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CONFRONTI ETIMOLOGICI GRECO-ITTITI * di ROBERTO GUSMANI La parola ritorna - costantemente al dativo - tre volte in Omero e sempre in un giro di frase fisso: due volte (N 286 e Q 739) nella espressione èv Àuypn e una volta (8 387) in quella sinonimica èv À&uya.Àé1l. A queste testimonianze va aggiunto il composto (due volte: et> 146 e 301), che è in realtà sorto per univerbizzazione da un * (èv) x"t"<X.fl.&voc:; «( ucciso in battaglia l). Sul significato di «( battaglia, mischia» non si avevano dubbi fin dall'antichità, e i passi in cui il termine appare lo confermano senz'altro. Il carattere formulare del contesto in cui si trova inserito e il fatto che la parola sia documentata al solo dativo, la caratterizzano come uno di quei termini arcaici che Omero ha ereditato, insieme alla formula in cui ap- paiono, dalla tradizione cui egli fa capo: in questo, si affianca ad altri fossili conservatisi solo in espressioni più o meno stereotipe nei poemi omerici 1. D'altro canto l'uso postomerico non fa che confermare !'impressione che si tratti d'una sopravvivenza esclusivamente letteraria. Infatti, anche le più antiche testimonianze dopo Omero sono mani- festamente dei riecheggiamenti dell'uso epico: cf . Esiodo, Theog. 650 e 674, che riporta di peso nv Àuypn citato sopra, ed Eschilo, Sette a Tebe 926 (èv Che due frammenti callimachei (Pfeiffer 51.8 = 562) conservino un acc. sg. Mi:v è cosa di nessun significato, da mettersi sullo stesso piano della notizia dello scolio ad a. 248 relativa all'esistenza di un nom. Mi:c:; Z. * La prima parte di questo articolo riproduce con poche variazioni una mia nota pubblicata, in un numero limitato di esemplari, nel 1965 (Due etimologie greche, Fusi. Pavia). 1 Alcuni di questi casi sono stati trattati in «Rendiconti dell'Istituto Lombardo. 98 (1964), p. 218 S5. li 8cx.(ç '1j 1cx.(J.7t!Xç, Mi:ç '1j

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CONFRONTI ETIMOLOGICI GRECO-ITTITI * di ROBERTO GUSMANI

La parola ritorna - costantemente al dativo - tre volte in Omero e sempre in un giro di frase fisso: due volte (N 286 e Q 739) nella espressione èv ~a.t Àuypn e una volta (8 387) in quella sinonimica èv ~a.t À&uya.Àé1l. A queste testimonianze va aggiunto il composto ~a.·cX:t"<X.fl.&voc:; (due volte: et> 146 e 301), che è in realtà sorto per univerbizzazione da un * (èv) ~a.t x"t"<X.fl.&voc:; «( ucciso in battaglia l). Sul significato di «( battaglia, mischia» non si avevano dubbi fin dall'antichità, e i passi in cui il termine appare lo confermano senz'altro.

Il carattere formulare del contesto in cui si trova inserito ~a.t e il fatto che la parola sia documentata al solo dativo, la caratterizzano come uno di quei termini arcaici che Omero ha ereditato, insieme alla formula in cui ap­paiono, dalla tradizione cui egli fa capo: in questo, ~a.t si affianca ad altri fossili conservatisi solo in espressioni più o meno stereotipe nei poemi omerici 1.

D'altro canto l'uso postomerico non fa che confermare !'impressione che si tratti d'una sopravvivenza esclusivamente letteraria.

Infatti, anche le più antiche testimonianze dopo Omero sono mani­festamente dei riecheggiamenti dell'uso epico: cf. Esiodo, Theog. 650 e 674, che riporta di peso nv ~a.t Àuypn citato sopra, ed Eschilo, Sette a Tebe 926 (èv ~a.t). Che due frammenti callimachei (Pfeiffer 51.8 = 562) conservino un acc. sg. Mi:v è cosa di nessun significato, da mettersi sullo stesso piano della notizia dello scolio ad a. 248 relativa all'esistenza di un nom. Mi:c:; Z.

* La prima parte di questo articolo riproduce con poche variazioni una mia nota pubblicata, in un numero limitato di esemplari, nel 1965 (Due etimologie greche, Fusi. Pavia).

1 Alcuni di questi casi sono stati trattati in «Rendiconti dell'Istituto Lombardo. 98 (1964), p. 218 S5.

li 8cx.(ç ò~u,,6vwç '1j 1cx.(J.7t!Xç, Mi:ç 8è ~cx.pu,,6vwç '1j fL~X7j.

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Confronti greco-ittiti 15

Evidentemente connessi con 8cxt sono altri tre termini, pure omenCl: 8~LOç, sul cui significato v. appresso, 81l"CO't"~ç (I ostilità» ecc. e il verbo 8rj"c6w « uccidere » 3. Un cenno particolare merita 8~LOç - di cui 81l"CO't"~ç e 8llL6w

sono normali derivati - che si trova in Omero in impieghi tra loro alquanto differenti, e precisamente ora come attributo di 7tUp (B 415, Z 331, El 181 ecc.), ora come attributo di (±V~P (Z 481, K 358, I 317 ecc.), ora infine in unione a 7t6À€(J.oç (6. 281, E 117 ecc.). Altrimenti troviamo 8~LOç sostantivo col va­lore di (I nemico» (B 544, I 76 ecc.) e l'hapax È:vl. cHcx8(1l allt4l, che si spiega come variante delle formule in cui l'aggettivo era unito a 7t6À€(J.oç.

Già W. Schulze 5 aveva separato 8~·coç = xcxuO"'t"Lx6ç (quando cioè è attri­buto di 7tUp) da 8~LOç = 7toÀ€(J.Lx6ç o simili (negli altri casi), né le critiche che per questo gli sono state mosse sono molto convincenti '. In effetti 8~LOç come attributo di 7tUp è senz'altro un derivato della radice di 8cx(w (I brucio » 6,

come prova tra l'altro il 7tUp ... Mfwv (dunque riecheggiamento della formula omerica) del frammento 79 di Alcmane col suo f; invece gli altri impieghi di 8~LOç suppongono una relazione col 8cxt in questione. Ora è vero che l'etimo corrente di acxt mette questa parola in connessione proprio con 8cx(w, tuttavia vedremo come questa ipotesi sia improbabile. Si può d'altra parte pensare che un 8~·coç - tratto dalla radice di 8CXLW e pertanto significante « che arde » -sia stato in un secondo tempo parzialmente messo in relazione (per falso accostamento etimologico) con 8cxt, assumendo di conseguenza il significato di 7toÀ€(J.Lx6ç o simili 7.

Si è già accennato all'etimo tradizionale di 8cxt, per cui si tratterebbe di un antico *acxf(, dato sg. d'un nome radicale *8cxuç formato sulla radice del verbo 8cx(w < *8cxfjw 8. La spiegazione non è tuttavia soddisfacente sotto tre aspetti. Intanto bisogna far ricorso all'ipotesi d'un nome radicale *8cxuç che non è documentato né in greco né altrove, ché anzi manca un qualsiasi indizio per quanto vago che ne possa rendere verisimile l'esistenza. In secondo luogo bisognerebbe ammettere un'evoluzione da un significato astratto (I ardore» a quello concreto di (I battaglia l), cosa in sé certo non impossibile, ma neppure molto probabile e che comunque non è corroborata da nessun indizio. C'è infine anche un'obiezione di natura formale: i numerosi nomi propri con primo

• Cf. su questo J. WACKERNAGEL, Sprachliche Untersuchungen zu Homer (G6ttin­gen 1916), p. 17lo

4 Quaestiones epicae (Giitersloh 1892), p. 86 nota L I E. BOISACQ, Diction. étym. de la langue grecque3 (Heidelberg - Paris 1938), s . v .

8-1)·'0'; definisce l'ipotesi dello Schulze «ingénieuse, mais superflue~. • Per l'allungamento cf. il vocalismo del perfetto 8É87)a.. 7 ~ella letteratura posteriore (soprattutto nei Tragici) compare non di rado la

forma «dorica» M·,oc;, 8~0c; con significato però notevolmente travisato (IC miserabile &

e simili). • V. p. es. BOISACQ cit.; E. SCHWYZER, Griechische Grammatik I (Miinchen 1939),

p. 578; H. FRISK, Griech. Etym. Worterb. (Heidelberg 1954 ss.), s. v. 8i)toç ..

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16 Roberto Gusmani

membro LlCX'L- o Ll'fj'i.- (p. es. LlCX'LXp&:t''fj<;, LlCXf.Aéwv, Llcxi:XÀ'ij<;, Ll'fjtÀoxo<;, Ll'fjt!Lcxxo<; ecc.), in cui si è sempre riconosciuto a ragione il nostro 8cxt, compaiono in miceneo nella forma Da-i-, cf. gli antroponimi Da-i-qo-ta, Da-i-wo-wo, Da-i­ze-to ecc. 9. Ciò significa che in 8cxt non è caduto alcun f e che pertanto la connessione con 8cx(w va respinta.

Si potrebbe allora pensare che a cadere sia stato un s, tuttavia l'esi­stenza del termine ittito lahha- lascia intravvedere una possibile, diversa spiegazione. Lahha- (da cui anche vari derivati come lahhijiii- « condurre una guerra » e lahhijala- « condottiero ») vale « guerra » e si usa soprattutto al dat.-Ioc. sg. lahhi lO in dipendenza da verbi come piii- « andare » o ija- « mar­ciare », nel senso di « andare, scendere in guerra ». Che lahha- e il quasi-sino­nimo zahhai- « battaglia » si siano mutuamente influenzati sul piano formale è certo possibile: il differente tipo tematico induce tuttavia ad essere cauti nel considerarli veri e propri « Reimw6rter » 11.

Ora, se trascuriamo per un momento la divergenza all'iniziale - su cui v. appresso -, si può ben dire che un confronto tra il dat.-Ioc. lahhi e 8cxt sia allettante e non c'è bisogno di sottolineare la perfetta corrispondenza semantica come pure il fatto che la grafia ittita con hh renda ampiamente conto dello iato in greco. Rimane, come s'è detto, il problema posto dalla diversa iniziale delle due parole: ma per questo, pur senza voler minimizzare le difficoltà, si può trovare qualche parallelo.

V. Pisani ha, in un articolo di qualche anno fa H, in cui si occupava della possibilità di connettere il greco 8pocxwv col latino lacerta, accennato ad alcuni casi in cui si constata - nella zona greco-egeo-anatolica - un'oscillazione tra dentale e l: cfr. ÀoccpV'fj accanto a Mcpv'fj, ÀCX~UpLV.a-OC; di fronte a miceneo da-pu-ri-to ecc. Altri esempi del fenomeno, tratti soprattutto dall'area ana­tolica (come lidio antola accanto ad anlola), sono stati raccolti dallo Heubeck 18.

Il Pisani ha spiegato queste oscillazioni con !'ipotesi che nell'area linguistica egea esistessero fonemi con articolazione speciale che potevano venire identi­ficati ora con l ora con una dentale, e la stessa supposizione potrebbe spiegare la divergenza all'iniziale tra 8cxt e lahhi: saremmo quindi, con ogni probabi-

• A. MORPURGO, Mycenaeae Graecitatis Le~icon (Roma 1963), p. 53. 10 Talora lahha con un'oscillazione ben nota in ittito. 11 Fuori dall'ittito abbiamo in miliaco un laka- (solo abI. lakaài) , che va con ogni

probabilità connesso con lahha- (per la fonetica cf. miliaco kuga- contro ittito huhha­«nonno &, cf. «Archiv Orientalni t 1968). Come glossa lidia è tramandato ÀOCLÀOCt;' /) -ropocv­vot;, che è evidentemente l'ittito lahhijalas.

In un recente articolo (in «Acme, 18, 1965, p. 1 55., particolarmente a p . lO) E. EVANGELISTI propone di confrontare con l'itt. lahha- il greco M:l(ot; nel senso di «schiera, gruppo di guerrieri t , che sarebbe pertanto da tenersi distinto et imologicamente da M:l(ot; «giaciglio, ecc. (che va con la radice di MxE'Toc,).

11 «Die Sprache. 5 (1959), p . 147 ss. 11 Lyàiaka (Erlangen 1959), p. 20 S.

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Confronti greco-ittiti 17

lità, in presenza di un termine di sostrato oppure (il che non cambia molto le cose) di una parola anatolica presa in prestito dal greco in epoca alquanto antica.

2. - ~poc.

Questo termine appare sei volte in Omero, costantemente all'acc. sg., in dipendenza dal predicato cpépw accompagnato da È1tL e - salvo in un caso - sempre in unione ad un dativo di persona: cf. [l."YJTpt. • • È1tt ~poc

cpépwv (A 572), È1tt ~poc cpépe:LV ~LL (A 578), È1t' 'ATpet~n 'Ayoc[l.é[l.vOVL ~poc cpé­pOVTe:e; (y 164), Ècp' ~[l.~V ~poc cpépouow (1t 375), È1t' "Ipcp ~poc cpépwv (O" 56). Il ca­rattere formulare del contesto in cui ~poc appare è sottolineato dalla colloca­zione del termine in posizioni metriche fisse, precisamente tre volte (A 572 e 578, O" 56) al terzo piede e due volte (y 164 e 1t 375) al penultimo. Dai casi visti si stacca un po' il sesto passo, 8 132, in quanto ~poc è qui al secondo piede, il preverbo È1t( manca e il dativo retto da ~poc cpépOVTe:e; non è perso­nale (&u[l.éì)). Pare dunque lecito vedere in 8 132 un riecheggiamento della formula vista sopra con adattamento al diverso contesto (v. anche più oltre).

Le testimonianze postomeriche di ~poc, lungi dal chiarire il significato originario del termine, dimostrano che il preciso valore di quella formula era andato perduto per tempo. CosÌ ~poc, a partire da Bacchilide, è usato in fun­zione para-avverbiale come equivalente di X-OCpLV; inoltre, a partire da Sofo­cIe, si incontra È1t("YJpoc cpépe:LV « rendere un servigio» o sim., che risale ad un palese fraintendimento (dovuto al disconoscimento del carattere di preverbo proprio di È1t() della formula omerica e da cui si è poi sviluppata la quasi-pre­posizione È1tL"YJpOC col genitivo, sempre come equivalente di X-OCpLV. Del resto questo fraintendimento è già documentato in Omero stesso, che ha in T 343 l'aggettivo È1tL~pOCVOe; « grato, accetto» 14, formazione artificiosa partita ap­punto da *È1t("YJPoc.

Se ora si cerca di stabilire, sulla base della documentazione omerica, il preciso valore della formula È1t1 ~poc cpépe:LV TLV(, si constata che in tre casi (A 572 e 578, 8 132) essa vale « compiacere, far piacere, soddisfare l), che in 1t 375 il significato è piuttosto quello di « essere favorevole l), mentre nei restanti due passi si deve intendere « aiutare l). Significativo è soprattutto O" 56 ove Odisseo, prima della lotta con Iro, manifesta il suo timore che qual­cuno dei [l.v"YJO"-rijpe:e; venga in aiuto all'avversario e si scagli contro di lui: [l.~ 'ne; È1t' "Ipcp ~poc cpépwv È[l.è X.e:Lpt ~ocpe:(n 1tÀ~l;n <XTOCO"·&OCÀÀwv « che nessuno, portando aiuto a Iro, illecitamente mi colpisca con mano pesante l).

Importante, ai fini di poter stabilire quale di questi significati possa es­sere considerato quello più antico, è il passo 1t 375: Àoc01 ~' OÙXé't"L 1tOC[l.1tOCV

1& Il fatto che il contesto suoni 1I:08&vL7t't'pot ••. €m~potvot &u (L éj) fa supporre che l'autore abbia avuto in mente, in particolare, il passo E 132 (&U(Léj) -1jpot <pÉpovuc;), per quanto proprio qui manchi - come s'è visto - il preverbo €1I:L.

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18 Roberto Gusmani

Ècp' ~!LLV ~plX cpépouow « la gente non ci è più del tutto favorevole » (Antinoo parlando ai proci degli abitanti di Itaca). Infatti il valore che la formula ha in questo contesto si lascia facilmente spiegare come derivato da quello di « portare aiuto» (attraverso « sostenere» o simili) e a sua volta permette di comprendere come si potesse giungere ad attribuire alla formula il significato di « far piacere l), una volta persa coscienza del suo senso originario. Si con­sideri anche che, intendendo ~plX come « aiuto l), si rende pienamente conto del predicato cpép<ù. Tuttavia, prima di concludere senz'altro in questo senso, è necessario tener conto sia dell'aggettivo ÈpllJpeç che delle eventuali indi­cazioni offerte da accettabili confronti con materiale extragreco.

ÈpllJpeç è evidentemente tratto da ~p- col noto prefisso accrescitivo ÈpL-. Le forme di solito attestate sono quelle del plurale (Èp(lJpeç, ÈpllJPlXç), mentre del singolare abbiamo Èp(lJpoç solo in !l 266 ed Èp(lJpov in IX 346, .& 62 e 47l. La discrepanza tra il tema in consonante del plurale e il tema in -0- del sin­golare è stata convincentemente chiarita dal Sommer 15 nel senso che le rare forme del singolare secondo la flessione in vocale vanno considerate come adattamenti, imposti da necessità di metro, degli attesi *Èp(lJP e *Èp(1JplX che non potevano essere altrimenti inseriti nel contesto formulare in cui que­sto aggettivo costantemente appare.

Lo troviamo infatti sempre al quinto piede e, in 20 passi su 24, seguito da É't'IXLpOç (tranne !l 266 sempre al plurale): quanto agli altri passi, in r 47 si nota una leggera variazione nella disposizione delle parole in quanto il sostantivo precede l'attributo (hocpouç Èp(1JPlXç &ydplXç), mentre nei tre identici contesti IX 346 =.& 62 =.& 471 troviamo l'espressione Èp(lJpov &oLMv che, sia per la formazione dell'aggettivo (v. quanto detto sopra) che per il sostantivo con cui questo è accoppiato, si caratterizza come adattamento secondario della formula tradizionale.

Pertanto Èp(lJpeç è epiteto costante degli hIXLpOL, cioè dei « Gefolgsleute » dei vari eroi, conservato come elemento d'una formula diventata stereotipa: e se è certo pensabile che, nel corso della tradizione confluita nei poemi ome­rici, esso abbia finito col divenire un vago epiteto esornativo - e come tale fu ad un dato momento certo anche inteso, se lo troviamo applicato anche ad &oLMç -, ciò non significa che esso all'origine non dovesse avere un va­lore ben preciso e concreto, in stretta relazione col significato del sostantivo cui veniva costantemente riferito.

In effetti il significato « buono, caro, faithful, valde aptus » ecc., di solito riportato nei lessici, non soddisfa, né il richiamo ad una glossa di Esichio 16

li Zur Geschichte der griechischen Nominalkomposita (Miinchen 1948), p. 138 s. Cf. anche J. EGLI, Die Heteroklisie im Griechischen (Ziirich 1954), p. 13 s. e P. CHAN­TRAINE, Grammaire homérique8, I (Paris 1958), p. 232.

18 &pL'1)peç- ILeyocÀWt; 't'LILOOIL&VOL, &:YOI:.&oL, 1tp6.&UILOL, eÒXOCpL<ITOL ecc. Da un'analoga in­terpretazione dell'epiteto omerico è sorta la glossa 1toÀ\J'1)pOt;· 1toÀuocpoupOC;, 1tÀOUO"LOC;, evi­dente rifacimento di &pL-'1)poc;, che dopo Omero ritorna solo in Cratino.

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Confronti greco-ittiti 19

può provare alcunché, salvo che quello era il valore che i lessicografi omerici pensavano di dovergli attribuire. Perché riesce difficile credere che un agget­tivo di significato così generico e sbiadito potesse diventare l'epiteto caratte­ristico degli ha.i:po~ (e solo di essi l), cioè di quei guerrieri che costituivano il séguito dei singoli eroi, cui erano legati da particolari vincoli di fedeltà 17.

È ben più probabile che tptYjpec; all'origine facesse in qualche modo riferi­mento a questa particolare posizione degli ha.i:po~ nell'ambito di quella orga­nizzazione guerriera arcaica che ha lasciato le sue tracce nei poemi omerici, per cui mi pare che l'interpretazione {< hiilfreich » dell'Ahrens 18 abbia maggiori probabilità di cogliere nel segno, tanto più che - come s'è visto - ~pa. ha, in alcuni passi omerici, il significato di {< aiuto l), che sembra anche da rite­nersi quello originario.

Infatti, intendendo l'aggettivo nel senso {<che dà molto aiuto, che viene in valido soccorso l), si ricostruisce per la formula stereotipa degli tpLYjpec; ha.i:po~ un valore originario che pare senz'altro accettabile: i seguaci, i {< Gefolgsleute» dei vari eroi, verrebbero definiti in base all'impegno contratto di portare aiuto al capo da loro riconosciuto, dell' ~pa. rpÉpeLv, per servirci della formula che troviamo ancora in Omero, seppure in un significato meno pregnallte e in parte certamente travisato. In tptYjpec; (e quindi nella formula ~pa. rpÉpe~v) tro­verebbe così espressione il principio su cui si fondavano quelle organizzazioni guerriere, costituite da nuclei di avventurieri guidati da un capo unanime­mente riconosciuto, che ritroviamo nell'istituto germanico della druht e di cui il Pisani 19 ha messo in luce le tracce presso varie popolazioni di lingua in­doeuropea.

Naturalmente, all'epoca della composizione dei poemi omerici, questo genere di organizzazione era un anacronismo, di cui la tradizione epica aveva conservato un vago ricordo, e ciò spiega come le formule, ereditate da detta tradizione, che a quella organizzazione facevano riferimento, si fossero ormai svuotate del loro genuino e più preciso contenuto e venissero usate anche a sproposito, a seconda del valore che si riteneva di dover loro attribuire.

Ora mi pare che quanto si è finora supposto sulla base delle indicazioni fornite dal materiale greco possa ricevere una conferma, per quanto indiretta, dal confronto con una parola ittita.

Tale confronto si regge, come vedremo, sulla supposizione che ~p- avesse un digamma iniziale: ciò è reso probabile non solo dai casi come y 164, in cui la vocale finale della parola precedente non subisce elisione, ma anche da una

17 Sugli é-t"a:tPOt cf. V. PISANI, «KZ l) 77 (1961), p. 249, ove si ricorda pure che il termine presso la corte macedone designava ancora la guardia del corpo del sovrano: anche qui è possibile cogliere - pur nella mutata realtà sociale - l'originaria posizione degli !-ra:tPOt.

18 Cito presso H. EBELING, Lexicon homericum I (Leipzig 1883), S. V. èp(7)po,;;. 18 Loc. cit., p. 248 con la n. 2 e « Paideia l) 15 (1960), p. 164.

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20 Roberto Gusmani

testimonianza del miceneo. Infatti l'antroponimo E-ri-we-ro (PY Vn 130) difficilmente può rappresentare altro che un *EPLf1)poC;;, tratto dall' èp(1)p­visto sopra 20. Ora, se ~p- rappresenta un antico * wer- 21, pare verisimile metterlo in relazione con l'ittito warri-; la divergenza tra la a ittita e la 1) greca può spiegarsi col passaggio e > a che l'ittito conosce soprattutto nella posizione avanti r 22. Sulla diversità del tipo tematico ritorneremo più avanti.

warri- è per lo più testimoniato come neutro, in una formula che ritorna più volte nei trattati d'alleanza stipulati tra i sovrani ittiti e le potenze vi­cine: si tratta di una clausola che stabilisce !'impegno dei due contraenti ad aiutarsi mutuamente in caso di pericolo, e warri- designa appunto tale

'forma d' a i u t o, d' a p p o g g i o m i l i t a re.

Ecco qualche esempio tipico di tale formula:

nu-ut-tak-kan LUGAL KOR uruHa-at-ti ERfNm~ ANSU.KOR.RAme! wa-ar-ri pa-ra-a na-a-i 23 « e a te il re del paese di Hatti manderà in aiuto truppe a piedi (e) a cavallo l>;

nu-us-sa-an A-NA [LUGAL KUR uruHa-at-]ti wa-ar-ri lam-mar a-ar­hu-ut 24 « e al re del paese di Hatti vieni (letter. mettiti) subito in aiuto ,>;

nu-wa-ra-at-mu-kan wa-ar-ri lam-mar ar-nu-ut 25 « e portamele (cioè le truppe) subito in aiuto l>;

nu-ut-ta wa-ar-ri u-wa-nu-un 26 « e a te in aiuto venni l>.

Accanto a warri neutro è documentato, meno frequentemente, un ag­gettivo warris al genere comune, p. es. in una frase come questa:

nu-za A-NA dUTU~i wa-ar-ri-is SU.DIM~as-sa sar-di-ja-aS e-eS 27 « e al mio Sole (titolo dei re ittiti) sii soccorrevole e difesa contro (? letter. della) violenza l>.

20 Cfr. M. VENTRIS - J. CHADWICK, Documents in Mycenaean Greek (Cambridge 1956), p. 418.

B1 Per altri tentativi, semanticamente molto problematici, di mettere in relazione 7jplX con termini di altre lingue (lat. verus, a. a. ted. ala-wari «benigno» ecc.) v. E. BOI­SACQ, op. cit., s. v.

Il Cf. tarma- contro lat. te,minus e gr. 'tépILIX e v. H. KRONASSER, Etymologie der hethitischen Sprache, Lief. 1 (Wiesbaden 1962), p. 25 s.

IS Trattato tra MursiliS II e Duppi-Tesup, II, 28 = J. FRIEDRICH, Staatsvertriige des Hatti-Reiches in hethitischer Sp,ache, I. Teil (Leipzig 1926), p. 16.

l( Loc. cito alla nota precedente, II, 18. Il Trattato tra Mursilis II e Kupanta-dKAL, § 16 C III 2 = J. FRIEDRICH, loc.

cit., p. 124. 18 Trattato tra Muwatallis e Alaksandus, A 72 = J. FRIEDRICH, op. cit., II. Teil

(Leipzig 1930), p. 56. 17 Trattato tra Mursilis II e Kupanta-dKAL, § 13 C 9 = J. FRIEDRICH, op. cito

alla n. 23, p. 122.

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Confronti greco-ittiti 21

Perfettamente parallelo a questo è un passo del trattato tra Muwatalli~ e Alak~andu~ 28, ove è però da notare che, mentre l'esemplare B ha warris, quello A ha warri che rappresenta la lezione più difficile:

nu l-as l-e-da-ni wa-ar-ri sar-di-ja-as SU.DIM'-as-sa e-es-du « e uno sia all'altro (d') aiuto e difesa contro (?) la violenza ).

Di fronte ad un caso del genere è lecito domandarsi se warris « soccor­revole) non sia sorto secondariamente dal neutro warri, partendo da casi come quello in esame, in cui la sintassi stessa creava le condizioni più favo­revoli per il verificarsi della « Entgleisung ). A priori, sembrerebbe certo più naturale considerare warri come il neutro sostantivato dell'aggettivo, come fa del resto il Friedrich 29; tuttavia sostantivi neutri in -i- sono noti, e d'altro canto le possibili soluzioni per ovviare all'isolamento in cui si sarebbe venuto a trovare nel complesso della morfologia ittita un nome radicale *war- (quale ci attenderemmo in vista del verisimile confronto con f1)p-) non potevano che essere warra- o warri- 30.

Pertanto l'uso di warri- si accorda molto bene col significato che noi abbiamo ritenuto di poter ricostruire per il greco ~P-: anzi le formule dei trattati, in cui il termine ittito compare, ne precisano chiaramente il valore tecnico di reciproca assistenza militare cui i contraenti sono obbligati. Qui i dati forniti dal greco e dall'ittito si completano a vicenda, permettendo di far luce su un tratto comune della preistoria delle popolazioni parlanti quelle lingue.

Infatti, se l'ittito offre indicazioni molto precise sulla natura del « soc­corso) che i due contraenti si impegnavano a darsi reciprocamente in caso di bisogno, le testimonianze greche - soprattutto per l'uso di Èp(1)pEC; come epiteto fisso degli hCX'iPOL - impongono di proiettare i dati così ricavati sul piano preistorico del patto d'assistenza che teneva legati i « Gefolgsleute ) al loro capo. Dunque in ittito si osserva la trasposizione di un impegno di mutua assistenza, che all'origine regolava i rapporti tra gli individu~ apparte­nenti ad una stessa comunità di guerrieri, sul piano delle relazioni internazio­nali, come clausola n~i trattati d'alleanza fra stati diversi. Tale trasposizione

28 Cf. J. FRIEDRICH, op. cito alla n. 26, p. 72. 29 Op. cito alla n. 23, p. 39. Denominativo di warri- è (anda) warrai- col suo ite­

rativo-durativo warressa- «( venire in aiuto»: esso presuppone un sostantivo «( aiuto» più che un aggettivo.

30 Le altre lingue anatoliche forniscono scarso materiale di confronto per warri-. In luvio esiste l'astratto warrahit- (solo al possessivo warrahitassa-) formato col ben noto suffisso -hit-. Vale poi la pena di segnalare che l'ittito geroglifico conosce pure un wara- (sostantivo), cui si adatterebbe bene il valore di «( aiuto », almeno nell'iscrizione dello zoccolo di Sultanhan (r. lO), ove l'ablat. Wa-su-SARMA-sa-'-a+r wa+r-a-a-r «con l'aiuto di Wasusarma» s'inserisce molto bene nel contesto. Purtroppo l'altro passo in cui la parola appare (Sulta.nhan, stele, r . 4) è per molti versi oscuro.

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fu tanto più naturale in quanto, all'epoca del grande impero ittito con la sua organizzazione fortemente c entralizzata, quel tipo di comunità di guerrieri aveva certo cessato di esistere. Possiamo invece immaginarci che questo genere di organizzazione fosse stato attuale nei primi secoli del IlO millennio a. Cr., all'epoca dell'espansione ittita in Asia Minore, e poi più tardi, dopo il crollo della potenza ittita, in occasione della cosiddetta invasione egea, che, in base a più di un indizio, ha tutto l'aspetto d'una disordinata conquista ad opera di agguerriti gruppi di avventurieri.

È interessante che, tanto nel caso di ~poc quanto in quello sopra discusso di 8oct, si abbia da fare con termini (conservatisi solo come arcaismi nel lin­guaggio epico) appartenenti alla sfera militare, che trovano esatta corrispon­denza nel solo ittito; anzi, le altre lingue indoeuropee non offrono nulla di direttamente o indirettamente confrontabile. Tenuto conto degli stretti rap­porti storico-culturali che intercorrono tra l'area greco-egea e quella ana­tolica fin dal Ilo millennio, è logico concludere che non si tratta di eredità G indoeuropea» altrove andata perduta, bensì di termini che si sono diffusi posteriormente nell'ambito di un'area di contatti tra popolazioni parlanti i dialetti confluiti da un lato in ittito, dall'altro in certi dialetti greci, cioè in sostanza sul suolo anatolico 81.

3. - &v'tÀoç.

Or non è molto E. Benveniste 82 ha proposto di mettere in relazione il gr. &v'tÀoç « fondo della nave, acqua della sentina» con l'ittito han- « Was­ser schopfen, attingere acqua l). Nell'articolo dello studioso francese il con­fronto proposto non è però ulteriormente approfondito, per cui non è ozioso riprenderlo in considerazione per saggiarne la validità, tanto più che quel­l'etimo rompe decisamente con una communis oPinio consolidatasi nel corso di svariati decenni, secondo la quale il termine greco andrebbe col lat. sentina, il lit. semiù ecc.

Omero impiega due volte &v'tÀoç (IL 411, o 479) sempre per designare il fondo della nave, la cavità interna, la sentina dunque, significato in cui po­steriormente si trova impiegato il derivato cX.V'tÀLOC; dopo Omero invece, il valore comune della parola è quello di « acqua della sentina l), mentre quello raro e tardivo di « mucchio di grano» (negli autori ellenistici) è certo secon­dario, anche se non è ben chiaro come si sia sviluppato. Da &v'tÀoç sono stati tratti dei derivati di vario genere: cX.V'tÀLOC « fondo della nave, acqua della sen­tina» (Sofocle ecc.), tardivamente anche nome di recipiente; cX.V'tÀLOV « reci-

31 Le relazioni greco-ittite sono state in più occasioni sottolineate soprattutto da V. PISANI, a partire dal suo articolo sulla decifrazione del miceneo in «Rheinisches Museum» 98 (1955), p. 1 ss. Cf. anche l'ampio articolo, dedicato a questo argomento, di E. EVANGELISTI citato alla n. 11.

3~ o BSL» 50 (1954), p. 39.

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Confronti greco-ittiti 23

piente »; .xv't'ÀéCù « cavar acqua» 33, quindi « prosciugare » e, in senso figurato, « fare una grande fatica» (cf. il parallelo lat. sentinare « sudar sette camicie l») ; &.V't'À'Yj(lOC « recipiente per cavar l'acqua» e altri ancora di tarda documenta­zione. Da ocv't'ÀÉCù abbiamo notoriamente gli antichi prestiti latini anelo ed exanclo, mentre lat. antlia ed anclea « pompa idraulica, recipiente per attin­gere l'acqua l), di cui abbiamo solo tarde attestazioni, risalgono al gr. OCV't'ÀLOC.

Come significato originario bisognerà dunque riconoscere quello di « acqua della sentina» (che è l'unico che permetta di spiegare il valore del denomina­tivo ocv't'ÀéCù), donde facilmente « sentina» come luogo 34: dunque un ori­ginario termine tecnico marinaro, che ha avuto un certo successo anche al di fuori del primitivo ambito 35, mentre il derivato ocv't'ÀÉCù si è in seguito af­fermato nel vocabolario comune nel senso più ampio di « cavar acqua, pro­sciugare » 36, oltre che in quello figurato che abbiamo già ricordato.

Per quanto riguarda l'etimologia, i vari lessici 87 sono per lo più una­nimi nel ricondurre &.v't'Àoç alla radice *sem- di semel, &(lOC ecc. (quindi idea fondamentale di « raccogliere »; ocv't'Àoç < *&(l-&Ào- con deaspirazione della TA e successiva perdita dello spirito aspro in quanto si tratterebbe di parola originaria da un dialetto psilotico) e nel riconoscere in OC(l'Yj « secchio l), OC(lVLOV

« recipiente per raccogliere il sangue delle vittime l), OC(lcXO(lOC~ « raccogliere » da un lato e nellat. sentina, nellit. sémti « attingere un liquido» (con samtis « Schopfloffel l») dall'altro dei termini corradicali della parola greca. Si tratta di un etimo sostenuto a suo tempo dal Solmsen 38, che sviluppava un'idea risalente addirittura al Fick.

Certo bisogna riconoscere che a prima vista il rapporto tra ocV't'Àoç da un lato ed oc(l'Yj, OC(lcXO(lOC~ ed eventualmente OC(lVLOV 39 dall'altro appare, parti-

al L'originario senso tecnico di « cavare l'acqua della sentina) si conserva nelle più antiche attestazioni (Alceo, Teognide).

H Cf. l'analoga evoluzione subita dal lat. sentina «acqua della sentina $ nel pas­saggio all'italiano.

15 Cf. la documentazione in LIDDELL-ScoTT-J ONES-MACKENZIE, Gt'eek-English Lexicon, s. v.

Il In epoca molto tarda il verbo ha assunto, nella terminologia tecnica agricola, addirittura il valore di «irrigare », cf. ciIl'>À"I)T6~ «irrigato. e ci\lTÀ"I)TLx6.; «destinato al­l'irrigazione ».

S7 V. E. BOISACQ, Dictionnaire étymologique de la langue grecque cit., s. v. &\lTÀO';

(con ulteriori confronti con materiale certo eterogeneo come &(n<; e lat. simpulum), J. B. HOFMANN, Etymologisches Worterbuch des Gt'iechischen (Miinchen 1950) s. v., H. FRISK, Gt'iech. Etym. W orto cit., S. v., J. POKORNY, Indogermanisches Etymologisches Worterbuch (Bern 1949 ss.), p. 901 s., WALDE-HoFMANN, Lateinisches Etymologisches Worterbuch3 (Heidelberg 1938), S. V. sentina. Serie riserve avanza invece il FRAENKEL in Litauisches Etymologisches Worterbuch II (Heidelberg 1965), p. 774 S.

38 Beitriige zur griechischen Wortforschung (Strassburg 1901), p. 181 SS.

3. L'appartenenza di questo termine al gruppo di cifJ.ciofJ.OI:L ecc., sostenuta dal SOLM­SEN, op. cit., p. 183 e da vari altri, mi pare molto incerta sia dal punto di vista se­mantico che da quello della formazione.

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colarmente dal punto di vista semantico, molto convincente, tuttavia un più approfondito esame induce a delle serie riserve. Intanto &[l'Y) « secchia» si avrebbe - stando alle indicazioni fornite dal Liddell-Scott-]ones-Macken­zie - solo nell'espressione proverbiale &[lCXLC; xcxt ax<XcpCXLC; « in gran copia» in Plutarco, De sollertia animalium, p. 963 C, ove però il significato « secchia» non s'impone affatto con evidenza 40; altrove, a partire da Aristofane, il ter­mine vale solitamente « pala » il che si accorda molto bene col significato di <X[l<XO[lCXL (v. sotto), la cui relazione con &[l'Y) è fuor di dubbio. Di solito si ricorda, a sostegno del valore « secchia )}, il diminutivo <X[lLC; « vaso da notte », tuttavia nulla fa supporre che tale oggetto venisse necessariamente designato come « secchiello » piuttosto che come « paletta» o sim.; quanto al lat. ama o hama 41, che troviamo negli scrittori de re rustica a partire da Catone col significato di « secchio» e che è unanimemente ritenuto un prestito dal greco, non è lecito dedurre senz'altro il valore di tX.[l'Y) da quello che il corrispondente latino può avere assunto magari secondariamente, soprattutto se, come in questo caso, i dati forniti dal greco stesso non confortano una supposizione del genere.

Per quanto concerne il già omerico <X[l<XO[lCXL (col suo composto é1tCX[l<XO[lCXL;

la forma attiva è molto rara) - che nulla ha da vedere con <X[lcXW « mietere» u_, il suo valore è chiaramente quello di « raccogliere, ammassare, ammucchiare »: cf. E 482 EÙV~V È1tcx[l~O"cx't'o x.EpO"t cpLÀTlO"LV (Ulisse raccoglie il fogliame per pre­pararsi un giaciglio), L 247 1tÀEX't'OLC; év 't'CXÀ<XpOLOW <X[l'Y)O"<X[lEVOC; (Polifemo rac­coglie il latte cagliato nei canestri), Esiodo, Op. 778 t8pLC; O"wpòv <X[lOC't'CXL (la formica saggia che ammassa la sua riserva di cibo) ecc. Nei postomerici È1tCX[l<XO[lCXL viene frequentemente impiegato con l'oggetto yYjv (o X6VLV), il che è ulteriore conferma del valore originario del verbo e del suo stretto rapporto semantico con &[l'Y) « pala» (non « secchio »). Anche l'altro composto xCX't'CX­

[l<XO[lCXL (attivo raro), già omerico (Q 165), vale « raccogliere, ammucchiare» e così pure 8LCX[l<XW, che presenta - accanto a quello di « tagliare» (cf. <X[l<Xw

« mieto ») - anche il significato di « sgombrare, scavare », mostra alla fin fine la sua relazione col nostro <X[l<XO[lCXL 43. In conclusione, <X[l<XO[lCXL è certo in rapporto con tX.[l'Y) « pala », di cui può benissimo rappresentare il denomi-

(O Si ha l'impressione che esso sia stato dedotto da quello di cmoc<p'1j, ma « pala» non è a priori escluso, cf. ital. a palate.

ti La rara grafia con h in latino non può comunque provare l'esistenza di un ori­ginario spirito aspro nella parola greca e potrebbe essere dovuta a svariati fattori (per es. ad accostamento paretimologico con hamus): su questo tenue indizio si basa invece il SOLMSEN (loc. cit.) per sostenere un'originaria aspirazione iniziale in &f1.'1j e &V'rÀoç, che proverebbe l'appartenenza di questi termini alla radice .sem-.

U Cf. da ultimo J. IRIGOIN in Lexikon des fruhgriechischen Epos, 4. Lief., col. 613 s. (3 Invece l:~<xf1.ocw (forse per parziale riaccostamento ad &:f1.OCW «tagliare ») sembra

piuttosto valere «strappare », cf. LIDDELL-SCOTT-J ONES-MACKENZIE cit., s. v.

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Confronti greco-ittiti 25

nativo (cf. itaI. spalare), nonostante la contraria affermazione del Frisk (s. v. tX(.LOCO(.LOCL): ulteriori connessioni sono estremamente incerte".

Ma se &(.L'Yj vale « pala» e non « secchia» e &(.LOCO(.LOCL indica un raccogliere sostanze solide (come terra, polvere, foglie, latte cagliato), allora un rapporto etimologico con &v't'Àoç e &V't'ÀÉCù (che indica certo pure un raccogliere, ma sempre una sostanza liquida) diventa alquanto problematico, perché al di là di una vaga rassomiglianza formale (che può benissimo essere solo illu­soria) nulla rende verisimile una relazione tra le due famiglie lessicali.

Una volta abbandonato l'accostamento di &v't'Àoç ad &(.L'Yj ecc., risul­tano notevolmente compromesse le possibilità di connettere il primo col lit. sémti (v. sopra), in quanto viene a cadere ogni prova che la radice greca uscisse veramente in -m-, mentre la mancanza dello spirito aspro depone a sfavore del confronto (!'ipotesi della psilosi è una petitio princiPii). Rimane certo la notevole coincidenza semantica, che però da sola non può essere argomento sufficiente 45. Quanto al lat. sentina, rimanendo estremamente dubbio un rap­porto con scr. satinam « acqua» (solo presso un lessicografo, forse un « ghost­word »), l'unica ragionevole ipotesi che si può formulare è che alla base ci sia un verbo *sento j-io (cf. raPio : rapina, coquo: coquina) , che potrebbe pure essere confrontato - anche se con certe difficoltà - con la forma lituana: un rapporto con &V't'Àoç rimane comunque indimostrabile.

Concludendo, l'etimo tradizionale poggia su basi alquanto malsicure, per cui lo si può abbandonare senza troppi rimpianti: nel contempo si po­tranno prendere in considerazione anche altre possibilità.

Prima di tutto è opportuno - per poter mettere in chiaro la struttura di &V't'Àoç - esaminare la categoria, numericamente poco consistente, dei sostantivi greci in -'t'Ào- j-TÀOC- e in -&ÀO- j-.&Àoc- (quest'ultimo suffisso è infatti funzionalmente identico al precedente) 46. La prima osservazione che possiam o fare è che si tratta nella quasi totalità dei casi di derivati da basi verbali:

" Che con cXfLcXofLocL siano in relazione &fLOC e ,xfLOCÀÀoc «covone .), come è incline a sup­porre il FRISK (op. cit., s. v. cXfLcXOfLocL), mi pare piuttosto improbabile. Quanto ad cXfLcXPOC « canale », che il SOLMSEN (op. cit., p. 194 s.) voleva pure connettere con cXfLcXOfLOCL ecc., si tratta probabilmente di una parola anatolica (cf. itt. amijara- « canale »).

'6 Che poi alla base della forma lituana ci sia la radice *sem- di semel ecc., mi sem­bra molto poco verisimile, sia perché la nozione di «attingere acqua» non può ripor­tarsi a quella di « mettere insieme '), sia perché da *sem- non si formano verbi primari.

ti Su questa formazione cf. P. CHANTRAINE, La formation des noms en grec ancien (Paris 1933), p. 375 e E. SCHWYZER, Griech. Gramm. cit., p. 533. Che --rÀo- sia da -&Ào­per dissimilazione delle aspirate, come suppone lo SCHWYZER d'accordo col SOLMSEN (loc. cit.), è poco probabile, dato che -&ÀO- rimane anche in presenza di un'altra aspirata nella radice (cf. Wa&Àoc, lfLcXa&À"I), &éfLE&ÀOC, q>UyE&ÀOV; in ~E&ÀOV la deaspirazione ha interessato la sillaba radicale). Si tratterà invece dei due differenti suffissi -tlo- e -dhlo­(cf. lat. poculum e piaculum di contro a stabulum e pabulum), che in greco hanno avuto uno sviluppo molto più modesto dei paralleli --rpo- e -&po-, finendo col diventare funzio­nalmente equivalenti.

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cf. ~:jJ:r:ÀYj (Esiodo) « impugnatura dell'aratro» (: ~xw), ISX€'T:Àoc: ÒX~fllX'T:lX He­sych. (: ÒXéw), <pU'T:ÀYj (Pindaro) « schiatta, razza» (: <puw), XU'T:Àov « acqua per fare il bagno» (: XÉw), &y€&Àov « vittima» in un'iscrizione panfilia (: &yw) , y€vé&ÀYj (Omero) e yÉV€&Àov « generazione, schiatta» (: ytYVOfllXt), ~a€&Àov

« fondamento» (: É~OfllXt), Mcr&ÀIX « strumenti rituali» (Omero), poi « ceri­monia» ecc. (: Mw), ~flcXcr&ÀYj (Omero) « frusta» (: tflcXcrcrw) 47, <puy€&ÀOV « gon­fiore, tumore» accanto a cui anche tpuy€&pov (: tpM~w, con dissimilazione per *tpÀuy€&Àov). In questa categoria va inserito a mio avviso anche XLfl€'T:ÀOV « gelone» (I pponatte; tarde varianti XtflÉ'T:ÀYj, XLfl€&ÀoV e le corrispondenti forme col grado normale X€tfl-), che, piuttosto che su XdfllX, sarà stato for­mato sul verbo Xtfl&W « ptyÉw », documentato da due glosse d'Esichio 48, cf. ii rapporto che intercorre per es. tra gelare e gelone. Due soli sono i sicuri derivati da basi nominali: &Éfl€&ÀIX (Omero) « fondamenta l), che è in relazione unicamente con l'oscuro &€fldÀtlX « id.» (pure già omerico) e che potrebbe anche esser stato modellato sul sinonimo ~a€&Àov 49, e VIXUcr&ÀOV « tariffa per il trasporto in nave, nolo» (documentato solo in un'iscrizione argiva, ma il derivato VIXUcr&)...6W è d'uso comune), che probabilmente è stato rifatto sul comune VIXUÀOV « nolo » (: VIXUç) con parziale accostamento ai nomi di tasse e prezzi in -&po- (È7tL~IX&pOV ecc.). Rimangono esclusi dal nostro inventario solo pochi nomi (cr€U'T:Àov e 'T:€U'T:Àov, nome di pesce; &€&Àoç e -0',1; u&Àoç) privi di etimologia.

Quanto alla funzione suffissale, possiamo distinguere due casi: 1) il sostantivo esprime « ciò con cui si fa l'azione indicata dal verbo-base» (è il caso dei « nomina instrumenti» Mcr&ÀIX, LflcXcr&ÀYj, ÈXÉ'T:ÀYj, ISX€'T:ÀIX) ; 2) il sostantivo indica l'oggetto in cui si concretizza l'azione espressa dal verbo (è il caso di ~a€&Àov, tpuy€&Àov, y€vÉ&ÀYj, tpU'T:ÀYj, XU'T:Àov). Queste funzioni sono anche quelle che si riscontrano nelle altre lingue, cf. per es. goto nePla « ago l), a. a. ted. niidala, dalla radice del lat. nere (propriamente « ciò con cui si cuce l») ecc. ecc.

Un'analisi di &V'T:Àoç in radice verbale *IXV- e suffisso -'T:ÀO- è quella dun­que che più si raccomanda, in quanto permette di affiancare questo sostantivo a quelli d'identica struttura che abbiamo visti sopra. Anche dal punto di vista della funzione suffissale &V'T:Àoç « acqua della sentina l), inteso come deri­vato da un *IXV- « cavar l'acqua l), rientrerebbe perfettamente nella seconda ca tegoria di sostantivi che abbiamo or ora isolato: si richiama in particolare l'attenzione sul perfetto parallelismo di formazione e di valore semantico con XU'T:Àov « acqua per il bagno» (XÉw: XU'T:Àov = *IXV-: &V'T:Àoç).

'7 Non escluso, ma difficilmente spiegabile, un rapporto con fL&.cr%À"Ij<; « cuoio l) (v. SCHWYZER, loc. cit.).

U Cf. XLfLocv' PLYOUV e Xe:LfLwv't"oc' pLyOUV't"OC • • 0 Per l'etimo di %€fLe:%Àa: ecc. v. PISANI, Saggi di linguistica storica (Torino 1959),

p. 158 s.

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Confronti greco-ittiti 27

Ora l'etimo proposto dal Benveniste si accorda molto bene con le con­clusioni cui siamo potuti giungere. Infatti in ittito abbiamo il verbo han­« attinger acqua l). che solitamente si comporta come base radicale con pre­sente in ohi (III sing. preso hani, III plur. pret. haner ecc.), ma che presenta talora delle forme, chiaramente secondarie, secondo la coniugazione in -mi (I sing. preso hanijami, I sing. pret. hanun) 50: l'esistenza di questo verbo ittito fornisce la necessaria conferma dell'analisi di &v't'Ào<; che l'esame interno dei dati offerti dal greco stesso già suggeriva.

Prima di concludere, vale la pena di accennare ad un paio di altri termini che, con maggiore o minore verisimiglianza, potrebbero venir messi in rela­zione con questa radice *an- (o *~2en-, secondo la convenzione grafica del Benveniste).

1) Recentemente K. Hoffmann 51 ha dimostrato come il scr. aiic- abbia, accanto al più comune significato di « piegare l), anche quello di « attingere acqua »: lo studioso tedesco ritiene che il secondo significato possa essersi sviluppato dal primo attraverso l'immagine del « piegare le braccia (per attin­gere l'acqua) l), ma ciò non è - a dire il vero - molto persuasivo. Mi sembra più probabile pensare a due radici omofone o comunque confusesi formalmente in un secondo tempo, nel qual caso non è da scartarsi a priori l'eventualità che in aiic- « attingere acqua» si possa celare il nostro *an-: tuttavia va su­bito aggiunto che, nel significato di « attingere acqua l), si trova di solito impiegata la forma « debole » di aiic- (cioè ac-), il che induce naturalmente a serie riserve 52.

2) L'armeno aman « recipiente» viene si solito riportato - insieme al SCL amatra- « vaso l), da cui difficilmente può essere separato - alla radice *am- « prendere» che avremmo anche in lat. ansa, ampla « manico» ecc. 53.

Ma ad aman si affianca in armeno il verbo amal « svuotare l), per cui - piut­tosto che da una radice significante « prendere » o simili - bisognerà partire da un *am- « attingere acqua l): da esso infatti si spiegano facilmente i due termini armeni ed anche il scr. amatra-, che rappresenterà un normale « no­men instrumenti» in -tra-o Ora escludere la possibilità di una relazione tra

50 Per la documentazione ittita cf. J. FRIEDRICH, Hethitisches W orterbuch (Heidel­berg 1952), p. 50 (e inoltre Erganzungsheft II, p. lO e III, p. 13) e H. KRONASSER, Etym. der heth. Spr. cit., Lief. 5-6, p. 513. Da han- è stato poi tratto il sostantivo dugha_ nessa- « recipiente per attingere l).

51 4 KZ» 79 (1965), p. 171 ss. 52 Prendendo come punto di partenza la forma « debole» ac-, il PISANI (( Pai­

deia» 22, 1967, p. 102) ha proposto una connessione con l'itt. eku- « bere l), che è con­fronto formalmente ineccepibile.

53 Cf. per es. WALDE-HoFMANN, s. v. ampIa. Il BENVENISTE (Origines de la forma­tion des noms en indo-européen, Paris 1935, p. 157) preferisce postulare un *fJ2em- « rac­cogliere un liquido l), cui riconduce anche il gruppo di &fIo"l) ecc. Invece il FRAENKEL (in « Corolla linguistica l), Wiesbaden 1955, p. 35) preferisce staccare aman da amatra-, ampla ecc. e riportarlo alla radice *sem- del lit. sémti, gr. &v't'ÀOC; ecc.

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questo *am- e la radice di IXV't"ÀOC; ecc. non mi sembra lecito, soprattutto in vista dell'esatta corrispondenza dei significati e del carattere tecnico di questi termini, per cui la coincidenza semantica acquista ancor più rilievo non es­sendo stata raggiunta al livello di una evanescente Grundbedeutung: da rile­vare inoltre che l'isoglossa abbraccerebbe un'area interessata da numerosi altri fenomeni linguistici comuni. Resta ovviamente la difficoltà rappresen­tata dalla diversa uscita delle due radici: divergenza certo non molto vistosa M,

ma che non va sottovalutata in considerazione dell'esiguità del « corpo »

radicale.

i& Si noti che la n di liVTÀOr; potrebbe anche essere da m; ma la n dell'ittito non lascia ambiguità, anche se è sempre possibiÌe pensare a qualche fenomeno di livella­mento analogico.