GRS864_I SEGRETI DI UN LORD

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SUSANNA IVES

I segreti di un lord

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Rakes and Radishes

Carina Press © 2010 Susan Newman

Traduzione di Marianna Mattei

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici marzo 2013

Questo volume è stato stampato nel febbraio 2013

presso la Rotolito Lombarda - Milano

I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410

Periodico settimanale n. 864 dello 01/03/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Norfolk, Inghilterra, 1819 Lord Blackraven l'avvistò dalla cima della scogliera. Lei avanzava tra le onde come ipnotizzata. La luna il-luminava la sua pelle candida mentre le sue chiome corvine galleggiavano a fior d'acqua. Lui affondò i talloni nei fianchi dello stallone, lanciandolo al ga-loppo attraverso la stretta gola. I rami gli frustavano il viso, impedendogli di raggiungere la sua amata. Gridò il nome di lei a squarciagola: «Arabellina, Ara-bellina!». Lei udì il suo richiamo, ma lo scambiò per una delle voci deliranti che le risuonavano nella mente. Lord Blackraven non sarebbe tornato. Era morto. Pugnala-to. Ogni sogno di felicità giaceva sepolto insieme a lui. La giovane trasse un profondo respiro, l'ultimo, poi si abbandonò tra i flutti, lasciando che la pietra che si era legata alla caviglia la trascinasse... Gli occhi bagnati di pianto, Henrietta colse un mo-vimento periferico che la costrinse a distrarsi dalla let-tura. La diligenza era arrivata? Gettò uno sguardo an-sioso fuori dalla finestra, verso la strada al di là del cancello ricoperto di edera.

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Ma non era la carrozza della posta, bensì solo un'anziana vicina che scacciava le galline dalla strada con una scopa di saggina. Henrietta si sentì affossare il cuore. L'orologio sulla mensola batté l'ora, produ-cendo un suono simile a quello di due cucchiai sbattu-ti l'uno contro l'altro per dieci volte. Il convoglio della posta aveva ben venti minuti di ritardo, il che confer-mava il suo sospetto che il servizio postale di Sua Maestà ce l'avesse con lei. Tornata ad accoccolarsi sulla poltrona, si strinse nella spessa coperta di lana per proteggersi dagli spif-feri del vecchio salotto, poi tornò all'ultima pagina de Il misterioso Lord Blackraven. La giovane trasse un profondo respiro, l'ultimo, poi si abbandonò tra i flutti, lasciando che la pietra che si era legata alla caviglia la trascinasse verso le turbi-nose profondità marine. «Arabellina! No!» Lord Blackraven si arrampicò su-gli scogli mentre le chiome corvine di Arabellina spa-rivano tra i marosi schiumosi. Lui si tuffò e afferrò il corpo dell'amata, sostenendolo. Confusa com'era, Arabellina si dibatté. Lui tenne fer-mo il suo corpo tremante e le scostò i capelli dal viso, mentre i suoi occhi cercavano frenetici quelli della donna. «Sono morta? Questo è il paradiso?» gli chiese lei. «No, amore mio. Sono io, Lord Blackraven. Sono tor-nato per voi, mio tesoro. Vi amo. Vi ho sempre ama-to.» Henrietta chiuse il libro e si asciugò il pianto con la manica dell'abito, quindi tornò a guardare fuori dalla finestra. Vide una gallina e qualche pecora grassa e sporca. Ma nessuna carrozza della posta.

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Oh, accidenti! Sospirò, soffiandosi via dalla fronte un ricciolo ne-ro ribelle. Nell'attesa di ricevere la lettera di suo cugi-no, Mr. Edward Watson, aveva divorato il romanzo in tre giorni. Adesso avrebbe dovuto aspettare un anno prima di riceverne un altro. Non le restava che pregare che la lettera di Edward non ci mettesse altrettanto ad arrivare! Gettò il libro sul tavolo. Aveva promesso di passar-lo di nascosto alle altre signore del villaggio, anch'es-se ansiose di leggere l'ultimo capolavoro gotico di Mrs. Fairfax, a costo di doverlo nascondere sotto il letto o nel cestino del cucito. Henrietta, invece, non aveva bisogno di ricorrere a misure tanto estreme: suo padre si accorgeva a malapena di ciò che lei leggeva, perso com'era in un mondo astratto fatto di numeri e spazio. Guardò i rombi di luce proiettati dal reticolo della finestra sulle pareti dipinte di recente, ma con esiti tutt'altro che soddisfacenti. Purtroppo le linee pulite e i colori tenui dello stile greco classico non si adatta-vano bene ai soffitti in legno e agli enormi camini di Rose House. A Henrietta sembrava quasi di poter ve-dere dei vecchi fantasmi medievali seduti al tavolo a bersi una birra e a contemplare con aria disgustata il nuovo color menta delle pareti e le decorazioni in fo-glia d'oro. Quella stanza... anzi, l'intera casa, era senza speranza. Nessun dipinto, vaso o divano d'ispirazione classica sarebbe valso ad attenuarne la spiccata im-pronta Tudor. I suoi pur strenui sforzi profusi nel ride-corarla erano serviti solo a darle l'aria di un maiale ve-stito a festa. Tornò a guardare fuori dalla finestra. La primavera stava esplodendo. Piccoli boccioli verdi punteggiava-no i cespugli di rose, gli animali si annusavano a vi-

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cenda con ritrovato entusiasmo e gli uomini del villag-gio erano affaccendati nei campi. I segni della prima-vera erano ovunque, tranne che nel cuore di Henrietta, ancora sprofondato nell'inverno, in spasmodica attesa. Perché Edward non le aveva scritto? Toccò il ciondolo appartenuto alla defunta madre come se quel piccolo rubino pendente potesse fugare ogni dubbio. Se la lettera di Edward non fosse giunta al più presto, Henrietta sarebbe anche potuta ricorrere alle misure estreme della povera Arabellina. Chiuse gli occhi, immaginandosi di avanzare verso un tumul-tuoso mare italiano con dei pesanti sassi cuciti nell'or-lo del vestito. I suoi capelli corvini ondeggiavano setosi, non crespi come accadeva di solito per colpa dell'aria salmastra. La sua pelle d'avorio risplendeva, priva dell'odioso foruncolo che le era comparso sul mento nel corso della notte... «Henrietta... volevo dire, Arabellina! Non fatelo. Io vi amo!» Arabellina si voltò. Sulla scogliera sovrastante si sta-gliava la sagoma di Lord Blackraven, che di colpo as-somigliava incredibilmente a Mr. Edward Watson. Il suo mantello nero si agitava al vento, mentre la luce lunare illuminava i penetranti occhi verdi capaci di farle battere forte il cuore. «Come potete dire di amarmi, visto che non mi avete mai scritto? Giorno dopo giorno ho atteso una lettera che mi dicesse che eravate arrivato sano e salvo a Londra. Una poesiola in cui mi dicevate quanto mi desideravate! Sono disperata. Come avete potuto ab-bandonarmi in questa landa desolata?» Arabellina guardò i flutti che sembravano reclamarla. «Fermatevi! Non toglietevi la vita! Vi ho scritto ogni

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singolo giorno. Poesie su poesie!» protestò il genti-luomo. «Non le ho mai ricevute.» Lord Blackraven esitò, mordicchiandosi il dito indice come era solito fare Edward. Poi dichiarò: «È tutta colpa delle poste! Quelle poste crudeli!». «Non incolpate le poste. Mi avevate chiesto di aspet-tare e io l'ho fatto. Per settimane e settimane...» «È arrivata la posta.» L'annuncio di Mrs. Potts in-terruppe le sue fantasticherie. La paffuta governante era ferma sulla soglia del sa-lotto, intenta ad asciugare un mestolo di legno con uno strofinaccio, negli occhi uno sguardo fastidiosamente saccente. Fuori dalla finestra, la carrozza della posta stava già passando oltre, con il suo carico di passegge-ri che si tenevano aggrappati al tetto e alle fiancate. Com'era possibile che Henrietta non si fosse accorta del suo arrivo? Ostentò uno sbadiglio annoiato. «Già? Cielo, com'è volata la mattina!» «Mmh» bofonchiò la governante prima di andarse-ne. Henrietta si impose di attendere finché l'eco dei passi di Mrs. Potts non fu scemata. Poi salì di corsa in camera sua, si gettò addosso la pellegrina e il cappel-lino e si precipitò di nuovo da basso. Rallentò soltanto dopo essere uscita dal portone, assumendo un'andatura casuale e disinvolta. Anche i vicini stavano uscendo di casa e imboccando la via principale. Per tutti loro l'ar-rivo della posta era il momento più emozionante della giornata. La diligenza si fermò davanti a una locanda sporca e angusta che sembrava sul punto di sprofondare sotto il peso dei suoi quattro piani. Il direttore dell'ufficio

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postale, che fungeva anche da oste e occasionalmente da barbiere, uscì zoppicando dall'edificio. Il ragazzino acquattato sul predellino gettò a terra un grosso sacco giallo. Il direttore dell'ufficio postale lo prese e, men-tre la carrozza ripartiva, lo portò nella locanda, seguito da tutti i presenti. Una volta all'interno, gettò il sacco su un vecchio tavolaccio e procedette a estrarre le let-tere una per una, leggendone l'indirizzo prima di ri-porle nel mucchio giusto. Gli abitanti del villaggio stavano a guardare, cer-cando di indovinare il mittente di ciascuna missiva. Era un rituale che si ripeteva ogni singolo giorno. Henrietta indugiò vicino all'ingresso per non appa-rire troppo smaniosa. La porta si aprì di colpo e un intenso odore di be-stiame e fango invase la stanza, preannunciando l'arri-vo del vicino di casa di Henrietta. Come sempre, lui indossava pantaloni di camoscio inzaccherati e un logoro pastrano verde. I riccioli ca-stani scomposti e sudati, che avrebbero avuto un gran bisogno di una visita dal barbiere, ricadevano a copri-re gli occhi grigi. Il suo viso magro e spigoloso era in-corniciato da folte basette. A giudicare dalla sporcizia sotto le sue unghie, si sarebbe detto che non avesse al-cun bracciante al proprio servizio e che fosse costretto a seminare i campi con le proprie mani. Lo seguiva il fido cane Samuel, un bestione dal folto manto marro-ne e dalla razza imprecisata. Nel vedere Henrietta, Samuel corse a infilarle il na-so sotto la gonna. Lei si inginocchiò, permettendogli di leccarle la guancia. Poi sollevò lo sguardo. Kesseley la stava fissando senza l'ombra di un sor-riso. Sul suo volto c'era di nuovo quell'espressione ar-cigna: il mento era rivolto verso l'alto, gli occhi erano duri, rivolgendole lo sguardo che Henrietta fingeva

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sempre di non notare. Se solo nel vederla avesse ma-nifestato un decimo della gioia dimostrata dal suo ca-ne! «Buongiorno, Samuel, e anche a voi, Kesseley.» Si alzò e gli rivolse un sorriso nervoso. «Avete l'aria di esservi divertito, questa mattina.» «Sono stato nei campi.» «Dove sareste potuto andare, altrimenti?» ridacchiò Henrietta, sperando che lui la imitasse. Invece Kesse-ley si limitò ad abbassare lo sguardo sui propri stivali incrostati di fango, le labbra tirate in un'espressione scontenta. «Sto terminando la semina» le annunciò. «Que-st'anno inizieremo un nuovo programma di rotazione dei campi.» «Quello che usano nelle Fiandre?» A quell'afferma-zione, Kesseley sollevò il capo di scatto, evidente-mente colpito. Henrietta si sentì rincuorata. «Pensavo che i miei discorsi sull'agricoltura vi an-noiassero» le disse. «Eppure ne ricordo ogni parola.» Lei gli sfiorò il polso, pervasa da un moto di tenerezza. Rimpiangeva i tempi in cui tra di loro c'era stata confidenza, invece che impaccio. «So che tra pochi giorni partirete per partecipare alla stagione mondana.» «Sì.» «Vi ho preparato un regalino, ma dovrete passare da me a prenderlo.» Finalmente l'abbozzo di un sorriso gli balenò sul volto. «Un segreto, Henrietta? So bene che non siete brava a tenere i segreti. Tanto vale che me lo diciate subito, prima di lasciarvelo sfuggire per sbaglio.» «Non è vero. Vi ho tenuto molti segreti, in passato, ma voi non ricordate altro che l'infelice regalo a sor-presa che volli farvi per il vostro nono compleanno.»

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«Suvvia, ditemelo!» «No.» Henrietta gli agitò il dito sotto il naso per provocarlo scherzosamente. «Voglio torturarvi un po' nell'attesa.» «Volete che racconti a tutti che qualche anno fa ten-taste di fuggire con una compagnia teatrale ambulante e che dovetti venire fino a Ely per riportarvi a casa?» «Non me l'avete mai perdonato, vero?» sbuffò lei, fingendosi risentita, ma subito dopo rise. «Be', se non l'aveste fatto ora starei conducendo una vita senz'altro più emozionante, viaggiando per l'Inghilterra invece di restarmene confinata in questo posto.» Lo sguardo dell'uomo fu attraversato da un lampo. «Già, avete reso ben chiaro di non amare il nostro vil-laggio né...» Lui si arrestò, ma ciononostante le parole che non aveva detto rimasero sospese nell'aria come se le avesse pronunciate ad alta voce. Né me. Voi non amate neppure me. Un imbarazzo ormai familiare tornò ad aleggiare tra di loro. «Un diario!» esclamò lei, tentando di riportargli il sorriso sulle labbra. «Vi ho preparato un diario. È quella la sorpresa.» Aprì le mani e scrollò le spalle in un gesto rassegnato. «Avete ragione, non sono capace di tenere i segreti.» «Un diario?» Lui inarcò le sopracciglia, stupito. «Visto che andrete a Londra per cercare moglie, ho pensato che potreste voler scrivere di quando... di quando...» Di colpo quel regalo le parve l'idea più stu-pida del mondo. «... di quando incontrerete la vostra lei.» «La mia lei?» «La vostra futura sposa. Così potrete immortalare quegli attimi e ricordarli per sempre.» Lo vide stringere i denti e si sentì più idiota che

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mai. Non desiderava altro che lui si innamorasse di una donna meravigliosa, così come lei si era innamo-rata di Edward. «Ho sbagliato di nuovo, vero?» gli chiese sottovoce. «No, siete stata gentile. Grazie del pensiero.» «Il mio pensiero è sempre con voi» gli sussurrò Henrietta. «Siete il mio migliore amico.» Perché mai dovevano continuare con quella recita? Perché lui non poteva tornare a essere il Kesseley di sempre? Era ter-ribile essere così preoccupata per Edward e non avere nessuno con cui confidarsi. «Fanno quattro penny per queste lettere e una rivi-sta, Miss Watson» la chiamò il direttore dell'ufficio postale. Henrietta si fece avanti, depose le monete sul tavolo e raccolse un voluminoso plico di posta. Senz'altro una di quelle lettere sarebbe stata di Edward. Si avviò all'uscita, poi si ricordò di Kesseley, ancora in attesa della corrispondenza. «Per favore, passate a trovarmi prima di partire.» «Ma certo.» Si chinò per accarezzare Samuel, che nel frattempo si era sdraiato a pancia in su come per chiederle una bella grattata. Appoggiò la mano all'orecchio del cane, fingendo di parlargli sottovoce, ma in verità tenne lo sguardo fisso sul volto di Kesseley. «Mi raccomando, fa' in modo che non se ne dimentichi!» La bestia guaì. «Ha detto di sì.» Kesseley rise. Aveva addirittura riso! Nell'udire quel suono caro, Henrietta sorrise. «Posso sempre contare su Samuel» concluse prima di eseguire una riverenza e correre fuori, la mente già nuovamente rivolta a Edward e alla sua scarsa solleci-tudine nello scriverle. Passò quindi avidamente in ras-segna le lettere appena arrivate.

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Poi ripeté l'operazione. E la ripeté di nuovo. Ancora una volta, giusto per controllare... Nulla. Solo il numero di marzo di Town and Country. Pre-se la rivista e la scrollò, ma dalle sue pagine non cad-de alcuna lettera di Edward. Fu come se qualcuno le avesse calpestato il cuore, schiacciandolo a terra. Adesso davanti a lei si stende-va un'altra triste, vuota giornata, simile a una scena ri-petuta all'infinito: la revisione della contabilità dome-stica, il lavoro di ricamo per l'orfanatrofio, il bisticcio con Mrs. Potts per il menu della cena, la discussione con suo padre riguardo a qualche astrusa teoria mate-matica sopra un cosciotto di montone e infine l'enne-sima rilettura a lume di candela delle poesie di E-dward, fino a che il sonno non l'avesse colta. Si avviò rassegnata verso casa. «Henrietta, aspettate!» Kesseley uscì di corsa dalla locanda e la raggiunse, agitando una rivista e con il fedele Samuel alle calcagna. «Sono sul Journal of A-griculture!» Le indicò la pagina. Henrietta si allungò e lesse: Come aumentare il raccolto di rape utilizzando la cenere quale fertiliz-zante, del Conte di Kesseley. Perché le buone notizie non arrivavano mai a lei? Poi però notò l'orgoglio nel-lo sguardo di Kesseley e si vergognò della propria in-vidia. «È meraviglioso» si complimentò. «Venite, beviamo una birra o un tè per festeggiare.» Ma Henrietta non desiderava altro che chiudersi in casa a languire nel proprio dolore. «Grazie, ma non... non mi sento molto bene.» Gli occhi di Kesseley si velarono di preoccupazio-

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ne. Le prese il braccio. «Avete ricevuto cattive noti-zie?» «No. Ho solo mal di capo. Di nuovo congratulazio-ni.» Era sincera. Avendo assistito alle tribolazioni di suo padre, sapeva bene quanto fosse difficile far pub-blicare un proprio scritto. Diede alla mano di Kesseley una breve, rassicurante stretta. «Vi prego di passare prima della vostra partenza. Vi darò il diario. Non è necessario che scriviate qualcosa sulla vostra futura moglie, potreste usarlo anche per i vostri appunti sulla rotazione dei raccolti.» «Henrietta, aspettate...» «Scusatemi, devo andare.» Si scostò e proseguì ver-so casa, il rifugio perfetto per autocommiserarsi. Av-vertendo su di sé lo sguardo deluso di Kesseley si sen-tì in colpa. Come mai con lui finiva sempre per sentir-si un mostro di crudeltà? Non era certo sua intenzione deluderlo, eppure ci riusciva immancabilmente. Forse avrebbe dovuto prendere quella tazza di tè. Ma poi lui avrebbe senz'altro iniziato a parlare delle proprietà fertilizzanti della cenere, qualsiasi esse fos-sero. Non quel giorno. Si sarebbe fatta perdonare in un'altra occasione, si ripropose nel tentativo di alleg-gerirsi la coscienza, pur sapendo di essersi fatta quella promessa chissà quante volte senza averla mai mante-nuta. Giunta a casa, gettò il cappellino sul divano con tanta forza da farne cadere i gigli di seta che lei stessa vi aveva ricamato. Si sedette, si appoggiò il mento sulla mano e permise ai pensieri di spostarsi dal ri-morso per come aveva trattato Kesseley alla preoccu-pazione per Edward. Edward era a Londra ormai da sei settimane e non si era mai fatto sentire. «Ha detto di amarmi, che devo

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essere paziente» ricordò a se stessa, rivivendo la sera in cui si erano baciati. Rivisse anche la delicata pres-sione delle labbra di lui, il fremito che le aveva per-corso la schiena, il calore di quella bocca che sapeva di vino e panna. Il chiacchiericcio degli invitati e il suono dei violini era giunto fin nel giardino, infran-gendo il silenzio di quella serata di novembre. Ma nel momento in cui le loro labbra si erano incontrate, il resto del mondo era scomparso. Gli anni trascorsi a sognare e desiderare erano terminati, e loro due avreb-bero potuto finalmente iniziare una nuova vita insie-me. Peccato che a quel punto avrebbe già dovuto rice-vere chissà quante lettere di Edward! Londra era piena di donne belle e raffinate che ap-prezzavano la poesia... e i poeti, soprattutto se attraen-ti come Edward. No! In quel momento lui era senz'altro occupato a seguire gli affari del padre e a terminare un altro vo-lume di poesie da consegnare all'editore. Non aveva tempo di sbrigare la corrispondenza, tutto lì. Anzi, era alquanto egoista da parte sua pretendere che lui tra-scurasse quegli importanti impegni per scriverle. Poi però una vocina, simile a quella di un bambino dispettoso, le s'insinuò nella mente. In fondo, non ti ha mai chiesto ufficialmente di spo-sarlo. Taci! Henrietta si batté la mano sulla fronte nel tentativo di zittire quella voce. Portò il fascio della posta al piano superiore, bussò alla porta della biblioteca e avanzò nella foresta di li-bri e incartamenti che costituiva l'intera esistenza di suo padre. Mappe astrali ricoprivano le pareti a pan-nelli scuri, nonché le finestre. Il pavimento era cospar-

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so di pile di documenti che rendevano già difficile camminare, tanto più cercare di spazzare la stanza. Al centro di quella caotica galassia stava suo padre, Wal-ter Watson, un uomo dall'aspetto imponente e dal naso aquilino, con ricci argentei ribelli e lo sguardo costan-temente perso in chissà quali calcoli. Era chino su un grande tavolo, intento a scarabocchiare appunti. Di fronte a lui sedeva il suo collega astronomo Mr. Pieter Van Heerlen. Essendo molto più ordinato del padre di Henrietta, aveva impilato e riposto su un lato tutti i libri e le carte, così da creare una superficie di lavoro sgombra. Era un uomo esile e biondo di circa cinquantacinque anni. Possedeva un paio di occhi az-zurri e vividi tipicamente teutonici, resi ancora più penetranti dalle lenti rotonde degli occhiali. Era arri-vato più di un mese prima per una breve visita di una settimana, giusto per dare una rapida occhiata al la-voro di Mr. Watson. Compito come sempre, si alzò e s'inchinò davanti a Henrietta. Lei rispose con una riverenza. «Avete un'aria affannata, Miss Henrietta. Spero non vi siate stancata troppo.» Mr. Van Heerlen sembrava convinto che lei fosse un fragile fiorellino. Il padre di lei agitò la mano con aria incurante. «Oh, non preoccupatevi per Henrietta. Corre sempre qua e là per i campi con Kesseley e poi se ne torna a casa coperta di fango e cimici.» Mr. Van Heerlen socchiuse gli occhi con ovvia di-sapprovazione. «Accadeva anni fa, papà, quando ero piccola» lo corresse Henrietta. Non voleva turbare Mr. Van Heer-len. Essendo uno dei più autorevoli astronomi della comunità scientifica tedesca, avrebbe potuto distrug-gere la reputazione accademica di Mr. Watson con una sola parola. «Sono solo andata a ritirare la posta.»

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Baciò suo padre sulla guancia e gli porse le lettere, sempre sotto lo sguardo attento di Mr. Van Heerlen. Mr. Watson depose la penna e si pulì le dita mac-chiate d'inchiostro sul panciotto. Sapendo quanto sa-rebbe stato difficile eliminare quelle chiazze nere, Henrietta rabbrividì. Dopo avere letto il mittente delle lettere, suo padre le depose in cima a un mucchio di altra posta. Solo quando fu giunto all'ultima missiva l'aprì e la lesse avidamente, reggendola fra le dita tre-manti. «Papà, che cosa succede?» gli chiese Henrietta al-larmata. «Mr. Van Heerlen! Ce l'avete fatta! Sarete ricevuto all'Osservatorio Reale!» Porse la lettera al collega, che si mise a leggerla ad alta voce nel suo marcato accento fiammingo. «Egre-gio signore, ho ricevuto la vostra richiesta di un'u-dienza. Sebbene io e Mr. Van Heerlen abbiamo avuto qualche divergenza d'opinione in passato, sarò lieto di riceverlo a tarda primavera...» «Potrebbe essere la svolta decisiva, Henrietta» lo interruppe Mr. Watson. «Quello che io e tua madre abbiamo sempre sperato, ossia che le perturbazioni nell'orbita di Urano siano davvero causate da un pia-neta sconosciuto. Ma no, loro insistevano che si trat-tava di una luna o di una cometa! Sapevamo bene che nessun altro corpo celeste sarebbe riuscito ad alterare l'orbita di un pianeta così grosso. Era palese. Vorrei tanto che...» Gli tremarono le labbra. «Vorrei tanto che anche tua madre fosse qui.» Henrietta sarebbe voluta correre da suo padre per abbracciarlo, ma la presenza di Mr. Van Heerlen la i-nibì. «Sarebbe fiera di voi, papà» si limitò a sussurra-re. «Davvero?» Mr. Watson si posò una mano sulla

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bocca e scrutò le carte sulle quali, accanto ai calcoli più recenti, si vedevano ancora quelli vecchi, scribac-chiati nella grafia della moglie. Gli si riempirono gli occhi di lacrime, ma lui sbatté le palpebre per scaccia-re il pianto. «Torniamo subito al lavoro. Non posso deluderla.» «Dirò a Mrs. Potts di preparare una cena speciale per stasera» disse Henrietta, accingendosi a lasciarli. «Sì» assentì Mr. Van Heerlen nello stesso istante in cui il padre di Henrietta la tratteneva. «No, no, resta! Abbiamo bisogno del tuo aiuto.» Mr. Watson prese una sedia, gettando a terra le car-te che la occupavano, e fece cenno a Henrietta di se-dersi. Poi le porse una penna recuperata a fatica nel disordine. Henrietta attese ulteriori istruzioni mentre, accanto a lei, Mr. Van Heerlen si agitava, esprimendo un taci-to, ma eloquente disaccordo. Dopo una lunga pausa carica di tensione, la giovane prese Town and Country e si mise a sfogliarlo, sperando di distrarsi leggendo delle appassionanti vicissitudini di Lady Sara. Come tutte le ragazze di provincia, Henrietta amava tenersi informata sulle imprese della celeberrima de-buttante. Per tutte loro Lady Sara non era la figlia di un duca, cresciuta in un mondo di privilegi del tutto diverso dal loro, bensì un'amica del cuore da lodare o criticare a seconda delle occasioni. Henrietta aveva appreso da fonti affidabili che Lady Sara teneva na-scosta sotto il materasso una copia de Il misterioso Lord Blackraven, il che ai suoi occhi le rendeva sorel-le nell'animo. Lasciò correre lo sguardo sulle pagine alla ricerca del nome di Lady Sara, ma trovò solo noiosi pettego-lezzi sui vecchi, anziani zii del Principe Reggente. «Henrietta, qual è l'eccentricità se la distanza mi-

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nima dal sole è di 27.378.273.914.477.095 miglia e quella massima è di 28.227.889.992.901.435?» Henrietta chiese al padre di ripetere l'asse minore e quello maggiore, annotando le cifre sul margine di una pagina della rivista. «0,011214269» rispose poi. Mr. Van Heerlen sbuffò infastidito. Ignaro di ciò, il padre di Henrietta continuò a inter-rogarla. «Quindi qual è la distanza da...?» Henrietta girò la pagina e si accinse a scrivere, ma si fermò di colpo. Accanto alla punta della penna c'era l'ovale perfetto del volto di Lady Sara, incorniciato in un cuore che era intrecciato a un altro cuore, all'interno del quale erano raffigurate le fattezze di un giovanotto alquanto attraente. Lady Sara aveva un innamorato! Henrietta prese la candela e l'avvicinò per rischiara-re la pagina. C'era qualcosa di familiare nello sguardo del corteggiatore. Lo esaminò più attentamente, spor-gendosi in avanti finché non arrivò quasi a toccare la pagina con la punta del naso. Edward! «Miss Watson» la chiamò Mr. Van Heerlen. «Vi sentite bene?» Lei lo sentì posarle delicatamente una mano sulla spalla. «Non lo so...» mormorò, ansimando come se fosse stata sul punto di affogare. Si premette le mani sulle orecchie, ma non riuscì a zittire la voce inesorabile della verità. Afferrato il giornale si alzò, sottraendosi al tocco sollecito di Mr. Van Heerlen, poi corse via, ansiosa di raggiungere la quiete della propria stanza. Si sentì chiamare per nome, ma non rispose e andò a chiudersi a chiave in camera sua. Poi si lasciò cadere sul pavimento e spiegò la rivista sul tappeto.

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I frequentatori di White's saranno delusi di sapere che la ribelle Lady S... ha respinto ogni altro pretendente, preferendo il fascino di un poeta del Norfolk, un certo Mr. E... W... Il duca suo padre ha a malincuore accet-tato la situazione dopo avere sventato un tentativo di fuga a Gretna Greene. Si prevede che il fidanzamento venga annunciato al termine della stagione, dando in tal modo il tempo a un corteggiatore più adatto di far-si avanti, o almeno così spera il duca. Tutto il corpo di Henrietta era scosso dai singhioz-zi. Arrancò fino al letto, si avvolse nella coperta e ten-tò di soffocare il pianto nel cuscino. Anni di ricordi confusi le invasero la mente: Edward che la spingeva sull'altalena, Edward che perdeva un piccolo smeraldo dal fermacravatta, Edward che infilava di nascosto una propria poesia tra le pagine del libro di Henrietta. E adesso lui voleva sposare Lady Sara! Quando ave-vano tentato di fuggire a Gretna Greene non poteva conoscerla da più di qualche giorno. Henrietta provò lo stesso senso di disperata impotenza provato sul let-to di morte della madre, quando era stata del tutto in-capace di alleviare le sue sofferenze. No! Non poteva rassegnarsi così. Aveva bisogno di Edward come dell'aria che respirava. Che ne sarebbe stato di lei se avesse dovuto rinunciare anche a spera-re? Sarebbe diventata una vecchia zitella avvizzita condannata a vivere in una casa fatiscente e a occu-parsi di quell'eccentrico di suo padre, con niente di meglio a cui pensare se non a programmare il menu della cena. Si raggomitolò su se stessa mentre le lacrime le ri-gavano calde il volto, bagnando le lenzuola. Tornò a sfiorare il ciondolo di sua madre. Il dolore che prova-va in quel momento era quasi paragonabile a quello

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del giorno in cui Mrs. Watson era morta. Lei e Kesse-ley erano andati a sedersi sulla riva del fiume, in fra-stornato silenzio. Una farfalla si era posata sul dito di Kesseley e lui l'aveva accostata alla guancia di Hen-rietta, cosicché le ali le accarezzassero la pelle. «Kesseley» sussurrò come se lui fosse stato lì. «È così ingiusto. Lady Sara non dovrebbe sposare E-dward. Lei dovrebbe sposare un duca o un...» Poi l'idea le si presentò alla mente, cristallina come il giorno in cui i numeri erano balzati fuori dalle pagi-ne di Keplero per formare un'ellisse perfetta attorno al sole. Kesseley puntò i piedi nella terra del campo del suo fittavolo, cercando di imprigionare tra le ginocchia una pecora fuggitiva. Sei un idiota!, stava pensando. Non riesci proprio a smettere di pensare a lei, vero? Non saresti dovuto andare in paese, oggi, ma non potevi starle lontano. «Dimenticala!» si impose a voce alta. «Prego?» gli gridò Simmons, il suo fittavolo, a di-verse pecore di distanza. «Nulla. Parlavo da solo.» «L'unico tipo di conversazione veramente intelli-gente» sentenziò Simmons. «Già.» La pecora riuscì a liberarsi e corse via, non prima di avere sferrato calci negli stinchi di Kesseley. Sibilando un'invettiva, lui si piegò in avanti per il do-lore, mentre lo stolto ovino lo fissava con occhi tondi e spaventati. Da piccolo, Kesseley aveva ben cono-sciuto la paura, ogni volta che era restato raggomitola-to su se stesso ad aspettare che suo padre lo colpisse. Allungò la mano per accarezzare il vello lanoso e sof-fice. «Calma, ragazza mia. Calma» sussurrò alla crea-tura atterrita. Poi, delicatamente, le prese la zampa e

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gliela fece sollevare, esaminando lo zoccolo. Gli bastò toccarlo per farlo sgretolare. «Povera, ecco perché sei così irritabile.» Poi chiamò Mr. Simmons. «Ha con-tratto la zoppina. Dobbiamo separarla dalle altre.» Il fittavolo si asciugò la fronte sudata. «Lo sapevo! Probabilmente ce l'hanno tutte.» Kesseley si chinò a esaminare un'altra pecora, ma si fermò di colpo. Lungo lo steccato camminava Hen-rietta con una pila di libri in mano. Il vento le teneva aperta la pellegrina, rivelando il profilo delle sue gam-be snelle e della sua vita sottile. Ciocche nere sfuggi-vano alla crocchia sulla sua nuca, ricadendole lungo la schiena e danzandole attorno al volto. Oh, diavolo! Kesseley trattenne il fiato e si pulì le mani sulla giacca. Qualunque cosa ti chiederà, rifiuta. Ma i grandi occhi scuri dell'amica erano vitrei e a-veva il viso chiazzato di rosso, come le accadeva sem-pre dopo aver pianto. Kesseley corse da lei. «Buon Dio, che cosa succede?» Iniziò a tremarle il mento. Piccole lacrime le riga-rono il volto. Cercò di parlare, ma non le uscirono pa-role di bocca, solo uno squittio. Lui rimase lì con le braccia lungo i fianchi, senten-dosi inutile come quando, da bambino, aveva tentato di consolare sua madre. Kesseley odiava sentirsi così, lo odiava fin nel profondo del suo animo. Posò le ma-ni sulle spalle di Henrietta, scoprendole morbide e de-licate come le piume di un pulcino. «Henrietta?» sussurrò. «Posso... posso parlarvi?» Lei gettò una rapida oc-chiata verso l'ampio fondoschiena di Simmons ricurvo su una pecora. «Forse da qualche altra parte.» «Sì, certo!» Kesseley fece per toglierle di mano i libri, ma lei se li strinse al petto, preferendo invece ap-poggiarsi al suo braccio. Lui la condusse lungo il vec-

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chio sentiero che da bambini avevano percorso quasi ogni giorno, oltrepassando lo steccato e addentrandosi tra gli alberi che fiancheggiavano il fiume Ouse. Sa-muel li seguì, fiutando alla ricerca di qualche tana di talpa. Il sole pomeridiano era basso e illuminava l'impo-nente quercia che si stagliava sulla riva del fiume. Si erano sempre dati appuntamento lì, fino a quel merco-ledì d'inizio autunno dell'anno precedente. Quel giorno Kesseley e Samuel stavano camminan-do per i campi quando si erano imbattuti in Henrietta seduta sulla riva, avvolta in un mantello marrone, le ginocchia raccolte e cinte dalle braccia. Kesseley ave-va trattenuto il cane e si era fermato a guardarla da dietro la quercia, lasciando che la sua bellezza gli pe-netrasse fin nel profondo dell'animo. Non la vedeva dalla messa della domenica precedente, il che era in-solito, perché di rado lasciavano passare tanti giorni senza incontrarsi. Poi, come se lei avesse avvertito la sua presenza, o più probabilmente fiutato quella di Samuel, si era gi-rata. Mi stavate spiando?, gli aveva chiesto, corrugan-do la fronte. Lui si era sentito sciocco per essere stato colto in flagrante, così aveva cercato di salvarsi scherzando. Sì, vi stavo spiando. L'espressione di lei era rimasta seria. Posso sedermi?, le aveva chiesto. Lei aveva esitato, poi gli aveva rivolto lo splendido sorriso che sapeva fargli palpitare il cuore. Prego. Kesseley le si era seduto accanto, così vicino che le loro spalle si sfioravano. Samuel gli si era accucciato ai piedi, grattandosi il collo con la zampa posteriore. Dopo essersi informati sul reciproco stato di salute, erano rimasti in silenzio. Henrietta era stata taciturna,

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assorta a contemplare le foglie cadute che galleggia-vano sulla superficie del fiume. La brezza fresca e in-tensa le aveva arrossato le labbra e le guance, e il sole riflesso sull'acqua le aveva fatto scintillare gli occhi come ambra. Kesseley stava da tempo meditando sul discorso che intendeva farle a primavera. Le avrebbe annunciato di aver finalmente liberato la tenuta di Wrenthorpe dai debiti che suo padre gli aveva lasciato in eredità e che il raccolto prometteva molto bene, grazie alle nuove tecniche di coltivazione. Tutto ciò gli avrebbe consentito di prendersi cura di una moglie e di una famiglia. Ma in quel frangente, guardando Henrietta, aveva capito di non poter aspettare tutti quei mesi. Perché trascorrere un lungo inverno solita-rio, quando avrebbe potuto tenere Henrietta al caldo tra le sue braccia... e nel suo letto? Vo... vorrei farvi una domanda. Una goccia di su-dore gli era rotolata lungo la fronte. Lei aveva sorriso e inarcato le sopracciglia incurio-sita. Sì? Io... cioè... voi... La bocca gli si era prosciugata. Era stato talmente nervoso da non riuscire ad articolare le parole. Reso ardito dall'esasperazione, aveva posato la ma-no sulla nuca di Henrietta, sentendo sulla pelle il tocco soffice dei suoi capelli. Lei aveva sgranato gli occhi quando l'aveva attirata a sé. Le aveva accarezzato la guancia con fare rassicurante e poi, imponendosi di essere delicato, per quanto il suo corpo fosse sul punto di esplodere, aveva appoggiato le labbra su quelle del-l'amica. Lei era rimasta immobile, senza reagire al suo tocco impacciato. Kesseley era stato colto dal panico. Possibile che lei non avesse sentito nulla? Poi Henriet-ta aveva emesso un sospiro basso e dolce. Le sue dita si erano strette attorno agli avambracci di lui, avvici-

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nandolo a sé. Le labbra di Henrietta avevano iniziato a ricambiare i suoi baci con slancio crescente, i suoi se-ni gli si erano premuti contro il petto. Henrietta, aveva mormorato lui prima di affondare la lingua nella sua bocca, depredandola, assaporando-la. Ma poi lei aveva emesso un gridolino ed era sgu-sciata via dalle sue braccia. Lo aveva fissato con occhi sbarrati, i seni che si al-zavano e abbassavano a ogni respiro. Perdonatemi. Non volevo spaventarvi. Lui aveva teso le mani per riabbracciarla. Io vi am... Oh, Dio! Lei era balzata in piedi e aveva iniziato a sfregarsi la bocca con il dorso della mano, come per cancellarsi dalla pelle il ricordo di quel bacio. Cosa ho fatto?, aveva piagnucolato. E proprio con voi! Samuel aveva iniziato a guaire. Vi prego, Kesseley. Pensavo che fossimo amici. Ma mi sembrava..., aveva esordito lui. Pensavo che il mio bacio vi fosse piaciuto. Pensavo... No. Lei aveva scosso il capo. Io e Edward ci amia-mo. Dopo che il suo libro sarà stato pubblicato, an-dremo a Londra insieme. Cosa?, aveva gridato lui, sentendo il sangue gelarsi. Lo amate? E quando mai è successo? Lo amo da tempo. Lei aveva deglutito e guardato verso l'orizzonte. Non potevo dirvelo. Mi dispiace. Da quel giorno a Kesseley era sembrato di vivere in una farsa perpetua, in cui entrambi fingevano di essere amici, come se nulla fosse accaduto. Si dicevano le stesse cose di sempre, si scambiavano gli stessi sorrisi, ma dita fredde e invisibili avevano eretto una barriera emotiva fra di loro. E lui non era bravo a fingere quanto Henrietta. So-gnava di sdraiarsi con lei sotto la quercia, di toglierle gli abiti a uno a uno, di tuffare le labbra nell'incavo

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del suo collo, di sentire le punte dei suoi seni contro al petto e le sue cosce... Accidenti, Kesseley, basta così! Si richiamò all'ordine. La giovane che gli stava da-vanti adesso, cingendosi il busto con le braccia e te-nendo lo sguardo fisso sul fiume, aveva un'aria terri-bilmente fragile. «Volete dirmi cosa succede?» La voce gli si incrinò come quella di un adolescente inesperto. Lei gli si avvicinò, gli appoggiò il capo sul petto e si mise a piangere. Kesseley chiuse gli occhi e l'ab-bracciò, stringendola forte come per spremere fuori da lei la tristezza. Oh, amore mio adorato! Ma di nuovo Henrietta si ritrasse. Si sfilò dalla manica un pezzo di carta strappato e glielo porse. «Era su Town and Country.» Nel leggere le parole stampate, Kesseley strinse i pugni per la rabbia. Come poteva Edward gettare via con tanta noncuranza ciò che lui desiderava dispera-tamente? «Mi dispiace» disse piano, restituendole il pezzo di carta, che però le scivolò dalle dita e veleg-giò via con la corrente. «Per tutto questo tempo ho pensato... Oh, Kesseley, dovevo essere io! Perché non posso essere io?» Lei lo guardò speranzosa, come se l'amico avesse potuto dire qualcosa per farla sentire meglio. Ma nulla poteva le-nire il dolore di un amore non ricambiato, Kesseley lo sapeva bene. «Mi dispiace» si limitò a ripeterle. «Non è giusto» continuò lei. «Non dovrebbe sposa-re Lady Sara. È la figlia di un duca. Non è un matri-monio tra pari! Nessuno dei due sarà felice, una volta che l'infatuazione si sarà esaurita. Lei non potrà mai capire il suo spirito, il suo cuore appassionato, così come so capirlo io.» Si portò la mano al petto. «Lei dovrebbe... Dapprima ho pensato che lei dovrebbe

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sposare un conte come voi. E poi mi sono resa conto che dovrebbe sposare voi.» «Prego?» «Ho detto che dovrebbe sposare voi.» Henrietta continuava a fissarlo con occhi colmi di speranza, ignara di scivolare nel delirio. Lui si tor-mentò nervosamente la cravatta. «Cre... credo che sia-te un po' troppo sconvolta.» «Nient'affatto! Ci ho riflettuto e sono convinta che sia la soluzione migliore.» «Non potete pretendere che due persone si innamo-rino solo perché voi lo desiderate.» «Ma lei è bellissima! Le riviste non fanno altro che esaltare il suo fascino radioso, le sue innumerevoli do-ti. La mia amica Charlotte è sposata con il cugino di Lady Sara e mi assicura che è la creatura più splendi-da che si sia mai vista. Come potreste non amarla?» «Perché non l'ho nemmeno incontrata.» «Ma a Londra la conoscerete.» Lui allargò le braccia in un gesto impotente. «È in-namorata di un altro.» Henrietta non si lasciò scoraggiare. «È solo un'infa-tuazione passeggera. Nonostante sia un ottimo poeta, Edward non è nobile. Voi dovrete ricordarle il suo rango, il suo dovere verso la famiglia. Voi dovrete...» Socchiuse gli occhi. «... portargliela via.» «Neanche per idea!» «D'accordo. Allora fatela invaghire solo quel tanto necessario affinché Edward ritrovi il lume della ragio-ne. Così non dovrete sposarla.» «Ma Edward non può ritrovare il lume della ragio-ne, visto che non l'ha mai avuto.» Lei indugiò, poi incurvò le labbra in un sorriso fur-bo. «Oh, capisco. Dunque non vi sentite in grado di competere con Edward.»

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«Siete sleale!» protestò lui indietreggiando. «Come potete far leva sui miei sentimenti...» «Potreste essere affascinante. Molto affascinante e... tenebroso, se solo ci provaste. Guardatevi!» Arric-ciò il naso come se avesse avuto davanti un cavolo marcio. Kesseley abbassò lo sguardo sulla propria tenuta. Che cosa c'era che non andava? Qualche macchia di fango sul pantaloni. Si girò per controllare le code del-la giacca. C'era forse qualcosa di strano, lì dietro? Qualche chiazza d'erba, niente di grave. «Varrebbe a dire?» «Siete talmente provinciale! Quando sarete a Lon-dra, andate da Schweitzer and Davidson. Sono i sarti più richiesti, mi risulta. Andate a mettervi nelle loro mani.» Kesseley pensò all'armadio di suo padre, colmo di centinaia di cravatte, spille di brillanti e scarpe luci-dissime. Suo padre aveva tranquillamente lasciato che i fittavoli morissero di fame, purché il suo guardaroba fosse inappuntabile. «Non sapete di cosa state parlan-do.» «Invece sì. Charlotte dice che suo marito Nigel dice che la madre di Lady Sara ha udito la cameriera di Sa-ra dire che Lady Sara tiene nascosta sotto il materasso una copia de Il misterioso Lord Blackraven. Quindi è semplice: dovrete diventare affascinante e tenebroso come il protagonista, Lord Blackraven.» «Henrietta, siete turbata e quindi non state pensan-do lucidamente.» «Ma voi potreste benissimo essere Lord Blackra-ven! Siete così intelligente. Vi verrebbe naturale, se solo ve ne convinceste. Guardate cosa non avete fatto per risanare Wrenthorpe.» Su quel punto non c'era nulla da obiettare.

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Henrietta prese uno dei volumi che portava tra le mani. «Ne Il misterioso Lord Blackraven, Lord Black-raven è irascibile proprio come eravate voi quell'anno in cui le erbacce rovinarono le vostre piante di piselli. Salva la vita di Arabellina, ma poi scopre che lei è fi-danzata con il suo fratellastro. Lord Blackraven tenta in ogni modo di starle lontano, ma la passione divam-pa. Lei gli resiste perché lui ha una pessima reputa-zione e si sente in dovere di sposare il fratellastro di Blackraven perché tutti le dicono che è un brav'uomo, ma in verità è malvagio. Così Lord Blackraven uccide il proprio fratellastro. Ma non si tratta di omicidio, bensì...» «Fermatevi un attimo. Dove avete preso quei li-bri?» Lei sollevò il mento in un gesto difensivo. «Sono miei. Adoro leggere romanzi.» «E questo Lord Blackbird... lo ammirate davvero?» «Blackraven» lo corresse lei. «È un uomo così in-trigante.» Il suo sguardo sognante si perse all'orizzon-te. «Quando leggo di lui riesco a evadere, a provare passione, a essere la donna che sento di essere davve-ro... non la povera infelice che vive prigioniera in que-sto squallido villaggio, condannata ad ascoltare sem-pre gli stessi stupidi, noiosi pettegolezzi. Pensavo che la mia vita sarebbe stata molto meglio di così. Mi ri-fiuto di credere che questo...» E indicò con aria disgu-stata quanto li circondava, «sia tutto ciò che il destino ha in serbo per me.» Kesseley guardò le fronde dei salici che sfioravano la superficie del fiume, poi lo splendido paesaggio circostante. Quando aveva ereditato la tenuta quei campi erano stati in condizioni pietose. Adesso pro-speravano. Non riusciva a capire perché Henrietta fos-se tanto ansiosa di rinunciare a quell'angolo di paradi-

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so. Le studiò il volto, ancora arrossato e bagnato di la-crime. Che cosa ci voleva per rendere felice quella ra-gazza? Le tolse i libri di mano. «Li leggerò» le promise a bassa voce. Il viso di lei s'illuminò. «Quindi mi aiuterete?» «No.» «Ridatemi i libri, allora. Avrei dovuto saperlo. Siete così egoista. Edward sposerà Lady Sara e io resterò intrappolata in questo posto per il resto dei miei gior-ni.» Gli affondò il volto sul petto, cingendogli il collo con le braccia. Si strinse a lui, rimettendosi a piangere. «Soffro tanto. Come ha potuto Edward farmi questo?» Vattene subito. È una pessima idea. Le sistemò un ricciolo dietro l'orecchio. «Quindi, se leggerò questi libri e diventerò affascinante e tenebro-so, non potrete più darmi dell'egoista.» Lei sollevò il capo. Il sorriso che le sorse sulle lab-bra tremanti fu come il sole spuntato da dietro una nu-vola. Razza di patetico idiota! Stai per permetterle di spezzarti il cuore un'altra volta!

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SUSANNA IVES I segreti di un lord

CAROL TOWNEND Schiavo d'amore

INGHILTERRA, 1819 - Henrietta ha deciso di trasformare il goffo Conte di Kesseley in un eroe dal fascino maledetto. Ma lui rivela una natura più trasgressiva del previsto e...

COSTANTINOPOLI, 1081 - Per evitare un matrimonio indesi-derato, Anna di Heraclea ha deciso di sposare un giovane schiavo. Che però non è un prigioniero qualunque...

I capricci del duca HELEN DICKSON

HONG KONG - INGHILTERRA, 1882 - Ogni volta che si in-contrano, tra l'impulsiva Marietta e il collerico Lord Trevel-lyan scoccano scintille. Sarà odio, il loro, oppure amore?

Fuga nella brughiera ANN LETHBRIDGE

SCOZIA, 1818 - Dopo una rocambolesca fuga attraverso la brughiera, Lady Selina e l'indomito Ian Gilvry sono costret-ti a sposarsi. Ma l'onore non è l'unico motivo che li lega...

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MERIEL FULLER Una dama da salvare

ERICA RIDLEY I misteri di Blackberry Manor

INGHILTERRA, 1193 - Un'inaspettata complicità lega fin dal primo momento Brianna e il Conte di St. Loup. Ma basterà a sconfiggere la solitudine dei loro cuori?

INGHILTERRA, 1813 - Ospite del cupo Gavin Lioncroft nel suo tetro maniero, Evangeline si innamora di lui anche se tutti lo credono uno spietato assassino. E lotta per salvarlo.

Lo scandaloso segreto di Lisette HELEN DICKSON

INGHILTERRA, 1816 - Quando Lisette torna a Londra, il pri-mo uomo che incontra è lo stesso che le ha salvato la vita in India, Ross Montague. E l'attrazione che vibra tra loro...

Il bacio del capitano JENNIFER BRAY-WEBER

CARAIBI, 1727 - In cambio di un passaggio sul vascello del capitano Drake, Gilly accetta di cantare per lui. Ma il peri-coloso pirata, vittima del suo fascino, non rispetta i patti...

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Lady Bernadette Marie Burton è una vedova

ancora avvenente e dalla lingua affi lata, che aveva giurato

di non rimettere mai più piede in Inghilterra.

Ma il destino sembra non essere d’accordo e fi nisce per metterla

nuovamente di fronte a un antico amante mai dimenticato…

Due differenti classi sociali, un solo bruciante desiderio.

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