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S ono pochi gli strumenti musicali che, come il vio- lino, possono vantare una cosi rilevante e costante presenza nei capolavori del- la musica colta occidentale. Liutai e virtuosi hanno destato curiosità e meraviglia negli ascoltatori, gli uni per i possibili segreti ado- perati nella costruzione dello strumento, gli altri per invo- cate presenze demoniache a giustificazione dell’abilità e straordinaria maestria nel produrre stupefacenti effet- ti musicali. Tra tutti gli stru- menti, il violino ha destato il maggiore interesse e atten- zione tra gli studio- si di acustica, da Padre Marin Mersenne, che lo defi- nisce le roy des instru- ments nel- la celebre Harmo- nia Uni- versalis – Paris 1637 – a Ernst Chlad- ni (1765-1824) e Fe- lix Sa- vart (1791-1841), che propose la costruzione di un violino trapezoidale, sino agli studi fondamentali di Hermann von Helmoltz (1821- 1894). C’è da considerare che, nonostante stu- di recenti e sofisticati sul meccanismo sono- ro ed i parametri che determinano le quali- tà dello strumento, a tutt’oggi non si è ar- rivati a definire in maniera univoca i cri- teri costruttivi che lo possono rendere ec- cellente. Talchè i nomi di Antonio Stradi- vari (1648/9-1727) e Guarnieri del Gesù (1698-1744) sono a tutt’oggi giustamente circonfusi da un alone di mistero e non so- lo nell’immaginario popolare. È peraltro straordinario di per sé che un oggetto cosi fragile e deperibile come il no- stro strumento raggiunga quotazioni di costo assolutamente astronomiche. Co- sa che ha fatto naturalmente fiorire una vasta scuola di falsari almeno nei cartigli che incollati sul fondo della cassa por- tano il nome del liutaio. Se Antonio Vivaldi (1678-1741), mae- stro de violin a Venezia, è il composito- re più eseguito al mondo, e Giuseppe Tartini (1692-1770) con il suo Trillo del Diavolo ci conferma certi sospetti, Nicco- lò Paganini (1782), il cavaliere filarmonico, è oramai sino- nimo del violino stesso. Colonna portante dell’orchestra sinfonica esso richiede uno studio assiduo che non ammette vie brevi: è lo stru- mento dei professionisti e per i professionisti della mu- sica. Poche le eccezioni di dilettanti, per questo famo- si e ammirati, tra i quali è d’obbligo citare il fisico Albert Einstein. Origine ed evoluzione A differenza del suo illustre collega, il pianoforte, brevet- tato da Bartolomeo Cristo- fori nel1702, il violino non ha un inventore. Esso è il risultato della convergen- za delle caratteristiche di diversi strumenti a corda presenti nel medioevo con elementi comuni quali l’ac- cordatura delle corde a vuo- to, l’assenza di tasti sul mani- co e la produzione sonora dovuta allo sfregamento di crini di cavallo te- si su di un archetto di le- gno. Possiamo considerare la Ribeca, la Lyra e la Viella i veri antenati del violino. Se la presenza di strumenti nel Medioevo è ben documen- tata, e gli affreschi di di Luca Signorelli che de- corano la cupola del Duo- mo di Orvieto (1499) ne dan- no una bellissima rappresen- tazione pittorica della loro forma agli inizi del Rinasci- mento, sarà solo nel 1507 che apparirà della musi- ca destinata ad uno strumento. In quella da- ta, lo stampatore Ottaviano Petrucci pub- blica a Venezia una Intabolatura de lauto/ li- bro primo, opera di Francesco Spinacino. La scrittura per liuto, detta intavolatura, rappresenta le corde dello strumento e con dei numeri i tasti da premere con la mano sinistra. Invano si cercherebbe in epoca anteriore della musica scritta per un ben determinato strumento. La prima volta che troviamo la paro- la violino è in un registro fiscale del 1529: quondam Battista d’Oncola fa di violini. Philibert Jambe de Fer nella sua Epi- tome Musical, del 1556, cita il violino, senza tasti sul manico: il n’a nulle ta- ste, sottolineandone l’origine popola- re per il suono crudo ed aspro e con- trapponendolo alla viola da gamba considerata più convenevole ai gentils hommes. La viola condivideva il nome con tre tipi di strumenti a corda: de mano, de arco e di penna (da suonarsi con le dita, con l’archetto o con il plet- La fabbrica dei suoni: gli strumenti ad arco di Francesco Rizzoli Con il presente intervento dedicato al violino e alla sua famiglia, Francesco Rizzoli inaugura una serie di articoli dedicati all’approfondimento dei principali strumenti della tradizione musicale occidentale, che seguiranno puntualmente nei prossimi numeri. cose di musica — 55 cose di musica / gli strumenti dell'orchestra – 1 gli strumenti dell'orchestra – 1

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Sono pochi gli strumenti musicali che, come il vio-lino, possono vantare una cosi rilevante e costante presenza nei capolavori del-

la musica colta occidentale. Liutai e virtuosi hanno destato curiosità e meraviglia negli ascoltatori, gli uni per i possibili segreti ado-perati nella costruzione dello strumento, gli altri per invo-cate presenze demoniache a giustificazione dell’abilità e straordinaria maestria nel produrre stupefacenti effet-ti musicali. Tra tutti gli stru-menti, il violino ha destato il maggiore interesse e atten-zione tra gli studio-si di acustica, da Padre Marin Mersenne, che lo defi-nisce le roy des instru-ments nel-la celebre Ha r mo -nia Uni-versal is – Paris 1637 – a Ernst Chlad- n i (1765-1824) e Fe- lix Sa-vart (1791-1841), che propose la costruzione di un violino trapezoidale, sino agli studi fondamentali di Hermann von Helmoltz (1821-1894). C’è da considerare che, nonostante stu-di recenti e sofisticati sul meccanismo sono-ro ed i parametri che determinano le quali-tà dello strumento, a tutt’oggi non si è ar-rivati a definire in maniera univoca i cri-teri costruttivi che lo possono rendere ec-cellente. Talchè i nomi di Antonio Stradi-vari (1648/9-1727) e Guarnieri del Gesù (1698-1744) sono a tutt’oggi giustamente circonfusi da un alone di mistero e non so-lo nell’immaginario popolare.

È peraltro straordinario di per sé che un oggetto cosi fragile e deperibile come il no-stro strumento raggiunga quotazioni di costo assolutamente astronomiche. Co-sa che ha fatto naturalmente fiorire una vasta scuola di falsari almeno nei cartigli che incollati sul fondo della cassa por-tano il nome del liutaio.

Se Antonio Vivaldi (1678-1741), mae-stro de violin a Venezia, è il composito-re più eseguito al mondo, e Giuseppe Tartini (1692-1770) con il suo Trillo del Diavolo ci conferma certi sospetti, Nicco-

lò Paganini (1782), il cavaliere filarmonico, è oramai sino-nimo del violino stesso.

Colonna portante dell’orchestra sinfonica esso richiede uno studio assiduo che non ammette vie brevi: è lo stru-mento dei professionisti e per i professionisti della mu-sica. Poche le eccezioni di dilettanti, per questo famo-si e ammirati, tra i quali è d’obbligo citare il fisico Albert Einstein.

Origine ed evoluzione

A differenza del suo illustre collega, il pianoforte, brevet-

tato da Bartolomeo Cristo-fori nel1702, il violino non ha un inventore. Esso è il risultato della convergen-za delle caratteristiche di diversi strumenti a corda presenti nel medioevo con

elementi comuni quali l’ac-cordatura delle corde a vuo-

to, l’assenza di tasti sul mani-co e la produzione sonora dovuta

allo sfregamento di crini di cavallo te-

si su di un archetto di le-gno. Possiamo considerare la

Ribeca, la Lyra e la Viella i veri antenati del violino. Se la presenza di strumenti nel Medioevo è ben documen-tata, e gli affreschi di di

Luca Signorelli che de-corano la cupola del Duo-

mo di Orvieto (1499) ne dan-no una bellissima rappresen-tazione pittorica della loro forma agli inizi del Rinasci-mento, sarà solo nel 1507 che apparirà della musi-

ca destinata ad uno strumento. In quella da-ta, lo stampatore Ottaviano Petrucci pub-

blica a Venezia una Intabolatura de lauto/ li-bro primo, opera di Francesco Spinacino. La scrittura per liuto, detta intavolatura, rappresenta le corde dello strumento e con dei numeri i tasti da premere con la mano sinistra. Invano si cercherebbe in epoca anteriore della musica scritta per un ben determinato strumento.

La prima volta che troviamo la paro-la violino è in un registro fiscale del 1529: quondam Battista d’Oncola fa di violini.

Philibert Jambe de Fer nella sua Epi-tome Musical, del 1556, cita il violino, senza tasti sul manico: il n’a nulle ta-ste, sottolineandone l’origine popola-re per il suono crudo ed aspro e con-trapponendolo alla viola da gamba considerata più convenevole ai gentils hommes. La viola condivideva il nome

con tre tipi di strumenti a corda: de mano, de arco e di penna (da suonarsi

con le dita, con l’archetto o con il plet-

La fabbrica dei suoni:gli strumenti ad arco

di Francesco Rizzoli

Conil presente intervento dedicato

al violino e alla sua famiglia, Francesco Rizzoli inaugura una serie di articoli dedicati all’approfondimento dei principali strumenti della tradizione musicale occidentale, che seguiranno puntualmente nei

prossimi numeri.

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tro). Monta-vano sei cor-de accorda-te per quarte con una ter-za nel mezzo ( ad esempio: Sol –do-fa –la –re-sol- men-tre il violino ha le quattro corde accor-date per quin-te Sol re la mi) su di un ma-nico tastato similmente al liuto che si di-stingueva per la cassa piri-forme. Quel-la «de arco» poteva essere a sua volta in «da brazzo» o

«da gamba» a seconda di come veni-va sorretta.

Il violino ebbe quindi un’ori-gine popolare, a differenza di quanto farebbe crede-

re la sua storia recente. Ge-ograficamente è ben in-

dividuata la zona nel-la quale si comincia-rono a costruire vio-lini dando ad esso la tipica forma che co-nosciamo: nel l’Ita-

lia settentrionale tra Bologna, Cremona e Venezia. Uno dei pri-mi esemplari esistenti è di Ventura Linardo, scuola veneziana, datato 1581 ed attualmen-te al Kunsthistorische Museum di Vienna. Si attribuisce a Gaspare da Salò ed al cremo-nese Andrea Amati l’inizio dell’eccellenza dello strumento che continuerà con le di-scendenze dei Guarnieri degli Stradivari e dei Guadagnini. Ogni famiglia di liu-tai manteneva, quasi fosse un bene ere-ditario, le caratteristiche salienti degli strumenti impostati dal progenitore. A Giuseppe Guarnieri detto del Ge-sù (per la presenza della sigla IHS do-po la firma) dobbiamo il violino, co-struito nel 1742, che fu di Paganini e che questi chiamava il mio cannone per la potenza del suono. Ma non vanno dimenticate la scuola tirolese con Ja-cob Steiner (1621-1683), quella vene-ziana (Gofriller e Serafino), la mila-nese (Grancino, Testore) e napoleta-na (Gagliano).

Le prime composizioni dove il violi-no è in organico sono la Sonata pian e for-

te (1597) per vl, cornetto e 6 trb- di Gio-van n i Ga-brielli e le ce-lebri Lacrimae (1604) di Jo-hn Dowland for lutes, viols or violens (!). D’obbligo la citazione dei due violini pic-coli alla fran-zese nel grup-po strumen-tale dell’Or-feo (1607) di Claudio Mon-teverd i . La formaz ione dei 24 violons du Roy (1626) di Luigi XIII ne conferma la crescente

popolarità E se Arcangelo Corelli (1653-1713) fu l’epilogo glorioso del violinismo seicentesco, il XVIII secolo con

Vivaldi, Locatelli,Veracini, Tartini, Viotti fu senza te-ma di smentita il secolo del nostro strumento.

Il segreto dei grandi liutai

L’eccellenza degli strumenti cremonesi si diffuse rapidamente in tutta Europa. Antonio Stradivari la-sciò qualcosa come 400 violini oltre ad altri stru-

menti. Una delle spiegazioni più suggestive del segre-to di questi strumenti è addirittura di natura astronomi-ca. È infatti legata all’attività della nostra stella, il Sole. Il Sole presenta sulla superficie fotosferica delle macchie che crescono di numero e diminuiscono secondo un ciclo di 11 anni (ciclo di Wolf). Negli anni compresi tra il 1645 ed il 1715 non vi fu praticamente attività di macchie solari, co-me scoprì l’astronomo Edward Maunder. A tale minimo di attività, detto appunto di Maunder, è legato un periodo climatico di grande freddo, una vera piccola glaciazione che colpì l’Europa quasi esattamente con il periodo del regno di Luigi XIV. L’effetto sulla crescita dell’abete ma-schio, con cui è realizzato il piano armonico dello stru-mento, fu quello di dare caratteristiche irripetibili alle fibre del legno che appaiono al microscopio come del-le cannucce vuote, senza la linfa che normalmente è presente all’interno. A questo minimo di Maunder e agli effetti sulla crescita sulle fibre del legno di abete sono attribuibili, forse, le particolari doti acustiche dei grandi violini cremonesi.

Oggi è possibile riprodurre in maniera perfetta un violino per quanto riguarda le sue caratteristiche geometriche ed anche di parametri più sottili co-me i moduli di elasticità del legno. Quello che è im-possibile è riprodurre le caratteristiche microscopi-che del legno con cui è fatto. Il «segreto» quindi dei

grandi violini, a parte la maestria nella costruzione e nel disegno starebbe nelle caratteristiche molecola-

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ri del legno di cui sono fatti. Quanto alla vernice, oltre a dare bellezza e protezione allo strumento dagli agen-ti esterni non ha altro effetto se non di smorzamento delle vibrazioni del legno.

Un vecchio consiglio dei liutai al riguardo era: non troppo dura, non troppo tenera, non troppa.

Struttura e cambiamenti nel corso dei secoli

Un bravo liutaio può aprire senza danni un violino come si apre una scatola. Il piano armo-nico, in abete maschio, è lavorato per avere la caratteristica bombatura e lo spessore varia dai bordi al centro, dai 2 mm ai 3.5 mm. Un listello di legno, chiamato catena, sagomato per aderi-re alla bombatura è posto, in corrispondenza di dove appoggerà il piedino sinistro (guardando dall’alto) del ponticello sul quale sono appog-giate le corde. Un cilindretto di legno di abe-te è appoggiato tra piano armonico e fondo (di acero) in corrispondenza del piede destro. Le corde, originalmente in budello oggi in accia-io ed altri materiali, avvolte nei piroli (bische-ri) sono tese tra il capotasto ed il ponticel-lo per essere fissate alla cordiera. La ten-sione che le corde esercitano tra il fondo dello strumento ed il capotasto è di cir-ca 25 Kg mentre spingono verticalmen-te (10 Kg!) sul ponticello, che resta cosi bloccato. La catena e anima rivestono un ruolo statico ed in più una funzione dina-mica essenziale. Il piede destro del pon-ticello, appoggiato all’anima, su sollecita-zione della corda, vibra e trasmette energia al fondo, mentre il piede sinistro, facendo vibrare la catena, le trasmette all’intero pia-no armonico.

Il manico, di acero con la tastiera di ebano, ser-ve di appoggio alle dita del suonatore quando agisco-no sulle corde. Le cosidet-te «posizioni» sono quel-le dell’indice della mano sinistra che, spostando la mano verso la cassa, cre-sce via via di un tono sul-la corda più grave. In posi-zione, ossia senza muove-re la mano sinistra, si rie-sce a fare una scala di due ottave.

L’archetto, vero motore del violino, raggiunge for-ma e dimensioni attuali attorno al 1780 per merito di Francois Tourte (1747-1835). La bacchetta, di se-zione rotonda o ottago-nale è fatta di pernambu-co, un legno brasiliano. Il fascio dei crini di cavallo bianco, che forma un na-stro compatto può esse-re teso mediante una vite

mobile. La convessità dell’arco moderno è rivolta all’esterno a differenza di quello antico che, cur-

vo come l’arma di cui porta il nome, tendeva na-turalmente i crini con possibilità del suonato-re di variare la tensione con le dita della ma-no destra.La corda del violino sfregata dall’archetto

si muove formando apparentemente un fuso. Come scoprì Hermann von Helmholtz, in real-

tà, se fotografiamo vari istanti del movimento, ci accorgeremmo che la corda è divisa in due seg-menti rettilinei spezzati da una piegatura – un po’ come spostare con la punta di una matita un ela-stico teso tra due punti. Man mano che l’arco con i crini spalmati di pece greca (colofonia) prose-gue a strofinare la corda, questa piegatura per-corre i confini della corda dando, per persisten-za retinica, l’impressione di un fuso.

Tutti i grandi violini del passato sono diversi da come lasciarono il banco del liutaio. Molte parti di vitale importanza ai fini della qua-lità e del volume del suono sono state mo-dificate. Ad esempio il manico è stato al-lungato di un cm e mezzo ed inclinato all’indietro rispetto al piano armonico sia per resistere alle cresciute tensioni delle corde di ac-ciaio che per fa-cilitare l’articola-zione nelle posi-zioni più alte. Come conseguenza l’ani-ma è stata allun-gata e rinforza-

ta. Difficilmente Stradivari ricono-

scerebbe oggi un suo strumento.

Nel 1828 a Vienna, Pa-ganini fece modificare la tastiera del suo Guarnie-ri. Il liutaio Nikolaus Sa-wicki eseguì l’operazione con successo. Nel 1833 il liutaio Vuillaume riparò il cannone in presenza del Genovese e ne fece una copia che questi compe-rò per 500 franchi. La copia passerà poi a Ca-millo Sivori che la done-rà al Comune di Genova come peraltro fece Paga-nini con il Guarnieri. ◼

Antonio Stradivari

Niccolò PaganiniSopra, una viola da brazzo, nella pagina a fronte, una ribeca; a pagina 58 una viella

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Una conversazionecon Stefano Zanchetta

Abbiamo rivolto all’amico Stefano Zanchetta, titola-re di Scuola di violino al Conservatorio «B. Marcello» di Venezia e concertista di fama internazionale, alcune domande alle quali ha voluto gentilmente rispondere nel corso di una conversazione il 20 gennaio 2009.

Quali principali caratteristiche distinguono un buon violino?Intanto, da violinista, che sia bello, con una ver-

nice classica e che sia dotato di un suono mor-bido, pastoso e forte, caldo, che vada lonta-no. Quando lo strumento è duro di suono o di corde (affatica la mano sinistra) si può intervenire,cambiando tipo di corde, li-mando il capotasto, cambiando il ponticel-lo, spostando l’anima .

Qual è la differenza chiaramente percepibile tra uno strumento storico e uno di recente fattura?

Non è cosi facile la distinzione. Si posso-no prendere facilmente degli abbagli.

È vero che lo strumento ha una sua vita dal punto di vista acustico ?

Due fenomeni particolari. An-che uno stru-mento mo -derno, se fat-to con spesso-

ri sottili, suona subito. Ma do-

po dieci an-ni non suo-na più. A l contrario stru-

menti con più legno pos-sono migliorare nel tem-po e durano di più con una resa costante. La vita al violino la dà l’esecuto-re stesso. Se lo strumento è suonato bene, migliora, progredisce mentre se è suonato male, corde dop-pie stonate ad esempio,le fibre del legno risentono della sollecitazione degli armonici sbagliati.

Cosa temi maggiormente per il tuo strumento quando cam-biano bruscamente le condizio-ni climatiche?

Andando verso condi-zioni climatiche troppo calde, come mi è capitato spesso in Sud America, la tastiera si abbassa e le cor-de si alzano. Il suono di-venta stopposo e lo stru-mento difficile da suona-

re, una vera rogna. Con il grande freddo inve-ce, ad esempio in Russia, il violino si può crepa-re, si fende il piano armonico, come è succes-so ad un mio amico. Bisogna prendere la pre-cauzione di metter un umidificatore come il «Dampit» (è un tubetto di gomma con dei fori late-rali che contiene al suo interno una spugna).

La filologia dovrebbe riportare il violino a come era quando uscì dalla bottega del liutaio magari nel 1700. C’è un disorientamento iniziale per chi ha sempre studiato con strumenti moderni? È facil-mente superabile?

Non è facile. Certi colpi d’arco sono faci-litati con l’arco barocco ma il fatto di aver poco vibrato dà maggiore responsabilità a questo. Ho fatto sette/otto anni con Car-mignola e Fava, degli specialisti in filo-logia barocca. Al primo impatto ti trovi praticamente con un altro strumento. Un primo problema è che devi suonare con le corde di budello nudo (almeno il Mi ed il La) il che significa accordatura fre-quente (il Mi cala sempre!).Il ponticello è diverso, il manico più grosso e la tastie-ra più corta. Nel Seicento, Marini, Fon-tana, Frescobaldi non andavano oltre la terza posizione. L’Assenza di mentonie-ra, inventata da Sphor nell’800, fa sì che il violino barocco sia tenuto appoggia-to alla clavicola, in una posizione più esterna rispetto a quella odierna. L’as-senza di spalliera , introdotta nel ‘900 da Menuin, rende poi difficile lo sma-nicamento (cambio di posizione).

Tutto ciò fa sì che tornare al violino barocco non sia semplice. Puoi dover suonare al diapason di 415 (mezzo tono

temperato sotto il La interna-zionale di 440), per il primo barocco o a 430, ad esem-pio per Mozart. Per non parlare dei temperamen-ti, alla Vallotti, Werkmei-ster ecc. nei quali ci si ac-corda con il cembalo e alla fine ti trovi con le quinte più strette. Non è un gio-co… musicisti come Clau-dio Scimone ed Uto Ughi sono contro l’impiego de-gli strumenti barocchi. Il maestro Scimone in parti-colare sostiene che l’orec-chio moderno è sostan-zialmente meno sensibi-le rispetto al passato. Però non ho notato più di tan-to una perdita di poten-za suonando su strumen-ti antichi. Certo c’è una mancanza di compattezza nei sovracuti dovuto alla risposta delle corde di bu-dello rispetto a quelle d’ac-ciaio, ma anche Paganini

Stefano Zanchetta (a destra) con Francesco Rizzoli

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le suonava.La tecnolo-gia ha prodot-to archetti con materiali di alta tecnolo-gia? Secondo te c’è differen-za nell’arca-ta con un ar-chetto ligneo tradizionale?

Non han-n o c e r -t a m e n -te la quali-tà degli ar-chi con ma-teriale tradi-zionale ma, in compen-so non subi-scono l’effet-to della va-riazione del-le condizioni atmosferiche e quindi van-no bene per suonare all’aperto. Co-stano poco e sono colorati in blu o in rosso. Ne posseggo un paio ed anche Mario Brunello li ha adope-rati per il suo violoncello

Il violino ha avuto una didattica (trat-tati, studi) ampia ed approfondita. Trovi siano stati fatti ulteriori progressi negli ultimi tempi?

C’è una marea di studi ottocenteschi, an-che di autori sconosciuti. Nel Novecen-to c’è stato un rallentamento negli ulti-mi cinquant’anni. Mancano ad esempio 12 Capricci per violino inseriti in un contesto moderno. Mancano stu-di che vadano di pari passo con le nostre esigenze della musica contemporanea. Nella mu-sica contemporanea ci sono degli autori che conoscono perfettamente il violino altri che scrivono delle cose ine-seguibili. Arvo Pärt, Taver-ner, la Guibadolina, Sollima hanno scritto dei lavori mol-to belli. A parte Enzo Porta che ha fatto degli studi per il violino contemporaneo c’è una carenza di studi in tale senso.

Ci sono nazioni che si di-stinguono per l’eccellenza delle scuole violinistiche?

Ci sono ma purtrop-po non siamo noi (ri-

sata)! In America la Jul-liard School ha Doroty De-

lay da cui è uscito Slomo Minz, Vengelof ecc…con una alta reputazio-ne quanto a scuola, per non dimenticare Zakar Brown. Il nostro Fran-co Gulli ( che insegna-va alla Chigiana) è sta-to docente a Blooming-ton nell’Indiana. In Eu-ropa punti di riferimen-to sono Salisburgo, come lo fu il Maestro Roma-no a Ginevra... Il nostro Salvatore Accardo inse-gna a Cremona… anche la scuola israeliana si di-stingue come pure quel-la giapponese.

Quando hai iniziato a stu-diare violino? Secondo te qual è l’età migliore per iniziare?

Ho cominciato a suo-nare a undici anni. Ma penso che l’età miglio-

re sia otto anni perché la mano è più elastica.

Cosa cambieresti nei program-mi delle scuole di violino dei no-stri Conservatori ?

Non farei fare tutti gli studi del Kreutzer.

Sono la Bibbia del violi-no ma molto ripetitivi. Ne bastano venti ed integrerei con altri autori, ad esempio il Campagnoli, veramente di una modernità unica.

Aggiungerei degli studi per la tecnica dell’ar-co evitando la noiosità di quelli impiegati

oggi.Quali sono i tuoi programmi futuri?Voglio stare tranquillo dopo anni e

anni di attività frenetica con i Solisti Veneti, I Virtuosi Italiani. Studiare Bach con le diteggiature che ha lascia-to il mio Maestro Sirio Piovesan. Ho un’attività in duo con il pianista Mas-simo Somenzi; parteciperò Al Festival di Alghero ed in agosto suonerò con

la Lucerna Festival Orchestra, formata da solisti di tutto il mondo e diretta da

Claudio Abbado, ma in definitiva fa-rò meno viaggi…

Grazie Stefano per la tua gentilez-za e speriamo un giorno non lonta-no di suonare assieme qualcosa. ◼

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