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GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI

La nuova Legge Fallimentare ha assunto un nuovo punto di vista in tema di impresa e di

crisi d’impresa, ponendo la prima al centro del sistema normativo al fine di conservarne il

valore e di tutelare gli interessi della collettività, con particolare riguardo a quelli dei

creditori e di chi vi presta la propria opera.

In questa nuova ottica è il recupero dell’impresa in crisi ad assumere posizione prioritaria;

la finalità liquidatoria si pone solo come fase eventuale – e dunque possibile ma,

comunque, non esclusiva – ma subordinata alla previa verifica della ricuperabilità

dell’impresa.

La strada seguita dal Legislatore è stata quella di separare la procedura della gestione

dell’insolvenza in senso tecnico dalla fase preliminare a quest’ultima, caratterizzata dalla

manifestazione di segni premonitori di uno stato di crisi in cui l’insolvenza non si presenta

in modo conclamato.

La nuova legge fallimentare, con l’assunzione di questo nuovo punto di vista, ha poi

sancito l’importanza dell’autonomia privata come strumento di salvezza dell’impresa in

crisi.

La crisi dell’impresa, generalmente, non è adducibile ad una singola causa ma alla

combinazione di più fattori, tra loro interagenti, che possono produrre una molteplicità di

effetti.

Le cause più ricorrenti sono da ascriversi ad un inefficace impiego dei fattori produttivi, con

il rischio aziendale di operare ad un rapporto costi – risultati troppo alto rispetto alla

concorrenza.

I motivi di questa anomalia possono essere diversi: i più ricorrenti sono riconducibili ad un

alto grado di senescenza o di obsolescenza tecnologica degli impianti produttivi; ad

un’organizzazione del personale inadeguata o ad una sua inadeguata formazione; al

sostenimento di spese per la produzione eccessivamente alte; a problemi di ordine

logistico; a crisi di passaggio generazionale.

Anche le soluzioni possono essere diverse e combinate tra loro, in relazione al tipo

ed allo stato di gravità della crisi.

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A grandi linee, è possibile individuare due modalità di risanamento:

- una interna all’impresa, mediante l’approntamento di un piano strategico, in

forza del quale vengono posti in essere iniziative e correttivi gestionali,

finalizzati a reperire nuove risorse finanziarie o a rendere più efficiente il

sistema produttivo e, di conseguenza, più competitivi i prodotti da immettere

sul mercato;

- una esterna all’impresa, con l’ausilio e la disponibilità di terze economie, che si

concretizza in un accordo privatistico con i creditori.

Secondo il nuovo impianto normativo la strada dell’accordo, quale nuovo strumento per

affrontare la crisi dell’impresa, è percorribile in due modi: o attraverso la predisposizione

del piano di risanamento dell’impresa di cui all’art. 67, comma 2, lettera d), L.F. oppure

attraverso la predisposizione del piano di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis

L.F. Quest’ultimo piano si richiama, nella sostanza, a quello della Legge Marzano, previsto

dall’art. 4 bis della Legge 18 febbraio 2004 n. 39, in tema di amministrazione straordinaria

delle grandi imprese in stato d’insolvenza.

Esso può essere utilizzato sia per accedere al concordato preventivo, essendone un

presupposto, sia quale proposta contrattuale da formulare ai creditori in via stragiudiziale,

proposta che, qualora venga accettata dai creditori che rappresentino una predeterminata

percentuale della massa creditizia, conduce al perfezionamento di un accordo di

ristrutturazione dei debiti.

Come è stato sopra specificato, tale accordo è previsto e regolamentato dall’art.

182 bis della Legge Fallimentare, la cui formula recita:

“Il debitore può depositare con la dichiarazione e la documentazione di cui all’articolo 161,

un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il

sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un esperto

sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad

assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.

L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese; i creditori ed ogni altro interessato

possono proporre opposizione entro trenta giorni dalla pubblicazione.

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Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio con

decreto motivato.

Il decreto del Tribunale è reclamabile alla corte di appello ai sensi dell’articolo 183, in

quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.

L’accordo acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione nel registro delle imprese”.

Da una prima lettura della norma sorge l’interrogativo se gli accordi di

ristrutturazione costituiscano una procedura inclusa nel concordato preventivo – una sorta

di concordato preventivo abbreviato – o se sia un istituto a sé stante. A parere dello

scrivente e della dottrina prevalente, si propende per la seconda interpretazione, ovverosia

che esso costituisca un istituto a sé stante; a favore della tesi dell’autonomia soccorre

anche la nuova rubricazione del Titolo III, che nella titolazione tiene distinti i due

istituti:“Dell’omologazione e dell’esecuzione del concordato preventivo. Degli accordi di

ristrutturazione di debiti” . Inoltre, il contenuto del terzo comma , lettera e), dell’art. 67, fa

anch’esso una distinzione netta tra concordato preventivo e accordi di ristrutturazione.

Ulteriore elemento distintivo è costituito dalla circostanza che, a differenza di quanto

previsto dal concordato preventivo, in questa fattispecie i creditori estranei mantengono

inalterato il diritto di essere regolarmente soddisfatti: nei loro riguardi non si verifica alcun

effetto remissorio.

Si tratta dunque di uno strumento innovativo per la gestione normativa della crisi

dell’impresa, attraverso il quale viene offerto un supporto normativo ai concordati

stragiudiziali, molto diffusi nella pratica, passando attraverso la verifica e l’omologazione

da parte dell’autorità giudiziaria ed evitando in tal modo le azioni revocatorie, in virtù della

nuova esimente prevista dall’art. 67, III c., lettera e), L.F.

Con questa nuova possibilità di operare, appare ragionevole ritenere che gli accordi

stragiudiziali c.d. “liberi”, ai quali si era abituati, tenderanno drasticamente a ridursi e, con

essi, diminuirà collateralmente il rischio per il debitore di rimanere esposto ad azioni

esecutive individuali, che potrebbero vanificarne la realizzazione e generare i presupposti

per la contestazione del reato di bancarotta preferenziale.

Alcune peculiarità di questo nuovo istituto:

- viene a mancare la figura del commissario giudiziale;

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- non è richiesto l’obbligo ai sensi dell’art. 163 del versamento della “somma che

si presume necessaria” dal tribunale per l’ammissione alla procedura di

concordato preventivo;

- non è richiesto il rispetto della par condicio creditorum;

- non è prevista alcuna votazione.

Da un punto di vista soggettivo, così come per il concordato preventivo, non è

richiesto alcun requisito di meritevolezza in capo al soggetto fallendo.

Da un punto di vista oggettivo, come per l’approdo al concordato preventivo, si

necessita anche in questa sede della sussistenza dello stato di crisi, che non occorre

venga dichiarato.

La Legge n. 80 non fornisce alcuna definizione dello stato di crisi. In termini di

dottrina economica, essa, nell’interpretazione più restrittiva, viene qualificata come

situazione di stallo dell’economia, dovuta a cause contingenti, e cioè a fattori di breve

periodo. Per una sua adeguata definizione occorrerà perciò affidarsi di volta in volta

alla difficile opera di “tipizzazione” della giurisprudenza.

Si può ritenere che anche lo stato di insolvenza permetta l’accesso agli accordi di

ristrutturazione in quanto i concetti di crisi e di insolvenza sono uno compreso nell’altro,

essendo tra loro in rapporto di genere a specie, ma anche perché si ritiene che la

finalità perseguita dal Legislatore è di far emergere tempestivamente le situazioni

critiche, per prevenire danni peggiori all’impresa in difficoltà: è infatti risaputo che la

possibilità di successo di remissione della crisi è direttamente proporzionale alla

tempestività dell’intervento, analogamente a quanto avviene nella patologia umana.

Sotto l’aspetto esecutivo le fasi percorribili individuate dalla Legge sono:

- una fase stragiudiziale, caratterizzata dalle trattative intraprese al fine della

ricerca di una soluzione transattiva con i creditori, rappresentanti almeno il

sessanta per cento della massa creditoria;

- una successiva fase giudiziale, la fase di omologazione, da svolgersi con il rito

camerale.

Il contratto viene quindi stipulato dalle parti interessate nella massima autonomia

privata, senza alcuna preclusione, né di ordine temporale, né di ordine procedimentale.

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L’art. 182 bis lascia alle parti ampia libertà di determinare modalità ed obiettivi, senza

prefissare alcuno schema.

La norma non richiede particolari formalità, se non l’utilizzo della forma scritta ( forma ad

regularitatem ), atteso che l’accordo deve essere pubblicato nel registro delle imprese,

depositato in Tribunale, e che le sottoscrizioni devono essere autenticate da un notaio, o

da un altro soggetto abilitato, al fine di determinare il momento esatto in cui si perfeziona

l’accordo stesso e la sua unicità.

Il Giudice vi imprime, attraverso l’omologazione, il sigillo di legittimità.

Affinché si possa ottenere l’omologazione, è necessario venga raggiunto il quorum

minimo del 60%. La maggioranza deve essere computata per somme e non per teste,

facendo pertanto riferimento all’importo dei crediti di cui sono titolari i creditori – anche

privilegiati - che vi aderiscono e non al numero dei creditori che siglano l’accordo,

potendo essere quest’atto firmato anche da un solo creditore, purché risulti essere titolare

di un credito pari al sessanta per cento di tutti i debiti dell’impresa, chirografari e

privilegiati.

Per ottenere l’omologazione occorre inoltre che l’accordo sia strutturato in maniera tale da

assicurare il regolare pagamento dei creditori rimasti estranei all’accordo. Ciò non significa

che nell’accordo dovrà attestarsi l’avvenuto pagamento dei creditori estranei: si potrà

anche far riferimento solo alle modalità di pagamento, a come e quando reperire il danaro

o le altre risorse necessari, alle garanzie che si intende idoneamente fornire.

Al fine di continuare l’attività d’impresa – opera che diventerebbe ardua qualora il

capitale investito venisse significativamente ridotto, o addirittura azzerato, per pagare

subito i creditori, senza prevederne la sua ricostituzione, quanto meno nella parte

circolante - si potrà inserire nell’accordo la conversione dei debiti in quote di capitale o in

obbligazioni convertibili in quote di capitale. L’accordo potrà prevedere altresì la

riscadenzazione dei debiti; la rinuncia dei creditori agli interessi o a parte del credito

vantato; l’emissione di obbligazioni ordinarie e di altri titoli di debito; la stipulazione di

contratti di associazione in partecipazione; l’attribuzione di strumenti finanziari

partecipativi; la cessione di cespiti e di altri immobilizzi, di crediti, di diritti e di altre utilità.

Potranno essere altresì inserite convenzioni con garanzia gestionale, caratterizzate

dall’erogazione da parte dei creditori di nuova finanza, in danaro o altre attività circolanti, e

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subordinate al rispetto di determinate condizioni, quali: il cambiamento della governance; il

cambiamento della proprietà dell’impresa; la concessione di garanzie reali e personali; la

stipulazione di patti di sindacato di voto; il riconoscimento di poteri di controllo e di

ispezione degli atti e dei documenti amministrativi, compresa la contabilità generale.

Resta beninteso che il fine dell’accordo è di ripristinare la solvibilità dell’impresa rispetto ai

creditori, sia quelli che aderiscono, sia quelli rimasti estranei all’accordo, ma ciò potrà

avvenire sia nella prospettiva del risanamento dell’impresa che in quella di una sua

liquidazione.

L’accordo di ristrutturazione deve essere accompagnato da una relazione redatta

da un esperto sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua

idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.

La genericità della norma ha suscitato un ampio dibattito dottrinale

sull’individuazione delle caratteristiche dell’esperto e sui suoi specifici compiti. Si ritiene

che con il termine esperto si sia voluto far riferimento a coloro, esperti in materia, che

possono rivestire la carica di curatore ai sensi dell’art. 28 L.F., ma anche agli esperti

contabili, inclusi i dottori commercialisti, ed a coloro che, seppur non iscritti in idonei albi

professionali, risultino comunque essere inseriti nell’elenco dei consulenti tecnici del

giudice.

L’esperto deve effettuare una stima circa le probabilità che il piano possa essere

attuato con successo; deve trattarsi di un giudizio professionale positivo, attraverso il

quale l’esperto dovrà prendere posizione in favore all’attuabilità dell’accordo, tenendo

conto della prospettiva adottata, che può essere quella della permanenza sul mercato

oppure della sua liquidazione.

L’esperto non è tenuto a certificare la veridicità dei dati. Ciò non significa che non possa

farlo, ma soltanto che la veridicità dei dati aziendali non è richiesta quale oggetto di

particolare dichiarazione. Nella sua stima, egli dovrà preoccuparsi di verificare ed attestare

l’attuabilità dell’accordo e la sua idoneità a garantire il regolare pagamento dei creditori

estranei, previa verifica della sussistenza dei mezzi e delle risorse necessari.

La dottrina prevalente afferma che per “regolare pagamento” si debba intendere il

regolare pagamento nei termini contrattuali previsti, anche se dovesse avvenire con mezzi

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non normali di pagamento, come con la cessione di crediti e le dismissioni dei cespiti

aziendali.

L’accordo, sottoscritto dal legale rappresentante dell’impresa e dai creditori che vi

hanno aderito, deve essere depositato presso il tribunale del luogo dove l’impresa ha la

propria sede principale, nelle stesse forme previste per la domanda di ammissione alla

procedura di concordato preventivo.

Devono allegarsi:

- una relazione aggiornata, predisposta a cura dell’impresa, sulla situazione

patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa stessa;

- uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori,

con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

- l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso

del debitore;

- il valore dei beni ed i creditori particolari degli eventuali soci con responsabilità

illimitata;

- la predetta relazione dell’esperto.

L’accordo di ristrutturazione deve essere pubblicato nel registro delle imprese ed

acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione, senza che la norma espliciti se si

tratti di un procedimento di iscrizione ( pubblicità dichiarativa ) o di deposito ( pubblicità

notizia ) di un atto. La dottrina prevalente è propensa a considerarla un procedimento di

iscrizione, con la conseguenza che gli effetti della pubblicazione de qua non potranno che

essere quelli di cui all’art. 2193 del Codice civile, rendendosi così applicabile l’art. 11 del

D.P.R. 581/95, commi 4, 6 e 11.

Si ritiene che l’accordo, sebbene concluso con i creditori, sia sottoposto a

condizione sospensiva fino alla sua pubblicazione nel registro delle imprese.

Dalla data della pubblicazione decorrono i trenta giorni entro i quali i creditori ed

ogni altro interessato possono proporre opposizione.

La pubblicazione, che permette a chiunque di prendere visione dell’accordo, ha una

duplice finalità: la prima è quella di fissare il momento dal quale inizia l’efficacia negoziale

dell’accordo tra i soggetti che vi hanno partecipato, la seconda è invece quella di fornire

uno strumento di tutela ai creditori ed ai terzi che si sentono danneggiati dall’accordo

medesimo, dando loro la possibilità di opposizione.

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Depositato l’accordo, ha inizio la seconda fase, di carattere giudiziale, che si

presenta semplificata e ridotta: l’intervento del Tribunale dovrebbe normalmente

consistere in un mero esame della documentazione presentata, verificando la regolarità

della maggioranza stabilita dalla Legge, la validità dei consensi espressi, l’idoneità

dell’accordo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.

Se non sono proposte opposizioni, il tribunale provvede all’omologa senza fissare

l’udienza di comparizione.

Qualora, invece, venissero proposte opposizioni, il Tribunale sarà tenuto ad entrare

nell’oggetto delle censure, che potranno essere di legittimità (come il mancato

raggiungimento del quorum) oppure di merito (come la non attuabilità dell’accordo).

Una volta deciso sulle opposizioni, il Tribunale procede all’omologa con decreto motivato,

impugnabile dinanzi alla Corte di Appello nel termine breve di quindici giorni dalla

pubblicazione nel registro delle imprese.

Il decreto viene pubblicato a norma del novellato art. 17 L.F.. La Cancelleria del Tribunale

dovrà trasmettere, entro il giorno successivo al deposito, l’estratto del provvedimento al

registro delle imprese per la sua iscrizione.

Nel caso di successivo fallimento, per effetto dell’art. 67, terzo comma, lettera e)

L.F., sono esenti da revocatoria “gli atti, i pagamenti e le garanzie” posti in essere in

esecuzione dell’accordo, purché lo stesso sia omologato.

Nulla è stato stabilito circa la natura dei crediti sorti nel corso del tentativo di

ristrutturazione seguito da fallimento; mancando una norma esplicita, è da escludere che

gli stessi possano essere considerati prededucibili.

Nel silenzio della Legge, in caso di inadempimento del debitore, i creditori aderenti

possono chiedere la risoluzione o l’adempimento coattivo, secondo la disciplina generale

prevista in materia contrattuale. Ovviamente, in caso di risoluzione, il loro credito si

ricostituirebbe nella sua veste originaria, perdendo efficacia qualsiasi riduzione o

dilazione stabilita nell’accordo.

Nel caso di successivo fallimento del debitore, l’accordo mantiene inalterata la sua

efficacia, a meno che le parti non abbiano espressamente contemplato nell’accordo che la

dichiarazione di fallimento costituisca condizione risolutiva del contratto stesso.

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Quid iuris se il Tribunale dovesse rigettare (o non omologare) l’accordo?

Dovrà automaticamente dichiarare il fallimento del debitore?

La dottrina prevalente propende per l’insussistenza dell’automatismo previsto dagli artt.

162 e 173 L.F., attesa l’autonomia del presente procedimento e considerato che a monte

della domanda di accordo vi è l’allegazione di uno stato di crisi dell’impresa, che non

rappresenta il presupposto tipico del fallimento, non essendo questa necessariamente

riconducibile ad uno stato di insolvenza.

Inoltre, si deve considerare che la domanda di accordo può essere presentata anche da

imprenditore non fallibile.

Da quanto precede, consegue che il Tribunale dovrà rimettere eventualmente d’ufficio,

avanti a sé medesimo, gli atti per la procedura prefallimentare, nell’ambito della quale

verificare i presupposti per la dichiarazione di fallimento.

Apriamo una breve parentesi sulla fiscalità d’impresa.

Dall’accordo di ristrutturazione possono emergere delle plusvalenze, scaturenti della

cessione ai creditori di beni ad un valore superiore a quello fiscale, oppure delle

sopravvenienze attive, per l’effetto della concordata rinuncia parziale dei debiti da parte

dei creditori aderenti all’accordo.

Trattasi, queste, di componenti economiche straordinarie interamente assoggettabili alle

imposte dirette ( IRE – IRES – IRAP ), in quanto allo stato non trovano automatica

applicazione le disposizioni di non imponibilità, applicabili in materia concordataria dagli

artt. 86, V c., e 88, VII c., del T.U.I.R., stante la natura autonoma dell’istituto in esame.

Occorrerà che sul punto intervenga il Legislatore con un’adeguata modifica normativa che

renda fiscalmente assimilabile l’accordo di ristrutturazione dei debiti alle procedure

concorsuali.

Gli accordi di ristrutturazione rappresentano un istituto ampiamente conosciuto e

diffuso nella prassi in molte legislazioni straniere.

Il principale punto di riferimento è dato dalla legislazione statunitense, che, al

Chapter 11 del Bankruptcy Code, disciplina la Corporate Reorganization, procedura in cui

occupano una posizione di rilievo gli accordi tra i debitori in stato di crisi ed i loro creditori.

In tale procedura trova applicazione la c.d. regola cram down, secondo la quale, se vi è

almeno una classe di creditori a favore dell’accordo, essa si impone anche ai creditori il cui

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dissenso rispetto all’accordo non è giustificato, in quanto non riceverebbero comunque un

trattamento meno favorevole di quanto potrebbero ricevere in sede di liquidazione

dell’impresa.

Nel sistema inglese trova larga applicazione il c.d. London Approach, un sistema

basato su regole non scritte, nel solco della Common Law, dove le banche creditrici, con il

coordinamento della Banca d’Inghilterra, si impegnano a fornire alle imprese in stato di

crisi nuova finanza che permetta loro di poter superare le contingenti difficoltà.

In Francia vige invece un sistema che offre la possibilità di perfezionare un piano di

ristrutturazione del debito sotto l’egida di un magistrato – conciliatore, al quale viene

riconosciuto la facoltà di sostituire l’imprenditore nella gestione dell’impresa. L’accordo non

si estende automaticamente ai creditori estranei ma è prevista la sospensione provvisoria

delle iniziative esecutive sul patrimonio del debitore.

Il nostro Legislatore, pur mutuando procedure e schemi da altre legislazioni, con il

varo di questo nuovo istituto, ha lasciato insoluto il problema dei creditori estranei, rispetto

ai quali non ha voluto prevedere l’obbligatorietà dell’accordo o, in alternativa, la regola

del cram down, per effetto della quale, come per il concordato preventivo, l’omologazione

è comunque concessa laddove si verifichi che i creditori dissenzienti potranno essere

soddisfatti in misura non inferiore alle altre alternative concretamente praticabili. Inoltre, in

caso di fallimento successivo del debitore, il Legislatore non ha previsto il trattamento

preferenziale della prededucibilità dei crediti a favore dei creditori per i nuovi crediti

accordati in funzione dell’attuazione del tentativo di composizione negoziale della crisi.

E’ facilmente comprensibile che se viene lasciata ai creditori estranei la facoltà di poter

autonomamente incardinare azioni esecutive nei confronti del debitore, la possibilità di

successo dell’accordo, finalizzato al superamento dello stato di crisi o, comunque, alla sua

solvibilità, si riduce significativamente.

Va da sé che l’accesso al credito di funzionamento da parte di banche e fornitori

costituisce il più delle volte la condizione necessaria per consentire ad un’impresa di

risolvere lo stato crisi in cui si è venuta a trovare. Il non aver sancito nella riforma la

prededucibilità - in caso di fallimento successivo – dei crediti sorti durante la

ristrutturazione non incentiva certamente l’erogazione di nuova finanza e frena fortemente

il sistema.

Ciononostante, l’art. 182 bis rappresenta comunque una novità positiva per il nostro

ordinamento in quanto offre, come detto sopra, uno strumento innovativo per la gestione

normativa della crisi d’impresa.

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Già da tempo, infatti, debitori e creditori sono soliti ricorrere a concordati stragiudiziali per

definire i loro rapporti e cercare di superare lo stato di crisi, ma ciò è sempre avvenuto

senza poter fruire dei vantaggi della stabilità e della certezza giuridica che scaturiscono

solo da un riconoscimento ufficiale all’interno dell’ordinamento. L’art. 182 bis offre un

significativo contributo alla risoluzione dei problemi afferenti la certezza e la stabilità

giuridica che fino ad oggi la pratica di questi accordi, privi di disciplina ma largamente

diffusi, ha posto, esponendosi al rischio di azioni revocatorie e di imputazioni di bancarotta

preferenziale.

Nell’ambito della formulazione e dell’implementazione degli accordi di

ristrutturazione dei debiti, un ruolo certamente centrale viene riservato ai consulenti

d’impresa, in particolare agli avvocati ed ai dottori commercialisti.

Si tratta infatti di incarichi particolarmente complessi, riguardo ai quali le due categorie

avranno modo di confrontarsi proficuamente e di operare sinergicamente. Trattasi di

mansioni che rivestono spesso il carattere della interdisciplinarietà. Si citano a titolo

esemplificativo:

- prestazioni per gli aventi causa: rinunzie di crediti, dilazioni di pagamenti,

abbattimenti di interessi, emissione di titoli di debito con effetti novativi,

conversioni di crediti in quote di capitale;

- ex latere debitoris, la continuazione dell’attività da parte dell’imprenditore o di

un terzo con l’immissione di nuova finanza, la concessione di garanzie,

l’espletamento di operazioni straordinarie (scorporo di rami di azienda, fusioni,

liquidazioni), la cessione di cespiti e di altre attività…

Prima di approdare al piano di ristrutturazione, occorrerà però verificare per tempo la

ricorrenza di indicatori che confermino la situazione di crisi dell’impresa e la sua gravità.

Questa sarà con ogni probabilità l’attività professionale più difficoltosa in quanto occorrerà

“convincere” l’imprenditore ad affrontare la crisi in cui versa, per poi condurlo alla

ristrutturazione dell’impresa, laddove questa si riveli utile e possibile.

In questo senso, la riclassificazione del bilancio costituisce il presupposto per poter

fruttuosamente applicare un sistema di indicatori ( c.d. ratios ) che consenta di poter

effettuare l’analisi finanziaria e reddituale dell’impresa in, al fine di valutare l’entità della

crisi e monitorarla nel tempo. L’analisi finanziaria per mezzo degli indici prende spunto

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dalla considerazione che le entrate e le uscite dell’impresa devono essere in equilibrio. Per

poter accertare l’esistenza o meno di tale equilibrio, e monitorarne l’evoluzione, l’analista

dovrà rivolgere la propria attenzione a quattro ambiti sezionali:

- equilibrio finanziario a breve termine

- equilibrio finanziario a lungo termine

- equilibrio finanziario globale d’impresa

- equilibrio finanziario fra dilazioni concesse dai propri creditori e quelle concesse

ai propri debitori.

Ciascuno di questi ambiti viene approfondito attraverso l’utilizzo di indicatori che pongono

a confronto valori relativi all’area interessata.

Ai nostri fini, insieme all’analisi finanziaria, occorre effettuare anche l’analisi reddituale

d’impresa, contrapponendo l’utile o la perdita d’esercizio, o di periodo, al capitale che ha

prodotto quel reddito.

Affinché si possa comprendere da quali fattori viene influenzata la redditività globale, si

renderà necessario approfondire l’andamento della gestione operativa; l’andamento della

gestione non caratteristica; l’ammontare dell’indebitamento ( atteso che l’ammontare dei

debiti impatta direttamente sulla redditività d’impresa ).

Per poter completare l’analisi ed ottenere così una panoramica esaustiva della situazione

dello stato di crisi dell’impresa, occorrerà prendere in considerazione anche egli indicatori

extra – contabili, quali, a titolo esemplificativo, l’andamento degli ordini di vendita;

l’organizzazione del personale, le sue caratteristiche ed il suo costo; il grado di

dipendenza funzionale da terze economie; i know how di cui dispone l’impresa; l’indice di

obsolescenza di macchinari ed impianti; l’indice della produttività ed il suo costo; la

customer satisfaction; la collocazione dell’impresa nel mercato in cui essa opera.

Un sistema integrato di indicatori come quello sopra delineato sarà certamente funzionale

alla possibilità di esprimere una valutazione del rischio e rendere consapevole

l’imprenditore dello stato della gestione, rendendo più agevole l’intervento dei consulenti

d’impresa per approntare le procedure correttive, tra cui, giustappunto, i piani di

ristrutturazione delineati dall’art. 182 bis della Legge Fallimentare.

Stando alla lettera della norma, la relazione di attuabilità dell’accordo di

ristrutturazione è presentata dal debitore, per cui si può presumere che siano le parti

congiuntamente a scegliere l’esperto, o addirittura solo il debitore, ed è allora plausibile

che questi svolga un ruolo attivo prima che si addivenga all’accordo, dando indicazioni e

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suggerimenti al debitore e ai creditori proprio su quelle che potranno essere le modalità e il

contenuto dell’accordo idonei ad ottenere l’omologazione da parte del Tribunale.

L’esperto diventa così il vero protagonista della procedura e quindi colui dalle cui capacità

potrebbe dipendere la salvezza dell’impresa: evidente è dunque la necessità che il

soggetto sia dotato di quei requisiti di professionalità di certo rinvenibili tra gli iscritti

all’albo dei dottori commercialisti o all’albo degli avvocati.

Concludo ringraziando tutti per l’attenzione che mi è stata riservata.

Varese, 25 ottobre 2006

Dott. Prof. Salvatore Randazzo

Page 14: GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI · PDF file1 GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI La nuova Legge Fallimentare ha assunto un nuovo punto di vista in tema di impresa e di crisi

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