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    Raniero Gnoli, Ricordo di Giuseppe Tucci (Roma, Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1985, pp. 7-42)

    Conobbi Giuseppe Tucci nel 1948, appena lasciai il Liceo. Scendevadal tram, dalla parte di viale Regina Margherita (abitava allora a piazzaVescovio), e savvicinava a passo spedito verso la Facolt di Lettere,dove teneva lezione, sovente con libri e lunghi manoscritti tibetani sottoil braccio, svolazzanti. Lo ricordo ancora distintamente, coi capelli ca-stani un po arruffati, la grande fronte tagliata da rughe profonde, gli oc-chi trasparentissimi e quasi fanciulleschi. Lanno successivo, appena in

    grado di seguirlo, cominciai ad ascoltare le sue lezioni. Leggevamo(sera, come sempre, pochissimi) testi in sanscrito, perloppi di logica odi religione, e ascoltavamo, una volta la settimana, la sua lezione genera-le sulle filosofie e religioni dellIndia e dellEstremo Oriente, la quale,ovviamente, era assai pi frequentata. Ma non di me e dei miei ricordi

    personali debbo qui parlare, quanto (ma chi legge, confido, mi perdonerse verr meno talvolta al mio assunto) di lui in se stesso, cercando anzidi rintuzzare il sentimento daffetto che ebbi per lui, perch non i senti-menti e gli affetti egli qui mi direbbe son quel che pi conta, ma sololopera compiuta, solo questa sopravvivenza, nella sua fecondit infinita,alla fugacit delluomo ed alla fama e memoria stessa, che, come dice ilPetrarca, morir secondo. Le azioni (cos in una stanza// [p. 8] bud-dhistica ripetuta infinite volte) le azioni non si estinguono neanche incentinaia di evi cosmici, ma, giunti il momento e le condizioni opportu-ne, fruttificano per i viventi.

    *

    Giuseppe Tucci nacque a Macerata il 5 Giugno 1894, da famiglia o-riginaria delle Puglie. Nonostante poco pi che dodicenne avesse comin-ciato ad accasarsi nel sanscrito e nellebraico e, poco pi tardi,nelliranico, i primi suoi lavori riguardano il mondo romano. Negli Attie Memorie della Regia Deputazione di Storia Patria delle Marche vide-ro la luce, nel 1911 (era dunque appena diciassettenne) le sue Ricerchesul nome personale romano nel Piceno e, allo stesso tempo, nelle Rmi-

    sche Mitteilungen dellIstituto Archeologico Germanico di Roma, unsaggio in latino su iscrizioni maceratesi da poco scoperte e non ancora

    pubblicate. Il suo umanesimo non fu, in effetto, confinato alle culturedellOriente ed egli non cess mai di interessarsi al mondo classico, allacultura ed alla lingua della Grecia e di Roma, non in contrapposizione

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    collOriente, ma come parte essenziale di quella cultura e tradizione o,meglio, humanitas, fondamentalmente unica, che, per lui, permeava dis lAsia e lEuropa. Questidea di una koin culturale estendentesi dai

    paesi affacciati sullOceano Atlantico fino a quelli lambiti dal mar// (p.9) della Cina lo accompagn per tutta la vita, tanto che, poco prima dimorire, ancora insisteva coi suoi colleghi italiani e stranieri, sulla neces-sit ed importanza di una concezione che non vedesse pi Oriente edOccidente contrapposti lun laltro, ma come due realt complementaried inseparabili. LEuropa ed i suoi storici (scriveva nel 1977) hannocommesso un grande errore, considerando lAsia e lEuropa come duecontinenti distinti, mentre in realt si deve parlare di un unico continen-te, lEurasiatico: cos congiunto nelle sue parti che non avvenimento dirilievo nelluna che non abbia avuto il suo riflesso nellaltra. Queste(cos egli ancora, parlando dei paesi del continente asiatico) le sole ter-re dove per misterioso privilegio o mirabile accadimento del caso,luomo elev le architetture pi solenni del pensiero, le fantasie pinobili dellarte, il lento tessuto della scienza, quei tesori di cui oggilumanit tutta partecipa, arricchendoli o corrompendoli. Non i patteg-giamenti e le volubili alleanze della politica, non il progresso e la diffu-sione della scienza positiva e della tecnologia, ma solo la consapevolez-za sempre pi profonda di questhumanitas comune era, per GiuseppeTucci, lunico strumento che potesse realmente affratellare ed unire i

    popoli. Questa consapevolezza, a sua volta, non pu prodursi senza laconoscenza conoscenza della storia, dellarte, della religione, della cul-tura in genere , conoscenza che mai si appaga e che nella ricerca dognidocumento pur tenue lasciato dalluomo trova sempre nuovo alimentoalla sua fiamma. In questo senso egli trasponeva su di un piano di// (p.10) concreta comprensione ed unificazione fra i popoli quanto avevano

    pi metafisicamente gi intuito i neoplatonici, che cio la conoscenza ci appunto data come raddrizzamento e quasi consolazione della scissio-ne. La conoscenza pu insomma solo unire, e, come tale, costituiva per lui una vera e propria purificazione etica ed il principale doveredelluomo. Il suo interesse per la lingua e cultura della Grecia e di Roma(e non mancava, si pu dire, giorno, che non leggesse di latino o di gre-co) devessere visto alla luce di questa concezione e non come un osse-quio a certa tradizione scolastica e retorica nostrana e tedesca. Non a ca-so tra gli autori latini che meno sentiva congeniali proprio, credo per-ch, per lui, segnacolo di una ormai ripetitiva e stantia tradizione filolo-gica di cui aveva personalmente sofferto erano Cicerone e pi di tuttiQuintiliano, cui stranamente associava (ma, credo, pi per gusto di para-dosso, sempre in lui vivissimo, che altro) anche Virgilio. Di S. Tomaso,

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    la cui Summa lesse e rilesse quando ancora al Ginnasio e al Liceo, si ri-conobbe debitore fino allultimo: Quel S. Tomaso (cos poco prima dimorire) che mai mi abbandon e cui debbo, se ne ho ancora un poco, lachiarezza e solidit logica del pensare. Nella letteratura italiana i suoi gu-sti andavano ai trecentisti, al Cavalca, al Passavanti, alla Leggenda Aurea.A Dante preferiva decisamente il Petrarca. Di Leopardi e Daniello Bartoliera ammiratore e stimatore grandissimo.

    Sia come sia, linteresse per lOriente prevalse e a poco a poco (co-s egli stesso ci dice) mi addentrai nel// (p. 11) labirinto dellorientalogia,fascinoso e per me luminosissimo, perch via via che prendevo maggio-re dimestichezza con i libri e le veggenze dellAsia, cominciavo a scor-gere nuove soluzioni ai dubbi che mi tormentavano. E poi le sottigliezzefilosofiche dellIndia e della Cina, le strutture logiche di certi sistemi,quelle mitologie frammiste di bagliori e di terrori, corpose e metafisicheinsieme, mi attraevano, come apparizioni di un mondo che sembrava a

    prima vista molto distante dal nostro, ma che, leggendo bene i simboli incui si esprimeva, si rivelava vicinissimo, di una prossimit spirituale edumana. E poi vi ritrovavo pi vita che in quellarido e stuccoso filologi-smo nel quale larcheologia, quando frequentavo luniversit, mi sem-

    brava prigioniera, cos perduta nei particolari, che qualche volta eranoaddirittura quisquilie, mentre mero imaginato che essa dovesse fornire imezzi alla fantasia per risuscitare, sia pure per barlumi, la vita delle cosee degli uomini dei tempi passati. E perci abbandonai larcheologia e

    passai, colmo di speranze che non sono tornate vane, allOriente. Lostudio delle lingue orientali il cinese e pi ancora il sanscrito che egli

    pure coltiv con straordinario acume filologico, non fu per lui mai fine ase stesso, ma sempre ordinato allapprofondimento delle concezioni reli-giose, del pensiero e delle filosofie di quei popoli. Delle opere in sanscri-to specialmente, che domin alla perfezione e di cui divenne maestro in-superabile, quelle di cui maggiormente sinteress non furono, ingenerale, quelle specificatamente letterarie, come, per esempio, la poesiadarte e la drammaturgia,// (p. 12) ma piuttosto quelle filosofiche e reli-giose. Questa sua predilezione non gli fece tuttavia trascurare la lettura elo studio anche se, come scherzosamente diceva per penitenza dei

    principali k vya della letteratura sanscrita, la cui conoscenza ritenevagiustamente indispensabile per intendere la cultura, il gusto, larte e lastoria stessa dellIndia. Lo studio assiduo del sanscrito non fu da lui in-termesso neppure quando fu chiamato alle armi nella guerra del 15-18 edovette recarsi al fronte. In trincea mi raccontava leggeva ed annota-va la Rjataragin di Kalhana nelledizione dello Stein, di cui ricordoancora le pagine tormentate e consunte. Finita la guerra, si laure in let-

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    listiche, talune delle quali seppero liberarsi da un pratico edonismo senza pretese speculative, per assurgere a dignit filosofica. Giuseppe Tucci(mi sia permesso qui questinciso) non fu un sognatore, quanto un ap-

    prezzatore ed estimatore del sogno, in contrapposizione alla pratica real-t delle cose, di cui fu sempre assertore e, nel suo campo, spesso prota-gonista attento ed avveduto. Il sogno si identificava, in lui, con il passato

    perch (diceva) il passato lo figuro a mio piacimento, bene o male nonme ne importa nulla: toglietemi questo fantasticare ed io sono uomomorto. Come nel Buddhismo di Ngrjuna , in cui egli meritamente ri-conosceva uno dei pi grandi pensatori dellAsia, la realt vera non puaffermarsi senza quella provvisoria e relativa in cui ci muoviamo, senzainsomma, lerrore, cos accadeva per lui, del sogno: perch vivesse, per alimentarlo di continuo, occorreva, paradossalmente, ben essere attentiai segni transeunti del prammatico divenire delle cose, ai faticosi e sem-

    pre rinascenti errori delluomo. Ma il sogno, il fantasticare anche ungioco (non luniverso, per gli Indiani, il divino gioco del Dio?) e diquesto carattere lusorio delle cose e della cultura in particolare, Giusep-

    pe Tucci fu consapevolissimo: soltanto che bisogna giocar bene, conquanta pi seriet ed inno-// (p. 15) cenza possiamo. Se le sue lezioni, sela sua conversazione non era mai pesante, ma sempre vivace e leggera,anche quando affrontava argomenti e problemi gravi e difficili, si dove-va, credo, proprio a questo, che lidea soggiacente del sogno e del giocogli alleggeriva ed accendeva, col facile paradosso e la prontezza della

    battuta, la parola e lo sguardo. Certe sue incongruenze, certi bruschi pas-saggi, talune apparenti contraddizioni (la dichiarata diffidenza ed antipa-tia verso ogni sorta di macchina mai gli imped, per esempio, di approfit-tare largamente dei mezzi pi sofisticati della tecnologia moderna) po-trebbero forse trovare, alla luce della concezione nagarjuniana delle dueverit, pronta soluzione; ma subito ci sovviene il pensiero che questo sa-rebbe troppo facile ed anche indiscreto, perch in realt n possiamo ndobbiamo penetrare nei segreti del cuore, ma solo e silenziosamente ri-spettarli.

    *

    Linteresse per lIndia (e quando parlo di India, parlo di tutto il su- bcontinente) e, in particolar modo, per il Buddhismo, tuttavia prevalserosu quelli strettamente sinologici e ben cinque anni, dal 1925 al 1930, fu-rono da Giuseppe Tucci trascorsi in India, insegnando italiano, cinese etibetano nelle universit di Shantiniketan e di Calcutta. Furono questi,forse, gli anni pi importanti e germinalmente fecondi di tutta la sua vi-

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    ta,// (p. 16) durante i quali le sue propensioni spirituali e culturali si pre-cisarono sempre di pi, orientandosi verso lo studio e la comprensionedei grandi problemi della filosofia dellIndia e soprattutto del Buddhi-smo, la religione colla quale lumanesimo indiano, varcando assai per tempo le barriere dellImalaja o percorrendo i mari dellInsulindia, hadiffuso, dallIran allOceano Pacifico, certe intuizioni e ispirazioni o co-struzioni logiche al cui influsso lesperienza dei popoli tra cui esso giun-se, anche di quelli pi ricchi di cultura, non ha potuto sottrarsi. Lo stu-dio del Buddhismo quello, sintende impregnato dei concetti comple-mentari della vacuit e della piet di kyamuni e poi di Ngrjuna non rappresent, per Giuseppe Tucci, solo una curiosit intellettuale macorrispose ad una profonda esigenza dello spirito suo, per cui egli amavadichiararsi buddhista; e Ananda, appunto, che in sanscrito significagioia, ma che fu pure il nome del discepolo prediletto del Buddha, volleche si chiamasse il suo unico figlio. Risalgono a questi anni alcune delleopere pi rilevanti sul Buddhismo, quali appunto il Buddhismo (1926), i

    Pre-Di n ga Buddhist Texts on Logic from Chinese sources (1929), la Doctrines of Maitreya and Asa ga (1930). N il suo incontro conlIndia, durante questi anni, fu ristretto allo studio del Buddhismo, maegli lesse con dotti e pandit Indiani i pi grandi testi dellInduismo, par-tecip di persona alle intricate cerimonie del tantrismo bengali, entr, aCalcutta ed altrove, nel vivo della cultura indiana contemporanea, strin-gendo durature amicizie con uomini di pensiero e di religione, incon-//(p. 17) trandosi ripetutamente con Rabindranath Tagore (che sempreconsider suo maestro) con Gandhi, con Radhakrishnan, con Iqbal.

    Ma il Buddhismo disparve ben presto dallIndia e le opere delle va-rie scuole in cui si rifranse e moltiplic la parola del Buddha, dimentica-te nella loro terra di origine, furono amorosamente raccolte, tradotte ecommentate dai devoti cinesi in un primo tempo e dai tibetani per ulti-mo. Il desiderio di ripercorrere il cammino dei dotti tibetani ed indiani,che diffusero nel paese delle Nevi le dottrine, i filosofemi, le fantasie delBuddhismo indiano, di seguirne le trasformazioni nel tempo, di studiarne

    le varie espressioni religiose ed artistiche, di visitare luoghi ancora malconosciuti o sconosciuti del tutto, si fece, nella mente di Giuseppe Tucci,sempre pi intenso: risale cos al 1929 la prima delle sue otto memorabi-li spedizioni nel Tibet. Nellultima di esse, nel 1948, pot recarsi a Lha-sa, a Samye e a Yarlung. Limportanza scientifica di queste spedizioni stata straordinaria, sia in riferimento allultima fase del Buddhismo in-diano, sia per la conoscenza della cultura e dellarte tibetana in se stesse.I risultati dei primi sette di questi viaggi lunghi e faticosi per migliaia emigliaia di chilometri percorsi a piedi e a cavallo, in una delle regioni

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    preghiamo, questi viaggi costituivano per lui non solo una ricerca di cul-tura, ma una purificazione spirituale, che forse, pi che dalle persone edagli incontri, spesso straordinari, gli veniva appunto da quei paesaggisconfinati, da quelle solitudini altissime, dove tutto, proprio come nelleconcezioni buddhistiche, sembra ad un certo punto trasformarsi e siste-marsi in una diversa ragione prospettica. La cima del Kail sa (scrivevanel 1937) manda bagliori infuocati, spezzando lassalto delle nubi tem-

    poralesche. Su questa terra desolata abbiamo il senso pieno della solitu-dine: in questi silenzi luomo sembra confondersi con le forze cosmiche;scompare in lui il demiurgo: lo abbandona il demone che lo sospinge adinseguire le sue tragiche// (p. 20) fantasie e i suoi sogni ardimentosi. Loriafferra il senso dellunit elementare delle cose; germoglio espressodalla terra, egli si spersonifica identificandosi colla versiforme energiafluente nel tutto. Le peregrinazioni himalayane (cos Corrado Pensa) sisvolgevano, per Giuseppe Tucci, come su due piani: il primo quellodei sogni ardimentosi, ossia della ricerca di documenti nuovi e della

    perlustrazione, spesso difficile e rischiosa, di luoghi significativi; mentreil secondo piano rappresentato dalle eclissi brevi e improvvise dei so-gni ardimentosi, non gi per disinteresse, bens a causa del sopravventorepentino di un interesse pi grande, pi oscuro, pi unificante. E quan-to noioso e difficile (mi confidava) era poi il ritorno da questi viaggi,duplici veramente, il doversi di nuovo adeguare alle esigenze della vitaconsociata, nella quale, nellinteresse sempre degli studi e dei discepolisuoi, era pure operosissimo ed avveduto.

    I volumi di Indo-Tibetica e gli altri lavori scientifici non sonolunico documento di queste spedizioni. La storia, le avventure, i risultatidei suoi viaggi furono da lui ripetutamente descritti in opere di pi largadiffusione culturale, ampiamente conosciute in Italia e fuori. Mi basti quiricordare Santi e Briganti nel Tibet Ignoto (1937), A Lhasa e oltre (1950), Tra Giungle e Pagode (1953), Nepal. Alla scoperta dei Malla (1960), La Via dello Svat (1963). Questi libri, destinati a pi vasta u-dienza, sono quelli forse dove meglio traspariscono le sue idealit, i suoi

    pensieri, i suoi convincimenti personali, dove i vari e contemperatiaspetti dello studioso,// (p. 21) dellesploratore e delluomo religioso ed at-tento a tutti i movimenti dello spirito spiccano con maggiore risalto.

    *

    Giuseppe Tucci torn in Italia nel 1930; nel 1929, mentre ancora inIndia, fu chiamato a far parte dellAccademia dItalia; nel 1931 insegncinese allIstituto Universitario Orientale di Napoli e, poco dopo, ebbe la

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    cattedra di Religioni e Filosofia dellIndia e dellEstremo OrienteallUniversit di Roma che ricopr per pi di trentanni, quando, per li-miti di et, nel 1964 fu collocato fuori ruolo.

    Giuseppe Tucci, come abbiamo gi visto, non ebbe mai soverchiafiducia nellUniversit, che considerava genericamente come un mal-connesso rottame di tradizioni ottocentesche. E non era alloralUniversit di oggi! Nella sua mente si fece cos strada lidea di creareunistituzione pi agile e scientificamente attrezzata nella quale potesse-ro confluire ed organizzarsi i vari interessi ed attivit italiani, diretti ver-so lOriente Medio ed Estremo, che potesse promuovere, senza tante re-more e lungaggini burocratiche, la ricerca orientalistica, in tutti i suoidifferenti aspetti, archeologico, filologico, storico. Nel 1933 nacque cos,

    per sua spinta ed istigazione, lIstituto per il Medio ed Estremo Oriente,di cui fu presidente fino alla morte Giovanni Gentile, e, dal 1947 fino al1978 Giuseppe Tucci stesso. QuestIsti-// (p. 22) tuto, cui egli si dediccon unenergia ed un dinamismo eccezionali, divenne sotto la sua guida,dagli anni 50 in poi, il centro di ricerca orientalistica pi importantedItalia ed uno dei pi conosciuti anche internazionalmente, non solo per la sua attivit in Oriente basti qui ricordare le ricerche e scavi archeo-logici in Pakistan, in Afghanistan, in Iran ed il centro restauri operoso inIran ed altrove ma anche per la biblioteca in esso ospitata, che gi in-gente nel 1950, fu da allora in poi costantemente accresciuta. AllIsMEOGiuseppe Tucci don, nel 1959, anche la sua vastissima biblioteca per-sonale oltre ventimila volumi e nellIsMEO volle che fossero raccoltitutti i suoi manoscritti ed opere a stampa tibetani, i quali costituiscono il

    pi ricco fondo europeo, e, forse, in senso assoluto, di opere del genere.Sempre nellIsMEO inoltre custodito larchivio documentario e foto-grafico delle sue spedizioni in Tibet ed in Nepal, di grandissima impor-tanza storica ed artistica, tanto pi se si pensa che moltissimi monumentied oggetti che egli pot allora vedere e fotografare, non sono ora pi esi-stenti, non tanto, forse, per ingiuria delluomo quanto del tempo. Suacreazione, nellambito dellIsMEO, fu inoltre, nel 1950, la Serie Orienta-le Roma, che, iniziata, appunto nel 50, colla sua opera The Tombs of theTibetan Kings , raccoglie, nei suoi pi che cinquanta volumi, edizioni ditesti indiani, tibetani e cinesi, saggi di storia, darte e di letteratura, per opera di studiosi italiani e stranieri.

    In questo stesso torno di tempo videro la luce il primo volume di unanuova collana da lui progettata,// (p. 23) destinata a raccogliere gli scrittie i documenti degli antichi viaggiatori italiani in Oriente, e il suo libro disaggi Italia e Oriente . Della sua italianit e della lingua italiana (cui pu-re, nella maggior parte delle sue opere scientifiche, rinunci, dal 48 in

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    poi, preferendole linglese) Giuseppe Tucci and sempre fierissimo,mettendo ripetutamente in luce, in libri ed articoli, leccezionale contri- buto dellItalia alla conoscenza che lEuropa ha lentamente acquistatadellAsia e, di converso, le tracce della cultura e dellarte italiana in O-riente. A differenza, infatti, di quanto accadde in altri paesi, i viaggiatoriitaliani furono generalmente mossi da disinteressata curiosit di cultura odi scienza (o, se missionari, da sollecitudine religiosa), solo raramente daesigenze mercantili, mai da mire di espansione politica. Il senso di ri-spetto e dossequio, quasi, direi, di stupore, che egli sempre prov per questi pionieri dellorientalismo, diffusori spesso intelligenti e pazientidelle idealit, dellarte e della scienza occidentali, in paesi talvolta ostili,comunque mai facili, spesso tra fatiche e stenti inenarrabili (che egli, e-sploratore a sua volta, poteva pi dogni altro apprezzare) si concret co-s, nel 1950, nella fondazione della collana da lui chiamata Il NuovoRamusio, pubblicata dalla Libreria dello Stato. In essa Giuseppe Tuccisi propose, come ho dianzi accennato, di raccogliere ogni sorta di testiediti o inediti di viaggiatori italiani in Oriente; e tredici sono cos i vo-lumi finora apparsi, comprendenti lettere, documenti e relazioni di viag-giatori e missionari italiani in Asia: altri volumi sono in corso di prepa-razione.// (p. 24)

    N Giuseppe Tucci diede vita soltanto allIsMEO. LItalia (egli de- plorava) mancava di un Museo specificatamente dedicato allOriente, e,dopo gli anni 50, si adoper attivamente perch questo vuoto fosse col-mato. I suoi sforzi ebbero infine successo, e, nel 1957, fu fondato inRoma il Museo Nazionale dArte Orientale, che, costantemente arricchi-to, ospita, oltre a collezioni sue proprie, anche i pezzi e le raccolte di

    propriet dellIsMEO. Specialmente rilevanti sono, tra questi, i moltis-simi pezzi dellarte greco-buddhistica del Gandhara, provenienti dagliscavi nello Swat.

    Ma non anticipiamo i tempi. Durante e subito dopo la guerra, dive-nuto impossibile, per forza di cose, uscir fuori dItalia e, per breve tem-

    po, anche linsegnamento, perch, nel 1944, stupidamente epurato, Giu-seppe Tucci attese a quella che lopera pi importante ed esauriente fi-no ad oggi scritta sul Tibet, Tibetan Painted Scrolls , dove, prendendolavvio da una raccolta di pitture devozionali tibetane, traccia un quadromagistrale della cultura, della religione, dellarte e della storia del Tibet.I tre volumi di Tibetan Painted Scrolls furono splendidamente pubblicatidallIstituto Poligrafico dello Stato nel 1949.

    Ma gli studi indologici di Giuseppe Tucci non concernono solo ilBuddhismo e notevolissimi furono i suoi contributi ad una pi precisaconoscenza di altre religioni e modi di concepire la vita dellIndia, della

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    Cina, del Giappone. A trentacinque anni di distanza dalla sua Storia del-la Filosofia Cinese Antica apparve cos, nel 1957, la Storia della Filoso- fia Indiana , dove// (p. 25) condensa e riassume, divisa per argomenti piuttosto che per scuole, limmensa letteratura filosofica dellIndia, dai primi albeggiamenti delle Upani ad allo scolastico tramonto della Nuo-va Logica. Sterminate furono, in effetto, le letture di Giuseppe Tucci a

    proposito di ogni scuola o corrente filosofica dellIndia, dal Ny ya piantico e recente ai vari aspetti, monistici o non, del Ved nta, dalle cor-renti devozionali Vi uite e Scivaite alle antiche scuole del materialismoindiano, tanto che, si pu dire, non corrente di pensiero dellIndia dicui non abbia letto e meditato, sui testi originali in sanscrito, le argomen-tazioni e dottrine. Lampiezza delle sue letture testimoniata (chi abbiala pazienza di sfogliare i volumi della sua biblioteca, ora allIsMEO) da-gli infiniti richiami ed annotazioni a penna o a matita con cui chiosava isuoi libri, raccogliendoli spesso in calce al volume. Questa, per GiuseppeTucci, uomo di prodigiosa memoria, rest sempre lunica forma di schedaturao, per dir meglio, di richiamo mnemonico, ch per indole e ragionata impa-zienza rifugg sempre dallidea di uno schedario o catalogo, quasi che (mi di-ceva) in quella indifferente, meccanica, stampata esattezza si celasse loperadel Maligno, che tutto vuol facile, uguale e ripetibile.

    Grandissimo interesse ebbe Giuseppe Tucci per le scuole scivaite dal Siddh nta ai V raaiva, dai K p lika alla grande sintesi kashmira diUtpaladeva e di Abhinavagupta il cui studio considerava indispensabi-le anche per ben intendere gli ultimi lampeggiamenti del Buddhismo in-diano (ricordiamo, per esempio, lin-// (p. 26) segnamento dei Siddha)che con essa ha tanti punti di contatto. Negli anni 1947-48 poco prima,dunque, che io lo conoscessi lo troviamo cos impegnato, nei suoi corsiuniversitari, nella lettura ed illustrazione di una delle pi difficili operedi Abhinavagupta, il Tantras ra (che gi aveva letto, mi raccontava, in-sieme col rajguru del re del Nepal, il dottissimo Hema arm ), e, degliappunti di quelle lezioni mi ricordo che poi grandemente mi giovai,quando per la tesi di laurea, intrapresi la traduzione di quellopera.

    A questo torno di tempo risale il suo volume Teoria e Pratica del Mandala con speciale riguardo alla psicologia del profondo , doveglicerc di dare uninterpretazione, giovandosi anche delle moderne conce-zioni junghiane, della struttura mandalica, supporto, non solo in India o inTibet ma anche altrove, del misterioso itinerario dellanima verso il cen-tro. Per le intuizioni di Jung e specialmente per la sua concezione di in-conscio collettivo, che tanto ricorda l layavij na o coscienza depositodei Buddhisti, Giuseppe Tucci mostr sempre vivo interesse e ripetuta-

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    mente ne parl e scrisse. Nella concezione junghiana degli archetipi uni-versali egli vide sempre una valida medicina contro certe forme di relati-vismo culturale e religioso, che mai condivise.

    *

    Ma Giuseppe Tucci non fu solo attratto dalla speculazione filosoficae religiosa, e ben comprese come essa, perch ci trasmetta il suo veromessaggio, non pu// (p. 27) prescindere dalla speciale situazione storicain cui apparve e si afferm. Ma lIndia, a differenza dellOccidente, specialmente avara di documenti storici e di qui la necessit, in tanto di-gnitoso tacere, di accedere a fonti specificatamente non letterarie sianoesse iscrizioni, monumenti darte o documenti archeologici nel senso pivasto del termine di far parlare insomma ogni segno pur lieve della

    presenza delluomo sulla terra, ogni traccia faticosa da lui lasciatanellincessante rivolgersi e trasmutare degli evi. Giuseppe Tucci diventcos archeologo (o, anzi, ridivent, se teniamo conto dei suoi primissimistudi), o meglio formatore ed organizzatore di archeologi, e nacquero,

    per opera sua, le missioni e scavi dellIsMEO in Pakistan, Afghanistan,Iran. Da pochi anni (cos egli), concluse le esplorazioni tibetane e nepa-lesi, eccomi tornato, per necessit di ricerca, allarcheologia, non per farne io stesso, ma perch gli studiosi espertissimi che lavorano con me

    possano accortamente mettere in luce i monumenti o i documenti o, co-munque, le voci capaci di colmare i tremendi vuoti storici che esistonoin molte parti dellAsia.

    Il Nepal, che visit ripetutamente anche negli anni della sua perma-nenza in India quando, sotto il regime dei Rana, era, salvo rarissime ec-cezioni, chiuso agli stranieri, fu anzi il paese cui si appuntarono, per

    primo, le sue ricerche; e, negli anni 1954-56, sotto la sua guida ecollaiuto di Kaisher Bahadur, gi ambasciatore del Nepal a Pechino, fu-rono raccolte tutte le pi antiche iscrizioni della valle di Kathmandu.Queste iscrizioni,// (p. 28) scritte in caratteri di et gupta (solo in partegi pubblicate, per opera soprattutto di Sylvain Lvi) sono il pi anticodocumento scritto del Nepal e gettano vivida luce sullorganizzazionesociale e religiosa della valle, che gi nel V-VII secolo, era importantenodo commerciale tra lIndia ed il Tibet. Esse furono da me trascritte e

    pubblicate nel 1957 nei due volumi Nepalese Inscriptions in Gupta Cha-racters , della Serie Orientale Roma. Ma la ricerca delle antiche iscrizionidella valle, non fu lunico contributo di Giuseppe Tucci alla storia del

    Nepal. Nel 1956, in una faticosa spedizione nel Nepal Occidentale, aGiumla, Giuseppe Tucci scopr e studi le reliquie di un regno ancora

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    sconosciuto, il regno dei Malla, che aveva dominato in quella regione enel Tibet Occidentale. La storia di questa scoperta fu da Tucci stessoraccontata in sue due opere, Preliminary Report on two Scientific Expe-ditions in Nepal (1956) e Nepal. Alla scoperta dei Malla (1960). Se, per ragioni estranee alla sua volont, Giuseppe Tucci, non pot tradurre inrealt il suo sogno di scavare a Lumbini, nel Terai Nepalese, luogo nata-le del Buddha e mta, nellantichit e nel medio evo, di innumeri pelle-grinaggi, larcheologia buddhistica ebbe parimenti in lui uno dei suoimaggiori rappresentanti. La sua attenzione si rivolse, nel 1960, ad unaregione del Pakistan Settentrionale, lo Swat, lantico U iy na, posta ai

    piedi dellHimalaia. Ad indicargli la via dello Swat, fu comegli stessoracconta, proprio il Tibet. Dallo Swat fu oriundo infatti Padmasambhava(Guru Rimpoce, in tibetano) il maestro e taumaturgo, per tradizione co-mune uno dei mas-// (p. 29) simi artefici del Lamaismo, che nellVIIIsecolo giunse in Tibet, convert, colla forza della sua magia, le antiche eriottose divinit Bon alle superiori idealit del Buddhismo, convertendo-le, da avversarie irriducibili, a fedeli e temibili custodi dei luoghi sacridella nuova religione. Lo Swat, in effetto, fu per tradizione terra di esor-cismi e magie, di stregoni e di fate volanti, ed il Buddhismo che vi attec-ch vigorosamente gi nei primi secoli della nostra era (ne fanno fede gliinnumeri stupa e monasteri di cui disseminata la regione) vi si intrise

    ben presto di colori gnostici e magici. N nello Swat erano presenti iBuddhisti soltanto. La speculazione scivaita kashmira del IX e del X se-colo ci racconta come appunto da questa regione provenissero taluni dei

    pi antichi e venerati maestri (ed anche maestre) e come oriunda da essafosse la scuola gnostica del Krama, le cui dottrine confluirono poi nellagrande sintesi abhinavaguptiana. Ma torniamo ai Buddhisti. GiuseppeTucci, dopo brevi ricerche, riconobbe in Mingora lantica capitale del

    paese e nella contigua localit di Butkara quello che fu, fino al IV seco-lo, uno dei principali luoghi di devozione e pellegrinaggio buddhistici.

    Nel 1956 cominciarono gli scavi che, ininterrottamente continuati fino al1962, riportarono alla luce lintera area sacra, essenzialmente costituita

    da un grande stupa centrale, circondato da moltissimi altri minori. Nono-stante in passato lo Swat e probabilmente proprio larea sacra di Mingo-ra abbia fornito uninnumere quantit di pezzi ai mercati antiquaridellIndia e dellOccidente, migliaia e migliaia sono le sculture intere oframmentarie venute// (p. 30) alla luce durante gli scavi, conservate nellamassima parte sul posto. Ma la storia dello Swat non limitata al Bud-dhismo. Il desiderio di ripercorrere le vie che segu Alessandro, di ri-cercare e scoprire le tracce che egli vi pu aver lasciato, di mettere in e-videnza con nuovi documenti lincontro dellOccidente e dellOriente,

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    che avvenne anche dopo di lui anzi soprattutto dopo di lui in quellecontrade dove prosper larte del Gandhara, nella quale le mitografie bud-dhistiche si espressero nel linguaggio narrativo del mondo classico portGiuseppe Tucci agli scavi di Udegram, lantica Ora, che, secondo le fonticlassiche, fu conquistata da Alessandro.

    Le campagne archeologiche dello Swat condussero indirettamentead una scoperta importantissima per la storia dellantico Buddhismo in-diano. Durante la sua missione del 1956, Giuseppe Tucci rintracci for-tunosamente parecchie parti mancanti del Vinaya dei M lasarv stiv din,la cui ultima parte il Sa ghabhedavastu contiene la pi antica vitadel Buddha in sanscrito. I fogli grandi e bellissimi di questo manoscrittoin corteccia di betulla del VI sec. d.C. furono inviati dal Governo Paki-stano a Roma per il restauro e la pubblicazione, che io condussi a termi-ne nel 1977.

    Lattivit archeologica di Giuseppe Tucci non rimase circoscritta alsubcontinente indiano, ma nel 1962 egli promosse ed organizz gli scavidellIsMEO nel Sistan, dove, nel deserto ai confini dellAfghanistan, fuscoperto un tempio con pirei dellepoca proto-achemenide, quelli, sem-

    pre nel Sistan, di Shahr-e Sukhta, uno// (p. 31) dei pi importanti centriurbani dellIran antichissimo, sorto nel IV millennio a.C. Altri scavi ericerche archeologiche riguardano il periodo islamico: tali, per esempio,quelli di Ghazni, dov stato riportato alla luce il palazzo di Masud III,le ricerche e restauri della moschea del Venerd a Ispahan, i restauri diPersepoli.

    Questa attivit storica ed archeologica, cui egli dedic la maggior parte delle sue energie dal 1955 in poi, non lo distrasse dai prediletti stu-di filosofici e religiosi, come ne fanno fede, per non accennare che alleopere sue pi importanti, i tre volumi di Minor Buddhist Texts (parte I,1956; parte II, 1958; parte III, 1971), dovegli raccolse e studi diverseopere buddhistiche, da lui stesso scoperte durante i viaggi in Tibet.Lultimo di essi dedicato al terzo Bh van krama di Vikrama la ed al-la disputa, avvenuta nel VII secolo a Samye, fra i sostenitori della cor-

    rente quietistica e quelli che mantenevano invece la necessit di una gra-duale pratica meditativa ( bh van ). Al 1970 risale infine il suo magistra-le volume sulle religioni del Tibet ed al 1977 il suo studio sui Dardi ( OnSw t. The Dards and Connected Problems ), dove, in una esposizione o-riginale e sintetica, raccoglie e disamina i principali documenti di questegenti indoarie che, discese dal Turchestan e forse dallIran, si distesero

    poi dai Pamiri al limitare del Tibet, da Gilgit ai confini del Kashmir. Ne-gli ultimi tempi attendeva ancora a due opere, rimaste purtroppo incom-

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    piute, una su Benares e laltra sulla religiosit indiana, dal titolo di Erose Thanatos in India.// (p. 32)Si voluta fin qui dare una idea, sia pure per accenni fugaci, delle

    sue sterminate cognizioni e ricerche, storiche, religiose e filosofiche, chesi estendono pressoch a tutto lOriente medio ed estremo e della sua at-tivit di organizzatore e promotore di studi. Ma c, in Giuseppe Tucci,anche un terzo aspetto, oltre ai due accennati voglio dire quello di mae-stro (e Deshikottama, massimo dei maestri lo proclam lUniversit Vi-shvabharati di Shantiniketan), ispiratore sollecito sempre ad accenderenei giovani nuovi interessi, ad invogliarli ( lui stesso che parla) ad unacuriosit vivace ed a stimolarne lintelligenza. Voi mi avete chiamatoguru (cos egli nel 1974, quando lIstituto Universitario Orientale di Na-

    poli dedic una collana di scritti in suo onore) e il guru, voi lo sapete,trasmette al discepolo quel che pensa, imagina, apprende, intuisce, me-diante un rapporto vivo, che gli Indiani chiamano govatsany ya : comla linfa vitale che la mucca infonde nel vitello e lo fa crescere, iniettan-dogli, per cos dire, la propria vitalit; mentre lo u katarka , lariditdellargomentare, un gioco freddo del pensiero, senza le vibrazioni caldee vivificatrici dello spirito. La scienza non fatta soltanto di notizie, formu-le, raffronti e date: un modo di vivere, di sentire, di reagire [...].

    Giuseppe Tucci non ebbe mai il pugno chiuso, come dice il Buddhadi quei maestri che tenevano gelosamente per s il proprio sapere, senzafarne parte agli altri, ma cerc sempre di trasmettere le sue conoscenze,

    pago che altri sapesse approfittarne e via via sviluppare quanto in nuceaveva intuito o divinato. La sua casa e// (p. 33) la sua biblioteca eranoliberalmente aperte a chi stimava meritevole di essere aiutato e guidatonello studio. Quante volte sono andato a trovarlo per leggere insieme te-sti e manoscritti, tornandomene poi sovente a piedi, colle braccia carichedi libri, da piazza Vescovio, dove abitava, fino alla mia casa di via dellaPace! E da questi incontri, nei quali si parlava esclusivamente di studio,uscivo sempre colla sensazione, che non presumo qui di spiegare (n,credo, questo sar successo a me soltanto), di uno scioglimento di nodi o

    problemi anche personali ed estranei agli argomenti trattati, di un ordineche si sostituiva a qualcosa di confuso, della determinazione di un cen-tro, il quale dava senso e ragione ai frammenti pi periferici, che lungidal dissolversi, assumevano anzi giusta forma e risalto proprio nella mi-sura che, non pi sparsi ma correlati sempre lun laltro, convergevanoverso di esso. N questa passione impressa subitamente svaniva, masoleva, per un certo tempo, perdurare vivace nella mente.

    In fatto di studi Giuseppe Tucci fu sempre rispettosissimo della li- bert e delle scelte altrui. In tanti anni, non ricordo mai unimposizione,

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    una troppo stretta sollecitazione, un controllo: seppe sempre dare conquel tacer pudico che accetto il don ti fa. In manus tuas commendo:con queste parole mi affidava libri e manoscritti, che rivedevamo dopoinsieme, per poi eventualmente pubblicare, con quel sentimento di silen-ziosa e quasi ovvia fiducia, che lincoraggiamento pi efficace. Ma,come ogni buon maestro, sapeva anche scoraggiare. Trattandosi di studidifficili, che richiedono// (p. 34) una lunga preparazione ed una dedizio-ne completa, quanti scorgeva esitanti o tepidi o anche semplicemente cu-riosi, impazienti dello studio delle lingue, che solo permette di accederealle fonti (e il suo intuito era sicuro) egli soleva respingere anche bru-scamente, esortandoli ad andare a prendere il sole e ad altri pi piacevoli

    passatempi. Certe sue insofferenze erano sempre dovute alla paura (talo-ra finanche eccessiva) che mire di carriera o superficiale curiosit so-

    pravvalessero sul genuino interesse scientifico ed esigenza spirituale. Per indole, non indulse mai a nessuna forma di cialtronesco democraticismo,ma cerc sempre di aver ragione, con la sua innata autorit e prestigio(che esercit fino allultimo, non senza, talvolta, una certa tal quale can-dida ostentazione), dei tentennamenti ed accomodamenti dei pi, tirandodiritto per la sua strada. Delle donne che si dedicano agli studi, special-mente quelli orientalistici, pur apprezzandone casi isolati, diffid soven-te, non certo, come il Leopardi, per detrazione della natura femminile,della akti, di questo strumento delicatissimo di approfondimento e dielevazione, cui si inchin sempre rispettoso e sensibilissimo, ma timoro-so forse che la severit della disciplina potesse offendere la scioltezza divi-na e lessenza stessa della femminilit. Giuseppe Tucci non fu femminista.

    Sebbene incoraggiasse i suoi giovani allievi, proprio perch sollecitodel loro avvenire, non aliment mai in loro facili illusioni. Mi corre ildovere (cos nel 1974) di farvi accorti che la vostra missione, giovaniamici, non agevole; che la vostra passione se non sar// (p. 35) inco-raggiata, pu avvizzire come un fiore raro, cui lacqua difetti. Ultimaticon successo i vostri corsi, sapre per voi un periodo della vostra vita lie-tissimo ed orrendo insieme: siete padroni di voi stessi, ma non riceveretenessuna garanzia di occupazione. Comincer per voi la via crucisdellintervallo angosciato fra luniversit e gli obblighi della vita. Nonesiste da noi nessun collegamento, o esilissimo, fra scuole e occupazio-ne; per non pochi gli studi cui hanno dedicato lardore e il fuoco dei loroanni migliori corrono il rischio di restare un remoto ricordo.Lordinamento universitario non concede largo posto agli specialisti dicose orientali; lassorbimento negli uffici lungo e difficile.

    Collesempio e collinsegnamento Giuseppe Tucci tese sempreallessenziale, pradh ne yatna kartavya , come diceva Pata jali, guar-

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    dando, tra con compatimento e meraviglia, alla miserella vanit di tantiarticoletti e noticine che ingombrano gli annali accademici, buoni soltan-to a far titolo per concorsi o altro. Lerrore nel particolare non lo impau-riva e cercava anzi di esorcizzare i suoi discepoli e i suoi pi giovani col-laboratori da uneccessiva paura dellerrore. Io (dichiar nel 1977) nonho mai avuto terrore dellerrore nel particolare. Ci sar sempre chi se neavvedr e lo corregger. Lerrore non deve paralizzare; un rischio chefatalmente corre chi lavora sul nuovo. Ma proprio il nuovo che pi in-vita: laprire nuovi campi di ricerca, scoprire documenti ignorati, lancia-re ipotesi di lavoro che, se potranno nel corso degli studi, essere comple-tate o corroborate, sono tuttavia i primi guizzi di tremule luci// (p. 36)che additano la probabile soluzione di problemi oscuri. E del resto nondice anche la Bhagavadg t che ogni agire avvolto dallerrore cos comeil fuoco dal fumo? E N g rjuna, che lunico strumento della verit pro-

    prio lerrore? E Goethe che es irrt der Mensch so lang er strebt?Come sempre accade agli uomini di genio, qualunque sia il loro

    campo, nessuno pot raccogliere la sua eredit nella sua interezza; ed isuoi non pochi discepoli coltivarono e svilupparono, ciascuno come po-t, quelle discipline che sentivano pi a s congeniali, ma che tutte, sia

    pure talune in nuce e senza giungere, per forza di cose, agli ultimi parti-colari, erano in lui riunite e da lui dominate.

    *

    Nel 1970 Giuseppe Tucci lasci la sua casa di Roma, e si ritir incampagna, a S. Polo dei Cavalieri, presso Tivoli. La vita della citt nongli era in fondo mai stata congeniale, neanche quando le citt erano di-verse da quelle di oggi. Vivissimo, in effetto, fu sempre in lui il senti-mento della natura. Certi verdi, certi cangiamenti di foglie, certi trasmu-tamenti di colore nella terra e nei prati, taluni profili montani (due, dice-va, le cose che aveva pi amato: il sole, come Giuliano lApostata, e lamontagna, come i pastori), erano da lui vissuti con una speciale intensit,s da intrinsecarcisi, quasi parte di se stesso. Tanto forte fu tuttavia in luiil senti-// (p. 37) mento della natura, quanto scarso, curiosamente,linteresse e lo studio di essa in se medesima e nel particolare: i nomi ele caratteristiche delle piante o delle pietre, delle stelle o degli animaliisolati dal tutto, e, per lui, forse proprio per questo, come disintegratiframmenti di quel tempio solenne, non lo interessavano affatto, o se lointeressavano, era in riferimento alluomo ed al suo operare. Pi di tuttogli piacevano le lunghe camminate (e a piedi o a cavallo percorse, comeabbiamo visto, migliaia di chilometri in Tibet e nel Nepal) non in grup-

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    po, com oggi sovente costume, ma tuttal pi con un amico o discepo-lo, n c, si pu dire, montagna, in Abruzzo, nel Lazio o nelle Marche,che egli non avesse asceso e di cui non conoscesse minutamente i sentie-ri. Questa sua consuetudine al cammino egli la conserv fino a pochi an-ni or sono (finch, cio, fisicamente pot): mi raccontava che il suo pi

    bel compleanno fu lottantesimo, quando sul monte Gennaro scivol soli-tario e si ruppe una gamba (lo ritrovarono i carabinieri poche ore dopo).

    Fu amantissimo degli animali, dei cani e dei gatti in particolare, diqueste creature, che, in terra di fruizione, possono, come gli dei, solo di-gerire il karma ma non accumularne, ed avvertono pure cos acutamentee pietosamente la parola, il logos, da cui sono esclusi. E per tutti gli ul-timi mesi, mai la gatta preferita abbandon il suo letto, dipartendoseneirosa solo quando obbligata per poi subito tornarvi. Di dolore nel mon-do (scriveva nel 1977) ce n anche troppo: i giorni ne sono intessuti dal-la culla alla bara, grandi e piccoli, di// (p. 38) corpo e dellanima, voluticiecamente e per caso caduti su di noi; ma il dolore delle bestie mi sem-

    bra di unaltra dimensione; dolore soltanto, uno spasimo metafisico, lasolitudine disperata del soffrire. Alluomo si offrono molte vie per atte-nuare il dolore: non dico i mezzi che la scienza inventa, ma quelle resi-stenze che il ragionare o la fede suggeriscono, la sopportazione cuileducazione o il convincimento preparano o abituano, n gli manca ilconforto dellaltrui piet, o le lacrime di chi gli sta vicino. Manellanimale che soffre c dolore nel suo modo assoluto, il dolore che sisperimenta come dolore nella sua infinit e solitudine.

    Della scienza, degli scienziati e dei loro giochi pericolosi ebbesomma sfiducia e sospetto. Delle magnifiche sorti e progressive fu al-quanto scettico ed inchinato piuttosto alla concezione ind (ma non indsoltanto) dei declinanti yuga, confidando colla Bhagavadg t , dopo rag-giunto il colmo della decadenza, in una rigenerazione esistenziale e mo-rale; ed allestreme giornate di sua vita risale questa nota commoventeche qui trascrivo: Quando la Legge che governa le cose, sia essa ilDharma degli Ind e dei Buddhisti, oppure il Tao dei Cinesi, comincera indebolirsi, allora i salvatori scenderanno sulle rovine delluniversospento per ravvivarlo e risuscitarlo nella sua primordiale valenza. Nonmi vergogno di confessare che anche io cos la penso; che la scienza nonsia daccordo con me non me ne importa nulla perch presto maggior fe-de ai miei maestri con i quali ho tante volte discusso nei loro eremi incima alle montagne tibetane, chiusi o murati// (p. 39) nelle proprie inac-cessibili celle che non sapevano chi io fossi ma non ignoravano che un

    pellegrino delloccidente sarebbe un giorno venuto a cercarli e a trovarlinella loro volontaria segregazione in attesa del finale dissolvimento nella

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    suprema Luce. In quello che essi mi rivelarono io ho sempre avuto pifiducia che nella nostra scienza. Se noi ci ostiniamo a vivere come stiamofacendo, saremo gli alfieri dellapocalisse, il cui prossimo avvento profe-tato da tutte le religioni, quando al termine degli eoni e al colmo della per-fidia umana tutto brucer nel fuoco di ununiversale conflagrazione.

    Nella comodit e celerit delle comunicazioni vide non un aiuto allacomprensione reciproca delle genti quanto piuttosto uninsidia e pericolograve. Chi cercher il fratello? Dove sono pi i Giovanni di Pian delCarpine, Marco Polo, Pietro della Valle, gli Ambasciatori Veneti, Mat-teo Ricci? Ad avvicinare lanima dei popoli molto pi saddice con isuoi lenti bivacchi la carovana che laereo. Ve lo dice chi ha peregrinatoin tenda per oltre cinque anni. Con laccresciuta celerit del viaggiare i

    paesi sembrano diventare pi vaghi, brumosi ed argomento di litigio.Ed ancora: La differenza ed il sospetto chiudono le frontiere eluniformit dei modi e dei costumi, la monotonia che ci incatena, il li-vellamento che tutto sommerge [...] rendono desolati i nostri giorni, in-ceneriti dappertutto dalle medesime presunzioni. E niente pi solitudine,

    perch dappertutto c chi ti spia, ficca il naso nella tua vita e persino nelsegreto del tuo pensiero e del tuo cuore. Viaggiare quando il mondo stadiventando uniforme come un// (p. 40) aggirarsi in un ospedale di mo-ribondi; lampeggiamenti di antiche abitudini che si dissolvono in un ura-gano di scintille che si spengono. Ed allora non resta che scendere neltempo, resuscitare i morti. Non c pi nulla da esplorare sulla terra; conil Tibet ed il Nepal io ho finito le mie esplorazioni; anche l tutto cambia.Ora che lOriente sta assorbendo il nostro veleno, non c altro da fare chescendere nel passato; e siccome abbiamo a che fare con ombre ed immagi-ni, lanima in pace. Tutto il resto non conta.

    Dei sentimenti, di questintrusione dellio e del mio, falsificatori ed of-fuscatori della trasparenza delle cose, ebbe sempre istintivo timore e pudo-re, s da dir di s, quasi per esorcizzarli, che ne era affatto privo ed aridocome le erbe del deserto. Eppure chi lo conobbe, dovr convenire di aver raramente incontrato persona meno arida e di pi forte sentire.

    Degli amici, cui fu fedelissimo, e dei nemici e detrattori che pure nongli mancarono, si compiacque ugualmente.

    Degli uomini, stim ed am i freddi ed i caldi, ma i tepidi ebbe semprein ispregio, tenendo fisse a mente le parole dellAngelo dellApocalisse, che

    pi duna volta mi cit: Scio opera tua, quia neque frigidus es neque cali-dus; utinam frigidus esses aut calidus. Sed quia tepidus es et nec frigidusnec calidus, incipiam te evomere ex ore meo.// (p. 41)

    *

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    Ma tutto vince e ritoglie il tempo avaro. Un incidente di macchinanellAfghanistan, da cui usc con parecchie costole rotte, una successivacaduta e let stessa ebbero alla fine ragione della sua tempra fortissimae, negli ultimi mesi, fu costretto quasi allimmobilit, non tanto tuttavia,che, per innata gentilezza, non si sforzasse di accompagnare alla portachi lo visitava, non si alzasse ed inchinasse sempre se questi era una si-gnora. A proposito di questa sua cortesia e delicatezza, mi ricordersempre di un episodio vecchio ormai di molti anni e dai pi forse dimen-ticato, quando fu dallIsMEO invitato per una conferenza il grande o-rientalista inglese F.W. Thomas, ormai vecchissimo ed incapace quasi difarsi intendere. Mi stup allora (ma non pi adesso), la gentilezza collaquale Giuseppe Tucci, con affetto e devozione di figlio, lo sorreggeva eguidava di stanza in stanza, senza mai distaccarsene un momento, losovveniva colla parola, quandessa gli faceva difetto, soffrendo per lui,cercando in ogni modo di non farlo accorto dei danni dellet, che altrimovevano ad impazienza e ahim forse anche a riso.

    La difficile malattia, nella quale fu amorosamente e costantementeassistito dalla moglie Francesca Bonardi, fu sopportata con straordinariafortezza danimo, senza mai un lamento, un moto dimpazienza odinsofferenza, ma confortando come poteva e ringraziando sempre co-loro che gli stavano vicino e lo assistevano. Il lungo dissidio fra unamente fino allultimo memore e presente a se stessa ed un corpo che pinon obbediva ebbe fine il 5 aprile del 1984, verso le 5 del mattino: chie-se// (p. 42) un foglio per scrivere, non pot, e di l a poco, come vollescritto nellannuncio funebre, si dissolse nella luce suprema. Fu seppelli-to cristianamente. Due mesi dopo avrebbe compiuto novantanni. Dei ti-toli accademici e delle molteplici onorificenze, straniere ed anche italia-ne, di cui era insignito, soltanto una ne volle ricordata, quella di Premio

    Nehru per la Comprensione Internazionale, per lamore che sempre por-t allIndia ed alla sua cultura ed anche, forse, per i personali legamidamicizia che lo stringevano a chi fu, insieme con Gandhi, il massimoartefice dellindipendenza indiana.

    Ci sono delle parole e delle espressioni, che permangono nella nostramente, pronte a rivivere appena sollecitate da unoccasione rispondente,da un avvenimento congenere, da un ricordo. Tali, per me, quelle di Pla-tone, alla fine del Fedone, con cui chiudo qui queste righe, riferendolealluomo e al maestro che tanta parte ebbe nella mia vita: Tra gli uominiche ho conosciuto certamente il migliore, il pi saggio, il pi giusto.

    R ANIERO G NOLI Castel Giuliano, Marzo 1985