie al pretrattamento della sostanza organica disciolta.

La quantità di materia organica disciolta influisce sulla vita di pesci e invertebrati

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L’evoluzione dell’acquariofilia marina ha assistito al continuo aumento del numerodi acquari medio-piccoli e alla quasi scomparsa dei grandi acquari con volumesuperiore ai 500 l. Le motivazioni sono varie e riassumibili in: a) i mini-reef hanno uncosto di allestimento ridotto; b) hanno un costo di manutenzione ridotto; c) lo spaziooccupato in casa è minimo. Queste motivazioni hanno reso tali acquari molto popo-lari soprattutto per chi si approccia a questo hobby. La realtà è che i ridotti volumisono una vera sfida per l’acquariofilo neofita che spesso deve affrontare non sol-tanto una manutenzione continua e costante nel tempo ma anche una scelta moltodifficile in sede di allestimento e progettazione. La progettazione del mini-reef è unpunto dolente di gran parte dell’acquariofilia italiana: si seguono spesso linee pro-gettuali troppo generiche perdendo di vista l’obiettivo da raggiungere. In questoarticolo realizzeremo tre tipologie di mini-reef: la prima tesa all’allevamento di corallimolli più semplici, la seconda dedicata all’allevamento di coralli a polipo largo emolli più complessi, la terza rivolta a coralli a polipo piccolo. Valuteremo quindicome scegliere il fondo sabbioso, quale sistema di gestione adottare e come sce-gliere e inserire gli invertebrati.

Acquario per coralli molliI mini-reef ben si adattano ad allevare coralli molli come Sarcophyton, Lobophyton,Xenia, Briareum, Sinularia, Anthelia e gorgonie di vario genere. La sfida più grandeè sostenere la crescita esponenziale che tali organismi manifestano una volta che ilsistema si è assestato e gli organismi adattati. In un allestimento di questo tipo èbuona regola inserire uno strato sabbioso di circa 4 o 5 cm di SSB (Shallow SandBed) che possa assicurare una buona capacità nitrificante al sistema (tabella 1). Talefondo sabbioso andrà gestito come un DSB, facendo attenzione alla granulometriadella sabbia (non troppo grossolana) e cercando di facilitare il popolamento bento-

Rapporti chimici e fisici tra fondo, invertebrati e filtro:come progettare al meglio un mini-reefLA PROGETTAZIONE DI UN MINI-REEF AVVIENE IN FUNZIONE DEGLI ORGANISMI

ALLEVATI: LA PRESENZA DI UN FONDO SABBIOSO, DI UNO SCHIUMATOIO E LA

TIPOLOGIA DI FILTRAGGIO DEVONO ESSERE OPPORTUNAMENTE VALUTATI

DI MIRKO MUTALIPASSI

Tabella 1. Tecniche di gestione in differenti tipologie di acquario

ORGANISMI FILTRO SCHIUMATOIO FONDO TRIADE INTEGRAZIONI METODOOSPITATI ESTERNO DI GESTIONE

Molli Supporto Opzionale SSB o Ininfluente Manuali Naturale,semplici batterico, sottosabbia berlinese resine o SSB

LPS e molli Resine Consigliato BB, SSB Poco Manuali Berlinesecomplessi o DSB influente o DSB

SPS Sconsigliato Molto BB o DSB Molto Dosometriche Berlinese consigliato influente o reattore (opzionale di elementi proliferazione batterica) o DSB

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nico tramite una buona attivazione biologica, assicurata dall’inserimento di roccevive ricche di organismi, e attraverso la scelta oculata dei primi pesci e invertebrati,al fine di evitare che questi possano predare il benthos. Il sistema SSB funzionacome un parziale DSB, imitando a tutti gli effetti i primi centimetri di quest’ultimo.Avremo quindi uno strato di sabbia unicamente nitrificante, aerobica, perdendo lacapacità denitrificante e fosfo-accumulatrice del DSB. In alternativa è possibilerispolverare un vecchio metodo, il filtro sotto-sabbia, che assicura una velocedegradazione della sostanza organica e un immenso supporto per i batteri aerobi.In un acquario popolato da coralli molli semplici è importante che l’acqua non siaeccessivamente oligotrofica (cioè priva di nutrienti). Un valore di nitrati inferiore a 20mg/l e di fosfati inferiore a 0,3 mg/l (tabella 2) è consigliabile. Molti coralli molli infattihanno perso, durante l’evoluzione, la capacità di predare all’interno della colonna

Tabella 2. Concentrazioni di ioni inorganici in differenti tipologie di acquario

ORGANISMI OSPITATI NITRATI FOSFATI CALCIO MAGNESIO KH

Molli semplici <20 <0.3 360-420 1100-1260 7-11

LPS e molli complessi <10 <0.1 400 1230 7-11

SPS<5 <0.05 420 1260 8

I coralli molli possono essere una buona opzione soprattutto per i neofiti. In foto Sarcophyton sp. con polipi estroflessi

d’acqua e basano tutto l’input energetico sulla simbiosi con le alghe dinoflagellatedette Zooxanthellae. In acquari di questo tipo è possibile inserire un filtro esternocaricato a seconda del caso con resine anti-fosfati, supporto biologico o lana per-lon. La scelta del materiale più opportuno dipende molto dalla tipologia di corallimolli allevati e dalla popolazione di pesci: più la popolazione di pesci sarà cospicuae maggiore sarà la necessità di avere un ulteriore supporto biologico dal filtro e allostesso tempo sarà necessario arginare la presenza di fosfati tramite apposite resine.A questo proposito uno schiumatoio interno o Hang-on può essere un’utile aggiuntaal sistema ma non è indispensabile. I coralli allevati in un acquario simile non richie-dono integrazioni costanti di calcio, magnesio e carbonati: questi valori però pos-sono comunque modificarsi nel tempo a causa della proliferazione, ad esempio, dialghe coralline. Le correzioni di tali valori possono essere eseguite, quando neces-sario, con integratori liquidi.

Acquario per coralli a polipo grande (LPS) o molli complessiLa gestione dei coralli LPS si presenta leggermente differente: gli LPS annoveranosia organismi tipici di ambienti fotofili sia organismi che normalmente vivono a unamaggiore profondità e pertanto la tipologia di luci nonché il posizionamento degli

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animali dovrà essere attentamente valutato: Acanthastrea e Catalaphyllia richiedo-no, ad esempio, luci tendenti all’azzurro e prediligono posizionamento nelle aree piùbasse dell’acquario; altri LPS come la maggior parte delle specie del genereEuphyllia si adattano invece a differenti intensità luminose, altri ancora come Turbi-naria radicalis o T. reniformis richiedono un’illuminazione intensa. Tra gli organismipiù allevati in questa tipologia di acquari ricordiamo sicuramente le varie specie diEuphyllia, di Favites e Favia, di Acanthastrea e Fungia, che presentano anche neces-sità alimentari molto differenti: alcuni richiedono necessariamente un’alimentazionediretta (è questo il caso della maggior parte dei coralli LPS), altri invece non richie-dono una somministrazione di alimento, ad esempio Euphyllia. Anche la tipologia dicibo cambia enormemente: se per le specie di Fungia, Catalaphyllia, Duncanopsam-mia ecc. si predilige un alimento di dimensioni considerevoli, per le specie con polipipiù piccoli si dovrà utilizzare una polvere specifica per LPS. L’input alimentare per talianimali richiede valutazioni attente sui sistemi di gestione: se è vero che questi orga-nismi non soffrono eccessivamente alte concentrazioni di nitrato (<20 mg/l), è evi-dente che un’elevata concentrazione di organico può portare a una proliferazione dicianobatteri e altre alghe indesiderate. È pertanto consigliabile l’inserimento di unoschiumatoio ben dimensionato all’acquario. Attenzione alla scelta dello schiumatoio:singola pompa e doppia pompa lavorano in modo differente e cambia la tipologia disump richiesta. In assenza di schiumatoio bisognerà inevitabilmente limitare l’ali-mentazione di tali organismi ed evitare le specie con maggiori richieste eterotrofiche.Il filtro esterno può essere caricato con resine antifosfati e/o zeolite mentre è scon-sigliabile l’uso di supporti batterici. La presenza di un fondo sabbioso dipende moltodal tipo di organismo che si vuol allevare: Catalaphyllia, Cynarina, Trachyphyllia eWellsophyllia danno i migliori risultati se disposti su sabbia mentre è consigliabileposizionare tutti gli altri LPS su roccia o sul vetro nudo. Pertanto l’utilizzo di SSB èconsigliabile in acquari con pochi pesci e con un ridotto input alimentare, per tutti glialtri è preferibile utilizzare un BB (Bare Bottom) con sistema di gestione berlineseoppure un DSB. Il sistema BB se da un lato è forse il più semplice in assoluto, dal-l’altro dona un aspetto poco naturale all’acquario e riduce la quantità di specie alle-vabili. Il DSB al contrario è un sistema valido per la gestione degli LPS poiché assi-cura un certo apporto trofico dato dagli organismi che popolano gli strati sabbiosi eal contempo riesce a contenere efficacemente l’accumulo degli inquinanti.

Un miniacquario di SPS. Il movimento è assicurato da due pompe elettroniche che ricreano un movimentocaotico intenso in acquario. La sabbia è poco popolata e mostra popolazioni di cianobatteri

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Acquario per coralli a polipo piccolo (SPS)L’allevamento di coralli a polipo piccolo in un mini-reef è un argomento ampiamentedibattuto. C’è da fare una grande distinzione tra i coralli SPS più semplici apparte-nenti ai generi Montipora, Seriatopora, Pocillopora e Stylophora, e gli SPS decisa-mente più delicati e complessi, in larga parte appartenenti ai generi Acropora e Ana-cropora. Qualsiasi sia l’SPS allevato, ci sono alcuni punti fermi da puntualizzare:tutti gli SPS sono organismi a metabolismo rapido, molto influenzati dalle concen-trazioni della triade (calcio, magnesio e carbonati), condizionati dalla presenza dialcuni ioni (boro, potassio, stronzio) e sensibili alla presenza di alcuni ioni metallici(rame, zinco, cadmio, ferro ecc.). Le integrazioni devono quindi essere frequenti:sono sconsigliabili le integrazioni manuali e si preferisce utilizzare il metodo Balling,con attenzione particolare al pericoloso accumulo di ioni Na++ e Cl- che ne deriva(si consiglia l’utilizzo di sali privi di NaCl), oppure optare per un reattore di elementi(o reattore di calcio). Quest’ultimo deve essere caricato con materiali completi,come l’ARM2 della Caribsea o un materiale equivalente. Sono organismi in generetipici delle zone alte del reef e pertanto richiedono anche un buon movimento eun’ottima illuminazione. I valori di composti inorganici devono necessariamenteessere contenuti e si tende, al fine di assicurare un allevamento ottimale, a costruiresistemi altamente oligotrofici con concentrazioni di nitrato inferiori a 5 mg/l e difosfato inferiori a 0,05 mg/l. Pertanto è impensabile utilizzare filtri esterni con sup-porti batterici mentre è consigliato l’inserimento di resine anti-fosfati, preferendopossibilmente resine a base ferrosa in filtri a letto fluido e può essere consigliabilel’utilizzo di sistemi a proliferazione batterica per il contenimento degli inorganici. Inquest’ultimo caso è valutabile anche l’inserimento di un reattore di zeolite. L’utilizzodi reattore di elementi, reattore di zeolite, letto fluido e schiumatoio sovradimensio-nato richiedono anche una sump dalle dimensioni generose. Per acquari con SPSè assolutamente sconsigliato l’utilizzo di SSB: per quanto ci siano alcuni acquaribellissimi gestiti con uno strato ridotto di sabbia, questi funzionano solo se vi sonoimponenti sistemi di schiumazione e una ridotta popolazione di pesci. È consiglia-bile quindi optare per le altre due soluzioni: BB o DSB. La gestione BB si rifà ai piùclassici sistemi berlinesi a fondo nudo, con presenza di schiumatoio ben dimensio-nato e l’opzione di inserire fonti di carbonio per assicurare una proliferazione batte-rica controllata. Il DSB permette di contro di ottenere gli stessi risultati anche se contempistiche più lunghe e nonostante un comparto tecnico (schiumatoio) non sovra-dimensionato.

Un miniacquario popolato da LPS e SPS semplici. L’acquario ha un SSB allestito con sabbia nera carbonatica

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Ossidante o riducente?Berlinese, DSB, solo schiumatoio, con sump o senza… consigliare il filtro (o il “non-filtro”) giusto per il cliente è diventato veramente un’impresa! Quali sono i parametrida tenere in conto per definire il giusto trattamento dell’acqua per l’acquario mari-no? Bisogna ancora considerare che un biologico deve occupare il 20% dellavasca? Quali materiali filtranti sono davvero utili per ottenere un’acqua adeguataall’allevamento di specie esigenti?Partiamo da un concetto base: un filtro può lavorare ossidando o riducendo. I filtririducenti sono quelli basati sull’attività di batteri aerobi, che trasformano la sostanzaorganica legandola ad atomi di ossigeno (o di altri ossidanti) e conducono l’azotoorganico presente nelle proteine, inesorabilmente, verso il suo destino naturale,costituito dallo stato estremamente ossidato dei nitrati. Sono riducenti (per l’am-biente) perché sottraggono atomi di ossigeno dall’acqua per legarli prima all’ammo-

Ampia superficie vs supporti lisci:lo stato dell’arteIN PASSATO SCEGLIERE UN SUBSTRATO BIOLOGICO PER L’ACQUARIO MARINO

ERA RELATIVAMENTE FACILE, BASTAVA BASARSI SULLA SUPERFICIE OFFERTA

PER L’ATTACCO DEI BATTERI. OGGI LA SITUAZIONE SI COMPLICA NOTEVOLMEN-

TE E SI PARTE MOLTO DA LONTANO: L’ACQUARIO HA DAVVERO BISOGNO DI UN

FILTRO BIOLOGICO?

Vari tipi di filtri si adattano alle esigenze di pesci e invertebrati secondo la tipologia gestionale che caratterizza ogni acquario

niaca, poi ai nitriti. Fanno cose simili con altri composti più o meno complessi equindi, al termine della loro attività, fanno scendere il potenziale redox dell’acqua. Sono filtri ossidanti, invece, tutti quelli che estraggono atomi di ossigeno dai com-posti reflui, oppure quelli che producono una maggiore dissoluzione di ossigeno esostanze ossidanti. Ad esempio i filtri anaerobici estraggono atomi di ossigeno dainitrati, per espellere nell’aria dell’azoto gassoso. La loro azione si riassume in unaumento netto del potenziale redox. Di pari sono ossidanti i filtri ad alghe, cheestraggono dall’acqua vari inquinanti e producono ossigeno mediante fotosintesi.Di fatto sono ossidanti anche altri filtri che fanno largo uso di schiumatoi, colonnedi contatto per ozono e simili attrezzature.La prima domanda che dovremmo porci, quindi, è la seguente: l’acquario del clientevivrà meglio utilizzando un filtro ossidante o uno riducente (oppure una combinazio-ne dei due)? Perché, da questa domanda, dipenderà la scelta dei contenitori e deimateriali nonché la definizione di spazi adeguati a contenerli.

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Nell’acquario marino in generaleprediligiamo un potenziale redoxelevato, al contrario di quantoaccade nell’acqua dolce. Elevatoredox significa invertebrati in cre-scita attiva, più facile mineralizza-zione degli esoscheletri, pesci vispie acqua cristallina. Un redox bassofavorisce in generale la crescita deivegetali e quindi è molto desidera-bile nell’acquario d’acqua dolce,specialmente in quello erborato.Quanto sin qui considerato nonpuò tradursi de facto in un “divieto”a utilizzare un filtro biologico nel-l’acquario marino ma, semmai, nelsuggerimento ovvio di accoppiarload altri sistemi che svolgano un’ef-ficace azione ossidante.

Una scelta criticaQuali sono le condizioni che possono indurci a prendere una decisione oculata?Innanzitutto vanno considerate le fonti di inquinamento. Prevediamo di dover elimi-nare dall’acqua discrete quantità di particellato organico (come accade quando siallevano pesci erbivori e invertebrati vagili di discrete dimensioni) oppure principal-mente ammoniaca disciolta (come nel caso di pesci di medie dimensioni)? Nelprimo caso un filtro ossidante è fortemente consigliato, specialmente se applicatoa uno schiumatoio e un filtro meccanico. Nel secondo caso sarebbe consigliabileun filtro biologico, che accoppi possibilmente una parte aerobica e una anaerobicaper produrre un filtro sequenziale (in modo che ogni sostanza di scarto costituiscasubstrato per il successivo compartimento del filtro). Suggeriremo un filtro biologicoogni volta che prevederemo forti carichi di ammoniaca da trattare rapidamente pereliminarla dalla soluzione. Suggeriremo un filtro ossidante quando prevederemo chevenga prodotta molta materia organica in decomposizione, da trattenere prima cheproduca composti azotati. Ovviamente combinazioni dei due filtri rappresentanonella maggior parte dei casi la soluzione ideale, con una preponderanza dell’uno odell’altro secondo il tipo di organismi che si prevede di allevare.

Substrati biologiciIn altri articoli di questa guida tecnica prenderemo in esame vari sistemi filtranti, maqui vogliamo soffermarci sulle caratteristiche “desiderabili” per un biologico chepossa funzionare bene nel marino. Come già detto, un biologico può essere consi-derato ossidante o riducente, secondo le condizioni di funzionamento. Dovremo

Una graniglia calcarea biogenica può rappresentareun ottimo substrato biologico in acqua di mare

Le moderne resine a scambio ionico permettono di ottenere un’azione filtrante selettiva, spesso di notevole ausilio per quella biologica

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usare solo materiali ad ampia superficie? Questi sono certamente ideali per la rea-lizzazione di filtri riducenti. Sulla superficie fortemente porosa dei materiali ad ampiasuperficie, infatti, si insediano i batteri aerobi che producono il processo della nitri-ficazione (azoto a nitriti a nitrati) e più la superficie è porosa e complessa, più que-sti materiali funzionano bene e utilizzano grandi quantità di ossigeno per eliminarerapidamente dalla soluzione i composti tossici.

Velocità dell’acquaIn passato si suggerivano filtri di dimensioni generose e, nel caso del marino, aventiun volume pari a circa il 20% di quello dell’intero acquario. In quei tempi si lavoravaperò con cannolicchi di ceramica aventi una superficie appena porosa. Chi oggi

rimane legato a questi parametri dimentica i progressi fatti dalla tecnologia nelcampo dei materiali filtranti. In realtà già utilizzando una ceramica vacuolata si riescealmeno a dimezzare questo valore e si possono quindi realizzare eccellenti filtri bio-logici in un volume pari o inferiore al 10% di quello della vasca. Utilizzando substratipiù complessi (es. vetro sinterizzato) si riesce ancora a dimezzare questo valore e aprodurre eccellenti filtri biologici in un volume attorno al 4-5% di quello dell’acquario.

Al diminuire del volume aumenta anche la velocità dell’acqua: un numero enorme dibatteri rimane stoccato in uno spazio ridotto e necessita di ossigeno. Essi non ven-gono facilmente strappati via dall’idrodinamismo perché sono ben protetti da porisottili e numerosi. Pertanto useremo delle pompe che facciano circolare al loro inter-no 4-5 volte ogni ora l’intero volume della vasca. Un’evoluzione delle tecnologielegata a quella dei substrati. In ogni caso la potenza della pompa applicata deveessere commisurata alle dimensioni del lume attraversato. Nel caso di un filtro estre-mamente semplice, costituito da un solo scompartimento, potremo applicare pompe

La ceramica permette di ottenere substrati biologici moderatamente porosi

Il vetro sinterizzato ha pori passanti che consentono la realizzazione di filtri aerobici e parzialmente anaerobici

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molto potenti perché la quantità di acqua trasportata ogni ora è diffusa su una super-ficie molto ampia, quindi la velocità netta sulla superficie della singola particella fil-trante è relativamente lenta. Nel caso di filtri con numerosi scompartimenti la velocitàreale è maggiore perché tutta l’acqua passa in intercapedini molto ridotte.Nella tabella 1 si riportano dei dati indicativi per la realizzazione di un filtro biologicotenendo conto di vari fattori, quali la porosità dei materiali filtranti e la velocità del-l’acqua in rapporto al lume attraversato.

Substrati lisciSolo substrati a elevata superficie,dunque? Nient’affatto! Possiamoanzi rivedere le nostre idee suisubstrati lisci, come le bioball.Questi selezionano batteri anaero-bi perché sono gli unici a rimanerefacilmente adesi alle loro superficisdrucciolevoli. Se desideriamoallestire un filtro anaerobico (nitratia azoto gassoso) converrà utiliz-zare proprio questi materiali,oppure sottoporre materiali estre-mamente porosi (es. siporex e altrivetri sinterizzati) a un flusso relati-vamente lento, per ottenere una rapida deplezione dell’ossigeno. Quindi disporredelle bioball in un filtro, a valle di uno scompartimento aerobico che contenga mate-riali ad ampia superficie, può permetterci di realizzare un filtro sequenziale, aerobicoe anaerobico, per la completa eliminazione dei composti azotati.Ovviamente un filtro biologico così congegnato avrà sia capacità ossidanti checapacità riducenti e potremo seguirne il funzionamento e l’evoluzione semplice-mente misurando il potenziale redox nell’acqua. In ogni caso si consiglia di utilizzarein abbinamento a un filtro biologico anche uno schiumatoio, per bilanciarne le capa-cità riducenti.Prima di concludere vogliamo ricordare che esistono oggi varie resine specificheche permettono di estrarre dall’acqua la materia organica e che possono in qualchemodo sostituirsi o affiancarsi a un piccolo schiumatoio. Se utilizzate in cooperazio-ne di un filtro biologico permettono di estrarre rapidamente dall’acqua vari compostiorganici prima che possano trasformarsi in ammoniaca e in questo modo sottrag-gono al filtro biologico parte dei substrati, rendendo più piccolo il suo potere ridu-cente.

Tabella 1. Potenza della pompa e dimensioni suggerite per un filtro biologico, secondo la tipo-logia del filtro (numero di scompartimenti) e la qualità dei materiali filtranti utilizzati. Si consi-derano a “bassa superficie” le normali ceramiche e altri materiali simili, ad “alta superficie” leceramiche vacuolate e ad “altissima superficie” i vetri sinterizzati e gli altri substrati simili

TIPOLOGIA FILTRO 1 SCOMPART. 2 SCOMPART. 3 SCOMPART.

alta superficiePotenza pompa volume x 10 volume x 6 volume x 4Dimensioni filtro 10% volume vasca

bassa superficiePotenza pompa volume x 4 volume x 3 volume x 2Dimensioni filtro 20% volume vasca

altissima superficiePotenza pompa volume x 15 volume x 10 volume x 6Dimensioni filtro 5% volume vasca

La superficie relativamente liscia di una bioballsi presta all’attacco di batteri anaerobi

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AlcalinitàL’acqua di mare naturale contiene circa 420 mg/l di calcio, 1.280 mg/l di magnesio,ha un pH tra 8.1 ed 8.2 e un’alcalinità attorno a 2.5 meq (milliequivalenti), corrispon-dente a un KH attorno a 7. Noi dovremmo ricreare questa situazione nel nostroacquario, per garantire condizioni di vita ideali agli organismi calcificanti. Gli appas-sionati approfondiscono talvolta gli effetti degli equilibri ionici in acqua di mare rife-rendosi al concetto di “triade”. Il concetto, di per sé abbastanza scontato, si riferi-sce alle relazioni chimiche tra gli ioni calcio e magnesio, in rapporto all’alcalinità(KH), anche se troppo spesso viene sconvolto da interpretazioni personali prive difondamento. Ma vediamo di fare chiarezza partendo proprio dal concetto di “alca-linità”. Essa formalmente costituisce la somma stechiometrica delle basi in soluzio-ne. In acqua di mare è rappresentata, fondamentalmente, da carbonati e bicarbo-nati di calcio e magnesio. Si misura in milliequivalenti di acido necessari per produr-re uno spostamento minimo di pH e in pratica consiste nella quantità di acidonecessaria per convertire tutti i bicarbonati (HCO3

-) in acido carbonico (H2CO3).Formalmente l’alcalinità corrisponde a quello che definiamo comunemente KH,quando ci riferiamo alla durezza temporanea. Rappresenta la misura di una serie diioni che in acqua di mare sono strettamente coinvolti nel passaggio da bicarbonati(solubili) a carbonati (insolubili), che divengono parte dello scheletro degli inverte-brati. Si tratta dunque di una misura fondamentale per l’allevatore di coralli, che puòcambiare persino nell’arco di un giorno, se l’acquario ospita un gran numero diorganismi calcificanti, come SPS, LPS e molluschi. Ovviamente l’alcalinità, pur cor-rispondendo dal punto di vista degli ioni coinvolti al KH, si misura in modo differen-te. L’acqua marina ha normalmente un KH attorno a 7-8 °d, e nell’acquario marinocontenente coralli si consiglia un’alcalinità tra 2.5 e 4 meq per litro, che corrispondea un KH tra 7 e 11 o, ancora, a 125-200 ppm di carbonato di calcio.

La cosiddetta “triade” e altri interpreti moderni della qualitàdell’acqua nel marinoNE PARLANO GLI APPASSIONATI, TALVOLTA ANCHE A SPROPOSITO. PUÒ ESSERE UN

BUON ELEMENTO PER GIUDICARE GLI EQUILIBRI IONICI NELL’ACQUARIO MARINO,

MA OCCORRE GESTIRLA CON ATTENZIONE. STUDIAMO COME FARE IN PRATICA

Anche nel caso dei mini-reef un perfetto dosaggio degli elementi è fondamentale per la crescita degli invertebrati

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Il magnesioIl secondo elemento della “triade” è rappresentato dal magnesio, ione fondamenta-le poiché tra i più abbondanti in acqua marina e coinvolto in processi biologici basi-lari per tutti gli animali e vegetali acquatici, essendo parte dell’esoscheletro deglianimali e indispensabile allo stesso tempo per la fotosintesi clorofilliana. È un ele-mento del secondo gruppo della tavola periodica, ed è presente in soluzione sottoforma di ione con due cariche positive (Mg++). Non è conveniente produrre concen-trazioni superiori a quelle naturalmente riscontrate in acqua marina, (circa 1.280mg/l), perché ciò produrrebbe stress e squilibri osmotici agli organismi allevati.Dovremmo invece mantenere i livelli di magnesio sempre compresi tra 1.250 e1.350, cioè a stretta distanza dai valori naturali dell’acqua di mare. Quando i livellidi magnesio scendono sotto 1.250 si osserva instabilità della miscela salina, perchéquesto elemento è fondamentale per stabilizzare anche altri ioni in soluzione (es.quelli di calcio). Pertanto, volendo assicurare un corretto apporto di calcio per gliinvertebrati, bisogna mantenere costante la concentrazione di magnesio. Questastabilità della triade costituisce peraltro una garanzia per la stabilità del pH, evitandole sue riduzioni notturne dovute ai picchi di anidride carbonica e gli innalzamentidiurni dovuti all’attività dei vegetali. Il pH rimane stabile sui valori adeguati, pergarantire la vita di tutti gli organismi acquatici.

Il calcioPassiamo quindi al terzo interprete: il calcio. È senza dubbio lo ione fondamentaleper la fisiologia degli organismi acquatici ed è presente negli oceani in concentra-zioni attorno ai 420 mg/l. Nell’acquario marino contenente coralli bisognerebbe

Sia gli invertebrati calcificanti che quelli non calcificanti necessitano di una triade all’equilibrio

Calcio e magnesio sono elementi fondamentali in tutti gli oceani

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sempre mantenere i livelli di calcio disciolto tra 360 e 450 mg/l. Le concentrazionidi questo ione sono determinate dalla quantità di miscela salina disciolta, per cuiaumentano con l’aumentare della salinità e della densità. Ciò spiega il positivo effet-to di lievi aumenti di salinità sugli organismi dotati di esoscheletro calcareo. Moltiallevatori di coralli suggeriscono infatti di incrementare la densità di alcuni punti,rispetto al classico livello di 1.022 (oggi più spesso aggiornato a 1.024-1.026), alloscopo di assicurare agli invertebrati livelli maggiori di calcio disponibili. Tuttavia sali-nità diverse da quelle naturali degli oceani producono stress agli animali e allealghe, costringendoli a continui sforzi metabolici per riportare equilibrio osmoticonelle loro cellule. Gli ioni calcio presentano due cariche positive (Ca++), perché que-sto è un elemento del secondo gruppo della tavola periodica. Il calcio è indispen-sabile per la produzione degli esoscheletri calcificati di tanti invertebrati marini. Ladeposizione del calcio nello scheletro di un corallo o di un mollusco, però, è sog-getta a una serie di variabili chimiche. La crescita delle alghe coralline può essereconsiderata come un sintomo di concentrazioni di calcio e magnesio sufficienti:quando la concentrazione di calcio è prossima a 420 mg/l e la concentrazione dimagnesio a 1.260 mg/l, si osserva una proliferazione delle alghe coralline, che sipresentano come patine rosee sulle pompe, sul filtro e sugli oggetti dell’arredamen-to. È un processo naturale che dimostra il buon funzionamento dell’acquario.Livelli di calcio inferiori a 320 ppm rendono la calcificazione degli invertebratialquanto difficoltosa. Tuttavia, livelli di molto superiori a quelli misurati in acqua dimare in natura non producono crescita più rapida. È inutile tentare di portare il cal-cio a concentrazioni maggiori di quelle naturali (circa 420 mg/l) perché ciò indurreb-be precipitazioni di sali e riduzione della fitness degli organismi calcificanti. Inoltreconcentrazioni troppo elevate di calcio producono fastidiose incrostazioni di pompee accessori e acqua permanentemente torbida, a causa di continui processi di pre-cipitazione/dissoluzione. Raggiunti i livelli di saturazione basta una piccolissimaulteriore aggiunta e, in funzione dei parametri chimico-fisici correlati (fondamental-mente pH e temperatura, oltre ad alcalinità e presenza di altri sali bivalenti), si assi-sterà alla precipitazione di sali.

Stabilità della triadeSi comprende facilmente che l’alcalinità “contiene” gli ioni calcio e magnesio checompongono con lei la “triade”, mala sua stabilità dipende dall’equili-brio con l’acido carbonico disciolto.È importante mantenere questi tre“parametri” elevati ma non troppo,perché ciò produrrebbe precipita-zioni. Per lo stesso motivo, nonpossiamo confondere l’alcalinità (oil KH) con la quantità di calciodisciolta in acqua di mare. Infatti, iprodotti liquidi che usiamo per cor-reggere l’alcalinità non contengonocalcio o magnesio, ma carbonati ebicarbonati di sodio. In questomodo riusciamo a correggere l’alca-linità senza incrementare ulterior-mente i livelli di calcio e magnesio insoluzione. Gli ioni carbonato e quellicalcio si incontreranno quindi insoluzione, per stabilizzarsi vicende-volmente.Nella complessa miscela dell’acquamarina molti altri ioni (borati e fosfa-ti, ad esempio) possono influenzarequesto processo e influire sia sugliequilibri pH, sia sulla calcificazione

Una triade stabile consente di mantenere condizioniecologiche ideali anche per i pesci marini

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da parte degli invertebrati. Per questo motivo gliadditivi che usiamo per l’acqua marina devonoessere bilanciati, per garantire concentrazioni dicalcio e magnesio corrispondenti ad alcalinitàche (a parità di temperatura e pH) non produca-no precipitazione.Esistono ovviamente delle coppie di concentra-zione di calcio e alcalinità che possano assicu-rare la stabilità della soluzione (tabella 1). Dallatabella si evince che per la crescita dei corallicalcificanti sono necessari valori di alcalinitàabbastanza elevati allo scopo di garantire lasolubilizzazione di quantità crescenti di calcio aipH tipici dell’acqua marina. Poiché il calcio el’alcalinità procedono per gradini costanti, pari a1:1, possiamo anche affermare, in base allarelazione tra alcalinità e KH, che per ogni 20ppm di calcio in più disciolti, occorrono 2.8 °dKH disponibili in soluzione. In caso contrario ilcalcio precipita immediatamente. Di pari, se inacquario non si eseguono somministrazioniregolari di calcio i livelli di questo elementodecrescono assieme al KH. Lo stesso concettopuò essere espresso al contrario: se vogliamofar crescere i livelli di calcio in soluzione, perfacilitare la crescita dei coralli, dobbiamo farsalire i valori di alcalinità, perché in mancanza

del controione qualsiasi aggiunta di calcio si tradurrebbe in una precipitazione.Il magnesio però entra “in conflitto” con il calcio, perché può sostituirlo, sia nella pro-duzione di ioni stabili in soluzione (bicarbonati) sia nella produzione dello scheletrodegli invertebrati (carbonati). In sostanza, la presenza di magnesio aiuta la calcifica-zione e richiede nel contempo maggiore alcalinità, perché gli stessi ioni magnesionecessitano di un controione per rimanere in soluzione. Quando il pH sale, le quantitàdi calcio, alcalinità e magnesio che possono rimanere in soluzione diminuiscono. Alcontrario, se il pH scende, persino lo scheletro dei coralli sarà disciolto e portato insoluzione! Noi però vogliamo mantenere in soluzione quantità “sufficienti” di calcio emagnesio. A questo scopo, abbiamo bisogno dell’alcalinità. Per questo utilizziamodei reattori di calcio, in cui materiali contenenti soprattutto calcio (e magnesio) sonomessi a contatto con acqua contenente anidride carbonica, tale da sottrarre ioni eportarli in soluzione, assieme all’alcalinità.

Tabella 1. Coppie di calcio ealcalinità (espressa in meq/l)che garantiscono una stabilepermanenza

CALCIO (PPM) ALCALINITÀ (MEQ/L)

360 0

370 0.5

380 1

390 1.5

400 2

410 2.5

420 3

430 3.5

440 4

450 4.5

460 5

470 5.5

480 6

Dalla triade dipende anche la conservazione di un pH ideale in acquario marino

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Come operare in praticaIn definitiva, potremo fare riferi-mento alla tabella 2, per identifica-re i valori ideali della triade,ammesso che il pH sia costante eottimale. Poiché non è facile perl’hobbista misurare l’alcalinità cisiamo riferiti in questa tabella al KHquale misura correlata e facilmentemisurabile in acquario. Volendo uti-lizzare degli integratori liquidi, pro-cederemo partendo dalla concen-trazione di magnesio, che portere-mo a una di quelle di riferimentocontenuta nella tabella 2 (primacolonna), considerando che amaggiori concentrazioni di elemen-ti in soluzione corrisponde unamigliore crescita dei coralli duri.Una volta misurata una concentra-zione di magnesio “sufficiente”,passeremo a bilanciare il calciosino ai livelli corrispondenti a quellidella stessa riga in tabella (secon-da colonna). Infine passeremo alKH (terza colonna), che aggiustere-mo utilizzando un apposito integra-tore liquido (contenente dunquecarbonati e bicarbonati, ma noncalcio e magnesio!).Esistono varie ricette empiriche perpreparare integratori di calcio,magnesio e KH, facilmente reperi-bili in rete. Per evitare il ricorso a continui calcoli stechiometrici e all’uso di pompedosometriche, consigliamo la soluzione più comoda: quella di fare uso di un reattoredi calcio caricato con i giusti materiali inorganici.

Tabella 2. Valori ideali della triade a pH 8,2. Sonoriportate le coppie di magnesio e calcio stabili adiversi livelli di KH, quale riferimento per l’alca-linità. I livelli di KH indicati rappresentano i limitiinferiori, sotto i quali si osserverebbe precipita-zione. A livelli superiori di KH l’acqua sarà stabi-le e limpida, a parità di altre condizioni chimichee fisiche (es. pH e temperatura)

MG (PPM) CA (PPM) KH °D

1.230 410 7.0

1.250 415 7.1

1.260 420 8.0

1.280 425 9.0

1.290 430 9.1

1.310 435 10.0

1.320 440 11.0

1.340 445 11.1

1.350 450 12.1

1.370 455 13.0

La triade può essere controllata mediante sistemi diversi adeguati a esigenze personali del cliente

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Filtri diversi per comunità diverseL’acquario cui ci stiamo riferendo contiene più invertebrati o più pesci? Gli animalipresenti in vasca producono soprattutto detrito organico e proteine schiumabili oprevalentemente ammoniaca da trasformare in nitriti? Se non rispondiamo esatta-mente a queste domande sarà difficile definire un sistema efficace per il trattamentodell’acqua. Forse è per questo che molti appassionati preferiscono oggi allestireacquari totalmente privi di filtri in senso stretto, affidando la qualità dell’acqua ingran parte ai cambi parziali e all’opera di un efficiente schiumatoio. Tuttavia unacquario di questo tipo richiede una manutenzione relativamente onerosa. È possi-bile suggerire soluzioni intermedie, che rispettino le esigenze degli animali allevatilasciando all’appassionato sufficiente tempo libero.Molti acquariofili allestiscono un acquario marino perché desiderano osservare unapopolazione fitta di invertebrati filtratori, coralli e altri cnidari variopinti, molluschilamellibranchi, spugne, echinodermi sessili. Munire un acquario di questo tipo di unfiltro meccanico per rendere l’acqua sempre limpida e cristallina sarebbe un crimi-ne. Il filtro deve eliminare tutti i composti di rifiuto prodotti da animali e vegetali, noncompetere con essi eliminando il loro stesso cibo. Come procedere dunque?Ogni invertebrato filtratore ha un intervallo dimensionale specifico di preferenza. Lespugne, ad esempio, trattengono generalmente particelle molto piccole, che pos-sono essere rappresentate da fitoplancton e batteri. Molti molluschi invece tratten-gono (anche) particelle più grandi, delle dimensioni di piccoli vegetali più o menocomplessi e frammenti di detrito che fanno parte della cosiddetta “neve marina”.Vari tunicati sono in grado di trattenere detrito organico particellato ma anche pic-coli organismi natanti, come i rotiferi e piccolissimi copepodi. Coralli e gorgonie pre-diligono invece grossi frammenti di detrito, copepodi, altri piccoli crostacei e larveche nel complesso formano il cosiddetto “meroplancton”.

Invertebrati marini: alimenti specifici e tecniche di filtraggio adeguateFILTRI E ACCESSORI DELL’ACQUARIO VANNO DIMENSIONATI ALLE ESIGENZE SPE-

CIFICHE DEGLI ORGANISMI ALLEVATI. UN TEMPO SI REALIZZAVA UN ACQUARIO CON

FILTRO PER RIEMPIRLO DI ANIMALI E PIANTE. OGGI OCCORRE DEFINIRE LA POPO-

LAZIONE DELL’ACQUARIO PER STUDIARE IL SISTEMA DI FILTRAGGIO PIÙ ADATTO

Gli invertebrati filtratori necessitano spesso di particelle molto piccole che non devono essere estratte dal filtro

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Le categorie del planctonIn definitiva, i vari filtratori sfruttano per la loro alimentazione le diverse categorienote di plancton, che occorre conoscere sia per distinguere i possibili alimenti, siaper prevedere opportuni sistemi filtranti. l Tripton. Spoglie di organismi morti, detrito organico e vari tessuti in sospensionecostituiscono questa frazione del plancton che è utilizzata da vari “filter-feeders”detritivori. Si tratta di particelle relativamente grosse e pesanti che tendono a sedi-mentare.l Megaloplancton. Comprende organismi cospicui, dai 5 cm in su. Questi rivestonopoco interesse in acquario e certamente non saranno somministrati quali alimentivivi.l Macroplancton. Anche in questo caso, comprendendo organismi dai 5 mm ai 5cm, si tratta di entità molto grosse, che raramente saranno somministrate quali ali-menti vivi. Tuttavia esistono in commercio colture di anfipodi e policheti che posso-no rientrare in questa categoria e servire da alimento, ad esempio per grossi cnidari(es. Ceriantidi e polipi solitari).l Mesoplancton. Comprende organismi di dimensioni tra 1 e 5 mm e comincia ariscuotere un certo interesse. Molti vermi, copepodi e altri crostacei, possono rientrarein questa categoria ed essere somministrati agli invertebrati presenti in acquario.l Microplancton. Include organismi compresi tra 0,1 e 1 mm, tra i quali annoveriamoanche il cosiddetto “meroplancton”, ovvero le larve di organismi bentonici, i rotiferie vari crostacei appena visibili a occhio nudo sotto forma di puntini che roteanonell’acqua.l Nanoplancton. Giungiamo con questo gruppo a organismi decisamente microsco-pici, di dimensioni comprese tra 5 e 50 micron. Ne fanno parte molte alghe unicel-lulari, protozoi muniti o meno di esoscheletro, ecc. l Ultraplancton. Sotto i 5 micron troviamo solo organismi piccolissimi, come batterie minuscoli protozoi, utilizzati da filtratori molto specializzati.

I filtri più adeguatiPer conservare intatte le diverse categorie di plancton dovremo evitare un’azione fil-trante troppo intensa, che produrrebbe maggiore inquinamento uccidendo inutil-mente le piccole prede somministrate. Anche il continuo passaggio dell’acquaattraverso pompe centrifughe potenti servirebbe a “frullare” le diverse categorie delplancton e le sottrarrebbe all’alimentazione dei filtratori. Per questo motivo si con-siglia spesso un filtraggio “non meccanico” a maglie larghe o un filtraggio mecca-nico che opponendo un’ampia superficie di impatto non estragga realmente dall’ac-qua le particelle sospese. Ad esempio molti fanno uso di filtri sotto-sabbia a granamolto grossa, attraverso i quali le particelle di alimento possano circolare quasi libe-ramente. Lo scopo è quello di offrire un substrato ben ossigenato ai batteri aerobi

Occorre riprodurre in acquario le diverse categorie di plancton disponibili in mare

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senza frenare la libera circolazionedelle particelle di cibo. Ciò favoriscel’eliminazione dell’ammoniaca (cheviene comunque prodotta da animalie vegetali presenti in acquario) manon influisce su fito- e zoo-plancton.L’acqua in questo caso potrebbeapparire relativamente torbida, nonessendo trattata meccanicamente,ma la presenza di una densa popola-zione di invertebrati filtratori servirà asottrarre detrito organico e a ripulirela colonna d’acqua. La granulometria del ghiaietto calca-reo potrà essere commisurata alledimensioni del plancton da conserva-re. Ad esempio, se si prevede di som-ministrare prevalentemente fitoplanc-ton potremo suggerire un ghiaiettorelativamente sottile, perché le parti-celle vive riusciranno comunque adattraversarlo. Se si prevede invece disomministrare microplancton dovre-mo suggerire una sabbia corallinagrossolana, per facilitare la circolazio-ne di piccoli invertebrati nelle interca-pedini. Infine, volendo conservareintatti degli organismi mesoplanctoni-ci non potremo che utilizzare unfondo di sassi, meno efficiente dalpunto di vista del filtraggio biologico,ma innocuo per gli invertebrati natan-ti. Un filtro sotto-sabbia di questo tiposarà servito da un insufflatore ad aria,in modo da evitare qualsiasi influenzameccanica sulle particelle vive circo-lanti.Un sistema alternativo è costituitodai grossi filtri in spugna. Questisono serviti da pompe centrifughe di

piccola potenza. Si genera in tal modo un flusso lentissimo per unità di superficie esi evita che le particelle organiche e lo zooplancton si accumulino in superficie. Siottiene comunque un discreto filtraggio biologico e un minimo filtraggio meccanico

Varie possibili soluzioni per salvaguardare ilplancton sospeso. A. Filtro sotto-sabbia (sab-bia fine) adeguato per preservare fitoplanctone bacterioplancton, abbinato a uno schiuma-toio; B. Filtro sotto-sabbia (sassi) adeguatoper preservare zooplancton cospicuo, abbi-nato a schiumatoio; C. Filtro di spugna adampia superficie; D. Filtri esterni a cilindro,sequenziali; F1. Primo stadio costituito da unletto fluido classico; F2, F3 e successivi. Filtriselettivi, eventualmente mediante resine spe-cifiche o generiche

Piccoli pesci possono competere con gli invertebrati per la raccolta di piccoli organismi planctonici

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sulle frazioni più piccole, ma si evita l’eliminazione di gran parte dei possibili alimentiper i filtratori.Uno schiumatoio potrà essere accoppiato a questi filtri, soprattutto se lavorerà aintermittenza, permettendo così l’alimentazione degli invertebrati per alcune oreprima di eliminare il residuo sospeso. Tuttavia questi filtri possono creare accumulodi vari composti (es. coloranti e volatili) che non saranno estratti in alcun modo. Perquesto motivo si suggerisce di accoppiarli con resine specifiche in grado di estrarredall’acqua i composti organici e coloranti. Un sistema abbastanza funzionale èquello di utilizzare dette resine in colonne alte, eventualmente protette da filtri dispugna, in grado di funzionare come letti fluidi. In questo modo le particelle sospesenon sono soggette a grandi pressioni e possono tornare in vasca senza traumieccessivi. È possibile anche utilizzare due colonne in sequenza, che effettuinoprima un filtraggio biologico (letto fluido tradizionale) e poi un filtraggio selettivomediante resine a scambio ionico rigenerabili con forti ossidanti.Si può infine prevedere di disporre serie di colonne che svolgano varie azioni filtrantisequenziali e complementari - biologica, chimica, adsorbente - prima di far passarel’acqua attraverso un reattore di elementi. In questo modo un singolo sistema aspi-rante, protetto da un’ampia superficie di spugna, prelude a un filtraggio molto accu-rato e delicato, che elimina gli inquinanti disciolti senza intaccare le particelle di ali-mento sospeso, sempre disponibile per i filtratori. Lo schema fornito a pagina 23può servire come esempio per la realizzazione di filtri adeguati ad acquari di filtra-tori, che potranno trovare posto dietro, sotto l’acquario o in sump.

Un misto di invertebrati richiede un apporto di alimenti diversi adeguati a varie esigenze trofiche

Molti cnidari necessitano di prede di dimensioni relativamente grandi

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l fitoplancton in natura e in acquarioSotto costa, sui fondali rocciosi più superficiali, i principali produttori primari (quelliche trasformano l’energia del sole in biomassa consumabile) sono costituiti daalghe macroscopiche e piante marine. Ovviamente questi vegetali così cospicui edevidenti mancano nel plancton ma questo non significa che la luce venga sprecata.Al contrario, gli oceani contengono trilioni di tonnellate di alghe, sotto forma diminuscole particelle disperse nella colonna d’acqua. Riusciamo a ricostruire questasituazione in acquario?In realtà se analizziamo una piccola porzione d’acqua dell’acquario troveremo pro-babilmente molti batteri, qualche protozoo e un po’ di detrito organico. Il fitoplanctonè generalmente assente e non può fungere, quindi, da substrato nutritivo per lo zoo-plancton.Pesci e grossi invertebrati vagili non si accorgono della differenza e possono quindiessere facilmente allevati senza problemi anche in un acquario domestico totalmen-te privo di organismi planctonici. Non si può dire lo stesso di coralli, spugne, gor-gonie, lamellibranchi, tunicati e altri filtratori. Essi necessitano di fito- e zooplanctonper il loro nutrimento continuo e non riusciremo a sostituirlo totalmente utilizzandoalimenti secchi o in sospensione liquida. Pertanto anche il cliente del negozio spe-cializzato, se davvero desi-dera realizzare un mini-reefdi grande impatto o unacquario marino ricco dicoralli duri e molli, dovràfare i conti con la necessitàdi procurare quotidiana-mente del fitoplancton.Per il negoziante specializ-zato questa è una buonaoccasione per incontrarespesso il cliente e instaurareun rapporto diretto di coo-perazione. Basteranno alcu-ni tubi di plexiglass e unapentola per sterilizzare l’ac-qua di mare e far miracoli inquesto senso!

Coltura del fitoplanctonPer produrre una coltura difitoplancton da utilizzare innegozio per alimentare lozooplancton, oppure per lavendita diretta, l’ingredien-te primo è costituito dallasterilità. Questo ingrediente

Le colture di fitoplancton: sistemiper sfruttarne il valore nutritivoIL FITOPLANCTON È ALLA BASE DELLA RETE TROFICA NELLA COLONNA D’AC-

QUA IN TUTTI GLI OCEANI. ANCHE CAMPIONI D’ACQUA APPARENTEMENTE PULITI

E LIMPIDISSIMI NE CONTENGONO PICCOLE QUANTITÀ, PERCHÉ LE ALGHE UNI-

CELLULARI PROLIFERANO IN ABBONDANZA OGNI VOLTA CHE SIA PRESENTE UNA

MOLECOLA DI NUTRIENTI E UN FOTONE DI LUCE

Specie diverse di invertebrati filtratori necessitanodi diverse qualità di fito- e zooplancton

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Nella prima colonna sono riportate le specie più comuni di fitoplancton coltivabili. Nellecolonne successive la quantità di clorofilla, proteine, carboidrati e lipidi che caratterizzaogni specie, in percentuale. La tabella può essere utilizzata per definire diete ideali pervarie categorie di invertebrati filtratori

SPECIE CLOROFILLA PROTEINE CARBOIDRATI LIPIDI

Chaetoceros calcitrans 3.01 34 6.0 16Chaetoceros gracilis 1.04 12 4.7 7.2Nitzschia closterium - 26 9.8 13Phaeodactylum tricornutum 0.53 30 8.4 14Skeletonema costatum 1.21 25 4.6 10Thalassiosira pseudonana 0.95 34 8.8 19Dunaliella tertiolecta 1.73 20 12.2 15Nannochloris atomus 0.37 30 23.0 21Chroomonas salina 0.80 29 9.1 12Nannochloropsis oculata 0.89 35 7.8 18Tetraselmis chui 1.42 31 12.1 17Tetraselmis suecica 0.97 31 12.0 10Isochrysis galbana 0.98 29 12.9 23Isochrysis aff. Galbana (T-iso) 0.98 23 6.0 20Pavlova lutheri 0.84 29 9.0 12Pavlova salina 0.98 26 7.4 12

In assenza di plancton l’acquario si depaupera rapidamente di tutti gli invertebrati filtratori

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“segreto”, spesso non considerato dal negoziante, è alla base di successi e insuc-cessi nella coltura di alghe unicellulari e diatomee. I batteri, infatti, competono diret-tamente per i nutrienti e attaccano le alghe, facendone esplodere le cellule. In pre-senza di batteri la coltura cambia rapidamente colore, passando dal verde (o dalgiallo, bruno, rosso, secondo le alghe coltivate) al lattiginoso. Al comparire dellaprima lattiginosità dovremo accettare l’idea che la coltura è irrimediabilmente persae ricominciare da capo. Inutile tentare manovre correttive, che rappresenterebberouna perdita di tempo e materiali.Dovremo innanzitutto procurarci i materiali necessari:l un recipiente stretto e alto, possibilmente un cilindro in vetro o in perspex alto 50cm e largo solo 15 cm. Potrà andar bene allo scopo anche un grosso contenitore invetro da olive o qualsiasi altro contenitore di forma possibilmente stretta e allungata.Se in vetro tanto meglio, perché sarà più facile sterilizzarlo;l sali marini (gli stessi che usiamo per preparare l’acqua degli acquari);l acqua da osmosi inversa, facilmente reperibile in negozio;l una pentola in acciaio per far bollire acqua e attrezzi;l una confezione di fertilizzante per fitoplancton. Se ne trovano diversi tipi in rete enon vi dovrebbe essere difficile identificarne di seri. Suggeriamo di rivolgersi peròad aziende specializzate, non a privati che probabilmente si limiterebbero a porzio-nare dei fertilizzanti per piante d’appartamento. Anche questo è utile per la crescitadel fitoplancton, ma vedrete poi i vostri coralli morire a causa dei metalli pesantiaccumulati;l una fonte di luce. Potrebbe trattarsi della luce solare o di una lampada al neondisposta verticalmente lungo il cilindro. Bisogna che rimanga accesa almeno per 8ore al giorno.

Come procedereFaremo bollire della normale acqua di rubinetto e con essa (ancora caldissima)riempiremo i recipienti destinati a contenere il fitoplancton. Lasceremo quindi i reci-pienti pieni d’acqua calda per una quindicina di minuti affinché la carica batterica siabbassi notevolmente (per annullarla occorrerebbe un’attrezzatura non disponibilein negozio). Potremo versare nell’acqua calda qualche goccia di perossido d’idro-geno per migliorare il potere di sterilizzazione. Al termine del processo svuoteremoi recipienti pronti a ricevere la coltura.A parte faremo bollire dell’acqua da osmosi, in modo da sterilizzarla. La lasceremoraffreddare per una notte, coperta. Il giorno successivo potremo aggiungere una

Il filtro per l’acquario in cui si dosa del plancton deve essere progettato inmodo da evitare la rapida eliminazione degli alimenti per i filtratori

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quantità di sali sufficiente a portare la densità a 1.028 ppm (anche il densimetro saràsterilizzato con acqua ossigenata prima dell’uso) e una dose di fertilizzante (ogniditta potrà suggerire dosaggi appropriati alle proprie formulazioni).Verseremo quindi il liquido di coltura così preparato nei cilindri sterili e aggiungere-mo una piccola dose di una coltura di fitoplancton (reperibile presso il vostro gros-sista, in internet, oppure richiesta a qualche acquariofilo che ne abbia a disposizio-ne). Potremo optare per Nannochloropsis (molto facile e resistente), Isochrysis, Rho-domonas, Dunaliella, Tetraselmis o altre comuni specie facilmente reperibili. Bastapochissimo fitoplancton per cominciare; supponendo di avere un cilindro del volu-me di 7 l, potremo iniziare con 100 ml di coltura. Inizialmente non percepiremo alcu-

na colorazione. Tuttavia,dopo un paio di giorni, ini-zieremo a notare una legge-ra colorazione dell’acqua,che aumenterà progressi-vamente sino a diveniremolto intensa. A questopunto una parte della coltu-ra potrà essere raccolta(usando un tubo sterile) peressere direttamente som-ministrata o venduta, esostituita da altro liquido dicoltura sterile (preparatocome sopra riportato, par-tendo da acqua bollita eraffreddata, sali marini e fer-tilizzante specifico).Potremo ripetere i prelieviquattro o cinque volte eogni volta noteremo che lacolorazione si riprende rapi-damente, riportando la col-tura a un’elevata densità dicellule. Dopo questo perio-do converrà prelevare 100-200 ml di coltura, vendere ousare il rimanente, e rico-

Figura 1. Tipica disposizione di unimpianto di produzione da banco.Tre cilindri in perspex sono fissatia un solido basamento. Due sonodestinati alla coltura di diversespecie di fitoplancton e sono dotatiquindi di un neon disposto verti-calmente tra di essi. Il terzo, desti-nato alla coltura di zooplancton, èdotato di una pietra porosa sulfondo

I polipi di gorgonie e coralli raccolgono continuamentepiccoli organismi zooplanctonici

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minciare daccapo in un cilindro sterile. In caso contrario la coltura invecchierà e ten-derà a diventare lattiginosa e inquinata.Si tratta di un processo facile, economico e semplice da realizzare con minimoimpegno. Questo processo peraltro potrà essere accoppiato alla coltura di zoo-plancton.

Lo zooplanctonA questo scopo useremo un recipiente simile e partiremo comunque da acqua dimare sterilizzata ma non aggiungeremo il fertilizzante. Aggiungeremo invece circa1/3 del volume di fitoplancton, derivante dalla coltura poco sopra descritta. Potremoquindi inoculare il cilindro o altro contenitore con qualche specie di zooplanctonti:Brachionus (rotiferi) oppure Calanus (copepodi) o altri organismi facilmente coltiva-bili. Persino dei comuni nauplii di Artemia possono essere facilmente portati a matu-rità in questi cilindri, per essere venduti adulti. Nel cilindro per la coltura dello zoo-plancton inseriremo anche una pietra porosa, collegandola a un tubicino rigido cheraggiunga il coperchio. È necessario infatti che l’acqua sia mantenuta in costantemovimento (ma non deve “frullare” il contenuto) affinché lo zooplancton si distribui-sca omogeneamente e si nutra. Ogni 2-3 giorni, secondo la densità della coltura,potremo filtrare un poco d’acqua (oppure prelevarla insieme allo zooplancton per lavendita) e sostituirla con uno o due litri di fitoplancton appena preparato. In questomodo lo zooplancton crescerà bene e diverrà un ulteriore possibile alimento (e unafonte di guadagno per il professionista).

Sistemi alternativiAlcuni negozianti trovano estremamente difficile coltivare il fitoplancton perché nonriescono a sterilizzare opportunamente tutti gli attrezzi. In questo caso la mancanzadi fitoplancton rende impossibili anche le colture di zooplancton. Si possono pren-dere in considerazione comunque delle fonti alternative di alimento, commisuratealle esigenze delle specie coltivate. Nel caso di Brachionus, ad esempio, si riescefacilmente a coltivarlo disciogliendo ogni giorno nell’acqua circa 100 mg di integra-tore alimentare per Artemia (es. Algamac) per ogni litro d’acqua. Il rotifero se nenutre a sazietà e la sua qualità di cibo vivo non decresce affatto. Nel caso dei naupliidi Artemia e di alcuni altri artropodi si può invece optare per una miscela di lievito eSpirulina in polvere da distribuire nell’acqua, per mantenerla continuamente torbida.Ovviamente la sperimentazione individuale potrà condurre ad altre soluzioni alter-native. Tuttavia la disponibilità in contemporanea di fito- e zooplancton in cilindriseparati rappresenta ancora una soluzione ideale, che consente di gestire facilmen-te l’acquario per invertebrati in negozio e in casa degli utenti.

Zooplanctonti di medie dimensioni possono rappresentare un ottimo cibo per piccoli pesci

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Gli scambiL’obiettivo di ogni acquariofilo è ricreare un ambiente che si avvicini il più possibilea quello naturale. Per raggiungere questo scopo è di fondamentale importanzagestire in modo ottimale l’equilibrio ionico del proprio acquario. Gli acquari sono deimesocosmi, dei sistemi semi isolati, interconnessi a livello chimico e fisico con l’am-biente esterno. Tra acquario e ambiente vi sono continui scambi chimico-fisici:acqua sotto forma di vapore, ossigeno e anidride carbonica, un apporto di molecoleorganiche tramite l’inserimento di alimenti per pesci e coralli, ecc. Avviene ancheuno scambio di energia luminosa proveniente sia dall’illuminazione dei nostri acqua-ri che dalla luce ambientale delle nostre case. Infine vi è uno scambio termico: latemperatura dell’ambiente esterno influenza il nostro acquario e lo scambio termicoè facilitato dalle caratteristiche di conduzione termica del vetro. È cura dell’acqua-riofilo gestire queste dinamiche chimico-fisiche affinché l’acquario possa funzionarein modo ottimale. L’acquariofilia moderna ha escogitato una serie di contromisureper tutte le suddette problematiche: gli osmo-regolatori per contrastare l’evapora-zione, i termometri/termostati al fine di mantenere la temperatura costante, colonnedi contatto e pompe di movimento per migliorare lo scambio gassoso, e così via.Uno dei veri problemi è però il mantenimento di un equilibrio ionico in acquario: gliorganismi a scheletro calcareo utilizzano, per costruire le proprie colonie, ioni calcio,magnesio, bicarbonato ma anche stronzio, potassio, boro ecc. Gli acquariofilihanno individuato una serie di soluzioni per ovviare a queste problematiche: laprima, la più semplice, è effettuare cambi d’acqua costanti che possano reintegrare

Reattori di elementi nell’acquario marino, pianificazione e usoIL REATTORE DI ELEMENTI: INTEGRAZIONI NELL’ACQUARIO MARINO DI BARRIERA.

LA SCELTA DEL REATTORE, IL MATERIALE, LA REGOLAZIONE

DI MIRKO MUTALIPASSI

Figura 1. Accumulo del nitrato in acquario: considerando una produzione di nitrato di 5 mg/l e10 mg/l settimanale e cambi d’acqua del 20% settimanali, dopo 16 settimane il nitrato si stabi-lizzerà rispettivamente su valori di 19.3 e 38.7 mg/l. I cambi d’acqua, da soli, non possono con-tenere l’accumulo di inquinanti

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gli elementi utilizzati e diluire eventuali inquinanti accumulati. Tale tecnica però ponediversi limiti (figure 1 e 2): i cambi da soli non sono una soluzione efficace per il man-tenimento dei valori chimici del nostro acquario. Cosa fare, allora?

Varie soluzioniInnanzitutto c’è la possibilità di effettuare integrazioni manuali scegliendo tra i tantis-simi prodotti in commercio. Al fine di semplificare il discorso prenderemo in conside-razione solo gli ioni calcio, magnesio e bicarbonato. Gli integratori di calcio e magne-sio contengono una grande quantità di cloruri poiché i sali di partenza per la produ-zione di tali soluzioni sono i cloruri di calcio e magnesio (CaCl2 e MgCl2); per ogniione calcio o magnesio inseriti in acquario andremo a inserire anche due ioni cloruro.Discorso non dissimile per il bicarbonato: le soluzioni commerciali sono basate susali di sodio (Na2CO3 ma soprattutto NaHCO3). Per ogni ione carbonato o bicarbo-nato inseriremo anche ioni sodio. Al netto, avremo un accumulo di sodio e cloro che,alla lunga, andrà a modificare l’equilibrio salino del nostro acquario. Alcune aziendeproducono sali marini privi di cloruro di sodio con cui è possibile contrastare tale pro-blematica. È consigliabile la gestione delle integrazioni liquide tramite pompe peri-staltiche. Che alternative abbiamo? La principale alternativa è sicuramente il reattoredi elementi (o reattore di calcio). Il reattore di elementi è un cilindro collegato a unapompa di ricircolo interno, a un tubicino d’ingresso in cui viene immessa acqua dimare ad alta pressione (tramite una deviazione della pompa di risalita o tramite unapompa apposita, a patto che questa possa assicurare la dovuta pressione nel reat-tore) e a un secondo tubo, di uscita, in cui è immessa anidride carbonica (non utiliz-zare tubi in silicone ma preferire quelli in poliuretano, il silicone è permeabile allaCO2). Vi è infine un tubo attraverso il quale si fa defluire l’acqua dal reattore. Il tubi-cino d’uscita del reattore è provvisto solitamente di gocciolatore o di uno strozza-tubo che permette di regolare il flusso in uscita dell’acqua.

CO2

L’immissione di anidride carbonica all’interno di questo cilindro, preventivamenteriempito di materiali a base di carbonato di calcio e magnesio, provoca un abbas-samento del pH. Il risultato è che il materiale nel reattore di elementi si “scioglie”rilasciando ioni in acqua. Dal tubicino di output questa acqua “carica” verrà fattadefluire in acquario. Spesso il reattore di elementi lavora con una sonda di pH e

Figura 2. Consumo di calcio in acquario: considerati consumi di 20 e 50 ppm settimanali ecambi d’acqua del 20% settimanali, dopo 16 settimane il calcio si stabilizzerà intorno a valoridi 382 e 266 ppm. I cambi d’acqua settimanali (considerando un sale con una concentrazionedi calcio di 460 ppm) non riescono ad apportare sufficiente calcio al fine di mantenerne stabilela concentrazione iniziale (440 ppm)

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un’elettrovalvola; con questa configurazione la gestione del pH è facilitata. Bisognaperò fare attenzione: l’anidride carbonica, anche se in presenza di una configurazio-ne con elettrovalvola, deve essere sempre e comunque dosata in piccolissimequantità regolando la valvola a spillo del riduttore di pressione. Una dose eccessivadi questo gas provoca non soltanto uno spreco enorme di anidride carbonica, maanche un’eccessiva sollecitazione del reattore, della pompa e uno sproporzionatolavoro dell’elettrovalvola. Inoltre, un esagerato quantitativo di anidride carbonicaprovoca una falsa lettura della sonda: il pH letto dalla sonda, infatti, risponde allaCO2 disciolta. Se immettiamo troppa CO2 questa non si scioglierà tutta contempo-raneamente e potremmo avere, se il sistema di recupero della CO2 funziona effica-cemente, un repentino abbassamento del pH nel reattore con la conseguente for-mazione della tanto temuta polvere di carbonato. Quanto deve essere grande il reattore di elementi? Come fare per dimensionare ilreattore all’acquario? La risposta non è semplicissima e dipende da vari fattori (figu-ra 3). L’anidride carbonica è ungas e tende ad andare versol’alto e questo è un primo fat-tore da tenere in considerazio-ne: un reattore efficiente deveessere alto e non largo e deveavere un efficace sistema direcupero dell’anidride carboni-ca, possibilmente con un invi-to conico nella zona di ripe-scaggio dell’acqua, zona chedeve essere nel punto più altodel reattore. Bisogna evitarequindi reattori con sistemi direcupero posizionati lateral-mente o solo in prossimitàdella calotta del reattore. Inol-tre la posizione della pompa diricircolo è importantissima aifini della funzionalità del reat-tore: pompe di ricircolo dispo-ste in basso sono soggette aelevata usura poiché, in casodi precipitazioni, tendono adanneggiarsi se vi è formazione di polvere di carbonato. Allo stesso tempo pompeposizionate al di sopra della calotta possono soffrire della formazione di bolle,soprattutto in seguito a black-out elettrici. La pompa deve quindi aspirare dall’alto,attraverso la calotta, ma deve essere sistemata lateralmente, cosa che le assicuradi essere sempre priva di bolle anche in caso di black-out. Infine particolare atten-zione va posta al sistema di diffusione dell’acqua all’interno del reattore: fori troppopiccoli tendono a otturarsi, fori troppo grandi potrebbero non creare il giusto ricir-colo. Proprio a causa della polvere di carbonato, il diffusore del reattore funzionameglio se posto in verticale. Spesso in passato venivano utilizzate come materialeper il reattore di elementi delle semplici pietre di carbonato di calcio. Queste sono

Tabella 1. Dimensionamento del reattore di elementi in base al litraggio dell'acquario

DIMENSIONI ACQUARIO ALTEZZA (MM) DIAMETRO (MM)

Vasche fino a 100 l 350 100

Vasche fino a 500 l 500 120

Vasche fino a 1.000 l 600 150

Figura 3. Schema di funzionamento di un reattore dielementi efficiente. Da notare l’invito conico sullacalotta del reattore, il diffusore verticale e la pompa diricircolo posizionata lateralmente

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a oggi del tutto superate poiché non soltanto devono essere integrate con granuli dicarbonato di magnesio, ma possono trasportare con sé anche una serie di sostanzepotenzialmente dannose e derivanti dalla composizione stessa del carbonato minera-le. Questi materiali si sciolgono a un pH molto basso, circa pH 6.5-7 ed è necessarioutilizzare molta CO2 per ottenere un’acidificazione adeguata nel reattore. Si prediligo-no oggigiorno materiali disegnati esclusivamente per i reattori di elementi, con unacomposizione più completa e che permettono di integrare non soltanto carbonati, cal-cio e magnesio, ma anche stronzio e potassio. Inoltre molti di questi materiali specificiper reattori di elementi si sciolgono a un pH decisamente alto ed è possibile pertantoregolare il reattore per funzionare a pH 7.5. Meglio prediligere materiali a grana grossache assicurano un ottimale ricircolo dell’acqua nel reattore.

La praticaOra veniamo alla parte pratica: mettiamo in funzione il reattore. Caricare il reattorecon un materiale apposito (attenersi a circa i 2/3 del volume del reattore). Inserire unavalvola di non ritorno tra il regolatore di pressione e il contabolle che andrà collegatoa sua volta all’ingresso della CO2. Ricordare di riempire il contabolle d’acqua. Riem-pire il reattore di acqua di mare accendendo la pompa di alimentazione (o aprendola valvola di deviazione della risalita). Questo procedimento andrà eseguito con ilgocciolatore completamente aperto. Quando il reattore sarà pieno, far partire lapompa interna di ricircolo. Una volta spurgato il reattore di tutta l’aria residua, aprirel’anidride carbonica. Regolare manualmente la valvola a spillo per produrre pochebolle al minuto (circa una ogni secondo o ogni due secondi). A questo punto chiude-re gradualmente il gocciolatore e calcolare i litri/ora di acqua in uscita dal reattore.Inizialmente è consigliabile regolare un flusso d’acqua in uscita di circa 1 o 2 litri/ora.Settare il pH-controller a 7.7 e lasciar lavorare il sistema per 24 ore. Ricordare sem-pre di tarare la sonda del pH prima del setup e dopo ogni manutenzione al reattore.Se dopo 24 ore il pH non è stato raggiunto, aprire leggermente la valvola a spillo dellaCO2. È importante, al fine di valutare l’efficienza del reattore, calcolare la durezza car-bonatica dell’acqua in uscita: se tutto è andato a buon fine si osserverà una concen-trazione di carbonati molto più elevata rispetto a quella presente in acquario. Se laproduzione di carbonati è insufficiente per il consumo del nostro acquario si potràaumentare la quantità di acqua trattata. Ricordare che a un aumento di acqua trat-tata segue un leggero aumento dell’anidride carbonica immessa nel reattore e rego-lare la valvola a spillo di conseguenza. Tutta la regolazione del reattore di elementigira quindi intorno alla gestione del pH nel reattore cercando il giusto compromessotra flusso e anidride carbonica in base ai consumi dell’acquario.

Piccolo post scriptum: al consumarsi del materiale, cambieranno le dinamicheall’interno del reattore. È buona regola eseguire manutenzioni ogni tre mesi e rab-boccare il materiale consumato.

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Teoria e pratica del DSBIl Deep Sand Bed (DSB) è un metodo di filtrazione e gestione dell’acquario marinosia tropicale che mediterraneo. È un sistema estremamente efficiente ma nel con-tempo delicato e richiede un’attenta progettazione e alcuni accorgimenti. RonaldShimek è colui che per primo ha mostrato come costruire un DSB funzionante e neha delineato la teoria di base del funzionamento (per ulteriori informazioni, consul-tare il suo libro Sand Bed Secrets: The Common-Sense Way to Biological Filtration).La comprensione della teoria alla base del funzionamento del DSB è di fondamen-tale importanza al fine di ottenere un sistema funzionante ed evitare eventuali erroriprogettuali o di gestione nel medio e lungo termine.

Perché un DSB?Perché un acquariofilo dovrebbe scegliere di allestire un DSB? I motivi sono princi-palmente due: il primo, più ovvio, è che un acquario con sabbia è decisamente piùbello e naturale. Il secondo è che il DSB permette di allevare con successo un note-vole numero di invertebrati marini e di popolare l’acquario con una grande quantitàdi pesci grazie alle sue capacità di smaltire le sostanze inquinanti. Vi è poi un terzomotivo, che forse interesserà un numero ridotto di acquariofili, ma che non va sot-tovalutato: il DSB è un serbatoio di organismi per il mesocosmo-acquario. Questiorganismi possono essere osservati, studiati, ammirati e nel contempo possonofungere da alimento continuo per i nostri coralli. Il DSB è un sistema radicalmenteopposto al BB (Bare Bottom), acronimo che viene utilizzato per descrivere acquaricompletamente privi di sabbia, e ha una serie di similitudini con i sistemi SSB (Shal-low Sand Bed), che invece indicano acquari con uno strato sabbioso di altezzaridotta (normalmente tra 2 e 5 cm). Uno tra i tanti fattori da tenere in considerazionenella progettazione di un DSB efficiente è proprio l’altezza dello strato sabbioso.

Com’è fattoUn DSB è tale se è presente uno strato sabbioso di fondo compreso tra gli 8 e i 18cm; Shimek nei suoi testi descrive strati sabbiosi anche di 20 cm. Questa indicazio-ne è però estremamente generica perché non tiene conto della granulometria dellasabbia utilizzata per creare il DSB. Le sabbie vendute per acquariologia marina pos-sono essere delle più disparate granulometrie: dai 2 mm di diametro, per le sabbiepiù grossolane, fino alle sabbie più sottili, le cosiddette sugar size, la cui granulo-metria è all’incirca di un decimo di millimetro (tabella 1). L’altezza dello strato di sab-bia dipende direttamente dalla granulometria utilizzata; essa determina la tipologiadi organismi che andranno a popolare il fondo sabbioso. Un DSB costruito con sab-bie a granulometria troppo grande realizza condizioni per cui gli organismi che vivo-no nello strato sabbioso avranno difficoltà a muoversi. Al contempo, l’utilizzo disabbie troppo fini può comportare una certa instabilità dello strato sabbioso, alme-no nei primi tempi di maturazione dell’acquario, e questo causerà la formazione dizone in cui la sabbia tenderà ad accumularsi, formando strati molto alti, e zone incui le pompe di movimento creeranno degli avvallamenti. A seguito di alcuni studicondotti da Advanced Aquarist nel 2005, è stato dimostrato non soltanto che lacreazione di un eventuale plenum (che consiste in una zona mantenuta libera sot-

Realizzazione pratica di DSB e sistemi alternativiDELICATO MA EFFICIENTE, IL DSB È UN SISTEMA DI CONDUZIONE COMPLETO

CHE PERMETTE DI GESTIRE NEL LUNGO PERIODO UN ACQUARIO MARINO RICCO

DI PESCI E INVERTEBRATI. IMPARIAMO INSIEME COME COSTRUIRLO E COME EVI-

TARE GLI ERRORI PIÙ COMUNI

DI MIRKO MUTALIPASSI

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tostante a una grata di plastica su cui poggia la sabbia) si è rivelato del tutto inutilee alle volte controproducente ma si è evidenziato anche che DSB costruiti con unagranulometria di sabbia troppo grande causano un accumulo di fosfati in acquario.Il DSB va quindi costruito con sabbie a granulometria sottile o miscelando sabbiedi diversa granulometria. In seguito a prove da noi effettuate risulta che più la gra-nulometria è sottile, più si può ridurre l’altezza del fondo sabbioso. Nel caso di sab-bie molto sottili si può ottenere una buona capacità denitrificante anche con soli 9-10 cm di sabbia.

Tante sabbie per tanti acquari diversiSabbie fini permettono una colonizzazione migliore del fondo sabbioso ma sonomolto instabili durante la maturazione e possono impacchettarsi a seguito di sbalzirepentini di pH. Quando il fondo sarà maturo i batteri che lo popolano, secernendoun glicocalice, lo renderanno compatto. Sabbie più grossolane non soffrono diinstabilità e non renderanno l’acqua torbida ma potrebbero non essere colonizzabilida tutte le specie. Un fondo misto può aiutare a costruire un DSB funzionante e sta-bile. Inoltre, se nell’ambito acquariofilo le sabbie più vendute sono di materiale cal-careo, in realtà in mare vi sono innumerevoli tipologie di sabbie: vulcaniche, siliceee ovviamente anche calcaree. Le sabbie calcaree possono essere di origine biolo-gica, derivanti dalle spoglie di organismi calcificanti, oppure possono essere estrat-te da cave di carbonato di calcio. In quest’ultimo caso è importante conoscere l’e-satta composizione del carbonato utilizzato (le cave industriali di carbonato rilascia-no una certificazione di qualità in cui si analizza l’esatta composizione del materialevenduto). Qualunque sia l’origine e la composizione delle sabbie è importante spe-cificare che per la costruzione del DSB la natura del sedimento è poco importante:esso funzionerà a prescindere dal materiale usato, l’importante è che la sabbia siainerte e non rilasci sostanze in acquario. Non tutti i materiali utilizzati si comportanoallo stesso modo e, sostanze diverse, hanno differenti interazioni con il mesoco-smo-acquario (tabella 2). L’aragonite è il materiale più utilizzato e sicuramente unodei più consigliabili: a fronte di un elevato prezzo risulta essere un materiale ottimalepoiché riesce a stabilizzare il pH (l’aragonite inizia a sciogliersi a pH = 7.7). Inoltre,essendo raccolta in mare, i granuli di sabbia sono sferici e questo comporta una

Tabella 1. Come scegliere la granulometria della sabbia per preparare il proprio DSB

GRANULOMETRIA ALTEZZA PRO CONTRO(MM) DELLO STRATO

SABBIOSO (CM)

< 0.4 8-12 Colonizzazione facilitata. Maturazione molto lunga. Poca sedimentazione Instabilità del fondo sabbioso. di materiale organico Possibile impacchettamento tra i granuli 0.4-0.8 10-15 Buona colonizzazione. Maturazione ridotta rispetto alle Ridotta sedimentazione granulometrie inferiori. Ridotto rischio di impacchettamento

> 0.8 12-18 Maturazione batterica Servono strati di sabbia più alti. più breve. La colonizzazione può, alle La sabbia non si granulometrie più grandi, essere impacchetta rallentata. Ridotta capacità di denitrificazione

Miscela di sabbie: ~12 Ottimo compromesso È importante miscelare beneparti uguali di sabbia tra maturazione la sabbia prima di preparare fine (0.2 mm), sabbia e popolamento bentonico il fondo sabbioso intermedia (0.5 mm) e sabbia più grossolana (1 mm)

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Tabella 2. Vantaggi e svantaggi dei principali tipi di sabbia

TIPOLOGIA VANTAGGI SVANTAGGI NOTEDI MATERIALE

Aragonite Granuli a bordo Costo elevato I granuli levigati migliorano levigato. la colonizzazione da parte Ottimo buffer pH degli organismi bentonici

Carbonato Costo ridotto. Granuli a bordo tagliente. Granuli con margini taglienti.di cava Discreto buffer pH Rischio Potenziale difficoltà impacchettamento di colonizzazione

Sabbie silicee Costo ridotto. Possibilità Nessun buffer pH Le sabbie silicee sono di ottenere fondi sabbiosi inerti a pH marino dai colori più disparati

Sabbie Colori. Differenti Potenziale rilascio di Scegliere sabbie vulcaniche composizioni metalli pesanti. Costo commerciali sicure chimiche potenzialmente elevato

migliore colonizzazione del DSB da parte della fauna bentonica che può muoversipiù liberamente nel fondo sabbioso. L’utilizzo di sabbie derivanti da cave di carbo-nato di calcio è molto dibattuto. Il carbonato costa poco e non è poi così diversocome materiale dall’aragonite ma la differente struttura cristallina del carbonato dicava riduce la capacità di stabilizzare il pH. Inoltre, essendo sabbia creata da maci-natura meccanica della roccia, i bordi di ogni singolo granello risultano acuminati etaglienti e le irregolarità dei singoli granelli ne aumentano l’impacchettamento eriducono il movimento degli organismi nel fondo sabbioso. Le sabbie silicee posso-no essere tranquillamente utilizzate per creare il proprio DSB: sono economiche ecompletamente inerti al pH marino. E proprio perché inerti, non hanno nessunacapacità di stabilizzare il pH. Consigliamo di scegliere comunque sabbie naturali enon macinate. Per quanto riguarda le sabbie vulcaniche, il loro utilizzo è in aumento.Sono di varia natura e composizione e alcune grandi aziende ne distribuiscono diprovenienti da tutto il mondo: Hawaii, Tahiti, Fiji, Bahamas ecc. ciascuna con le pro-prie caratteristiche sia cromatiche, che di composizione chimica e di granulometria.L’uso di tali sabbie è del tutto sicuro, essendo testate da migliaia di acquariofili intutto il mondo, e aggiunge quel tocco di novità ai nostri acquari. In taluni casi, adesempio, l’utilizzo di sabbie nere può portare a una esaltazione della colorazione deicoralli LPS in acquario mentre, a nostro parere, è sconsigliabile in acquari di SPSove il riflesso della luce sulla sabbia chiara può aiutare la diffusione luminosa anchein aree poco illuminate (ad esempio alla base di grandi colonie di Acropora sp.). Evi-tare di prelevare le sabbie vulcaniche direttamente in mare: oltre a essere illegale inItalia, se non si è provvisti di apposita autorizzazione, l’inquinamento dei nostri lito-rali è un parametro da tenere in considerazione.

Gli organismi che vivono nel fondoLa presenza di una varietà di organismi all’interno del fondo sabbioso è di partico-lare importanza per la buona riuscita di un DSB funzionante. Difatti, se la circolazio-ne dell’acqua all’interno di un fondo sabbioso sterile o mal popolato è ridotta onulla, in presenza di organismi bentonici le dinamiche cambiano completamente.Per quanto la colonna d’acqua possa essere rimescolata, tale rimescolamento inte-ressa solo la parte più superficiale dello strato sabbioso: a conti pratici non vi è unreale scambio tra l’acqua e le porzioni più profonde del DSB. Gli organismi che vivo-no nel fondo al contrario aiutano il rimescolamento delle sabbie e, creando cunicoli,permettono una certa diffusione delle sostanze inorganiche nel fondo. Al contempotali organismi, cibandosi del detrito organico, permettono una re-mineralizzazionerapida di tale detrito evitando la formazione di fanghi anossici e ricchi di fosfato. Inun DSB ricco di vita e ben funzionante (figura 1) si osserva la formazione di aree adiversa concentrazione di ossigeno: una zona aerobica (ricca di ossigeno) a contat-to con l’acqua, una zona intermedia, ipossica, a ridotta concentrazione di ossigenoe una zona anossica più in profondità. Nella zona aerobica si concentrerà la mag-

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Figura 2. Schematizzazione dei processi batterici all’interno dello strato sabbioso. Nella zona aerobica viene remineralizzata la sostanza orga-nica. L’ammoniaca prodotta viene ossidata dai batteri aerobi in nitrito e poi in nitrato. Il nitrato viene utilizzato dagli strati profondi per laproduzione di azoto gassoso che tende ad allontanarsi dal sistema

gior parte degli organismi bentonici: copepodi, vermi piatti, anellidi ecc. Alcuni diquesti organismi sono parzialmente adattati ad ambienti ipossici e possono farerapide “incursioni” nello strato intermedio. Anche le popolazioni batteriche si strati-ficano nello strato sabbioso: batteri aerobici negli strati più alti e anaerobici in quelliinferiori. Si crea quindi una rete trofica in cui i batteri aerobici degradano la sostanzaorganica e ossidano i composti azotati, batteri aerobici facoltativi fissano il fosfato,batteri anaerobici negli strati profondi distruggono il nitrato trasformandolo in azotoatmosferico, una serie di alghe (diatomee e cianobatteri) utilizzano i nutrienti prodot-ti e tutta la microfauna associata che distrugge il detrito o si alimenta delle patinebatteriche e algali. La microfauna è il collegamento tra il sistema acquario e la retedel detrito nel sedimento. È importante comprendere come tali dinamiche ecologi-che siano fondamentali per il funzionamento del sistema DSB e per lo smaltimentodella sostanza organica prodotta dal resto dell’acquario (figura 2). A differenza diquanto accade per il nitrato, che può essere convertito in azoto atmosferico dai bat-teri presenti negli strati più profondi del DSB, il fosfato non può essere convertito informa gassosa in acquario. In acquario il fosforo precipita facilmente in presenza diioni metallici e lo si ritrova principalmente come fosfato ferrico, Fe(III). Negli stratiintermedi del DSB vi sono popolazioni di batteri che in condizioni anaerobiche pos-sono accumulare fosfato nelle proprie cellule (e quindi nel sedimento) come polifo-sfato. Tali batteri sono detti PAOs (Polyphosphate-accumulating organisms). Si con-siglia in ogni caso di filtrare costantemente con sostanze adsorbenti a base ferrosa.

Figura 1. DSB funzionante e maturo. Negli strati superficiali una grande quantità di organismi si alimenta di detrito organico e di patine bat-teriche e algali. Nella zona aerobica vi è uno sviluppo di batteri aerobici nitrificanti. Più in profondità, nella zona ipossica e nella zona anae-robica vi sono, rispettivamente, una produzione di fosfato insolubile e di azoto gassoso

Zona aerobica

Zona anaerobica

Zona ipossica

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MaturazioneLa maturazione del DSB è fondamentale per il buon funzionamento del nostroacquario. Acquari provvisti di DSB richiedono tempi di maturazione sensibilmentepiù lunghi rispetto ad acquari gestiti con il metodo berlinese. Un acquario con DSBsi può dire maturo dopo 8-12 mesi dall’avvio. Nei primissimi mesi si osserva neglistrati più superficiali una proliferazione di alghe filamentose, diatomee e cianobatteri(figure 3 e 4). La sabbia è molto instabile poiché il glicocalice non è ancora formatoe bisogna fare molta attenzione all’orientamento delle pompe di movimento al finedi evitare che il flusso d’acqua generato possa modificare l’altezza dello strato sab-bioso. Durante il primo anno, se da un lato è possibile inserire tutta una serie di

organismi (siano essi vertebrati o invertebrati), è importante che nessuno di questipossa andare in alcun modo a disturbare lo strato sabbioso: nessun organismodeve essere in grado di perturbare gli strati sabbiosi, rimescolandoli o alimentandosidella microfauna residente. È importante a questo proposito sottolineare come l’as-senza di predatori di microfauna sia essenziale per il mantenimento di un DSB fun-zionante. È da evitare quindi l’inserimento di pesci “mangiatori di sabbia” come lespecie del genere Valenciennea o Signigobius biocellatus. Durante la maturazione èaltresì importante evitare l’inserimento di grossi crostacei (ad esempio del genereLysmata o Rhynchocinetes) e della maggior parte dei paguri (sono ammessi piccoliClibanarius erbivori). Da evitare (almeno per il primo anno) anche le stelle insabbia-trici (genere Archaster) e alcune lumache (genere Nassarius) e tutti gli organismiinsabbiatori di grosse dimensioni, siano essi cetrioli di mare o grandi labridi. È pos-sibile inserire in acquario tutti quei labridi che non si insabbiano (ad esempio Pseu-docheilinus hexataenia, la maggior parte dei Cirrhilabrus), mentre labridi del genereHalichoeres andrebbero evitati (tabella 3).

Figura 3. Un DSB in maturazione: i primi organismiiniziano a colonizzare gli strati sabbiosi più superfi-ciali. Le gallerie aiutano la “diffusione” all’internodello strato sabbioso

Figura 4. Un DSB in maturazione. Diatomee e alghe filamentose popolano lo stratopiù superficiale. Pochissimi organismi hanno popolato lo strato sabbioso

Zona aerobica

Zona anaerobica

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Tabella 3. Tabella riassuntiva per la maturazione di un acquario marino con DSB

MESI FASE FONDO INVERTEBRATI VERTEBRATI DI MATURAZIONE AMMESSI AMMESSI

0-3 Prima Fondo non stabile. Lumache Piccoli pesci maturazione Proliferazione di diatomee erbivore e ricci non bentonici e filamentose sulla superficie del DSB

3-6 Stabilizzazione Il glicocalice batterico inizia Clibanarius, Labridi del fondo a stabilizzare il fondo. Lysmata. non insabbiatori. Frequenti proliferazioni Inserimento Acanthurus cicliche di cianobatteri. di coralli molli e Pomacanthus Regressione delle e dei primi LPS di piccole filamentose e delle diatomee. dimensioni Primi “tunnel” nella sabbia

6-12 Denitrificazione Fondo stabilizzato Coralli SPS. Possibile efficiente. Rare dal glicocalice batterico. Montipora inserire pesci proliferazioni Si osservano numerosi e Seriatopora di dimensioni cicliche di “tunnel”. Assente il detrito sono consigliabili maggiori cianobatteri nei primi strati di sabbia. come primi SPS Numerosi spaghetti-worm per testare colonizzano il DSB negli il sistema strati più superficiali. Popolazioni batteriche ben distribuite negli strati sabbiosi

12-24 Sistema stabile Assenza di cianobatteri Synchiropus, e funzionante sullo strato più superficiale. Anthias e altri Le popolazioni batteriche pesci delicati sono distribuite nello strato sabbioso. Numerose bolle di azoto negli strati profondi

Alternative innovativeUna buona alternativa alla costruzione di un DSB direttamente in acquario è rappre-sentata dal RDSB (Remote Deep Sand Bed). Il DSB remoto (figura 5) non è altro cheuna vasca secondaria, di servizio, in cui si andrà a inserire lo strato di sabbia. La vascaremota, in modo non dissimile da quanto già visto su sistemi con filtri ad alghe o refu-gium, funzionerà con un carico e scarico dedicati. La pompa di carico dovrà esseresufficiente ad assicurare un movimento sostenuto (a seconda delle dimensioni del-l’acquario remoto) e lo scambio tra il RDSB e la vasca sump. La dimensione del RDSBdeve essere di almeno il 20% delle dimensioni dell’acquario. Il DSB remoto non deveessere illuminato. La mancata illuminazione del DSB ne velocizza la maturazione edevita la formazione di diatomee e cianobatteri negli strati più superficiali.

Figura 5. Un acquario con DSB maturo a cui è collegato un DSB remoto. Il DSB remoto può funzionare anche da refugium

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Necessità della “croce”Nell’acquario marino, come in quello d’acqua dolce, dobbiamo fronteggiare solu-zioni più o meno complesse e calcolare, talvolta, il risultato di una diluizione. Nel-l’acquario marino questo problema è più frequente di quanto si pensi e, ove non sidesideri procedere per tentativi successivi (cosa che ci farebbe impazzire prima dicompletare l’opera) sarà necessario calcolare a mano il risultato delle nostre opera-zioni. In realtà esistono siti web che permettono di eseguire calcoli di questo tipo,ma non sempre è facile raggiungerli e poi bisogna accendere il computer… inserirei dati… Non è più facile usare la croce di Sant’Andrea?Si tratta in realtà di un metodo grafico estremamente semplice e altrettanto pratico,che ci permette di ottenere il titolo finale di una soluzione partendo da due soluzionidiverse.

Un problema pratico, come esempioSupponiamo ad esempio di voler preparare della comune acqua di mare per l’ac-quario tropicale, partendo però da acqua di mare prelevata in Mediterraneo. Nonentreremo nella discussione sul fatto che una tale operazione sia utile, dannosa,conveniente, proibita o necessaria. Si potrebbe infatti a lungo considerare i pareri divari autori che considerano i sali marini l’unica soluzione possibile per evitare diinquinare il nostro acquario prima di iniziare, e di quelli che invece considerano lacomplessità della miscela salina naturale un fattore indispensabile per l’allevamentodi specie molto esigenti. Supponiamo semplicemente di volerlo fare, dimentican-do… i retroscena. Come procederemmo?Innanzitutto dobbiamo considerare la salinità media del Mediterraneo: circa 36-37per mille. Supponiamo di usare dell’acqua demineralizzata per effettuare questa

Diluizioni e croce di Sant’Andrea

UN PROBLEMA CHE SI PRESENTA SPESSO AL NEGOZIANTE È CALCOLARE RAPI-

DAMENTE IL TITOLO FINALE DI UNA SOLUZIONE. COME SI OTTIENE ACQUA AL 32

PER MILLE PARTENDO DA ACQUA MEDITERRANEA? COME SI ABBASSA IL CONTE-

NUTO DI NITRATI SINO A LIVELLI ACCETTABILI? CI AIUTA UNA FORMULA PRATICA

Anche calcolare la quantità e la concentrazione di una sospensione di alimento per invertebrati dautilizzare per una pompa dosometrica può richiedere il ricorso ai calcoli della Croce di Sant’Andrea

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operazione, quindi a una salinità nominale pari a zero. La domanda che ci poniamoè: quanta acqua distillata dovrò aggiungere per ogni litro d’acqua di mare, per otte-nere una salinità del 32 per mille?Come già detto, potremmo provare a “titolare” la soluzione, mettendo l’acqua inuna vasca, ponendo nella stessa a galleggiare un densimetro e poi aggiungendopiccole dosi di acqua dolce. Provare per credere: ci riuscirete (forse) solo dopo ore.Il motivo è semplice. Innanzitutto la soluzione si miscela lentamente e le piccolevariazioni ci traggono in inganno. Poi la densità non è direttamente proporzionalealla salinità perché è funzione anche della temperatura. Molto probabilmente quindiosserveremo delle oscillazioni, che ci costringeranno ad aggiungere un poco d’ac-qua dolce… poi ancora un poco di sale… per un tempo noiosamente lungo!

Una soluzione matematica molto semplicePer usare una croce di Sant’Andrea dovremo costruire uno schema come quellodella figura 1 (oppure usare le risorse che si trovano in rete). Complessa a vedersi,la croce è di una semplicità estrema. A sinistra ci sono due riquadri gialli: in questisegneremo la concentrazione delle due soluzioni A e B di partenza, dunque, salinità0 per l’acqua demineralizzata e salinità 36 per mille per l’acqua prelevata in Medi-

terraneo (come valore di riferimento). Al centro segneremo invece la salinità chevogliamo raggiungere, supponendo che essa sia pari al 32 per mille. Per calcolare ivalori nei due riquadri gialli sulla destra, che indicano le proporzioni dei due liquidida miscelare, dovremo semplicemente calcolare il valore assoluto della differenzatra i valori a sinistra e quello al centro, seguendo le frecce. In pratica, in alto a destraleggiamo un valore 32 (32 – 0 = 32). In basso a destra leggiamo 4 (36 - 32 = 4). Que-ste due proporzioni ci dovranno guidare nella preparazione della miscela. Pertanto,miscelando 32 ml di acqua al 36 per mille con 4 parti di acqua demineralizzata (0per mille) otterremo la soluzione alla salinità desiderata! Semplice no?Tuttavia è molto probabile che non desideriamo preparare solo 36 ml di acqua edovremo pertanto eseguire un altro piccolo calcolo, illustrato in basso nella stessafigura. Imposteremo la proporzione indicata nella prima riga, ovvero, le parti delliquido A riportate a destra (32) stanno al totale dei due valori a destra (A + B) comeX (che è il valore che ricerchiamo) sta al volume finale che desideriamo ottenere.Supponiamo che tale volume sia pari a 1000 (litri, millilitri o qualsiasi altra misurache possiate immaginare). Sostituendo questi valori si ottiene la seconda riga illu-

Figura 1. Calcolo delle quantità di acqua da miscelare per ottenere una salinità del 32 per mille partendo daacqua mediterranea al 36 per mille e acqua demineralizzata. I valori di partenza sono riportati nei due riquadrigialli a sinistra. Il valore da raggiungere è riportato nel riquadro al centro. Le proporzioni dei due liquidi damiscelare sono calcolate nei due riquadri gialli a destra. In basso la proporzione ci permette di calcolare le quan-tità dei due liquidi da miscelare per ottenere 1000 ml di volume finale

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strata in figura e risolvendo la proporzione come nella terza riga otteniamo 32 x1000 : 36 = 889. Questo è il valore che volevamo conoscere. Dovremo allora versarein un recipiente circa 889 ml di acqua di mare mediterranea e poi portare a 1000 mlcon acqua distillata (servono 111 ml di liquido puro) per arrivare alla salinità deside-rata che avevamo impostato al centro della croce: 32 per mille. Se ora proveremo amisurare la densità dei due liquidi potremo stupirci di alcune piccole deviazioni dalleaspettative. Derivano, come sopra illustrato, dalla relazione complessa tra salinità,densità e temperatura. Tuttavia i valori saranno molto prossimi a quelli attesi epotremo così allestire il nostro acquario tropicale diluendo dell’acqua mediterra-nea… o viceversa.

Diluiamo i fosfatiLa stessa formula ovviamente può essere utilizzata per calcolare qualsiasi altro fat-tore di diluizione con identico procedimento. L’importante è che si parta da duesoluzioni con titolo diverso e noto. Tanto per esercitarci, supponiamo di misurarenell’acquario del cliente una concentrazione di fosfati pari a 20 mg/l. Un valore tanto

Figura 2. Calcolo dell’acqua da sostituire per ottenere un valore di fosfati di 2 ppm (indicato al centro) partendoda acqua inquinata con 20 ppm di fosfati (a sinistra) e acqua distillata con concentrazione di fosfati pari a zero.A destra sono indicate le proporzioni dei due liquidi da miscelare. In basso nella tabella, grazie alla proporzionecalcoliamo la quantità di acqua da sostituire (90 l) e quella da lasciare (10 l) per portare il nostro acquario da100 l alla concentrazione desiderata

Il cliente richiede risposte precise per mantenere in perfetto stato il proprio acquario. La croce di Sant’Andrea ci permette di evitareerrori dovuti ad approssimazioni e perdite di tempo dovute a tentativi di procedere empiricamente per la correzione dei valori

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elevato spiega facilmente la proli-ferazione di alghe lamentata dalcliente e necessita un’immediatacorrezione (oltre a un controllo delfiltro). Il quesito è: quanta acquadovrò sostituire per riportare laconcentrazione dei fosfati a 2mg/l e limitare così la crescitadella alghe? Potremmo azzardareun cambio parziale del 50 percento. Ma siamo certi che il clien-te non torni indietro lamentandoche il problema non è stato risol-to? Occorre essere più precisi.Allora usiamo la croce di Sant’An-drea per offrire il suggerimentogiusto (figura 2). Le variabili daconsiderare sono le solite: con-centrazione di partenza, concen-trazione nel liquido da diluire econcentrazione finale che voglia-mo ottenere, oltre al volume totaledel liquido considerato. Suppo-niamo che il cliente abbia unacquario da 100 l. Ora tutte levariabili necessarie sono stabilitee possiamo riempire il nostroschema grafico. Non ripeteremole spiegazioni perché sono identi-che a quelle sopra definite per lasalinità. Si noterà comunque cheabbiamo inserito a sinistra i valoridi partenza (20 mg/l di fosfati ini-ziali e 0 mg/l la concentrazionedell’acqua demineralizzata da usare per i cambi) e al centro la concentrazione desi-derata (2 mg/l di fosfati). Abbiamo inoltre inserito un valore di 100 l come volumetotale nella seconda riga della tabella. Il risultato è molto semplice: potremo lasciarenell’acquario solo 10 l dell’acqua originale perché per ottenere il risultato desideratooccorre sostituire 90 l con acqua demineralizzata. Si noterà che il sistema ci aiuta a prendere le decisioni giuste: meglio sostituire 90l d’acqua, conservando comunque una concentrazione noiosa di 2 ppm di fosfati,oppure spostare pesci e invertebrati e operare un cambio totale di 100 l? Probabil-mente opteremo per la seconda soluzione, perché conservare solo 10 l e rimanerenel problema appare una soluzione poco pratica. Il cliente otterrà la risposta corret-ta e potrà orientarsi nella soluzione.

Altri calcoli possibiliCon lo stesso sistema potremo calcolare quanti litri d’acqua demineralizzata dob-biamo aggiungere a una certa quantità di acqua di rubinetto per ottenere un deter-minato KH, oppure quanta acqua va sostituita per raggiungere una determinataconcentrazione di nitrati, evitando tentativi e operazioni inopportune. Potremo, dipari, calcolare la concentrazione finale di un alimento partendo da determinate dosidi cibo liquido aggiunto a un contenitore da usare per la pompa dosatrice, oppurela concentrazione di fitoplancton da aggiungere per ottenere determinati risultatioperativi con i coralli.Si tratta quindi di un sistema pratico che potrà accompagnarci nel lavoro quotidia-no. Basterà copiare le figure di queste pagine e sostituire i propri valori di riferimen-to, il risultato desiderato e il volume d’acqua da trattare. Dopo aver inserito i vostridati in tabella, per eseguire i semplici calcoli… usate la calcolatrice.

Nel caso di piccoli acquari diviene più facile procedere “a tentoni”. Tuttavia la sem-plicità dei calcoli da eseguire, dopo qualche tentativo di prova, dimostra che non nevale la pena, essendo possibile raggiungere soluzioni precise in pochi secondi usandole tabelle pubblicate in questo articolo

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Quale regalo migliore per i nostri lettori di un’intervista al famoso Jake Adams, editordel notissimo blog Reefbuilders (reefbuilders.com) e professionista degli acquari?Laureato in scienze marine in Colorado, è divenuto rapidamente un punto di riferi-mento per chiunque si occupi di barriere coralline. Non servono lunghi preamboliper spiegare il calibro internazionale del nostro ospite. Passiamo subito, quindi, alcontenuto dell’intervista, per non rubare spazio ai “segreti” e ai saggi suggerimentiche vorrà elargire ai professionisti italiani del marino tropicale.

Domanda: Quali ritiene che siano le principali differenze tra un acquario per SPS etutti gli altri?Jake Adams: Classicamente le vasche SPSnella mia mente hanno acqua molto bassa, per-ché cerchiamo di replicare l’area di un reef cheha molta luce e corrente veloce. Questo ambien-te è caratterizzato anche da una durata del gior-no più lunga, se comparata con profondità mag-giori e da uno spettro completo di radiazioni,rispetto al mare più profondo. Queste aree sonoinfine caratterizzate da bassi livelli di nutrienti.

D.: Quali sono a suo avviso le specie di coralliSPS più difficili da mantenere in acquario?J.A.: Questa è una domanda difficile, perchésono tante le specie. Secondo me, tuttavia, èAcropora tutuilensis, che proviene da barriere incui il flusso dell’acqua procede in una direzioneper sei ore e poi si inverte. È uno dei miei corallipreferiti, con pochissimi rami fusi, e ci permettedi realizzare un acquario SPS… al quadrato! AltriSPS possono vivere bene in acquari in cui A.tutuilensis non potrebbe rimanere a lungo. Laconsiglio vivamente a tutti gli acquariofili espertiche abbiano voglia e sufficiente preparazioneper affrontare questa impresa.

Intervista a Jake Adams

DI MIRKO MUTALIPASSI & VALERIO ZUPO

JAKE ADAMS

More than half of my life has been devoted to all

things coral. From growing them and watching

them intimately everyday in aquariums, to

studying them formally in college, to diving in

remote locations to discover corals and

consulting for new and existing corals farms;

every aspect of my life has something to do with

the deep understanding of corals.

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D.: Bene, proseguendo sullo stesso tema, allora, come dovremmo disporre le Acro-pora in acquario? Quali sono i suoi consigli in merito ad acclimatazione, allopatie ecompatibilità?J.A.: La cosa più importante è osservare. Non importa quali linee guida io potreioffrirvi, o quali consigli mi sentirei personalmente di dare. Osservate! Noi tutti dob-biamo sempre usare il nostro critico potere di osservazione per determinare lerisposte e lo stato di salute di un corallo. Intuitivamente sappiamo tutti che corallicon rami robusti necessitano di crescere più in alto, mentre i coralli a rami sottilipossono vivere meglio nelle zone più profonde del reef. Tuttavia, ancora una volta, io potrei dare i miei suggerimenti e altri professionistipotrebbero dare consigli diversi... ma la cosa davvero importante è osservare, per-ché l’utente deve trovare le proprie personali risposte in base alla peculiare strutturadel suo acquario.

D.: Cambiamo per un attimo argomento, perché vorremmo chiederle cosa dovrem-mo scegliere per la gestione del reef: DSB, shallow sand bad o fondo liscio per unacquario di Acropore, ad esempio?J.A.: Non c’è dubbio: nessun substrato. Non c’è discussione su questo. In tutto ilmondo, gli esperti consigliano un acquario senza fondo e in America i più begliacquari di questo tipo sono allestiti senza sabbia sul fondo. Ci hanno venduto peranni l’idea che un acquario necessiti di tanta superficie di attacco per i batteri. Tut-tavia, i batteri sono molto resilienti e riescono facilmente a trovare un posto decenteper vivere. Quando passeggi vicino a una barriera corallina ti rendi conto di quanta luce vi giun-ga e di quanto basso sia il livello, ma quando vedi un acquario ti rendi conto diquanta meno superficie di contatto abbia, di quanto in paragone sia più profondo.Quindi la sabbia è una trappola emozionale, perché sembrerebbe che abbiamobisogno di sabbia per realizzare un reef “naturale” eppure guardando la barriera cirendiamo conto che i coralli non crescono “sulla sabbia”. Perché allora dovremmoaggiungerne nella nostra vasca? Quando vedi tanti coralli “felici di crescere” ti rendiconto che la sabbia più vicina è distante diversi chilometri! Peraltro, con un acquariocontenente tanta sabbia, dovremmmo contenere il flusso idrico, mentre noi voglia-mo ottenere esattamente il contrario, nel reef ideale. Quindi non si discute: nientesabbia!

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D.: Lei sta dunque proponendo un concettofondamentale, che siamo certi sarà apprezza-to dai nostri lettori. Passiamo allora ad unaltro argomento centrale: nel caso dell’UltraLow Nutrient System (ULNS) qual è il rap-porto ideale per dosare il carbonio organicoin una vasca SPS?J.A.: ULNS è una base di lavoro che non esi-ste. So che in Europa c’è un forte trendverso i coralli poco colorati mentre in Ameri-ca si preferiscono le specie molto colorate.Io propendo per un bilanciamento dei dueestremi. D’altra parte, non si può dire che ilreef sia “ultra low”. Nelle aree con così pochinutrienti non cresce nulla. Quando discutia-mo di ultra-low, in genere, parliamo di partiper milione o di parti per miliardo. Ma in qualiaree troviamo davvero questi valori, in natu-ra? Anche negli oceani non vengono mairaggiunti. In linea generale direi che non houna preferenza personale e che bisognaanche in questo caso basarsi sulle proprieosservazioni. Tuttavia, a titolo di indicazionepersonale, io direi che non è una buona ideaperché i coralli sembrano poco colorati epoco in salute in queste condizioni. Se vuoidei coralli dai colori vivaci, non puoi usare questa strategia.

D.: Ottimo punto! E cosa ci suggerisce ora in merito ai biopellets?J.A.: Ci sono molti modi di gestire i nutrienti. Una delle principali ragioni dell’uso deibiopellets è che si usa un letto sabbioso che cattura molti nutrienti e allora si neces-sita di qualcosa che “aggressivamente” permetta di accumulare altri nutrienti. Nellamia esperienza non uso sabbia e quindi non ho questo problema. Io riesco a otte-nere un basso contenuto di nutrienti senza usare biopellets e senza usare sabbia.Personalmente ritengo che i biopellets siano molto più adatti alla vasca per solipesci o comunque per la vasca reef con una popolazione di pesci molto consisten-te. Quindi, invece di usare reattori, meglio usare una soluzione del tipo NO-POX, piùadeguata a un reef.

D.: Questo ci conduce dritti alla prossima domanda: meglio i reattori di calcio o lepompe peristaltiche per mantenere un adeguato bilanciamento della “triade” Ca-Mg-KH? Quali sono a suo avviso vantaggi e svantaggi delle due soluzioni?J.A.: La cosa interessante è che i reattori di calcio, in realtà, aggiungono veramentemolto poco calcio all’acquario! I reattori di calcio sono semplici pompe di alcalinità.Mi rendo conto che la cosa appare confusa. Tuttavia i reattori di calcio offrono dav-vero potenzialità tali che li rendono inadatti a funzionare da soli. La decisione dipen-de dalla taglia del proprio acquario. Le pompe dosatrici sono davvero tanto piccolee comode da essere ideali per vasche piccole e medie. In questo modo si possonoevitare anche troppi cambi. Per grandi acquari ricchi di coralli è più appropriatousare i reattori, insieme a dosaggi corretti di Kalkwasser.

D.: Passiamo a un argomento diverso: come possiamo stimolare opportunamente lariproduzione sessuale delle Acropora e di altri SPS in acquario?J.A.: Questa è davvero una domanda… da esperti! Io sono dell’opinione che lariproduzione sessuale sia importante per il ripopolamento in natura dei coralli e peraumentare la biodiversità morfologica. Mediante questo sistema otteniamo nuoviceppi, colori, varietà. Comunque se vogliamo ottenere una riproduzione sessuale, ilsegreto è di utilizzare coralli grandi e vecchi. Perché, per esempio, la propagazionedei giovani avviene solitamente asessualmente, mentre gli individui più vecchi si

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riproducono sessualmente. I frammenti giovani tendono semplicemente a espan-dersi per via vegetativa. Nel caso dei coralli… il sesso è roba da vecchi!

D.: E cosa pensa delle rocce? Meglio le artificiali o le naturali?J.A.: Questa domanda va molto più avanti nel discorso della sabbia di poc’anzi. Lamia opinione è che non ci siano ragioni di trovare superficie per i batteri tra le rocce.Quindi, le rocce non devono necessariamente essere porose. A me piacciono dicerto alcune rocce sintetiche, non porose, che possono permettere di costruirearredamenti interessanti e nel contempo di avere delle rocce naturali nella sump.Però, al di là della porosità, consiglio sempre rocce naturali, specialmente se“morte”. Io inizio sempre l’allestimento di un acquario usando rocce naturali, mamorte. Sempre! Le più pulite, perché tutto quello che cresce sulle rocce e non è uncorallo, compete con i coralli per alimento, luce, energia ecc. Quindi direi rocce sec-che, morte, prive di potenziali parassiti, ma naturali, come ottimo substrato per icoralli, tali da migliorare nel complesso la biologia dell’acquario.

D.: Ora un argomento di più ampia attualità: quali sono a suo parere gli errori più fre-quenti del negoziante specializzato che tratta coralli vivi?J.A.: Io non credo di essere in grado di definire un chiaro concetto di errore. I nego-zianti non fanno errori tecnici… di default. Ma c’è un errore formale, comune a tutti glioperatori commerciali che si occupano di acquari, che consiste nella loro scarsasocialità. I proprietari e i collaboratori, nei negozi di acquari, protestano sempre l’unocon l’altro, poi contestano gli esperti, si lamentano con i clienti e infine esprimono ilproprio malcontento anche contro internet. La verità è che niente resta sempre lostesso. La vita cambia e le rivoluzioni nel nostro settore sono continue, ma non dob-biamo essere crucciati per il cambiamento. Si può vedere un profitto nel cambiamentoe non solo assistere a esso. Se mettessimo da parte le questioni sociali ed economichee diventassimo tutti più flessibili e più “amici l’uno dell’altro” potremmo costruire dellegrandi cose, come è accaduto di recente in Colorado. Similmente, tutti i negozianti diacquari che operano a Orlando sono stati invitati a un recente evento sugli acquari e,quando si sono incontrati, sono riusciti a costruire insieme un nuovo modo di coope-rare. E questa è stata la loro migliore mossa, l’aiutarsi l’un l’altro per fare massa criticanei confronti del governo, degli ambientalisti e del resto del mondo esterno.

D.: Ci pare un punto di vista assolutamente condivisibile e auspicabile anche per ilnostro paese. Tornando alle tecnologie, cosa suggerisce in merito al flusso idrico inuna vasca SPS? Esistono metodi per ottenere un movimento ottimale, magari utiliz-zando le tecnologie crossflow?J.A.: Maggiore movimento... tanto meglio. Quando ero nella scuola di scienze mari-ne ho disegnato un sistema ideale di flussi e la grande limitazione negli acquari con-siste nell’eccesso di rocce. L’acqua deve muoversi bene nell’intera vasca. Io ancorauna volta suggerisco di osservare cosa accade nella vasca. La gente ama fissaredei valori numerici in merito al turnover per ora, i litri d’acqua e i ppm di magnesio.Questi numeri sono assolutamente inaccurati, a causa delle enormi variazioni che siosservano anche in natura. Guardate il vostro acquario senza rocce e senza coralli:l’acqua si deve muovere bene. Ora aggiungete rocce e coralli. Si deve muovereugualmente. Se non lo fa, significa che il movimento è insufficiente! Usando unapompa crossflow si riesce a ottenere un movimento ideale anche tra le rocce acausa di una minore frizione in superficie. Questo comunque è un hobby e nonvogliamo ricette buone per tutti gli usi. Ognuno deve trovare il proprio equilibrio per-sonale mediante l’osservazione: ogni “dolce” ha una sua propria ricetta!. Dunquenon vi fidate dei numeri, ma osservate. Sempre tenendo presente comunque che ilflusso stimola la crescita e deve essere elevato, se vogliamo vedere i coralli cresce-re. In ogni caso, osservando il reef, si nota che ha un flusso molto elevato in alcunezone, mentre in alcune aree e in alcune ore il flusso è quasi nullo. In un acquario bencongegnato l’acqua dovrà continuamente muoversi per evitare accumuli di detritoorganico in qualsiasi parte della vasca. In definitiva, il flusso d’acqua è molto piùimportante per la salute dell’acquario che per la salute dei coralli.

D.: Seguendo questo ragionamento, ci chiediamo come veda lei la presenza di alghenell’acquario di barriera...J.A.: Semplicemente non la vedo! Qualsiasi cosa che cresca nell’acquario sta com-petendo con i coralli. Persino i batteri competono, esattamente come le alghe.Vogliamo essere coltivatori di coralli o di alghe? D’altra parte anche in questo casodobbiamo procedere in base alle nostre osservazioni. Talvolta vedi un acquario conevidente eccesso di nutrienti ed esclami: questo acquario ha bisogno di un algalscrub. Altre volte vedi una vasca con eccesso di produzione vegetale e concludiche non è equilibrata. Osservare e agire di conseguenza permette di ottenere unambiente equilibrato.

D.: E cosa pensa dei LED? Si possono usare con vantaggio nell’acquario di bar-riera?J.A.: Abbiamo tantissimi acquari di reef che usano LED. Si tratta di una pompa diluce e produce radiazioni esattamente come qualsiasi altra fonte. Per me comunquel’ideale è il Royal blue ad una lunghezza d’onda con picco a 450 nm, che costituisceil fondamento perché centra il picco di assorbimento dei coralli. Quindi permette difornire l’energia giusta per la crescita dei coralli senza sprechi, ne stimola la crescitaed esteticamente fornisce la migliore fluorescenza degli animali.

D.: Altri consigli per il negoziante specializzato?J.A.: Il migliore suggerimento che potrei dare al negoziante è di non usare tanti pic-coli frammenti ma piuttosto dei coralli grossi e adulti. I frammenti creano solo pro-blemi al negoziante mentre i grandi coralli permettono di staccare facilmente taleeda distribuire al cliente e sono molto più resistenti e stabili in negozio. Altro consiglioè quello di suggerire con maggiore frequenza i nano-reef perché permettonoall’hobbista di divertirsi di più, di diversificare le proprie esperienze comprando piùvasche destinate a varie specie e di produrre acquisti più frequenti e maggiore sod-disfazione.

Ringraziamo il nostro ospite e restiamo incantati dalla sicurezza delle sue parole edalla semplicità del suo approccio. Siamo certi che i suoi suggerimenti potrannoaggiungere un pizzico di saggezza al comune lavoro quotidiano in questo complessosettore.

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