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SOTTOMESSO APRILE 2013, ACCETTATO OTTOBRE 2013 © Giovanni Fioriti Editore s.r.l. 89 Psichiatria e Psicoterapia (2013) 32, 2, 89-100 IL TRATTAMENTO DELLE DIPENDENZE DA INTERNET IN ADOLESCENZA Matteo Lancini, Loredana Cirillo Gli adolescenti “nativi digitali” L’ingresso nella rete dei nuovi adolescenti è una vicenda non successiva, che intercorre ad un tratto della loro esistenza, ma concomitante al loro ingresso nel mondo. Gli adolescenti odierni sono infatti nativi digitali: un’espressione coniata da Prensky (2001) per indicare tutti coloro che sono nati e cresciuti in una società in cui internet ha rappresentato una realtà già presente al loro arrivo in un mondo e in una società “multi-schermo”, in cui la vita, l’informazione e le esperienze hanno la peculiare ed innovativa caratteristica di poter viaggiare e scorrere in una dimensione alternativa a quella del reale, rivelandosi attraverso le superfici piatte e fredde degli schermi di un computer, di una console, di uno smart phone o di un tablet. La generazione di coloro che sono nati successivamente all’invenzione e diffusione di internet nel contesto domestico è cresciuta in un ecosistema informativo, di apprendimento e di comunicazione del tutto diverso rispetto a quello delle generazioni precedenti. Da una parte i nativi digitali, dall’altra gli immigrati digitali, cioè coloro che sono transitati dall’utilizzo del cartaceo al digitale, che hanno dovuto impegnarsi per imparare nuovi codici di scrittura e di lettura, adattandosi strumentalmente ai cambiamenti intercorsi nel mondo del lavoro, dell’accesso al sapere e delle relazioni. Se ci riferiamo al contesto italiano, i veri e propri nativi digitali, i “madrelingua”, sono dunque i bambini nati a partire dagli anni 2000/2002, quindi le generazioni che hanno appena avuto accesso alla scuola secondaria di primo grado. Tuttavia, in un orizzonte di senso più ampio, anche i ragazzi e le ragazze che attualmente hanno un’età compresa tra i 14 e i 18 anni hanno avuto un percorso di crescita fortemente caratterizzato dalla presenza di strumenti di comunicazione tecnologica. E’ in famiglia che avviene il primo contatto con la tecnologia ed è sempre in questo contesto che si sviluppa tale relazione: i nativi italiani in particolare “vivono in un ecosistema mediale che co-evolve più con la loro vita familiare e sociale che con la scuola e i sistemi formativi” (Ferri 2011). Il rapporto che intercorre oggi tra gli adolescenti nativi digitali e la scuola è infatti spesso molto complesso e chiama in causa la difficoltà da parte dell’istituzione scolastica di integrare nei processi formativi i cambiamenti indotti dal mondo virtuale e dalle nuove tecnologie nel modo di apprendere e di accedere al sapere da parte degli studenti. L’uso delle tecnologie è spesso ancora qualcosa di molto lontano dalle attuali pratiche d’insegnamento, e la mente dei nativi digitali, così come il modo di rappresentarsi la relazione con gli apprendimenti e il sapere, si sono profondamente trasformati (Lancini 2012). Peraltro, come ormai sostenuto da diverse

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SOTTOMESSO APRILE 2013, ACCETTATO OTTOBRE 2013

© Giovanni Fioriti Editore s.r.l. 89

Psichiatria e Psicoterapia (2013) 32, 2, 89-100

IL TRATTAMENTO DELLE DIPENDENZE DA INTERNET IN ADOLESCENZA

Matteo Lancini, Loredana Cirillo

Gli adolescenti “nativi digitali”

L’ingresso nella rete dei nuovi adolescenti è una vicenda non successiva, che intercorre ad un tratto della loro esistenza, ma concomitante al loro ingresso nel mondo. Gli adolescenti odierni sono infatti nativi digitali: un’espressione coniata da Prensky (2001) per indicare tutti coloro che sono nati e cresciuti in una società in cui internet ha rappresentato una realtà già presente al loro arrivo in un mondo e in una società “multi-schermo”, in cui la vita, l’informazione e le esperienze hanno la peculiare ed innovativa caratteristica di poter viaggiare e scorrere in una dimensione alternativa a quella del reale, rivelandosi attraverso le superfi ci piatte e fredde degli schermi di un computer, di una console, di uno smart phone o di un tablet.

La generazione di coloro che sono nati successivamente all’invenzione e diffusione di internet nel contesto domestico è cresciuta in un ecosistema informativo, di apprendimento e di comunicazione del tutto diverso rispetto a quello delle generazioni precedenti. Da una parte i nativi digitali, dall’altra gli immigrati digitali, cioè coloro che sono transitati dall’utilizzo del cartaceo al digitale, che hanno dovuto impegnarsi per imparare nuovi codici di scrittura e di lettura, adattandosi strumentalmente ai cambiamenti intercorsi nel mondo del lavoro, dell’accesso al sapere e delle relazioni.

Se ci riferiamo al contesto italiano, i veri e propri nativi digitali, i “madrelingua”, sono dunque i bambini nati a partire dagli anni 2000/2002, quindi le generazioni che hanno appena avuto accesso alla scuola secondaria di primo grado. Tuttavia, in un orizzonte di senso più ampio, anche i ragazzi e le ragazze che attualmente hanno un’età compresa tra i 14 e i 18 anni hanno avuto un percorso di crescita fortemente caratterizzato dalla presenza di strumenti di comunicazione tecnologica.

E’ in famiglia che avviene il primo contatto con la tecnologia ed è sempre in questo contesto che si sviluppa tale relazione: i nativi italiani in particolare “vivono in un ecosistema mediale che co-evolve più con la loro vita familiare e sociale che con la scuola e i sistemi formativi” (Ferri 2011). Il rapporto che intercorre oggi tra gli adolescenti nativi digitali e la scuola è infatti spesso molto complesso e chiama in causa la diffi coltà da parte dell’istituzione scolastica di integrare nei processi formativi i cambiamenti indotti dal mondo virtuale e dalle nuove tecnologie nel modo di apprendere e di accedere al sapere da parte degli studenti. L’uso delle tecnologie è spesso ancora qualcosa di molto lontano dalle attuali pratiche d’insegnamento, e la mente dei nativi digitali, così come il modo di rappresentarsi la relazione con gli apprendimenti e il sapere, si sono profondamente trasformati (Lancini 2012). Peraltro, come ormai sostenuto da diverse

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competenze professionali, non si tratta semplicemente di introdurre nell’ambiente scolastico lavagne interattive o tablet, ma di provare a intercettare le nuove modalità di funzionamento relazionale e cognitivo degli studenti nati nell’era di internet.

A differenza di come erano abituati i bambini di un tempo, oggi divenuti adulti, i nativi digitali sono sempre accompagnati dalle loro protesi virtuali, come fossero imprescindibili parti di sé, che consentono di aprire la comunicazione e l’interazione con il mondo ovunque ed in ogni momento. Gli adolescenti odierni sono sempre in contatto con le loro protesi identitarie (Lancini e Turuani 2009), per loro la rete è ormai divenuta una “terza famiglia” (Cirillo et. al. 2013), insieme a quella naturale e a quella sociale, costituita dal gruppo dei pari età in carne ed ossa. Il mondo virtuale costituisce un ulteriore spazio di incontro e di relazione, un luogo potenziale, “luogo-non luogo”, in cui si costruiscono e gestiscono relazioni, affetti, conflitti e comunicazioni, fondamentali nella crescita degli adolescenti.

I nativi digitali oltre ad utilizzare la tecnologia fisiologicamente, come mezzo per relazionarsi con gli altri ed il mondo, possono tuttavia incappare in un utilizzo che per modi e tempi risulta esagerato ed eccessivo, destando grande sospetto e allarme tra gli adulti che si trovano ad osservare il fenomeno attribuendogli il valore di una dipendenza patologica.

Dipendenze tecnologiche in adolescenza

Il tema delle dipendenze tecnologiche, oltre ad essere ormai argomento di frequenti trattazioni e dissertazioni in ogni ambito culturale e non della nostra società, resta una questione aperta e molto dibattuta in ambito clinico, soprattutto quando riferita all’adolescenza. Su questa specifica fase evolutiva mancano classificazioni e studi che tengano conto delle caratteristiche di personalità che contraddistinguono gli adolescenti abusatori della rete.

Qualunque definizione diagnostica riferita all’adolescenza corre il rischio di essere pericolosamente poco rispondente ad un organizzazione della personalità che è per sua natura in divenire e in trasformazione, come quella dell’individuo adolescente. L’attribuzione di dipendenza patologica da internet al comportamento di un adolescente ancor di più corre il rischio di inciampare in questi pericoli, in quanto si riferisce ad un tema ancora molto nuovo, di cui manca una visione relativa al suo andamento nel tempo, un quadro longitudinale che consenta di formulare ipotesi prognostiche.

Una classificazione interessante, che ha il merito di evidenziare le principali tipologie di pazienti dipendenti dalla rete, è quella offerta da Cantelmi et al. (2010) che offre un modello di rappresentazione del fenomeno piuttosto esaustivo: i “retomani per fuga” e i “retomani per azione”.

Secondo tale definizione il “retomane per fuga” utilizza la rete principalmente per scappare dai propri vissuti di natura depressiva; egli quindi si trova in uno stato di forte estraneazione dal mondo, ha bisogno di anestetizzare il dolore e non ha aspettative di miglioramento rispetto alla propria condizione. L’uso della rete equivale alla ricerca di uno stordimento per non pensare, una via di fuga, appunto.

Il “retomane per azione” invece utilizza la rete come un grande serbatoio di stimoli, da cui tenta di trarre il maggior vantaggio possibile, sia a livello relazionale che economico o sociale, cerca di riscuotere successo, e di migliorare la propria condizione attraverso i contatti o le attività

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che svolge on line (per empio attraverso il gioco d’azzardo on line, oppure attraverso le chat). Rispetto agli adolescenti dipendenti dalla rete è possibile delineare due principali tipologie di

abusatori che in qualche misura riprendono le caratteristiche della classificazione di Cantelmi di dipendenti “per fuga” e “per azione”: sono i così detti adolescenti “ritirati sociali” e “sovraesposti sociali”.

Gli adolescenti “ritirati sociali” in Giappone sono da molti anni ormai noti come “hikikomori”. Questo termine è stato coniato agli inizi degli anni ’80 da Saito Tamaki, noto psichiatra giapponese, per definire il dilagante fenomeno di adolescenti che intraprendevano la volontaria strada dell’autoreclusione domestica, isolandosi dal contesto sociale, rinunciando a qualsiasi forma di relazione. La traduzione inglese di questo termine “social withdrawal”, darà poi origine a quella italiana di “ritiro sociale”.

Si tratta di ragazzi che per la vergogna non vogliono più vivere alla luce del sole, e restano auto reclusi tra le quattro mura di casa, dimettendosi dalla scuola e da tutti i contesti sociali e relazionali in cui il corpo e il ruolo sociale nascente potrebbero mostrarsi e rischiare di fallire miseramente (Piotti 2013).

Questi adolescenti sviluppano la dipendenza dalla rete per rifugiarsi dalla realtà del mondo esterno, percepita come troppo complessa e pericolosa da affrontare, oppure come poco rispondente nel sostenere degli aspetti ideali e grandiosi del Sé.

La seconda categoria dei “sovraesposti sociali” definisce quei ragazzi che esprimono e mettono in scena la propria fragilità narcisistica in modo diametralmente opposto rispetto ai ritirati sociali, non attraverso il ritiro dalle scene, bensì attraverso degli “agiti virtuali”. Ci riferiamo per esempio alle condotte di sexting, ovvero a quelle forme di agito in cui gli adolescenti esibiscono parti del proprio corpo nudo in rete, attraverso fotografie e filmati, oppure a condotte di cyberbullismo, in cui l’atto di deridere, minacciare, svergognare l’altro in rete, senza quindi esporsi direttamente, ha lo scopo di estroflettere la propria fragilità, agendola sui coetanei.

La tipologia di pazienti adolescenti dipendenti dalla rete che più di frequente incontriamo nei nostri studi ha le caratteristiche dei ritirati sociali, per lo più maschi, di età compresa tra i 13 e i 18 anni, anche se il numero delle ragazze che manifestano questi comportamenti problematici appare in forte aumento negli ultimi anni.

Nella nostra esperienza clinica la condizione di ritiro sociale si accompagna in modo pressoché inesorabile allo sviluppo di condotte d’abuso nell’utilizzo della rete, che diventa la principale occupazione della vita di questi ragazzi.

Non vale necessariamente l’inverso, ovvero non tutti i dipendenti dalla rete intraprendono la strada del ritiro sociale generale (dalla scuola, dalle relazioni amicali e di coppia). Si potrebbero infatti individuare diverse tipologie di adolescenti dipendenti dalla rete, differenziati non solo dalla prevalenza di una specifica condotta di utilizzo della rete stessa (gioco di ruolo o d’azzardo on line, ricerca di informazioni, etc.) ma anche dal rapporto che intrattengono con il corpo, la scuola e le relazioni con i pari. Nella nostra esperienza clinica infatti le tipologie di adolescenti dipendenti dalla rete, sia maschi che femmine, possono essere così suddivise: - adolescenti dipendenti dalla rete che sviluppano una relazione problematica con il corpo e con l’immagine di sé, spesso associata a disordini anche nell’area delle condotte alimentari;

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- adolescenti dipendenti dalla rete con problematiche di ritiro selettivo rispetto al contesto scolastico;- adolescenti dipendenti dalla rete con problematiche di ritiro selettivo rispetto alla relazione con i coetanei;- adolescenti dipendenti dalla rete con problematiche di ritiro sociale generale.Chiaramente sono categorie che spesso nella realtà clinica non appaiono così rigidamente differenziate, specialmente in riferimento alle problematiche con il corpo e l’immagine di sé, che risulta una caratteristica ricorrente negli adolescenti che sviluppano una dipendenza dalla rete.

Per i ragazzi che presentano una condotta di ritiro sociale generale e che si rifugiano in rete, le ore trascorse davanti al pc rappresentano un tempo che né la scuola, né le attività sportive o ricreative, né tanto meno il gruppo di amici o la coppia possono occupare. Questi contesti hanno in comune la caratteristica di essere circondati dal filo spinato della paura del fallimento, del rischio di subire il temutissimo smacco, del pericolo di fare una brutta figura. La rete diventa allora un riparo, una difesa, una perfetta formula di autocura per tutti quei ragazzi affetti da una forma acuta di vergogna e di fragilità narcisistica, che trovano come rimedio ad essa la costruzione di un patto con la bruttezza (Pietropolli Charmet 2013). Così questi ragazzi chiudono la porta della loro camera e accendono il pc, diventando brutti, sporchi, grassi, l’esatto opposto dei severi modelli di bellezza e perfezione estetica che si affacciano dalle riviste patinate e dalle pubblicità. La mente, il corpo e l’anima in accordo con il mito prepotente e onnipotente dell’anti-bellezza fanno giuramento di non mostrarsi in pubblico, interrompendo qualunque forma di contatto con gli altri e con il mondo esterno. La navigazione in rete può diventare allora l’unico mezzo per rapportarsi al mondo esterno, l’unico strumento di accesso alle informazioni e talvolta l’unica possibilità di restare in contatto e ancorati a forme di relazioni con gli altri, senza mostrarsi, senza esibire il corpo e la propria immagine reale, in modo da ridurre al minimo tendente a zero il rischio di fallire e di venire svergognati, cedendo alla tentazione della bellezza di massa. La rete diventa quindi strumento di ancoraggio alla realtà, consentendo di mantenere una qualche forma di collegamento con essa.

Nella nostra esperienza clinica con gli adolescenti che si chiudono in casa, in un regime di sospensione dalla vita e dalla crescita, abbiamo potuto osservare che i ragazzi più a rischio di restare impigliati in un blocco evolutivo, non stabiliscono il contatto con la rete. Il dolore connesso alla crescita non consente in questi casi nemmeno di interessarsi al mondo virtuale. Nei casi più gravi di ritiro sociale, dunque non vi è lo sviluppo di forme di dipendenza dalla rete, e questo dato ci sembra possa costituire un fattore di rischio e di prognosi negativa rispetto alla qualità della sofferenza in gioco. Anche la possibilità costruire e sviluppare un progetto di intervento clinico e un’alleanza di lavoro con gli adolescenti ritirati può essere resa più difficile dal mancato utilizzo degli strumenti di comunicazione tecnologica e della rete.

L’accesso alla dimensione virtuale in questi pazienti può infatti avere una doppia funzione riparativa: intrapsichica da un lato e terapeutica dall’altro. La prima funzione riparativa riguarda la protezione che ne ricavano i plurimi Sé dell’adolescente di fronte alla minaccia costituita dal confronto con la realtà e dal conseguente sgretolarsi del Sé grandioso e onnipotente dell’infanzia. Se la rete in quanto strumento che consente di rifugiarsi in uno scenario “altro”, alieno rispetto alla realtà, diventa la difesa che la mente sceglie di utilizzare, significa innanzitutto che l’adolescente

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sta cercando di non cedere ad un dolore psichico che per qualità ed intensità potrebbe risultare inaccessibile ed inelaborabile da un’organizzazione mentale ancora acerba rispetto a processi di simbolizzazione e di mentalizzazione capaci di tenere ancorati ai “valori” della realtà e della vita. I rischi più grandi e le derive più estreme da cui si salva l’adolescente immerso nella rete e ritirato socialmente possono quindi principalmente essere due: il suicidio che prevede la morte del corpo reale da un lato, e dall’altro il break-down psicotico, ovvero la possibilità che si sviluppi una psicopatologia più strutturata con la conseguente morte del ruolo sociale. La rete consente invece di anestetizzare pensieri e sentimenti, vissuti di tristezza e solitudine, lasciando intorpidito anche il desiderio, il progetto e la speranza per il futuro, senza tuttavia distruggerli definitivamente, ma tenendoli in una sorta di stand-bye, di “incubatrice psichica virtuale” da cui si auspica che un giorno potranno uscire, finalmente liberi di esprimersi. L’incubatrice virtuale tiene la mente protetta dalla minaccia costituita dalle relazioni interpersonali, vissute con troppa ansia, angoscia, senso di inadeguatezza e conseguente smarrimento, senza tuttavia restare completamente sganciati dal mondo reale. Nella relazione senza corpo, che tiene mute e invisibili le mostruosità estetiche di cui l’adolescente ritirato si sente dotato, tutto diventa possibile, l’immaginario prende parola. L’ideale grandioso che fatica a tollerare la sconfitta e che si ostina a chiedere soddisfazione, trova attraverso la rete la possibilità di esprimersi, in modo libero ma allo stesso tempo costretto a scendere a mediazioni con la realtà offerta dallo strumento tecnologico e dalle sue potenzialità. Finalmente in rete prende quindi voce il proprio vero Sé, quello narrato dalla mente attraverso le parole, ma senza forma, ancora così puro e grandioso proprio perché deprivato dal corpo, dalla sensorialità, da quella corazza che ineludibilmente esprime la crescita e la bruttezza che questo evento comporta per il Sé grandioso. Nel mondo virtuale invece si costruisce una realtà fatta di simulazioni, di “come-se”, si creano ambienti, territori visivi e mentali che sono stimolati e artefatti al di fuori della mente del soggetto, a volte tanto simili alla realtà naturale, pur rappresentando altro. A partire da una dimensione simulata, l’immaginario grandioso, onnipotente, sprezzante e vendicativo che governa la mente degli adolescenti ritirati, può essere pertanto ridimensionato e controllato dal virtuale, senza che i ragazzi se ne accorgano troppo, senza impatti traumatici. Alcuni videogiochi o “giochi di ruolo” soddisfano proprio questa specifica esigenza: consentono di creare degli avatar, di identificarsi con un Sé fittizio. La forma di questo Sé fittizio e grandioso si costruisce attraverso un aurorale processo di simbolizzazione che spesso ricalca proprio le fattezze del Sé ideale, permettendo di muoversi in mondi di fantasia, creati su misura rispetto ai propri desideri, ma comunque frutto di un’interrelazione con gli stimoli offerti e costruiti a partire dalla dimensione del virtuale. Il mondo virtuale quindi oltre a caratterizzarsi come una difesa, si configura come un mediatore tra la realtà e l’onnipotenza narcisistica. In questi strumenti, gli adolescenti che soffrono di una profonda fragilità narcisistica, sembrano trovare un rifugio e un riparo rispetto al confronto con un mondo reale per loro ancora troppo difficile da sostenere. Spesso vediamo come dopo periodi anche piuttosto lunghi di “auto-ricovero” e letargia dalla vita e dalle esperienze, i ragazzi dipendenti dalla rete riescano gradualmente, certo non senza difficoltà, a riprendere contatto con il mondo, dopo essersi a lungo sperimentati in una dimensione senza corpo e priva di intimità in cui talvolta è anche stato possibile instaurare profondi legami virtuali con qualcuno che, come loro, sedeva davanti al proprio pc, dall’altra parte dello schermo.

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La seconda funzione ripartiva offerta dall’utilizzo della rete da parte dei ritirati sociali, riguarda un aspetto del trattamento di questa tipologia di pazienti adolescenti e concerne la possibilità di utilizzare la rete stessa come aggancio, almeno iniziale. Non riuscendo a tollerare nessuna forma di contatto con il mondo esterno, talvolta l’incontro con questi adolescenti può avvenire solamente attraverso la mediazione offerta dalla rete internet e dal computer. L’immersione nello strumento tecnologico da parte del clinico (tramite mail o chat, per esempio) diviene talvolta l’unico mezzo per raggiungere l’adolescente che si rende fisicamente inaccessibile.

Il trattamento delle dipendenze da internet: alcuni modelli d’intervento

Gli attuali modelli di intervento terapeutico relativo agli adolescenti dipendenti dalla rete prendono forma da una visione non uniforme del concetto stesso di dipendenza tecnologica, spesso associata a difficoltà di controllo degli impulsi (Dell’Osso 2013).

Sembra altrettanto diffusa una scarsa considerazione allo specifico del funzionamento mentale dell’adolescente, per sua natura impulsivo, portato ad agire i conflitti evolutivi e impegnato a mentalizzare i cambiamenti della crescita. Anche l’impatto che i processi di cambiamento sociale hanno sulla fisiologia dell’adolescenza sembrano trovare poco spazio nelle riflessioni sulle dipendenze tecnologiche. Spesso dal mondo adulto prende voce infatti una visione dell’adolescente come impegnato a galleggiare sulla “propria superficialità”, in balia di non meglio precisati e motivati meccanismi mentali che porterebbero delle comode abitudini contemporanee, come l’uso della rete, a trasformarsi in dipendenze patologiche (Mariani e Schiralli 2011).

Attualmente non esistono studi validati sull’efficacia di trattamenti di tipo psicoterapeutico o farmacologico relativi alle dipendenze tecnologiche; i più diffusi sono di stampo cognitivo-comportamentale, e tendono ad intervenire fin da subito sul comportamento disfunzionale con lo scopo di bloccarlo, spesso con istruzioni stereotipate e poco adatte al funzionamento mentale dell’adolescente, sovrapponendo inoltre la dipendenza da internet alle altre forme di dipendenza da sostanza.

Solo recentemente alcuni autori, pur di stampo cognitivo-comportamentale, sostengono che l’astinenza dalla rete per gli adolescenti sarebbe poco praticabile, se non fortemente sconsigliata, arrivando a ritenere la rete una sorta di medicina temporanea, utilizzata per far fronte a diverse tipologie di problematiche psicologiche (Tonioni 2011).

La scarsità di dati di ricerca sull’efficacia del trattamento è strettamente correlata alla difficoltà di definire innanzitutto un quadro diagnostico chiaro, condiviso e specifico per le internet addiction. Alcuni autori (King et. al. 2012) sottolineano per esempio i limiti degli attuali trials clinici in materia di valutazione delle problematiche connesse all’uso della rete, rilevando incoerenza di definizione e di diagnosi, mancanza di randomizzazione e di cieco/doppio cieco, mancanza di adeguati gruppi di controllo, insufficienti informazioni su reclutamento, caratteristiche del campione e sull’effetc size del trattamento.

L’unico studio controllato (Du et al. 2010) è stato effettuato su un campione di 56 preadolescenti-adolescenti tra i 12 e i 17 anni dipendenti dalla rete, divisi in un gruppo di trattamento attivo (8 sessioni di terapia cognitivo-comportamentale multimodale) e un gruppo

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su cui non è stato attivato alcun tipo di trattamento. Dai risultati di questa ricerca sembrerebbe che l’utilizzo di internet sia diminuito in entrambi i gruppi, ma solo nel gruppo di trattamento attivo si siano verificati miglioramenti nella gestione del tempo e nei sintomi emotivi, cognitivi e comportamentali. Il dato interessante riguarda quindi il fatto che la terapia non avrebbe avuto alcun effetto diretto sulla condotta di dipendenza patologica dalla rete, bensì solamente sugli aspetti emotivi e comportamentali più generali.

L’approccio terapeutico cognitivo-comportamentale piu diffuso è quello di di K.Young (1998) che mette a punto una tecnica di intervento specifica per gli adolescenti dipendenti dalla rete.

Secondo tale modello l’intervento clinico con gli adolescenti dipendenti da internet si dovrebbe rivolgere più direttamente ai genitori, attraverso la proposta di una serie di consigli e azioni educative dirette sull’utilizzo della rete da parte dei figli.

Di seguito alcuni esempi:- I genitori devono essere un fronte unito e dimostrare affetto e interesse neiconfronti del figlio.- Assegnare un diario del tempo trascorso in rete per stimolare la fiducia reciproca.- Stabilire regole ragionevoli nell’utilizzo di Internet.- Mettere il pc dove sia possibile vederlo.- Incoraggiare altre attività per il tempo libero.- Sostenere il figlio ma non legittimare l’abuso.- “Fare insieme” online.

Tra i modelli di presa in carico delle dipendenze tecnologiche di stampo cognitivo- comportamentale italiani citiamo uno dei più conosciuti, quello di Tonioni che dal 2009 dirige presso il Policlinico Gemelli di Roma un ambulatorio per le dipendenze da internet, utilizzando un protocollo che prevede colloqui individuali, gruppi riabilitativi e di auto-aiuto per i familiari dei pazienti (Tonioni e Corvino 2011) .

I gruppi di adolescenti sono condotti da giovani psicologi con lo scopo di riattivare delle abilità a comunicare “dal vivo”, abituandoli al rossore, allo sguardo, all’odore e alle risate, a tutte quelle forme espressive proprie del contatto tra individui.

La convinzione teorica sottostante l’approccio terapeutico è che l’instaurarsi di una dipendenza patologica sia sempre associato all’esistenza di un’angoscia più profonda, in questo senso l’oggetto di una dipendenza si prende sempre cura del soggetto dipendente, pur con effetti collaterali anche molto gravi.

Il protocollo d’intervento prevede pertanto dapprima una fase di valutazione che ha l’obiettivo di valutare la struttura di personalità sottostante i sintomi di dipendenza dalla rete. Il passaggio successivo è l’inserimento progressivo all’interno di gruppi riabilitativi che lavorano nello specifico sulla problema della dipendenza e sugli aspetti emotivi che entrano in gioco all’interno del gruppo stesso. In parallelo vengono proposti gruppi di ascolto per i genitori, con lo scopo di riabilitare la relazione e la comunicazione all’interno della famiglia.

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Il trattamento delle dipendenze tecnologiche in una prospettiva di psicoterapia evolutiva

Nella nostra prospettiva di intervento prediligiamo utilizzare delle lenti di lettura sul fenomeno della dipendenza da internet in adolescenza, così come sui problemi dei ragazzi e delle ragazze in generale, graduate secondo il modello della psicologia e psicopatologia evolutiva (Buday et al. 2009).

L’efficacia del lavoro clinico con gli adolescenti, e quindi anche con i dipendenti dalla rete, trova nella possibilità di intercettare le rappresentazioni profonde dei ragazzi, di identificarsi con essi, attraverso un atteggiamento empatico e teneramente rispecchiante per comprendere cosa stiano tentando di realizzare o di risolvere attraverso la loro condotta, da cosa si stiano difendendo e quale compito evolutivo, in quel determinato momento storico, rappresenti per loro un blocco o appaia impossibile da realizzare.

Da questo vertice di osservazione diventa fondamentale porsi degli interrogativi volti ad intercettare le ragioni inscritte nel percorso di crescita che spingono i ragazzi a mettere in atto condotte pericolose e apparentemente insensate.

Le domande che ci poniamo quando incontriamo dei ragazzi che hanno sviluppato un rapporto di dipendenza dalla rete sono innanzitutto: a quale bisogno e necessità corrisponde l’iperutilizzo o utilizzo disfunzionale di internet che mettono in atto? Perché lo fanno? Con quali caratteristiche si definisce il loro bilancio evolutivo? Quali sono le paure e le angosce che li stanno accompagnando? Che nome ha il loro dolore? Nella nostra lettura i comportamenti disfunzionali in adolescenza (come i disturbi alimentari, i fenomeni suicidali, i comportamenti trasgressivi e antisociali, l’abuso di sostanze e dunque anche la “retomania”) vengono interpretati come delle soluzioni momentanee alle problematiche incontrate in un dato momento dello sviluppo. Per gli adolescenti più fragili narcisisticamente il rifugio nella rete può allora definirsi come tentativo di trovare sollievo e riparo rispetto ad angosce pervasive attivate dalla specifica fase evolutiva.

La strada scelta per proteggersi può prendere forme paradossali e pericolose per lo sviluppo, che si traducono in sintomi carichi di significato, con l’obiettivo di salvaguardare la vitalità e la preziosità del Sé, o quantomeno di andare verso una riduzione delle angosce. La dipendenza da internet pertanto non è l’origine del problema, né il nostro principale oggetto di trattamento.

Il primo livello della diagnosi e del trattamento psicoterapeutico è costituito quindi, in questa accezione, dalla qualità del dolore psichico sperimentato dall’adolescente.

In alcuni casi tuttavia il sintomo può rappresentare un aspetto da gestire fin dal principio della relazione clinica, non nella direzione della disintossicazione o sottrazione, ma al contrario come argomento da trattare nei colloqui o nelle azioni cliniche, in quanto costituisce l’unico ponte di collegamento possibile con l’adolescente, soprattutto nei casi degli adolescenti ritirati socialmente. Riteniamo utile pertanto un’alleanza con il sintomo fin dal primo momento, un’alleanza indispensabile per agganciare i giovani pazienti, condividere con loro un progetto terapeutico, in cui gli obiettivi e i mezzi necessari per conseguirli siano costantemente condivisi ed esplicitati. La nostra prospettiva di intervento prevede dapprima una ricognizione attenta ed accurata dei significati affettivi e simbolici sottostanti all’uso della rete. Ad esempio, le difficoltà di mentalizzazione del corpo, di costruzione identitaria e di assunzione di un ruolo sociale,

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accompagnati dalla sperimentazione di drammatici sentimenti di tristezza e rabbia, possono essere modulati attraverso forme moderne di intellettualizzazione consentite dalla quantità di informazioni presenti in rete o attraverso l’immersione in giochi virtuali storici dove è possibile governare strategicamente un impero. Per altri adolescenti, ciò avviene tramite la frequentazione di siti d’opinione politica o ideologica estremisti, oppure attraverso il successo raggiunto in giochi di ruolo manageriali, strategici, sportivi o, più frequentemente, di guerra.

Il primo tempo del lavoro clinico prevede anche la consultazione con i genitori, che può essere realizzata in modo separato con le madri ed i padri, al fine di poter effettuare una ricognizione più accurata della cultura affettiva di uno specifico sistema familiare, ovvero dell’insieme delle loro rappresentazioni e vissuti prevalenti. A partire da una donazione di senso nuovo e diverso di ciò che sta accadendo, le madri e i padri possono così accedere a una lettura meno disperata e più orientata in termini evolutivi dei comportamenti del figlio.

Riteniamo fondamentale non demolire l’apparato difensivo che gli adolescenti dipendenti dalla rete hanno costruito per proteggersi dalla paura del mondo, anche perché non riteniamo che internet sia la causa di una disconnessione dalla realtà, tutt’altro, la rete rappresenta, in molti casi, l’estremo tentativo di restarvi agganciati.

L’incontro con i ragazzi può avvenire dopo aver parlato, a volte anche per anni prima di poterli incontrare, con i loro genitori, mortificati e disperati di fronte al progetto di eutanasia sociale e relazionale dei figli.

Spesso in questa prima fase può risultare necessario lavorare con i genitori nella direzione di costruire un’alleanza sul significato evolutivo che assume per i figli la dipendenza dalla rete. Le domande più frequenti che i padri e le madri pongono al clinico quando si trovano a discutere di condotte dipendenti da internet, riguardano le strategie di intervento da tenere a casa con i figli rispetto alla gestione degli strumenti tecnologici. La possibilità di fornire delle indicazioni comportamentali, come per esempio scoraggiare l’eliminazione dallo spazio domestico delle strumentazioni che consentono la connessione alla rete, o favorire l’interessamento per le attività realizzate dai figli on line, sono sempre accompagnate dalla spiegazione sul significato psicodinamico e sui risvolti intrapsichici attivati da determinati comportamenti o interventi educativi.

Il criterio che utilizziamo nel nostro gruppo di lavoro per definire il livello della crisi dell’adolescente dipendente dalla rete, non riguarda il numero di ore di connessione, bensì il tipo di utilizzo che ogni singolo ragazzo fa della rete stessa. In questo senso è più corretto parlare di dipendenze da internet, piuttosto che di un’unica dipendenza. Le diverse forme di Internet Addiction possono essere così suddivise: Cybersex Addiction, Cyber Relationship Addiction, Information Overload Addiction, Computer Addiction (Mud’s-giochi di ruolo) e Compulsive online Gambling (Cantelmi et al. 2010). A partire da questa categorizzazione abbiamo in mente diversi livelli di gravità del blocco evolutivo in cui l’adolescente può trovarsi intrappolato, che si estendono lungo un continuum: dal “meno grave” che riguarda chi intrattiene comunque relazioni on line, al “più grave”, riferito a chi gioca senza stabilire contatti con altri utenti o a coloro che si immergono nella rete alla costante ricerca di informazioni. Il bilancio evolutivo di questi adolescenti denota per lo più uno scacco rispetto al processo di mentalizzazione del corpo e di costruzione di un’identità di genere e sessuale. Il senso di inadeguatezza che li attanaglia

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appare strettamente correlato al crollo dell’ideale infantile onnipotente che si scontra in modo traumatico con la realtà del cambiamento corporeo e dell’incontro con i coetanei. L’origine di queste sventure è da collocare nella maggior parte dei casi a partire dalla preadolescenza, negli anni di frequentazione della scuola secondaria di primo grado, o poco più tardi con l’ingresso nella scuola secondaria di secondo grado.

Il mondo virtuale assume per questi ragazzi la funzione di un compagno immaginario (Adamo 2006), di un custode narcisistico (Benson 1980), adoperato allo scopo di proteggere lo svilupparsi di una rappresentazione di sé accettabile nel corso della crescita. Come i custodi narcisistici sono connessi in modo inesorabile alla necessità di sviluppare un “sano narcisismo”, adattandosi nel tempo alla realtà, ma a partire da una necessità presente già nel bambino e nell’adolescente poi, di rendersi immuni dalla presa di contatto con i propri limiti, che non sono ancora psichicamente accettabili né integrabili, così il mondo virtuale può allora offrire una tutela, rispetto al contatto con il reale, che tuttavia non garantisce in modo statico l’onnipotenza narcisistica, ma le consente di sperimentare forme di adattamento progressivo al reale. In questo senso le chat possono costituire per esempio delle utili “palestre sociali” e la rete un ricovero momentaneo per i ragazzi ritirati socialmente che, quando riprendono il contatto con il mondo, spesso non sembrano essere stati completamente a digiuno dalle relazioni e dall’ecosistema di appartenenza, ma mostrano di aver potuto comunque sviluppare delle competenze affettive e relazionali, proprio grazie alle conoscenze fatte in rete e alle continue peregrinazioni virtuali. La rete si configura dunque come ambito protetto entro cui possono realizzarsi esperienze che, seppur virtuali, moderano il livello di estraneazione dal reale.

L’intervento con l’adolescente dipendente dalla rete nella nostra pratica clinica prevede, come già accennato, la possibilità che il terapeuta possa utilizzare il linguaggio virtuale per raggiungere gli adolescenti ritirati più trincerati nello spazio domestico. Questi spesso possono vivere la proposta d’intervento psicologico come una minaccia rispetto al proprio apparato difensivo, alla stregua di tutti gli adulti che fino a quel momento hanno tentato di distoglierli dal progetto blindato.

In assenza del paziente si possono allora attivare dei primi contatti proprio attraverso la rete, tramite mail, chat, o connessione skype, per esempio.

La presenza nello studio del terapeuta comporta l’abbandono temporaneo del rifugio domestico, l’esposizione allo sguardo dell’adulto sconosciuto che può risultare per loro impossibile da tollerare. Recarsi lì dove si trova l’adolescente ritirato, nel mondo virtuale, può diventare allora l’unico modo per preparare un terreno su cui costruire la relazione di rispecchiamento empatico necessaria per avviare il percorso terapeutico. Molto più complicato sarebbe trovare degli ancoraggi nei confronti di quei ragazzi ritirati che non usano nemmeno la rete come strumento difensivo.

L’adolescente ritirato dipendente dalla rete può invece acconsentire in alcuni casi ad un approccio che parli il suo linguaggio, un’incursione nel bunker per giocare il suo gioco, accettando che l’incontro avvenga, a patto che sia nel suo “non-luogo”, di certo più familiare a lui che a qualsiasi altro interlocutore adulto. Questa possibilità offre al clinico talvolta l’unico strumento possibile per tentare di agganciare i ragazzi che si rendono invisibili ma che di fatto vivono acquattati nello loro camerette, instillando in loro almeno il dubbio che la crescita sia una dimensione possibile.

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Il trattamento delle dipendenze da internet in adolescenza

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Entriamo dunque nella realtà virtuale dell’adolescente in crisi con queste convinzioni, e lavoriamo oltre che nella dimensione intrapsichica dell’adolescente, anche sul contesto, inteso sia come mondo esterno reale (madre, padre, scuola,) sia come mondo virtuale.

Nell’ambito del lavoro clinico, in presenza dell’adolescente dipendente dalla rete, il virtuale diventa comunque uno strumento di lavoro altrettanto imprescindibile. Il materiale che il paziente produce o visita nella rete diventa materia di ampie trattazioni nei colloqui, così come può risultare importante per la costruzione ed il consolidamento dell’alleanza di lavoro ammettere l’uso condiviso degli strumenti tecnologici in seduta. Questa esperienza si configura come sorprendente per l’adolescente dipendente dalla rete, spesso abituato a sentire da parte degli adulti un impermeabile ostracismo e rifiuto nei confronti del suo rapporto con il mondo virtuale.

Questa metodologia attualmente riscuote molto interesse a livello internazionale e viene tradotta in diverse forme di setting on line, soprattutto in riferimento agli adolescenti o comunque a quei pazienti più problematici che difficilmente richiederebbero un trattamento canonico (King et al. 2012)

Riassunto

Parole chiave: psicoterapia evolutiva, dipendenza da internet, nativi digitali, adolescenza

La dipendenza patologica tra i nativi digitali spesso può associarsi a ritiro sociale. La dipendenza patologica da internet in età evolutiva si configura come un apparato difensivo in grado di proteggere l’adolescente da profonde angosce di inadeguatezza attivate dall’impatto con i compiti di sviluppo fase specifici. Le indicazioni sul trattamento di questi pazienti fanno riferimento alle linee guida offerte dalla psicoterapia evolutiva, secondo cui risulta indispensabile attivare un lavoro terapeutico integrato, che coinvolga il contesto di crescita dell’adolescente (genitori, famiglia, scuola etc.). Altrettanto importante risulta inoltre un’attenta ricognizione dei significati affettivi e simbolici connessi allo sviluppo della condotta di dipendenza dalla rete, per favorire una risimbolizzazione utile alla riattivazione del percorso di crescita bloccato. La tecnica di intervento con questi pazienti comprende inoltre la possibilità da parte del clinico di utilizzare gli strumenti tecnologi sia nel processo iniziale di costruzione dell’alleanza di lavoro, che nel corso della presa in carico.

THE TREATMENT OF INTERNET ADDICITION IN ADOLESCENCE

Abstract

Key words: developmental psychotherapy, internet addiction, digital natives, adolescence

Digital native adolescents could develop an Internet Addiction (IA) often associated to social withdrawal. Internet addiction in development could be considered as a defensive system designed to protect adolescent from deep anxieties of inadequacy caused by growth tasks impact.Developmental psychotherapy offers some references in order to treat Internet addicted adolescents: an integrated approach to treatment, which involves the whole adolescent growth ambient (parents, family, school etc.) is required. An accurate inspection of affective and symbolic meanings linked to internet addiction behavior is also very important, in order to promote a re-symbolization which could be useful to

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re-activate the arrested development.Treatment process also involves the chance for clinician to use technological tools both in early stage of work alliance building and in care taking of young internet addicted.

Bibliografia

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Loredana Cirillo, Psicologa, socia della Cooperativa e della Fondazione Minotauro.Matteo Lancini, Psicologo. Socio della Cooperativa e vicepresidente della Fondazione “Minotauro”, insegna presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca e presso la Scuola di formazione in Psicoterapia dell’adolescente e del giovane adulto Arpad-Minoaturo.

Corrispondenza

Dott. Matteo Lancini [email protected]