Guida alle compatibilità dei rapporti di lavoro con le ... · misure di sostegno al reddito A cura...

33
Guida alle compatibilità dei rapporti di lavoro con le misure di sostegno al reddito A cura di Renzo La Costa Dicembre 2011 Le guide Ancl – www.anclsu.com 1

Transcript of Guida alle compatibilità dei rapporti di lavoro con le ... · misure di sostegno al reddito A cura...

Guida alle compatibilità dei rapporti di lavoro con le misure di sostegno al reddito

A cura diRenzo La Costa

Dicembre 2011

Le guide Ancl – www.anclsu.com

1

Prefazione

L’evoluzione della complessiva normativa in materia di lavoro, ammortizzatori sociali, ammortizzatori sociali in deroga, circolari interpretative e più nell’insieme la prassi amministrativa generosamente vasta e pressochè quotidiana, rischiano – pur nel nobile intento di fornire chiarificazioni- di realizzare un insieme di dettati che davvero ormai difficilmente possono assemblarsi in un univoco ed immediatamente fruibile indirizzo.

L’attuale situazione economica, spinge aziende ed imprenditori –ma nel comune scopo – anche i sindacati dei lavoratori , a ricercare forme di attenuazione delle conseguenze della espulsione dei dipendenti dai cicli produttivi; dall’altra parte, gli stessi lavoratori non più ritenuti utili alla produzione, ricercano forme di integrazione della stessa integrazione al reddito acquista tramite gli strumenti di ammortizzazione sociale, al fine di pervenire ad un reddito perlomeno dignitoso quanto più vicino al pur modesto reddito già fruito in regime stipendiale.

Appare superfluo evidenziare quanto in quest’ultima ipotesi, si annidi il lavoro nero (quello accettato per bisogno) e l’occupazione irregolare (quella ricercata con intenzione per evadere il sistema e lucrare di conseguenza).La presente guida intende mettere insieme una serie di interventi legislativi e di prassi grazie ai quali- nel pur estremamente variegato sfondo normativo – si analizzano con dovizia le possibilità di integrazione al reddito con altri paralleli rapporti di lavoro che – a seconda dei casi trattati – consentono, o non consentono, o consento in parte la conservazione dei sostegni economi pubblici.

Prioritariamente si accorpano il Messaggio n. 7401 del 25 marzo 2011 dell’Ipns attinente la compatibilità tra indennità di mobilità e contratto di lavoro intermittente , in quanto tema estremamente attuale; non da meno il contenuto della circolare Inps nr. 67/2011 che tratta la tematica della indennità di mobilità e la compatibilità con l’attività di lavoro autonomo o subordinato, nonché corresponsione anticipata dell'indennità e incentivi all’assunzione.

A latere di tali documenti, si affrontano una serie ulteriore di casistiche sempre attinenti le compatibilità reciproche di diversi rapporti di lavoro.

Le guide Ancl – www.anclsu.com

2

L’indennità di disoccupazione

L'indennità di disoccupazione spetta al lavoratore dipendente che si venga a trovare disoccupato per licenziamento, per scadenza del contratto nel caso di lavoratori a tempo determinato, per le dimissioni volontarie del lavoratore ma solo per le lavoratrici madri e nel caso in cui le dimissioni siano accompagnate da giusta causa, e i collaboratori a progetto ma solo se l'attività è stata svolta per un solo datore di lavoro.

Entità dell'indennità

L'indennità di disoccupazione viene calcolata applicando delle percentuali che diminuiscono nel corso del tempo, mentre la definizione delle percentuali e la durata dell'indennità è subordinata ad alcuni parametri. Nel caso dell'indennità di disoccupazione con requisiti ordinari si hanno due casi:

- lavoratori under 50: l'indennità di disoccupazione viene erogata per i primi 6 mesi con una percentuale pari al 60% della media delle ultime tre buste paga, e scende al 50% nei restanti due mesi;

- - lavoratori over 50: l'indennità di disoccupazione per i primi 6 mesi è del 60%, del 50% per i successivi due, e del 40% per i rimanenti 4 mesi.Nel caso dell'indennità con requisiti ridotti invece: le percentuali vengono applicate all'importo ottenuto moltiplicando i giorni lavorati (fino al massimo di 156) x la retribuzione giornaliera media riscossa nei 12 mesi antecedenti, e sono del 35% per i primi 4 mesi, e 40% per i rimanenti 2 mesi.

- Per i collaboratori a progetto è pari al 30% della retribuzione dell'anno precedente.

Durata dell'indennità di disoccupazione:

• -8 mesi per i lavoratori under 50 che sale a 12 mesi per gli over 50, se si hanno requisiti ordinari;

• -6 mesi nel caso di requisiti ridotti.

Requisiti per richiedere l'indennità di disoccupazione:

Questi cambiano a seconda della durata del periodo in cui il lavoratore ha svolto la propria attività di lavoratore dipendente, e si possono avere due situazioni:

- indennità di disoccupazione con requisiti ordinari: 7 giorni di contributi e12 mesi di contribuzione nei due anni antecedenti alla perdita del lavoro;- indennità di disoccupazione con requisiti ridotti: non meno di 78 giorni lavorati nei 12

- mesi precedenti con almeno una settimana di contributi nel biennio antecedente la data di inizio disoccupazione.

Le guide Ancl – www.anclsu.com

3

Modalità per richiedere l'indennità di disoccupazione:

Per prima cosa bisogna iscriversi ai Centri per l'impiego comunicando la propria disponibilità immediata a svolgere un'attività lavorativa, acquisendo lo status di 'disoccupato in cerca di lavoro'. Successivamente si deve presentare la domanda alle sedi Inps più vicine. La domanda può essere scaricata sul sito dell'Inps, compilata e consegnata a mano, oppure si può richiedere il modello direttamente presso le varie sedi. Si può inoltrare la domanda anche direttamente via web, collegandosi al sito dell'Inps e andare nella sezione chiamata 'al servizio del cittadino'. In questo caso per accedere al servizio bisogna registrarsi sempre tramite il sito, in modo da ottenere un codice Pin (sarà utile anche per le altre operazioni o per controllare la propria situazione contributiva).

Tempi di presentazione della domanda:

• - entro 68 giorni dalla data di interruzione del rapporto di lavoro (esempio scadenza del contratto, fallimento dell'azienda, ecc);

• - entro 90 giorni solo nel caso di licenziamento per giusta causa. Se la domanda non viene accettata si hanno 90 gg per fare ricorso al Comitato Inps provinciale.

Modalità di riscossione dell'indennità di disoccupazione:

Mensilmente per i requisiti ordinari, e in una sola soluzione per i requisiti ridotti, tramite assegno, bonifico o allo sportello a libera scelta del lavoratore.

Le guide Ancl – www.anclsu.com

4

Lavoro autonomo con partita Iva e contratto a progetto

Un professionista titolare di reddito di lavoro autonomo e quindi titolare di partita Iva, che non sia iscritto ad alcun Albo professionale, può agire in regime di collaborazione coordinata e continuativa a progetto solo se questa collaborazione non rientra nell’ambito dell’attività ordinaria svolta professionalmente.

Prendiamo il caso in cui un professionista riceva un’offerta di lavoro per una consulenza a progetto per un periodo limitato di tempo e per poche ore al giorno: non sarebbe giusto vietare la presenza di due forme di reddito in assenza di una chiara incompatibilità tra le due attività svolte.

Non sarebbe consentito a chi esercita la professione in forma di lavoro autonomo svolgere la stessa tipologia di lavoro sotto un contratto di collaborazione a progetto o di dipendenza.Tuttavia in questa sede riteniamo che qualora non vi siano incompatibilità tra le prestazioni svolte in qualità di lavoro autonomo e l’esercizio dei compiti richiesti dal contratto di dipendenza non ci siano margini affinché i lavori non possano essere esercitati congiuntamente.

Operativamente si dovrà procedere in tal senso: per quello che concerne gli obblighi contributivi relativi al contratto di dipendenza questi saranno assolti dal datore di lavoro che li tratterrà dalla busta paga. Per i compensi svolti in qualità di lavoro autonomo, quando questi rientrano nell’ambito di competenza di una cassa previdenziale autonoma, questi dovranno essere versati li, stante dichiarare preventivamente che i compensi previdenziali ed assistenziali sono già versati dal datore di lavoro. In questo caso quindi sarà necessario versare solo il contributo soggettivo che emerge dalla fattura.

Nel caso in cui non via una cassa di previdenza gli altri compensi andranno soggetti a contribuzione per il tramite della gestione separata INPS a cui andrà comunicato che gli ulteriori obblighi previdenziali ed assistenziali sono assolto da altro datore di lavoro nell’ambito di un contratto di lavoro dipendente.

Con risposta a interpello 65/2008, il ministero del Lavoro ha affrontato il tema della compatibilità – per un lavoratore autonomo, titolare di partita Iva – di un contratto di collaborazione a progetto. Quest’ultimo, in base al decreto legislativo 276/2003 – ricorda il ministero – deve essere riconducibile, come modalità organizzativa della prestazione, a uno o più specifici progetti o programmi di lavoro o fasi di esso.

Le guide Ancl – www.anclsu.com

5

Le guide Ancl – www.anclsu.com

6

Le guide Ancl – www.anclsu.com

7

Le guide Ancl – www.anclsu.com

8

Le guide Ancl – www.anclsu.com

9

Le guide Ancl – www.anclsu.com

10

Le guide Ancl – www.anclsu.com

11

Le guide Ancl – www.anclsu.com

12

Le guide Ancl – www.anclsu.com

13

Le guide Ancl – www.anclsu.com

14

Le guide Ancl – www.anclsu.com

15

Le guide Ancl – www.anclsu.com

16

Le guide Ancl – www.anclsu.com

17

Le guide Ancl – www.anclsu.com

18

Le guide Ancl – www.anclsu.com

19

Le guide Ancl – www.anclsu.com

20

Le guide Ancl – www.anclsu.com

21

Le guide Ancl – www.anclsu.com

22

Messaggio 15 luglio 2011, n. 14692

Accredito figurativo per periodi di mobilità nei casi di compatibilità della relativa indennità con l’attività di lavoro - circolare 67 del 14 aprile 2011.

La circolare n.67 del 14 aprile 2011 disciplina la compatibilità dell’indennità di mobilità con lo svolgimento di attività lavorativa. Il presente messaggio, ad integrazione della predetta circolare, disciplina il regime dell’accredito figurativo nelle suddette ipotesi di compatibilità.

1) Regime dell’accredito figurativo nei casi di cumulabilità tra indennità di mobilità e remunerazione da lavoro autonomo o da collaborazione coordinata e continuativa (punto 4 della circolare 67/2011).

Nei casi di cumulabilità disciplinati dal punto 4 della circolare 67/2011, l’accredito dei contributi figurativi dovrà essere effettuato in quota integrativa, in misura corrispondente alla quota retributiva pari alla differenza tra l'intera retribuzione presa a base per il calcolo dell'indennità di mobilità e la retribuzione percepita in relazione all'attività svolta. In tale ipotesi la contribuzione obbligatoria relativa all'attività effettivamente svolta verrà accreditata nella gestione di competenza e darà luogo, laddove ne ricorrano le condizioni, alle prestazioni previste dall'ordinamento delle medesime gestioni.

2) Regime dell’accredito figurativo nei casi di cumulabilità totale dell’indennità di mobilità con le prestazioni di lavoro accessorio nel limite massimo di 3000 euro per gli anni 2009 e 2010 (punto 5 della circolare 67/2011).

Per quanto riguarda le fattispecie di compatibilità e cumulabilità totale dell’indennità di mobilità con le prestazioni di lavoro accessorio nel limite massimo di 3000 euro per gli anni 2009 e 2010 (punto 5 della messaggio 12082 del 4 maggio 2010.

3) Esclusione dell’accredito figurativo in caso di corresponsione anticipata in unica soluzione dell’indennità di mobilità.

Nei casi in cui, ai sensi della circolare n.67/2011, l’interessato abbia percepito l’indennità di mobilità in un’unica soluzione, l’accredito figurativo non potrà essere concesso.

4) Norme speciali.

Sono fatte salve le disposizioni di legge che stabiliscano diversi criteri di valorizzazione della contribuzione figurativa per fattispecie particolari da esse disciplinare.

Le guide Ancl – www.anclsu.com

23

CIGO e ulteriori interventi CIGO e Cigs

L’Inps, con msg. n. 19350/2011, fornisce chiarimenti in merito alla possibilità di richiedere un periodo di Cigo dopo che l’azienda abbia usufruito di precedenti interventi di Cigo e Cigs succedutisi senza soluzione di continuità

Già con messaggio n. 25623 del 12 dicembre 2010, l’Inps aveva chiarito di ritenere ammissibile l’ipotesi che un’azienda dopo un periodo di CIGO, ed uno successivo di CIGS, potesse chiedere un ulteriore periodo di CIGO senza soluzione di continuità, qualora fossero sussistenti tutti i presupposti previsti dalla legge, ovvero: non imputabilità dell’evento, temporaneità e transitorietà dello stesso e prevedibilità circa la ripresa dell’attività lavorativa. Naturalmente, continuava il messaggio, l’ammissibilità era subordinata al rispetto dei limiti temporali previsti dalla normativa vigente.

Con riferimento alla durata dell'integrazione salariale ordinaria, l’art. 6 della L. n. 164/1975 prevede che la stessa sia corrisposta fino ad un periodo massimo di 3 mesi continuativi; in casi eccezionali detto periodo può essere prorogato trimestralmente fino ad un massimo complessivo di 12 mesi.

Inoltre, qualora l'impresa abbia fruito di 12 mesi consecutivi di integrazione salariale, una nuova domanda può essere proposta per la medesima unità produttiva per la quale l'integrazione é stata concessa, quando sia trascorso un periodo di almeno 52 settimane di normale attività lavorativa; con l’unica eccezione dei casi di intervento integrativo determinato da eventi oggettivamente non evitabili.

Le guide Ancl – www.anclsu.com

24

Appendice: Gli incarichi e le incompatibilità nel pubblico impiego

Nell’alveo della più recente riforma , si colloca anche l’inasprimento – o meglio, il rafforzamento – dei controlli sul rispetto delle incompatibilità e del divieto di cumulo di incarichi da parte dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.[1]Infatti la legge 6 agosto 2008, n. 133, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, all’art. 47 si occupa dei controlli su incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, introducendo, dopo il comma 16 dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 un comma 16 bis. Si tratta della previsione per cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica, può disporre verifiche del rispetto della disciplina delle incompatibilità dettate sia dall’art. 53 del T.U.P.I., sia dall'art. 1, comma 56 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per il tramite dell'Ispettorato per la funzione pubblica.

Per potenziarne l’efficacia la norma stabilisce che l’ispettorato debba stipulare apposite convenzioni coi servizi ispettivi delle diverse amministrazioni, si avvalga della Guardia di Finanza, e collabori con il Ministero dell'Economia e delle Finanze al fine dell'accertamento delle violazioni rispetto ai divieti predetti.La norma è evidentemente il frutto della disapplicazione o scarsa applicazione fatta dalle pubbliche amministrazioni delle norme in tema di incompatibilità e cumulo di incarichi, pure in vigore da oltre mezzo secolo.

È lo stesso D.lgs. 165/2001, del resto, all’art. 53, a specificare come resti ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità già dettata dagli articoli 60 e seguenti del previgente T.U. sul pubblico impiego del 1957 e successivamente ripresa e dettagliata da una serie di collegati alla finanziaria (del 1991, del 1992, del 1996), nonché specificata per il comparto della pubblica istruzione dal relativo testo unico del 1994.[2]Sono norme risalenti nel tempo, nate nel contesto dell’enfatizzato dovere di fedeltà del pubblico impiegato allo Stato, e della convinzione della necessaria esclusività del rapporto, mutuata sia dalle originarie connotazioni soggettive pubblicistiche datoriali, sia dal generico dovere di fedeltà giuslavoristico.

Il contenuto di queste disposizioni è semplice: le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati.[3]

Parimenti, nessun pubblico dipendente può svolgere attività o incarichi affidatigli da soggetti – pubblici o privati – diversi dalle pubbliche amministrazioni di appartenenza, in assenza di apposita autorizzazione dell’ente di appartenenza.[4]

Non solo, anche nel caso in cui sia astrattamente possibile sia il conferimento di incarichi operato direttamente dall'amministrazione di appartenenza, sia l'autorizzazione all'esercizio di incarichi provenienti da altre amministrazioni ovvero da enti privati di vario

Le guide Ancl – www.anclsu.com

25

tipo, l’assegnazione dell’incarico o il rilascio dell’autorizzazione deve essere conforme a criteri generali oggettivi e predeterminati, che tengano conto delle specifica professionalità, e che evitino la verificazione di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione. L’art. 53 del T.U.P.I. definisce quindi al comma 6 le tipologie di incarichi retribuiti soggetti al regime di autorizzazione: vi rientrano tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Sono eccezionali e tassative le deroghe, previste per compensi derivanti:

a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali;

c) dalla partecipazione a convegni e seminari;

d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;

f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita.

f bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione.In caso di violazione delle disposizioni in tema di incompatibilità e cumulo di incarichi sono previste una serie di conseguenze, anche con valenza sanzionatoria, sia a carico del dipendente che ometta di richiedere l’autorizzazione, sia a carico della pubblica amministrazione o del privato che affidino incarichi a un dipendente in assenza di autorizzazione.Partiamo dal dipendente.

In caso di inosservanza del divieto, in primo luogo viene in rilievo l’art. 1, comma 61, della L. n. 662/1996 (si tratta del collegato alla relativa finanziaria), per cui la violazione del dovere di munirsi di autorizzazione, l’omessa comunicazione del lavoratore part time[5] di avere assunto impieghi o incarichi, e le ipotesi di comunicazioni non veritiere, costituiscono giusta causa di recesso[6] per il personale cui si applicano i contratti collettivi nazionali di lavoro, e causa di decadenza dall’impiego per il restante personale. La norma, che pare a un primo esame introdurre un automatismo marcatamente incostituzionale, in realtà si limita a tipizzare una delle ipotesi di giusta causa di recesso o di decadenza, la cui pronuncia viene subordinata dalla norma ad apposite procedure da svolgersi in contraddittorio tra le parti; altro non sono se non i procedimenti disciplinari.Sono dunque tali sanzioni massimamente afflittive, in quanto risolutive del rapporto d’impiego, quelle vagamente richiamate dall’art. 53, comma 7 con l’inciso: “salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare”.

Va qui detto che nella prassi non poche amministrazioni cercano di eludere tale richiamo in ipotesi di particolare tenuità delle violazioni (compensi irrisori, attività marginali a confine tra il lucrativo e le ipotesi di deroga), per non correlare automaticamente alla

Le guide Ancl – www.anclsu.com

26

violazione della norma quella che sembra essere una sanzione obbligata e predeterminata, pertanto non graduabile: rigidità punitiva che pare contrastare con i principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni codificati dalla più parte della contrattazione collettiva del comparto pubblico.

Ciò detto, al dipendente infedele si applicano non solo le predette sanzioni, ma anche una specifica penalità di tipo economico: il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, e quindi del dipendente, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente, per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. In realtà la norma risente di uno scarso coordinamento con l’art. 6 della L. 28 marzo 1997, n. 140, con cui è stata data conversione al D.l. 28 marzo 1997, n. 79, recante misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica; infatti tale ultimo articolo[7] prevedeva che gli enti pubblici o privati che comunque si avvalessero di prestazioni di lavoro autonomo o subordinato rese dai dipendenti pubblici in violazione dei divieti previsti già dalla citata L. n. 662/1996, ovvero senza autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza, fossero soggetti all’applicazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma a dipendenti pubblici.[8]

Delle due l’una: o la conseguenza è unicamente la devoluzione del compenso all’ente pubblico “tradito”, oppure si cumula la dazione di una somma pari al pagamento indebito, con l’applicazione di una vera e propria sanzione ai sensi della L. n. 689/1981, a carico della persona fisica utilizzatrice della prestazione, all’interno dell’ente che ha conferito un incarico a un dipendente pubblico non autorizzato; persona fisica che potrà anche essere il legale rappresentate pro tempore dell’ente, o il dirigente o funzionario dotato di delega e potere decisionale e di spesa.[9]

In tale caso però saranno applicabili i consueti presupposti di natura soprattutto soggettiva (responsabilità personale, coefficiente psicologico del dolo o della colpa) che il sistema delle sanzioni amministrative ha mutuato dall’illecito penale, atti a modulare in concreto l’applicazione di quella che pare una sanzione pecuniaria.

All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni tipizzate dall’art. 53 non provvede però l’ente di appartenenza, bensì il Ministero delle Finanze, che si avvale della Guardia di Finanza; con la conseguenza che le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero delle Finanze.

Abbiamo quindi già introdotto anche il tema delle conseguenze in capo all’ente terzo, privato o pubblico.

Qui va detto che nel caso in cui l’incarico sia stato conferito da un’amministrazione terza, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento, a prescindere dalla tipologia degli illeciti disciplinari previsti dalla contrattazione collettiva di riferimento; ed anzi il comma 8 prevede la possibilità di cumulo tra la specifica violazione disciplinare che esso introduce, e quella più gravi comunque previste dal C.C.N.L. del comparto in rilievo.

Le guide Ancl – www.anclsu.com

27

Non solo: il provvedimento di conferimento dell’incarico è nullo di diritto, e ciò giustifica il comma precedente che dispone il versamento dell’emolumento all’amministrazione cui appartiene il dipendente non autorizzato: si parla qui di vero e proprio trasferimento dell’importo previsto quale emolumento all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. Da ultimo va pure accennato al fatto che dalla violazione delle norme in tema di autorizzazioni discende inevitabilmente un danno erariale[10], in relazione alla indebita erogazione di fondi da parte dell’ente beneficiario dell’incarico non autorizzato, da un lato, dall’altro in relazione all’indebita percezione di somme da parte del dipendente; a quest’ultimo la Corte dei Conti spesso richiede anche il risarcimento del danno all’immagine dell’ente, insistendo molto sulla rilevanza del dovere di fedeltà e di esclusività del rapporto di impiego.[11]

Il meccanismo di rilascio dell’autorizzazione non è poi molto complicato, in quanto la relativa richiesta può essere avanzata sia dai soggetti pubblici o privati che intendono conferire l'incarico, sia dal dipendente interessato, e prevede che in caso di mancata pronuncia nei trenta giorni successivi all’istanza si formi il silenzio assenso[12] qualora richiedente sia un’altra amministrazione; se beneficiario dell’incarico è invece un privato, il silenzio è silenzio rifiuto.[13]

Fino a qui la normativa è chiara, e poco suscettibile di essere equivocata o male interpretata.Il punto è che nella prassi[14] è stata abbondantemente disattesa, proprio per la riconosciuta scarsa applicazione dei meccanismi di controllo e verifica affidati alle stesse amministrazioni.Detti meccanismi erano e sono tuttora previsti dai commi 11 e 14 dell’art. 53 in commento, che affidano alle amministrazioni pubbliche una serie di adempimenti: - entro il 30 aprile di ciascun anno, i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per incarichi conferiti devono comunicare all'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi i compensi erogati nell'anno precedente (comma 11);- entro il 30 giugno di ciascun anno, le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi retribuiti ai propri dipendenti sono tenute a comunicare, in via telematica o su apposito supporto magnetico, al Dipartimento della Funzione Pubblica l'elenco degli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi nell'anno precedente, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo previsto o presunto. L'elenco è accompagnato da una relazione di cui il comma 12 specifica in dettaglio il contenuto minimo necessario.[15]

Entro il 30 giugno di ogni anno le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare al Dipartimento della Funzione Pubblica, in via telematica o su apposito supporto magnetico, per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi, relativi all'anno precedente, da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti beneficiari dell’incarico, pubblici o privati.

Fin qui tutto bene, se non fosse che la mancata richiesta di autorizzazione, specie nel caso di incarichi conferiti da privati, non consentiva alcun controllo incrociato al Ministero della Funzione pubblica.

Le guide Ancl – www.anclsu.com

28

Era però previsto (e lo è tuttora), dal comma 14, che le amministrazioni pubbliche comunicassero al Dipartimento della Funzione Pubblica, in via telematica o su supporto magnetico, entro il 30 giugno di ciascun anno, i compensi percepiti dai propri dipendenti anche per incarichi relativi a compiti e doveri d'ufficio ogni sei mesi, l'elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza, con l'indicazione della ragione dell'incarico e dell'ammontare dei compensi corrisposti. Infine sempre le amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti (anche appartenenti ad altre amministrazioni) indicando l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico.[16]

Ora, sebbene fosse proprio la comunicazione di tali dati a rendere parzialmente possibile, mediante controlli incrociati con le dichiarazioni dei redditi dei dipendenti, la verifica di casi di mancata autorizzazione, nell’ottica del legislatore l’adempimento aveva più che altro la funzione di limitare l’abuso degli incarichi, tant’è che il comma 15 prevedeva, per i soggetti che avessero omesso gli adempimenti previsti dai commi precedenti e sopra riassunti, di conferire nuovi incarichi, a pena dell’applicazione della sanzione del comma 9.[17]

In realtà, ed eccoci allo scopo dell’integrazione operata dalla c.d. riforma Brunetta, gran parte del sistema dei controlli, diretti e incrociati, risultava assai carente, come pure risultavano ignorati gli obblighi di comunicazione e pubblicazione imposti alle P.A., preoccupate maggiormente delle consulenze esterne che degli incarichi interni.La principale causa di questa scarsa efficienza è in primo luogo da ascriversi senza dubbio all’estrema varietà della casistica suscettibile di verificazione, in cui trovano spazio ipotesi di incarichi saltuari, di attività formative di varie tipologie, persino di organizzazione di attività ricreative, difficili da catalogare.Per tali motivi erano state emanate le circolari della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, del 19 febbraio 1997, n. 3 e del 18 luglio 1997, n. 6, che prescrivevano alle amministrazioni pubbliche di porre in essere precisi adempimenti attuativi: la prima circolare imponeva obblighi informativi ben precisi in capo alle amministrazioni, quali la specificazione del divieto all’interno del contratto individuale e il richiamo dell’attenzione dei dipendenti sulla normativa in argomento, con l’indicazione “di far prendere loro visione della presente circolare”.[18]

Se poi vediamo la seconda circolare, essa insiste sulla presenza di numerose richieste di chiarimenti e sulla necessità di seguire linee guida pubblicizzate: “data la molteplicità e varietà della casistica, è consigliabile informare il personale sui criteri e sulle procedure che si intendono seguire”.

Le circolari poi riportano esempi che riguardano attività che richiedono tempo, impegno, e quindi la possibile sottrazione di energie lavorative all’ente: cariche sociali, funzioni di amministratore di condominio, e via dicendo, attività soggette all’iscrizione in ruoli, ma si tratta con evidenza di indicazioni non esaustive.Fondamentale dunque era il ruolo delle amministrazioni, che però, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno proceduto né all’integrazione dei contratti individuali

Le guide Ancl – www.anclsu.com

29

di lavoro, né ad informare anticipatamente i dipendenti, come prescritto dalle circolari del Dipartimento della Funzione Pubblica, delle linee guida che intendevano adottare all’indomani dell’entrata in vigore delle innovative disposizioni.Anzi, la prima circolare affermava preliminarmente come l’autorizzazione allo svolgimento di incarichi esterni a favore dei dipendenti pubblici con orario di part time superiore al 50% sarebbe ancora stata “rilasciata nei limiti e alle condizioni ricavabili dalla consolidata prassi applicativa della disciplina generale (risalente all’art. 60 del D.P.R. n. 3/1957 e confermata anche dall’art. 58 del D.lgs. n. 29/1993), ovvero da quella speciale esistente per particolari categorie (per esempio, il personale medico e il personale docente)”; nonché che “le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando: 1) oltrepassano i limiti della saltuarietà e occasionalità; 2) si riferiscono allo svolgimento di libere professioni”.

La mancata adozione di norme regolamentari è stata foriera di una variegata prassi applicativa e di uno scarso contenzioso, data la ridotta propensione degli enti a perseguire casi poco chiari o quanto meno ambigui quanto a effettiva violazione del principio di esclusività; quando invece il comma 5 dell’art. 53 attribuiva un’importante funzione di orientamento proprio all’emanazione di regolamenti basati su “criteri oggettivi e predeterminati” che tengano conto della specifica professionalità e siano tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione.

In assenza di una regolamentazione esplicativa dei principi generali fissati dal legislatore, e dunque di una puntuale determinazione di specifici ed oggettivi criteri operativi da parte dell’amministrazione, la valutazione dell’autorizzabilità o meno di ogni incarico esterno diventa spesso difficile e incerta, con il rischio di non adottare soluzioni uniformi e non garantire ai dipendenti un trattamento univoco ed imparziale. Sulla perdurante importanza dell’adozione di norme regolamentari insiste pure l’ultima circolare 30 aprile 2008, n. 6.

La riforma e l’accentuazione dell’efficienza che viene perseguita con il nuovo e doveroso – pare – sistema di controllo, paiono dunque da un lato importanti ai fini dell’emersione degli incarichi “sommersi”, dall’altro però non pone alcun rimedio alla complicazione dell’assetto normativo in materia, che non garantisce in ogni caso il raggiungimento dei fini ultimi della disciplina delle incompatibilità, oscillante tra finalità di prevenzione generale e speciale, autoresponsabilità e controllo, connotazione soggettiva delle sanzioni e automatismi decadenziali.

Tutti punti ancora irrisolti.

Note

[1]Di recente, con riferimenti giurisprudenziali, V. Tenore, Le attività extraistituzionali e le incompatibilità per il pubblico dipendente, in Lavoro nelle p.a., 2007, 6, 1097.

[2]Con particolare riferimento al personale di magistratura, le sezioni unite di cassazione hanno chiarito come, in materia di incarichi extragiudiziari, tra la disposizione di cui all'art. 16 del R.d. n. 12/1941, secondo cui i magistrati non possono accettare incarichi di qualsiasi specie senza l'autorizzazione del Consiglio

Le guide Ancl – www.anclsu.com

30

Superiore della Magistratura, e quella – applicabile anche ai magistrati – contenuta nell'art. 53 del D.lgs. n. 165/2001, in base alla quale i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza (comma 7), non esiste un rapporto in termini di abrogazione della prima da parte della seconda, ma di coordinamento e integrazione, atteso che l'esistenza per i dipendenti pubblici di una previsione generale che consenta la possibilità di svolgimento di incarichi non retribuiti non esclude per i magistrati la potestà autorizzatoria dell'organo di autogoverno ai fini della verifica in concreto delle ragioni connesse al prestigio della magistratura e alla funzionalità dell'ufficio giudiziario. Così Corte Cass., sez. un., 28.11.2007, n. 24669, in Giust. civ. mass., 2007, 11.

[3]Tra le fonti normative l’art. 53, comma 3, del D.lgs. 165/01 prevede che siano appositi regolamenti a individuare gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato; in assenza di detti regolamenti il successivo comma 4 consente l’attribuzione dei soli incarichi previsti dalla legge.

[4]La disciplina del divieto del cumulo non si applica però ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale sotto il cinquanta per cento, ai docenti universitari a tempo definito e a categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali, anche della contrattazione collettiva, lo svolgimento di attività libero-professionali.

[5]Cfr. per un approfondimento A. Falcone, Il part time nel pubblico impiego (tra incompatibilità e controlli), in Lav. nelle p.a.,1999, 3-4, 527, nonché M. Montini, Il part time dei dipendenti pubblici ed i limiti allo svolgimento della libera professione in Lav. nelle p.a., 2001, 3-4, 654.

[6]Sul punto, Trib. Parma 09.04.2008 per cui è legittima la risoluzione del rapporto di lavoro disposta dall'amministrazione allorché il dipendente abbia dichiarato l'inesistenza di situazioni di incompatibilità con il rapporto di lavoro alle dipendenze della p.a. in base all'art. 508 D.lgs. n. 297/1994 o all'art. 53 D.lgs. n. 165/2001, essendo l'effetto risolutorio del rapporto di lavoro previsto per tale ipotesi tanto dalla fonte legislativa (art. 1 comma 61 L. n. 662/1996) quanto da quella contrattuale, posto che nel contratto individuale di lavoro in essere tra le parti era espressamente previsto che la non veridicità del contenuto delle dichiarazioni avrebbe comportato l'immediata risoluzione del rapporto di lavoro. Il contratto di servizio civile, pur non costituente lavoro pubblico, concretizza una situazione di incompatibilità, trattandosi di rapporto a titolo oneroso con un impegno di orario (nel caso, il dirigente scolastico aveva disposto la risoluzione di un rapporto di lavoro a termine con un collaboratore scolastico) in Lav. nelle p.a.,2008, 2, 408.

[7]Il mancato coordinamento o la poca chiarezza restano nonostante la citata normativa del 1997 sia richiamata come di perdurante e congiunta applicazione anche dal comma 9 dell’art. 53 del T.U.P.I.

[8]Vi sono però pronunce che escludono la natura sanzionatoria di queste disposizioni, probabilmente per limitarne la soggezione alla condizione della sussistenza dell’elemento psicologico della colpevolezza; in tal senso è stato deciso che l'art. 53, comma 7, D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 – a norma del quale il compenso dovuto al pubblico dipendente per incarichi non previamente autorizzati deve essere versato a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, all'amministrazione di appartenenza del dipendente, per essere destinato al fondo di produttività – non costituisce una norma prettamente sanzionatoria, né nei confronti del dipendente (sicché non deve necessariamente essere preceduta da contestazione) né nei confronti del soggetto utilizzatore (che è passibile di sanzione amministrativa ex art. 53 cit., comma 9). Qualora il soggetto erogante abbia già integralmente corrisposto gli importi al prestatore, l'amministrazione può rivalersi direttamente su quest'ultimo. Così Trib. Milano 28.12.2006 in Riv. critica dir. lav., 2007, 1 266.

[9] Per la sorte della prestazione, C. Ponari, Violazione del dovere di esclusiva nel rapporto di pubblico impiego e qualificazione della prestazione vietata in Riv. it. dir. lav., 2001, 2, 212.[10] Significativa la recente sentenza della Corte dei Conti, sez. giur. Umbria 03.04.2007, n. 163/E.L./2007, relativa a un Direttore Generale di Aziende Sanitarie, pervenendo ad una situazione di incompatibilità perché aveva svolto contemporaneamente tre diversi incarichi, con sedi poste a distanza “tutt'altro che trascurabile”: il primo; un secondo, di Presidente del Consiglio di Amministrazione di una banca locale; un terzo, come Consigliere di Amministrazione di altra banca, “con impegno e presenza fisica presso ognuno di loro non così marginale e residuale”.

La Corte ha ritenuto come la prestazione fornita dal dipendente – in ragione degli altri impegnativi e Le guide Ancl – www.anclsu.com

31

remunerativi incarichi dallo stesso svolti – non fosse stata necessariamente ed inevitabilmente effettuata con il necessario grado di impegno “a tempo pieno” ed “esclusivo” richiesto dalla riferita vigente normativa nella materia che ci occupa e non fosse stata, quindi, correttamente commisurata al trattamento economico corrisposto, che è stato perciò sicuramente superiore, e comunque eccedente, rispetto alla minore ed effettiva prestazione lavorativa resa, con conseguente danno erariale.

Tra le voci di danno accertate, il “danno patrimoniale in senso stretto” nei confronti della A.S.L., mentre è stata esclusa la sussistenza di un danno all’immagine. È stato poi ritenuto integrato il c.d. “dolo contrattuale” in capo al convenuto, in riferimento alla indicata partita del “danno patrimoniale in senso stretto”, con conseguente esclusione della possibilità di azionare il potere riduttivo.Già in precedenza la stessa Corte (con sentenza n. 2/EL/2004 del 09.01.2004) aveva deciso che la violazione del principio di esclusività del rapporto di lavoro del pubblico dipendente con l’ente di appartenenza – pur mitigato dalle recenti disposizioni che hanno previsto e disciplinato la possibilità di espletare attività lavorative ulteriori rispetto a quella propria di pubblico dipendente (v., in particolare, art. 1, comma 56/65 della L. n. 62/1996 e relative circolari) – è fonte di danno, quante volte il dipendente continua a percepire per effetto di detta violazione la retribuzione del rapporto di lavoro a "tempo pieno", in luogo della retribuzione del rapporto di lavoro "a tempo parziale", effettivamente spettatagli.

[11] Così: nel rapporto d'impiego con le p.a. vige il principio generale per effetto del quale l'impiegato deve dedicare all'ufficio tutta la propria capacità lavorativa, intellettuale e materiale, con la conseguenza che sussiste incompatibilità tra l'impiego pubblico e l'esercizio di una libera professione. C. Conti reg. Emilia Romagna, sez. giurisd., 25.10.2007, n. 818 in Riv. corte conti, 2007, 5 156.

[12] Sulle ragioni dell’eventuale diniego si registra T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 19.10.2004, n. 4617, in Foro amm. TAR 2004, 3101, per cui legittimamente, ai sensi dell'art. 53, D.lgs. n. 165/2001, l'amministrazione nega al proprio dipendente che sia agente della Polizia di Stato l'autorizzazione ad assumere l'incarico di componente del Comitato provinciale I.N.P.S., connotandosi il rapporto d'impiego per l'obbligo di immediata disponibilità a fronteggiare qualsiasi situazione di emergenza per l'ordine pubblico e di ottemperanza in qualsiasi momento agli ordini provenienti dai diretti superiori affatto incompatibile con lo svolgimento dell'attività extraistituzionale atteso il notevole impegno temporale, fisico e mentale che richiederebbe il suo assolvimento. [13] In materia si registra l’interessante pronuncia del T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, che con sentenza del 19.04.2007, n. 3453 ha annullato il diniego di autorizzazione per l’espletamento di incarico extragiudiziario consistente in n. 8 ore di lezione presso un corso di laurea universitario da parte di un magistrato, affermando che con la previsione del silenzio assenso il legislatore coniuga le contrapposte esigenze delle parti, atteso che consente comunque all’amministrazione una pronuncia espressa, ma ne limita lo spatium deliberandi, prevedendo la formazione del silenzio assenso nel solo caso di conferimento dell’incarico da parte di un soggetto pubblico, laddove è meno avvertita e, quindi, risulta recessiva l’esigenza di tutela dell’interesse pubblico. La pronuncia inoltre chiarisce come il comma 6 dell’art. 53 in discorso stabilisca che i commi da 7 a 13 dell’articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, compresi quelli di cui all’art. 3, per cui il procedimento di silenzio assenso è applicabilità de plano ai magistrati (conferma, sul punto, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 05.12.2005, n. 12979). Tutte in www.giustizia-amministrativa.it. D’altra parte, il termine di legge è sufficientemente ampio per consentire una ponderata valutazione sulla compatibilità dell’incarico extragiudiziario del magistrato con le esigenze di servizio e con le funzioni giudiziarie concretamente svolte, per cui l’eventuale formazione del silenzio assenso non incide né sulla rilevanza costituzionale del C.S.M. né sull’autonomia dell’ordine giudiziario.

[14] Va considerato pure, per i profili di giurisdizione, che la complicazione riguarda anche il giudice investito della controversia: per il Consiglio di Stato appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario ogni causa concernente l'autorizzazione all'assunzione di incarichi amministrativi presso enti o cariche sociali in società di diritto privato di cui all'art. 53 D.lgs. n. 165/2001. Così sez. IV, 07.06.2004, n. 3618 in Foro amm. CdS, 2004, 1650. Per un commento, B. Gagliardi, La giurisdizione in materia di pubblico impiego e il regime delle incompatibilità dei dipendenti pubblici, in Foro amm. CdS, 2004, 9, 2562.

[15] Nella relazione vanno indicate le norme in applicazione delle quali gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati, le ragioni del conferimento o dell'autorizzazione, i criteri di scelta dei dipendenti cui gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati e la rispondenza dei medesimi ai principi di buon andamento dell'amministrazione, nonché le misure che si intendono adottare per il contenimento della spesa. Nello stesso termine e con le stesse modalità le amministrazioni che, nell'anno precedente, non hanno conferito o

Le guide Ancl – www.anclsu.com

32

autorizzato incarichi ai propri dipendenti, anche se comandati o fuori ruolo, dichiarano di non aver conferito o autorizzato incarichi.

[16] L’invio delle comunicazioni e la pubblicazione degli elenchi costituiva poi la base informativa per le rilevazioni del Dipartimento della Funzione pubblica, tenuto a farne invio alla Corte dei Conti entro il 31 dicembre di ogni anno, e a riferire in merito al Parlamento sui dati raccolti sempre entro lo stesso termine.

[17]Con la conseguenza che gli incarichi conferiti, anche se autorizzati, erano ugualmente nulli di diritto e produttivi della restituzione dell’importo pattuito all’ente di appartenenza dell’impiegato pubblico autorizzato.

[18]Nel senso ricordato anche la successiva Circolare n. 10/1998 del 16.12.1998

Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro

Sindacato Unitario

Via C. Colombom456 – oo145 Roma

[email protected]

www.anclsu.com

tutti i diritti riservati -2011

Le guide Ancl – www.anclsu.com

33