Guerra e (Dis)Informazione

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PROPAGANDA MACHINE È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del Sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomi glia alla corda gettata a terra che egli prende per un serpente(Schopenhauer, "Il Mondo come Volontà e Rappresentazione"). I mass-media sono stati creati e poi sviluppati per essere utilizzati come formidabili strumenti di propaganda, come cassa di risonanza di decisioni prese al vertice. Già Napoleone Bonaparte aveva istituito un "Bureau de l'Opinion Publique", un organismo di stampa e propaganda la cui denominazione ossimorica ben evidenzia il corto circuito tra il momento istituzionale-burocratico e la pretesa spontaneità dei movimenti d'opinione. Il primo telegrafo meccanico fu messo in funzione in Francia nel 1793, al servizio della guerra. Il telegrafo elettrico, messo a punto nel 1837, ebbe un ruolo fondamentale nell'informazione giornalistica durante la guerra di Crimea e nella guerra di Secessione americana. Quella guerra fu anche il banco di prova per una politica di manipolazione delle notizie: il segretario alla Guerra, Edwin M. Stanton, interveniva direttamente sui dispacci, truccava i numeri delle perdite, alterava i resoconti delle battaglie. Nel 1866 un cavo sottomarino collegò la rete telegrafica europea a quella americana. L'avvenimento fu inaugurato non con un dispaccio militare - com'era consuetudine - ma con un messaggio giornalistico: il testo del discorso dell'imperatore Guglielmo dopo la vittoria di Sadowa. L'intreccio tra guerra e informazione trovava qui il suo atto di nascita ufficiale. Durante la Prima Guerra Mondiale, quasi tutti i paesi coinvolti crearono dei ministeri delle informazioni, con compiti distinti rispetto alla semplice propaganda. Il ministero delle informazioni inglese aveva a capo l'editore del "Daily Express", e come dipendenti Rudyard Kipling e H.G.Wells. Negli Stati Uniti venne creato il "Committee on Public Information", composto dai segretari alla Marina e alla Guerra, dal titolare del Dipartimento di Stato

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“È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del Sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomi glia alla corda gettata a terra che egli prende per un serpente” (Schopenhauer, "Il Mondo come Volontà e Rappresentazione").

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PROPAGANDA MACHINE

“È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del Sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomi glia  alla corda gettata a terra che egli prende per un serpente” (Schopenhauer, "Il Mondo come Volontà e Rappresentazione").

I mass-media sono stati creati e poi sviluppati per essere utilizzati come formidabili strumenti di propaganda, come cassa di risonanza di decisioni prese al vertice.

Già Napoleone Bonaparte aveva istituito un "Bureau de l'Opinion Publique", un organismo di stampa e propaganda la cui denominazione ossimorica ben evidenzia il corto circuito tra il momento istituzionale-burocratico e la pretesa spontaneità dei movimenti d'opinione.

Il primo telegrafo meccanico fu messo in funzione in Francia nel 1793, al servizio della guerra. Il telegrafo elettrico, messo a punto nel 1837, ebbe un ruolo fondamentale nell'informazione giornalistica durante la guerra di Crimea e nella guerra di Secessione americana.

Quella guerra fu anche il banco di prova per una politica di manipolazione delle notizie: il segretario alla Guerra, Edwin M. Stanton, interveniva direttamente sui dispacci, truccava i numeri delle perdite, alterava i resoconti delle battaglie.

Nel 1866 un cavo sottomarino collegò la rete telegrafica europea a quella americana. L'avvenimento fu inaugurato non con un dispaccio militare - com'era consuetudine - ma con un messaggio giornalistico: il testo del discorso dell'imperatore Guglielmo dopo la vittoria di Sadowa. L'intreccio tra guerra e informazione trovava qui il suo atto di nascita ufficiale.

Durante la Prima Guerra Mondiale, quasi tutti i paesi coinvolti crearono dei ministeri delle informazioni, con compiti distinti rispetto alla semplice propaganda. Il ministero delle informazioni inglese aveva a capo l'editore del "Daily Express", e come dipendenti Rudyard Kipling e H.G.Wells.

Negli Stati Uniti venne creato il "Committee on Public Information", composto dai segretari alla Marina e alla Guerra, dal titolare del Dipartimento di Stato e da un giornalista, George Creel, il cui obiettivo esplicito era «Vendere la guerra al pubblico americano».

La Germania del Kaiser aveva sottovalutato i nuovi fattori che affiancavano ormai la strategia militare: il morale delle truppe nemiche, l'opinione pubblica interna e quella nemica. Solo a guerra persa, i comandi militari tedeschi analizzarono la portata della propaganda alleata: «Il nemico ci ha vinto non con un corpo a corpo sul campo di battaglia, baionetta contro baionetta. No! Pessimi testi su poveri fogli malamente stampati hanno fatto venir meno il nostro braccio».

Il Terzo Reich sopperirà a questa mancanza con il potentissimo "Ministero della Propaganda e dell'Illustrazione del Popolo", creato da Joseph Goebbels con l'intento di "modellare gli spiriti". Con appositi provvedimenti legislativi fu inoltre stabilito che i

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giornalisti dovessero rispondere, non più ai direttori, ma all’apparato statale, mentre tutte le agenzie di stampa vennero assorbite dall’unica consentita, la DNB (DEUTSCHES NACHRICHTEN BUREAU).

Goebbels, che fu tra l’altro uno dei più fervidi sostenitori della persecuzione degli ebrei, che ideò la famigerata "notte dei cristalli", organizzò oceanici e sterminati raduni di massa, affidando all’esteta del III Reich, Albert Speer, l’incarico di creare la giusta ambientazione, le giuste geometrie, improntate a mettere in rilievo l’idea di grandezza e di dominio; da questo punto di vista il raduno di Norimberga del 1934 rappresentò la massima espressione della megalomania e della maestosità voluta dal potentissimo ministro della propaganda.

Le riprese di quel maestoso raduno, furono affidate alla geniale regia di Leni Riefensthal e da esse nacque un autentico capolavoro del cinema di propaganda, "Il Trionfo della Volontà", ove la grande regista raggiunse in pieno lo scopo voluto da Goebbels, ossia quello di creare l’immagine di un guerriero invincibile, indiscusso capo di una nazione stretta nella più totale devozione per la sua guida suprema.

Ma l’occasione più ghiotta, per far conoscere, agli occhi del mondo, la potenza e la grandezza del III Reich, fu rappresentata dalle olimpiadi di Berlino del 1936, la cui documentazione venne affidata di nuovo, dal ministero della propaganda, a Leni Riefensthal, che, in quell’occasione, superò sé stessa, creando lo straordinario "Olympia", in cui si evidenziò la morbosa attenzione per ogni particolare volto ad esaltare il culto della perfezione fisica, incarnata nel mito della pura razza ariana.

RADIO DAYS

Dagli anni Venti, attraverso la radio, la comunicazione si fece più capillare e quotidiana, l'informazione comincia ad entrare direttamente nelle case.

Si stima che alla vigilia del secondo conflitto mondiale negli Stati Uniti vi fossero duecento apparecchi ogni mille abitanti, in Inghilterra e Germania circa centoventi e in Unione Sovietica una trentina.

In Italia il primo giornale radio andò in onda nel 1929, e la radio fu subito utilizzata come strumento per creare consenso attorno al regime. Venne poi creato il "Giornale Radio", un radiogiornale che rivisitava i fatti del giorno in ottica fascista e che si ripeteva ad intervalli regolari durante l’intera giornata (celebri divennero le "Cronache del Regime" di Forges Davanzati e il "Commento ai Fatti del Giorno" di Mario Appelius).

La radio, và detto, fu anche usata in funzione anti-autoritaria: Radio Londra, durante la Seconda Guerra Mondiale, fu fondamentale sia per i messaggi in codice rivolti ai movimenti della Resistenza, sia per il potere di orientare la

popolazione civile nei paesi occupati dai tedeschi.

LA STAMPA DEL REGIME

La Seconda Guerra Mondiale, e ancora la guerra di Corea, furono caratterizzate da una forte censura dei governi sulla stampa, censura che spesso veniva introiettata come autocensura, come adesione totale del giornalista al modello politico e ideologico del suo Paese.

In Italia, Il Ministero della Cultura Popolare (il famoso Minculpop) mandava quotidianamente "ordini" ai direttori dei giornali, con indicazioni tassative sulle notizie da dare o da non dare. Alcuni esempi: "Non pubblicare corrispondenze sui nostri bombardamenti in Africa Orientale" (7 dicembre

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1935); "Ignorare completamente tutto quanto si riferisce all'inchiesta per l'uccisione dei fratelli Rosselli" (15 gennaio 1938); "Notare come il Duce non fosse stanco dopo quattro ore di trebbiatura" (4 luglio 1938).

Il Ministero per la Stampa e la Propaganda, diretto dal 1935 da Galeazzo Ciano, esercitò sui quotidiani una rigida supervisione attraverso i costanti ordini alla stampa, con cui il regime proiettò un'immagine serena e ottimistica della situazione italiana, censurando la cronaca nera e il dissenso, l'inflazione e persino i temporali, demonizzando gli ebrei e i comunisti, esaltando la Germania e tentando di occultare i preoccupanti sviluppi della guerra durante i primi anni quaranta. I testi raccolti in questa antologia sono presentati da un'introduzione di Nicola Tranfaglia, che analizza i meccanismi della propaganda fascista, e da quella di Bruno Maida, incentrata sulla direzione della Stampa e Propaganda fascista). E' chiaro come l'intento fosse quello di manipolare l'opinione pubblica tacendo alcuni fatti sia di politica interna che estera, e lavorando sulla costruzione dell'immagine del duce.

L’altra innovazione nei mezzi di comunicazione di massa, il cinema, a partire dal 1925 venne posto sotto il diretto controllo dello stato tramite la creazione dell’Istituto LUCE, ovvero L’Unione Cinematografica

Educativa, alle dirette dipendenze del Capo del governo con l’obbligo della supervisione diretta di Mussolini sui materiali realizzati. Nello stesso periodo nacque anche la produzione del cinegiornale, un giornale fatto di immagini tipo rotocalco: apertura e chiusura erano dedicate a notizie che riguardavano Mussolini o la Casa Savoia, e all’interno trovavano spazio i documentari dall’estero.

Per il decennale della rivoluzione fascista nel quale il LUCE produsse il suo primo lungometraggio, "Camicia Nera", che raccontava la storia del fascismo con un misto di cinema, documentari e fiction e mostrando insieme reperti e materiali appositamente girati. dal 1935 l’istituto LUCE diede vita all’Ente Nazionale Industrie Cinematografiche. Attraverso Luigi Freddi, passato alla storia come eminenza grigia del cinema di regime, si diede inizio all’opera di propaganda sfruttando il cinema di stato. Nacque l’idea di Cinecittà, che Mussolini inaugurò nel "Natale di Roma" del 1937.

Si ricorda il caso di Rino Filippini, operatore LUCE, che aveva realizzato filmati con immagini tragiche che mostravano le condizioni di combattenti al limite delle forze, con i vestiti stracciati e senza scarpe, documentari

che furono censurati dal MinCulPop perché screditavano l’immagine dell’Italia. Il LUCE aveva infatti il compito, impostogli da Mussolini, di mostrare al pubblico immagini di una guerra facile, non traumatica, e facilmente sopportabile per la nostre truppe, ben lontana dalla realtà.

WHY WE FIGHT

Da poco coinvolti nel II° conflitto mondiale, gli Stati Uniti si resero subito conto che la guerra, ben lungi dall'essere di breve durata, avrebbe causato un'immane perdita di uomini e richiesto duri sacrifici alla nazione. Queste ragioni convinsero il Dipartimento di Stato della necessità di dover combattere una guerra di propaganda sul fronte interno, tesa a giustificare agli occhi degli americani l'enorme impegno loro richiesto.

Frutto di questo ulteriore sforzo bellico fu "Why We Fight?" una serie di 7 documentari prodotti dal Dipartimento di Stato in collaborazione con il Dipartimento della Guerra e i vari corpi d'armata americani. L'ideazione e la supervisione dell'intero progetto fu affidata a Frank Capra, il regista hollywoodiano più vicino al sentimento popolare dell'America roosveltiana e che meglio di tutti aveva interpretato sogni e sentimenti del cittadino medio americano.

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Lo sforzo fu notevole e Capra, a cui era stato assegnato il difficile compito di spiegare cosa veramente fosse il nazismo, la crudeltà di Hitler e dei suoi alleati, lavorò con intelligenza, illustrando ai cittadini americani - con semplicità - quanto era accaduto nel mondo prima di Pearl Harbur e quanto fosse indispensabile l'intervento degli Stati Uniti a fianco dei loro alleati affinché la democrazia e la libertà non venissero schiacciate per sempre dalla ferocia dei nemici nazisti e nipponici.

Capra poté contare sul supporto delle Major americane e la collaborazione di registi del calibro di Robert Flaherty, William Wyler, John e Walter Huston. Mentre le mappe animate furono create da Walt Disney e il suo staff.

Seppur dotati della più grande industria cinematografica del mondo, e a differenza del regime fascista e poi di quello nazista, gli Stati Uniti non si erano mai resi conto dell'enorme potenziale del cinema come mezzo di propaganda. Proprio per questo "Why We Fight?", e gli altri documentari che seguirono, rappresentano un documento eccezionale che vede lo sforzo congiunto del governo americano e dell'industria Hollywoodiana e segna il primo uso dei mezzi di comunicazione di massa da parte dell'intelligence militare statunitense.

NEWS MANAGEMENT

[...] Il geniale programmatore dell'informazione sulla Casa Bianca e dalla Casa Bianca, fino a metà degli anni Ottanta (quando se ne andò per fondare un'agenzia di relazioni pubbliche), fu Michael Deaver, che, nello staff di Ronald Reagan, aveva la funzione di coordinatore della comunicazione [...] Deaver, detto "Magic Mike", era attentissimo ai dettagli scenografici. I suoi capolavori furono, tra gli altri, il quarantesimo anniversario dello sbarco in Normandia, celebrato da Reagan in Europa e i summit con Gorbaciov in Svizzera e in Islanda. Gli eventi furono programmati - ha raccontato un biografo - "come grandi produzioni cinematografiche. Ai cameramen veniva indicata l'angolazione di ripresa più efficace. Fu così creata, come in un film, l'immagine famosa della passeggiata del presidente e della moglie tra le tombe dei caduti di Normandia". D'altronde Reagan, attore di medio calibro ma di eccellente professionalità, nuotava nel suo elemento [...] "Reagan - ha ricordato Anthony Blankley, uno dei funzionari presidenziali addetti alle comunicazioni, era impressionante. Con lui non si doveva mai girare uno spot due volte". Gli "spot" erano le immagini televisive che, in qualità di "notizie", avrebbero poi fatto il giro del mondo [...] Fu "Magic Mike" Deaver l'inventore delle "photo opportunities" come routine giornalistica: si trattava di organizzare

minuziosamente, con l'accordo dei mezzi di informazione, delle situazioni apparentemente casuali, in cui era consentito ai fotografi riprendere il Presidente e i suoi collaboratori in atteggiamenti "spontanei" [...] "Gran maestro delle arti visive" , Michael Deaver fu il più tenace assertore e il più efficace realizzatore del news management, della fabbricazione e gestione delle notizie. La sua filosofia era "appareo ergo sum" (appaio dunque sono), così motivata: "Nell'Era Televisiva, una cosa non è accaduta, o perlomeno non viene registrata, se la gente non vede quello che tu vedi". I suoi metodi, raccolti e spiegati in un libro di memorie dopo la rottura con Reagan, sono stati quasi alla lettera imitati da altri uomini politici che hanno fatto del news management la base della loro affermazione, dal brasiliano Collor De Mello all'italiano Silvio Berlusconi [...]

(Claudio Fracassi - "Sotto la Notizia Niente Saggio sull'Informazione Planetaria")

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"Magic Mike", come fu soprannominato, inventò la strategia comunicativa che ha preso il nome di "new management" e che, si potrebbe dire, consiste nel "produrre" eventi per i mezzi di informazione utilizzando le tecniche dello spettacolo e nel creare una immagine del personaggio di cui si è al servizio con la tecnica dello "spot". Con l'invenzione, cioè, di notizie, di fatti costruiti ad arte.

Progressivamente, alla censura si sostituisce il "news management", la gestione delle notizie, la "militarizzazione dell'informazione" - come denunciò anni fa il senatore statunitense William Fulbright - la "manipolazione per inondazione", per usare le parole di Claudio Fracassi, ex-direttore del settimanale "Avvenimenti".

Il russo Serghei Ciacotin ha definito questa ingegneria del consenso mass-mediatico "lo stupro delle folle", stupro reso possibile dalla diffusione su larga scala dei mezzi di comunicazione di massa.

SAZIARE LA BELVA

Agenzie di pubbliche relazioni - come la Ruder Finn che ha curato l'immagine dei governi di Croazia e Bosnia durante guerra in Kosovo, o la Hill & Knowlton, distintasi durante la Guerra del Golfo - "impacchettano" notizie, creano ad arte pseudo-eventi così da rendere sempre più autonoma la notizia rispetto al fatto, fino a ribaltarne il rapporto: la notizia è il fatto.

È dopo la guerra del Vietnam che i rapporti con i mezzi di informazione cominciarono ad essere impostati non più sulla censura ma piuttosto verso un'ipertrofica dose di informazioni, filtrate, costruite, selezionate. L'imperativo era - nelle parole di Fracassi - "saziare la belva".

La guerra era cominciata con la diffusione acritica di una falsa notizia: l'attacco a un cacciatorpediniere statunitense da parte di unità siluranti nord-vietnamite nel Golfo del Tonchino, il 5 agosto 1964. Ma dopo la svolta del Tet, la stampa cominciò a investigare sulla genesi del conflitto, finché nel 1971 il "New York Times", nonostante i furibondi tentativi di Nixon per impedirlo, rese note le carte segrete del Pentagono, che rivelavano l'inganno perpetrato ai danni dell'opinione pubblica americana.

La "sindrome del Vietnam" divenne quindi l'ossessione di una superpotenza che mal digeriva la sconfitta militare, e la convinzione da parte del governo USA di non aver saputo controllare e piegare ai suoi fini l'apparato dell'informazione.

VIRTUAL WAR

Alla vigilia della Guerra del Golfo, le parole del presidente Bush furono "Non sarà un altro Vietnam".

La Guerra del Golfo, come acutamente evidenziato da Jean Baudrillard ne "La Guerre du Golfe n'a pas eu lieu" e da Claudio Fracassi ne "L'Inganno del Golfo", si basò su una sapiente regia che costruì un'illusione collettiva che trasse in inganno sia capi di governo (il re saudita Fahd fu convinto a ospitare l'operazione "Scudo nel Deserto" con false fotografie satellitari) che l'opinione pubblica mondiale.

Le forze armate americane incoraggiarono la diffusione di immagini che davano l'idea della guerra tecnologica: il cielo sopra chi moriva attraversato dalle tracce luminose dei missili e delle bombe - immagini che sottolineavano l'assoluta superiorità americana sul nemico. Al pubblico televisivo statunitense non fu concesso di vedere il materiale acquisito dalla NBC (la rete televisiva in seguito si rifiutò di trasmetterlo) che mostrava le conseguenze di quella superiorità: la

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sorte delle migliaia di soldati di leva iracheni che, fuggiti da Kuwait City alla fine della guerra, il 27 febbraio, furono vittime di bombardamenti a tappeto con esplosivi, napalm, uranio impoverito e bombe a grappolo, mentre si dirigevano verso Nord percorrendo, in convogli e a piedi, la strada che conduce a Bassora in Iraq - una carneficina descritta nelle famigerate parole di un ufficiale americano come "tiro al tacchino" (allo stesso modo, la maggior parte delle operazioni militari condotte in Afghanistan alla fine del 2001 sono state precluse ai fotoreporter).

Gli specialisti della già citata Hill & Knowlton girarono a Hollywood falsi filmini amatoriali sul Kuwait liberato, fecero raccontare alla figlia adolescente dell'ambasciatore kuwaitiano presso le Nazioni Unite (assente da anni dal suo paese) di come i soldati iracheni toglievano i neonati dalle incubatrici, impedirono che venissero visti i 200 mila iracheni uccisi, fecero recitare più volte ai marines la scena della riconquista dell'ambasciata americana a Kuwait City, facendo calare i soldati sui tetti dell'edificio quando la capitale era libera da due giorni.

D'altra parte, molti giornalisti, salvo poi fare atto di pubblica contrizione, si prestarono senza troppo recalcitrare alla manipolazione, quando poi non ne furono gli artefici. Reporter della Cnn prelevarono da uno zoo e poi impeciarono il cormorano intriso di petrolio che commosse tutto il mondo, si fecero riprendere in studio bardati con maschere antigas senza che ci fosse alcun pericolo di contaminazione, mentre fotografi dell'agenzia Reuter misero in vendita fotografie scattate durante la guerra Iran-Iraq del 1983.

Durante la guerra nell'ex-Jugoslavia, l'informazione si è messa spesso al servizio di odi etnici e nazionalisti, creando cliché semplicistici e manipolatori: i serbi oppressori, i croati fascisti, i musulmani indifesi o fondamentalisti.

L'apparente facilità di accesso a molte fonti può ingenerare l'illusione di avere un canale diretto con la realtà, ignorando che dietro ogni notizia che arriva a noi c'è un "gatekeeper", un Caronte che decide cosa far traghettare.

(DIS)INFO INTELLIGENCE

"Nel corso dei secoli, i paesi imperialisti hanno goduto di una sostanziale immunità. Si sono commesse moltissime atrocità, ma sempre da qualche altra parte … e gli orrori che si compiono altrove non esistono” (Noam Chomsky, "Power and Terror").

La risoluzione n. 59 dell'Onu afferma che "L'informazione è un diritto fondamentale dell'uomo e la pietra di paragone di tutte le libertà". Andatelo a dire ai pianificatori militari del Pentagono. La verità è che la plateale distorsione della verità e la sistematica manipolazione delle fonti di informazione sono parte integrante della pianificazione bellica.

In seguito all'11/9, il Segretario della Difesa Donald Rumsfeld creò l'Office of Strategic Influence (OSI), ovvero l' "Ufficio della Disinformazione", come fu etichettato dai suoi critici. Poi, all'improvviso, l'OSI fu formalmente sciolto sotto la spinta di pressioni politiche e di "fastidiosi" articoli dei media secondo cui, "i suoi scopi erano deliberatamente tendenziosi rispetto alla necessità di portare avanti gli interessi Americani" (Air Force Magazine, gennaio 2003).

Nonostante questo "incidente", l'apparato orwelliano di disinformazione del Pentagono rimane funzionalmente intatto: "A questo riguardo il Segretario alla Difesa non è stato particolarmente franco. Fare disinformazione con la propaganda militare è parte essenziale della guerra" (Intervista con Steve Adubato, Fox News, 26 Dicembre 2002). Rumsfeld, più tardi, ha confermato in un'intervista stampa che, mentre l'OSI non esisteva più di nome, "i compiti previsti per l'Ufficio vengono eseguiti".

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Molte delle agenzie governative e dei servizi di informazione - con collegamenti con il Pentagono - sono coinvolti in vari aspetti della campagna di propaganda. La realtà viene rivoltata. Le azioni di guerra vengono annunciate come "interventi umanitari", indirizzati al "cambio di regime" ed al "ristabilimento della democrazia". L'occupazione militare e l'uccisione di civili sono presentate come "peace-keeping". La diminuzione delle libertà civili - nel contesto della "legislazione antiterrorismo" - viene dipinta come un mezzo per fornire la "sicurezza interna" e preservare le libertà civili.

Nel critico "panorama di pianificazione", che ha condotto all'invasione dell'Iraq, il capovolgimento dell'opinione pubblica, internamente e nel mondo, costituisce parte integrante dell'agenda di Guerra, la propaganda di Guerra viene progettata a tutti gli stadi: prima, durante e dopo. Serve a distogliere dalle reali cause del conflitto e dalle conseguenze della guerra stessa.

Pochi mesi dopo che l'OSI venne sciolto tra le polemiche (febbraio 2002) il New York Times confermava che la campagna di disinformazione procedeva a pieno ritmo e che il Pentagono stava: "...considerando di emanare una direttiva segreta ai militari americani per condurre operazioni coperte mirate ad influenzare l'opinione pubblica ed i politici nei paesi amici e nelle nazioni neutrali ...".  "La lotta - ha dichiarato un funzionario del Pentagono - verte sul sistema di comunicazioni strategiche per la nostra nazione, sul messaggio che noi vogliamo inviare per

influenzare a lungo termine, e come costruirlo. Noi possediamo le strutture, le capacità e l'addestramento idonei per influenzare la pubblica opinione delle nazioni amiche e neutrali. Noi possiamo fare questo e farla franca!" (New York Times, 16 dicembre 2002).

INFORMATIONS OPERATIONS

Durante la Prima Guerra Mondiale, i francesi e gli inglesi avevano diffuso storie (mai documentate o confermate) secondo cui i soldati tedeschi avevano sparato a un bambino di due anni e "tagliato le braccia di un bambino rimaste appese alle vesti della madre" (John MacArthur, "The Second Front Censorship and Propaganda in the Gulf War", Hill and Wang, New York, 1992, sulla manipolazione delle notizie durante la prima Guerra del Golfo, ndr). La vicenda venne ricamata ulteriormente quando un giornale francese pubblicoò un disegno raffigurante soldati tedeschi che mangiavano mani

Durante la prima Guerra del Golfo, la storia dei neonati strappati alle incubatrici da soldati iracheni fu l'ennesima dimostrazione del principio secondo cui una bugia ripetuta tante volte finisce per essere accettata come verità (ne sanno qualcosa Goebbels e Berlusconi, ndr).

La disinformazione ha fatto parte della guerra almeno dai giorni di Alessandro Magno, che disseminava grosse corazze lungo il percorso delle sue truppe in ritirata per far credere al nemico che i suoi soldati fossero dei giganti. Questo aneddoto di solito viene raccontato ai soldati nella prima lezione di addestramento in operazioni psicologiche ("psyop").

In un documento dell'aeronautica Usa intitolato "Information Operations" (Air Force Doctrine Document 2-5, 5 agosto 1998), si dichiara che "le operazioni di informazione vengono applicate in tutto il raggio d'azione delle operazioni militari, dalle missioni di pace al pieno conflitto... è importante sottolineare che la guerra dell'informazione è una formula che viene attuata in tutte le attività dell'aeronautica, dalla pace alla guerra, allo scopo di consentirne

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l'effettiva esecuzione di tutti i compiti... L'esecuzione di operazioni d'informazione in ambito aeronautico, spaziale e cyberspaziale attraversa tutti gli aspetti del conflitto".

Il documento Information Operations contiene sezioni intitolate "operazioni psicologiche", "guerra elettronica", "attacco informatico", "controinganno", "inganno militare".

La crescente infrastruttura dell'informazione trascende l'industria, i media, l'esercito, e coinvolge entità governative e non governative. E' caratterizzata da una fusione di reti e tecnologie militari e civili. Un notiziario, un comunicato diplomatico o un messaggio militare contenente l'ordine di esecuzione di un'operazione, dipendono tutti dalla infrastruttura dell'informazione globale.

In questo contesto, le "psyop" "sono ideate per trasmettere indizi e informazioni selezionati, allo scopo di influenzare le emozioni, gli stimoli, le motivazioni e iil comportamento. L'inganno militare confonde gli avversari, portandoli ad agire in base all'obiettivo dei suoi artefici".

In pratica, si dice sul documento citando lo stratega militare cinese Sun Tzu, "tutte le operazioni di guerra sono basate sull'inganno".

La vicenda dei neonati strappati alle incubatrici dai soldati iracheni ha contribuito alla creazione del sostegno pubblico alla prima Guerra nel Golfo Persico. Al momento della sua diffusione, la storia venne largamente creduta e non vi fu alcuna smentita fino alla fine della guerra. In seguito, alcuni giornalisti e organizzazioni umanitarie hanno svolto delle indagini, giungendo alla conclusione che si trattava di un falso. Il fatto venne considerato gravissimo negli ambienti stessi delle pubbliche relazioni, eppure parte del pubblico crede ancora che sia vero.

Dopo il 2 agosto 1990, data dell'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, gli Stati Uniti dovettero fare dietro front alla svelta. Per circa un decennio, sino ad allora, Saddam Hussein era stato un alleato degli Usa, nonostante le condanne dei gruppi internazionali per i diritti umani. La Hill & Knowlton, in quel periodo la più grande agenzia di pubbliche relazioni del mondo, fu l'ideatrice della massiccia campagna messa in atto per convincere gli americani ad appoggiare una guerra di liberazione del Kuwait occupato dall'Iraq ("Citizens for Free Kuwait Files with FARA After a Nine-month Lag", O'Dwyer's FARA Report, Vol. 1, N. 9, ottobre 1991).

Gran parte del denaro per finanziare la campagna in favore della guerra proveniva dal governo kuwaitiano stesso, che sottoscrisse un contratto con la H&K nove giorni dopo l'entrata dell'esercito di Saddam nel paese. La Hill & Knowlton creò il gruppo "Citizens for a Free Kuwait", una classica operazione di propaganda ideata per celare la sponsorizzazione del governo kuwaitiano in combutta con l'Amministrazione Bush senior. Durante i sei mesi successivi, il governo kuwaitiano stanziò circa 12 milioni di dollari per il Citizens for a Free Kuwait, mentre il restante finanziamento ammontava a 17.861 dollari e proveniva da 78 singoli donatori. Praticamente, tutto il budget del gruppo - 10.800.000 dollari - andò come compenso alla Hill & Knowlton. I documenti archiviati al Dipartimento di Giustizia Usa dimostravano che 119 funzionari della H&K dislocati in 12 uffici in tutti gli Stati Uniti lavoravano per conto del Kuwait. L'agenzia organizzò le interviste agli esponenti kuwaitiani, la celebrazione del "Giorno di Liberazione Nazionale del Kuwait" e altre manifestazioni pubbliche, la distribuzione di notizie e kit informativi, e collaborò alla diffusione presso giornalisti influenti e l'esercito Usa di oltre 200.000 copie di una mini guida di 154 pagine sulle atrocità compiute dall'Iraq, intitolata "The Rape of Kuwait" (Lo stupro del Kuwait, ndr). Le dimensioni della campagna Hill & Knowlton misero in soggezione persino l'O'Dwyer's PR Services Report, una delle maggiori pubblicazioni nel settore delle pubbliche relazioni. L'editore Jack O'Dwyer scrisse che la Hill & Knowlton "ha assunto un ruolo senza precedenti come agenzia di

pubbliche relazioni nella politica internazionale".

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La H&K ha impiegato un'incredibile varietà di tecniche e accorgimenti per la creazione di un'opinione pubblica favorevole al sostegno degli Usa al Kuwait. Tra le tecniche rientravano le esaurienti conferenze in cui venivano descritte le torture e le altre violazioni dei diritti umani compiute dal regime iracheno, e la distribuzione di migliaia di magliette con lo slogan "Free Kuwait" e adesivi nei campus universitari in tutti gli Stati Uniti.

La storia dei bambini tolti dalle incubatrici veniva ripetuta in continuazione. La raccontò il Presidente Bush. Fu raccontata durante le testimonianze al Congresso, nei talk show in TV, alla radio e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Persino Amnesty International riportò la denuncia in un rapporto sui diritti umani del dicembre 1990, dichiarando che "oltre 300 neonati prematuri sarebbero deceduti dopo essere stati tolti dalle incubatrici portate via dai soldati iracheni" ("Iraq/Occupied Kuwait: Human Rights Violations Since August 2, 1990", Amnesty International, 19 dicembre 1990).

Successivamente, anche gli investigatori di Amnesty International non trovarono "prove credibili" che confermassero la storia e smentirono il loro precedente rapporto. Middle East Watch, un'altra organizzazione che difende i diritti umani, svolse un'ulteriore indagine, concludendo che la storia fosse una mistificazione.

Era servita a coprire un altro evento drammatico: 5.000 persone uccise dal gas di Saddam, nel villaggio dei curdi iracheni di Halabja nel 1988, il 75% donne e bambini. Ma percgé si voleva coprirlo (cover-up)? Perché si erano utilizzate armi chimiche mentre l'Iraq riceveva sostegno economico e militare dagli Stati Uniti.

"La posizione dell'America su Halabja è vergognosa", dichiarò Joost R. Hiltermann di Human Rights Watch, l'organizzazione che ha svolto indagini approfondite sulla vicenda di Halabja. Il Dipartimento di Stato Usa aveva persino "dato istruzioni ai diplomatici di riferire che parte della responsabilità ricadeva sull'Iran" (Joost R. Hiltermann, "America Didn't Seem to Mind Poison Gas", International Herald Tribune, 17 gennaio 2003). La comunità internazionale smise di raccogliere gli appelli per una ferma condanna dell'Iraq in seguito all'attacco al World Trade Center.

Una ricerca nel database delle notizie di LexisNexis mostra che negli Stati Uniti la vicenda di Halabja è stata menzionata in 188 articoli durante il 1988 (l'anno in cui si è verificato il fatto). E' Sta tuttavia citata raramente nell'anno successivo: in 20 articoli nel 1989 e solo in 29 nel 1990, l'anno in cui Saddam invase il Kuwait. Nell'intervallo di tempo tra l'invasione del Kuwait, 2 agosto 1990 e la fine dell'operazione "Tempesta del Deserto", 27 febbraio 1991, vi sono stati soltanto 39 riferimenti a Halabja. Nel decennio successivo, la media è stata di 16 riferimenti l'anno. Durante le elezioni presidenziali del 2000, sono stati soltanto 10. La vicenda non è ricomparsa sui media statunitensi fino al settembre 2002, quando l'Amministrazione di George W. Bush ha iniziato la pressione pubblica per la guerra in Iraq. Tuttavia, sono stati molto pochi i giornalisti che hanno avuto il coraggio di ricordare che Saddam aveva commesso le atrocità peggiori mentre il padre dell'attuale Presidente lo ricopriva di aiuti finanziari.

Secondo lo stesso database di Lexis-Nexis, la storia dei neonati tolti dalle incubatrici ha ricevuto 138 citazioni durante i sette mesi intercorsi tra l'invasione del Kuwait e la fine dell'operazione "Tempesta del Deserto". Subito dopo la fine della guerra, i giornalisti, una volta andati negli ospedali kuwaitiani e raccolte le testimonianze del personale ospedaliero secondo il quale la storia era falsa, hanno iniziato a ridimensionare la versione originale. Dopo il 1992, la storia è quasi del tutto scomparsa, con una media di appena 10 citazioni all'anno nel decennio successivo. La vicenda riaffiorò nel dicembre 2002, quando il canale HBO trasmise in anteprima il documentario, "basato su una storia vera", dal titolo "Live From Baghdad", nel quale si ripercorrevano le avventure di Peter Arnett e di altri giornalisti della CNN durante l'operazione "Tempesta del Deserto", in cui, nuovamente, si tentaa di far passare per vera la storia dei neonati. In risposta alle proteste suscitate dall'osservatorio sui media FAIR, la HBO aggiunse una nota alla fine dei titoli di coda, in cui si ammetteva che "le accuse mosse ai soldati iracheni di aver tolto i neonati dalle incubatrici... non sono mai state comprovate" ("Activism Update: HBO Adds Disclaimer to Gulf War Movie", Fairness and Accuracy in Media, 3 gennaio 2003).

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Naturalmente, la nota è stata vista soltanto dai pochi telespettatori che hanno letto i titoli di coda. Prima dell'inserimento della nota, il critico televisivo del Washington Post, Tom Shales, nella sua recensione di "Live From Baghdad", aveva scritto: "L'orrore compiuto in Kuwait ritorna vivido durante una sequenza in cui [Robert, il produttore della CNN] Wiener e la sua troupe viaggiano attraverso il Kuwait per indagare sulle accuse secondo cui i soldati iracheni avrebbero strappato via dei neonati alle incubatrici durante un saccheggio, ricordate?" (Tom Shales, "Live From Baghdad: The Cameras of War", Washington Post, 7 dicembre 2002).

Calunnia + calunnia + calunnia = verità.

LA FABBRICA DELLA REALTA'

Le "realtà fabbricate" vengono introdotte giorno dopo giorno nella catena dell'informazione di massa, devono diventare verità indelebili, che formino parte di un ampio consenso politico e dei media.

In stretto collegamento con il Pentagono e la CIA, anche il Dipartimento di Stato ha istituito una sua propria unità civile di propaganda, guidata e diretta dalla Sottosegretaria di Stato per le Relazioni e gli Affari Pubblici Charlotte Beers, una figura potente nell'industria pubblicitaria. Lavorando a stretto contatto con il Pentagono, la Beers è stata nominata a capo dell'unità di propaganda del Dipartimento di Stato immediatamente dopo l'11/9. Il suo mandato consisteva nel "contrapporsi e neutralizzare l'anti-Americanismo esterno" (Sunday Times, Londra 5 gennaio 2003). Il suo ufficio al Dipartimento di Stato deve: "'assicurare che le pubbliche relazioni (di coinvolgimento, di informazione e guida, di influenza sulle comunicazioni internazionali importanti), vengano praticate in armonia con gli

affari pubblici (con sfera di estensione al di là degli Statunitensi) e con la diplomazia tradizionale, per dare impulso agli interessi e alla sicurezza degli USA e produrre la base morale per la leadership Americana nel mondo".

La più importante componente della campagna di paura e di disinformazione, naturalmente, è la CIA, che, segretamente, retribuisce autori, giornalisti e critici dei media attraverso una ragnatela di fondazioni private ed organizzazioni di facciata che “sponsorizza”.

Tra l'altro, la CIA influenza anche l'ambito e la direzione di molte produzioni di Hollywood. Dall'11/9 una terzo delle produzioni di Hollywood sono film di guerra. "Le star e gli autori di Hollywood si precipitano a sostenere il nuovo messaggio di patriottismo, consultandosi con la CIA e dibattendo con il militari su possibili attacchi terroristici nella vita reale." (Ros Davidson, "Le stelle si meritano le loro strisce", The Sunday Herald, 11 Novembre 2001).

"The Sum of All Fears" (“L'Estate del Terrore”), diretto da Phil Alden Robinson, che descrive lo scenario di una guerra nucleare, ha ricevuto l'approvazione e il supporto economico sia del Pentagono, che della CIA (Samuel Blumenfeld, "Il Pentagono e la CIA arruolano Hollywood", Le Monde, 24 luglio 2002).

La disinformazione viene quotidianamente "seminata" da agenti della CIA nelle redazioni dei più importanti quotidiani, delle riviste e dei canali Televisivi. All'esterno vengono spesso utilizzate ditte di pubbliche relazioni per creare "storie fasulle, accuratamente documentate da Chaim Kupferberg in relazione agli eventi dell'11 settembre: "Un gruppo relativamente piccolo, ma ben coordinato, di corrispondenti preparano gli scoops che vengono pubblicati nelle relativamente poche fonti di notizie ufficiali, dove i parametri del dibattito sono stabiliti e la "realtà ufficiale" viene consacrata per tutti gli altri nella catena dell'informazione" (Chaim Kupferberg, "I preparativi di propaganda per l'11 settembre", Global Outlook, No. 3, 2003)

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Altre iniziative di subdola disinformazione sono messe in atto attraverso vari servizi satellitari in altri paesi. Dall'11/9, esse sono risultate nella disseminazione giornaliera di false informazioni riguardanti presunti "attacchi terroristici". In tutti i casi riportati (Gran Bretagna, Francia, Indonesia, India, Filippine ecc.) si diceva che i "presunti gruppi terroristi" avevano "collegamenti con al Qaeda di Osama bin Laden", senza naturalmente riconoscere il fatto (ampiamente documentato da rapporti di intelligence e documenti ufficiali) che Aal Qaeda è una creazione della CIA, e che la famiglia di Bin Laden fà affari con quella di Bush.

Tra le ultime, la sparata di Bush di uno sventato attentato di Al Qaeda a Los Angeles nel 2002. Non è stato da meno il suo amico Silvio Berlusconi che, a novembre del 2005, si è inventato un attentato alla sua persona da parte di un kamikaze, in occasione in del derby Inter-Milan di champions league della stagione precedente. Oltre avaneggiare presunti imminenti attacchi al Vaticano e alla mentropolitana di Roma. 

È questa la natura anarchica dell'informazione, soggiogata agli interessi del potere, che consente di dire tutto e il contrario di tutto, perché niente è più verificabile: l'iper-velocità, la frenesia, la sovraesposizione dei flussi comunicativi, non consentono alcuna riflessione critica.

È proprio in questo spazio de-storicizzato, de-realizzato, virtualizzato, simulato, che si inserisce la macchina da guerra della propaganda.

THE ENDURING WAR

Nei mesi che portarono all'annunziata invasione dell'Iraq, la campagna di propaganda si mise in movimento per sostenere l'illusione che l'America si trovava sotto attacco.

Passata non solamente attraverso i media ufficiali ma anche attraverso molti siti internet di comunicazione  questa "realtà fabbricata" comincia a ritrarre la guerra come autodifesa, come guerra umanitaria, guerra di liberazione, "enduring war - enduring freedom", nascondendo (cover-up) accuratamente i veri obiettivi strategici ed economici della guerra.

La campagna di propaganda sviluppa un casus belli, una giustificazione, una legittimità politica per la guerra. La "realtà ufficiale", attraverso i discorsi di George W Bush, si posiziona sulla premessa marcatamente "umanitaria" di una cosiddetta "guerra preventiva", o più chiaramente "difensiva", una guerra "per proteggere la libertà": " Noi siamo sotto attacco, perché noi amiamo la libertà! Ed è per questo, perché noi amiamo la libertà e diamo valore alla vita di ogni uomo, che stanno tentando di ferirci" (Welcome Army National Guard Aviation Support Facility, Trenton, New Jersey, 23 settembre 2002).

Espressa dal National Security Strategy (NSS), la dottrina della "guerra difensiva" preventiva e della "guerra al terrorismo" contro al Qaeda costituiscono le due essenziali colonne portanti della campagna di propaganda del Pentagono. L'obiettivo è presentare l' "azione militare preventiva", cioè la guerra, come atto di "autodifesa" contro due categorie di nemici, gli "stati canaglia" ed i "terroristi islamici": "La guerra contro i terroristi di portata globale è un'impresa di durata indeterminabile. L'America agirà contro queste minacce che stanno profilandosi, prima che prendano forma completamente. Gli stati canaglia ed i terroristi non cercano di attaccarci utilizzando mezzi convenzionali. Sanno che tali attacchi fallirebbero. Invece essi si

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affidano ad azioni di terrore e, potenzialmente, all'uso di armi di distruzione di massa (...) Gli obiettivi di tali attacchi sono le nostre forze armate e le nostre popolazioni civili, in violazione di una delle principali norme della legge di guerra. Come è stato dimostrato dalle perdite dell'11 settembre 2001, vittime civili in massa sono l'obiettivo specifico dei terroristi e queste perdite saranno esponenzialmente più gravi se i terroristi entreranno in possesso ed useranno armi di distruzione di massa. Gli Stati Uniti hanno a lungo mantenuto l'opzione di azioni preventive per contrastare una seria minaccia alla nostra sicurezza nazionale. Più grande la minaccia, maggiore il rischio della inattività, e più irresistibile il fatto di intraprendere azioni anticipatorie per difenderci, (...). Per bloccare o prevenire tali atti ostili da parte dei nostri avversari, gli Stati Uniti, se necessario, agiranno preventivamente". (National Security Strategy, White House, 2002)

Le dichiarazioni diventano parte del dibattito giorno dopo giorno, incorporate in conversazioni di routine tra cittadini. Ripetute fino alla nausea, esse penetrano nella coscienza profonda della gente comune forgiando le loro percezioni individuali sui fatti attuali. Attraverso la falsità e la manipolazione, questo formare le menti di intere popolazioni prepara il terreno, sotto la facciata di una democrazia funzionante, per l'instaurazione di fatto di uno stato di polizia globale.

La disinformazione riguardo presunti "attacchi terroristici" o "armi di distruzione di massa" provoca a sua volta un’atmosfera di paura che mobilita un fermo patriottismo e sostegno per lo Stato ed i suoi principali esponenti politici e militari. Non importa che in Iraq non siano mai state trovate armi di distruzione di massa. Talmente è grande il potere della concertazione mass-mediatica di influenzare l'opinione pubblica, che la realtà ormai è passata in secondo piano, anzi, si è eclissata, letteralmente.

È stata eliminata, cancellata, assassinata, dalle armi di distrazione di massa. 

Il crimine perfetto.

Fonti:

- "L'immagine della guerra non è la guerra Dal cavallo di Troia al cormorano del Golfo: breve storia delle false notizie durante i conflitti", di Renata Tinini; 

- "La madre di tutte le bugie", di John Stauber, http://www.disinformazione.it. Estratto del libro "Vendere la guerra" (La propaganda come arma d'inganno di massa, NuoviMondiMedia 9 che rivela tutti i retroscena dell'aggressiva campagna di pubbliche relazioni e disinformazione promossa dall'Amministrazione Bush per vendere al mondo la guerra all'Iraq e al terrorismo internazionale. Stauber è il fondatore e il direttore del "Center for Media & Democracy", un istituto che analizza la propaganda condotta dalle multinazionali e dai governi. Insieme a Sheldon Rampton pubblicano su "PR Watch", l'osservatorio Usa sull'industria delle pubbliche relazioni. In Italia, sempre per NuoviMondiMedia è uscito anche "Fidati! Gli esperti siamo noi - Come la scienza corrotta minaccia il nostro futuro", sulle strategie impiegate dalle pubbliche relazioni per creare molti dei cosiddetti “esperti”, i cui volti appaiono nei programmi d’informazione e nei comitati scientifici, pagati profumatamente per fornire le loro “opinioni” atte a modificare la percezione della realtà e a creare consenso.

- "Propaganda di Guerra", di Michel Chossudovsky, 16 gennaio 2003, http://www.disinformazione.it. Chossudovsky è Professore di Scienze Economiche all'Università di

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Ottawa, Direttore del Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione, 'autore di "Guerra e Globalizzazione. Le Verità dietro l'11 Settembre e la Nuova Politica Americana". Copyright Michel Chossudovsky, CRG 2002. Tutti i diritti riservati.

http://www.globalresearch.ca/

http://www.prwatch.org/

http://www.globaloutlook.ca/

http://www.hrw.org/

http://www.nuovimondimedia.com/

http://www.lexisnexis.com/