GiustiziaSportiva · Mario Liccardo _____ Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ......

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Anno IV Pubblicazione numero 1 2008 GiustiziaSportiva.it Rivista Giuridica Direzione e Fondatori Enrico Crocetti Bernardi Antonino de Silvestri Enrico Lubrano Paolo Moro Jacopo Tognon Comitato di Redazione Giuseppe Agostini Alessia Bellomo Marco Mazzucato Emanuele Paolucci Michela Pigato Jacopo Tognon Direttore Responsabile Mario Liccardo _____________________________________________________________ Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004 al numero 1902 del Registro Stampa - Periodico quadrimestrale - 1

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Anno IV Pubblicazione numero 1 2008

GiustiziaSportiva.itRivista Giuridica

Direzione e Fondatori

Enrico Crocetti Bernardi Antonino de Silvestri

Enrico LubranoPaolo Moro

Jacopo Tognon

Comitato di Redazione

Giuseppe AgostiniAlessia Bellomo

Marco MazzucatoEmanuele Paolucci

Michela Pigato Jacopo Tognon

Direttore Responsabile

Mario Liccardo

_____________________________________________________________Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004

al numero 1902 del Registro Stampa- Periodico quadrimestrale -

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INDICE DEL FASCICOLO 1°

PARTE PRIMADOTTRINA

LINA MUSUMARRA, La gestione della sicurezza negli impianti sportivi : gli Steward

pag. 4

ALESSIA BELLOMO, Federazione Italiana Giuoco Calcio: la riforma della c.d. giustizia sportiva

pag.19

MORENO MANCIN, La valutazione dell’ economicità delle società di calcio professionistiche attraverso i nuovi indicatori previsti dalle NOIF

pag.55

LUCA LEONE, Politica e tecnica legislative in materia di doping pag.82

BARBARA AGOSTINIS, “Al via” il regolamento che disciplina gli impianti per l’esercizio di attività motoria ricreativa nella regione Marche: quale tutela per i consumatori-utenti dei centri fitness?

pag.90

PARTE SECONDA

NOTE A SENTENZA

DOMENICO ZINNARI, Vincolo di giustizia e clausole compromissorie in materia economica alla luce del nuovo articolo 30 dello statuto FIGC

pag. 107

PARTE TERZAGIURISPRUDENZA

TAR LAZIO: Sentenza numero 2472/2008 – Moggi/F.I.G.C. pag.121

SENTENZA GDP NAPOLI: numero 33571 del 13/03/2006 pag.141

IL CASO CAGLIARI: le diverse prospettazioni di Commissione Disciplinare e Corte di Giustizia Federale sulla violazione del vincolo di giustizia

pag.153

GIUDICE SPORTIVO COMITATO REGIONALE PUGLIA E COMMISSIONE DISCIPLINARE: Comunicati Ufficiali numero 46 del 13/03/08 e numero 53 del 17/04/08

pag.164

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PARTE PRIMADOTTRINA

SOMMARIO:

LINA MUSUMARRA, La gestione della sicurezza negli impianti sportivi : gli Steward

pag. 4

ALESSIA BELLOMO, Federazione Italiana Giuoco Calcio: la riforma della c.d. giustizia sportiva

pag.19

MORENO MANCIN, La valutazione dell’ economicità delle società di calcio professionistiche attraverso i nuovi indicatori previsti dalle NOIF

pag.55

LUCA LEONE, Politica e tecnica legislative in materia di doping pag.82

BARBARA AGOSTINIS, “Al via” il regolamento che disciplina gli impianti per l’esercizio di attività motoria ricreativa nella regione Marche: quale tutela per i consumatori-utenti dei centri fitness?

pag.90

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La gestione della sicurezza………

LA GESTIONE DELLA SICUREZZA NEGLI IMPIANTI

SPORTIVI: GLI STEWARD

di Lina Musumarra (*)

SOMMARIO:

1. Premessa

2. Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi

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1. Premessa

Perseguire il tema della sicurezza negli impianti sportivi significa attribuire alla tutela della

salute un valore assoluto, la cui salvaguardia richiede un forte impegno di cooperazione, non solo a

livello nazionale, ma soprattutto europeo ed internazionale. Secondo l’Organizzazione Mondiale

della Sanità (OMS), nella materia <<tutela della salute>> si comprendono, infatti, tutti gli interventi

finalizzati a garantire la tutela della salute del cittadino (sia nella veste di praticante un’attività

sportiva, a livello ricreativo, amatoriale o professionistico, sia in quella di spettatore di una

manifestazione sportiva) con riferimento non solo alla sua sanità personale, dal punto di vista fisico

e psichico, ma anche alla salubrità dell’ambiente e dei luoghi di lavoro, nonchè agli interventi

preventivi e riabilitativi (cfr., www.palestresicure.net).

2. Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi

2.1 La tutela delle condizioni di lavoro

La gestione della sicurezza negli impianti sportivi è disciplinata non solo dall’ordinamento

sportivo, attraverso le cd. regole tecniche elaborate dal CONI e dalle Federazioni sportive, ma, più

in generale, dall’ordinamento statale e da quello europeo.

Occorre, in primo luogo, richiamare l’art. 2087 cod. civ., a mente del quale:

<<l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che, secondo la

particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la

personalità dei prestatori di lavoro>>. Con la norma in parola si afferma, da una parte, l’esistenza in

capo al lavoratore di un diritto soggettivo a svolgere la sua prestazione in un ambiente che non leda

il suo diritto alla salute e, dall’altra, per il datore di lavoro l’obbligo di applicare tutte le norme di

legge e regolamenti, nonché di adottare tutte le misure che, anche se non stabilite direttamente dalla

legge, in base alla sua esperienza ed all’evoluzione della tecnica, si rendono necessarie per la tutela

della salute dei lavoratori.

Tale articolo, come affermato più volte dalla giurisprudenza, svolge una <<funzione di

chiusura del sistema antinfortunistico>>, in connessione con norme speciali, le quali richiedono

l’adozione di particolari cautele (cfr. Cass. 30 agosto 2000, n. 11427; Cass. 23 gennaio 1999, n. 653;

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P. Raimondo, La prevenzione degli infortuni e la gestione della sicurezza nelle attività

motorie e negli impianti sportivi, in <<La tutela della salute nelle attività motorie e sportive: la

prevenzione degli infortuni>>, a cura di C. Bottari, Maggioli, 2004).

In particolare, come affermato recentemente dalla Corte di Cassazione, <<in materia di

normativa antinfortunistica, in forza della disposizione generale di cui all’art. 2087 del codice civile

e di quelle specifiche previste dall’anzidetta normativa, il datore di lavoro è costituito garante

dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del prestatore di lavoro, non

potendosi distinguere, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi

equiparato, o, anche, di persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso

causale tra l’infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza>> (…).

<<La responsabilità del datore di lavoro, e, in generale, del destinatario dell’obbligo di

adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un

comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità,

dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute,

che sia del tutto imprevedibile o opinabile>> (Cass., sent. 15 febbraio 2007 n. 6348).

Con il D.Lgs. n. 626/1994 e successive modificazioni (cfr, da ultimo, Legge 3 agosto 2007

n. 123) - il quale recepisce una serie di direttive comunitarie in materia di sicurezza e tutela della

salute dei lavoratori - il legislatore italiano definisce per la prima volta un modello di gestione della

prevenzione dei rischi sui luoghi di lavoro, passando dai tradizionali metodi di prevenzione tecnica,

ad un sistema di sicurezza globale che pone la persona, anziché la macchina, al centro della nuova

organizzazione della sicurezza aziendale, con il conseguente coinvolgimento attivo di tutte le parti

interessate al processo prevenzionale.

L’obiettivo prioritario perseguito dal decreto è espressamente indicato nell’art. 1, primo

comma, per il quale tale provvedimento <<prescrive misure per la tutela della salute e per la

sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attività privati o pubblici>>.

Siffatto quadro normativo non può che essere applicato anche all’attività sportiva, non solo

quella svolta in forma professionistica, ma anche dilettantistica, come già affermato e dimostrato

dall’ampia casistica giurisprudenziale, anche comunitaria, secondo la quale la circostanza che

un’associazione o una federazione sportiva qualifichi unilateralmente come dilettanti atleti o società

non è di per sé tale da escludere che questi soggetti esercitino attività economiche ai sensi dell’art. 2

del Trattato CE (cfr., L. Musumarra, Il rapporto di lavoro dello sportivo nel diritto comunitario, in

AA.VV, <<Il rapporto di lavoro dello sportivo>> (a cura di L. Musumarra e E. Crocetti Bernardi),

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Experta edizioni, 2007, pp. 113 ss.; L. Musumarra, La qualificazione degli sportivi professionisti e

dilettanti nella giurisprudenza comunitaria, in RDES, n. 2/2005; L. Musumarra, Il rapporto di

lavoro sportivo, in AA.VV., <<Diritto dello sport>>, Le Monnier Università, 2004, 2° ristampa

2007, pp. 159 ss.; P. Raimondo, cit., pp. 50 ss.).

Per quanto riguarda, in particolare, gli obblighi di cui è titolare il datore di lavoro, come

definito dall’art. 2, lett. b) del decreto in parola (<<il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il

lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la

responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva (…) in quanto titolare dei poteri

decisionali e di spesa>>) e che spettano anche al cd. imprenditore sportivo (società sportiva

utilizzatrice dell’impianto/organizzatrice dell’evento sportivo), essi sono indicati negli artt. 3 e 4 del

decreto, che di seguito si riassumono:

a) Eseguire la valutazione dei rischi ed elaborare un documento, da conservare all’interno

dell’azienda che contenga: una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute

durante il lavoro, in cui specificare i criteri adottati; l’individuazione delle misure di prevenzione e

protezione sulla base della valutazione dei rischi effettuata; il programma delle misure ritenute

opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza.

b) Designare il responsabile, o i responsabili, e gli addetti al servizio di prevenzione e

protezione interno o esterno all’azienda, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza,

qualora non possa svolgere direttamente tale funzione.

c) Designare i lavoratori incaricati di attuare le misure di prevenzione incendi e lotta

antincendio, di evacuazione in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di pronto

soccorso e gestione dell’emergenza.

d) Stimolare tra i dipendenti la nomina del rappresentante della sicurezza.

e) Nominare il medico competente e, qualora sia necessario, nominare più medici

competenti, attribuendo ad uno di essi il compito del coordinamento.

f) Fornire ai lavoratori dispositivi di protezione individuale (per gli atleti sono quelli previsti

dai relativi regolamenti delle federazioni sportive e discipline sportive associate di appartenenza),

sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (cfr. il D.M. 4 aprile 2001, recante

integrazioni al D.M. 18 febbraio 1982 (in tema di tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica), il

quale, oltre a prevedere specifici controlli sanitari per le atlete che praticano pugilato, prevede che

prima di iniziare la pratica agonistica ogni atleta deve essere informato sui rischi per la salute).

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g) Valutare, in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e

con il medico competente nei casi previsti dalla legge, la scelta delle attrezzature di lavoro, delle

sostanze impiegate e nella sistemazione dei luoghi di lavoro i rischi per la sicurezza e la salute dei

lavoratori.

All’esito di tale valutazione redige il Documento della sicurezza.

h) Installare le attrezzature sportive e tutte quelle relative agli impianti sportivi non

prettamente riguardanti l’attività sportiva in conformità alle istruzioni del fabbricante (cfr., sul

punto, il D.lgs. 21 maggio 2004, n. 172, di attuazione della direttiva n. 2001/95/CE relativa alla

sicurezza generale dei prodotti).

i) Sorvegliare l’attività dei lavoratori.

j) Corredare le attrezzature, sportive e non, con apposite istruzioni d’uso.

k) Provvedere ad idonea manutenzione.

l) Fornire informazioni e formazioni adeguate ai lavoratori.

m) Operarsi per una sinergica collaborazione con i lavoratori ed il medico competente.

n) Adottare misure idonee per il controllo delle situazioni di rischio e di emergenza.

o) Tenere un registro in cui annotare, in senso cronologico, gli infortuni sul lavoro che

comportino un’assenza di almeno un giorno.

p) Consultare il rappresentante per la sicurezza, preventivamente e tempestivamente, in

ordine alla valutazione dei rischi, all’individuazione e prevenzione nell’azienda, ecc..

q) Far svolgere ai lavoratori la propria attività in un ambiente il più possibile sicuro e

salubre, adottando non solo le misure imposte dalla legge, ma anche i principi di correttezza,

diligenza e buona fede di cui agli artt. 1175, 1176 e 1375 cod. civ..

Per quanto concerne, in particolare, la valutazione dei rischi, il datore di lavoro dovrà

identificare i pericoli presenti negli impianti sportivi e i conseguenti rischi che essi rappresentano

non solo per gli atleti, ma anche per tutti coloro che frequentano l’impianto sportivo, non rilevando,

per i giudici, ai fini dell’applicazione delle norme di legge in esame, che l’infortunio sia occorso ad

un lavoratore subordinato, ad un soggetto a questi equiparato o anche ad un estraneo (cfr. Cass. sent.

15 febbraio 2007, n. 6348, cit.; Cass. sent. 7 febbraio 2002, n. 4694).

Successivamente alla fase di identificazione dei rischi, si passa a quella di valutazione, per

individuare le priorità cui applicare le misure di prevenzione, protezione e salvaguardia.

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Tale onere grava esclusivamente sul datore di lavoro, nonostante il coinvolgimento

nell’operazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del medico competente e

del rappresentante dei lavoratori.

La valutazione dei rischi nell’ambito delle attività sportive non può prescindere dalle cd.

regole tecniche, sopra richiamate, previste dall’ordinamento sportivo (cfr., A. Bernaschi, Le

Normative, in <<Edilizia per lo sport>>, a cura di G. Brandizzi-E. Carbone, Coni-Utet, 2004), la cui

violazione può configurare un illecito sportivo (a cui l’ordinamento ricollega una sanzione

disciplinare; cfr., sul punto, il Codice di giustizia sportiva della FIGC, in vigore dal 1° luglio 2007),

un illecito penale (con conseguente responsabilità penale) o un illecito civile (in caso di danni a

terzi, con conseguente obbligo al risarcimento degli stessi).

Infine, sempre nell’ambito dell’accertamento di eventuali responsabilità derivate dalla

violazione della legge in esame, pare utile verificare quali sono i requisiti di efficacia in caso di

delega di funzioni, il cui utilizzo è spesso inevitabile in quanto legato ad esigenze organizzative di

lavoro. Essa è infatti l’unico strumento che consente di operare il trasferimento di responsabilità;

occorre però, affinché la delega sia valida ed efficace, che al soggetto delegato siano conferiti

adeguati poteri attuativi, decisionali e gestionali della delega.

La giurisprudenza richiede, inoltre, che quest’ultima sia non solo certa e conoscibile

(conferita quindi con atto scritto), ma che riconosca al delegato la necessaria autonomia

patrimoniale e finanziaria per l’attuazione degli obblighi e degli adempimenti imposti dalla

normativa di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro (cfr., ex plurimis, Cass. n.

39268/2004) Inoltre, occorre che il delegato accetti consapevolmente e liberamente lo specifico

incarico conferito con la delega, restando in capo al soggetto delegante (di norma il datore di

lavoro) l’obbligo di vigilare e controllare che il delegato eserciti la delega conformemente

all’incarico ricevuto e nel pieno rispetto degli obblighi di legge. I limiti oggettivi del potere di

delega sono espressi dall’art. 1, comma 4-ter del D.Lgs. n. 626/1994, il quale costituisce anche la

fonte di legittimità di tale potere. Gli adempimenti non delegabili sono:

- la valutazione generale del rischio (art. 4, comma 1);

- l’elaborazione e la redazione del Piano per la sicurezza (art. 4, comma 4, lett. a);

- la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (art. 4, comma 4,

lett. a);

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- l’autocertificazione scritta dell’avvenuta valutazione dei rischi e dell’adempimento degli

obblighi ad essa collegati per i datori di lavoro delle imprese familiari e di quelle, nelle quali siano

assenti fattori di rischio specifici, che occupano fino a dieci addetti.

Quanto ai limiti soggettivi, la delega, come detto, può essere conferita solo a colui che

riveste una qualifica dirigenziale o assimilabile; quindi sono esclusi sia il lavoratore (in quanto

verrebbero a coincidere sulla sua persona le qualità di destinatario degli obblighi di sicurezza e al

tempo stesso di soggetto tutelato), sia il preposto (in quanto soggetto generalmente sfornito dei

poteri decisionali e patrimoniali connessi all’obbligo di disposizione e di attuazione delle misure di

sicurezza).

La delega può essere validamente data invece a persone estranee all’azienda.

Non è ammessa l’ipotesi della cd. subdelega o anche detta <<delega a cascata>>, che si

verifica allorquando il soggetto delegato deleghi a sua volta altra persona (di pari o inferiore

qualifica) a svolgere le mansioni delegate. In tal caso verrebbe a mancare il necessario rapporto

fiduciario tra delegante e subdelegato.

2.2 DM 18 marzo 1996 e DM 6 giugno 2005

La sicurezza degli impianti sportivi è disciplinata, oltre che dal D.Lgs. n. 626/1994, sopra

richiamato, dal Decreto 18 marzo 1996 del Ministero dell’Interno (<<Norme di sicurezza per la

costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi>>), come integrato e modificato dal successivo

D.M. 6 giugno 2005 (meglio noto come decreto Pisanu), le cui disposizioni devono essere

coordinate con il recente D.M. 8 agosto 2007 (<<Organizzazione e servizio degli ‘steward’ negli

impianti sportivi>>).

In particolare quest’ultimo decreto è stato emanato in attuazione di quanto disposto dall’art.

2-ter (<<Norme sul personale addetto agli impianti sportivi>>) della Legge 4 aprile 2007, n. 41, di

conversione, con modificazioni, del decreto- legge 8 febbraio 2007, n. 8 recante <<Misure urgenti

per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche>>.

Occorre precisare che le norme in parola - anche sulla base di quanto previsto dalla Risoluzione del

Consiglio dell’Unione europea del 4 dicembre 2006 (concernente un manuale aggiornato di

raccomandazioni per la cooperazione internazionale tra Forze di polizia e misure per prevenire e

combattere la violenza e i disordini in occasione delle partite di calcio di dimensione internazionale

alle quali è interessato almeno uno Stato membro) - affidano i compiti di controllo dei titoli di

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accesso, di instradamento degli spettatori e di rispetto del regolamento d’uso dell’impianto

esclusivamente alla società sportiva organizzatrice dell’evento, a mezzo di personale specificamente

addetto e appositamente selezionato e formato, gli steward, di cui infra.

Non consentono a tale personale di portare armi o altri oggetti atti ad offendere, né di

esercitare pubbliche funzioni, riservate ai soli organi di polizia dello Stato, privilegiando la

definizione di una figura con forte caratterizzazione di accoglienza, seppure affidandogli importanti

attività per la messa in sicurezza dell’impianto sportivo, in stretta collaborazione con gli operatori di

polizia (una forma di cd. sicurezza integrata, che racchiude le nozioni di safety e di security, come

confermato dalla Conferenza internazionale organizzata dalla Commissione europea, <<Towards an

EU strategy against violence in sport>>, Bruxelles, 28-29 novembre 2007, in

www.osservatoriosport.interno.it).

• Il decreto del 1996, nel modificare l’originario D.M. 25 agosto 1989, ha svolto una

funzione di coordinamento della complessa disciplina in materia.

L’ambito di applicazione del predetto decreto è definito dall’art. 1, primo comma, a mente

del quale <<sono soggetti alle presenti disposizioni i complessi e gli impianti sportivi di nuova

costruzione e quelli esistenti, già adibiti a tale uso anche se inseriti in complessi non sportivi, nei

quali si intendono realizzare variazioni distributive e/o funzionali (…), nei quali si svolgono

manifestazioni e/o attività sportive regolate dal C.O.N.I. e dalle Federazioni Sportive Nazionali

riconosciute dal C.O.N.I. (…), ove è prevista la presenza di spettatori in numero superiore a 100>>.

Per i complessi e gli impianti ove è prevista invece la presenza di spettatori non superiore a

tale soglia o privi di spettatori, tale articolo rinvia alle successive disposizioni, contenute nell’art.

20.

Sulla base del D.Lgs. 8 gennaio 2004, n. 15, con il quale sono state apportate modifiche ed

integrazioni al precedente D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, recante il riordino del CONI, le

manifestazioni e/o attività sportive cui fa riferimento l’art. 1 del decreto ministeriale sono anche

quelle regolate dalle Discipline Sportive Associate e dagli Enti di promozione sportiva.

In ossequio ai principi che ispirano la normativa in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro e

di tutela delle condizioni di lavoro, di cui al già esaminato D.Lgs. n. 626/1994, il decreto

ministeriale individua nel titolare dell’impianto o complesso sportivo la responsabilità del

mantenimento delle condizioni di sicurezza.

• Tra le modifiche ed integrazioni apportate dal successivo D.M. del 2005, nonché dalla

predetta L. n. 41/2007 (entrata in vigore – si ricorda – il 6 maggio 2007), si evidenziano quelle

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relative all’art. 19-ter (intitolato <<Gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica all’interno degli

impianti dove si disputano incontri di calcio>>), di cui si riporta, per la parte che interessa, il

comma 3, a mente del quale: <<al fine di creare condizioni ambientali ottimali per il regolare

svolgimento dell’evento e la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, in ciascun impianto di

capienza superiore ai 10.000 posti ove si disputino incontri di calcio (rectius, 7.500 unità a partire

dalla stagione calcistica 2007-2008, ex art. 11-quater della L. n. 41/2007 e artt. 1 e 7, primo comma

del D.M. 8 agosto 2007) a cura della società utilizzatrice dell’impianto, in accordo con il titolare

dello stesso, devono essere previsti: (…) c) spazi idonei per l’informazione agli spettatori

(cartellonistica – schermi, ecc.) al fine di garantire la conoscenza del ‘regolamento d’uso’

dell’impianto che dovrà riguardare le modalità di utilizzo dello stadio (…)>>.

Sotto tale ultimo profilo l’art. 9, comma 3-bis della L. n. 41/2007 prescrive che <<le società

organizzatrici di competizioni sportive riguardanti il gioco del calcio sono tenute ad affiggere in

tutti settori degli stadi copie del regolamento d’uso dell’impianto. Le medesime società hanno cura

altresì di prevedere che sul retro dei biglietti sia espressamente indicato che l’acquisto del biglietto

stesso comporta l’obbligo del rispetto del regolamento d’uso dell’impianto quale condizione

indispensabile per l’accesso e la permanenza all’interno dello stadio>>.

Con l’espressione titolare dell’impianto si intende fare riferimento al proprietario, salvo che

la gestione sia affidata, come avviene nella maggior parte dei casi in Italia, ad altro soggetto in base

ad un titolo giuridico (il cd. concessionario d’uso o società utilizzatrice, secondo l’espressione

utilizzata dal legislatore).

Il titolare dell’impianto, per lo svolgimento delle incombenze previste dal decreto, può

avvalersi del cd. gestore della sicurezza o meglio del <<responsabile per il mantenimento delle

condizioni di sicurezza>>, anche denominato delegato alla sicurezza, secondo quanto previsto dal

Protocollo di intesa sottoscritto il 12 aprile 2007 tra Ministero dell’Interno, CONI, FIGC, avente ad

oggetto le modalità di reclutamento e di formazione del personale addetto alla pubblica incolumità

presso gli impianti sportivi (gli steward).

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2.3 DM 8 agosto 2007

Passando, quindi, all’esame del D.M. 8 agosto 2007 (<<Organizzazione e servizio degli

‘steward’ negli impianti sportivi>>) nell’art. 1 si definisce il campo di applicazione del decreto,

limitato, come già richiamato, ai <<complessi e impianti sportivi con capienza superiore a 7.500

posti, nei quali si svolgono partite ufficiali delle squadre di calcio professionistiche>>.

Nel successivo art. 2, comma 1 si dispone che <<le società organizzatrici delle competizioni

sportive di cui all’art. 1 sono responsabili dei servizi finalizzati al controllo dei titoli di accesso,

all’instradamento degli spettatori ed alla verifica del rispetto del regolamento d’uso dell’impianto,

attraverso propri addetti, di seguito denominati ‘steward’, assicurandone la direzione ed il controllo

da parte del responsabile per il mantenimento della sicurezza degli impianti sportivi, a norma degli

articoli 19 e seguenti del decreto del Ministero dell’interno del 18 marzo 1996, come

successivamente modificato e integrato, di seguito denominato ‘delegato per la sicurezza’>>.

Il comma 3 del predetto articolo precisa, poi, che i servizi in esame sono svolti <<sotto la

vigilanza del responsabile del Gruppo operativo sicurezza>>, denominato <<G.O.S.>> (nominato ai

sensi dell’art. 19-ter del D.M. del 1996, nel nuovo testo modificato dal D.M. del 2005), nonché

degli <<ufficiali di pubblica sicurezza designati dal questore con propria ‘ordinanza’, i quali

assicurano gli interventi che richiedono l’esercizio di pubbliche potestà o l’impiego di appartenenti

alle Forze di polizia>>.

Il successivo art. 3 del D.M. del 2007 disciplina la selezione e formazione del personale

impiegato nelle attività di steward (operativo dal 1° marzo 2008), mentre gli artt. 5 e 6 introducono,

rispettivamente, disposizioni di ordine generale sul servizio di questi soggetti, da coordinarsi con

quanto disposto negli allegati al decreto, nonché norme specifiche per lo svolgimento del servizio

(cfr., L. Musumarra, Gli steward: la gestione della sicurezza negli impianti sportivi, in

www.personaedanno.it, gennaio 2008).

• Il primo comma dell’art. 5 dispone, infatti, che <<nell’espletamento dei compiti di

direzione e controllo, il delegato per la sicurezza pianifica l’impiego degli steward sulla base

dell’organigramma di cui all’allegato C>>, secondo un <<piano approvato dal G.O.S. almeno 3

giorni prima della gara>>. La funzione essenziale del predetto organigramma – il quale va

comunque adattato alle esigenze specifiche del singolo stadio – è quella di <<favorire la conoscenza

chiara ed univoca della linea di comando degli steward e il correlato flusso delle informazioni>>.

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<<Ogni operatore deve conoscere la sua posizione nell’ambito della catena operativa della

sicurezza>>, ovvero chi è il suo coordinatore al quale rivolgersi in via gerarchica e quali sono i suoi

eventuali coordinati e ai chi indirizzare l’informazione. Nell’organigramma si prevedono le seguenti

figure:

- un <<delegato per la sicurezza>>, componente del G.O.S., con le funzioni previste dall’art.

19 ss. Del D.M. 18 marzo 1996, come modificato ed integrato;

- un <<responsabile di funzione>> per ciascuna delle funzioni operative affidate agli

steward di cui all’art. 6 del decreto in esame (di cui infra);

- un <<coordinatore di settore>> per ciascuna area o settore dello stadio;

- un <<capo unità>> ogni 20 steward;

- un numero di <<steward>> operanti in unità operative ciascuna composta da 20 operatori.

Si precisa che il conferimento dei compiti di coordinatore e di responsabile di funzione è

subordinato al preventivo assenso del questore (art. 5, comma 2).

Per quanto concerne, poi, l’abbigliamento prescritto per gli steward durante lo svolgimento

delle loro mansioni, il comma 3 dell’art. 5 dispone che gli stessi indossino una <<casacca, con le

caratteristiche di cui all’allegato D>>, <<di colore giallo fluorescente, ovvero arancione

fluorescente, in relazione alle circostanze di impiego, contenente la scritta ‘steward’ ed un numero

progressivo associato al nominativo dell’operatore. E’ consentito applicare sulla tasca per supporto

radio della casacca uno o più asterischi, in colore contrastante, che individuano i compiti di ‘capo

unità’, di ‘coordinatore’ e di ‘responsabile di funzione’>>. Sono previsti, altresì, dispositivi di

protezione individuale relativi a scarpe, berretti e/o elmetti, conformi al citato D.Lgs. n. 626/1994.

• Le attività degli steward all’interno dell’impianto sono disciplinate, come detto, dall’art. 6

del decreto e più precisamente:

a) Attività di bonifica, che ricomprende l’ispezione preventiva dell’intero impianto sportivo

finalizzata a:

1) <<verificare la stabilità e l’ancoraggio delle strutture mobili>>;

2) <<garantire la rimozione di eventuali oggetti illeciti o proibiti, nonché di qualsiasi altro

materiale che possa essere impropriamente utilizzato mettendo così a rischio l’incolumità delle cose

o delle persone>>;

3) <<adottare ogni iniziativa utile ad evitare che sia creato ostacolo od intralcio

all’accessibilità delle vie di fuga>>;

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4) <<verificare la perfetta funzionalità degli impianti antincendio, delle uscite di sicurezza e

del sistema di videosorveglianza e presidiare in maniera continuativa l’impianto, al termine delle

operazioni di bonifica>>.

b) Attività di prefiltraggio, esercitata in prossimità dei varchi d’accesso situati lungo il

perimetro dell’area riservata dell’impianto (cd. area di prefiltraggio).

Gli steward provvedono, in particolare, a:

1) <<presidiare i varchi d’accesso all’area riservata dell’impianto>>;

2) <<verificare il possesso di regolare titolo di accesso da parte degli spettatori>>;

3) <<accertare la conformità dell’intestazione del titolo d’accesso allo stadio alla persona

fisica che lo possiede, richiedendo l’esibizione di un valido documento di identità e negando

l’ingresso in caso di difformità ovvero nell’ipotesi in cui la medesima persona sia sprovvista del

suddetto titolo di identità>>;

4) <<verificare, nelle ipotesi di rilascio di biglietti gratuiti>> (di cui all’art. 11-ter della L. n.

41/2007) <<l’accompagnamento da parte di un genitore o di un parente fino al quarto grado dei

minori di anni quattordici>>;

5) <<controllare il rispetto del ‘Regolamento d’uso’ dell’impianto finalizzato a:

a) evitare l’introduzione di oggetti, strumenti e materiali illeciti, proibiti, atti a offendere o

comunque pericolosi per la pubblica incolumità;

b) verificare, presso l’apposito varco dedicato, bandiere, striscioni e qualsiasi altro materiale

coreografico negandone l’introduzione se illecite o comunque non consentiti;

6) <<accogliere e indirizzare gli spettatori verso il varco di ingresso attrezzato all’area di

massima sicurezza da cui il titolare del biglietto deve accedere allo stadio>>.

c) Attività di filtraggio, esercitata in prossimità dell’accesso ai preselettori di incanalamento

antistanti i varchi attrezzati situati lungo il perimetro dell’area di massima sicurezza (cd. area di

filtraggio). Tra i compiti previsti per gli steward in questa area si ricomprendono:

1) <<controllare il rispetto del ‘Regolamento d’uso’ finalizzato ad evitare l’introduzione di

oggetti e sostanze illecite, proibite, o comunque pericolosi per la pubblica incolumità, effettuando il

sommario controllo visivo delle persone e delle borse od oggetti portati e procedendo al controllo

degli stessi, con metal detector portatili, per un’aliquota di spettatori non inferiore al 40% dei

biglietti venduti>>;

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2) <<regolamentare i flussi e provvedere all’instradamento degli spettatori verso i tornelli

attraverso i quali il titolare del biglietto deve accedere allo stadio, ovvero, per gli spettatori

diversamente abili, verso gli appositi varchi>>.

In prossimità dei tornelli elettronici e dei varchi per gli spettatori diversamente abili, gli

steward devono, altresì, assicurare:

1) <<il presidio dei varchi di accesso all’area di massima sicurezza dell’impianto>>;

2) <<l’eventuale assistenza alla verifica elettronica del biglietto>>;

3) <<l’instradamento al settore dello stadio presso il quale è ubicato il posto a sedere

assegnato al titolare del biglietto>>.

d) Attività di instradamento all’interno dell’impianto sportivo, esercitata dagli steward in

prossimità dell’accesso agli spalti al fine di condurre il titolare del biglietto verso il posto a lui

assegnato.

e) Altre attività all’interno dell’impianto sportivo. Per tutta la durata di permanenza del

pubblico all’interno dell’impianto sportivo, gli steward devono assicurare il controllo del rispetto

del <<Regolamento d’uso>> attraverso una serie di azioni di vigilanza e controllo espressamente

indicate nell’articolo in esame, cui si rinvia.

f) Assistenza alle persone diversamente abili.

g) Attività in caso di violazione del regolamento d’uso. In tale ipotesi gli steward:

1) una volta richiamato il trasgressore all’osservanza dell’obbligo o del divieto, <<negano

l’accesso ovvero invitano il contravventore a lasciare l’impianto>>;

2) in caso di inottemperanza, ovvero in caso di altre violazioni della normativa vigente o del

regolamento d’uso che prevedano l’applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria,

<<richiamato il trasgressore all’osservanza dell’obbligo o del divieto, accertano l’identità del

trasgressore attraverso la richiesta di esibizione del titolo d’accesso e di un valido documento

d’identità>>;

3) <<curano la successiva segnalazione delle infrazioni ai pubblici ufficiali ed agenti

competenti>>, ex L. n. 689/1981;

4) <<segnalano al personale delle Forze di polizia in servizio presso l’impianto sportivo, per

i successivi accertamenti, coloro che, maggiori degli anni 15, a richiesta del personale incaricato dei

servizi di controllo, si dichiarano sprovvisti di un valido documento di identità>>.

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h) Documentazione delle attività. L’attività svolta dagli steward ai sensi della predetta lett. g)

e della lett. e), limitatamente ai punti 1.4 (<<custodia degli oggetti e/o di materiali lasciati, ove

previsto, in consegna all’atto dell’ingresso da parte degli utenti dell’impianto sportivo>>) e 1.8

(<<indirizzamento e assistenza a persone diverse dagli spettatori della competizione sportiva nelle

aree e nei locali loro riservati>>), deve essere documentata su apposita modulistica predisposta a

cura del responsabile o del delegato alla sicurezza e trasmessa al responsabile del G.O.S. per

l’attività di competenza.

Le attività invece di prefiltraggio e di filtraggio, di cui alle precedenti lett. b) e c) sono svolte

dagli steward sotto la diretta vigilanza degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza preposti agli

specifici servizi.

2.4 Tutela giuridica e profili di responsabilità penale dello steward

Dall’analisi delle mansioni svolte dallo steward, sia quelle connesse al mantenimento della

sicurezza dell’impianto (incolumità pubblica/safety), sia quelle connesse alla gestione dell’impianto

sportivo ed all’organizzazione dell’evento (rispetto del regolamento d’uso/security), si ricava che

entrambe sono sovrapponibili, nelle forme di esercizio, alla pubblica funzione assolta in occasione

dell’evento sportivo dagli organi istituzionali responsabili delle attività di soccorso pubblico e di

ordine e sicurezza pubblica, che le esplicano attraverso soggetti, pubblici ufficiali, titolari delle

correlate potestà pubbliche (cfr., sul punto R. Massucci, Steward. Profili giuridici, compiti e

responsabilità, www.osservatoriosport.interno.it, 2007, pp. 34 ss.).

La pubblica funzione si avvale, nel caso degli steward, dell’attività di pubblico servizio dai

medesimi svolta e come tale riconosciuta, seppure indirettamente, dalla legge.

L’art. 6-quater della Legge 13 dicembre 1989, n. 401 (<<Interventi nel settore del giuoco e

delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni

sportive>>), introdotto dalla L. n. 210/2005, di conversione, con modificazioni, del D.L. n.

162/2005 (recante ulteriori misure per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di

competizioni sportive), pur nella logica di offrire allo steward una forte tutela giuridica, conferma la

valenza di pubblico servizio, ex art. 358 c.p., attribuibile alle attività svolte da questi soggetti privati

addetti a specifichi incarichi nell’ambito dell’organizzazione dell’evento sportivo. Il primo comma

dell’articolo in parola dispone, infatti, che <<ai sensi e per gli effetti degli articoli 336 e 337 del

codice penale, sono considerati incaricati di un pubblico servizio gli incaricati del controllo dei titoli

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di accesso e dell’instradamento degli spettatori e quelli incaricati di assicurare il rispetto del

regolamento d’uso dell’impianto dove si svolgono manifestazioni sportive>>.

La tutela giuridica rafforzata offerta dal richiamo agli artt. 336 (violenza o minaccia a un

pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio) e 337 (resistenza a un pubblico

ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio) del codice penale non può avere alcuna

coerenza normativa, né utilità, se non collegata al presupposto di un’assunzione di responsabilità

tipica dell’incaricato di pubblico servizio (cfr., R. Massucci, cit., p. 35).

Il livello delle responsabilità è viceversa conseguenza del ruolo e delle mansioni a ciascuno

attribuite, secondo previsioni consolidate nell’ambito della definizione degli organigrammi e della

successiva approvazione da parte del G.O.S., quale organo di supporto del Questore.

(*) Avvocato - Professore a contratto di Diritto dello Sport - Università Luiss Guido Carli,

Roma e Università di Firenze

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FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO:

LA RIFORMA DELLA C.D. GIUSTIZIA SPORTIVA.

di Alessia Bellomo (*)

SOMMARIO:

Introduzione.

I – Le Norme Disciplinari; I.1) Articolo 1 – diritti ed obblighi generali. I. 2) Articolo 2 – applicabilità e conoscenza delle regole. I.

3) Articolo3 – responsabilità delle persone fisiche, articolo 4 – responsabilità delle società. I. 4) Articolo

5 – dichiarazioni lesive, articolo 6 – divieto di scommesse ed articolo 7 – illecito sportivo. I. 5) Articolo

8 – Violazioni in materia gestionale ed economica. I. 6) Articolo 9 – Associazione finalizzata al

compimento di illeciti. I. 7) Articolo 10 - divieti in materia di tesseramenti, trasferimenti e cessioni. I.

8) Articolo 11 – responsabilità per comportamenti discriminatori, articolo 12 – prevenzione fatti

violenti, articolo 13 – esimente od attenuante, articolo 14 – responsabilità della società per fatti

violenti. I. 9) Articolo 15 – violazione della clausola compromissoria;

II – Le Sanzioni Disciplinari;

III – Gli Organi di Giustizia Sportiva;

IV – Le Norme Procedurali; IV. 1) Procedimento disciplinare IV. 2) Procedimento per illecito sportivo e per violazioni in materia

gestionale ed economica. IV. 3) Procedimenti in ambito regionale della Lega Nazionale Dilettanti e del

settore per l’attività giovanile e scolastica. IV. 4) Commissione Tesseramenti e Commissione Vertenze

Economiche;

Conclusioni.

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Introduzione

Il 1° luglio 2007 è entrato in vigore il nuovo Codice di Giustizia Sportiva della Federazione

Italiana Giuoco Calcio (di seguito “FIGC”), pubblicato nel Comunicato Ufficiale n. 93 del 31

marzo 2007 e successivamente emendato con i Comunicati Ufficiali n. 19/A del 21 giugno 2007, n.

23/A del 7 agosto 2007 e n. 28/A del 21 settembre 2007 (1).

Con il nuovo Codice di Giustizia Sportiva (di seguito anche “nuovo CGS”) si conclude un più

ampio programma di revisione delle c.d. Carte federali, attuato dalla FIGC in seguito alle note

vicende legate allo scandalo definito “moggiopoli” o “calciocaos” dell’estate 2006. Tale programma

ha condotto all’approvazione ed all’emanazione del nuovo Regolamento Agenti di Calciatori (2),

riformato in conformità alle indicazioni fornite dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il

Mercato (di seguito “AGCM”) a conclusione dell’indagine eseguita nel settore calcio

professionistico nel corso del 2005 e del 2006 (3), del nuovo Statuto federale (4) e del nuovo

Regolamento Associazione Italiana Arbitri (A.I.A.) (5).

La riforma della c.d. giustizia sportiva interessa una buona parte delle regole inerenti al diritto

sostanziale disciplinare della FIGC, l’intero insieme delle norme procedurali per le controversie da

affrontare dinanzi agli organi di giustizia federale in senso stretto (6), nonché le sanzioni disciplinari

che tali organi di giustizia federale possono comminare a conclusione dei procedimenti dinanzi a

loro instaurati.

L’obiettivo di questa breve analisi è evidenziare i criteri guida che hanno ispirato il legislatore

sportivo nella stesura del nuovo testo procedurale, nonché esporre sinteticamente le modifiche

introdotte.

1Tutti i comunicati ufficiali della segreteria federale FIGC sono pubblicati sul sito www.figc.it.2Cfr. Comunicato ufficiale n. 48 del 28 dicembre 2006 e Comunicato Ufficiale n. 50 del 4 gennaio 2007 . Vedi anche giustizia sportiva n. 2/2007.3Cfr. Indagine IC27, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, aperta il 31 marzo 2005 e terminata il 21 dicembre 2006, www.agcm.it.4Cfr. Comunicato ufficiale n. 79 del 6 marzo 2007 (Statuto con emendamenti CONI), Comunicato Ufficiale n. 90 del 21 marzo 2007 (Statuto con modifiche FIFA).5Cfr. Comunicato ufficiale n. 21/A del 21 giugno 2007, nuovo Regolamento AIA, www.figc.it.6Parte della dottrina identifica tali organi in: CVE, CAF,. CF, Comm. tess. Si distinguono dagli organi di giustizia in senso lato, ovvero i collegi arbitrali costituiti presso le Leghe, la Commissione Agenti (ora attivo solo per i procedimenti riferiti al regolamento per l’attività degli agenti di calciatori ante riforma).

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I – Le norme di comportamento.

La prima parte del nuovo CGS tratta delle norme di comportamento riconducibili all’insieme

di norme disciplinari. L’intervento del legislatore sportivo in questo settore è stato dettato da un

criterio di riorganizzazione sistematica delle norme, più che da un cambiamento sostanziale delle

disposizioni. Le condotte sanzionate dal nuovo CGS rispettano pertanto quelle precedentemente

identificate, con alcune differenze o con l’aggiunta di alcune precisazioni utili per semplificare

l’interpretazione delle stesse.

I.1 Articolo 1 – diritti ed obblighi generali.

All’articolo 1 il legislatore sportivo descrive i soggetti cui il nuovo CGS si applica. La

generica formulazione del testo ante riforma (7), è stata sostituita da una compiuta elencazione dei

soggetti tenuti all’osservanza del CGS (8). Al successivo comma 5 si precisa inoltre che “sono tenuti

all’osservanza delle norme contenute nel presente codice anche i soci …a cui non è riconducibile il

controllo delle società stesse”. Ad oggi pertanto l’ambito di applicazione del nuovo CGS appare ben

definito.

Nei comma 2 e 3 sono stati riproposti: 2) il divieto di fornire a terzi notizie od informazioni

riguardanti indagini o procedimenti disciplinari in corso e 3) l’obbligo di presentarsi, se convocati,

dinanzi agli organi di giustizia sportiva. Mentre il testo del comma 2 è identico a quello del CGS

ante riforma, la formulazione del comma 3 ha subito una lieve modifica: se nel testo precedente i

dirigenti ed i tesserati erano “tenuti” a presentarsi se convocati dinanzi agli organi di giustizia

sportiva, con il nuovo testo è fatto loro obbligo di comparire (9). La variazione enfatizza il carattere

obbligatorio e non facoltativo del dovere imposto ai soggetti elencati al comma 1.

In questo modo i destinatari della norma possono comprendere senza margine di errore la

rilevanza disciplinare di un eventuale rifiuto a rispondere alla convocazione disposta da uno degli

organi di giustizia sportiva. Tali sanzioni disciplinari appaiono indispensabili per compensare la

7Cfr. art. 1 comma 1, Codice di Giustizia Sportiva ante riforma: “Coloro che sono tenuti all’osservanza delle norme federali devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. 8Cfr. art. 1 comma 1 nuovo Codice di Giustizia Sportiva in www.figc.it: “ La società, i dirigenti, gli atleti ed i tecnici, gli ufficiali di gara e ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale sono tenuti all’osservanza delle norme e degli atti federali e devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”.9Cfr. art. 1 comma 3 nuovo Codice di Giustizia Sportiva: “ai soggetti di cui al comma 1 è fatto obbligo, se convocati, di presentarsi dinanzi agli organi di giustizia sportiva”.

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mancanza di reali misure coercitive, riservate all’ordinamento statale e precluse all’ordinamento

sportivo.

Il nuovo comma 4 dell’articolo 1 introduce la prima vera e propria innovazione vietando ai

destinatari del CGS di “intrattenere rapporti di abitualità” con i componenti degli organi di

giustizia sportiva e con gli associati dell’AIA. Il riferimento a moggiopoli è immediato. Il

legislatore sportivo ha inserito una norma disciplinare ad hoc per sanzionare le tipologie di condotta

idonee ad attrarre la benevolenza di soggetti appartenenti alla classe arbitrale ed alle istituzioni

federali per ottenere vantaggi di carattere sportivo. La norma non chiarisce tuttavia quali

comportamenti in concreto possano rientrare nel carattere di “abitualità”. Si osserva quindi un buon

margine di discrezionalità in capo agli organi di giustizia sportiva nella valutazione della rilevanza

concreta delle singole condotte perseguite.

E’ certo che un requisito essenziale per la sanzionabilità di una o più condotte è che le

medesime, pur senza giungere ad una relazione di c.d. abitualità, siano comunque finalizzate “al

conseguimento di vantaggi nell’ambito dell’attività sportiva”.

I. 2 Articolo 2 – applicabilità e conoscenza delle regole.

Il nuovo articolo 2 è il risultato della scorporazione di una parte del testo dell’art. 2 ante

riforma e della sua organizzazione in una disposizione autonoma, inerente all’applicabilità ed alla

conoscenza delle regole federali.

Il contenuto è altresì integrato con la precisazione delle norme di diritto che gli organi di

giustizia sportiva devono applicare ai fini del decidere in assenza di specifiche disposizioni

regolamentari: “gli organi di giustizia sportiva adottano le proprie decisioni in conformità ai

principi generali di diritto applicabili nell’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale,

nonché a quelli di equità e di correttezza sportiva”(10).

I comma 2 e 3 ripropongono, invariati nel contenuto, i precetti dei comma 5 e 6 del vecchio

art. 2: 2) l’ignoranza dello Statuto e delle norme federali non può essere invocata a nessun effetto e

3) la presunzione assoluta di conoscenza dei comunicati ufficiali a far data dalla loro pubblicazione.

10Cfr. art. 2 comma1 nuovo Codice di Giustizia Sportiva.

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I. 3 Articolo3 – responsabilità delle persone fisiche, articolo 4 – responsabilità delle società.

Come il precedente articolo 2, anche l’articolo 3 e l’articolo 4 sono il risultato della divisione

e della successiva integrazione dell’art. 2 ante riforma.

L’articolo 3 non presenta particolari innovazioni sancendo che i soggetti dell’ordinamento

federale “sono responsabili delle violazioni delle norme loro applicabili commesse a titolo di dolo o

di colpa, salvo diversa disposizione”(11). Permane anche la responsabilità del giocatore che assume

la funzione di capitano per i casi di violenza “a danno degli ufficiali di gara compiuti da calciatori

della sua squadra non individuati”(12).

L’articolo 4 affronta la disciplina della responsabilità delle società sportive, confermata nella

sua impostazione duplice: al comma 1 viene sancita la responsabilità c.d. “diretta”, che interessa le

società sportive per l’operato di chi le rappresenta ai sensi delle norme federali; al comma 2 viene

sancita invece la responsabilità c.d. “oggettiva”, che interessa le società sportive per l’operato dei

propri dirigenti e dei propri tesserati, o comunque dei soggetti ad esse riconducibili ai sensi

dell’articolo 1, comma 5 (i soci). Al comma 3 si precisa che la società è oggettivamente

responsabile anche per quanto compiuto dalle persone addette a servizi della società e dei propri

sostenitori, sia per le partite giocate in casa, sia per quelle giocate in campo neutro o in trasferta. La

medesima tipologia di responsabilità viene estesa alle società sportive per l’ordine e la sicurezza

durante e dopo la partita nello stadio e nelle zone adiacenti ai sensi del comma 4.

Per i fatti di illecito sportivo commessi da terzi a vantaggio delle società sportive il nuovo

CGS stabilisce una presunzione di responsabilità, che può essere tuttavia superata provando

l’estraneità delle società ai fatti di illecito accertati. Costituisce prova sufficiente ad escludere la

responsabilità sociale quella che sia idonea ad insinuare un “ragionevole dubbio” negli organi

giudicanti.

Ai sensi del comma 6, le società sportive risponderanno anche per la presenza di sostanze

proibite nei luoghi o nei locali nella propria responsabilità. L’introduzione di tale norma è

conseguenza dell’attenzione sempre maggiore che le istituzioni sportive, guidate dal CONI e dal

Ministero della Salute, stanno dedicando alla lotta all’uso di sostanze dopanti nello sport.

11Cfr. art. 3 comma 1 nuovo Codice di Giustizia Sportiva. 12Cfr. art. 3 comma 2 nuovo Codice di Giustizia Sportiva.

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I. 4 Articolo 5 – dichiarazioni lesive, articolo 6 – divieto di scommesse ed articolo 7 –

illecito sportivo.

L’argomento dichiarazioni lesive è trattato nell’articolo 5 del nuovo CGS. Il comma 1 precisa

che le dichiarazioni possono considerarsi lesive ed essere sanzionate dall’ordinamento FIGC non

solo se pronunciate con riferimento a soggetti operanti nella federazione, ma anche a soggetti

operanti nell’ambito internazionale, nonché soggetti appartenenti al CONI.

Nella stessa norma vengono accorpate le indicazioni inerenti alle sanzioni ed alla graduazione

delle medesime. Se in precedenza nella determinazione dell’entità della sanzione il giudice sportivo

doveva valutare “la gravità delle dichiarazioni e l’idoneità delle stesse ad arrecare pregiudizio

all’istituzione federale”(13), ed erano previsti aumenti di sanzione “se la dichiarazione è rilasciata

da un dirigente o da altro soggetto che abbia la rappresentanza della società” o “se la

dichiarazione consiste nell’attribuzione di un fatto determinato o sia comunque volta a negare la

regolarità delle gare, l’imparzialità della procedura delle designazioni dei direttori di gara o la

correttezza dello svolgimento dei campionati” ed in caso di recidiva (14), nel nuovo testo si precisa

che devono essere valutate le seguenti circostanze:

“a) la gravità, la modalità e l’idoneità oggettiva delle dichiarazioni, anche in relazione al

soggetto da cui provengono, ad arrecare pregiudizio all’istituzione federale o a indurre situazioni

di pericolo per l’ordine pubblico o per la sicurezza di altre persone;

b) la circostanza che le dichiarazioni siano rilasciate da un dirigente o da altro soggetto che

abbia la rappresentanza di una società o comunque vi svolga una funzione rilevante;

c) la circostanza che le dichiarazioni consistano nell’attribuzione di un fatto determinato e

che non sia stata provata la verità di tale fatto;

d) la circostanza che le dichiarazioni siano comunque volte a negare o a mettere in dubbio la

regolarità delle gare e dei campionati, l’imparzialità degli ufficiali di gara e dei componenti gli

organi tecnici arbitrali, nonché dei componenti degli organi di giustizia sportiva, la correttezza

delle procedure di designazione”(15).

Con tale elencazione, il legislatore sportivo conferma criteri utili sia per gli organi giudicanti

al momento della graduazione della sanzione, sia per i destinatari del nuovo CGS, che possono

meglio valutare quando le dichiarazioni rese abbiano maggior rilevanza ai sensi dell’art. 5.

13Cfr. art. 4, comma 1, Codice di Giustizia Sportiva, testo ante riforma. 14Cfr. art. 4, comma 2, 3 e 4, Codice di Giustizia Sportiva, testo ante riforma. 15Cfr. art. 5, comma 6, nuovo Codice di Giustizia Sportiva.

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Le società sportive sono oggettivamente responsabili per le dichiarazioni rese dai propri

dirigenti, tesserati e soggetti di cui all’art. 1 comma 5. Per loro costituisce comunque circostanza

attenuante la pubblica dissociazione dalla dichiarazione resa, che in alcuni casi giunge fino ad

esimente.

L’articolo 6 del nuovo CGS riprende il divieto di scommesse disciplinato nell’art. 5 del testo

ante riforma, confermandone i contenuti e le sanzioni. Le stesse conclusioni valgono anche per

l’articolo 7 del nuovo CGS, inerente all’illecito sportivo ed obbligo di denunzia.

I. 5 Articolo 8 – Violazioni in materia gestionale ed economica.

Il nuovo articolo 8 conferma l’illiceità amministrativa “della mancata produzione,

l’alterazione o la falsificazione, anche parziale, dei documenti richiesti” non solo dagli organi di

giustizia sportiva e dalla CO.VI.SOC, ma anche “dagli organi di controllo della FIGC e dagli

organismi competenti in relazione al rilascio delle licenza UEFA e FIGC”(16). Aggiunge poi una

norma di chiusura, che sanziona ogni altra tipologia di condotta correlata: “costituiscono altresì

illecito amministrativo i comportamenti comunque diretti a eludere la normativa federale in

materia gestionale ed economica, nonché la mancata esecuzione delle decisioni degli organi

federali competenti in materia”(17).

Il medesimo rigore viene dimostrato anche in materia di iscrizione ai campionati. Al comma 4

si precisa infatti che le condotte sanzionabili non sono più solo la falsificazione dei propri

documenti contabili o amministrativi, bensì anche “qualsiasi attività illecita od elusiva”.

Per quanto riguarda gli obblighi di comunicazione e deposito disciplinati dal comma 3 bis del

testo ante riforma, il nuovo CGS ne estende l’ambito di applicazione oltre che ai procedimenti per

l’ammissione ai campionati professionistici anche ai procedimenti di controllo delle società

professionistiche e per il rilascio delle licenze FIGC (18).

Restano invariate le disposizioni inerenti alla pattuizione o la corresponsione da parte delle

società sportive di compensi, premi o indennità ai tesserati in violazione delle norme federali (19),

nonché per avvalersi delle prestazioni di sportivi professionisti mediante falsificazione dei

documenti contabili o amministrativi (20).16Cfr. art. 8, comma 1, nuovo Codice di Giustizia Sportiva. 17Cfr. art. 8, comma 2, nuovo Codice di Giustizia Sportiva. 18Cfr. art. 8, comma 5, nuovo Codice di Giustizia Sportiva. 19Cfr. art. 8 comma 6, nuovo Codice di Giustizia Sportiva. 20Crf. Art. 8, comma 7, nuovo Codice di Giustizia Sportiva.

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Vengono inasprite le sanzioni per la violazione dei divieti dell’art. 94, comma 1, lett. a in

ambito dilettantistico: il comma 8 dell’art. 8 nuovo CGS prevede che sia sempre disposta la revoca

del tesseramento, cui devono essere aggiunte le sanzioni a carico della società, dei dirigenti e dei

tesserati coinvolti.

Nessuna modifica, se non a livello di variazione delle sanzioni (21), è riscontrabile per le

disposizioni dei commi 6 bis, 7, 8, 9 e 10 del testo ante riforma.

Vengono invece aggiunte due ulteriori disposizioni, inerenti alla mancata esecutività dei

contratti conclusi tra società professionistiche ed il pagamento delle somme disposte da organi di

giustizia sportiva e da collegi arbitrali.

Il comma 14 del nuovo art. 8 stabilisce infatti che “la mancata esecutività dei contratti

conclusi tra società professionistiche e tra tesserati e società professionistiche comporta

l’applicazione a carico della società responsabile della sanzione di cui alla lett. g) dell’art. 18

comma 1”.

Quest’ultima disposizione era già prevista nel testo precedente, ma posta sotto l’articolo

inerente ai “doveri e divieti in materia di tesseramenti, trasferimenti e cessioni”. Il comma 15

prevede invece che “il mancato pagamento entro 30 giorni delle somme poste a carico di società o

tesserati dagli organi della giustizia sportiva o da collegi arbitrali competenti ai sensi delle norme

federali comporta, fermo l’obbligo di pagamento, l’applicazione delle sanzioni di cui alle lett. a),

b), c) e g) dell’art. 18 comma 1 e delle lett. a), b), c), d), f), g) h) dell’art. 19 comma 1”.

Tale previsione costituisce una particolarità del nuovo CGS finalizzata a garantire

l’adempimento delle sanzioni pecuniarie disposte dagli organi federali e dai collegi arbitrali ed

evitare così la necessità per i soggetti creditori delle somme medesime di ricorrere dinanzi agli

organi di giustizia dello Stato per recuperare tali somme.

21Per un confronto delle sanzioni si richiama in successivo paragrafo II.

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I. 6 Articolo 9 – Associazione finalizzata al compimento di illeciti.

L’articolo 9 del nuovo CGS introduce una nuova tipologia di condotta sanzionabile a livello

disciplinare. Si tratta della c.d. associazione finalizzata al compimento di illeciti, che è riscontrabile

quando “tre o più tesserati si associano per il compimento degli illeciti”.

Il riferimento alle vicende di moggiopoli è evidente: è sufficiente infatti richiamare la c.d.

“triade” della dirigenza juventus all’epoca dei fatti per comprendere quale tipologia di condotta

voglia sanzionare il legislatore sportivo.

Con una previsione specifica, eventuali condotte future che si avvicinino a tale modello

saranno sanzionabili ai sensi dell’art. 9 e non più solo ai sensi dell’art. 1 per violazione del dovere

di lealtà, correttezza e probità. Ulteriori aggravanti sono inoltre previste per i soggetti che dirigano

una simile associazione, nonché per i dirigenti federali e gli associati AIA che ne facciano parte.

I. 7 Articolo 10 - divieti in materia di tesseramenti, trasferimenti e cessioni.

Il nuovo articolo 10 mantiene l’impostazione ed i contenuti dell’art. 8 del testo previgente con

alcune piccole modifiche.

Al comma 1, descrivendo il divieto per i dirigenti di trasferimento, tesseramento o cessione

che non siano nell’interesse della propria società si stabiliva che “la trattativa” sarebbe stata priva

di effetti. Il nuovo CGS al medesimo comma precisa invece che “gli atti, anche se conclusi sono

privi di effetto”.

Come già accennato al comma 3 del nuovo CGS la disposizione inerente alle sanzioni per la

mancata esecutività dei contratti conclusi tra società professionistiche o tra tesserati e società

professionistiche è stata eliminata poiché trasferita al comma 14 dell’articolo relativo alle violazioni

in materia gestionale ed economica.

Al medesimo comma viene aggiunto l’inciso “salva l’applicazione di disposizioni speciali”,

che circoscrive l’ambito di applicazione della norma.

Con riferimento alle violazioni in materia di tesseramenti di calciatori extracomunitari di cui

ex comma 6 art. 10, il legislatore sportivo ha esteso le sanzioni previste per la falsa attestazione di

cittadinanza di tali giocatori anche la partecipazione sotto falso nome o con qualsiasi modalità volta

ad usufruire delle prestazioni sportive di un calciatore in una competizione in cui quest’ultimo non

abbia titolo a prendervi parte.

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L’aggiunta di maggior rilievo è sicuramente il comma 11. Il nuovo CGS prevede infatti che

“le parti che senza giusta causa recedano da un contratto di prestazione sportiva o ne

interrompano l’esecuzione commettono una violazione rilevante anche ai fini disciplinari…”. Il

legislatore sportivo tutela la stabilità dei contratti anche a livello disciplinare, che appare non

sufficientemente garantita dalle clausole penali inserite nei singoli contratti di lavoro. Tale

disposizione dovrà tuttavia necessariamente coordinarsi con le norme comuni a tutela del diritto di

recesso del lavoratore.

I. 8 Articolo 11 – responsabilità per comportamenti discriminatori, articolo 12 –

prevenzione fatti violenti, articolo 13 – esimente od attenuante, articolo 14 – responsabilità della

società per fatti violenti.

Non sono riscontrabili rilevanti modifiche rispetto al testo CGS previgente.

I. 9 Articolo 15 – violazione della clausola compromissoria.

Il legislatore sportivo conferma la rilevanza disciplinare del ricorso ai giudici statali da parte

dei soggetti destinatari del CGS. Introduce tuttavia differenti sanzioni, più afflittive rispetto alle

precedenti (22). Si segnala inoltre che le sanzioni sono raddoppiate nel caso si trattino di materie

riservate agli organi di giustizia sportiva ed agli organi arbitrali.

II – Le Sanzioni Disciplinari

Il nuovo CGS ha riformato le sanzioni disciplinari seguendo due linee guida: in alcuni casi ha

introdotto sanzioni più afflittive rispetto alle precedenti, in altri ha mantenuto il minimo, ma ha

specificato il massimo, in altri ancora ha precisato le sanzioni applicabili. La discrezionalità degli

organi giudicanti viene pertanto limitata a favore di una maggiore certezza del diritto.

22 Si richiama il paragrafo II per la comparazione delle sanzioni.

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Si richiama la seguente tabella per un migliore confronto delle sanzioni ante riforma e di

quelle attualmente in vigore.

NORMA(numerazione nuovo CGS)

SANZIONICGS ANTE RIFORMA

SANZIONINUOVO CGS

Art. 1 comma 1

Violazione del principio di lealtà, correttezza e probità.

▪ Non specificate. ▪ Per le società: ammonizione, ammenda, ammenda con diffida, penalizzazione di uno o più punti in classifica. Per i dirigenti, i soci ed i tesserati: ammonizione, ammonizione con diffida, ammenda, ammenda con diffida, squalifica a tempo determinato, divieto di accesso agli impianti sportivi FIGC, FIFA e UEFA, inibizione temporanea.

Art. 1 comma, 2, 3 e 4

Divulgazione di notizie oggetto di indagini o procedimenti disciplinari in corso, mancata comparizione davanti agli organi di giustizia, collusione con soggetti appartenenti ad organi FIGC o AIA (quest’ultima solo nel nuovo CGS).

▪ Non specificate. ▪ Per le società: ammenda, ammenda con diffida, penalizzazione di uno o più punti in classifica. Per i dirigenti, i soci ed i tesserati: ammenda, ammenda con diffida, squalifica per una o più giornate di gara, squalifica a tempo determinato, divieto di accesso agli impianti sportivi FIGC, FIFA e UEFA, inibizione temporanea.

Art. 3 Responsabilità delle persone fisiche.

▪ Non specificate. ▪ Non specificate.

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Art. 4 Responsabilità delle società.

▪ Non specificate. ▪ Non specificate, se non per il comma 6: ammonizione, ammenda, ammenda con diffida, penalizzazione di uno o più punti in classifica.

Art. 5 Dichiarazioni lesive.

▪ Sanzioni dell’art. 41 per i non appartenenti alla sfera professionistica. Per gli appartenenti alla sfera professionistica nel caso in cui le dichiarazioni siano idonee a ledere il prestigio, la reputazione o la credibilità dell’istituzione federale ammenda da € 2.500,00 ad € 50.000,00 e nei casi più gravi inibizione, squalifica a tempo determinato, divieto di accesso agli impianti sportivi FIGC.

▪ Per le società, sanzioni di cui all’art. 18. Nel caso le dichiarazioni siano idonee a ledere il prestigio e la reputazione o la credibilità delle istituzioni federali l’autore sarà sanzionato inoltre con un ammenda da € 2.500,00 a € 50.000,00 se trattasi di appartenente al settore professionistico. Nei casi più gravi all’autore si possono applicare le sanzioni: squalifica a tempo determinato, divieto di accesso agli impianti sportivi FIGC, FIFA e UEFA, inibizione temporanea. Le società responsabili sono punite inoltre con un ammenda pari a quella dell’autore.

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Art. 6Divieto di scommesse.

▪ Per i dirigenti, i soci ed i tesserati: inibizione o squalifica non inferiore a 18 mesi. Per le società ritenute responsabili in via diretta: penalizzazione di uno o più punti in classifica, retrocessione all’ultimo posto in classifica, esclusione dal campionato di competenza, non assegnazione o revoca dell’assegnazione del titolo di campione d’Italia. Le sanzioni possono essere applicate anche congiuntamente.

▪ Invariate.

Art. 7

Illecito sportivo e obbligo di denunzia.

▪ Per le società ritenute responsabili in via diretta: retrocessione all’ultimo posto in classifica, esclusione dal campionato di competenza, salva maggior sanzione in caso di pratica inefficacia di tale pena. Per le società ritenute responsabili in via oggettiva: penalizzazione di uno o più punti in classifica, retrocessione all’ultimo posto in classifica, esclusione dal campionato di competenza, non assegnazione o revoca dell’assegnazione del titolo di campione d’Italia. Per i dirigenti, i soci ed i tesserati: inibizione o squalifica non inferiore a tre anni.

▪ Per le società ritenute responsabili in via diretta: retrocessione all’ultimo posto in classifica, esclusione dal campionato di competenza, non assegnazione o revoca dell’assegnazione del titolo di campione d’Italia, salva maggior sanzione in caso di insufficiente afflittività. Per le società ritenute responsabili in via oggettiva: penalizzazione di uno o più punti in classifica, retrocessione all’ultimo posto in classifica, esclusione dal campionato di competenza, non assegnazione o revoca dell’assegnazione del titolo di campione d’Italia, non ammissione o esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni.. Per i dirigenti, i soci ed i tesserati: inibizione o squalifica non inferiore a tre anni.

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Art. 8 comma 1 e 2

Violazioni in materia gestionale ed economica: mancata produzione, alterazione o falsificazione anche parziale dei documenti richiesti dagli organi di giustizia sportiva, ovvero fornire mendace, reticente o parziale risposta ai quesiti posti dagli stessi organi; comportamenti comunque diretti ad eludere la normativa federale in materia gestionale ed economica, mancata esecuzione delle decisioni degli organi federali in materia (queste ultime solo nel nuovo CGS).

▪ Per le società: ammenda con diffida, salvo la sanzione più grave prevista dai successivi comma dell’art. 7.

▪ Per le società: ammenda con diffida, salvo la sanzione più grave prevista dalla normativa sulle licenze UEFA o da altre normative speciali.

Art. 8 comma 4

Violazioni in materia gestionale ed economica: iscrizione ad un campionato (anche solo tentata) con documentazione falsa o con qualsiasi attività illecita o elusiva.

▪ Per le società: penalizzazione di uno o più punti in classifica, retrocessione all’ultimo posto in classifica, esclusione dal campionato di competenza, non assegnazione o revoca dell’assegnazione del titolo di Campione d’Italia.

▪ Invariate.

Art. 8 comma 6

Violazioni in materia gestionale ed economica: pattuizione e corresponsione ai tesserati di compensi, premi o indennità in violazione delle norme federali.

▪ Ammenda da uno a tre volte l’ammontare di quanto illecitamente pattuito o corrisposto, a cui può aggiungersi la penalizzazione di uno o più punti in classifica.

▪ Invariate.

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Art. 8 comma 7

Violazioni in materia gestionale ed economica: avvalersi della prestazione di sportivi professionisti mediante falsificazione dei propri documenti contabili o amministrativi.

▪ Penalizzazione di uno o più punti in classifica.

▪ Invariate.

Art. 8 comma 8

Violazioni in materia gestionale ed economica: violazione in ambito dilettantistico dei divieti di cui all’art. 94, comma 1, lett. a) NOIF.

▪ Sanzioni: revoca del tesseramento; per la società ammenda non inferiore a € 5.000,00 e penalizzazione di punti in classifica e, nei casi più gravi, retrocessione all’ultimo posto in classifica. Per i dirigenti responsabili: inibizione di durata non inferiore a due anni; per i tesserati squalifica di durata non inferiore ad un anno.

▪ Sanzione: revoca del tesseramento. Per la società: ammenda da € 5.000,00 a € 20.000,00, penalizzazione di punti in classifica e nei casi più gravi retrocessione all’ultimo posto in classifica. Per i dirigenti responsabili: inibizione non inferiore a due anni. A carico dei tesserati: squalifica non inferiore ad un anno.

Art. 8 comma 9

Violazioni in materia gestionale ed economica: mancato pagamento delle somme accertate dalla Commissione Accordi Economici LND o dalla Commissione Vertenze Economiche.

▪ Per la società responsabile: penalizzazione di uno o più punti in classifica. Per i dirigenti, i soci di associazione ed i collaboratori che partecipano agli illeciti: inibizione di durata non inferiore ad un anno.

▪ Per la società responsabile: penalizzazione di uno o più punti in classifica. Per i dirigenti, i soci di associazione ed i collaboratori che partecipano agli illeciti: inibizione di durata non inferiore a sei mesi.

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Art. 8 comma 11

Violazioni in materia gestionale ed economica: pattuizione o incasso da parte di tesserati di compensi, premi od indennità in violazione di norme federali.

▪ Squalifica di durata non inferiore ad un anno.

▪ Invariate.

Art. 8 comma 12

Violazioni in materia gestionale ed economica: inosservanza del divieto di cui all’art. 16 comma 1 NOIF.

▪ Per la società: penalizzazione di almeno 2 punti in classifica ed ammenda non inferiore ad euro 10.000,00. Per i soci inibizione temporanea per un periodo non inferiore ad un anno.

▪ Per la società: penalizzazione di almeno 2 punti in classifica ed ammenda da euro 10.000,00 ad euro 50.000,00. Per i soci inibizione temporanea per un periodo non inferiore ad un anno.

Art. 8 comma 13

Violazioni in materia gestionale ed economica: inosservanza del divieto di cui all’art. 52 comma 6 NOIF.

▪ Per la società: penalizzazione di almeno due punti in classifica ed ammenda non inferiore ad euro 10.000,00. Per i soci, gli amministratori ed i dirigenti: inibizione temporanea per un periodo non inferiore ad un anno.

▪ Per la società: penalizzazione di almeno due punti in classifica ed ammenda da euro 10.000,00 ad euro 50.000,00. Per i soci, gli amministratori ed i dirigenti: inibizione temporanea per un periodo non inferiore ad un anno.

Art. 8 comma 14

Violazioni in materia gestionale ed economica: mancata esecutività dei contratti conclusi in ambito professionistico direttamente imputabile ad una società.

▪ Per la società responsabile: penalizzazione di almeno due punti in classifica.

▪ Per la società responsabile: penalizzazione di almeno un punto in classifica.

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Art. 8 comma 15

Violazioni in materia gestionale ed economica: mancato pagamento delle somme poste a carico di società e tesserati da parte degli organi di giustizia sportiva e dei collegi arbitrali.

▪ Non previste. ▪ Fermo restando l’obbligo di adempimento, per le società: ammonizione, ammenda, ammenda con diffida, penalizzazione di punti. Per i tesserati: ammonizione, ammonizione con diffida, ammenda, ammenda con diffida, squalifica a tempo determinato, divieto di accesso agli impianti sportivi, inibizione temporanea.

Art. 9

Associazione finalizzata alla commissione di illeciti.

▪ Non previste. ▪ Squalifica a tempo determinato o inibizione temporanea. Le sanzioni sono aggravate per i soggetti che dirigano o promuovano l’associazione, nonché per i dirigenti federali e gli appartenenti all’AIA.

Art. 10 comma 1 e 2

Doveri e divieti in materia di tesseramenti, trasferimenti e cessioni: divieto per i dirigenti, soci di associazione e tesserati di svolgere attività comunque attinenti al trasferimento, alla cessione di contratto o al tesseramento se non nell’interesse della propria società.

▪ Sanzione non inferiore all’ammenda.

▪ Invariate.

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Art. 10 comma 3

Doveri e divieti in materia di tesseramenti, trasferimenti e cessioni: mancato pagamento nei termini fissati dalle disposizioni federali degli emolumenti dovuti ai tesserati per le mensilità non considerate al fine dell’ammissione ai campionati, nonché dei contributi ENPALS, Fondo Fine Carriera e delle ritenute IRPEF relativi a tali mensilità.

▪ Per la società responsabile: penalizzazione non inferiore a due punti in classifica. Per i dirigenti federali, i soci di associazione ed i tesserati: inibizione temporanea.

▪ Per la società responsabile: penalizzazione non inferiore a due punti in classifica. Per i dirigenti federali, i soci di associazione ed i tesserati: inibizione temporanea per un periodo non inferiore a tre mesi.

Art. 10 comma 5

Doveri e divieti in materia di tesseramenti, trasferimenti e cessioni: violazioni delle disposizioni in materia di tesseramento e di cessione di contratto di calciatore proveniente o provenuto da federazione estera.

▪ Per le società: ammenda fino al 10% del valore di acquisizione del calciatore. Per i dirigenti e soci di associazione: inibizione temporanea. Per il calciatore: squalifica a tempo determinato.

▪ Invariate.

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Art. 10 comma 6

Doveri e divieti in materia di tesseramenti, trasferimenti e cessioni: violazione di norme federali in materia di tesseramento di calciatori extracomunitari mediante falsa attestazione di cittadinanza.

▪ Per responsabilità diretta della società: penalizzazione di uno o più punti in classifica, retrocessione all’ultimo posto in classifica, esclusione dal campionato di competenza, non assegnazione o revoca del titolo di campione d’Italia. Per i dirigenti i soci di associazione ed i tesserati: sanzione non inferiore all’inibizione o squalifica per un periodo minimo di due anni.

▪ Per la responsabilità oggettiva della società: ammenda con diffida, penalizzazione di uno o più punti in classifica, retrocessione all’ultimo posto in classifica, esclusione dal campionato di competenza. Per responsabilità diretta della società: penalizzazione di uno o più punti in classifica, retrocessione all’ultimo posto in classifica, esclusione dal campionato di competenza. Per i dirigenti i soci di associazione ed i tesserati: sanzione non inferiore all’inibizione o squalifica per un periodo minimo di due anni.

Art. 10 comma 7

Doveri e divieti in materia di tesseramenti, trasferimenti e cessioni: violazione delle disposizioni in materia di incentivazione e promozione dei giocatori locali.

▪ Penalizzazione di almeno un punto in classifica.

▪ Invariate.

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Art. 10 comma 11

Doveri e divieti in materia di tesseramenti, trasferimenti e cessioni:recesso senza giusta causa da un contratto di prestazione sportiva, o interruzione dell’esecuzione del medesimo contratto.

▪ Non previste. ▪ Per la società: ammenda, ammenda con diffida, non ammissione o esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni. Per i tesserati: ammenda, ammenda con diffida, squalifica per una o più giornate di gara, squalifica a tempo determinato, divieto di accesso agli impianti sportivi, inibizione temporanea.

Art. 11

Responsabilità per comportamenti discriminatori.

▪ Per il calciatore: squalifica per almeno cinque giornate di gara; nei casi più gravi squalifica a tempo determinato, divieto di accesso agli stadi ed ammenda da euro 10.000,00 ad euro 20.000,00 per il settore professionistico. Per i dirigenti e gli altri tesserati: inibizione o squalifica non inferiore a due mesi; nei casi più gravi divieto di accesso agli stadi ed ammenda da euro 15.000,00 ad euro 30.000,00 per il settore professionistico. Per le società serie A: ammenda da euro 20.000,00 ad euro 50.000,00; serie B: ammenda da euro 10.000,00 ad euro 50.000,00; serie C: da euro 10.000,00 ad euro 50.000,00; per le altre società: ammenda sino ad euro 20.000,00. Nei casi di recidiva: obbligo di disputare la partita a porte chiuse o squalifica del campo. Nei casi particolare gravità: penalizzazione di punti in classifica, esclusione dal campionato di competenza,

▪ Invariate.

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non ammissione o esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni. Mancato avvertimento del pubblico delle sanzioni prima della gara: ammenda.

Art. 12 comma 1

Prevenzione di fatti violenti: violazione del divieto di contribuire con interventi finanziari o con altre utilità alla costituzione ed al mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori.

▪ Per società di serie A: ammenda da euro 10.000,00 ad euro 50.000,00; società di serie B: da euro 6.000,00 ad euro 50.000,00; società di serie C: da euro 3.000,00 ad euro 50.000,00. nei casi di recidiva: obbligo di disputare la gara a porte chiuse.

▪ Invariate.

Art. 12 comma 2 , 3 e 4

Prevenzione di fatti violenti:violazione delle disposizioni della pubblica autorità in materia di distribuzione dei biglietti, nonché di ogni altra disposizione in materia di pubblica sicurezza; introduzione o utilizzazione negli impianti sportivi di materiale

▪ Sanzione dell’ammenda con diffida nelle misure indicate per le violazioni del comma 1 dell’art. 12. Nei casi più gravi sono inflitte inoltre congiuntamente o disgiuntamente le sanzioni come l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse e come la squalifica del campo per una o più giornate. Mancato avvertimento del pubblico delle sanzioni prima

▪ Sanzione dell’ammenda con diffida nelle misure indicate per le violazioni del comma 1 dell’art. 12. Nei casi più gravi sono inflitte inoltre congiuntamente o disgiuntamente le sanzioni come l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse, l’obbligo di disputare uno o più gare con uno o più settori privi di spettatori, la squalifica del campo per una o più

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pirotecnico di qualsiasi genere, di strumenti ed oggetti comunque idonei ad offendere, nonché manifestazione di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili recanti espressioni oscene, oltraggiose, minacciose o incitanti alla violenza. Cori, grida ed ogni altra manifestazione comunque oscena, oltraggiosa, minacciosa o incitante alla violenza.

della gara: ammenda. giornate. Mancato avvertimento del pubblico delle sanzioni prima della gara: ammenda.

Art. 12 comma 5

Prevenzione di fatti violenti: dichiarazioni e comportamenti dei dirigenti, soci di associazione e tesserati che in qualunque modo possano contribuire a determinare fatti di violenza o ne costituiscano apologia.

▪ La responsabilità della società concorre con quella della persona fisica autrice delle dichiarazioni. Sanzione ammenda con diffida nella misura prevista per le violazioni del comma 1 dell’art. 12. Per il settore professionistico oltre all’ammenda si applicano agli autori: inibizione temporanea, squalifica a tempo determinato, divieto di accedere agli stadi. Per le società non appartenenti al settore professionistico, ferme restando le altre sanzioni, si applica un’ammenda da euro 1000,00 ad euro 15.000,00.

▪ La responsabilità della società concorre con quella della persona fisica autrice delle dichiarazioni. Sanzione ammenda con diffida nella misura prevista per le violazioni del comma 1 dell’art. 12. Per le società non appartenenti al settore professionistico, ferme restando le altre sanzioni, si applica un’ammenda da euro 500,00 ad euro 15.000,00. Oltre all’ammenda per le società, si applicano agli autori: inibizione temporanea, squalifica a tempo determinato, divieto di accedere agli stadi.

Art. 12 comma 7

Prevenzione di fatti violenti: comportamenti o dichiarazioni idonei a costituire incitamento alla violenza, resi agli organi di stampa, anche a mezzo televisivo o radiofonico.

▪ Ai dirigenti, soci e tesserati si applicano, anche cumulativamente, le sanzioni dell’ammenda e del divieto di accedere agli stadi in cui si svolgono manifestazioni calcistiche.

▪ Invariate.

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Art. 14 comma 1

Responsabilità delle società per fatti violenti dei sostenitori.

▪ Sanzione dell’ammenda con eventuale diffida: da euro 10.000,00 ad euro 50.000,00 per le società di serie A, da euro 6.000,00 ad euro 50.000,00 per le società di serie B, da euro 3.000,00 ad euro 50.000,00 per le società di serie C. Se la società è già stata diffidata, o in caso di fatti particolarmente gravi è inflitta inoltre la squalifica del campo. Se la società è già stata sanzionata più volte la squalifica, congiunta all’ammenda non può essere inferiore a due giornate. Per le società non appartenenti al settore professionistico si applica la sanzione dell’ammenda da euro 1.000,00 ad euro 15.000,00. Nei casi più gravi può essere inflitta la sanzione della penalizzazione di uno o più punti in classifica.

▪ Sanzione dell’ammenda con eventuale diffida: da euro 10.000,00 ad euro 50.000,00 per le società di serie A, da euro 6.000,00 ad euro 50.000,00 per le società di serie B, da euro 3.000,00 ad euro 50.000,00 per le società di serie C. Se la società è già stata diffidata, o in caso di fatti particolarmente gravi è inflitta inoltre l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse, l’obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori, la squalifica del campo. Se la società è già stata sanzionata più volte la squalifica, congiunta all’ammenda non può essere inferiore a due giornate. Per le società non appartenenti al settore professionistico si applica la sanzione dell’ammenda da euro 5.000,00 ad euro 15.000,00. Nei casi più gravi può essere inflitta la sanzione della penalizzazione di uno o più punti in classifica.

Art. 14 comma 4

Responsabilità delle società per fatti violenti dei sostenitori: recidiva per fatti commessi in violazione dell’articolo 12 comma 5.

▪ Sanzione dell’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse o squalifica del campo per una o più giornate.

▪ Sanzione squalifica del campo per una o più giornate.

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Art. 15

Violazione della clausola compromissoria.

▪ Sanzioni: penalizzazione di almeno tre punti in classifica per le società e le associazioni; inibizione o squalifica non inferiore a sei mesi per i calciatori e gli allenatori, e ad anni uno per tutte le altre persone fisiche. In caso di persistenza nella violazione successivamente all’erogazione delle sanzioni: diffida con termine di 20 giorni, ridotto d’urgenza a dieci giorni per rinunciare ad ogni azione intrapresa. In caso di mancata ottemperanza; penalizzazione di un punto in classifica per le società e le associazioni, inibizione o squalifica non inferiore a mesi due per i calciatori e gli allenatori e a quattro mesi per le altre persone fisiche.

▪ Sanzioni: penalizzazione di almeno tre punti in classifica per le società e le associazioni; inibizione o squalifica non inferiore a sei mesi per i calciatori e gli allenatori, e ad anni uno per tutte le altre persone fisiche. In ogni caso, in aggiunta a tali sanzioni deve essere irrogata un’ammenda pari a: società di serie A da euro 20.000,00 ad euro 50.000,00, società di serie B da euro 15.000,00 ad euro 50.000,00, serie C da euro 10.000,00 ad euro 50.000,00, per le altre società da euro 500,00 ad euro 20.000,00; per persone fisiche appartenenti al settore professionistico LNP da euro 10.000,00 ad euro 50.000,00, LPSC da euro 5.000,00 ad euro 50.000,00, dilettanti da euro 500,00 ad euro 20.000,00. in caso di ricorso all’autorità giudiziaria in materie riservate alla giustizia sportiva le sanzioni si applicano nella misura del doppio.

Un commento particolare merita l’inasprimento delle sanzioni per la violazione della clausola

compromissoria. Accanto alla penalizzazione di punti in classifica per le società ed alla squalifica di

almeno sei mesi per le persone fisiche vengono infatti disposte sanzioni pecuniarie ingenti (23).

E’ previsto altresì che tali sanzioni si applichino nella misura del doppio se il ricorso

all’autorità giudiziaria avviene con riferimento a provvedimenti riservati alla giurisdizione sportiva

in forza del principio di autonomia.

23Vedi le cifre indicate nella tabella che precede, in questo stesso paragrafo.

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Il nuovo articolo 15 non permette tuttavia di capire quali siano le eventuali violazioni che

provochino l’applicazione delle sanzioni ordinarie o quelle aggravate nella misura del doppio.

Ciò è anche causato dal fatto che non è sempre chiaro quali siano gli argomenti riservati alla

giurisdizione sportiva. La legge 280/2003 non è chiara in merito e ad oggi la dottrina è ancora

divisa sul punto.

La riforma in ogni caso raggiunge l’obiettivo di disincentivare ancora di più il ricorso da parte

dei soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo all’autorità giurisdizionale dello Stato. Tale

circostanza non può considerarsi del tutto positiva.

Se infatti da un lato l’aggravio delle sanzioni eviterà che i giudici statali vengano aditi

pretestuosamente, dall’altro renderà ancor più onerosi i ricorsi fondati, specie in materie come

quello di diritto del lavoro ove la tutela dell’ordinamento statale è in alcuni casi indispensabile per

assicurare il rispetto di alcune disposizioni inderogabili della legislazione lavoristica non ancora

riconosciute dalle norme federali.

III. Gli Organi di Giustizia Sportiva.

Il nuovo CGS presenta gli elementi di maggior innovazione nella parte inerente agli organi di

giustizia sportiva. L’organizzazione della giustizia federale viene infatti semplificata mediante

l’eliminazione di un grado di giudizio in tutti i procedimenti.

La Commissione d’Appello Federale e la Corte di Giustizia scompaiono a favore della Corte

di Giustizia Federale, composta da cinque sezioni con competenze mutuate da entrambi gli organi

di giustizia sostituiti. L’Ufficio Indagini e la Procura Federale vengono unificati in un unico organo,

con funzioni sia inquirenti sia requirenti, che prende il nome di nuova Procura Federale.

Per quanto riguarda i principi alla base del funzionamento degli organi di giustizia sportiva,

oltre all’indipendenza, all’autonomia ed alla terzietà viene aggiunto il principio di riservatezza. I

componenti non possono pertanto rilasciare dichiarazioni agli organi di stampa su procedimenti in

corso, a pena di sottoposizione a procedimento disciplinare.

Nei confronti dei medesimi viene stabilita altresì l’applicazione delle norme di astensione e

ricusazione previste dal codice di procedura civile.

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Riassumiamo di seguito la competenza e le funzioni dei nuovi organi:

GIUDICI SPORTIVI NAZIONALI GIUDICI SPORTIVI TERRITORIALI

Competenti in 1° grado per le controversie riferite alle competizioni nazionali ed alle competizioni nazionali organizzate dalla Lega Nazionale Dilettanti.

Competenti in 1° grado per le controversie riferite alle competizioni territoriali.

▪ Giudicano in prima istanza in ordine ai fatti avvenuti nel corso dei campionati di competenza.

▪ Giudicano in prima istanza sulla regolarità dello svolgimento delle gare, con esclusione dei fatti che investono decisioni di natura tecnica o disciplinare adottate in campo dall’arbitro o che siano devoluti alla esclusiva discrezionalità tecnica di questi.

▪ Giudicano in prima istanza sulla regolarità del campo da gioco.

▪ Giudicano in prima istanza sulla posizione irregolare dei calciatori e degli assistenti di parte impiegati nelle gare.

COMMISSIONE DISCIPLINARE NAZIONALE

E’ composta da almeno quindici componenti e giudica con tre componenti, salvo i casi di maggiore complessità ove giudica con cinque componenti.

E’ giudice di 1° grado:

▪ nei procedimenti instaurati su deferimento del Procuratore federale per i campionati e le competizioni a livello nazionale;

▪ per le questioni che riguardano più ambiti territoriali;

▪ per i procedimenti disciplinari riguardanti i dirigenti federali;

▪ per i procedimenti disciplinari avverso gli appartenenti all’AIA che svolgono attività in ambito nazionale.

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E’ giudice di 2° grado:

▪ nei ricorsi avverso le decisioni delle commissioni disciplinari territoriali nei procedimenti instaurati su deferimento del Procuratore federale;

COMMISSIONI DISCIPLINARI TERRITORIALI

Sono composte da almeno sette componenti e giudicano con la presenza di tre componenti.

Sono giudice di 1° grado:

▪ nei procedimenti instaurati su deferimento del procuratore federale per i campionati e le competizioni di livello territoriale;

▪ nelle altre materie previste dalle norme federali.

Sono giudice di 2° grado:

▪ nei ricorsi avverso le decisioni dei giudici sportivi territoriali, salvo art. 44 comma 1.

CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE

E’ composta da almeno cinquanta componenti, si articola in quattro sezioni giudicanti ed una sezione consultiva. Le sezioni con funzione giudicante giudicano con 5 componenti, tranne i casi per i procedimenti riuniti (sette componenti) e gli appelli delle decisioni degli organi nazionali (tre componenti). La sezione con funzione consultiva decide con sette componenti.

E’ giudice di 2° grado:

▪ nei ricorsi avverso le decisioni dei Giudici Sportivi Nazionali e della Commissione Disciplinare Nazionale;

▪ su ricorso del Presidente Federale giudica in 2° grado avverso le decisioni adottate dai Giudici Sportivi Territoriali e dalla Commissione Disciplinare Territoriale.

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E’ inoltre competente a giudicare:

▪ su richiesta del Procuratore Federale giudica in ordine alla sussistenza dei requisiti di eleggibilità dei candidati alle cariche federali ed alla incompatibilità dei dirigenti federali;

▪ su richiesta del Presidente Federale interpreta le norme statutarie e le altre norme federali se non si tratta di questioni già all’esame di organi di giustizia sportiva;

▪ esercita le altre competenze previste dalle norme federali (es. art. 40, comma 2, proroga del termine per la conclusione delle indagini della Procura federale; art. 41, comma 1, decisione definitiva in merito al conflitto di competenza tra i diversi organi di giustizia sportiva all’interno del procedimento per illecito sportivo e per violazioni in materia gestionale ed economica).

COMMISSIONE TESSERAMENTI

E’ composta da un Presidente, tre Vice-presidenti ed almeno quattro componenti. Giudica con la presenza del Presidente o di un Vice-presidente e di quattro componenti.

E’ giudice di 1° grado:

▪ in merito a tutte le controversie inerenti ai tesseramenti, ai trasferimenti ed agli svincoli dei calciatori.

COMMISSIONE VERTENZE ECONOMICHE

E’ composta da un Presidente, un Vice-presidente ed almeno quattro componenti. Giudica con la presenza del presidente o del Vice-presidente e di quattro componenti.

E’ giudice di 1° grado:

▪ nelle controversie di natura economica tra le società, comprese quelle di risarcimento danni di cui all’art. 14;

▪ nelle controversie inerenti al Premio di addestramento e formazione tecnica (art. 99 NOIF);

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▪ nelle controversie inerenti al Premio alla carriera (art. 99 bis NOIF).

E’ giudice di 2° grado:

▪ nelle controversie inerenti al Premio di preparazione (art. 96 NOIF);

▪ nelle controversie inerenti le indennità, i rimborsi ed i premi per calciatori dei campionati nazionali LND (art. 94 ter NOIF).

Semplificando il sistema previsto per le impugnazioni è possibile evidenziare le seguenti

competenze per il secondo grado di giudizio:

PRIMO GRADO.1 .2SECONDO GRADO

▪ Giudice Sportivo Territoriale

▪ Commissione Disciplinare Territoriale

▪ Giudice Sportivo Nazionale

▪ Commissione Disciplinare Nazionale

▪ Commissione Tesseramenti

▪ Commissione Vertenze Economiche

▪ Commissione Disciplinare Territoriale

▪ Commissione Disciplinare Nazionale

▪ Corte di Giustizia Federale

▪ Corte di Giustizia Federale

▪ Corte di Giustizia Federale

▪ Corte di Giustizia Federale

Da considerare con particolare attenzione è altresì la possibilità per il Presidente Federale di

impugnare le decisioni dei giudici sportivi territoriali e nazionali, nonché della commissione

disciplinare territoriale, dinanzi alla Corte di Giustizia Federale ai sensi dell’art. 31 comma 1 lett.

b).

Ad oggi non è dato sapere come tale possibilità di impugnazione debba coordinarsi con

l’impugnazione ordinaria stabilita per le parti.

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IV. Le norme procedurali.

IV. 1 Procedimento disciplinare

Il nuovo CGS mantiene l’impostazione procedurale del testo ante riforma, proponendo alcune

modifiche.

Si segnala solo un cambiamento in materia di termini per la proposizione dei reclami. Dinanzi

ai giudici sportivi i termini per la trasmissione delle motivazioni dei reclami passano da sette giorni

a tre giorni (24). Si accresce così la rapidità dello svolgimento dei procedimenti dinanzi al giudice

sportivo, con un immediato effetto positivo con riferimento alla certezza del risultato delle gare in

campionato, principio a cui il legislatore sportivo dedica particolare attenzione.

Per quanto riguarda le disposizioni per il procedimento disciplinare in generale, il nuovo CGS

precisa che la tassa reclamo deve essere versata entro l’inizio della prima udienza di trattazione (art.

33 comma 8). In merito alle irregolarità formali relative alla sottoscrizione dei reclami e dei ricorsi,

nonché della delega, precisa inoltre che tali irregolarità sono sanabili sino al momento del

trattenimento in decisione dei ricorsi e dei reclami di riferimento. Resta invece invariata la

disposizione secondo cui le irregolarità procedurali che rendano inammissibile il reclamo possano

essere sanate con i reclami di successiva istanza.

Viene precisato altresì che le decisioni degli organi di giustizia sportiva devono essere

motivate in modo sintetico, come già avveniva nella prassi, e pubblicate nelle loro integrità. Si

formalizza anche un’abitudine già radicata presso gli organi di giustizia sportiva, ovvero quella di

redigere un apposito verbale in forma scritta per ogni riunione (25).

Il nuovo articolo 35 CGS affronta l’argomento dei mezzi di prova e delle formalità

procedurali. Il legislatore sportivo integra il testo ante riforma con la precisazione che, oltre ai

mezzi di prova già ammessi in precedenza, gli organi di giustizia sportiva possono utilizzare ai fini

del decidere altri mezzi di prova non espressamente elencati, a condizione che offrano piena

garanzia tecnica o documentale.

Da tale espressione sembrerebbero esclusi i mezzi di prova quali riprese televisive o altri

filmati, poiché il loro utilizzo viene disciplinato da apposite disposizioni (26).

24Cfr. art. 29 comma 4 lett. b), art. 29 comma 6 lett. b), art. 29 comma 8 lett. b), Nuovo Codice di Giustizia Sportiva .25Cfr. art. 34, comma 3, nuovo Codice di Giustizia Sportiva. 26Cfr. art. 35, comma 1.2, 1.3, 1.4. e 1.5, nuovo Codice di Giustizia Sportiva.

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La medesima osservazione vale per gli altri “mezzi di prova che offrano piena garanzia

tecnica e documentale” di cui al punto 2.1, 3.1 e 4.1 del medesimo articolo 35.

Per i procedimenti di seconda istanza dinanzi alle commissioni disciplinari regolamentati

dall’articolo 36, il nuovo CGS mantiene invariata la stessa impostazione procedurale ante riforma.

Si segnala tuttavia l’abrogazione i commi 8 e 9 dell’articolo 36, inerente al procedimento d’urgenza,

avvenuta dopo l’entrata in vigore del nuovo CGS(27).

Ad oggi è pertanto possibile ricorrere dinanzi alle commissioni disciplinari avverso le

decisioni di primo grado inerenti al regolare svolgimento delle gare, alla regolarità del campo da

gioco, alla posizione irregolare dei calciatori e/o degli assistenti di parte sono utilizzando il

procedimento ordinario.

Per il procedimento dinanzi alla nuova Corte di Giustizia Federale il nuovo CGS propone

l’impostazione procedurale dei ricorsi alla Commissione d’Appello Federale, con l’abrogazione dei

particolari motivi di impugnazione descritti nell’art. 33 comma 1 previgente (28), che limitavano il

ricorso al terzo grado di giudizio.

Una novità è invece la possibilità di richiedere il procedimento d’urgenza dinanzi alla Corte di

Giustizia Federale: il reclamo deve essere presentato entro le ore 12 del giorno feriale successivo a

quello di pubblicazione della decisione che si intende impugnare (29). Le motivazioni del reclamo

possono essere depositate fino al dibattimento.

Maggiore sintesi e chiarezza caratterizza la disciplina inerente alle modalità di trasmissione

degli atti di cui all’articolo 38 del nuovo CGS.

Il testo previgente (art. 34) presentava un discreto margine di incertezza nell’indicare come in

concreto dovessero venire trasmessi gli atti ai tesserati.

Tale lacuna viene superata con l’introduzione del comma 8 del nuovo art. 38 in cui si

stabilisce che la comunicazione ai tesserati deve essere effettuata:

a) nel domicilio eletto, se formalmente comunicato,

b) presso la sede della società per cui il soggetto è tesserato al momento dell’instaurazione del

procedimento,

27Vedi Comunicato Ufficiale n. 28/A del 21 settembre 2007, in www.figc.it.28Cfr. art. 33, comma 1, Codice di Giustizia Sportiva ante riforma: le decisioni delle Commissioni disciplinari possono essere impugnate con ricorso alla CAF: a) per motivi attinenti alla competenza, salvo i conflitti di competenza rimessi alla Corte federale ai sensi dell’art. 32 dello Statuto; b) per violazione o falsa applicazione delle norme contenute nello Statuto, nel Codice di Giustizia Sportiva, nelle ONIF e negli altri Regolamenti adottati dal Consiglio federale; c) per omessa o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio; d) per questioni attinenti al merito della controversia quando la CAF viene adita come giudice di secondo grado in materia di illecito e nelle altre materie normativamente indicate; e) dal presidente federale.29Cfr. art. 37, comma 7, nuovo Codice di Giustizia Sportiva.

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c) presso la sede della società per cui il soggetto è tesserato al momento della commissione

del fatto,

d) presso la residenza o il domicilio del tesserato. Non viene precisato tuttavia se le modalità

elencate siano alternative tra loro o se debbano essere utilizzate tutte nell’ordine fino all’effettivo

riscontro di ricezione positivo dell’atto da trasmettere.

In caso di irreperibilità del tesserato è prevista inoltre una modalità di trasmissione residuale:

la comunicazione si eseguirà mediante pubblicazione su comunicato ufficiale da affliggersi presso

la sede della FIGC o delle Leghe e si considererà effettuata trascorsi 10 giorni dalla sua

pubblicazione.

Il nuovo CGS conferma l’istituto della revocazione per le decisioni definitive, lasciandone

invariata la disciplina, ed introduce l’istituto della “revisione”.

Viene stabilito che “la Corte può disporre la revisione di decisioni irrevocabili se, dopo la

decisione di condanna, sopravvengono o si scoprono nuove prove che sole o unite a quelle già

valutate dimostrino che il sanzionato doveva essere prosciolto”(30).

IV. 2 Procedimento per illecito sportivo e per violazioni in materia gestionale ed economica.

La fase istruttoria del procedimento per illecito sportivo e per violazioni in materia gestionale

ed economica gli artt. 40 e ss. del nuovo CGS non viene innovata rispetto al testo previgente.

Da segnalare che, a causa dell’incorporazione dell’Ufficio Indagini all’interno della Procura

federale, la fase istruttoria viene ovviamente gestita per intero dalla Procura.

Al termine della fase investigativa quest’ultima deciderà se procedere o se archiviare il caso.

Sono invariati i termini per la conclusione delle indagini, che devono essere portate a

compimento prima dell’inizio della stagione sportiva successiva a quella in cui sono iniziate, salvo

proroga eccezionale.

A differenza della disciplina ante riforma, la proroga deve tuttavia venire concessa dalla

sezione consultiva della Corte di Giustizia Federale e non più dal Presidente federale (31).

30Cfr. art. 39, comma 2, nuovo Codice di Giustizia Sportiva. 31Cfr. art. 40 comma 2, nuovo Codice di Giustizia Sportiva.

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Per quanto riguarda i conflitti di competenza degli organi di giustizia sportiva, l’art. 41

stabilisce che nel caso in cui i soggetti deferiti appartengano a comitati territoriali differenti, la

competenza per territorio è determinata dal luogo dove è stato commesso l’illecito.

Nel caso di conflitto “gerarchico”, tra organi territoriali ed organi nazionali, il medesimo

articolo stabilisce che la competenza della Commissione Disciplinare Nazionale prevale su quella

della Commissione Disciplinare Territoriale.

Per i casi ove queste disposizioni non siano sufficienti a dirimere ogni dubbio sulla

competenza, l’art. 41 precisa che è compito della Corte di Giustizia Federale determinarla in via

definitiva.

IV. 3 Procedimenti in ambito regionale della Lega Nazionale Dilettanti e del settore per

l’attività giovanile e scolastica.

Riassumiamo in una tabella la competenza degli organi di giustizia sportiva in primo ed in

secondo grado:

Procedimento disciplinare, infrazioni riguardanti l’attività agonistica.

Primo grado Secondo grado

Giudice sportivo presso i Comitati Regionali, Provinciali e Locali.

Commissione Disciplinare Territoriale.

Procedimento per illecito sportivo (32) e posizione irregolare di tesserati in una gara (33).

32Cfr. art. 40 comma 5 e comma 6, nuovo Codice di Giustizia Sportiva. Il comma 6 stabilisce un’eccezione alla competenza della Commissione Disciplinare Territoriale in primo grado: “le infrazioni che comportano un deferimento da parte della Procura Federale o del Presidente del Comitato Regionale sono giudicate dalla Commissione Disciplinare Territoriale, salvo il ricorso alla Commissione Disciplinare Nazionale”.33Cfr. art. 46, comma 3, nuovo Codice di Giustizia Sportiva. I reclami devono essere proposti, come in precedenza, entro sette giorni dallo svolgimento della gara. Nelle gare di play-off e play-out il reclamo con la tassa e le relative motivazioni deve essere effettuato entro le ore 24.00 del giorno successivo alla gara. Viene abrogato il comma 4 dell’art. 42 testo ante riforma (ora art. 46) che prevedeva la possibilità di deferimento da parte degli organi direttivi delle leghe, dei Comitati e delle Divisioni avverso la posizione irregolare di calciatori nei sette giorni successivi alla gara (o entro le ore 24.00 del giorno successivo in caso di gare play-off e play-out).

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Primo grado

Commissione Disciplinare Territoriale. Commissione Disciplinare Nazionale.

In merito al procedimento, si segnala l’abrogazione dei commi 8 e 9 del testo CGS ante

riforma (34).

Cambiano inoltre i termini per la proposizione dei ricorsi di secondo grado: non più dieci, ma

sette giorni dalla data di pubblicazione del Comunicato Ufficiale con il quale è stata resa nota la

decisione che si intende impugnare.

IV. 4 Commissione Tesseramenti e Commissione Vertenze Economiche.

Sostanzialmente invariate le norme procedurali. L’impugnazione delle loro decisioni può

avvenire dinanzi alla Corte di Giustizia Federale, come in precedenza accennato.

Conclusioni.

La necessità di un sistema di risoluzione delle controversie che fosse autonomo da quello

dell’ordinamento statale era nata, com’è noto, per le fondamentali esigenze di rapidità nello

34Cfr. art 40, comma 8 e 9, Codice di Giustizia Sportiva ante riforma: “8. Non è ammesso reclamo alla C.A.F. avverso le decisioni di carattere tecnico disciplinare in ordine alla regolarità ed allo svolgimento delle gare per l’attività ricreativa ed amatoriale di cui all’art. 33 del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti. 9. I presidenti dei comitati Regionali possono richiamare gli atti dei procedimenti di primo grado svolti innanzi ai giudici sportivi dei Comitati Provinciali o Locali quando ritengono che i provvedimenti adottati siano incongrui, illegittimi o comunque irregolari. I Presidenti possono accertare la nullità dei procedimenti di primo grado e di conseguenza investirne, con l’osservanza delle norme di procedura previste dal presente Codice, la Commissione Disciplinare o il Giudice Sportivo di 2° grado per il settore per l’attività giovanile e scolastica per un nuovo giudizio di primo grado, avverso il quale le parti possono ricorrere in seconda ed ultima istanza alla C.A.F. Tale facoltà si esercita entro il trentesimo giorno dalla data in cui è stato pubblicato il comunicato ufficiale con il quale è stato reso noto il provvedimento impugnato. La tassa non è dovuta.”

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La riforma della c.d ………

svolgimento dei procedimenti, nonché di specializzazione degli organi giudicanti alle questioni

sportive.

Tali esigenze appaiono tutelate dal nuovo testo attualmente in vigore che ha semplificato

l’organizzazione della giustizia eliminando un grado di giudizio e riorganizzando le competenze di

ciascun organo di giustizia sportiva (35). Alcuni termini per la presentazione dei reclami e dei ricorsi

sono stati abbreviati per una maggiore celerità del procedimento(36), con significativi vantaggi per

la certezza del risultato delle competizioni in corso di campionato.

Dall’esame delle modifiche introdotte, il legislatore sportivo è apparso consapevole del ruolo

chiave della normativa e delle difficoltà interpretative spesso incontrate dagli interpreti. Anche nelle

parti in cui ha mantenuto l’impostazione del testo previgente ha infatti fornito alcune precisazioni

per facilitare l’interpretazione delle disposizioni.

Dinanzi ad una struttura disciplinare sostanziale essenzialmente invariata, se non per

l’introduzione di divieti quali ad esempio la c.d. associazione finalizzata al compimento di illeciti

(37) che costituiscono l’immediata reazione allo scandalo c.d. “moggiopoli/calciocaos”, il legislatore

sportivo ha poi ritoccato le sanzioni previste, aggravandone l’afflittività in alcuni casi e precisando

sovente il minimo ed il massimo della sanzione per limitare la discrezionalità degli organi

giudicanti (38).

Un ulteriore punto a favore è rappresentato dal nuovo art. 43 CGS: ogni due anni le norme

del CGS saranno sottoposte a verifica al fine di accertarne la funzionalità effettiva e l’efficienza,

anche tenendo conto dei pareri e delle proposte formulate dalla commissione di garanzia della

giustizia sportiva.

Il legislatore sportivo appare quindi cosciente della necessità di adeguare e perfezionare la

normativa sulla base dei punti critici che la sua applicazione evidenzierà nel corso degli anni.

La riforma presenta quindi buoni spunti per una migliore organizzazione della giustizia

sportiva dell’ordinamento federale calcistico, anche se non mancano elementi di criticità. Un

riferimento in tal senso va effettuato per le sanzioni disciplinari introdotte per la risoluzione

anticipata dei contratti di prestazione sportiva o per la mancata esecuzione dei medesimi senza

35Si richiamano le osservazioni del paragrafo III, in questo testo. 36Si richiamano le osservazioni del paragrafo IV, in questo testo, nonché gli articoli 29 e 46, comma1 del nuovo Codice di Giustizia Sportiva.37Cfr. art. 9, nuovo Codice di Giustizia Sportiva. 38Per un confronto delle sanzioni disciplinari, si richiama il paragrafo II in questo testo.

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La riforma della c.d ………

giusta causa, pur non essendo quest’ultima possibilità ancora riconosciuta a livello regolamentare,

ma solo affermata da parte della dottrina.

Tali sanzioni potrebbero infatti ledere i diritti fondamentali, quali il diritto di recesso, che il

diritto comune riconosce ai lavoratori. Anche il consistente aggravio delle sanzioni previste per la

violazione della clausola compromissoria non risolve, né aiuta a chiarire le questioni sottoposte in

via esclusiva alla giurisdizione sportiva e quelle che invece sono comunque rilevanti per

l’ordinamento statale.

E’ comunque auspicabile che anche tali elementi di criticità trovino in tempi brevi

un’adeguata soluzione a livello normativo.

(*) Praticante Avvocato

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La valutazione dell’economicità………

LA VALUTAZIONE DELL’ ECONOMICITA’ DELLE SOCIETA’

DI CALCIO PROFESSIONISTICHE ATTRAVERSO I NUOVI

INDICATORI PREVISTI DALLE NOIF

di Moreno Mancin (*)

SOMMARIO:

1. Le norme federali sulla vigilanza dell’equilibrio gestionale delle società di calcio

2. Gli indicatori di bilancio monitorati dalla Covisoc sino alla stagione 2006/7

3. Il nuovo indicatore “VP/DF” in vigore dalla stagione 2007/8

4. La necessità di introdurre un nuovo sistema di indicatori: una proposta operativa

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1. Le norme federali sulla vigilanza dell’equilibrio gestionale delle società di calcio

Le Norme Organizzative Interne Federali (NOIF) costituiscono il corpus normativo alla base

della organizzazione della FIGC e delle società di calcio che partecipano ai campionati ufficiali

istituiti dalle varie Leghe che la compongono.

Una specifica sezione delle NOIF – il Titolo VI, denominato “Controlli sulla gestione

economico finanziaria delle leghe e delle società professionistiche” – è dedicata all’attività di

vigilanza sulla dimensione economica e gestionale delle società di calcio professionistiche,

demandata ex lege alla stessa FIGC.

L’esistenza di queste norme, infatti, trova giustificazione nell’art. 12 della legge 91/81 che

impone l’obbligo, in capo alle singole Federazioni, di vigilare in ordine all’equilibrio finanziario

delle società sportive, al fine di garantire il corretto svolgimento dei campionati professionistici.

L’articolo 78 delle NOIF ha attribuito tali funzioni alla Commissione di Vigilanza sulle Società di

Calcio Professionistiche (Covisoc) la quale, per conto della FIGC, ha il compito di svolgere:

- attività consultive in ordine ai sistemi e alle modalità di controllo sulla gestione delle società

di calcio professionistiche (art. 79 NOIF);

- attività di controllo sull’equilibrio economico – finanziario delle società di calcio (art. 80

NOIF);

- ispezioni e controlli (art. 87 NOIF), mediante verifiche presso le sedi delle società o la

convocazione dei componenti degli organi di gestione, amministrazione e vigilanza delle singole

società.

Al fine di consentire una maggiore efficacia alle sue decisioni, le Norme organizzative –

proprio con riferimento all’attività di controllo sulla gestione – attribuiscono alla Covisoc i seguenti

poteri sanzionatori:

possibilità di infliggere ammende e di sospendere l’erogazione dei contributi federali in caso

di violazione dell’obbligo di invio di dati e dei documenti stabiliti dagli art. 80 e 85 delle NOIF.

Le informazioni richieste si sostanziano in una serie di documenti contabili, le cui modalità di

trasmissione sono specificatamente descritte dalle stesse norme federali1;

1 Le società appartenenti alla Lega Nazionale Professionisti devono periodicamente trasmettere alla Covisoc, secondo l’attuale versione dell’art. 85, i seguenti documenti: bilancio di esercizio (e, se redatto, bilancio consolidato), relazione semestrale, budget economico-finanziario predisposto sulla base delle indicazioni del Manuale delle Licenze UEFA, report consuntivo indicando le cause di scostamento dal budget, documentazione attestante l’avvenuto pagamento degli emolumenti, delle ritenute e contributi dovuti all’Erario e agli Enti previdenziali, prospetto attestante il valore dell’indicatore VP/DF (vedi punto successivo).

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esclusione dalle operazioni di compravendita di diritti alle prestazioni sportive a chi non

rispetta il limite minimo di 3,5 previsto per il nuovo parametro “Valore della produzione/Debiti

finanziari” (VP/DF)2.

Proprio con riguardo a tale parametro, le società della Lega Nazionale Professionisti, entro

sessanta giorni dalla fine di ciascun trimestre dell’esercizio, devono depositare presso la Covisoc il

“Prospetto VP/DF” con indicazione del rapporto “Valore della Produzione/Debiti Finanziari”,

calcolato sulla base delle risultanze contabili del periodo. La misura minima del rapporto VP/DF è

stabilita annualmente dal Consiglio Federale su proposta della Covisoc.

Questo indicatore costituisce una novità rilevante rispetto al sistema di controlli in vigore sino

alla stagione precedente. Come vedremo tra breve, la vigilanza preventiva sull’equilibrio

economico-finanziario era storicamente realizzata attraverso la verifica di una serie di altri

indicatori, tra cui spiccava il rapporto Ricavi/Indebitamento (RI), in vigore da oltre vent’anni.

L’abbandono di tale indicatore, a favore del nuovo parametro VP/DF, appare pertanto un evento

piuttosto significativo, meritevole di alcune riflessioni soprattutto per quanto concerne le

ripercussioni che tale cambiamento ha prodotto sul giudizio che la stessa Covisoc è tenuta a fornire

periodicamente sull’economicità delle società professionistiche di serie A e B.

Siamo dell’avviso, infatti, che tale cambiamento non solo ha indebolito il già fragile sistema

di vigilanza sulla gestione delle società di calcio – riducendo da tre ad uno gli indicatori di gestione

monitorati – ma addirittura ha consentito un generale allentamento delle soglie da rispettare,

arrivando a considerare in equilibrio, società che non avrebbero superato il sistema di controlli in

vigore sino alla stagione 2006/7.

Il prosieguo del lavoro sarà, pertanto, dedicato allo studio del significato e della

composizione del rapporto VP/DF, nonché all’analisi degli indicatori precedentemente in vigore, nel

tentativo di mettere in evidenza i principali cambiamenti intervenuti in questo passaggio.

Alla luce delle considerazioni che emergono da questo confronto, si è dedicata l’ultima parte

del presente contributo alla costruzione di una proposta di indicatori finalizzata a superare le

carenze osservate su questo fronte, nel tentativo di rafforzare e rendere più esaustiva l’attività di

vigilanza sulla situazione economico-finanziaria delle società di calcio professionistiche.

2 Le società non vengono escluse dal calcio mercato nel caso in cui le stesse operazioni trovino piena copertura a) in contratti di cessione calciatori con altre società affiliate alla FIGC., precedentemente o contestualmente depositati; b) mediante incremento di mezzi propri da effettuarsi con versamenti in conto futuro aumento di capitale, nella forma dell’aumento di capitale o, infine, con finanziamenti postergati e infruttiferi dei soci (art. 90 c. 4).

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2. Gli indicatori di bilancio monitorati dalla Covisoc sino alla stagione 2006/7

Nel sistema di controlli precedentemente in vigore, le società – entro quarantacinque giorni

dalla fine di ciascun trimestre dell’esercizio – erano tenute a far pervenire alla Covisoc il “prospetto

RI” con l’indicazione del rapporto “Ricavi/Indebitamento” calcolato con le modalità previste dalla

antecedente versione dell’art. 85 NOIF3. Analogamente, entro quarantacinque giorni dalla fine di

ciascun semestre dell’esercizio, le stesse erano tenute a inviare alla Covisoc il “prospetto PA”, con

l’indicazione del rapporto “Patrimonio netto contabile/Attivo patrimoniale”4. Nel “prospetto PA”,

inoltre, le società dovevano evidenziare un distinto “prospetto PD”, riferito al solo attivo

patrimoniale costituito dai beni immateriali relativi ai Diritti alle prestazioni dei calciatori (DPC),

con l’indicazione del rapporto “Patrimonio Netto contabile/Diritti pluriennali alle prestazioni dei

calciatori”5.

Pertanto, al di là dell’obbligo di presentazione del bilancio e della relazione semestrale – unici

documenti richiesti dalle NOIF sino alla stagione 2006/7 – il giudizio sull’equilibrio economico-

finanziario delle società di calcio era, sostanzialmente, demandato al rispetto di valori minimali

assunti dai tre seguenti indicatori:

3 Per la determinazione del rapporto “Ricavi/Indebitamento”, i ricavi da considerare ai fini del numeratore del rapporto coincidevano con quelli tratti dall’ultimo bilancio approvato. La verifica del parametro doveva essere effettuata sulla base dei seguenti ricavi: gli incassi lordi da gare, compresi gli abbonamenti ed i proventi da sponsorizzazioni; i proventi derivanti dalle convenzioni con Enti e società radio-televisive e altri relativi ad operazioni di pubblicità e concessioni varie; i ricavi, comprensivi delle plusvalenze da negoziazione dei diritti alle prestazioni dei calciatori (ivi compresi i premi di valorizzazione ed i proventi da compartecipazione) al netto delle perdite sopportate per il medesimo titolo; i ricavi derivanti dalla cessione temporanea del diritto alle prestazioni di calciatori al netto delle perdite sopportate per il medesimo titolo. Ad essi dovevano essere aggiunti i ricavi derivanti da contributi periodici, sia federali, sia dei soci, sia di Enti vari corrisposti con carattere di continuità da almeno tre esercizi. L'indebitamento da considerare ai fini del calcolo del denominatore del rapporto comprendeva tutti i debiti e gli impegni verso terzi di qualsiasi natura, fatta eccezione per debiti infruttiferi e postergati verso soci, nonché per debiti di compartecipazioni ex art. 102 bis, sino ad un importo corrispondente al valore delle stesse iscritte nell'attivo dello stato patrimoniale. I debiti verso l’Erario dovevano essere indicati al netto degli eventuali crediti compensabili entro i dodici mesi successivi alla data dell’insorgenza. In caso di rateizzazione dei debiti verso l’Erario e/o verso gli Enti Previdenziali, si teneva conto delle rate correnti nonché di quelle in scadenza nella stagione sportiva successiva. I debiti erano, inoltre, ridotti dell'ammontare delle attività finanziarie con scadenza non superiore a 12 mesi, risultanti nella contabilità sociale alle voci “Disponibilità liquide” e “Altri titoli”. Considerando le modalità di regolamento degli scambi tramite il sistema della “stanza di compensazione” regolato direttamente dalla Lega Professionisti – secondo il quale gli scambi tra società appartenenti alla stessa Lega sono regolati finanziariamente in maniera periodica versando il saldo netto risultante dalla differenza tra debiti per acquisti e crediti per cessioni di DPC, direttamente nei confronti della Lega e non tra club – erano compresi nell'indebitamento, se passivi – o portati a riduzione dell'indebitamento, se attivi – i saldi finanziari delle operazioni di trasferimento, tra società italiane, dei diritti alle prestazioni dei calciatori, inclusi gli impegni biennali.4 Per la determinazione del rapporto “patrimonio netto contabile/attivo patrimoniale”, le NOIF stabilivano all’art. 85 che il patrimonio netto contabile deve essere quello che risulta dalle scritture contabili alla voce patrimonio netto, compresi i finanziamenti dei soci postergati e detratti i crediti verso soci. L’attivo patrimoniale è dato, corrispondentemente, dalla somma delle voci immobilizzazioni, attivo circolante e ratei e risconti, risultanti dalla contabilità.5 Per la determinazione del rapporto “patrimonio netto contabile/ diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori”, fermo restando che il patrimonio netto contabile è quello che risulta dalle scritture contabili alla voce patrimonio netto, compresi i finanziamenti dei soci postergati e detratti i crediti verso soci, per “diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori” si intendevano quelli iscritti sotto tale voce nella contabilità sociale redatta sulla base del piano dei conti previsto dalle stesse NOIF nella precedente versione dell’articolo 84.

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Ricavi/Indebitamento (RI);

Patrimonio netto contabile/Attivo patrimoniale (PA);

Patrimonio netto contabile/Diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori (PD).

Per quel che riguarda il primo rapporto (RI), considerato il più importante e significativo tra

quelli monitorati, la soglia che le società di calcio erano tenute a rispettare era stabilita direttamente

dalle NOIF sempre all’art. 85, nella misura minima di 3. La determinazione del valore degli altri

due indicatori (PA e PD), invece, era demandato alla definizione periodica da parte del Consiglio

Federale, come previsto attualmente per il rapporto VP/DF. I limiti in questione erano fissati pari a

0,10 per il rapporto PA e pari a 0,25 per il rapporto PD6.

Per poter comprendere al meglio la rilevanza di questi indicatori, alla base del precedente

apparato di controlli previsto dalle norme federali, riteniamo opportuno svolgere qualche riflessione

sui seguenti aspetti:

significatività e limiti interpretativi degli indicatori individuati;

valenza delle soglie stabilite in ordine al rispetto dei requisiti minimi di equilibrio economico-

finanziario.

2.1 Significatività e limiti interpretativi

Il rapporto RI di cui non si trova traccia nella dottrina economico aziendale7 se non tra gli

autori che si sono interessati del settore calcistico8, ha costituito l’indicatore più importante e di più

lunga tradizione tra quelli previsti dalle NOIF. 6 Si rammenta che anche i relativi provvedimenti e le sanzioni comminate dalla Covisoc, risultavano prevalentemente agganciati – oltre al rispetto temporale negli adempimenti relativi alla consegna dei documenti stabiliti dalle NOIF – all’osservanza dei valori minimi appena individuati.7 Tra i vari autori che si sono espressi sui temi relativi all’analisi di bilancio, si segnalano: BRUNETTI G., La classificazione dei valori in bilancio e la tecnica dei flussi, in L’Impresa, a cura di ARDEMANI E., Vol. III, Giuffrè, Milano, 1984; BRUNETTI G, CODA V., FAVOTTO F., Analisi, previsioni, simulazioni economico-finanziarie d’impresa, Etas Libri, Milano, 1990; BRUNETTI G. CODA V., BERGAMIN BARBATO M., Indici di bilancio e flussi finanziari, Etas Libri, Milano, 1974; CARAMIELLO C., Indici di bilancio, Giuffrè, Milano, 1993; CATTANEO M., Analisi finanziaria e di bilancio, Etas Libri, Milano, 1976, CESCON F., L’analisi finanziaria nella gestione aziendale, UTET, Torino, 1995; FACCHINETTI I., Analisi di bilancio, Il Sole 24 ore, Milano, 2005; FERRERO G., DEZZANI F., PISONI P., PUDDU L., Le analisi di bilancio, Giuffrè, Milano, 1998; GABROVEC MEI O., Le analisi di bilancio condotte con le tecniche dei rapporti e dei flussi di fondi, Cluet Trieste, 1981; MANZONETTO P., Indicatori e indici nell’analisi di bilancio, F. Angeli, Milano, 1987; MELLA P., Indici di bilancio, Il Sole 24 Ore, Milano, 1995; OLIVOTTO L., La dinamica finanziaria di impresa, F. Angeli, Milano, 1987; PAGANELLI O., Analisi di bilancio. Indici e flussi, UTET, Torino, 1986; SOSTERO U., FERRARESE P., Analisi di bilancio, Giuffrè, Milano, 2000; TERZANI S., Le comparazioni di bilancio, Cedam, Padova, 1978; VERGARA C., Le rielaborazioni di bilancio per le analisi economico finanziarie, Giuffrè, Milano, 1992.8 Per quanto concerne la letteratura relativa all’analisi di bilancio delle società di calcio si rimanda a quanto riportato dai seguenti autori: DE VITA G., Il bilancio di esercizio nelle società di calcio professionistiche, Fondazione Artemio Franchi, Firenze, 1998, pp. 114-173, RUSCONI G., Il bilancio d’esercizio nell’economia delle società di calcio, Cacucci, Bari, 1990, pp. 151-240; TANZI A., Le società calcistiche. Implicazioni economiche di un “gioco”, Giappichelli, Torino, 1999, pp. 219-287, TEODORI C., L’economia ed il bilancio delle società sportive, Giappichelli, Torino, 1995, pp. 157-257.

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Questo rapporto, studia la relazione sussistente tra un valore economico di reddito positivo (i

ricavi) e un valore finanziario negativo (debiti), ravvisando una “potenziale” situazione di equilibrio

nel caso in cui tale indicatore presenti un rapporto minimo pari a 3.

L’indicatore RI, infatti, aveva l’obiettivo di fissare un limite massimo al valore

dell’indebitamento dell’impresa, parametrato sul volume di affari che lo stesso club è in grado di

realizzare. Il presupposto concettuale alla base di questo indice, pertanto, è che se una società

presenta un ammontare di ricavi pari al triplo del proprio indebitamento, sarà verosimilmente in

grado di generare flussi finanziari sufficienti a garantire il rispetto degli impegni verso terzi e,

conseguentemente, il mantenimento di condizioni di equilibrio finanziario, dinamico e strutturale9.

La particolare composizione dell’indice aveva, senza dubbio, il proposito di indurre le società

di calcio a contenere l’ammontare dell’indebitamento, proporzionandolo al volume di ricavi

generato. L’obiettivo perseguito dalla Covisoc è tutto sommato comprensibile: attraverso il rispetto

del rapporto RI si desiderava porre le premesse per una maggiore capitalizzazione dei club,

limitando la relativa esposizione finanziaria10. Attraverso questo indicatore, pertanto, la Covisoc ha

da sempre concentrato l’analisi dell’economicità aziendale sul fronte dell’equilibrio finanziario

della società di calcio, trascurando completamente l’osservazione dell’equilibrio economico della

gestione11.

Secondo questa chiave di lettura, nella composizione di RI, i ricavi posti al numeratore

svolgono una duplice funzione: da un lato, individuano il tetto entro il quale contenere

l’indebitamento, obiettivo primario dell’indice; dall’altro, identificano una proxy dei flussi

finanziari lordi generati dalla gestione operativa da correlare all’ammontare dell’indebitamento. Se

consideriamo, dunque, le grandezze che compongono l’indicatore in esame, esso presenta due

vantaggi immediati:

identifica il limite all’indebitamento attraverso un parametro interno dato dal volume di affari

generato.

9 Un’impresa può considerarsi in equilibrio finanziario strutturale in presenza di un limitato livello di indebitamento dell’impresa (rapporto tra debiti e patrimonio netto), di una coerenza tendenziale tra durata degli investimenti e scadenza delle fonti di finanziamento e di un costo medio dell’indebitamento “sostenibile”. Si parla, invece, di equilibrio finanziario dinamico quando l’impresa è in grado di generare fonti di finanziamento idonee a coprire i fabbisogni finanziari dell’impresa senza compromettere l’equilibrio finanziario strutturale. Per ulteriori approfondimenti sui concetti di equilibrio finanziario dinamico e strutturale si rimanda, tra gli altri, a quanto riportato in SOSTÈRO U., L’economicità delle aziende, Giuffrè, Milano, 2003; SOSTERO U., BUTTIGNON F., Il modello economico finanziario, Giuffrè, Milano, 2003, p. 188 e ss.10 TEODORI C., cit., p. 256. Come sottolineato anche da Rusconi, «si tratta evidentemente di un indice volto a garantire soprattutto la solidità finanziaria e quindi non finalizzato di per sé all’ottimizzazione della gestione economica», RUSCONI G., cit., p. 232.11 Un’impresa, anche sportiva, può considerarsi in equilibrio economico quando è in grado di produrre dalla propria attività ricavi sufficienti a coprire i costi e a remunerare in maniera soddisfacente – attraverso gli utili realizzati – il capitale investito dagli azionisti nel medio lungo periodo. Come ormai noto, le società di calcio italiane, storicamente, non riescono a produrre remunerazioni sistematiche ai propri apportatori di capitale.

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Ciò tende a ridurre il grado di soggettività nella fissazione del limite all’esposizione

finanziaria di ogni società calcistica. Infatti, il valore dei ricavi – se si escludono le plusvalenze da

tale computo, come previsto nella versione originaria dell’indice – e lo stesso ammontare dei debiti,

costituiscono grandezze verificabili, non soggette a processi di stima e, quindi, difficilmente

“manovrabili” anche nella prospettiva di una verifica esterna, come quella operata dalla Covisoc;

limita la complessità dell’analisi, poiché sia i ricavi che i debiti dell’impresa calcistica sono

valori facilmente desumibili dai documenti di bilancio e, composti in un unico indicatore,

consentono di esprimere un giudizio immediato e confrontabile sull’esposizione finanziaria di

ciascun club12.

Tuttavia, accanto a questi punti di forza, si rileva che l’indice in parola risultava

particolarmente debole sotto un profilo funzionale, sia per le modalità di calcolo delle due

grandezze che lo compongono, sia per l’assenza di un nesso logico diretto tra le stesse.

In effetti, il rapporto RI in vigore sino al 2006/7 presentava, a nostro avviso, i seguenti limiti:

come già anticipato, non forniva alcuna indicazione utile ad esprimere un giudizio sulla

redditività dell’azienda calcistica, poiché prende in considerazione solamente i ricavi di gestione

senza porli a confronto con alcuna grandezza di costo, di margine (es. EBIT, EBITDA, ecc.) o di

capitale (totale attivo, patrimonio netto, ecc.). In altri termini, uno stesso volume di fatturato poteva

nascondere dimensioni di costo e, quindi, di redditività anche molto eterogenee che il rapporto RI

non riusciva a monitorare13;

al contempo, non consentiva di esprimere nessun giudizio immediato sul livello di

indebitamento propriamente inteso, pur vincolando la dimensione dell’esposizione verso terzi ad un

altro parametro gestionale (i ricavi).

Proprio per ottenere tale informazione è stato introdotto, successivamente, il rapporto PA che

ha permesso di esprimere un giudizio sul livello di indebitamento, sebbene in via complementare,

attraverso il livello di patrimonializzazione dell’impresa calcistica14;

presentava limiti oggettivi nella composizione dei ricavi utilizzati a numeratore.

12 «Il parametro così determinato ha certamente il pregio di essere di facile e obiettiva determinazione, riferendosi a valori di bilancio non facilmente “manovrabili”», DE VITA G., cit., p. 163.13 Si pensi a due società calcistiche, Alfa e Beta. Entrambe hanno un ammontare di debiti pari a 1.000. La prima presenta i seguenti dati di conto economico: Ricavi 3.000, Costi 2.000, Utile 1.000. La seconda invece presenta Ricavi 3.000, Costi 4.000, Perdita di esercizio (1.000). Nonostante la situazione economica sia completamente diversa, con probabili impatti anche di natura finanziaria, poiché i costi costituiscono potenziali fabbisogni finanziari, il rapporto RI di Alfa e Beta coincide e risulta esattamente pari a 3 (Ricavi 3.000/Debiti 1.000 = 3).14 Il livello di indebitamento, infatti, di norma si misura attraverso il rapporto Mezzi di Terzi/Patrimonio netto, ovvero esattamente all’inverso del rapporto previsto dalle NOIF. L’indice, si ricorda, non ha come obiettivo quello di identificare il livello di indebitamento dell’impresa calcistica, bensì di fissarne un limite oggettivo in relazione al volume di affari generato.

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Nei ricavi da considerare nell’ultima versione del rapporto RI – diversamente dalla versione

originale dell’indice – erano comprese anche le plusvalenze da cessione dei DPC.

Questi valori producevano evidenti distorsioni nella lettura di tale indicatore15.

Infatti, le plusvalenze oltre ad essere soggette a facili manipolazioni in caso di operazioni di

permuta dei DPC, forniscono un basso valore segnaletico dell’indicatore, poiché – a differenza

degli altri ricavi – rappresentano componenti positivi di reddito di natura esclusivamente

economica, completamente scollegate dai flussi finanziari generati dai relativi scambi.

La scelta di ricomprendere questo ricavo nel rapporto RI, oltretutto, finiva con il privilegiare

proprio quelle società che avevano fatto maggiormente ricorso al perverso meccanismo delle

plusvalenze gonfiate;

presentava limiti oggettivi anche nella composizione dei debiti utilizzati a denominatore.

Infatti, il valore dell’indebitamento considerato dalle NOIF non coincideva con l’ammontare

complessivo del capitale di terzi presente nel passivo dello stato patrimoniale16.

Il precedente art. 84 delle NOIF stabiliva, infatti, che i debiti dovevano essere ridotti

dell'ammontare delle attività finanziarie con scadenza non superiore a 12 mesi, risultanti nella

contabilità sociale alle voci “Disponibilità liquide” e “Altri titoli”. Inoltre, in caso di rateizzazione

dei debiti verso l’Erario e/o verso gli Enti Previdenziali, le NOIF prevedevano di tener conto nel

calcolo dell’indice solamente delle rate correnti e di quelle in scadenza nella stagione sportiva

successiva.

Questa scelta, nella sostanza, portava ad ignorare completamente la quota di debiti oltre i 24

mesi nel calcolo dei debiti da considerare a denominatore17.

Per quanto concerne gli altri due indicatori – il PA (Patrimonio netto contabile/Attivo

patrimoniale) e il PD (Patrimonio netto contabile/Diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori) –

si osserva che la finalità principale di tali rapporti, introdotti solo a partire dai campionati 2004/5,

era quella di consentire:

15 L’inserimento delle plusvalenze tra i ricavi nella composizione del rapporto RI è avvenuta solo di recente. L’esclusione di tale grandezza, infatti, era condivisa dalla stessa dottrina in materia. A tal riguardo TEODORI C., cit., p. 255 osservava: «Si condivide la scelta della Federazione nella definizione dei ricavi: in particolare, risulta opportuna l’esclusione delle plusvalenze da cessione dei calciatori, a causa della possibilità di un loro artificioso accrescimento».16 L'indebitamento da considerare ai fini del calcolo del denominatore del rapporto RI comprendeva tutti i debiti e gli impegni verso terzi di qualsiasi natura, fatta eccezione per i debiti infruttiferi e postergati verso soci, nonché per debiti di compartecipazioni ex art. 102 bis, sino ad un importo corrispondente al valore delle stesse iscritte nell'attivo dello stato patrimoniale. I debiti verso l’Erario dovevano essere indicati al netto degli eventuali crediti compensabili entro i dodici mesi successivi alla data dell’insorgenza. In caso di rateizzazione dei debiti verso l’Erario e/o verso gli Enti Previdenziali, si teneva conto delle rate correnti nonché di quelle in scadenza nella stagione sportiva successiva.17 Nel caso di rateizzazioni pluriennali dei debiti verso il fisco – che possono arrivare, in via ordinaria sino a 5 anni, e nel caso straordinario della S.S. Lazio addirittura per un periodo superiore ai venti anni – non vengono presi in considerazione i debiti che scadono oltre l’esercizio successivo.

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per quanto riguarda il primo (PA), di esprimere un giudizio sul livello di indebitamento

dell’impresa calcistica. Infatti, pur non prendendo in considerazione l’ammontare dei debiti, il

rapporto tra patrimonio netto e totale attivo fornisce una misura del livello di indebitamento

dell’impresa, essendo l’importo dei debiti in bilancio esattamente pari alla differenza tra il totale

attivo e il patrimonio netto;

per quanto riguarda il secondo (PD), di monitorare il rapporto tra livello di capitalizzazione

della società e dimensione dell’investimento in DPC. Quest’ultima, generalmente, rappresenta la

posta dell’attivo più significativa delle società di calcio professionistiche.

Se è vero che l’introduzione di tali indicatori, seppur per poche stagioni e in misura

relativamente contenuta, ha integrato e ampliato il giudizio in precedenza espresso esclusivamente

attraverso il parametro RI, è peraltro necessario rilevare i limiti che anche tali ratios presentano:

il rapporto PD esprime a tutti gli effetti una declinazione, un “di cui”, del rapporto PA18. Se si

considera che la maggior parte dell’attivo patrimoniale delle società di calcio è costituito dai DPC –

in alcuni casi rappresentando oltre il 70% del totale attivo – è facile immaginare che nel caso di

osservanza del limite imposto per il rapporto PA era probabile risultasse coerente anche il rapporto

PD;

entrambi gli indici, PA e PD, risentivano degli effetti distorsivi prodotti dalle eventuali

“plusvalenze gonfiate” derivanti dalla permuta dei DPC.

Tale meccanismo, infatti, a livello patrimoniale produce una rilevazione dei DPC a valori più

elevati rispetto a quelli reali di mercato. Tuttavia, è importante precisare, che l’incremento

artificioso del valore dei DPC acquistati, e di conseguenza dell’attivo patrimoniale, è possibile

solamente attraverso una corrispondente sopravalutazione dei DPC ceduti in permuta.

Tale operazione, genera plusvalenze che influiscono positivamente sul risultato economico di

esercizio e, di conseguenza, sul patrimonio netto di fine periodo. L’effetto sul patrimonio netto,

però, pesa in maniera più che proporzionale rispetto al corrispondente effetto generato sia sui DPC

che sull’attivo netto, alterando con effetti migliorativi, il valore di entrambi gli indicatori PA e PD.

18 La stessa normativa federale infatti, riconosceva tale caratteristica quando nel testo della norma, descrivendo la grandezza da mettere a rapporto con il patrimonio netto, utilizzava l’espressione «riferito al solo attivo patrimoniale costituito dai beni immateriali relativi ai diritti alle prestazioni dei calciatori».

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Per chiarire meglio questo passaggio, si presenta il seguente esempio.

Esempio 1. La società Alfa presenta la seguente situazione di bilancio alla fine dell’esercizio.

L’utile di periodo è interamente generato dalla realizzazione di una plusvalenza di 100 derivante

dalla permuta con la società Beta di tutti i propri DPC. I DPC acquistati sono stati iscritti in

bilancio per 1.600. I valori derivanti da tale operazione rispecchiano le attuali valutazioni di

mercato dei calciatori. Si costruiscono, successivamente, gli indicatori PA e PD richiesti dalle

norme NOIF.

Stato Patrimoniale di Alfa al 31.12.20xyCapitale Sociale 300Utile 100

DPC 1.600 Totale Patrimonio

netto

400

Altre attività 2.400 Debiti e altre

passività

3.600

Totale attivo

patrimoniale

4.000 Totale passivo e

netto

4.000

Il rapporto PA risulta pari a Patrimonio netto/Totale attivo = 400/4.000 = 0,10

Il rapporto PD risulta pari a Patrimonio netto/DPC = 400/1.600 = 0,25

Entrambi i valori, come possiamo osservare, sono esattamente pari al limite minimo richiesto

dalle NOIF per l’ammissione ai campionati secondo quanto previsto dall’art. 85.

Qualora le società si accordassero per la permuta dei DPC ad un valore superiore rispetto a

quello corretto rilevato nello stato patrimoniale precedente, la situazione contabile e degli

indicatori PA e PD muterebbe nel seguente modo. Si supponga che la società Alfa rilevi gli stessi

DPC acquistati in permuta dalla società Beta non più ad un valore di 1.600, bensì di 2.100. Oltre a

osservare l’effetto in stato patrimoniale su DPC e totale attivo, occorre considerare che il maggior

valore di 500 relativo ai DPC (2.100 – 1.600) in conto economico si tramuta in una maggiore

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plusvalenza di 500 che porta l’utile complessivo a 600. La situazione contabile a fine esercizio ed i

corrispondenti valori del rapporto PA e PD risultano essere i seguenti:

Stato Patrimoniale di Alfa al 31.12.20xyCapitale Sociale 300Utile 600

DPC 2.100 Totale Patrimonio

netto

900

Attività correnti 2.400 Debiti e altre

passività

3.600

Totale attivo

patrimoniale

4.500 Totale passivo e

netto

4.500

Il rapporto PA risulta pari a Patrimonio netto/totale attivo = 900/4.500 = 0,20

Il rapporto PD risulta pari a Patrimonio netto/DPC = 900/2.100 = 0,43

Come è facile osservare dal confronto tra i dati precedenti e quelli appena determinati,

l’aumento artificioso dei DPC e del totale attivo non determina un peggioramento dell’indicatore,

bensì un netto miglioramento portando a raddoppiare il rapporto PA (da 0,10 a 0,20) e anche ad

un incremento significativo del rapporto PD (da 0,25 a 0,43). In altri termini, la maggiore

plusvalenza (fittizia) rilevata in conto economico genera un aumento più che proporzionale del

patrimonio netto rispetto sia ai DPC che al Totale attivo19.

A chiusura dell’esempio, si segnala che il miglioramento del risultato di esercizio attuato

attraverso l’incremento artificioso del valore dei DPC scambiati, costituisce una prassi diffusa nel

mondo del calcio, impiegata non solo per poter rispettare i limiti imposti dai parametri federali

discussi in precedenza, ma soprattutto per contenere le elevate perdite di esercizio derivanti dalla

gestione di questi club20.19 Per maggior chiarezza, si segnala che nell’esempio in questione non si sono presi in considerazione gli effetti fiscali derivanti dalla maggiore plusvalenza. Considerando anche questi, l’effetto amplificativo sugli indicatori PA e PD delle plusvalenze gonfiate risulterebbe, logicamente ridotto, ma pur sempre rilevante. Si consideri, inoltre, che nella realtà le società di calcio sono normalmente in perdita e quindi con carichi fiscali relativamente contenuti in relazione al volume di affari generato.20 Questo fenomeno – che a tutti gli effetti costituisce una politica di bilancio – appare difficilmente controllabile, poiché trae origine da un incremento artificioso, per lo stesso importo, sia dei DPC acquistati sia di quelli venduti, il cui reale valore non è praticamente riscontrabile, non esistendo quotazioni ufficiali di mercato dei calciatori. Mantenendo sostanzialmente inalterato la differenza di

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La valutazione dell’economicità………

2.2 Valenza delle soglie minime fissate per gli indicatori monitorati dalla Covisoc

Per quanto riguarda la valenza dei limiti stabiliti per tali indicatori, ricordiamo che essi hanno

da sempre svolto la funzione di individuare i requisiti minimi che una società, a livello di bilancio,

dovrebbe rispettare per poter acquisire un giudizio positivo in termini di equilibrio economico-

finanziario. A tal proposito, si rileva che il valore soglia del rapporto Ricavi/Indebitamento, pari a 3,

non consente, a nostro avviso, di esprimere alcun giudizio puntuale, stante i limiti in precedenza

individuati.

A supporto della nostra tesi si consideri una società che presenta un rapporto

ricavi/indebitamento inferiore a 3, ma al contempo si trovi in una situazione di equilibrio

economico – ovvero, in presenza di una redditività soddisfacente – e finanziario (livello di

indebitamento ridotto e coerenza fabbisogni/fonti di finanziamento) tale da non destare

preoccupazioni in ordine alla solvibilità futura. In questo caso è evidente che il giudizio da attribuire

a tale società, pur non rispettando il limite in esame, dovrebbe comunque essere positivo.

Specularmente, il rispetto per RI del valore soglia di 3, di per sé, non implica né il

conseguimento dell’equilibrio economico, né tanto meno la presenza di una struttura finanziaria che

garantisca sufficienti garanzie in termini di solvibilità della società21.

Per maggiore chiarezza, si presentano il seguente esempio.

Esempio 2. La società Alfa presenta la seguente situazione di bilancio. Si ipotizza che i ricavi

di vendita in conto economico e il valore dei debiti iscritti in stato patrimoniale coincidano con le

grandezze richieste dalle NOIF per il calcolo dell’indicatore RI.

valore tra i due giocatori scambiati, questo artificio contabile appare relativamente comodo e di facile attuazione per entrambe le società coinvolte nella permuta del DPC.21 Si pensi, infatti, alla tradizionale situazione in cui versano i conti delle nostre società dove:

- a fronte di ricavi anche molto elevati, superiori ai 200 milioni di euro per i grandi club si rilevano perdite elevate, talvolta superiori anche ai 60 milioni di euro. Caso emblematico in tal senso è l’Inter che nel bilancio chiuso al 30.06.2005 presentava una perdita netta di 118 milioni di euro, pari ad oltre la metà del fatturato;

- al contempo il valore assoluto dei debiti deve essere confrontato con patrimoni netti esigui se non addirittura nulli o negativi in molte realtà in attesa delle costanti ricapitalizzazioni da parte delle compagini azionarie di controllo.

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Stato Patrimoniale di Alfa al 31.12.20xyCapitale Sociale 1.500

Utile 500DPC 2.000 Totale

Patrimonio netto

2.000

Attività

correnti

3.000 Debiti e altre

passività (a breve e

a lungo)

3.000

Totale attivo

patrimoniale

5.000 Totale passivo e

netto

5.000

Conto Economico Alfa del 20xyRicavi di vendita

Costi operativi

Oneri finanziari

Altri costi

6.000

(4.500)

(300)

(700)Risultato di esercizio

(utile)

500

Il rapporto RI risulta pari a Ricavi di vendita/Totale debiti = 6000/3.000 = 2

Si può osservare che l’azienda Alfa non rispetta puntualmente il requisito minimo

dell’indicatore RI che presenta un valore pari a 2, rispetto a quello minimale previsto pari a 3. Il

motivo, come è facile desumere dai dati di bilancio, dipende dal fatto che l’azienda ha un volume di

affari ridotto rispetto all’ammontare di debiti iscritti in stato patrimoniale.

Tuttavia, Alfa – ad una prima lettura del bilancio – presenta una buona struttura finanziaria

del passivo, disponendo di un patrimonio netto pari a 2.000 che le permette di sostenere un livello

di indebitamento (totale debiti/patrimonio netto) molto contenuto, di poco superiore all’unità

(3.000/2.000 = 1,5).

Anche la coerenza tra fonti e fabbisogni appare equilibrata con un ammontare di attività

correnti pari al totale delle passività a breve e a lungo termine22. Analogamente, sul versante

economico, l’azienda presenta una composizione dei costi coerente rispetto ai ricavi totali che le

consente di chiudere con un utile netto di periodo pari a 500. In altri termini, l’impresa Alfa, pur

non rispettando la soglia minima richiesta per il parametro RI, mostra una situazione finanziaria,

patrimoniale ed economica soddisfacente.

Di contro la società Beta, presenta la situazione di bilancio riportata nella tabella seguente.

Si ipotizza, sempre, che i ricavi di vendita in conto economico e il valore dei debiti iscritti in stato

patrimoniale coincidano con le grandezze richieste dalle NOIF per il calcolo dell’indicatore RI.

22 Ciò implica un Capitale circolante netto (attivo corrente – passivo corrente) maggiore o uguale a zero.

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Stato Patrimoniale di Beta al 31.12.20xyCapitale Sociale 3.000Perdita (2.000)

DPC 4.000 Totale Patrimonio

netto

1.000

Attività

correnti

6.000 Debiti e altre

passività (a breve

e a lungo)

9.000

Totale attivo

patrimoniale

10.000 Totale passivo e

netto

10.000

Conto Economico Beta del 20xyRicavi di vendita

Costi operativi

Oneri finanziari

Altri costi

27.000

(28.900)

(1.100)

(1.000)Risultato di esercizio

(perdita)

(2.000)

Il rapporto RI risulta pari a Ricavi di vendita/Totale debiti = 27.000/9.000 = 3

In questo secondo esempio, la società Beta, pur rispettando il parametro federale RI per un

valore pari a 3, presenta una situazione economico-finanziaria non particolarmente equilibrata.

Infatti, si può osservare che il livello di indebitamento in questa impresa è particolarmente elevato,

raggiungendo una soglia pari a 9 (9.000/1.000).

L’elevato ammontare di mezzi di terzi non garantisce una coerente composizione delle fonti

rispetto ai fabbisogni finanziari (con l’eventualità che il capitale circolante netto presenti un valore

negativo) In conto economico, pur presentando un fatturato decisamente più elevato dell’azienda

Alfa, la situazione di Beta registra una perdita di esercizio di 2.000 dovuta all’elevata incidenza dei

costi operativi e degli oneri finanziari che il rapporto RI non riesce a monitorare.

Anche il valore del rapporto PA (Patrimonio netto/Attivo patrimoniale), fissato a 0,10, appare

una soglia piuttosto discutibile. Il rispetto di tale limite, infatti, risulta compatibile con un livello di

indebitamento particolarmente elevato. Con un rapporto PA pari a 0,10 è sufficiente, infatti, che il

patrimonio netto raggiunga il 10% dell’attivo patrimoniale (e, quindi, del totale delle fonti di

finanziamento, per definizione uguali al totale attivo) affinché una società calcistica possa essere

giudicata in equilibrio finanziario.

Ne consegue che l’indicatore arriva ad attribuire un giudizio positivo a società che presentano

un livello di indebitamento – dato dal rapporto “Mezzi di terzi/Patrimonio netto” – anche molto

elevato, che può spingersi sino ad un limite massimo pari a 9 unità di mezzi di terzi per ogni unità

di patrimonio netto (= 0,9 mezzi di terzi / 0,10 di patrimonio netto).

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Se il monitoraggio del livello di indebitamento da parte della Covisoc era da considerarsi

senz’altro opportuno, la soglia di 0,10 per l’indicatore in oggetto appariva troppo contenuta e

incompatibile con una situazione finanziaria soddisfacente.

Siamo dell’avviso, infatti, che il rispetto di limiti più elevati per questo indicatore avrebbe

potuto costituire un utile incentivo verso un percorso virtuoso di miglioramento dell’equilibrio

finanziario strutturale delle società di calcio professionistiche, imponendo un maggior livello di

capitalizzazione delle stesse 23.

Al contrario, alla luce della difficile situazione finanziaria che da tempo caratterizza molti

club professionistici di serie A e di serie B, l’impressione maturata a riguardo è che il valore di 0,10

abbia costituito il limite che ha permesso – per diverse stagioni e senza grossi ostacoli –

l’ammissione ai campionati e alle contrattazioni di «calcio mercato» anche di quelle società

professionistiche in precarie condizioni di equilibrio finanziario strutturale.

Ad analoghe conclusioni si può arrivare con riguardo all’ultimo indicatore in esame, il

rapporto PD (Patrimonio netto/Diritti alle prestazioni sportive), strettamente collegato al precedente.

Il valore soglia di 0,25 appare del tutto irrilevante se si considera l’elevato importo raggiunto, negli

ultimi anni, dai DPC all’interno del totale attivo di stato patrimoniale.

Proprio per tale ragione, come già anticipato, nel caso di osservanza del limite di 0,10 per il

rapporto PA da parte di una società è probabile che la stessa risultasse coerente anche nel calcolo del

rapporto PD.

Se ne deduce, pertanto, che i valori degli indicatori presi come limite per valutare l’equilibrio

economico e finanziario dei club ai fini dell’ammissione ai campionati professionistici risultavano,

in tutti i casi, discutibili e piuttosto “superficiali”, potendo celare difficili situazioni gestionali e di

bilancio, pur nel rispetto delle soglie previste dalle NOIF24.

23 «Si tenderà a sostenere, ad esempio, che l’impresa gode di un buon equilibrio finanziario strutturale, quando:- il tasso di indebitamento è limitato (entro un intervallo di valori comunque variabile a seconda del settore di atti-

vità e dello stadio di sviluppo dell’impresa);- i quozienti di liquidità e disponibilità presentano valori giudicati «normali» anche in considerazione del settore

di attività dell’impresa […];- il costo medio del capitale di terzi è inferiore al tasso di redditività dell’attivo netto».

SOSTERO U., BUTTIGNON F., cit., p. 191.24 Non si concorda, pertanto, con quanto riportato da BIANCHI L. A., CORRADO D., I bilanci delle società di calcio, Egea, Milano, 2004, p. 25 quando con riferimento a tali argomenti rilevano che «L’attenzione posta dalle NOIF nel descrivere la costruzione di tali indici è significativa da un lato dell’importanza che l’ordinamento federale attribuisce al requisito della stabilità finanziaria, dall’altro della necessità di disporre di dati di sintesi che consentano al tempo stesso un controllo penetrante senza tuttavia richiedere una pesante struttura amministrativa». A nostro avviso, la meticolosità con cui le NOIF descrivono la composizione di detti indicatori maschera, in qualche modo, un orientamento piuttosto permissivo e lassista nella verifica delle condizioni di equilibrio economico e finanziario della gestione.

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Come abbiamo già avuto modo di anticipare, questo set di indicatori è rimasto in vigore sino

alla stagione 2006/7 per la Lega Nazionale Professionisti (LNP), sostituito da un unico indicatore

dalla stagione successiva, ovvero il rapporto VP/DF. Il Consiglio Federale, tuttavia, ha deciso di

non abbandonare del tutto questo sistema di controlli, confermando la sua applicazione solamente

per le società appartenenti alla Lega Professionisti di Serie C25.

L’unica differenza sostanziale, rispetto all’impianto sinora analizzato, riguarda l’eliminazione

del rapporto PD, limitando di fatto il controllo, per queste società, ai soli indicatori RI e PA.

I motivi che sono alla base di tale decisione non è dato saperli. Tuttavia, siamo dell’avviso che

la scelta di abbandonare PD rappresenti un ulteriore conferma della sovrapposizione – e, quindi,

dell’inutilità – di questo indicatore rispetto alla più ampia valenza informativa fornita da PA.

3. Il nuovo indicatore “VP/DF” in vigore dalla stagione 2007/8

Il nuovo sistema di controlli impone alle società della LNP, entro sessanta giorni dalla fine di

ciascun trimestre dell’esercizio, di far pervenire alla Covisoc il “Prospetto VP/DF” con

l’indicazione del rapporto “Valore della Produzione/Debiti Finanziari”.

L’attuale versione dell’art. 85 NOIF identifica i criteri da seguire per calcolare i valori che

compongono numeratore e denominatore del rapporto in parola. Nel dettaglio:

il Valore della produzione da considerare al numeratore è quello che risulta dal piano dei conti

approvato dalla FIGC, corrispondente alla macro voce contraddistinta dalla lettera “A” del conto

economico civilistico26;

i Debiti finanziari da considerare al denominatore sono quelli che risultano dal piano dei conti

federale nelle voci: obbligazioni ordinarie e convertibili, soci c/anticipazioni temporanee; soci

c/finanziamenti fruttiferi; debiti verso banche; debiti verso altri finanziatori; debiti di natura

finanziaria verso imprese controllate, collegate e controllanti.

I debiti finanziari sono ridotti dell’ammontare delle attività finanziarie risultanti dalla

contabilità sociale alla voce disponibilità liquide27.

25 Art. 85 delle NOIF.26 Le voci che rientrano al numeratore del rapporto VP/DF, pertanto, sono: ricavi delle vendite e delle prestazioni; variazione delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti; variazione dei lavori in corso su ordinazione; incrementi immobilizzazioni per lavori interni; altri ricavi e proventi27 Le NOIF precisano che per ogni scadenza trimestrale, il valore della produzione è determinato sulla base dei dodici mesi solari precedenti la scadenza stessa, mentre i debiti finanziari sono computati alla fine di ciascun trimestre. Questa precisazione è volta a garantire che nel calcolo dell’indicatore VP/DF, il numeratore costituito dal Valore della produzione sia sempre determinato su base annuale (scorrevole), al fine di garantire la confrontabilità nel tempo di tale grandezza in rapporto all’indebitamento finanziario posto a denominatore.

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Il rispetto della soglia minima di 3,5 fissata per tale indicatore assume valenza esclusiva ai

fini dell’ammissione della società alla campagna trasferimenti per l’acquisizione del diritto alle

prestazioni dei calciatori, come avveniva in passato per RI28.

Come per RI, anche questo nuovo indicatore pone a rapporto un risultato positivo di conto

economico – il Valore della Produzione – con una grandezza finanziaria negativa di stato

patrimoniale rappresentata dall’indebitamento finanziario.

Il significato di VP/DF, pertanto, è del tutto assimilabile a quello visto in precedenza per RI, il

quale – si rammenta – aveva l’obiettivo di fissare un limite massimo all’indebitamento dell’impresa,

parametrato sul volume di affari che lo stesso club era in grado di realizzare.

Anche con VP/DF, la FIGC intende determinare un limite massimo all’esposizione

finanziaria delle società di calcio, subordinando l’ammontare massimo dell’indebitamento

finanziario non tanto ai ricavi di esercizio quanto al Valore della Produzione.

Se si parte dal presupposto che gli indicatori di bilancio adottati dalla Covisoc rispondono

all’esigenza di fornire un giudizio sull’equilibrio economico-finanziario della società, allora, nel

passaggio dal precedente sistema di indicatori a quello attuale basato esclusivamente sulle risultanze

dell’indicatore VP/DF, si possono esprimere le seguenti considerazioni.

Scompare qualsiasi controllo sul livello di indebitamento, in precedenza monitorato

dall’indicatore PA e, indirettamente da PD. Il controllo sull’esposizione debitoria della società,

pertanto, rimane ancorato esclusivamente al “Valore della produzione” desumibile dal bilancio

civilistico e limitatamente ai debiti aventi natura finanziaria. Sembra, pertanto, di riscontrare un

sostanziale passo indietro, ritornando al sistema di controlli in vigore sino al 2004/5 incentrato

sull’osservazione di un unico indicatore, “Ricavi/Indebitamento”.

Anche l’attuale rapporto VP/DF, come l’indicatore RI, non trova riscontro nella letteratura in

materia di analisi di bilancio. Non solo, a nostro avviso, sussistono seri dubbi sull’efficacia e la

valenza di tale indicatore qualora l’obiettivo perseguito sia, ancora una volta, quello di monitorare il

livello di solvibilità delle società di serie A e B. Le fragilità di questo indice, rispetto al precedente

rapporto RI, trovano origine:

nella scelta delle grandezze impiegate nella sua costruzione;

28 L’art. 90 delle NOIF, infatti, al comma 4 precisa che in caso di mancato rispetto della misura minima del rapporto Valore della Produzione/Debiti Finanziari al 31 marzo o al 30 settembre, la Covisoc dispone che la società non possa essere ammessa ad operazioni di acquisizione del diritto alle prestazioni dei calciatori. Tale preclusione, tuttavia può essere superata qualora le acquisizioni trovino integrale copertura in contratti di cessione calciatori con altre società affiliate alla FIGC, precedentemente o contestualmente depositati; ovvero nel caso in cui la società provveda ad un incremento di mezzi propri, da effettuarsi a vario titolo. Il provvedimento viene revocato, su istanza della società, quando viene ristabilito il rapporto Valore della Produzione/Debiti Finanziari nella misura minima prevista.

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nella significatività del valore soglia fissato dalla FIGC.

Per quanto riguarda le grandezze che compongono “VP/DF”, si è dell’avviso che la scelta

operata dal Consiglio Federale, non solo non supera i limiti del precedente rapporto RI, ma

addirittura ne accentua gli aspetti di debolezza. In questo senso si evidenzia che:

valgono tutte le critiche esposte in precedenza con riguardo alla significatività di un indicatore

costruito come rapporto tra un valore economico positivo – il Valore della produzione – con un

valore finanziario negativo – nella fattispecie l’ammontare dei debiti finanziari;

se i ricavi del rapporto RI potevano in qualche modo avvicinarsi ad una approssimazione dei

flussi finanziari in entrata – costituendo il controvalore diretto delle vendite – il Valore della

produzione si allontana da tale concetto, comprendendo al suo interno poste di natura

esclusivamente economica quale la variazione delle rimanenze e la capitalizzazione dei costi (in

particolare del vivaio, voce A4 del conto economico) che non sono mai all’origine di flussi

finanziari in entrata29;

limitando il denominatore ai debiti finanziari, si escludono dall’analisi proprio quelle poste

relative ai debiti di natura fiscale, contributiva e nei confronti dei dipendenti che – oltre a

rappresentare l’ammontare spesso più significativo in questi bilanci – sono state anche quelle

maggiormente oggetto di contestazione negli ultimi anni30.

Non solo, anche per il rapporto VP/DF le NOIF mantengono la prassi, precedentemente

criticata, di sottrarre al denominatore il valore delle liquidità iscritte nell’attivo31.

In ordine, invece, alla significatività del valore soglia – fissato in 3,5 unità di Valore della

produzione per ogni unità di Debiti finanziari – si può osservare che il numeratore di VP/DF risulta

sistematicamente superiore rispetto ai Ricavi impiegati nel numeratore del rapporto RI.

In particolare, ci riferiamo alla presenza della voce “A4” dello schema civilistico di bilancio,

relativa alla capitalizzazione dei costi, che nelle società di calcio assume spesso un valore di diversi

milioni di euro per la presenza dei “costi del vivaio”32.

29 Inoltre, con riferimento al numeratore, se prima i ricavi rappresentavano valori oggettivi derivanti da scambi con terzi, l’apertura al Valore della produzione riduce tale oggettività, proprio a causa del fatto che nella sua determinazione rientrano quelle poste come rimanenze e soprattutto capitalizzazioni di costi, espressione di valutazioni estremamente soggettive e facilmente “manipolabili” attraverso semplici “politiche di bilancio”.30 Si ricorda, infatti, che molte società sono state al centro di contenziosi sia nei confronti dell’Erario che dei propri atleti per i ritardi con cui hanno provveduto a pagare i relativi debiti, molto spesso andando ben oltre le scadenze fissate dalla normativa in vigore.31 Se si considera che l’ammontare dei debiti a denominatore è ovviamente inferiore rispetto a quelli presi in considerazione con il rapporto RI, essendo compresi solo quelli di natura finanziaria, l’incidenza derivante dalla detrazione delle attività liquide al denominatore, risulterà proporzionalmente maggiore in VP/DF rispetto a RI.32 La variazione delle rimanenze, unica voce, che potrebbe potenzialmente assumere segno anche contrario (apportando una rettifica negativa al Valore della produzione) in caso di diminuzione di valore rispetto all’esercizio precedente, nelle società di calcio – considerata la natura dell’attività esercitata – non risulta di norma movimentata.

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Al contrario, il denominatore assume valori sistematicamente più bassi rispetto a quello di

RI: mentre quest’ultimo contemplava l’intero ammontare dell’indebitamento dell’impresa, nel

rapporto VP/DF si comprendono esclusivamente i debiti finanziari, tralasciando quelli operativi o di

altra natura (TFR, debiti tributari, debiti verso il personale, ecc.), spesso superiori ai primi33.

Rispetto al precedente indicatore RI, dunque, nel passaggio a VP/DF si assiste ad un aumento

del numeratore e a una contemporanea riduzione del denominatore, generando a parità di importi di

bilancio un significativo aumento di tale rapporto.

Di converso, l’incremento del valore soglia che si può osservare per rispettare il nuovo

VP/DF è davvero minimale passando da 3, previsto per RI, al 3,5 attualmente in vigore.

Per maggiore chiarezza, si presenta il seguente esempio che propone un confronto tra le

modalità di costruzione del rapporto VP/DF e il precedente indicatore RI.

Esempio 3. La società Beta presenta al 30.06.20x0 la seguente composizione del Valore della

produzione in conto economico e della voce Debiti in stato patrimoniale:

Conto Economico

A. Valore della Produzione

- A.1 Ricavi:

- incassi lordi da gare 15.000

- A.4 Increm. Di immob. Per lavori interni:

- costi vivaio 10.000

- A.5 Altri ricavi e proventi

- sponsorizzazioni 80.000

- diritti tv 105.000

33 Oltretutto, se si considera che proprio le NOIF prevedono di includere al denominatore i versamenti fruttiferi da parte di soci, escludendo quelli infruttiferi, sarà sufficiente per i soci rinunciare alla remunerazione di tali capitali per escluderli dal denominatore, anche in un secondo momento, e migliorare in questo modo il valore dell’indice.

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Stato Patrimoniale

C. IV Disponibilità liquide:

- Depositi bancari e postali 20.000

D. Debiti:

- D.4 Debiti verso banche 45.000

- D.5 Debiti verso altri finanziatori 25.000

- D.7 Debiti verso fornitori 23.000

- D.12 Debiti tributari 27.000

Partendo dalla situazione contabile appena presentata i due indicatori “Ricavi /

Indebitamento” e “Valore della Produzione / Debiti finanziari” assumono i seguenti valori:

Ricavi / Indebitamento (RI)

Ricavi = 15.000 + 80.000 + 105.000 = 200.000

Indebitamento = 45.000 + 25.000 + 23.000 + 27.000 – 20.000= 100.000

RI = 200.000/100.000 = 2

Valore della produzione / Debiti finanziari (VP/DF)

Valore della produzione = 10.000 + 5.000 + 120.000 + 90.000 – 20.000 = 205.000

Debiti finanziari = 45.000 + 25.000 – 20.000 = 50.000

VP/DF = 210.000/50.000 = 4,2

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Si rammenta che al denominatore, per entrambi gli indicatori, le NOIF prevedono che

dall’ammontare dei debiti sia sottratto l’importo delle disponibilità liquide disponibili al momento

del calcolo dell’indice.

Come si può agevolmente osservare, nella situazione in esame dove l’indebitamento

finanziario risulta pari a circa il 58% dell’indebitamento complessivo e con costi del vivaio di

10.000 (ovvero meno del 5% del valore della produzione) il rapporto RI risulterebbe pari a 2, e

quindi al di sotto del limite minimo di 3 previsto attualmente per le società di serie C e sino allo

scorso anno anche per quelle di serie A e B.

Passando al rapporto VP/DF la stessa società, con i dati presi in esame, risulterebbe

ampiamente congrua con un valore dell’indice pari a 4,2 e quindi superiore al valore soglia

individuato dalla FIGC in 3,5.

Se partiamo dalla considerazione che:

l’indicatore VP/DF subisce un incremento tanto maggiore quanto più bassa è la percentuale

dei debiti di natura finanziaria rispetto al totale indebitamento;

al contempo, nelle società di calcio, diversamente dalla situazione proposta, i debiti

finanziari sono spesso di ammontare inferiore rispetto a quelli commerciali;

è evidente l’immediato beneficio che le stesse società di calcio traggono nel passaggio da RI

a VP/DF a parità di situazione economico-finanziaria di riferimento.

Ad una lettura esterna, sembra che la politica perseguita dalla Federazione si muova verso un

tendenziale allentamento del sistema dei controlli sulla solvibilità di queste società, almeno per quel

che concerne gli indicatori di bilancio.

L’adozione dell’indicatore VP/DF in sostituzione del set di indicatori in vigore sino alla

stagione 2006/7 (RI, PA e PD) appare senza dubbio un passo indietro nel percorso effettuato in

questi anni sul versante dell’attenzione alle condizioni di equilibrio del sistema calcio34.

Nonostante la minore valenza informativa di questo indicatore, sul versante della

documentazione obbligatoria richiesta dalle NOIF, si osserva, invece, un apprezzabile passo in

avanti nei confronti delle società appartenenti alla LNP. Ci riferiamo, in particolare, alle principali

novità introdotte dalle NOIF che ha allargato l’informativa contabile da presentare alla Covisoc

rispetto alla precedente impostazione basata esclusivamente sui conti di bilancio.

34 Tuttavia, è doveroso anche sottolineare che proprio le principali voci di debito che escono dal monitoraggio attraverso l’indicatore in esame, sono soggette, secondo il nuovo schema dei controlli federali, ad analisi diretta mediante i vari prospetti, discussi in precedenza, volti a certificare la corrispondente regolarità dei pagamenti proprio nei confronti dell’erario, degli enti previdenziali e degli atleti e del personale dipendente.

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La valutazione dell’economicità………

Tali novità possono essere riassunte nei seguenti punti:

lo spostamento da un’ottica esclusivamente consuntiva ad una previsionale, attraverso la

richiesta della predisposizione di budget finalizzati ad analizzare gli andamenti attesi dalla gestione

futura; una maggiore attenzione proprio agli aspetti più strettamente legati alla dinamica finanziaria,

prima quasi completamente assente e vera ragione, invece, delle diverse crisi che hanno interessato

il sistema. Ciò si può desumere attraverso l’obbligo di predisporre e depositare presso la Covisoc –

accanto al bilancio di esercizio – sia il rendiconto finanziario della gestione che il budget finanziario

dei flussi di liquidità attesi; l’obbligo di essere in regola con i versamenti nei confronti di

stakeholder privilegiati, quali atleti, dipendenti, collaboratori, nonché fisco ed enti previdenziali e di

dimostrarlo con apposita documentazione.

Proprio in virtù delle osservazioni svolte in precedenza, riteniamo che tale sistema di controlli

possa, e anzi, debba essere ulteriormente affinato mediante un ampliamento del numero degli

indicatori di bilancio monitorati, attualmente troppo scarno e limitato allo studio di un solo

rapporto, il VP/DF, tra l’altro anche poco significativo.

Non solo, siamo dell’avviso che le caratteristiche degli indicatori presi in esame dalla

Covisoc siano da sempre orientati al monitoraggio dell’economicità aziendale sul fronte

dell’equilibrio finanziario, trascurando completamente l’osservazione dell’equilibrio economico,

altrettanto importante per poter esprimere un giudizio esaustivo sulla gestione delle società di

calcio.

A tal riguardo, la parte conclusiva di questo contributo è dedicata all’illustrazione di un

possibile sviluppo dei controlli economico-finanziari realizzato attraverso gli indicatori di bilancio,

volto a superare i limiti che caratterizzano l’attuale impostazione prevista dalle NOIF.

4. La necessità di introdurre un nuovo sistema di indicatori: una proposta operativa

L’attenzione della Covisoc al rispetto di condizioni di equilibrio finanziario strutturale, è stata

sempre ed esclusivamente finalizzata a mantenere sotto controllo: 1) l’ammontare dei debiti

contratti dalle società in termini assoluti e, 2) il relativo livello di indebitamento in rapporto al

patrimonio netto contabile.

La prima forma di controllo è stata condotta attraverso l’indicatore RI prima, e attualmente

con il rapporto VP/DF per le società appartenenti alla LNP. La seconda forma di controllo è stata

realizzata mediante la verifica dell’indicatore PA – mantenuto, con RI, per le sole società di serie C

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La valutazione dell’economicità………

– e, seppur indirettamente, con l’indicatore PD, definitivamente rimosso nella nuova versione delle

NOIF.

L’osservazione del solo equilibrio finanziario, a nostro avviso, non sembra sufficiente a

garantire una crescita corretta e coerente del sistema calcio. È ormai noto, infatti, come le principali

cause di squilibrio di queste società possano essere ricondotte ad una scarsa attenzione ai costi della

gestione operativa – e in particolare a quelle del parco giocatori – rispetto al corrispondente

ammontare di ricavi generati dallo svolgimento del business sportivo.

Nel rispetto di condizioni di economicità della gestione, infatti, l’equilibrio finanziario

dovrebbe riflettere condizioni di equilibrio economico e, solo in via subordinata, dovrebbe essere

rafforzato attraverso nuovi conferimenti di capitale. In mancanza di adeguate condizioni di

equilibrio economico detti conferimenti vengono assorbiti in breve tempo dai risultati negativi della

gestione e il ripristino di condizioni minimali di equilibrio finanziario richiedono ulteriori

immissioni di capitale da parte della proprietà.

Le società, di conseguenza, perdono di autonomia e la continuità della loro gestione (going

concern) viene ad essere subordinata, in via prevalente alle disponibilità finanziarie degli azionisti,

come accaduto diffusamente negli ultimi tempi.

A chiusura di tale circolo vizioso, non bisogna dimenticare che condizioni di squilibrio sotto il

profilo economico rappresentano la principale causa di aumento del livello di indebitamento delle

società. Ciò conferma l’esigenza di affiancare al controllo sull’equilibrio finanziario, un’attenzione

alla situazione economica dei club, avviando azioni che possano fungere da stimolo sul controllo

del livello dei costi e sulla relativa evoluzione.

Al fine di presidiare entrambe queste dimensioni della gestione – quella economica e quella

finanziaria – il semplice monitoraggio dell’indicatore “VP/DF” appare insufficiente e limitato al

mero controllo dell’esposizione finanziaria della società. L’avvio di un presidio da parte della

Covisoc anche sul fronte economico della gestione dovrebbe prendere il via dalla vigilanza sulle

principali cause di generazione dei costi delle società di calcio, derivanti in via prevalente dalla

gestione dei diritti alle prestazioni del calciatori e dalle relative remunerazioni corrisposte.

Una possibile soluzione potrebbe essere quella di sostituire il monitoraggio del solo VP/DF

con un set di indicatori, finalizzato ad estendere il controllo sulle condizioni di equilibrio

economico e a rafforzare quelle sul versante finanziario.

Prendendo spunto dalle considerazioni svolte in precedenza, questo passaggio potrebbe essere

realizzato attraverso l’istituzione e il monitoraggio dei seguenti indicatori:

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La valutazione dell’economicità………

Incidenza del costo del lavoro sui ricavi = (Stipendi lordi + Ammortamento DPC) / Ricavi

netti. L’obiettivo di questo indicatore è quello di vincolare l’ammontare dei costi di gestione dei

calciatori all’importo dei ricavi prodotti dalla società di calcio.

Questo, infatti, potrebbe costituire il primo passo verso il risanamento dei conti di questi club.

Di norma, questo controllo nel mondo dello sport avviene fissando un tetto, in termini percentuali,

agli stipendi lordi rispetto al fatturato generato dal club.

Nella nostra proposta, il fatto di considerare a numeratore non solo gli stipendi, ma anche le

quote di ammortamento dei DPC, imporrebbe alle società un’attenzione non solamente sul valore

della remunerazione concordata con il giocatore, ma anche alle ripercussioni in conto economico

derivanti dal costo di acquisto del cartellino.

I ricavi netti potrebbero tranquillamente coincidere con quelli utilizzati per il rapporto RI – ad

esclusione delle plusvalenze da cessione dei DPC – considerando gli elevati margini di manovra su

questi componenti di reddito nelle operazioni di permuta.

A regime, ci sembrerebbe ragionevole che la soglia di questo indice possa essere fissata pari

ad un valore non superiore a 0,7/0,8. A tutti gli effetti l’indicatore proposto si sostanzierebbe, anche

per le società di serie A e B, nell’introduzione di un meccanismo di “Salary cap”35;

Livello di indebitamento = Mezzi di Terzi (MT) / Patrimonio netto (PN). L’indicatore MT/PN

assolve alla medesima funzione informativa svolta in passato dall’indice PA, ovvero quella di

misurare il livello di indebitamento della società nel momento in cui viene rilevato.

Questo indicatore risulta complementare a quello introdotto al punto precedente,

concentrando l’attenzione sul solo versante finanziario della gestione. Il valore soglia richiesto per

questo indice dovrebbe essere coerente con una situazione di limitato indebitamento, affinché si

possa svolgere un effettivo controllo sull’equilibrio finanziario delle società e si contenga il ricorso

ai mezzi di terzi.

A regime, i mezzi di terzi dovrebbe assestarsi su valori non superiori a 5/6 volte i mezzi

propri.

35 Sul tema del Salary cap si rinvia al lavoro di LO GIUDICE S., Salary cap. Un tetto agli ingaggi dei calciatori, Lupetti, Milano, 2002. Il sistema del Salary cap è stato introdotto nel campionato cadetto dal 2006/7 per regolamentare la distribuzione dei diritti televisivi che le società di serie A riconoscono a quelle di serie B attraverso il c.d. sistema della mutualità. Questo regolamento interno alla Lega – e quindi estraneo al controllo della Covisoc per l’ammissione ai campionati – stabilisce che le società di serie B non possano spendere in stipendi più del 70% dei loro ricavi complessivi nel campionato 2006/7. Percentuale che scende al 65% nella stagione 2007/08 e al 60% nel campionato 2008/09. Qualora una società superasse la percentuale fissata, i proprietari dei club dovranno integrare la differenza per equilibrare tale indicatore. In caso contrario, la società in squilibrio perderebbe il diritto alla mutualità sui diritti televisivi e la relativa quota verrebbe ripartita tra le altre società.

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La valutazione dell’economicità………

Quoziente di disponibilità = Attivo corrente (AC) / Passivo corrente (PC). Questo indicatore

consente di esprimere un giudizio sulla coerenza della durata degli impieghi rispetto alla scadenza

delle fonti di finanziamento36. Le analisi condotte negli ultimi anni37 sulla struttura finanziaria di

queste società evidenziano una netta preponderanza di debiti a breve termine a fronte di

investimenti destinati a ritornare in forma liquida nel medio/lungo termine (in prevalenza si tratta di

investimenti in DPC).

Ne deriva che la maggior parte delle società professionistiche presenta un capitale circolante

netto negativo38, con una conseguente situazione di potenziale squilibrio finanziario, soprattutto nel

breve termine. Imporre il rispetto di un valore minimo anche per questo indicatore potrebbe

costituire uno stimolo ad avviare un virtuoso processo di risanamento finanziario.

Come noto, il valore ideale dell’indicatore verso cui tendere dovrebbe essere l’unità.

Considerando le peculiarità delle società che operano nel settore – caratterizzato dalla completa

assenza di rimanenze, dalla fisiologica presenza di debiti a breve termine verso l’erario correlati ai

consistenti compensi dei calciatori e all’elevato peso dei DPC sul totale attivo – potrebbero essere

accettabili, almeno in una fase iniziale, valori anche inferiori all’unità, intorno a 0,6/0,7.

È evidente che, rispetto all’attuale apparato di controlli, l’introduzione di soglie iniziali troppo

elevate, potrebbe generare difficoltà non indifferenti considerato lo stato generale in cui versano

molte di queste società.

Al fine di avviare un circolo virtuoso di crescita e maturazione del management di queste

società proprio attraverso il sistema dei controlli, si potrebbe attuare una transizione graduale,

partendo da soglie minime degli indicatori relativamente basse e stabilendo un progressivo aumento

delle stesse all’interno di un arco temporale sufficientemente ampio (3/5 anni). Ciò dovrebbe

consentire alle società di programmare, senza affanno, le conseguenti azioni di risanamento.

La presenza di società sportive professionistiche gestite nel rispetto di condizioni di

economicità, appare rilevante non solamente per una crescita del sistema sportivo italiano, ma

anche e soprattutto per garantire una correttezza di fondo alle competizioni in cui le stesse società

sono impegnate.

36 L’attivo corrente si ricava dalla riclassificazione dello stato patrimoniale in forma finanziaria e rappresenta l’insieme delle attività destinate a ritornare in forma liquida entro 12 mesi. Analogamente, il passivo corrente rappresenta l’insieme delle passività destinate a giungere a scadenza entro 12 mesi.37 LEGA CALCIO, Analisi economico finanziaria dei bilanci delle società di serie A TIM e di serie B TIM, stagioni 1998 – 2005, marzo 2006.38 Il capitale circolante netto è dato dalla differenza tra Attivo corrente e Passivo corrente.

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L’obiettivo del sistema di controlli messo in atto dalla Covisoc è quello di evitare che, anche

una sola squadra, possa incorrere in situazioni di fallimento nel corso del campionato.

Siamo dell’avviso che le competenti autorità abbiano ben presente dove si annidano le

difficoltà gestionali nel calcio e, più in generale, nello sport italiano.

La scelta di non procedere attraverso il monitoraggio di indicatori di natura economica,

potrebbe trovare una spiegazione nel fatto che l’imposizione di tetti di spesa o di investimento alle

singole società, finirebbe con il ripristinare un sistema di controlli molto penetrante, generando

interferenze significative sulle principali scelte di gestione.

L’assenza di managerialità e lo scarso livello di cultura gestionale presente nel settore,

tuttavia, rende ormai auspicabile un’azione di questo tipo, purché ben coordinata e finalizzata ad

una crescita complessiva del sistema, verso un riequilibrio e un serio contemperamento tra il

perseguimento degli obiettivi sportivi e il rispetto delle condizioni basilari di economicità nel

governo dell’azienda.

Siamo convinti che questo rappresenti l’unico modo per poter avviare seriamente un percorso

di risanamento gestionale dei nostri club e del sistema calcio nel suo complesso.

(*) Direttore Scientifico del Master in Strategie per il Business dello Sport

Università Ca’ Foscari Venezia

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La valutazione dell’economicità………

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Politica e tecnica………

POLITICA E TECNICA LEGISLATIVE

IN MATERIA DI DOPING

di Luca Leone (*)

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Il 1° febbraio 2007 è entrata in vigore a livello internazionale, al termine del primo giro di

ratifiche da parte degli Stati1, la Convenzione contro il doping nello sport, adottata a Parigi alla 33^

Conferenza generale dell'UNESCO il 19 ottobre 2005.

L'Italia ha provveduto alla sua ratifica con la legge 26 novembre 2007 n. 230.

Questa convenzione rappresenta indubbiamente un passo in avanti nella lotta al doping a

livello internazionale rispetto alla precedente Dichiarazione di Copenaghen del 2003, sottoscritta da

un numero elevatissimo di Stati a seguito della Conferenza internazionale promossa dalla World

Anti-Doping Agency e diretta fondamentalmente a riconoscere e sostenere il ruolo di quest'ultima

nell’attività di contrasto al doping, con particolare riguardo al Codice Mondiale Antidoping da essa

prodotto. Con la Convenzione UNESCO si è passati infatti da una mera intesa di carattere esortativo

ad un vero e proprio accordo, vincolante per gli Stati aderenti2.

Essa, salvaguardando i principi che sono alla base della Convenzione contro il doping del

Consiglio d'Europa del 19893, mira non a creare un'ulteriore Autorità nel quadro delle politiche

antidoping, bensì a dare all'UNESCO il ruolo di garante4 rispetto all'adesione dei vari Paesi alle

misure di lotta al doping proposte dalla WADA, in modo pure da fornire a questa l'autorevolezza di

cui necessita, deficitando invero essa del riconoscimento della personalità giuridica internazionale.

È stata pertanto data un’investitura ufficiale alla WADA e al Codice Mondiale Antidoping,

allegato in appendice alla Convenzione e di cui essa fa proprie al suo interno molte norme, quali

l’elenco delle definizioni e delle violazioni antidoping.

Tuttavia, per quanto gli Stati contraenti siano vincolati al rispetto dei principi generali del

Codice come matrice per le misure legislative o amministrative da adottare in materia di doping, la

Convenzione non recepisce il Codice nel suo complesso rendendolo obbligatorio in quanto tale, al

pari di quanto è avvenuto a livello sportivo5.

Non si è pertanto riusciti a superare anche in questo caso la dicotomia esistente tra istituzioni

statali ed organizzazioni sportive, fondata su criteri di quanto possibile autonomia e non ingerenza.1 L'entrata in vigore della International Convention Against Doping in Sport è stato infatti previsto che avvenisse il primo giorno del secondo mese successivo al deposito della trentesima ratifica. Ad oggi sono più di 70 gli Stati che hanno provveduto alla ratifica della Convenzione.2 È stata prevista l'istituzione di un'apposita Conferenza delle Parti, competente per svolgere l'attività di monitoraggio sull'applicazione della Convenzione UNESCO contro il doping nello sport (artt. 28-34).3 L'art. 6 della Convenzione precisa che restano impregiudicati i diritti e gli obblighi che gli Stati membri hanno assunto sulla base di strumenti internazionali preesistenti, facendo quindi un chiaro rifrimento alla Convenzione di Strasburgo del Consiglio d'Europa.4 L’UNESCO anche in passato si è operata per lo sviluppo di una corretta e salutare attività sportiva a livello planetario, a partire dall’elaborazione della Carta internazionale dell’educazione fisica e dello sport del 1978. Grazie all’UNESCO, inoltre, l’anno 2005 è stato dichiarato (Dichiarazione 58/5 del novembre 2003) International Year of Sport and of Physical education (IYSPE 2005).5 Divengono invece internazionalmente vincolanti per gli Stati partecipanti alla Convenzione UNESCO la lista delle sostanze e dei metodi proibiti e gli standards per l'autorizzazione all'uso di determinate sostanze a fini terapeutici, approvati dalla WADA, che rappresentano i due Allegati parte integrante del testo della Convenzione, grazie al rinvio operato dall’art. 4.

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La Convenzione lascia ai singoli Stati membri la libertà di adottare misure complementari al

codice WADA, attraverso leggi, regolamenti, politiche o provvedimenti amministrativi (art. 5) e

viene inoltre espressamente prevista la possibilità di stabilire sanzioni anche di natura penale per il

personale di supporto degli atleti colpevoli di doping.

Ma, se da un lato non vi è quindi alcun obbligo per gli Stati aderenti i cui ordinamenti non

annoverano sanzioni penali in materia di doping di provvedere in tal senso, dall'altro anche quegli

Stati che viceversa abbiano un regime più severo, prevedendo in particolare sanzioni penali pure nei

confronti degli atleti, non sono obbligati ad abrogare tale regime (artt. 8 e 9).

Se a ciò si aggiunge che nella versione definitiva è stata inserita la c.d. clausola federale,

fortemente voluta da Paesi come gli USA e il Canada, grazie alla quale vengono fatte salve le

competenze dei singoli Stati federati anche laddove lo Stato federale abbia aderito alla Convenzione

(art. 35), si crede di potersi svolgere alcune brevi considerazioni sulla reale portata uniformante

dell'accordo.

Per quanto infatti la Convenzione internazionale contro il doping del 2005 abbia come scopo

la definizione di uno strumento giuridico internazionalmente riconosciuto attraverso cui

armonizzare sia le diverse legislazioni nazionali che la cooperazione tra i vari Stati e le

organizzazioni sportive nazionali e internazionali in materia di contrasto al doping, è pur vero che

anche dopo la sua entrata in vigore restano delle zone d'ombra, lasciate evidentemente obtorto collo

per non pregiudicarne l'adesione generalizzata, che rischiano di limitare parecchio i reali effetti

dell'accordo in termini di omogeneità di trattamento delle pratiche di doping tra nazione e nazione.

In proposito deve ricordarsi come, pure limitandoci al solo ambito europeo, esistano posizioni

recisamente differenti rispetto alla necessità e all'opportunità di intervenire con una legge dedicata,

prevedendo in particolare delle sanzioni di carattere penale per le fattispecie di doping.

Mentre infatti vi sono Paesi – quali ad esempio l'Italia, la Francia, la Spagna e la Svezia – che

hanno emanato leggi ad hoc, ve ne sono altri, per lo più tradizionalmente portati ad

un'organizzazione dello sport di tipo privatistico (si pensi al Regno Unito) e quindi poco propensi

ad ingerenze statali nelle questioni sportive, che credono siano le organizzazioni sportive a dovere

approntare strumenti adeguati di deterrenza, potendosi comunque applicare all'occorrenza le norme

penali già esistenti, in specie con riferimento a fattispecie criminose legate al traffico di stupefacenti

o di medicinali ovvero ad ipotesi di lesioni colpose, se non addirittura di omicidio6.

6 In proposito, di sicuro interesse è il dibattito sviluppatosi tra i giuristi tedeschi a partire dall'inizio degli anni novanta e non ancora sopitosi, basato più che su questioni di natura organizzativa su profili di politica criminale in senso giuspositivista. In Germania gran parte della dottrina ritiene infatti che "un'estensione dell'ambito penalistico in relazione alla semplice condotta di fare uso di doping

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E anche dove esiste una specifica legge antidoping si riscontrano diverse differenze. Si

consideri nello specifico che mentre in Italia, così come in Svezia, è sanzionato penalmente il c.d.

doping autogeno, venendo cioè punito come reato l'assunzione volontaria di sostanze dopanti da

parte dello sportivo; in nazioni quali la Francia e più recentemente Spagna e Austria, le sanzioni

penali riguardano le condotte di commercio, prescrizione, somministrazione, offerta etc. ma non

anche gli atleti, passibili soltanto di sanzioni amministrative7.

In Italia, in particolare, la legge antidoping del 14 dicembre 2000 n. 376 prevede le medesime

pene (peraltro con un range di condanna piuttosto ampio: da 3 mesi a 3 anni) e la medesima figura

delittuosa, inquadrabile tra i reati di pericolo a dolo specifico, per tutti i soggetti e per tutte le

fattispecie legate al doping, senza distinguere, tra l'altro, a seconda del quantitativo, così come

avviene invece in Svezia, anch'essa dotatasi da tempo di sanzioni penali a carico dell'atleta8.

Anche in considerazione del fatto che il bene tutelato dalla legislazione statale si ritiene sia

fondamentalmente la salute pubblica, in relazione all'art. 32 della Costituzione – non foss'altro

perché la tutela penale dovrebbe essere accordata quanto più possibile nei soli casi di offesa

significativa su beni costituzionalmente rilevanti – è non quindi la lealtà e la correttezza sportiva9, la

legge italiana si è esposta a critiche proprio per la scelta di estendere l'ambito penale di punibilità

all'atleta.

Per quanto, in effetti, il fenomeno doping può e deve essere visto ormai come un problema

sociale, che va quindi contrastato non solo dalla regolamentazione sportiva, ove da tempo sono

previste sanzioni a carico dei diversi soggetti coinvolti che possono arrivare fino alla squalifica a

vita, ma altresì dall’ordinamento giuridico generale, preoccupandosi lo Stato dei rischi per la salute

degli atleti che fanno uso di doping, appare opinabile la scelta di utilizzare a livello legislativo

unicamente uno strumento repressivo così elevato sia ottimale sotto il profilo dell’efficacia

parrebbe soltanto la predisposizione di una discutibilissima (e secondo un certo punto di vista, addirittura incostituzionale) tutela di un principio etico, ciò che dovrebbe esulare dagli scopi di un diritto penale moderno e laico": GABRIELE FORNASARI, Il doping come problema penalistico nella prospettiva di diritto comparato, in CANESTRARI-FORNASARI (a cura di), Nuove esigenze di tutela nell'ambito dei reati contro la persona, Bologna, 2001, p. 444.7 Per una disamina delle diverse legislazioni in tema di contrasto al doping in ambito europeo si veda SILVANA PAGLIARA, Il doping negli ordinamenti europei e le iniziative mondiali per combatterlo, in Rassegna Avvocatura dello Stato, 2005, 4, p. 308-327.8 Legge 1° luglio 1992 n. 1969, come modificata dalla legge 25 febbraio 1999 n. 44.9 In Italia il doping è oggi infatti vietato esplicitamente sia dall’ordinamento sportivo, che fa oggi espresso riferimento al Codice Mondiale Antidoping della WADA e alla lista delle sostanze vietate e dei metodi proibiti, elaborata annualmente dalla WADA e immediatamente operativa anche in Italia senza ulteriori approvazioni da parte del CONI, sia dalla legislazione statale. La lettura delle due normative mostra però chiaramente come esse partano da punti di vista differenti, preoccupandosi l’ordinamento giuridico sportivo di garantire principalmente la lealtà e la correttezza nelle competizioni sportive; quello statale di tutelare la salute dei cittadini, mettendo al bando un comportamento che costituisce per essa un indubbio pericolo. Differenti sono ovviamente anche le conseguenze in caso di trasgressione, distinguendosi in particolare la sanzione dello Stato da quella prevista per l’illiceità sportiva per essere la prima di carattere addirittura penale.

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sanzionatoria, essendo l’applicabilità della norma penale, soggetta a complessi problemi di prova,

ben più difficile rispetto a quella di eventuali sanzioni amministrative10.

Evitando accuratamente la perigliosa china rappresentata da valutazioni di natura

sociopolitico o addirittura morale sulla scelta di politica criminale operata nel nostro Paese in tema

di doping, sembra nondimeno potersi dubitare della forza deterrente della legge antidoping italiana,

in particolare rispetto alla diffusione del fenomeno tra i giovani a tutti i livelli sportivi, che

dovrebbe tradursi in una marcata spinta dissuasiva a fare ricorso a mezzi che, oltre a essere scorretti,

si rivelano fatalmente nocivi per la salute degli atleti.

E ciò vale quantomeno per gli atleti stessi, costituendo forse per loro una maggiore minaccia

la previsione delle squalifiche sportive e per i quali, di converso, senza neppure distinguere nella

lettera del legislatore tra professionisti e dilettanti, sono stati tramutati in fattori criminogeni quegli

impulsi e desideri, a volte ingenui e difficilmente controllabili in giovane età, che li sospingono

verso il doping e che sono spesso frutto di forti condizionamenti ambientali11.

Ma a proposito del carattere di deterrenza delle sole sanzioni sportive e della necessità di un

intervento pubblico di sostegno alle istituzioni sportive, deve osservarsi come esse dimostrino una

certa incapacità ad affrontare con decisione il fenomeno doping.

Così, lascia invero perplessi che i controlli antidoping svolti in Italia sia dalle Federazioni

Sportive che direttamente dal CONI attraverso il suo Comitato per i controlli antidoping non

riscontrino in media neanche l'1% di positività, mentre i risultati dei controlli disposti dalla

Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping, istituita presso il Ministero della Salute, si

attestano invece ben sopra il 2% di positività. A cosa attribuire un differente esito?

Anche osservando i dati relativi ai controlli a sorpresa effettuati dai diversi organi le

differenze restano notevoli e costanti negli anni12.

10 È appena il caso di ricordare che, non sussistendo vincolo di pregiudizialità per la giustizia sportiva, questa scelta comunque non influisce sulle possibilità di infliggere le sanzioni disciplinari proprie dell’ordinamento sportivo, caratterizzate da un’assai maggiore applicabilità (si pensi, in proposito, che vale qui il principio della responsabilità oggettiva dell’atleta risultato positivo al controllo antidoping o semplicemente in possesso della sostanza vietata, salvo annullamento o riduzione della sanzione se l’atleta riesce a provare l’assenza di colpa o la colpa non significativa) e tuttavia limitate ai soggetti facenti parte del mondo sportivo.11 Con riguardo alle critiche mosse alla legge 14 dicembre 2000 n. 376 e in particolare alla scelta di sanzionare penalmente il possibile "anello debole della catena", sì da rivelarsi la stessa in un possibile boomerang processuale si veda SERGIO BONINI, Doping e diritto penale prima e dopo la legge 14 dicembre 2000 n. 376, in CANESTRARI-FORNASARI (a cura di), Nuove esigenze di tutela nell’ambito dei reati contro la persona, Bologna, 2001, p. 255-335, nella cui trattazione si da conto anche del dibattito inerente l'indubbia valenza simbolica che tale legislazione penale, al pari di altre, riveste.12 I dati relativi ai controlli statali si possono evincere dalle relazioni sullo stato di attuazione della legge 376/2000 e sull'attività svolta dalla Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping, presentate annualmente al Parlamento dal Ministro della Salute. Quelli dei controlli antidoping effettuati dalle Federazioni Sportive e dal Comitato per i controlli antidoping del CONI sono rinvenibili sul sito web del CONI (Home > Antidoping > Dati Statistici), ove peraltro gli ultimi report sono relativi al 2005 (sic!). È interessante osservare, peraltro, che le percentuali di positività ai controlli antidoping, in media relativamente contenute, raggiungono livelli piuttosto elevati se si considerano le singole discipline sportive, arrivando sovente oltre il 10% in sport quali la pesistica, il triathlon o le bocce.

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Se poi si volesse azzardare una comparazione oltre i confini nazionali, ad esempio con i dati

statistici della Agence française de lutte contre le dopage, si deve constatare come gli atleti

d'oltralpe risultino ex actis più dediti al doping, avendosi in Francia percentuali di positività intorno

al 4% (così nel 2006, peraltro in diminuzione rispetto agli anni precedenti)13.

Non ritenendo di potersi attribuire simili differenze ad una maggiore efficacia del sistema

repressivo italiano, quantomeno per il limitato periodo di tempo di applicazione della legge statale14,

si crede che esistano delle crepe nell'edificio preposto al controllo e al monitoraggio sul doping e

che altro debba essere ancora fatto per giungere ad avere un sistema organizzato diretto alla

repressione delle pratiche di doping; un sistema sulla cui realizzazione pesa anche la perdurante

inattività delle Regioni, restie a svolgere quel ruolo attivo e capillare di prevenzione sul territorio

che la legge assegna loro – in relazione alle importanti funzioni da esse svolte in tema di salute –

nell’ambito dei piani sanitari regionali, con particolare riguardo alle attività sportive amatoriali15.

Rebus sic stantibus, sarebbe importante che i diversi Governi riuscissero a trovare un'intesa

forte in tema di lotta al doping, quantomeno in ambito UE, che portasse anche ad un ponderato

confronto tra le diverse soluzioni proposte dalle normative nazionali e le reali forze di contrasto al

doping che il mondo sportivo è in grado di mettere in campo, dato che quest'ultimo subisce

inevitabilmente le pressioni, di natura spesso economica, messe in atto sia dall'interno che al di

fuori delle istituzioni sportive, correndo così il rischio di vedere compromessi i risultati che da esso

ci si attende, anche da parte pubblica.

13 I dati relativi all'attività di controllo svolta sotto l'egida dell'Agence française de lutte contre le dopage sono rinvenibili sull'aggiornatissimo sito della AFLD in http://www.afld.fr/ressources.php. 14 Il numero delle condanne statali per doping, che, fatta eccezione per il reato di commercio di sostanze dopanti, pare verosimilmente piuttosto esiguo – anche a causa delle difficoltà di applicazione che la legge 376/2000 ha trovato per le fattispecie verificatesi prima dell’emanazione della lista dei farmaci, delle sostanze e delle pratiche mediche vietate, avvenuta con il D.M. 15 ottobre 2002 – non viene riportato nelle relazioni della CVD di cui alla nota 11, ove si legge che "la reperibilità dei dati sulle sanzioni penali per le violazioni dei regolamenti sportivi risulta ardua e complessa per il mancato collegamento con le istituzioni che dispongono di tali informazioni" (relazione sullo stato di attuazione della legge 376/2000 e sull'attività svolta dalla Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive relativa all'anno 2006, comunicata alla Presidenza del Senato il 24 aprile 2007, p. 168).15 Secondo l’art. 5 della legge 376/2000, riprendendo quanto già stabilito dalla legge 1099/1971 in materia di tutela sanitaria delle attività sportive, “le regioni, nell’ambito dei piani sanitari regionali, programmano le attività di prevenzione e di tutela della salute nelle attività sportive, individuano i servizi competenti, avvalendosi dei dipartimenti di prevenzione, e coordinano le attività dei laboratori” di cui al decreto ministeriale previsto dall’art. 4 comma 3, che ne indica i requisiti organizzativi e il funzionamento. Questi laboratori avrebbe il compito di effettuare i controlli sulle competizioni e sulle attività sportive che non rientrano tra quelle specificatamente individuate dalla Commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, istituita presso il Ministero della Salute, rispetto alle quali i controlli sono invece svolti da differenti laboratori, appositamente accreditati presso il CIO o altro organismo internazionale riconosciuto in base alle disposizioni dell’ordinamento internazionale vigente, sulla base di una convenzione stipulata con la Commissione, ai sensi dell’articolo 4 comma 1. Solo alcune Regioni si sono però realmente attivate finora per la realizzazione e il conseguente accreditamento dei laboratori antidoping regionali (i LAD), i cui requisiti minimi sono stati peraltro fissati con l'Accordo siglato il 28 luglio 2005 tra il Ministero della Salute, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.

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Ciò sembra quanto mai opportuno, se si vuole evitare – in un futuro che vede sempre più

allarmante il pericolo doping (non ultimo per la strisciante notizia sulla pratica, che sarebbe già in

uso, del doping genetico) – di avere creato una sorta di enorme castello di difesa contro il doping,

che si riveli tuttavia tristemente vuoto al suo interno: un sistema antidoping che sarebbe allora

destinato ad assumere per lo più solo una valenza simbolica, in risposta alla richiesta di tutela nei

confronti delle istituzioni competenti da parte della società civile, sollecitata dal clamore suscitato

dai mass media, al fine di dare credibilità e stabilità all'intero pianeta "sport", in realtà ormai fuori

controllo.

Ma la lotta al doping non può essere abbandonata né sottostimata dalle istituzioni pubbliche

se soltanto si tiene presente che i rischi ad esso connessi coinvolgono una larghissima parte della

popolazione, per lo più giovani (si pensi che i tesserati, a livello sia agonistico che amatoriale,

superano solo in Italia i 7 milioni di persone).

La Convenzione contro il doping nello sport dell'UNESCO ha quindi lasciato alcune questioni

irrisolte a livello internazionale, tra le quali quella della punibilità per doping degli atleti, che in un

mondo altamente globalizzato quale quello sportivo inevitabilmente creano delle insidiose variabili

nell'efficacia del sistema mondiale antidoping.

Facendo seguito a quanto ribadito dalla Commissione europea, soprattutto in occasione di

riunioni dei Ministri europei dello sport16, ove è stata più volte affermata l'importanza di sostenere

congiuntamente una politica sovranazionale in materia di lotta al doping, si spera che possa arrivare,

in tempi relativamente brevi, una direttiva comunitaria antidoping.

E ciò solo dopo l'entrata in vigore, prevista per il 2009, del Trattato di Lisbona 2007, che

amplierà le competenze comunitarie in materia; disponendo come è noto ancora oggi l'Unione

Europea solo di competenze indirette in tema di sport, a causa dell'inciampo del trattato costitutivo

UE, di cui non è qui il caso di trattare.

16 Si vedano in particolare la dichiarazione di Nizza del 1999 e la dichiarazione di Artimino del 2003.

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In questa direzione, e sin da subito, i diversi Stati europei, superando alcune ambiguità che

hanno mosso le scelte nelle politiche repressive nazionali, si crede non possano sottrarsi dal tentare

di ridurre le differenze che esistono tra esse, realizzando congiuntamente alle istituzioni comunitarie

e insieme alle organizzazioni sportive un sistema antidoping compiutamente "integrato", che

raccordi l'attività dei vari soggetti sportivi e delle istituzioni pubbliche, internazionali, statali e

regionali, e che si interroghi proficuamente su quali siano le migliori strategie repressive, anche in

termini di misura e di effettività nell'applicazione delle sanzioni.

(*) Professore di diritto amministrativo nell'Università di Verona

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“AL VIA” IL REGOLAMENTO CHE DISCIPLINA GLI IMPIANTI

PER L’ESERCIZIO DI ATTIVITA’ MOTORIA RICREATIVA

NELLA REGIONE MARCHE: QUALE TUTELA PER I

CONSUMATORI-UTENTI DEI CENTRI FITNESS?

di Barbara Agostinis (*)

SOMMARIO:

1. La situazione normativa attuale.

2. Le figure professionali presenti all’interno degli impianti fitness.

3. La tutela della salute degli utenti dei centri fitness della Regione Marche.

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1. La situazione normativa attuale.

L’avvicinarsi della scadenza del termine imposto, dal Regolamento della Regione Marche del

28 febbraio 2005 n. 14 (“Requisiti degli impianti e delle attrezzature per l’esercizio di attività

motoria ricreativa, ai sensi dell’articolo 7 della legge regionale 1 agosto 1997 n. 47”), ai titolari

degli impianti sportivi situati nel territorio regionale1 per adeguare le proprie strutture alle

prescrizioni contenute nel provvedimento, offre lo spunto per compiere alcune riflessioni in merito

alla regolamentazione dell’attività di fitness.

Nonostante l’Italia sia al terzo posto nell’Unione Europea per la percentuale di sedentari2, il

numero di persone che ha cominciato, per vari motivi (estetiche, di mantenimento e/o

miglioramento di uno stato di salute e di benessere psico-fisico, svago, moda), a praticare attività di

fitness è notevolmente aumentato negli ultimi anni.

La circostanza secondo la quale alla rapida diffusione di tale attività3 non è corrisposta

un’adeguata evoluzione normativa del settore si è rivelata pregiudizievole per la salute, la sicurezza

e altri diritti dei consumatori-utenti dei centri sportivi.

La regolamentazione italiana del fitness si presenta lacunosa e disorganica posto che la

disciplina delle attività sportive non agonistiche e la realizzazione dei relativi impianti ed

attrezzature spetta agli Enti Locali, in particolare alle Regioni. Il D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 (art.

56) ha demandato a queste ultime le funzioni amministrative relative alla “promozione di attività

sportive e ricreative e la realizzazione dei relativi impianti ed attrezzature …”, mentre sono state

lasciate “ferme le attribuzioni del CONI per l’organizzazione delle attività agonistiche ad ogni

livello e le relative attività promozionali”4.

1 Ai sensi dell’art. 13 (comma 3) del regolamento, i titolari degli impianti in esercizio devono adeguarsi alle prescrizioni contenute nel regolamento entro trentasei mesi dall’entrata in vigore (avvenuta trenta giorni dopo la data di pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione -10 marzo 2005-). Una simile disposizione contrasta invero con quanto disposto nella legge n. 47/1997, il cui articolo 7 (comma 6) concede ai proprietari degli impianti un termine di ventiquattro mesi dall’entrata in vigore del regolamento.2 Secondo una ricerca “Italia in coda all’Europa” pubblicata da “Il Sole 24 Ore Sport”, maggio 2005, p.1, il nostro paese presenta una percentuale molto elevata (tra le più alte d’Europa) di persone che non svolgono alcuno sport, pari al 58% della popolazione. I dati sembrano invero essere più confortanti secondo una statistica successiva (E. SGAMBATO, Tesserati CONI in aumento, in Il Sole 24 Ore sport, maggio 2006, p. 3): la percentuale dei sedentari è scesa al 40,6% della popolazione ed è localizzata prevalentemente al Sud; quella dei praticanti sport in modo continuativo (20, 9% dei cittadini) si presenta in aumento (del 3%) rispetto al 1997. 3 L’attività di fitness, in notevole aumento nel nostro paese, è la disciplina più diffusa tra le persone con un’età compresa tra i venti e i trentacinque anni. Dall’analisi di una ricerca pubblicata recentemente dall’ISTAT, si evince che le discipline del cd. pacchetto fitness (composto dal gruppo ginnastica, aerobica, fitness e cultura fisica) hanno superato come numero di praticanti il calcio. Il metodo utilizzato è criticato da F. POLI, Lo sport praticato e lo sport percepito, in Il Sole 24 Ore Sport, luglio-agosto 2007, p. 18, il quale non condivide il confronto fra una sola disciplina (seppure compiuta in forme diverse) e un gruppo di discipline. 4 La disposizione è richiamata dall’art. 2 del decreto legislativo 23 luglio 1999 n. 242, ai sensi del quale il CONI “cura inoltre, nell’ambito dell’ordinamento sportivo […] la promozione della massima diffusione della pratica sportiva […] nei limiti di quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977 n. 616”.

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Il fatto che l’attività sportiva agonistica –riservata al CONI- sia stata distinta da quella non

agonistica –di competenza regionale- ha determinato l’esistenza di una pluralità di leggi (sebbene

non tutte le Regioni abbiano provveduto in tal senso), il cui contenuto deve essere specificato con

regolamento, volte a regolare le caratteristiche degli impianti deputati allo svolgimento dell’attività

sportiva ricreativa con particolare riguardo a due aspetti: la sicurezza dei luoghi, da un lato, e la

qualificazione professionale degli operatori, dall’altro, affinché l’attività motoria che in essi si

realizza sia in grado di garantire il benessere psicofisico degli utenti.

Entrambe le questioni si presentano strettamente collegate e funzionali ad assicurare la salute

degli utenti: un simile diritto può essere pregiudicato sia dallo svolgimento di attività sportiva sotto

la guida di personale non competente sia dalla mancanza di sicurezza dell’impianto. Oltremodo

evidenti sono infatti i danni, a volte gravi ed irreparabili, che possono derivare ai praticanti nelle

rispettive situazioni.

L’esigenza di valorizzare la competenza professionale degli istruttori sportivi e la necessità di

non affidarsi ad operatori “improvvisati” è riconosciuta anche in ambito internazionale5 e si evince,

tra l’altro, dalla Dichiarazione di Helsinki6 e dalla Carta Internazionale per l’educazione fisica e lo

sport, approvata dall’UNESCO il 21 novembre 1978. Quest’ultima, sancito (art. 1) il principio

secondo cui la pratica dell’educazione fisica e dello sport costituisce un diritto fondamentale per

tutti, dispone (art. 3 n. 4) che “l’insegnamento, l’inquadramento e l’armonizzazione dell’educazione

fisica e dello sport devono essere affidati ad un personale qualificato” e che (art. 3 n. 4.1) “l’insieme

del personale che assume le responsabilità professionali dell’educazione fisica e dello sport deve

possedere le qualificazioni e la formazione appropriate”.

Dall’analisi delle leggi regionali emerge una situazione confusa ed eterogenea, che rischia di

pregiudicare la funzione sanitaria universalmente riconosciuta allo sport. In un ambito -come quello

del fitness- estraneo ai controlli federali l’assenza di regole precise agevola, infatti, il diffondersi

della logica di mercato che, imponendo di mantenere costi non troppo elevati e condizioni

competitive, funzionali allo sviluppo della concorrenza fra gli operatori, può facilitare l’assunzione

di personale non preparato (purchè “economico”)7.

5 Nel nostro ordinamento, indicazioni in tal senso sono contenute nella “Carta dei principi dello sport per tutti”, approvata dal Consiglio Nazionale del forum permanente del Terzo settore il 17 dicembre 2002 e presentata alla Camera dei deputati il 19 febbraio 2004. Il testo della “Carta dei principi dello sport per tutti” è pubblicato in: Il Sole 24 Ore Sport, 2004 n. 4 (27 febbraio-11 marzo 2004), p. 2.6 « Les dangers encourus par des jeunes conduits de plus en plus tot vers le sport de haute compétition, souvent sans formation professionnelle complémentaire, avec des risques pour leur santé physique et mentale et leur reconversion ultérieur ». 7 Una simile preoccupazione è manifestata da S. LOLLI, Le professioni dello sport, Milano, 1997, p. 11

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La considerazione che “l’estrema frantumazione del settore del fitness spesso propone figure

professionali poco definite, in particolare per la qualità necessaria a tutelare la salute e l’integrità dei

cittadini”, fruitori di tale offerta, risulta condivisa anche a livello nazionale. Nel documento

approvato dalla Conferenza delle Regioni in data 15 novembre 2007, intitolato “Contributo delle

Regioni e delle Province autonome per la programmazione e la governance del settore sport”8, si

legge, infatti, che: “l’individuazione di figure professionali abilitate nel complesso ruolo di

conduttori e gestori degli impianti sportivi alla luce delle crescenti complessità tecnologiche ed

amministrative” costituisce una priorità anche con riguardo al fitness.

La situazione è resa ancora più grave a causa di un altro fenomeno.

La mancanza di una legge avente ad oggetto la tutela sanitaria dei praticanti attività di fitness

-diversamente da quanto disposto in altri ambiti, si pensi all’attività sportiva agonistica e a quella

non agonistica- ha portato i gestori delle palestre a disinteressarsi del problema sottovalutando i

rischi per gli utenti9. I titolari degli impianti si dimostrano invero più attenti ad individuare possibili

strumenti di esonero da responsabilità –perlopiù inefficaci- per i danni subiti dai soggetti che

frequentano la struttura anziché impegnarsi in un’efficace attività di prevenzione.

In questo contesto caotico e disorganico, il legislatore delle Marche è intervenuto a

disciplinare lo svolgimento dell’attività motoria e ricreativa con la Legge regionale 1 agosto 1997 n.

47 concernente “Interventi per la promozione e lo sviluppo della pratica sportiva e delle attività

motorio-ricreative” e con il Regolamento regionale del 28 febbraio 2005 n. 14 “Requisiti degli

impianti e delle attrezzature per l’esercizio di attività motoria ricreativa”, emanato ai sensi

dell’articolo 7 della predetta legge. Il regolamento è volto a regolare (art. 1) “i requisiti tecnici,

igienico-sanitari, e di sicurezza degli impianti e delle attrezzature utilizzati per l’esercizio delle

attività ginniche, di muscolazione e di formazione fisica e sportive in genere non regolamentate

dalle Federazioni sportive nazionali aderenti al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dalle

discipline sportive associate e dagli enti di promozione sportiva, riconosciuta dal CONI ovvero non

rientranti nei programmi di educazione fisica previsti dal competente Ministero”, con particolare

riguardo alla sicurezza delle strutture e alle figure professionali, chiamate ad operare negli impianti,

8 Il testo integrale del documento può essere consultato nella sezione “conferenze” del sito www.regioni.it. 9 Nello stesso senso, si veda il disegno di legge (di iniziativa del Ministro della salute Livia Turco) recante: “Disposizioni per la semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela della salute e altre disposizioni in materia sanitaria” approvato il 12 dicembre 2007 dal Senato della Repubblica. Tale provvedimento prevede l’abrogazione delle disposizioni relative all’obbligatorietà del certificato di buona salute per la pratica delle attività sportive dilettantistiche (di cui all’articolo 1 lettera a e b del decreto del ministro della Sanità –28 febbraio 1983-). Interessanti si presentano le considerazioni critiche espresse sul punto da E. RUSSO, Addio certificati medici?, in Il Sole 24 ore sport, gennaio, 2008, p. 47.

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affinché lo svolgimento dell’attività motoria che in essi si realizza possa realmente contribuire al

raggiungimento del benessere psicofisico degli utenti.

L’ambito di applicazione del provvedimento sembra circoscritto al fitness “terrestre”, con

esclusione di quello acquatico10, nonostante la mancanza di una formulazione espressa in tal senso.

Ai sensi dell’art. 1 le prescrizioni del provvedimento regionale riguardano gli impianti per lo

svolgimento di “attività ginniche, di muscolazione e di formazione fisica e sportive in genere”

diverse da quelle federali e non rientranti nei programmi di educazione fisica prevista dal

competente Ministero.

Una simile norma, se, da un lato, è restrittiva poiché, definendo l’impianto come “l’insieme di

uno o più sale per attività motoria”, non comprende le strutture all’aperto, dall’altro, si presenta

ampia perché estesa alle sale “integrate con vasche per attività acquatiche”.

Sebbene le piscine non siano state escluse in modo esplicito dall’ambito di applicazione del

regolamento e, da una lettura superficiale, possano sembrare incluse -considerato il riferimento alla

presenza di vasche per il compimento di attività acquatiche-, numerosi elementi depongono in senso

contrario.

I molteplici richiami al concetto di superficie11, unitamente al fatto che l’attività sportiva

praticata in impianti acquatici è regolata da altri provvedimenti normativi12, confermano

l’interpretazione restrittiva in base alla quale il regolamento regionale disciplina esclusivamente il

fitness “terrestre”.

2. Le figure professionali presenti all’interno degli impianti fitness.

Diversamente da altre normative regionali, che hanno attribuito ampia discrezionalità al

direttore tecnico nel “selezionare” i collaboratori, il regolamento delle Marche ha regolato

espressamente questo aspetto.

L’art. 9 dispone che: “per l’esercizio delle attività motorie-ricreative, ogni impianto deve

utilizzare istruttori provvisti di diploma di laurea in Scienze Motorie o del diploma conseguito

presso l’ISEF o di titolo equivalente ai sensi della normativa comunitaria, o, limitatamente alla

10 La regolamentazione delle piscine della Regione Marche è contenuta nelle “Linee guida sugli aspetti igienico sanitari per la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine ad uso natatorio”, approvate con delibera della Giunta regionale del 24 luglio 2006. 11 L’art. 4 menziona ripetutamente il termine superficie: la superficie complessiva dell’impianto, il rapporto superficie-sala/utente, e richiama come unità di misura il mq. 12 Al riguardo, si veda la nota 12.

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pratica delle singole discipline, tecnici abilitati dalle Federazioni sportive nazionali che abbiano

frequentato corsi integrativi con superamento di prova finale di qualificazione, promossi dal CONI

o dalle discipline sportive associate o dagli enti di promozione sportiva”. Il titolare dell’impianto è

tenuto ad individuare, fra il personale di cui al comma 1, un direttore tecnico.

Se una simile disposizione è apprezzabile per l’intenzione di chiarire le competenze delle

figure professionali, non può dirsi altrettanto con riguardo alla sua formulazione. L’interpretazione

letterale secondo cui il direttore tecnico deve essere individuato indifferentemente fra i laureati in

Scienze Motorie, diplomati ISEF o tra i tecnici federali sembra inadeguata e contraddittoria con

riguardo, da un lato, ai compiti propri di tale figura, e dall’altro, a quelli attribuiti ai tecnici federali.

Le competenze di questi ultimi sono circoscritte (ai sensi del primo comma) “alla pratica delle

singole discipline”, a differenza di quelle del direttore tecnico, che sono estese, tra l’altro,

all’organizzazione delle attività motorie, alla programmazione e personalizzazione delle stesse in

base alle esigenze di ciascun utente, al controllo del loro svolgimento, nonché alla collaborazione

con il responsabile sanitario13.

Non sembra potersi giustificare -se non per un’esigenza di compromesso imposta nella fase di

transizione- l’attribuzione nei confronti di una stessa persona (sprovvista del titolo di laurea)

dell’insegnamento limitato “alle singole discipline” –forse in considerazione delle conoscenze

acquisite con la frequenza dei corsi federali- e al contempo di poteri molto più ampi, estesi, ad

esempio, all’organizzazione e alla supervisione dello svolgimento delle varie attività, nonché al

controllo dell’efficienza delle attrezzature o della sicurezza dell’impianto.

Un’interpretazione teleologica dell’art. 9, che tenga conto della funzione di tutela della salute

sottesa alle normative regionali in materia di fitness e della complessità dei compiti assegnati al

direttore tecnico, sembra suggerire l’opportunità di nominare tale professionista fra i soggetti

laureati in Scienze motorie.

L’esercizio della professione di direttore tecnico, alla quale sono attribuite funzioni di

organizzazione, gestione delle attività e dell’impianto (nel rispetto degli standard fissati dal titolare),

è subordinata (dalle leggi regionali che la prevedono)14, al possesso di titoli specifici: il diploma di

13 In particolare il direttore tecnico svolge le seguenti funzioni: a) organizza le attività programmate dal titolare; b) supervisiona lo svolgimento delle attività motorie, assicurando che gli operatori raggiungano, in modo omogeneo, lo standard di servizio prefissato dal titolare; c) promuove l’aggiornamento e la crescita professionale degli operatori; d) cura l’efficienza delle attrezzature e segnala al titolare eventuali carenze dell’impianto; e) assicura il corretto flusso di informazioni tra il responsabile sanitario di cui al comma 4 e gli operatori; f) imposta l’attività motoria personalizzata per ciascun utente, secondo le indicazioni del responsabile sanitario di cui al comma 4 e risponde della corretta esecuzione da parte degli operatori.14 In tal senso, si veda il regolamento della Regione Marche del 28 febbraio 2005 n. 14 (art.9); oppure la legge regionale dell’Umbria del 4 luglio 1997 n. 21 “Norme per la promozione della pratica sportiva e per la disciplina delle attività motorie”, la quale menziona tra i requisiti necessari per il rilascio dell’autorizzazione comunale richiesta per l’apertura e l’esercizio degli impianti sportivi anche

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laurea in Scienze Motorie o il diploma conseguito presso l’Istituto Superiore di Educazione Fisica

(I.S.E.F.).

Le normative regionali non specificano i compiti e le funzioni dei collaboratori del direttore

tecnico, -si pensi agli istruttori-, che dovrebbero invece essere chiariti e differenziati in base alle

qualifiche e ai titoli posseduti dai singoli operatori.

È oltremodo evidente che il diverso livello di preparazione, ottenuto rispettivamente al

termine dei corsi organizzati dalle Federazioni o del percorso universitario impone di distinguere le

competenze attribuite agli istruttori federali rispetto quelle riconosciute agli istruttori in possesso del

diploma di laurea o rilasciato dall’I.S.E.F.

Gli uni hanno infatti una preparazione prevalentemente tecnica e finalizzata all’insegnamento

della singola disciplina sportiva, mentre gli altri possiedono una formazione “globale”.

Nonostante la Facoltà di Scienze Motorie sia l’unico ente istituzionalmente legittimato a

curare la formazione dei professionisti competenti ad operare nel settore del fitness: “la conduzione,

gestione e valutazione di attività del fitness individuali e di gruppo” costituisce uno dei principali

sbocchi occupazionali previsti dal corso di laurea triennale di tale Facoltà15, sono state presentate

numerose proposte di legge volte a disciplinare la professione di maestro di fitness e sono stati

organizzati vari corsi (della durata di pochi week end) da enti privati, i quali si attribuiscono il

potere di formare operatori qualificati nel settore. Simili iniziative sembrano costituire invero una

forma di “concorrenza sleale” nei confronti dei laureati.

Il regolamento regionale, in linea con l’opinione -accolta in modo pacifico- secondo cui

l’attività motoria può svolgere una prevenzione delle patologie e contribuire al mantenimento e/o

miglioramento del benessere psicofisico solo se è differenziata in base alle caratteristiche specifiche

dei praticanti, ha imposto che la programmazione di tale attività sia il risultato di un’attività

d’equipe: è impostata dal direttore tecnico secondo le indicazioni del responsabile sanitario.

La necessaria collaborazione di entrambi i professionisti nello svolgimento di una simile

attività, si riflette sulla responsabilità per i danni riportati dagli utenti.

“l’impiego e la presenza costante di un direttore tecnico provvisto di un diploma ISEF” (art. 10); o ancora la legge regionale del Lazio del 20 giugno 2002 n. 15 “Testo unico in materia di sport” che all’art. 34, nel dettare la disciplina relativa agli impianti e palestre per l’esercizio delle attività motorie e sportive, impone “l’utilizzazione e la presenza costante di un istruttore laureato o diplomato in Scienze Motorie o diplomato in educazione fisica presso una Università o Istituto Superiore Statali o pareggiati o diplomato presso l’Istituto Superiore di Educazione Fisica (I.S.E.F.) o laureato presso l’Istituto Universitario Scienze Motorie (I.U.S.M.), responsabile delle attività, con funzioni di direttore tecnico; ed infine la legge regionale della Liguria del 5 febbraio 2002 n. 6 “Norme per lo sviluppo degli impianti e delle attività sportive e fisico-motorie” che subordina il rilascio dell’autorizzazione comunale necessaria per l’apertura e l’esercizio degli impianti sportivi alla presenza, tra l’altro, del “direttore responsabile in possesso del diploma di laurea in Scienze Motorie o titolo equivalente nell’ambito dell’Unione Europea o, in subordine, del diploma conseguito presso l’Istituto Superiore di Educazione Fisica o titolo equivalente nell’ambito dell’Unione Europea” (art. 29 comma 4).15 Corso di laurea triennale afferente alla Classe delle lauree in Scienze delle Attività motorie e sportive (L-22).

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Possono sussistere gli estremi per un addebito di responsabilità a carico del sanitario qualora

si dimostri che l’inadeguatezza degli esercizi alle esigenze del praticante o addirittura la pericolosità

degli stessi sia riconducibile ad un’omissione colposa del professionista, il quale, per negligenza,

imprudenza o imperizia non abbia valutato adeguatamente la situazione del soggetto o sia stato

superficiale nel riferirla al direttore tecnico.

Diverse sono le conseguenze nel caso in cui le lesioni riportate dall’utente sono riconducibili

ad una programmazione errata dovuta esclusivamente alla colpa del direttore tecnico, che è l’unico

soggetto tenuto al risarcimento dei danni.

Il direttore tecnico deve inoltre supervisionare lo svolgimento delle attività motorie al fine di

assicurare il raggiungimento, da parte degli operatori, dello standard di servizio prefissato dal

titolare e curare l’efficienza delle attrezzature segnalando a quest’ultimo le carenze dell’impianto16.

Un simile professionista è, pertanto, responsabile del mantenimento delle condizioni di

sicurezza della palestra insieme al titolare.

L’obbligo di curare l’efficienza delle attrezzature (segnalando al titolare le carenze

dell’impianto) attribuisce al direttore tecnico una posizione di garanzia e di protezione

dell’incolumità degli utenti rispetto al pericolo derivante dall’utilizzo di tali attrezzature, che può

costituire il presupposto per un addebito di responsabilità nei suoi confronti qualora ometta, ad

esempio, di compiere gli interventi di ordinaria manutenzione ovvero non comunichi la necessità di

realizzare quelli di straordinaria manutenzione. Si pensi, ad esempio, alla opportunità di sostituire

eventuali macchinari ormai obsoleti, o non sicuri con l’acquisto di altri più recenti ed evoluti.

Più ampio è il dovere imposto al direttore tecnico con riguardo alla struttura nel suo

complesso: l’obbligo di segnalare al titolare eventuali carenze dell’impianto presuppone infatti un

controllo accurato e periodico. La previsione di simili obblighi sembrano confermare l’esistenza di

un potere di custodia a carico del direttore tecnico -oltre che del titolare-, il quale giustifica un

addebito di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. oltre che 2043 c.c..

La responsabilità prevista (dall'art. 2051 c.c.) per i danni cagionati da cose in custodia

presuppone infatti la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa17 e un potere di controllo della

stessa, volto ad eliminare le situazioni di pericolo che possono insorgere.

16 Ai sensi dell’articolo 9 del regolamento. 17 La custodia è definita come “una relazione fra la cosa e il soggetto tale per cui si possa ritenere che a quest’ultimo incomba un dovere di controllo sulla stessa”. Sul punto, G. ALPA- M. BESSONE, I fatti illeciti, in Tratt. di dir. priv. dir. da Rescigno, 14. Obbligazioni e contratti, VI, Torino, 1982, p. 340.

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Una simile norma, che impone un dovere di sorveglianza sul bene, può trovare applicazione

nei confronti del direttore tecnico, considerato l’obbligo di controllo delle attrezzature e

dell’impianto posto a suo carico.

L’applicazione di tale disposizione, in passato limitata ai beni aventi un dinamismo causale

interno18, è stata estesa anche riguardo alle cose inerti e sprovviste di una tale caratteristica, ritenute

anche esse idonee a cagionare un danno. La Suprema Corte si è pronunciata in tal senso proprio nei

confronti dei gestori di una palestra19.

Un’altra figura professionale che deve –necessariamente- essere presente nelle palestre della

Regione Marche è il Responsabile sanitario20, preferibilmente medico specializzato in medicina

dello sport o iscritto alla Federazione medico sportiva (FMS)21, il quale (ai sensi dell’art 9 comma

4) “garantisce la tenuta di una scheda riservata sullo stato fisico e di salute di ciascun utente,

evidenziando in essa eventuali limiti rispetto all’attività svolta nell’impianto”22.

Anche la formulazione di tale norma non sembra invero brillare per chiarezza, in particolare

risulta pleonastico il dovere imposto al sanitario di tenere una scheda riservata: il rispetto di un

simile obbligo è assicurato dalla normativa sulla privacy, che consente altresì di salvaguardare il

diritto di accesso ai dati da parte del direttore tecnico.

È evidente che, nonostante il silenzio sul punto, l’obbligo di tenere la scheda presuppone

quello di aggiornarla attraverso l’indicazione delle eventuali problematiche sopraggiunte,

eventualmente sconsigliando la prosecuzione dell’attività o modificandone il programma.

Un’altra disposizione formulata in modo discutibile è quella secondo cui il responsabile

sanitario deve controllare che l’eventuale uso di integratori alimentari, di dichiarata e comprovata

composizione, sia destinato a correggere problematiche cliniche23.

18 Cass, 22 gennaio, 1980, in Giur. comm. 1980, I, p. 838.19 Cass. civ., 17 gennaio 2008 n. 858, in Giust. civ. Mass. 2008, 1. Nella specie la S.C., ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di appello, che aveva ritenuto sussistente la responsabilità ex art. 2051 c.c. dei gestori di una palestra per i danni provocati ad un associato da una cyclette difettosa.20 La presenza di un medico dello sport all’interno delle palestre è ritenuta necessaria dall’89,7% degli utenti delle 202 palestre italiane partecipanti ad uno studio finanziato dalla Commissione Europea, al quale hanno collaborato le associazioni dei consumatori di alcuni paesi oltre ai Comitati olimpici europei (COE) e l’associazione europea dei consumatori (AEC). Sul punto, si veda P. COCCIA, In palestra ancora poca sicurezza, in Il Sole 24 Ore Sport, dicembre 2005, p. 24. 21 Il fatto che il responsabile sanitario debba essere “preferibilmente” e non necessariamente un medico sportivo, può condurre al compimento di scelte pregiudizievoli fondate su criteri economici, “di risparmio” . 22 Ai sensi dell’art. 9 comma 4, il Responsabile sanitario, che deve garantire la sua presenza presso l’impianto almeno ogni tre mesi, inoltre “collabora con il titolare dell’impianto nell’allestimento delle strutture e delle attrezzature di primo soccorso; controlla che l’eventuale uso di integratori alimentari, di dichiarata e comprovata composizione, sia destinato a correggere eventuali problematiche cliniche; collabora con il direttore tecnico nella personalizzazione delle attività ginniche praticate dall’utente. 23 Art. 9 comma 4.

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Una simile enunciazione contrasta con la legislazione italiana in materia di integratori24, la

quale esclude che tali sostanze, considerate prodotti alimentari25, abbiano finalità terapeutiche26.

L’erroneità della norma si riflette sull’eventuale addebito di responsabilità del sanitario. Non

si vede, infatti, come il professionista possa discolparsi dimostrando di avere controllato la finalità

terapeutica dell’assunzione, se tale scopo è escluso dal legislatore.

È evidente che una simile prescrizione avrebbe potuto essere prevista con riguardo alle

sostanze dopanti, la cui assunzione o somministrazione è lecita ed esclude la fattispecie di reato “se

giustificata da condizioni patologiche”27.

La circostanza secondo la quale l’obbligo imposto al responsabile sanitario di tenere la scheda

sullo stato fisico e di salute di ciascun utente si accompagni al dovere del direttore tecnico di

acquisire per ciascun iscritto la relativa certificazione medica di buona salute -atta alla pratica

sportiva non agonistica- sembra idonea ad assicurare un’ampia tutela della salute per gli utenti dei

centri fitness della Regione Marche.

24 Il riferimento è decreto legislativo 21 maggio 2004 n. 169 di recepimento della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2002/46/CE.

25 Ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo n. 169 sono considerati integratori alimentari “i prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine o i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti, sia pluricomposti, in forme predosate”.

26 La distinzione tra i due prodotti si evince anche dal dettato normativo: è stabilito infatti che l'etichettatura degli integratori alimentari deve contenere l'indicazione "non è un medicinale", allorchè la presentazione del prodotto possa ingenerare confusione tra i consumatori.

27 Art. 2 della legge del 14 dicembre 2000 n. 376.

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3.) La tutela della salute degli utenti dei centri fitness della Regione Marche.

Nonostante sia condivisa l’importanza di compiere accertamenti approfonditi, utili a verificare

l’idoneità fisica di coloro i quali intendono svolgere attività sportiva e funzionali a prevenire il

verificarsi di eventi lesivi –contrastanti con la finalità sanitaria riconosciuta allo sport-, il vuoto

normativo che caratterizza la materia rischia di pregiudicare la salute degli utenti.

Le problematiche giuridiche connesse alla protezione di quest’ultimo diritto presentano

caratteristiche differenti in base all’attività praticata: agonistica, non agonistica o di fitness.

Il legislatore statale, a differenza di quello di altri Stati europei, è intervenuto a regolare

esclusivamente le prime due28 ed ha imposto a chiunque sia intenzionato a praticare attività

agonistica di sottoporsi “previamente e periodicamente al controllo dell’idoneità specifica allo sport

che intende svolgere”29.

Il primo intervento normativo in materia di “tutela sanitaria delle attività sportive”, risalente

alla metà del XX secolo30, disponeva l’obbligatorietà del certificato (rilasciato da una commissione

di medici effettivi della F.M.S.I.) “attestante l’idoneità fisica specifica allo sport”, con esclusivo

riguardo allo svolgimento di alcune attività agonistiche31. Tale provvedimento è stato abrogato dalla

legge del 26 ottobre 1971 n. 1099 (entrata in vigore il 23 marzo 1972), che ha esteso

l’obbligatorietà dei controlli –gratuiti, fatta eccezione per i professionisti- a tutte le attività

agonistiche ed ha abolito il limite minimo di età per la partecipazione alle gare32.

La distinzione fra attività agonistica e non agonistica è alla base dei successivi interventi

legislativi.

28 Si veda F. BRIGUGLIO, La tutela sanitaria delle attività sportive, in C. BOTTARI, (a cura di), Attività motorie e attività sportive: problematiche giuridiche, Padova, 2002, p. 164.29 Così dispone l’art. 1 del Decreto del Ministro della Sanità 18 febbraio 1982 “Norme per la tutela sanitaria dell’attività agonistica”.30 Il riferimento è alla legge 26 ottobre 1950 n. 1055, la quale affidava la tutela sanitaria delle attività sportive agonistiche alla Federazione medico-sportiva italiana “sottoposta alle direttive ed alla vigilanza dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica”. L’importanza della medicina dello sport è stata ripetutamente sottolineata dal Consiglio d’Europa; a tal riguardo si presenta interessante, tra l’altro, l’analisi della Risoluzione n. 27 del 26 ottobre 1973 relativa alla creazione dei centri di medicina sportiva. 31 L’obbligo del certificato era limitato ad alcune categorie di sportivi: gli atleti professionisti e dilettanti con retribuzione individuale, per gli atleti dilettanti “senza alcuna remunerazione pecuniaria” riguardava solo alcune discipline: pugilato, atletica pesante, gare ciclistiche particolarmente gravose, sport motoristici, sport subacquei”. Amplius, vedi T. TRABELLA, T. DE JULIIS, V. VITTORIOSO, Tutela sanitaria delle attività sportive, Milano, 1985, p. 19 ss.32 Per un’analisi della legge 1099/1971 e delle novità apportate alla normativa precedentemente in vigore in materia di tutela sanitaria delle attività sportive, si cfr. T. TRABELLA, T. DE JULIIS, V. VITTORIOSO, op. cit., 24 ss. Gli autori criticano l’estensione della tutela sanitaria a tutte le discipline sportive a causa della insufficienza delle strutture e della mancanza di mezzi finanziari. Si soffermano inoltre (p. 33 ss.) ad analizzare le incongruenze e le contraddizioni dei decreti ministeriali di attuazione della legge 1099/1971. Sull’argomento, anche F. BRIGUGLIO, op. cit., p. 162.

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Con riguardo alla prima, il cui esercizio è subordinato al possesso di un certificato attestante

l’idoneità specifica alla singola disciplina sportiva, è stato demandato alle Regioni ed alle province

autonome il compito di stabilire, d’intesa con il CONI, la soluzione più adeguata per l’accertamento

dell’idoneità alla pratica sportiva nel loro territorio33.

Nonostante la qualificazione di un’attività come agonistica34 spetti all’ordinamento sportivo

ed in particolare alle Federazioni e agli Enti sportivi riconosciuti dal Coni, considerata

l’impossibilità di introdurre una definizione unitaria valevole per tutti gli sport, il legislatore ha

ritenuto opportuno –al fine di assicurare un’adeguata tutela del diritto alla salute- disciplinare in

modo uniforme le modalità di svolgimento della visita per il rilascio del certificato di idoneità35,

specificando gli accertamenti medici necessari per ciascuna attività.

La disciplina normativa in materia, subordina lo svolgimento dell’attività sportiva al

compimento di controlli sanitari -effettuati dai medici della Federazione Medico Sportiva Italiana

(FMSI)36, dal personale delle strutture pubbliche e private convenzionate indicati dalle regioni 33 Sul punto, si cfr. la circolare 18 marzo 1996 n. 500 emanata dal Ministro della Sanità “Linee guida per l’organizzazione della certificazione di idoneità all’attività sportiva agonistica” (pubblicata in G. U. del 10 aprile 1996 n. 84), che prevede la scelta fra tre moduli organizzativi -anche fra loro complementari- costituiti: a) dai servizi pubblici di medicina dello sport; b) dai centri privati autorizzati e accreditati ai sensi di legge; c) dai singoli specialisti in medicina dello sport autorizzati a svolgere l’attività certificatoria in quanto operanti in locali adeguati. Con riguardo alle soluzioni indicate dalle lettere a) e b), le regioni e le province autonome definiscono ed applicano criteri di accreditamento, in osservanza alle prescrizioni della legislazione di riordino del sistema sanitario; con riguardo all’ipotesi indicata alle lettera c) identificano, tramite specifici elenchi aperti, gli specialisti titolari della funzione. La circolare sottolinea che le soluzioni prescelte possono essere tutte valide e convivere sul territorio nazionale purchè siano idonee a garantire il rispetto di tre obiettivi: la facilità di accesso alle visite, in modo che un numero sempre maggiore di atleti possa essere sottoposto alla visita annuale; la snellezza e rapidità nelle procedure ed infine il monitoraggio sistemico regionale, ed in prospettiva nazionale, dei soggetti abilitati alla pratica sportiva agonistica suddivisi per tipologia di sport, per età e per sport.34 Una simile scelta, che consente di differenziare la definizione di attività agonistica con riguardo a ciascuna disciplina sportiva, ha portato gli interpreti ad interrogarsi circa i limiti e le caratteristiche di tale attività. Le difficoltà interpretative e le continue richieste di chiarimento pervenute al Ministero della Sanità, sono alla base della circolare n. 7 del 31 gennaio 1983 (contenente disposizioni del Ministero della Sanità sull’attuazione del D. M. 18 febbraio 1982). Quest’ultimo provvedimento, seppure non offra una definizione unitaria di attività agonistica, indica l’elemento che la caratterizza e che è comune a tutte le discipline sportive: l’esercizio sistematico e/o continuativo e soprattutto in forme organizzate dalle Federazioni Sportive Nazionali, dagli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI e dal Ministero della Pubblica Istruzione per quanto riguarda i Giochi della Gioventù a livello nazionale, per il conseguimento di prestazioni sportive di un certo livello. “L’attività sportiva agonistica non è quindi sinonimo di competizione posto che l’aspetto competitivo, il quale può essere presente in tutte le attività sportive, da solo non è sufficiente a configurare nella forma agonistica un’attività sportiva.” Sul punto, v. R. SANTOMASSIMO, la definizione dell’attività sportiva agonistica, in http://xoomer.virgilio.it/remosan/Definizione_attivita.htm, dove è riportato un interessante prospetto –riassuntivo- delle condizioni per la qualificazione di attività sportiva agonistica predisposta dalle singole Federazioni sportive nazionali.35 Ai sensi dell’art. art 5 (del Decreto del Ministero della Sanità del 18 febbraio del 1982) la presentazione da parte dell’interessato del certificato di idoneità -rilasciato in seguito al compimento degli esami indicati- è condizione indispensabile per la partecipazione alle attività agonistiche.36 Il riferimento è alla circolare del Ministero della Sanità del 18 marzo 1996 n. 500, cit., che demanda “il rilascio della certificazione di idoneità alla pratica sportiva agonistica esclusivamente al medico specialista in medicina dello sport (ovvero al medico in possesso dell’attestato di cui all’art 8 della legge n. 1099 1971 antecedente l’istituzione delle scuole di specializzazione) operante all’interno di studi medici, ambulatori, centri, in possesso di precisi requisiti di organizzazione, strutture ed attrezzature in rapporto alla tipologia delle visite che intendono effettuare in base ai protocolli previsti dai decreti ministeriali 18 febbraio 1982 e 4 marzo 1993”. La circolare aggiunge che l’attività certificatoria, “avendo quale suo adempimento conclusivo la redazione di una certificazione con valore medico-legale, comporta la riconduzione in capo al professionista delle eventuali conseguenze derivanti dalla redazione del certificato”. Le difficoltà relative all’individuazione della figura del medico sportivo sono state “superate” dalla circolare n. 7 del 31 gennaio 1983, che ha identificato i medici della F. M. S. I. con coloro i quali sono che lo statuto della Federazione stessa definisce ‘soci ordinari’ e cioè i medici in possesso della specializzazione in medicina dello sport o dell’attestato ministeriale di cui alla legge

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d’intesa con il C.O.N.I.- elencati in un protocollo clinico-diagnostico -allegato al decreto

ministeriale del 198237- unitamente all’indicazione della periodicità con cui devono essere compiti

in relazione ai singoli sport.

La regolamentazione dell’attività sportiva agonistica se, da un lato, costituisce “un modello

per molti altri Stati”, in cui è assente una previsione che imponga l’obbligo della visita medica

(volta ad accertare l’idoneità all’attività agonistica), dall’altro, si presenta incompleta perché il

protocollo risale all’inizio degli anni ottanta e non menziona alcuni sport diffusi nell’ultimo

ventennio. Un tale vuoto normativo risulta particolarmente problematico per il medico, tenuto ad

accertare l’idoneità di un atleta allo svolgimento di uno sport “non codificato”38: la clausola di

salvaguardia39 non è, infatti, sempre sufficiente ad esonerare il professionista, tenuto ad

un’osservanza scrupolosa delle norme di legge e dei regolamenti federali40, il quale abbia

erroneamente considerato idoneo alla pratica sportiva un atleta.

La natura della responsabilità del medico sportivo non sembra presentare particolari

differenze rispetto quella in cui può incorrere il sanitario che opera in altri ambiti41.

n. 1099/1971.37 Nella tabella A sono indicati gli accertamenti per gli sport che comportano un minore impegno fisico –cardiocircolatorio e respiratorio- (automobilismo -velocità, rally, autocross e rallycross-, automobilismo –regolarità nazionale e slalom nazionale- badminton, bob, bocce, curling e birilli sul ghiaccio, golf, karting e motociclismo –velocità-, motociclismo –motocross, enduro, trial-, motonautica, slittino,, tamburello, tennis da tavolo, tiro con l’arco, tiro a segno, tiro a volo, tuffi) per i quali sono obbligatori i seguenti esami: visita medica, esame competo delle urine ed elettrocardiogramma a riposo. Nella tabella B quelli a maggiore impegno (atletica leggera, baseball, biathlon, calcio, canoa, canottaggio, ciclismo, ginnastica, hockey e pattinaggio a rotelle, hockey su prato e “en salle”, karate, ippica, judo, lotta, nuoto, pallacanestro, pallamano, pallavolo, pentathlon moderno, pugilato, rugby, scherma, sci alpino –discesa libera-, slalom speciale e gigante, sci combinata –salto speciale, sci da fondo, sci nautico, softball, sollevamento pesi, sport del ghiaccio, sport equestri, sport subacquei, tennis vela).38 La mancata previsione degli accertamenti necessari per lo svolgimento di sport “non codificati”, se esclude un addebito di responsabilità a titolo di colpa specifica a carico del sanitario, può consentire di ravvisare un’ipotesi di responsabilità omissiva per non avere compiuto –a causa di negligenza, imprudenza o imperizia (oltre che a titolo di dolo nei casi di maggiore gravità)- gli accertamenti che, seppure non previsti dal legislatore, potrebbero rivelarsi necessari per valutare l’idoneità allo svolgimento della singola disciplina sportiva. In tal caso può sussistere una responsabilità civile per il medico dello sport, al quale è demandato in via esclusiva il rilascio della certificazione di idoneità alla pratica sportiva agonistica , ai sensi dell’art. 2236 c.c. La certificazione dell’idoneità alla pratica agonistica per lo svolgimento di uno sport non contemplato dalle tabelle ministeriali sembra potere essere considerato un “casi di particolare difficoltà”.

La mancanza di riferimenti utili per il professionista che deve risolvere un caso “nuovo”, non disciplinato dal legislatore, quale può essere la certificazione dell’idoneità allo svolgimento di un’attività sportiva non inclusa nel decreto ministeriale, impone al medesimo di adottare una perizia superiore a quella richiesta normalmente.39 L’unica “clausola di salvaguardia” è contenuta nell’art. 3 in cui è previsto che “ogni sport non contemplato nelle tabelle A e B sia assimilato, ai fini degli accertamenti sanitari da compiersi, a quello che, tra i previsti, presenta maggiore affinità con quello prescelto dall’interessato”. È evidente che il riferimento allo sport più affine presuppone necessariamente una conoscenza tecnica specifica dell’attività sportiva prescelta “esulante dalla generica fisiologia e patologia degli apparati sollecitati dalla pratica sportiva e coinvolgente l’incidenza della specifica attività agonistica sulle caratteristiche biopsichiche dell’atleta” (V. FRATTAROLO, La responsabilità civile del medico sportivo in relazione a stati patologici dell’atleta, in Riv. dir. sport., 1988, p. 359). 40 Sul punto, cfr. V. FRATTAROLO, op. cit., p. 357.41 L’unico aspetto peculiare concerne la fase –diagnostica- in cui più frequentemente ricorrono i presupposti per un addebito di responsabilità a carico del medico sportivo.

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La presenza di un rapporto di lavoro autonomo o dipendente di una struttura sanitaria42 non

influisce sulla natura della responsabilità: in entrambi i casi di natura contrattuale.

L’impostazione originaria, propensa a ravvisare una responsabilità extracontrattuale43 a carico

del medico44 dipendente, in assenza di un legame contrattuale fra il professionista e i pazienti, pare

essere stata superata dalla tesi contrattualistica45, forse in considerazione del regime favorevole per

il danneggiato –relativamente al profilo probatorio e della prescrizione-.

Lo svolgimento di attività sportiva non agonistica è regolata dal Decreto del Ministero della

sanità del 28 febbraio 198346, che impone a coloro, i quali “svolgono attività organizzate dal CONI,

da società sportive affiliate alle Federazioni sportive nazionali o agli enti di promozione sportiva

riconosciuti dal CONI e che non siano considerati atleti agonisti ai sensi del decreto ministeriale

18/2/1982, che partecipano ai giochi della gioventù, nelle fasi precedenti quella nazionale, nonché

agli alunni che svolgono attività fisico sportive organizzate dagli organi scolastici nell’ambito delle

attività parascolastiche” l’obbligo di sottoporsi “previamente e con periodicità annuale a visita

medica volta ad attestare lo stato di buona salute”, compiuta dai medici di medicina generale e dai

medici specialisti pediatri “di libera scelta”.

Alla fine dell’anno scorso è stata proposta l’abrogazione di una simile norma47. A fronte delle

reazioni favorevoli espresse da chi ha “salutato” simile provvedimento come “la fine di

42 L’orientamento dottrinale maggioritario (M. BONA, A. CASTELNUOVO, P. G. MONATERI, La responsabilità civile nello sport, Ipsoa, 2002, p. 73) attribuisce natura contrattuale alla responsabilità del medico sociale (previsto dal d.m. 13 marzo 1995), ritenendo che un simile professionista sia soggetto al regime tipico del rapporto negoziale del “contratto di cura”, conformato sul modello del contratto d’opera intellettuale (art 2230 c.c.). Gli stessi autori (Id., op cit, p. 73 nota 300) riconoscono analoga natura alla responsabilità del medico sportivo che opera al di fuori di una società sportiva intrattenendo un rapporto professionale diretto con l’atleta.43 P. G. MONATERI, La responsabilità civile 3. Le fonti delle obbligazioni, in Tratt. dir. civ. Sacco, Torino, 1998, p. 769.44 Amplius, sulla responsabilità del medico, si veda R. DE MATTEIS, La responsabilità medica. Un sottosistema della responsabilità civile, Padova, 1995; C. AMODIO, Responsabilità medica, in Dig. disc. priv. (Sez. civ.). Agg., II, 2, Torino, 2003, p. 1177 ss.; U. RUFFOLO (a cura di), La responsabilità medica, Milano, 2004. La responsabilità medica costituisce un regime speciale secondo G. ALPA, La responsabilità civile, in Tratt. dir. civ. Alpa, IV Milano, 1999. Con riguardo alla responsabilità della struttura sanitaria, sia essa pubblica o privata, la giurisprudenza, pur concordando in merito alla natura contrattuale, è divisa sulla qualificazione: alcuni la riconducono al contratto d’opera (Cass., 8 maggio 2001, in Danno e resp., 2001, p. 1045), altri ad un contratto atipico di spedalità (Cass., 26 gennaio 2006, n. 1698, in Mass. Foro it., 2006, c. 260).45 Parte della dottrina ritiene che fra l’ente e il medico dipendente si concluda un contratto con effetti protettivi verso terzi che, pertanto, impone al sanitario di eseguire in modo diligente la propria prestazione nei confronti della controparte –struttura ospedaliera-, e vieta di cagionare danni a terzi (in tal senso, E. MORELLI, La responsabilità civile in campo medico: appunti e riflessioni, nota a Trib. Verona, 15 ottobre 1990, in Arch. civ., 1991, p. 716) altri, e rappresentano l’orientamento maggioritario (espresso dalla Suprema Corte nella sentenza del 22 gennaio 1999, n. 589, in Giur. it., 2000, p. 740) riconducono la responsabilità del medico dipendente alla più ampia categoria della responsabilità “da contatto” in virtù del contatto sociale che si instaura fra il medico e il paziente e che ha alla base un’obbligazione senza prestazione (Sul punto, F. MAZZASETTE, La responsabilità civile del medico tra pronunce giurisprudenziali ed interventi legislativi, in Rass. dir. civ., 2008, p. 85 ss. Secondo l’autrice, l’esigenza di “un bilanciamento fra l’esigenza di garantire al paziente una tutela il più possibile effettiva e completa e la possibilità per il medico di svolgere la propria attività sanitaria senza il timore di essere esposto ad azioni giudiziali” è alla base di recenti progetti di legge che introducono nel nostro ordinamento disposizioni specifiche in materia di responsabilità professionale del personale sanitario, tra i quali il progetto di legge n. 130 presentato al senato il 2 maggio 2006).46 Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 marzo 1983 n. 72.47 Sul punto, si veda la nota 9.

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un’ipocrisia”, in virtù del fatto che spesso il certificato consiste in un mero atto burocratico, altri, ed

in particolare il Collegio dei medici federali della Federazione Medico sportiva italiana, hanno

manifestato un’opinione contraria secondo la quale la visita strumentale al rilascio del certificato di

idoneità all’attività sportiva non agonistica consente di compiere uno screening di massa della

popolazione, senza alcun onere finanziario per il Servizio sanitario nazionale.

Altri ancora48 hanno posto l’attenzione sulle possibili conseguenze giuridiche derivanti –dalla

mancata richiesta del certificato- in capo al dirigente nel caso in cui un praticante attività sportiva

subisca un infortunio.

In particolare è stata sottolineata la difficoltà per il dirigente di esonerarsi dalla responsabilità

dimostrando di avere adottato tutte le cautele o di avere tutto il possibile per evitare il danno

-qualora si tratti di attività pericolosa di cui all’art. 2050 c.c.-.

Il fatto che lo svolgimento dell’attività di fitness –acquatico o terrestre- non sia riconducibile

alle attività (agonistica o non agonistica) disciplinate dal legislatore statale può rivelarsi

particolarmente pregiudizievole per i cittadini: evidenti sono i danni che, a causa di tale lacuna,

possono derivare a questi ultimi, soprattutto dall’esercizio di attività che richiedono un impegno

fisico intenso, si pensi allo spinning.

Un simile vuoto normativo, contrasta con la finalità di tutela della salute unanimemente

riconosciuta allo sport.

La mancanza di una legge che obblighi il gestore della palestra a richiedere un certificato

attestante la buona salute degli utenti degli impianti, ha portato i gestori ad interessarsi degli

strumenti con cui esonerarsi dalla responsabilità per eventuali danni subiti dai praticanti anziché

svolgere un’efficace attività preventiva.

Alcuni gestori49 hanno subordinato l’iscrizione degli utenti al proprio centro sportivo alla

presentazione di un certificato di buona salute.

La scelta di richiedere la certificazione attestante “il buono stato di salute”, se, da un lato, può

essere sufficiente ad esonerare il gestore da responsabilità, dall’altro, non è in grado di offrire

un’adeguata tutela a coloro, i quali praticano un’attività “intensa”, considerata la superficialità con

cui viene rilasciato il certificato.

Diffusa è anche la prassi di fare sottoscrivere agli utenti, al momento dell’iscrizione, delle

clausole con cui esonerano il gestore dalla responsabilità per gli infortuni.

48 E. RUSSO, op. cit., p. 47.49 In Italia il certificato medico viene richiesto solo dal 15% dei gestori delle palestre; sul punto, amplius, si veda P. COCCIA, op. cit., p. 24.

DOTTRINA104

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Impianti per l’esercizio attività motoria………

Il fatto che simili disposizioni siano affette da nullità avendo ad oggetto la salute, diritto

indisponibile, rende una simile scelta oltremodo criticabile: oltre a non garantire in modo adeguato

gli utenti, non consente al gestore di esonerarsi da responsabilità per eventuali sinistri che

potrebbero verificarsi a danno dell’utente dei centri fitness.

La soluzione migliore per assicurare entrambe le finalità (la tutela dell’atleta e per l’esonero

della responsabilità) sembra essere proprio quella scelta da alcune regioni, tra cui le Marche,

consistente nell’imporre la presenza di un medico –specializzato in medicina dello sport- all’interno

dell’impianto sportivo.

(*) Docente a contratto di Diritto dello Sport presso la Facoltà di Scienze Motorie

dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

DOTTRINA105

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PARTE SECONDANOTE A SENTENZA

SOMMARIO:

DOMENICO ZINNARI, Vincolo di giustizia e clausole compromissorie in materia economica alla luce del nuovo articolo 30 dello statuto FIGC

pag.107

106

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Vincolo di giustizia e clausole compromissorie…

CORTE DI GIUSTIZIA FIGC

RIUNIONE DEL 26 MARZO 2008 in C.U. n. 154/08

RICORSO DELLA SOCIETA’ A.S.D. SPORTING TERRANOVA DEL 9.2.2008

AVVERSO LE DECISIONI DEL COLLEGIO ARBITRALE PRESSO LA

L.N.D. RELATIVAMENTE ALLA CONTROVERSIA CON L’ALLENATORE

CARLO MARINI (Del. Coll. Arb. della L.N.D. Com. Uff. n. 3 del 1.12.2007)

Fatto

La società A.S.D. Sporting Terranova, con atto spedito in data 9 febbraio 2008, ha proposto

ricorso avverso la decisione del Collegio Arbitrale presso la Lega Nazionale Dilettanti, pubblicata

nel C.U. n. 3 del 1° dicembre 2007, con la quale è stato fatto “obbligo alla società Sporting

Terranova, di pagare in favore del sig. Marini Carlo, la somma di € 4.000,00 oltre interessi legali a

fare data dalla stipula del contratto e sino all’effettivo soddisfo”.

La ricorrente, con l’atto di gravame, ha lamentato di non avere mai ricevuto “l’atto di avvio

del procedimento che si è concluso con la delibera” impugnata con conseguente lesione del “diritto

alla difesa” e che “nessuna somma è dovuta all’allenatore considerato che è stato squalificato per

ben 195 giorni per sua colpa, provocando alla scrivente un ingente danno”. La Corte di Giustizia

Federale - Sezione Unite - all’udienza del 26 marzo 2008, udita la relazione del componente

all’uopo delegato – si è, quindi, riservata di decidere.

Motivi

Il ricorso è inammissibile in quanto la decisione emessa dal Collegio Arbitrale presso la Lega

Nazionale Dilettanti è inappellabile. Il contratto in data 20 settembre 2006, stipulato tra la A.S.D.

Sporting Terranova ed il Sig. Carlo Marini, riporta in calce l’accordo tra società della L.N.D. e

allenatori, il quale, al patto 6, espressamente sancisce che “qualsiasi controversia sollevata in merito

all’interpretazione ed esecuzione degli accordi sopra riportati sarà risolta dal Collegio Arbitrale

istituito presso la Lega Nazionale Dilettanti.

NOTE A SENTENZA107

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Vincolo di giustizia e clausole compromissorie…

La Società e l’allenatore si danno reciproco atto che la pronuncia del Collegio Arbitrale sarà

considerata come diretta ed irrevocabile espressione della volontà delle parti”.

Tale formula induce a ritenere che il lodo oggetto del presente giudizio ha natura di arbitrato

irrituale, che – secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione – consiste nell’

“affidare all'arbitro (o agli arbitri) la soluzione di controversie (insorte o che possano insorgere in

relazione a determinati rapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una

composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti

stesse,le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro

volontà”(Cass. civ., Sez. I, sent. 2 luglio 2007, n.14972). La natura negoziale del lodo oggi

impugnato è indirettamente confermato anche dal disposto dell’art. 34 dello Statuto della F.I.G.C.,

che, al comma 4, specifica quali sono gli “organi della giustizia sportiva”, tra cui non è annoverato

alcun Collegio arbitrale, ed al successivo comma 10 precisa che “la Corte di giustizia federale è

giudice di secondo grado sui ricorsi presentati avverso le decisioni dei Giudici sportivi nazionali e

della Commissione disciplinare nazionale. Inoltre, la Corte di giustizia federale:

a) giudica nei procedimenti per revisione e revocazione;

b) su ricorso del Presidente federale, giudica sulle decisioni adottate dal Giudici sportivi

nazionali o territoriali e dalle Commissioni disciplinari territoriali;

c) su richiesta del Presidente federale, interpreta le norme statutarie e le altre norme federali,

sempreché non si tratti di questioni all’esame degli Organi della giustizia sportiva o da essi

già giudicate;

d) su richiesta del Procuratore federale, giudica in ordine alla sussistenza dei requisiti di

eleggibilità dei candidati alle cariche federali e alle incompatibilità dei dirigenti federali;

e) esercita le altre competenze previste dalle norme federali”.

Appare evidente, quindi, che il Collegio Arbitrale de quo non costituisce un organo della

giustizia sportiva e dirime le controversie tra società ed allenatori mediante uno strumento

negoziale, non impugnabile innanzi a questa Corte di Giustizia Federale.

Ad ulteriore conferma di tale approdo, va sottolineato che l’art. 94/ter, comma 13, N.O.I.F.,

dispone che “il pagamento agli allenatori delle società della L.N.D. di somme, accertate con lodo

emesso dal competente Collegio Arbitrale, deve essere effettuato entro 30 giorni dalla

comunicazione della decisione.

Decorso inutilmente tale termine, si applica la sanzione di cui all’art. 7, comma 6 bis del

Codice di Giustizia Sportiva. Persistendo la morosità della società per le decisioni del Collegio

NOTE A SENTENZA108

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Vincolo di giustizia e clausole compromissorie…

Arbitrale pronunciate entro il 31 maggio, la società inadempiente non sarà ammessa al Campionato

L.N.D. della stagione successiva”.

Tale normativa conferma, quindi, che il negozio che disciplina il contenzioso tra società ed

allenatore ha carattere definitivo, tanto da essere immediatamente applicabile.

Inoltre, va sottolineato che l’art. 8, comma 9, C.G.S. dispone che “il mancato pagamento, nel

termine previsto dall’art. 94 ter, comma 11, delle NOIF, delle somme accertate dalla Commissione

accordi economici della Lega nazionale dilettanti (LND) o dalla Commissione vertenze economiche

comporta l’applicazione, a carico della società responsabile, della sanzione della penalizzazione di

uno o più punti in classifica.

La stessa sanzione si applica in caso di mancato pagamento, nel termine di trenta giorni dalla

comunicazione del lodo, delle somme accertate dal Collegio arbitrale della LND per gli allenatori

tesserati con società dilettantistiche”. Dal complesso delle norme innanzi richiamate appare

evidente che il lodo arbitrale de quo ha carattere negoziale e definitivo e, quindi, non è impugnabile

davanti a questa Corte di Giustizia Federale. Il ricorso proposto dalla A.S.D. Sporting Terranova

avverso la decisione del Collegio Arbitrale presso la Lega Nazionale Dilettanti, pubblicata nel

Com.Uff. n.3 del 1 dicembre 2007, non è suscettibile di appello.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Federale dichiara inammissibile il ricorso per inappellabilità del lodo

emesso dal collegio arbitrale.

NOTE A SENTENZA109

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Vincolo di giustizia e clausole compromissorie…

VINCOLO DI GIUSTIZIA E CLAUSOLE COMPROMISSORIE IN

MATERIA “ECONOMICA“ALLA LUCE DEL NUOVO

ARTICOLO 30 DELLO STATUTO FIGC

di Domenico Zinnari (*)

La pronuncia in epigrafe, pur strettamente attinente l’ammissibilità dell’impugnativa innanzi

la Corte di Giustizia Federale di un lodo arbitrale reso in merito ad un accordo economico tra

allenatore e società del settore non professionistico, costituisce utile occasione per una breve

riflessione circa alcune novità statutarie e regolamentari dell’ordinamento FIGC ed alle loro

ricadute in ordine alla c.d. “giustizia economica”.

Il richiamo alla categoria di cui sopra, sia detto per inciso, non si configura quale formale

ossequio alla classica quadripartizione della giustizia sportiva pur autorevolmente elaborata ed

copiosamente recepita1, essendosi di tale classificazione ampiamente e motivamente sottolineata la

necessità di superamento, se non la natura “fuorviante laddove, troppo schematicamente, pretende

di individuare quattro tipologie, rigidamente eguali a sé stesse ed impermeabili tra loro, per

derivarne conseguenze a livello operativo”.2

Fondata come è in ultima analisi su parametri attinenti i “tipi sostanziali” di controversie

ipotizzabili, infatti, in un quadro di complessità e disomogeneità delle situazioni sottese e di non

uniformità dei modelli di risoluzione concretamente offerti dagli ordinamenti federali, essa

manifesta una spiccata incapacità classificatoria e descrittiva.

La pronuncia della Corte di Giustizia, al di là dell’impeccabile apparato motivazionale circa

l’inammissibilità del ricorso proposto considerato il radicale difetto di potestas iudicandi

dell’organo adito può considerarsi implicitamente evocativa di una più rigorosa lettura

1F.P. Luiso, La Giustizia sportiva, Giuffrè, 1975, pag. 33.Per una prima posizione critica L.Fumagalli, La risoluzione delle controversie sportive:metodi giurisdizionali, arbitrali ed alternativi di composizione, in Riv. Dir. Sport 1999, pag. 254 ove si evidenzia l’opportunità di procedere all’analisi della composizione delle controversie “sportive” sotto il profilo della distinzione tra procedure di tipo arbitrali e procedure di tipo semi giurisdizionale. 2 Sul superamento della definita tassonomia tradizionale “confusamente sottintesa dal legislatore del 2003 ed abitualmente richiamata dalla giurisprudenza, sia civile che amministrativa, per avviare a soluzione ogni problema di trattamento”, vedasi A. De Silvestri, Il diritto dello sport, Le Monnier, in corso di pubblicazione. Per un richiamo alla pretesa utilità classificatoria però da ultimo M.Sanino F.Verde, Il diritto sportivo, Cedam, 2008, pag. 432-433.

NOTE A SENTENZA110

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Vincolo di giustizia e clausole compromissorie…

interpretativa, agevolata parzialmente da alcune emende correttive poste in esser dal Legislatore

Federale3, circa i necessari limiti di operatività del vincolo di giustizia e la sua distinzione dalle

clausole compromissorie propriamente dette.

Non può infatti non apprezzarsi la nettezza con la quale la Corte individui la natura

eteronoma della procedura arbitrale rispetto ai disposti statutari e regolamentari.

La chiarezza cui si è fatto cenno non dovrebbe esser in effetti motivo di sorpresa, se non si

inserisse in un pregresso di pronunce della giurisprudenza endoassociativa non altrettanto

cristalline.

Basti richiamare emblematicamente la non troppo risalente decisione della Corte Federale del

31 marzo 20044 circa l’ interpretazione autentica dell’allora vigente art. 27 dello Statuto5, pur resa in

fattispecie non perfettamente sovrapponibile vertendosi, in quella sede, in tema di ipotetica

violazione del vincolo di giustizia in caso di impugnazione del lodo emesso da un Collegio

Arbitrale previsto dal contratto collettivo dei Direttori Sportivi Professionisti, e dunque in ambito

strettamente lavoristico.

Nell’occasione la Corte esprimeva l’avviso che configurasse ipotesi di illecito disciplinare

l’impugnazione del lodo presso il giudice ordinario, senza la preventiva autorizzazione del

Presidente Federale.

L’aspetto di rilievo di quella pronuncia era da individuarsi nell’affermazione inerente la

qualificazione dei Collegi Arbitrali quali organi di giustizia endoassociativi6 cui faceva da corollario

il richiamo al disposto dell’art.27 Statuto federale in ordine alla necessità, in caso di impugnazione,

di rivolgere l’istanza alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato dello Sport all’esito

3 Il riferimento è al nuovo Statuto FIGC approvato il 22 gennaio 2007, entrato in vigore in data 7 marzo 2007 dopo la pubblicazione con C.U. n. 79 del 6 marzo 2007 ed al Nuovo Codice di Giustizia Sportiva in vigore dal 1° luglio 2007. Per un primo commento M.Grassani, Il nuovo Statuto FIGC tra passato e futuro, in Riv. Dir. Ec. Sport., Fasc.1 , 2007 , pag. 19; C.Franchini, Il nuovo Codice di Giustizia Sportiva FIGC, in Diritto dello sport, n. 3, 2007, pag. 3; F.Bagattini, Commento al Nuovo Codice di Giustizia Sportiva. Aspetti giuridici e casi pratici, Giuffrè, 2008. 4 Corte Federale FIGC Riunione del 31 marzo 2004 in C.U./CF n.16 del 16 aprile 2004. Per un commento in senso adesivo M.Vescovi, La clausola compromissoria nei contratti collettivi di lavoro sportivo, in Giustizia sportiva e arbitrato, a cura di C. Vaccà, Giuffrè, 2006, pag. 101 seg. Sul punto però si noti come la successiva pronuncia della Corte Federale FIGC (Riunione del 22 novembre 2005 in C.U./CF n.8 del 28 novembre 2005), in aperto contrasto, affermi l’inammissibilità della “richiesta di interpretazione formulata direttamente da organo giurisdizionale diverso dagli organi di giustizia sportiva, fra i quali, come si è detto, non sono annoverabili i collegi arbitrali”.5 Vi è da notarsi come l’allora vigente art.27.2 Statuto FIGC prevedesse in forma generica che “in riferimento alle controversie tra uno dei soggetti di cui al comma 1 e le Federazioni, per le quali siano esauriti i gradi della giustizia federale (…) è obbligatorio sottoporsi al tentativo di Conciliazione davanti alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport”. Tale generica formula fu poi rivista nel novembre 2004 con l’esplicita esclusione dalla procedura conciliativa ed arbitrale per le “controversie decise con lodo arbitrale in applicazione delle clausole compromissorie previste dai contratti collettivi “.6 Corte Federale FIGC riunione del 31 marzo 2004, citata, ove:” Né può dirsi che la società Acireale avesse esaurito i rimedi previsti dall’ordinamento sportivo. Infatti l’articolo 27 dello Statuto federale, ai commi 3 e 4, infatti, espressamente prevede l’obbligatorietà, in caso di esaurimento dei gradi di giustizia federale, del tentativo di conciliazione davanti alla Camera di Conciliazione e Arbitrato del C.O.N.I. e, in caso di infruttuoso esperimento del tentativo di conciliazione, il rimedio definitivo dell’arbitrato avanti alla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport, istituita presso il C.O.N.I.”.

NOTE A SENTENZA111

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Vincolo di giustizia e clausole compromissorie…

dell’esaurimento dei gradi di giustizia federale (nella specie il ricorso al Collegio Arbitrale), ferma,

in ipotesi di impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria statuale, la necessità di previa

autorizzazione federale.

Va da sé che la pronuncia de quo, implicante la singolare configurazione di “un doppio

grado“di arbitrato, era ampiamente smentita dalla Camera di Conciliazione ed Arbitrato dello

Sport7 che dichiarava il proprio difetto assoluto di giurisdizione circa l’impugnativa di un lodo

emanato dal Collegio Arbitrale istituito presso la Lega Nazionale Professionisti serie A e B,

affermando espressamente come “ i rimedi esperibili avverso la deliberazione arbitrale impugnata

sono quelli previsti dal codice civile secondo le regole del codice di rito”.

Di certo la posizione assunta dalla Corte Federale era manifestazione chiara di una certa

“vischiosità” concettuale tra le nozioni di vincolo di giustizia e clausola compromissoria in

relazione alle controversie economiche tra affiliati e/o tesserati accentuata, relativamente al

contenzioso afferente i rapporti di lavoro tra sportivi professionisti e società, dalla non in equivoca

formulazione dei disposti dei contratti collettivi.8

In particolare alcuni richiami contenuti nella normativa collettiva potevano contribuire a

ritenere il ricorso al Collegio Arbitrale quale sostanzialmente, pur se non formalmente, obbligatorio

(considerando come la proposizione dell’azione presso la magistratura del lavoro avrebbe

comportato la violazione del vincolo di giustizia con le sue conseguenze in termini sanzionatori), i

lodo arbitrali non impugnabili sulla scorta anche di quanto previsto dai regolamenti arbitrali (in cui

ricorrenti erano le dizioni “unica istanza” od “inappellabile”) e, comunque, impugnabili solo in

presenza di deroga-autorizzazione federale9, in evidente dispregio alle imperative normative statuali

in tema di arbitrato nei rapporti di lavoro.

In realtà prescindendo dalle discutibili interpretazioni del dettato statutario, i Collegi Arbitrali

per la risoluzione delle controversie afferenti contratti di lavoro sportivo ex art.4 L..n. 91/1981

7 Lodo Camera di Conciliazione ed Arbitrato dello Sport del 28 agosto 2004,Salernitana Sport/Ricardo Matias Veron.8 Si pensi al previgente Accordo Collettivo tra Associazioni Italiana Calciatori e FIGC /LNP ove del tutto impropriamente all’art. 25 si prevedeva che:”Con la sottoscrizione del presente contratto, le parti si obbligano, in ragione della loro comune appartenenza all’ordinamento settoriale sportivo e dei vincoli conseguentemente assunti con il tesseramento o l’affiliazione, nonché delle specialità della disciplina legislativa applicabile alla fattispecie ad osservare le norme dello Statuto e quelle Federali ed ad accettare la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla FIGC, dai suoi Organi e soggetti delegati nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale, ivi comprese le relative vertenze di carattere tecnico e disciplinare, nonché delle decisioni del Collegio Arbitrale, dichiarando in particolare di accettare senza riserve la clausola compromissoria di cui all’art. 27 dello Statuto della FIGC. Ogni violazione od azione comunque tendente all’elusione degli obblighi di cui sopra comporta l’applicazione delle sanzioni disciplinari previste dallo Statuto e dai Regolamenti.”Tale formulazione è stata ampiamente superata dall’art. 21.2 dell’ Accordo Collettivo tra Associazioni Italiana Calciatori e FIGC /LNP ( Serie A e B) in vigore dal 4 ottobre 2005.Circa le principali novità del nuovo accordo Collettivo vedasi E.Crocetti Bernardi, Lo sport tra lavoro e passatempo, in Il rapporto di lavoro dello sportivo a cura di L.Musumarra e E.Crocetti Bernardi Esperta, 2007, pag.37 seg.9 In tali termini V.Vigoriti, L’arbitrato del lavoro nel calcio, Giuffre, 2004, pag.19 seg.

NOTE A SENTENZA112

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Vincolo di giustizia e clausole compromissorie…

erano da considerarsi organi “esterni” alla giustizia sportiva, fondandosi la loro “legittimazione”

non sul vincolo associativo quanto sui disposti dell’autonomia collettiva, come recepiti in sede di

contrattazione individuale, ponentesi su un piano eteronomo rispetto all’apparato giustiziale

domestico, pur essendo i lodi emessi riconosciuti dall’Ordinamento Federale (art. 47 comma 5

Statuto Figc allora vigente).

Il riconoscimento, inteso quale predisposizione di strumenti tesi a favorire in ambito

endoassociativo l’esecuzione dei lodi a mezzo comminazione di sanzioni disciplinari in caso di

mancata esecuzioni delle decisioni, non poteva infatti incidere sulla “qualificazione”di essi.

Pertanto non doveva sorprendere sulla base dei principi di diritto comune non solo la facoltà

delle parti “di disattendere l’impegno previsto in sede di contrattazione collettiva, posto che il

ricorso allo strumento arbitrale in materia di lavoro non può mai costituire un’alternativa

preordinata e vincolante rispetto alla tutela giurisdizionale”10, ma anche l’ impugnabilità del lodo

presso la competente autorità giudiziaria statuale senza che l’assenza di autorizzazione federale

potesse comportare violazione del vincolo di giustizia, non potendosi equiparare Collegi neppure

agli “organi delegati” di cui all’art. 27.2 Statuto.

Ciò non escludeva che il Legislatore Federale, poco avezzo a porsi problematiche d’ordine

sistematico, attribuisse statutariamente ulteriori competenze ai medesimi Collegi, ad esempio in

ordine al contenzioso risarcitorio, come nell’ipotesi prevista dall’art. 47 comma 6 dello Statuto11,

sia in ordine ai rapporti tra atleti non professionisti (c.d. giovani di serie) e società professionistiche

relativamente alla corresponsione delle indennità previste dall’art. 33 comma 2 NOIF.

In tali casi fondamento della devoluzione ad arbitri non poteva evidentemente esser

ricondotto ad una inesistente clausola compromissoria a livello collettivo, ma era da individuarsi

piuttosto nel generale vincolo di giustizia che portava“gli stessi Collegi ad atteggiarsi ratione

materia ad Organi di Giustizia e ad emettere lodi formali aventi sostanza di decisioni particolari ai

sensi dell’art. 27 comma 2 dello Statuto.”12

Parte delle problematiche appena accennate parrebbero trovare congrua soluzione nel nuovo

impianto statutario e regolamentare della Federazione Italiana Giuoco Calcio, pur non privo di

talune oscurità.

10A. De Silvestri, Le qualificazioni giuridiche dello sport e nello sport, in Riv. dir. sport., 1992, pag. 299.11 Art. 47 comma 6 Statuto allora vigente: “Agli stessi Collegi arbitrali sono devolute anche le controversie relative alle pretese risarcitorie di tesserati nei confronti di società diverse da quelle di appartenenza nei casi in cui la responsabilità delle stesse sia stata riconosciuta in sede disciplinare”. 12 A. De Silvestri, Il contenzioso tra pariordinati nella Federazione Italiana Giuoco Calcio, in Riv. dir. sport, 2000, pag. 252. Tale lettura pare confermata dall’art. 47 comma 5 del CGS (oggi art.52) ai sensi del quale sono devolute alla competenza dei Collegi arbitrali le controversie economiche tra tesserati e società non soggette ad accordi collettivi (es. massaggiatori, medici sociali).

NOTE A SENTENZA113

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Sotto un profilo meramente formale è da segnalarsi come sia stata superata la dizione “altre

istanze di giustizia” dell’ art. 47 (previgente CGS), contenente la disciplina afferente i Collegi

Arbitrali, essendo stato predisposto uno specifico articolo (art.52 Nuovo CGS “Competenze Collegi

Arbitrali”) che nei contenuti riproduce i disposti di cui all’art.47.4, 47.5,47.6 del previgente CGS.

Tale novità, pur se meramente nominalistica, appare indicativa di una maggior attenzione

sistematica alla distinzione tra organi endossociativi di giustizia pur non menzionati in sede

statutaria (es. Commissione disciplinare presso il Settore Tecnico di cui all’attuale art.51 CGS) e

quelli “estranei” all’apparato giustiziale le cui decisioni sono meramente riconosciute in ambito

associativo.

Sotto il profilo sostanziale da segnalare la nuova formulazione dell’art.30 dello Statuto.

A fronte del risalente obbligo di accettare, “la piena e definitiva efficacia di qualsiasi

provvedimento adottato dalla FIGC, dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque

riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere

tecnico, disciplinare ed economico”, derivante espressis verbis dal contratto associativo, se mai si

possa equivocare sulla natura fondamentalmente privatistica della giustizia sportiva, il Legislatore

federale ha inteso, infatti, ridisegnare la fase esofederale dell’eventuale contenzioso tra i soggetti di

cui al comma 1 o tra gli stessi e la FIGC.

Le controversie di cui sopra “per le quali non siano previsti o siano esauriti i gradi interni di

giustizia federale, sono devolute, su istanza della parte interessata, unicamente alla cognizione

arbitrale della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo sport presso il CONI, secondo quanto

disposto dai relativi regolamenti e dalle norme federali, e sono risolte in via definitiva da un lodo

arbitrale pronunciato secondo diritto da un organo arbitrale nominato ai sensi dei regolamenti della

Camera”.

Sebbene ancora ad oggi la prefigurata unitarietà tra procedimento conciliativo ed arbitrale

innanzi alla Camera sia confinato nel limbo delle mere intenzioni in difetto di coordinamento con i

regolamenti camerali che ben distinguono almeno formalmente le due fasi13, l’aspetto che qui rileva

è quello relativo alla nuova tassativa elencazione delle controversie escluse dalla cognizione della

13 Ferma però restando l’unitarietà del procedimento. Sul punto Lodo Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport del 27 aprile 2007 Avella /FIGC e AIA ove:” il tentativo di conciliazione della controversia obbligatorio è in funzione non tanto della procedibilità, quanto della stessa instaurazione di un procedimento arbitrale”. Lodo Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport del 19 marzo 2008 Pieroni/FIGC ove si precisa che l’istanza preventiva di conciliazione rappresenta “una vera e propria condizione di proponibilità dell’arbitrato (artt. 2969 c.c.; 382, ult. co., c.p.c.) e non soltanto condizione di procedibilità del giudizio, poiché il carattere perentorio del termine per l’accesso alla fase di conciliazione impedisce, allorché sia spirato, e diversamente da altri luoghi normativi che pure delineano tentativi obbligatori di negoziato in funzione pre-contenziosa [artt. 410-412 bis c.p.c.], di concepirne l’esperimento come accessibile sine die al fine di garantire la mera procedibilità ulteriore dell’azione”.

NOTE A SENTENZA114

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Camera14 (art. 30.3 Statuto “non sono soggette ad arbitrato le controversie decise con lodo arbitrale

in applicazione delle clausole compromissorie previste dagli accordi collettivi o di categoria o da

regolamenti federali, le controversie decise in primo grado dalla Commissione Vertenze

Economiche”), nonché la specifica indicazione circa la non necessità di previa autorizzazione del

Consiglio Federale in relazione al “diritto ad agire innanzi ai competenti organi giurisdizionali dello

Stato per la nullità dei lodi arbitrali di cui al comma precedente.”

L’emenda normativa per quanto, prima facie, chiarificatoria, appare comunque caratterizzata

da una certa ambiguità.

La dizione dell’art. 30.4 Statuto, come già chiarito dalla Corte di Giustizia FIGC, nella sua

ampiezza dovrebbe riguardare “tutti i lodi del comma 3 (…) sia, cioè, i lodi resi dagli organi

arbitrali della Camera (di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport n.d.r.), che quelli resi in

applicazione delle clausole compromissorie previste dagli accordi collettivi o di categoria o da

regolamenti federali”.15

Sotto il profilo applicativo sarà da valutarsi da un lato, considerata la prevalente, anche se non

condivisibile, posizione assunta dalla giurisprudenza amministrativa circa il carattere sostanziale di

provvedimento amministrativo delle pronunce dell’organo istituito presso il Coni16, la

ricomprensione nel novero dell’art.30.4 dei “lodi” emessi dalla Camera di Conciliazione ed

Arbitrato per lo Sport17, dall’altro per quanto più strettamente rileva ai fini del presente scritto,

alcuni “modelli” compositivi delle controversie di natura economica non propriamente riconducibili

immediatamente all’istituto arbitrale.

Se dubbio non vi è infatti circa il richiamo alla nozione di “clausole compromissorie previste

dagli accordi collettivi o di categoria” più problematica la definizione delle clausole

compromissorie previste dai regolamenti federali, avendo a differenza di altri Ordinamenti federali

14 Per una prima ricognizione del nuovo art.30 Statuto FIGC circa la natura tassativa delle controversie escluse dalla cognizione arbitrale Lodo Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport del 30 luglio 2007 A.C.Siena Spa /FIGC.15 Corte di Giustizia FIGC riunione 5 dicembre 2007, in CU/CGF n. 56 dell’11 dicembre 2007.16 Per la tematica inerente la natura del procedimento innanzi la Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport si veda per tutti, con ampie citazioni circa l’evoluzione della giurisprudenza amministrativistica , A.De Silvestri, Le questioni del lodo camerale:autonomia o discrezionalità nelle Federazioni Sportive Nazionali, in questa Rivista, n. 3, 2007, pag.18 seg. Per una interessante riflessione sui caratteri autenticamente arbitrali del procedimento innanzi la Camera F.Auletta, Un modello per la Camera di conciliazione ed arbitrato per lo sport, in Riv.Arb., 2007, pag.145 seg.17 Assunti i “lodi” della Camera quali provvedimenti amministrativi il sindacato del Giudice Amministrativo dove ritenersi ovviamente “pieno”.In tale caso l’ipotesi di impugnazione per “nullità“,a rigore dell’art.30.4 Statuto, dovrebbe intendersi solo per i motivi di cui all’art. 21 septies L. n.241/1990 (“E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge “).Ove alle decisioni della Camera si riconoscesse la natura pienamente arbitrale dovrebbe affrontarsi sull’ulteriore problema della natura rituale od irrituale con le conseguenze del caso in ipotesi di impugnazione ( nullità ex art. 829 C.p.c se rituale , nullità ex art.1418 se irrituale).

NOTE A SENTENZA115

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Vincolo di giustizia e clausole compromissorie…

la FIGC abbandonato ormai da tempo la previsione di clausole compromissorie residuali a chiusura

del sistema di giustizia.

Vi è in sostanza da chiedersi se l’espressione “clausole compromissorie previste (…) da

regolamenti federali” richiami propriamente solo le “autentiche” convenzioni di arbitrato previste

(es. art. 52.2 e 52.3 del CGS, nonché art.23 del Regolamento Agenti), oppure abbia inteso recepire

implicitamente l’opinione circa il “recupero” in ambito statuale dei provvedimenti in materia

economica quali arbitrati ossia l’idea che la norma «vincolo di giustizia» intervenendo su materia,

quella dei rapporti economici tra associati ed affiliati, per definizione disponibile, e considerando la

terzietà degli organi federali giudicanti, realizzi una legittima rinuncia alla tutela giurisdizionale

(es.Commissione Premi Preparazione, Commissione Vertenze Economiche, Corte di Giustizia in

veste di giudice di secondo grado sulle questioni di competenza della CVE ai sensi dell’art.49

CGS). 18

Trattasi infatti di fattispecie in cui non si è in presenza di arbitrati ad hoc od organizzati,

quanto piuttosto di organi interni incaricati della decisone delle controversie in cui il momento

consensuale si consuma nell’adesione volontaria al gruppo sociale.

Quale inoltre la sorte delle pronunce di alcuni organi non propriamente classificabili al pari

delle Commissioni di cui sopra da cui pur mutuano la denominazione.?

A ulteriore conferma della complessità e non unitarietà dei modelli di risoluzione delle

controversie, con conseguente inutilità di classificazioni d’ordine generale, assai significativo è a

riguardo l’istituto previsto dall’art.21 bis del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti,in tema

di controversie tra atleti non professionisti e società.

Il predetto articolo prevede che la Commissione Accordi Economiciӏ competente a

giudicare, in prima istanza, su tutte le controversie insorte tra calciatori e calciatrici tesserati con

società partecipanti ai campionati Nazionali Dilettanti organizzati dalla LND e le relative società

concernenti (…) gli accordi relativi all’erogazione di una somma lorda annuale di cui all’art. 94 ter,

delle NOIF”.

18 Sul punto le autorevoli pronunce della Suprema Corte rese proprio in tema di “giustizia economica”(Cass. Sez. Sez. I ,del 17 maggio 2006, n. 21006 nonché Cass. Civ., sez. I, sentenza del 28 settembre 2005, n. 18919) secondo cui l’allora vigente art. 24 Statuto FIGC deve esser interpretato quale «rinunzia preventiva alla tutela giurisdizionale statuale» configurante sul piano dell’ordinamento statuale una «clausola compromissoria per arbitrato irrituale» che «si fonda sul consenso delle parti, le quali, aderendo in piena autonomia e consapevolezza agli statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia») paiono muovere da una prospettiva erronea unificante.

NOTE A SENTENZA116

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Vincolo di giustizia e clausole compromissorie…

Le decisioni del citato organo 19, in vero difficilmente possono esser «recuperate» sul piano

statuale quali veri e propri lodi ostando a ciò in via pregiudiziale la determinazione di un elemento

essenziale dell’arbitrato, quale quello della nomina degli arbitri, rimesso né consensualmente alle

parti, né ad un soggetto che può definirsi tecnicamente terzo (nel caso di specie il Presidente della

LND cui compete la nomina dei membri della CAE).

Dall’ analisi della struttura dell’art. 30 Statuto FIGC, inoltre, sembrerebbe emergere che la

facoltà di “accedere” alla Giustizia Statale senza necessaria previa autorizzazione federale sia da

considerarsi norma derogatoria rispetto ad un generale principio di senso contrario.

Tale impressione è confermata dalla circostanza che, stante la formulazione dell’art.30.4

Statuto, solo in ipotesi d’impugnazione del lodo per “nullità” (almeno che il Legislatore federale

non abbia fatto un uso atecnico del termine) sia da escludersi la possibilità di incorrere nelle

sanzioni disciplinari di cui all’art.15 CGS.20

Quale la sorte dei lodi irrituali per i quali non sussiste tecnicamente, alla luce dell’art. 808 ter

C.p.c., strutturato nella forma dell’annullamento per motivi tipici, un’impugnazione per nullità

( salvo il recupero dei rimedi contrattuali) riservata ai lodi rituali ai sensi dell’art.829 C.p.c.?

Quale la sorte dell’impugnazione dei lodi previsti dalla contrattazione collettiva o comunque

dall’art.4 L.n. 91/8121, di natura pacificamente irrituale, in ipotesi di “invalidità “ del lodo?.

In via interpretativa è evidente come, al fine di non ingenerare superflue “dispute teoriche“

circa la natura delle singole e notevolmente diversificate procedure arbitrali, sia ritenere in ogni

ipotesi di impugnazione dei lodi indicati dall’art.30.3 Statuto (e non solo in caso di impugnazione e

strettamente per nullità ex art.829 CPC ed ex art. 1418 c.c. per i lodi irrituali) sia da ritenersi

superflua l’autorizzazione in deroga.

Altresì appare invero singolare come se da un lato l’ art.30 comma 4 Statuto FIGC sottrae

all’autorizzazione federale l’impugnativa dei lodi innanzi ai competenti organi giurisdizionali dello

Stato, dall’altro si prevedano, sotto la discutibile rubrica “violazione della clausola

19 Di cui è prevista l’impugnabilità innanzi la CVE ai sensi dell’art.40.4 Lett.B) CGS.20 Nella lettura interpretativa della Corte di Giustizia FIGC (Riunione 26 marzo 2008, in CU/CGF n. 154 dell’11 dicembre 2007) l’art. 15 CGS “stabilisce sanzioni sia a carico di chi non accetta, e impugna davanti agli organi di giustizia statale, senza l’autorizzazione del Consiglio Federale, un provvedimento già adottato da un organo federale nelle materie riconducibili allo svolgimento dell’attività federale, sia a carico di chi, senza avere ottenuto l’autorizzazione del Consiglio Federale, promuove davanti agli organi giurisdizionali statali le vertenze nelle materie riconducibili all’attività federale di carattere tecnico, disciplinare ed economico”. 21 Circa l’equiparazione sotto il profilo dei rimedi impugnatori tra gli arbitrati irrituali ex art. 5 L. 533/1973 e quelli previsti dall’art. 412 ter C.p.c. vedasi da ultimo Cass. Civ. Lav.4 marzo 2008 n.5863 secondo cui il legislatore avrebbe dettato, nel codice di rito, un nuovo e unificato regime dell' impugnativa del lodo in caso di arbitrato irrituale, contrapponendo all'arbitrato rituale, assoggettato all'impugnativa ex art. 828 c.p.c., un'unica fattispecie di arbitrato irrituale, di norma previsto dal C.C.N.L., ma talora contemplato dalla legge, assoggettata, in entrambe le ipotesi, all'impugnativa di cui all'art. 412 quater c.p.c.

NOTE A SENTENZA117

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Vincolo di giustizia e clausole compromissorie…

compromissoria” nell’ambito dell’art. 15 Codice di Giustizia Sportiva sanzioni disciplinari

estremamente afflittive “(…) nel caso di ricorso all’autorità giudiziaria da parte di società e tesserati

avverso provvedimenti federali in materie riservate agli Organi della giustizia sportiva o devolute

all’arbitrato (…)”.

In sostanza si persevera nell’equivoco in virtù del quale ove un tesserato od affiliato venga

meno all’obbligo contrattualmente assunto di devolvere in arbitrato un controversia oltre alle

“sanzioni” di natura processuale a seguito di exceptio compromissi, debba esser sanzionato anche

per violazione del vincolo di giustizia (con buona pace per quanto attiene la risoluzione delle

controversie tra lavoratori sportivi e società del disposto del comma 1 art.5 L. n.533/1973).

In breve a fronte di talune aperture il Legislatore federale persevera nell’erronea

omologazione tra clausole compromissorie e vincolo di giustizia.22

Gli istituti di contro muovono su piani assolutamente distinti mirando la prima mira

fondamentalmente ad offrire un’ alternativa alla giurisdizione statale, ed il secondo di contro a

precludere, rectius disincentivare nell’ottica dell’autodichia endoassociativa, l’accesso alla stessa.

Il vincolo di giustizia, nella sua ontologica essenza, dovrebbe ritenersi operante solo nelle

materie riservate all’Ordinamento Sportivo (art. 1 e 2 L. n.280/2003) e non anche nell’ambito dei

rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti.

La dizione dell’art.3 L.n.280/2003, secondo cui la giurisdizione è da attribuirsi al Giudice

Ordinario “fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli

statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui

all'articolo 2, comma 2, nonche' quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo

1981, n. 91, avrebbe potuto condurre ad un più oculato intervento emendativo dei disposti statutari

e regolamentari teso ad ridurre l’area di incidenza delle sanzioni disciplinari per violazione del

vincolo di giustizia alle sole materie oggetto di “riserva”.23

22 Ma sul punto le autorevoli pronunce della Suprema Corte (Cass. Sez. Sez. I ,del 17 maggio 2006, n. 21006 nonché Cass. Civ., sez. I, sentenza del 28 settembre 2005, n. 18919) secondo cui l’allora vigente art. 24 Statuto FIGC deve esser interpretato quale «rinunzia preventiva alla tutela giurisdizionale statuale» configurante sul piano dell’ordinamento statuale una «clausola compromissoria per arbitrato irrituale» che «si fonda sul consenso delle parti, le quali, aderendo in piena autonomia e consapevolezza agli statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia») paiono muovere da una prospettiva erronea unificante.23 A testimonianza si notino le numerose definite”deroghe al vincolo” in materia economica. Basti richiamare a riguardo l’art. 94 Bis NOIF ed in particolare l’art.94.2 NOIF ove:” Le eventuali azioni promosse dai tesserati dinanzi alla autorità giudiziaria ordinaria a tutela dei loro diritti derivanti dagli accordi di cui alla lett. a) del precedente comma, non rientrano, escluse le azioni aventi ad oggetto la corresponsione di premi diversi da quelli previsti dal precedente art. 93, co. 1, tra quelle previste dall’art. 27, co. 2 (art.30.2 n.d.r.), dello Statuto della F. I. G. C”. La sottile ed accorta architettura predisposta dal legislatore federale che, in deroga, esonera il tesserato dall’osservanza del vincolo di giustizia nell’ipotesi di accordi in contrasto con la normativa federale, poggia tanto valutazioni di ordine «procedimentale», stante la non «giustiziabilità» delle eventuali controversie insorgenti presso i costituiti organi di giustizia od i Collegi arbitrali, quanto su ragioni di ordine sostanziale ossia che accordi di tal fatta invalidi ed inefficaci nell’ambito dell’ordinamento federale siano perfettamente validi nell’ordinamento generale ivi trovando la «naturale» sede di tutela.

NOTE A SENTENZA118

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Vincolo di giustizia e clausole compromissorie…

Quanto alle pronunce dei collegi arbitrali, organi estranei all’apparato di giustizia domestica,

a stretto rigore, la non giustiziabilità endoassociativa delle controversie dovrebbe far ritenere del

tutto ultronea la previsione di un corposo apparato sanzionatorio in caso di violazione della

convenzione di arbitrato.

Quanto agli organi endoassociativi permanenti deputati alla risoluzione di controversie

economiche, ferme le perplessità manifestate in ordine alla Commissione Accordi Economici presso

la LND, il loro recupero sul piano statuale quali “arbitrati” scongiura, in ipotesi ricorso all’A.G.O.,

realizzando una rinunzia preventiva alla tutela giurisdizionale statuale, esclude in radice la

possibilità di ipotizzare conseguenze pregiudizievoli per l’Ordinamento derivanti dalla violazione

od elusione del “vincolo”.

(*) Avvocato del foro di Lecce

NOTE A SENTENZA119

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PARTE TERZAGIURISPRUDENZA

SOMMARIO:

TAR LAZIO: Sentenza numero 2472/2008 – Moggi/F.I.G.C. pag.121

SENTENZA GDP NAPOLI: numero 33571 del 13/03/2006 pag.141

IL CASO CAGLIARI: le diverse prospettazioni di Commissione Disciplinare e Corte di Giustizia Federale sulla violazione del vincolo di giustizia

pag.153

GIUDICE SPORTIVO COMITATO REGIONALE PUGLIA E COMMISSIONE DISCIPLINARE: Comunicati Ufficiali numero 46 del 13/03/08 e numero 53 del 17/04/08

pag.164

120

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Tar Lazio Sentenza 2472/2008..…

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio

- Sezione Terza Ter -

composto dai Magistrati:

Italo Riggio Presidente

Giulia Ferrari Consigliere – relatore

Diego Sabatino Primo referendario

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 7711/06, proposto dal sig. Luciano Moggi, rappresentato e difeso dagli avv.ti

Pierluigi Giammaria, Fulvio Gianaria, Paolo Trofino e Federico Tedeschini e con questi

elettivamente domiciliato in Roma, Largo Messico n. 7, presso lo studio dell’avv. Tedeschini,

contro

la Federazione Italiana Giuoco Calcio - F.I.G.C., in persona del Presidente pro tempore,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli presso il cui studio in Roma,

via Panama n. 58, è elettivamente domiciliata, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano – C.O.N.I.,

in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Alberto Angeletti presso il

cui studio in Roma, via Giuseppe Pisanelli n. 2, è elettivamente domiciliato, il Ministero per i

giovani e lo sport, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

generale dello Stato presso i cui Uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è per legge domiciliato,

nonché

GIURISPRUDENZA 121

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Tar Lazio Sentenza 2472/2008..…

nei confronti

dell’Associazione Calcio Milan s.p.a., in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e

difesa dagli avv.ti Leandro Cantamessa, Andrea Di Porto, Filippo Satta, Fabio Fazzo e Filippo

Lattanzi e con questi elettivamente domiciliata in Roma, via G. da Palestrina n. 47, presso lo studio

dell’avv. Satta, della Juventus Football Club s.p.a., in persona del Presidente pro tempore, non

costituita in giudizio, della Football Club Internazionale s.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, non costituita in giudizio, del Football Club Messina Peloro s.r.l., in persona del

Presidente pro tempore, non costituita in giudizio, del sig. Antonio Giraudo, non costituito in

giudizio, del sig. Adriano Galliani, non costituito in giudizio, del sig. Leonardo Meani, non

costituito in giudizio,

con l’intervento ad opponendum del Codacons e dell’Associazione Utenti Servizi Turistici

Sportivi e della Multiproprietà, Sezione Tifosi dell'Inter e della Roma, in persona dei rispettivi

Presidenti pro tempore, anche ricorrenti incidentali, entrambi rappresentati e difesi dall’avv. Carlo

Rienzi ed elettivamente domiciliati in Roma, viale Mazzini n. 73,

per l'annullamento, previa sospensiva,

della decisione della Corte Federale della F.I.G.C. del 25 luglio 2006, nella parte in cui è stata

confermata la sanzione, inflitta al ricorrente dalla Commissione d’Appello Federale del 14 luglio

2006, dell’inibizione per cinque anni dai ranghi federali, con proposta al Presidente Federale di

preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., e l’ammenda di €

50.000,00 per la commissione di illecito sportivo e non una sanzione meno affittiva per la

violazione dei soli principi di cui all’art. 1 del Codice di giustizia sportiva; di ogni altro

atto presupposto, successivo o comunque connesso, con espresso riferimento all’atto di

deferimento della Procura Federale ed alla decisione della Commissione d’Appello Federale del 14

luglio 2006, nella parte in cui è stata disposta a suo carico la predetta sanzione, nonché, per quanto

occorra, l’ordinanza della medesima C.A.F. del 3 luglio 2006, con la quale è stata respinta

l’eccezione di carenza di giurisdizione della C.A.F. nei suoi confronti.

GIURISPRUDENZA 122

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Tar Lazio Sentenza 2472/2008..…

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.);

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.);

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Associazione Calcio Milan s.p.a.;

Visto l’atto di intervento ad opponendum ed il ricorso incidentale del Codacons

e dell’Associazione Utenti Servizi Turistici Sportivi e della Multiproprietà, Sezione Tifosi dell'Inter

e della Roma;

Vista l’istanza, verbalizzata dal ricorrente nella Camera di consiglio del 22 agosto 2006, di rinvio

pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunità europea;

Visto il primo atto di motivi aggiunti, notificato dal ricorrente il 10 agosto 2006 e depositato il

successivo 11 agosto 2006;

Visto il secondo atto di motivi aggiunti, notificato dal ricorrente il 4 aprile 2007 edepositato il

successivo 12 aprile 2007;

Viste le memorie prodotte dalle parti in causa costituite a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 13 marzo 2008 il Consigliere Giulia Ferrari; uditi altresì i

difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

FATTO

1. Con ricorso notificato in data 2 agosto 2006 e depositato il successivo 4 agosto, il sig.

Luciano Moggi impugna, tra gli altri, la decisione della Corte Federale della F.I.G.C. del 25 luglio

2006, nella parte in cui è stata confermata la sanzione, inflittagli dalla Commissione d’Appello

Federale in data 14 luglio 2006, dell’inibizione per cinque anni dai ranghi federali, con proposta al

Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., e

l’ammenda di € 50.000,00 per la commissione di illecito sportivo e non una sanzione meno

afflittiva per la violazione dei soli principi di cui all’art. 1 del Codice di giustizia sportiva, e ne

chiede l’annullamento.

Espone, in fatto, che la vicenda disciplinare che l’ha visto coinvolto, nella qualità di direttore

generale della società calcistica Juventus, insieme ad altri tesserati e ad alcune squadre di calcio, ha

avuto inizio a conclusione di un’indagine attivata a seguito di intercettazione di utenze telefoniche

GIURISPRUDENZA 123

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Tar Lazio Sentenza 2472/2008..…

sue e di personaggi di rilievo della F.I.G.C., del settore arbitrale e di squadre militanti nel

campionato di serie A. Dal 2004 la Procura della Repubblica di Napoli ha attivato un’indagine che,

partita da ipotesi di scommesse illegali nel mondo del calcio, si è poi estesa, raccogliendo ed

utilizzando intercettazioni telefoniche disposte sulle sue utenze. Gli atti raccolti dalla Procura di

Napoli sono stati trasmessi all’Ufficio indagini della F.I.G.C. che, all’esito di una brevissima

attività diretta essenzialmente alla conferma degli atti raccolti dall’Autorità giudiziaria, ne ha

seguito pedissequamente l’impostazione, rilevando l’esistenza di responsabilità sue, di

dirigenti di altre società (Milano, Fiorentina e Lazio), di alcuni organi della Federazione

(Presidente e vice Presidente) e di arbitri e designatori. A seguito del deferimento alla C.A.F.

questa, con decisione del 14 luglio 2006, ha disposto nei suoi confronti l’inibizione per cinque

anni, con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o

categoria

della F.I.G.C., e l’ammenda di € 50.000,00. Avverso la predetta decisione egli ha proposto

appello alla Corte Federale che, con decisione del 25 luglio 2006, ha confermato le sanzioni a suo

carico.

2. Avverso i predetti provvedimenti il ricorrente è insorto deducendo:

A) In via pregiudiziale:

a) Sull’ammissibilità del ricorso per sussistenza di situazioni soggettive rilevanti per

l’ordinamento. In subordine: illegittimità dell’art. 1 L. n. 280 del 2003 per violazione degli artt. 24

e 103 Cost. – Carenza di giurisdizione della C.A.F. e della Corte Federale. Preliminarmente il

ricorrente afferma che, ai sensi dell’art. 2 L. 17 ottobre 2003 n. 280, la competenza a conoscere la

controversia è del giudice amministrativo. Diversamente opinando, ove cioè si ritenesse che non

esiste un giudice naturale da adire per la verifica degli atti adottati dall’ordinamento sportivo, il cit.

art. 2 sarebbe incostituzionale.

Aggiungasi che in data 16 maggio 2006 egli aveva presentato le dimissioni dalla carica di

direttore generale nel F.C. Juventus, richiedendo ed ottenendo, contestualmente, la cancellazione

dall’Elenco speciale dei Direttori sportivi. Segue da ciò che, ai sensi dell’ar. 36, settimo comma,

N.O.I.F., non avrebbe potuto essere sottoposto a procedimento di giustizia domestica ad opera di un

organo

appartenente ad un ordinamento settoriale del quale egli non faceva più parte.

GIURISPRUDENZA 124

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Tar Lazio Sentenza 2472/2008..…

B) Nel merito:

1) Violazione e falsa applicazione del principio del giusto procedimento.

2) Carenza di giurisdizione e falsa applicazione del principio del giusto procedimento.

Essendosi egli dimesso dalla propria carica il 16 maggio 2006, la C.A.F. prima e la Corte

Federale poi avrebbero dovuto dichiarare la propria carenza di giurisdizione.

3) Illegittima acquisizione ab origine delle intercettazioni telefoniche; rinvio pregiudiziale ex

art. 234 del Trattato Ce. Le intercettazioni telefoniche, che hanno portato all’attivazione del

procedimento penale dinanzi alla Procura della Repubblica di Napoli e di quello disciplinare

dinanzi alla C.A.F., sono state illegittimamente acquisite. Aggiungasi che la società che le ha

effettuate non è stata scelta a seguito di una procedura di evidenza pubblica. Le intercettazioni,

dunque, sono state effettuate, raccolte, gestite e classificate in violazione della normativa

comunitaria in materia di appalti di forniture e di servizi, con la conseguente necessità che gli atti

siano rimessi, ex art. 234 del Trattato Ce, alla Corte di giustizia.

Data la premessa, da essa discende che l’intero sistema probatorio, in base al quale egli è

stato deferito e giudicato responsabile dei fatti ascrittigli, è viziato da illegittimità derivata.

a) Illegittimo avvio e svolgimento del procedimento disciplinare.

Il contraddittorio con l’interessato, svolto solo nella fase dibattimentale, avrebbe dovuto

essere anticipato alla fase delle indagini.

b) Illegittimo e parziale uso del materiale probatorio. Illegittimamente solo una minima parte

delle intercettazioni acquisite a carico del sig. Moggi sono state utilizzate.

La scelta di alcune conversazioni anziché di altre ha portato ad una visione distorta dell’intera

vicenda.

c) Illegittima ed inesistente valutazione del materiale probatorio. Illegittimamente la C.A.F.

ha ratificato ex post, senza svolgere alcuna effettiva attività istruttoria, ipotesi accusatorie costruite

dall’ufficio indagini e dalla Procura Federale in totale assenza di contraddittorio.

d) Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del Codice di Giustizia sportiva –

Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, assenza dei presupposti,

contraddittorietà, disparità di trattamento e violazione del principio di proporzionalità. La decisione

della C.A.F. è viziata da palese contraddizione, atteso che gli si imputa di aver alterato la classifica

ma non i risultati di singole gare, anzi escludendo che ciò era avvenuto. Aggiungasi che gli arbitri,

con i quali egli avrebbe raggiunto l’intesa illecita, sono stati tutti assolti.

GIURISPRUDENZA 125

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3. Con un primo atto di motivi aggiunti, notificato il 10 agosto 2006 e depositato il successivo

11 agosto 2006, il ricorrente impugna nuovamente la decisione della Corte Federale della F.I.G.C.

del 25 luglio 2006, essendo stata la stessa depositata e resa pubblica nella sua versione integrale

solo il 4 agosto 2006.

Reitera nei confronti di detto provvedimento i motivi già dedotti con l’atto introduttivo del

giudizio.

4. Con un secondo atto di motivi aggiunti, notificato il 4 aprile 2007 e depositato il

successivo 12 aprile 2007, il ricorrente impugna il lodo arbitrale emesso il 7 marzo 2006 dalla

Camera di conciliazione ed arbitrato dello sport, che ha dichiarato la propria incompetenza a

decidere sulla controversia instaurata dallo stesso ricorrente avverso la decisione della Corte

Federale.

Detto lodo è inficiato non solo per vizi di illegittimità derivata ma anche per vizi propri e, in

particolare, per eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità ed incompletezza della pronuncia.

La Camera di conciliazione, che costituisce l’ultimo grado della giustizia sportiva, non poteva

dichiararsi incompetente sulla base del medesimo atto e fatto che aveva giustificato la pronuncia

della C.A.F., e della Corte Federale e poi omettere di trarre da tale affermazione le necessarie

conseguenze, annullando le pronunce disciplinari adottate nei suoi confronti.

In altri termini, la Camera di conciliazione, avendo preso atto che a seguito delle dimissioni

presentate egli era uscito dall’ordinamento sportivo, doveva necessariamente concludere nel senso

che non poteva essere soggetto a procedimento disciplinare né dalla C.A.F. né dalla Corte Federale

della F.G.C. e per l’effetto doveva annullare le pronunce da esse emesse.

5. Con istanza, verbalizzata nella Camera di consiglio del 22 agosto 2006, il ricorrente

ha chiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Comunità europea.

6. Si è costituita in giudizio la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), che ha

preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili mentre nel merito ne ha

sostenuto l’infondatezza.

7. Si è costituito in giudizio il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che ha preliminarmente

eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili mentre nel merito ne ha sostenuto

l’infondatezza.

8. Si è costituita in giudizio l’Associazione Calcio Milan s.p.a., che ha sostenuto

l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

GIURISPRUDENZA 126

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9. Con atto di intervento ad opponendum, notificato il 21 agosto 2008, si sono costituiti in

giudizio il Codacons e l’Associazione Utenti Servizi Turistici Sportivi e della Multiproprietà,

Sezione Tifosi dell'Inter e della Roma, che hanno sostenuto l’inammissibilità e l’infondatezza del

ricorso.

10. Il Codacons e l’Associazione Utenti Servizi Turistici Sportivi e della Multiproprietà,

Sezione Tifosi dell'Inter e della Roma hanno proposto altresì, uno actu, ricorso incidentale

chiedendo l’annullamento della decisione della Corte d’appello federale nella parte in cui ha ridotto

le sanzioni comminate dalla C.A.F..

Detta decisione è, ad avviso dei ricorrenti incidentali, illegittima perché adottata con la

presenza di un componente che avrebbe dovuto invece astenersi, nonché per difetto di motivazione.

Le associazioni chiedono altresì la condanna al risarcimento dei danni, che quantificano in

almeno due milioni di euro per ciascuno dei soggetti coinvolti.

11. Con memorie depositate alla vigilia dell’udienza di discussione le parti costituite hanno

ribadito le rispettive tesi difensive.

12. Con ordinanza n. 4666 del 22 agosto 2006 (confermata dalla VI Sez., del Consiglio di

Stato con ord. 30 marzo 2007 n. 1600), è stata respinta l’istanza cautelare di sospensiva.

13. All’udienza del 13 marzo 2008 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, il sig. Moggi impugna (con l’atto introduttivo del giudizio e con

il primo atto di motivi aggiunti) la decisione della Corte Federale della F.I.G.C. del 25 luglio 2006,

nella parte in cui è stata confermata la sanzione, inflitta nei suoi confronti dalla Commissione

d’Appello Federale con atto del 14 luglio 2006, dell’inibizione per cinque anni dai ranghi federali,

con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria

della F.I.G.C., e l’ammenda di € 50.000,00 per illecito sportivo commesso nel periodo in cui

era direttore generale della F.C. Juventus s.p.a. nonché (con il secondo atto di motivi aggiunti) il

lodo arbitrale emesso il 7 marzo 2006 dalla Camera di conciliazione ed arbitrato dello sport, che ha

dichiarato la propria incompetenza a decidere sulla controversia da lui instaurata avverso la

decisione della Corte Federale.

Nell’esame delle diverse eccezioni sollevate dalle parti resistenti il Collegio ritiene di dover

dare la priorità a quella relativa al proprio difetto di giurisdizione, sollevata sull’assunto che oggetto

GIURISPRUDENZA 127

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del gravame è una sanzione disciplinare sportiva, destinata ad esaurire i propri effetti nell’ambito

dell’ordinamento settoriale, con conseguente irrilevanza per l’ordinamento statale alla stregua anche

di quanto disposto dall’art. 2, primo comma, lett. b), D.L. 19 agosto 2003 n. 220, convertito con

modificazioni dall’art. 1 L. 17 ottobre 2003 n. 280.

La questione relativa alla sussistenza della giurisdizione del giudice adito va infatti esaminata

prioritariamente, a prescindere dall’ordine delle eccezioni dato dalla parte, e ciò in quanto la

carenza di giurisdizione inibisce al giudice anche di verificare la legittimazione passiva delle parti

evocate in giudizio, così come la procedibilità del ricorso. Infatti, le statuizioni sul rito costituiscono

manifestazione di potere giurisdizionale, di pertinenza esclusiva del giudice dichiarato competente a

conoscere della controversia (Cons.Stato, IV Sez., 22 maggio 2006 n. 3026; T.A.R. Lazio, Sez. III

ter, 20 luglio 2006 n. 6180). L’eccezione non è condivisibile.

Ai sensi del D.L. 19 agosto 2003 n. 220, convertito dalla L. 17 ottobre 2003 n. 280, il criterio

secondo il quale i rapporti tra l'ordinamento sportivo e quello statale sono regolati in base al

principio di autonomia - con conseguente sottrazione al controllo giurisdizionale degli atti a

contenuto tecnico sportivo - trova una deroga nel caso di rilevanza per l'ordinamento giuridico della

Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo; in tale ipotesi,

le relative controversie sono attribuite alla giurisdizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria ove

abbiano per oggetto i rapporti patrimoniali tra Società, Associazioni ed atleti, mentre ogni altra

controversia avente per oggetto atti del C.O.N.I. o delle Federazioni sportive nazionali è devoluta

alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

In altri termini, la giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute

dell'applicazione delle regole sportive, mentre quella statale è chiamata a risolvere le controversie

che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti

soggettivi o interessi legittimi (Cons.Stato, VI Sez., 9 luglio 2004 n. 5025).

Con precipuo riferimento al principio, introdotto dal cit. art. 2, di autonomia dell’ordinamento

sportivo da quello statale, che riserva al primo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto “i

comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni

disciplinari sportive”, questo Tribunale ha già più volte chiarito che detta disposizione, letta

unitamente all’art. 1, secondo comma, dello stesso decreto legge, non appare operante nel caso in

cui la sanzione non esaurisce la sua incidenza nell’ambito strettamente sportivo, ma rifluisce

nell’ordinamento generale dello Stato (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 22 agosto 2006 n. 7331; 18 aprile

2005 n. 2801 e 14 dicembre 2005 n. 13616). In applicazione di detto principio questa Sezione (21

GIURISPRUDENZA 128

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giugno 2007 n. 5645; 8 giugno 2007 n. 5280) ha quindi affermato la propria giurisdizione nei ricorsi

proposti dalla soc. Arezzo e da un arbitro avverso le sanzioni inflitte con la decisione della Corte

Federale della F.I.G.C. per illecito sportivo per fatti connessi alla vicenda della c.d. “calciopoli”

(nella quale è stato ritenuto coinvolto anche l’odierno ricorrente), insorta nella stagione calcistica

2005/2006, mentre ha dichiarato (5 novembre 2007 nn. 10894 e 10911) il difetto assoluto di

giurisdizione nella controversia promossa da un arbitro per la mancata iscrizione alla Commissione

Arbitri Nazionale della serie A e B, fondandosi il provvedimento impugnato su un giudizio basato

esclusivamente sulle qualità tecniche espresse dall’arbitro ed essendo, dunque, privo di qualsiasi

effetto all’esterno dell’ordinamento sportivo.

Ritiene il Collegio di non dover mutare l’orientamento assunto dalla Sezione nelle succitate

decisioni in considerazione delle argomentazioni svolte sul punto dal Cons. giust. amm. sic.

(decisione 8 novembre 2007 n. 1048), il quale ha escluso che possa avere rilevanza, per radicare la

giurisdizione in capo al giudice amministrativo, l’efficacia esterna di detti provvedimenti

sanzionatori (nella specie si trattava della squalifica di un campo di calcio e del conseguente

obbligo della squadra locale di giocare su terreno neutro).

La tesi svolta dal succitato organo giurisdizionale è che si tratta di conseguenze che

normativamente non dispiegano alcun rilievo ai fini della verifica della sussistenza della

giurisdizione statuale, che il legislatore avrebbe riconosciuto solo nei casi diversi da quelli,

espressamente esclusi, perché dall’art. 2, primo comma, D.L. n. 220 del 2003 riservati al giudice

sportivo.

Osserva il Collegio che la conclusione del giudice di appello si fonda su un’interpretazione

del concetto di autonomia, legislativamente riconosciuta ad un determinato ordinamento giuridico,

che non è condivisibile.

Autonomia sta a significare inibizione per un ordinamento giuridico di interferire con le

proprie regole e i propri strumenti attuativi in un ambito normativamente riservato ad altro

ordinamento coesistente (nella specie, quello sportivo), ma a condizione che gli atti e le pronunce in

detto ambito intervenuti in esso esauriscano i propri effetti.

Il che è situazione che, alla luce del comune buon senso, non ricorre affatto allorché la

materia del contendere è costituita innanzi tutto da valutazioni e apprezzamenti personali, che a

prescindere dalla qualifica professionale rivestita dal soggetto destinatario degli stessi e del settore

nel quale egli ha svolto la sua attività, investono con immediatezza diritti fondamentali dello stesso

GIURISPRUDENZA 129

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Tar Lazio Sentenza 2472/2008..…

in quanto uomo e cittadino, con conseguenze lesive della sua onorabilità e negativi, intuitivi riflessi

nei rapporti sociali.

Verificandosi questa ipotesi, che è poi quella che ricorre nel caso in esame -atteso che il danno

asseritamente ingiusto, sofferto dal ricorrente è, più che nella misura interdittive e patrimoniali

comminate, nel durissimo giudizio negativo sulle sue qualità morali, che esse inequivocabilmente

sottintendono – è davvero difficile negare all’odierno ricorrente l’accesso a colui che di dette

vicende è incontestabilmente il giudice naturale.

Una diversa conclusione assumerebbe carattere di particolare criticità ove si consideri, come

sarà meglio chiarito in seguito, che in una determinata fase dell’impugnato procedimento è stata

negata al ricorrente la stessa appartenenza al cd. “mondo sportivo”.

Aggiungasi, ed il rilievo è assorbente, che la necessità per il Collegio di confermare anche in

questa occasione le conclusioni già assunte dalla Sezione e non condivise dal giudice di appello

siciliano nasce dalla necessità di dare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2 D.L. n. 220

del 2003.

Costituisce infatti principio ricorrente nella giurisprudenza del giudice delle leggi che, dinanzi

ad un dubbio interpretativo di una norma o ad un’aporia del sistema, prima di dubitare della

legittimità costituzionale dello norma stessa occorre verificare la possibilità di darne

un’interpretazione secondo Costituzione (Corte cost. 22 ottobre 1996 n. 356).

Ha chiarito la Corte costituzionale (30 novembre 2007 n. 403) che il giudice (specie in

assenza di un pressoché consolidato orientamento giurisprudenziale) ha il dovere di adottare, tra più

possibili interpretazioni di una disposizione, quella idonea a fugare ogni dubbio di legittimità

costituzionale, dovendo sollevare la questione dinanzi al giudice delle leggi solo quando la lettera

della norma sia tale da precludere ogni possibilità ermeneutica idonea a offrirne una lettura

conforme a Costituzione.

Ha infine aggiunto il giudice delle leggi che in linea di principio le leggi non si dichiarano

costituzionalmente illegittime perché è possibile dare di esse interpretazioni incostituzionali, ma

perché è impossibile dare delle stesse interpretazioni costituzionali.

Ora, nel caso di specie non mancano argomenti e precedenti giurisprudenziali a dimostrazione

che il Legislatore del 2003 ha voluto solo garantire il previo esperimento, nella materia della

disciplina sportiva, di tutti i rimedi interni, senza peraltro elidere la possibilità, per le parti del

rapporto, di adire il giudice dello Stato se la sanzione comminata non esaurisce la sua rilevanza

all’interno del solo ordinamento sportivo.

GIURISPRUDENZA 130

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Nella vicenda in esame il sig. Moggi impugna le sanzioni disciplinari (interdittive e

patrimoniali) comminategli dalla Commissione d’Appello Federale (C.A.F.) e dalla Corte Federale

per illeciti commessi durante il Campionato di calcio 2004/2005. Si è già detto che le sanzioni in

questione, per la loro natura, assumono rilevanza anche al di fuori dell’ordinamento sportivo e

quindi a prescindere dalle dimissioni rassegnate dal ricorrente dalla carica di direttore generale della

F.C. Juventus s.p.a. e dalla richiesta ed ottenuta cancellazione dall’Elenco speciale dei Direttori

sportivi -ove solo si considerino non soltanto i riflessi sul piano economico (il ricorrente potrebbe

essere chiamato a rispondere, a titolo risarcitorio, sia alla soc. F.C. Juventus, società quotata in

borsa, che ai singoli azionisti) ma anche e soprattutto il giudizio di disvalore che da detta sanzione

discende sulla personalità del soggetto in questione in tutti i rapporti sociali.

Dunque, le impugnate sanzioni disciplinari sportive, in sé considerate, sono certo rilevanti per

l'ordinamento sportivo, ma impingono altresì su posizioni regolate dall'ordinamento generale, onde

la relativa tutela spetta a questo giudice, nella propria competenza esclusiva di cui all’art. 3, primo

comma, D.L. n. 220 del 2003, pena la violazione dell’art. 24 della Costituzione.

Infine, come già anticipato, ritiene il Collegio che nel caso in esame sussiste un’ulteriore

argomentazione che depone a favore del necessario riconoscimento della sua giurisdizione anche a

prescindere dalla rilevanza esterna delle sanzioni inflitte al sig. Moggi.

Come si dirà più diffusamente in seguito, il ricorrente in data 16 maggio 2006 ha rassegnato le

proprie dimissioni dalla carica di direttore generale della F.C. Juventus s.p.a. ed ha chiesto ed

ottenuto la cancellazione dall’Elenco speciale dei Direttori sportivi.

Da questa circostanza la Camera di conciliazione ed arbitrato dello sport ha dedotto la propria

incompetenza a decidere sull’istanza di arbitrato depositata dal sig. Moggi il 2 novembre 2006. Se

dunque il ricorrente non è più soggetto appartenente all’ordinamento sportivo e non può quindi

adire gli organi della giustizia sportiva, deve allora necessariamente ammettersi che può rivolgersi

per la tutela della propria posizione giuridica soggettiva agli organi della giustizia statale, a meno

che non s’intenda paradossalmente affermare che in ambito sportivo esistono fatti e comportamenti

nei confronti dei quali, ancorché sicuramente lesivi dei diritti fondamentali della persona,

l’ordinamento sia statale che sportivo non apprestano rimedi giurisdizionali.

2. Deve essere invece accolta l’eccezione sollevata dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano

(C.O.N.I.) e dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva, non essendo a questi imputabile

alcuno degli atti impugnati. Ed invero, l’art. 12 dello Statuto del C.O.N.I. configura la Camera di

Conciliazione e Arbitrato per lo Sport come un organo non amministrativo ma arbitrale, rispettoso

GIURISPRUDENZA 131

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dei principi di terzietà, autonomia ed indipendenza di giudizio; a ciò si aggiunga che l’art. 20 del

regolamento della Camera significativamente precisa che “il lodo è imputabile sclusivamente

all’organo arbitrale. In nessun caso il lodo può essere considerato atto della Camera o del C.O.N.I.”

(T.A.R. Lazio, III Sez., 7 aprile 2005 n. 2571).

3. Deve essere invece respinta l’eccezione di improcedibilità dell’atto introduttivo del

giudizio per mancato assolvimento della cd. pregiudiziale sportiva. Come correttamente ha dato atto

la stessa difesa della F.I.G.C. il sig. Moggi, successivamente alla proposizione dell’atto introduttivo

del giudizio, ha esaurito i rimedi interni dell’ordinamento sportivo ed ha successivamente

impugnato, con il secondo atto di motivi aggiunti, il lodo arbitrale emesso il 7 marzo 2006 dalla

Camera di conciliazione ed arbitrato dello sport, con conseguente superamento della predetta

eccezione di improcedibilità del ricorso.

4. Infine, il Collegio ritiene di doversi porre d’ufficio la questione relativa all’ammissibilità

del ricorso incidentale, proposto dal Codacons e dall’Associazione Utenti Servizi Turistici Sportivi

e della Multiproprietà, Sezione Tifosi dell'Inter e della Roma uno actu con l’intervento ad

opponendum.

Ed invero, se non può precludersi la proposizione dell'intervento (adesivo od oppositivo) per

la cura di un semplice interesse di fatto, ciò che è, invece, precluso all'interveniente è l'ampliamento

dell'oggetto del giudizio con la proposizione di un ricorso incidentale (Cons.Stato, IV Sez., 18

marzo 1997 n. 262; VI Sez., 4 ottobre 1983 n. 703; T.A.R. Catania, I Sez., 29 ottobre 2004 n. 3006;

T.A.R. Lazio, II Sez., 17 luglio 2000 n. 5934).

Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, infatti, il ricorso incidentale, previsto dagli

artt. 37 T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 e 37 L. 6 dicembre 1971 n. 1034, è un mezzo posto a

disposizione del controinteressato intimato per impugnare un provvedimento amministrativo in una

parte e per motivi diversi da quelli addotti dal ricorrente, allo scopo di paralizzare l'azione proposta

da quest'ultimo e di ottenere che, nel caso di eventuale possibile fondatezza della sua istanza, il

provvedimento impugnato in via principale (o altro provvedimento connesso) venga nel contempo

sindacato sotto altri profili, favorevoli allo stesso controinteressato, sì da portare alla finale salvezza

del suo contenuto essenziale ovvero al suo rinnovo in senso ugualmente vantaggioso (Cons.Stato, V

Sez., 26 luglio 1985 n. 267).

Nella fattispecie le due Associazioni non rivestono in senso sostanziale la posizione di

controinteressate, dal momento che le decisioni della C.A.F. prima e della Corte Federale dopo non

hanno procurato né ad esse né alla platea dei consumatori, che le stesse rappresentano, un vantaggio

GIURISPRUDENZA 132

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diretto, come è invece accaduto, ad es. alla società calcistica Football Club Internazionale s.p.a. che,

per effetto della retrocessione in serie B della Juventus e della penalizzazione di punti al Milan, ha

ottenuto lo scudetto.

5. Passando al merito del ricorso, preliminare appare l’esame della questione relativa alla

sottoponibilità a procedimento disciplinare del sig. Moggi da parte dell’ordinamento sportivo,

avendo egli rassegnato le proprie dimissioni dalla carica di direttore generale della F.C. Juventus

s.p.a. il 16 maggio 2006 e richiesto ed ottenuto la cancellazione dall’Elenco speciale dei Direttori

sportivi.

Giova premettere che, ai sensi dell’art. 36, comma 7, “non possono essere nuovamente

tesserati coloro che abbiano rinunciato ad un precedente tesseramento in pendenza di procedimento

disciplinare a loro carico”. Da questa norma il ricorrente desume l’illegittimità della prosecuzione

del procedimento disciplinare a suo carico, essendo ormai fuori dall’ordinamento sportivo e non

potendo più rientrarvi per aver rassegnato le proprie dimissioni “in pendenza” del procedimento

disciplinare. Il sig. Moggi parte infatti dall’assunto che il procedimento disciplinare inizia con il

“ricevimento della notitia criminis” da parte dell’Ufficio indagini, avvenuto nel marzo 2006.

A questa conclusione si contrappone quella della Corte Federale, secondo cui il procedimento

disciplinare inizia con il “deferimento” dell’interessato, da parte della Procura Federale, alla

Commissione di Appello federale, che nella specie è avvenuto il 23 giugno 2006. Il sig. Moggi ha

rassegnato le proprie dimissioni il 16 maggio 2006, quindi prima dell’inizio del procedimento.

Né possono rilevare, per invocare l’applicabilità dell’art. 36, comma 7, N.O.I.F., le seconde

dimissioni ripresentate dallo stesso ricorrente il 3 luglio 2006, e cioè in epoca in cui già non era più

tesserato.

Il Collegio ritiene corretta l’impostazione difensiva della F.I.G.C.

Il procedimento, che si conclude con la comminatoria di una sanzione disciplinare a carico di

tesserati, inizia, infatti, con il deferimento da parte della Procura Federale della C.A.F., essendo la

fase precedente preordinata all’acquisizione degli elementi di conoscenza necessari per valutare se

sussistono o no gli estremi per l’attivazione del procedimento stesso.

Solo ove questa prima fase si concluda positivamente ha inizio il procedimento disciplinare a

carico del deferito (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 8 giugno 2007 n. 5280).

Sono inoltre prive di giuridica rilevanza le dimissioni nuovamente presentate dal ricorrente il

3 luglio 2006, non ricoprendo egli a quella data più alcuna carica dalla quale potersi dimettere in

ragione degli effetti già derivati dalle dimissioni rassegnate il 16 maggio 2006 e della cancellazione

GIURISPRUDENZA 133

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predisposta, in pari data, dalla Commissione responsabile della tenuta dell’Elenco speciale dei

direttori sportivi.

Data la premessa, la conseguenza è che non è invocabile il cit. settimo comma dell’art. 36

N.O.I.F., che assume a presupposto che le dimissioni siano presentate “in pendenza” di

procedimento disciplinare.

Ma il Collegio ritiene che l’inapplicabilità dell’art. 36, settimo comma, N.O.I.F., derivi anche

da un’altra ragione. La norma in questione, infatti, dispone espressamente soltanto che il tesserato

dimessosi (in pendenza di procedimento disciplinare) non può successivamente chiedere una nuova

iscrizione.

Ciò per l’evidente ragione di evitare che le dimissioni siano rassegnate al fine precipuo di

interrompere il procedimento in corso, salvo poi chiedere la riammissione nell’ordinamento

sportivo. Nulla prevede, invece, la norma in ordine all’assoggettabilità a procedimento disciplinare

del tesserato dimessosi.

Il Collegio ritiene che dalla statuizione espressa del settimo comma non possa trarsi la

conseguenza affermata dal ricorrente e che, dunque, nulla impedisca di sottoporre a procedimento

disciplinare anche un tesserato già dimessosi. Al fine di giustificare le conclusioni alle quali il

Collegio è pervenuto soccorrono pur con gli opportuni distinguo connessi alla differente natura del

rapporto i principi pacificamente affermati nell’ambito dell’impiego pubblico, nel quale si ammette

in via generale l'esperibilità del procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente cessato dal

servizio, nelle ipotesi in cui sussista in concreto un interesse giuridicamente qualificato,

dell'impiegato o della stessa Amministrazione, ad una valutazione sotto il profilo disciplinare del

comportamento tenuto in servizio dal dipendente (Cons.Stato, II Sez., 16 maggio 2001, n. 422;

T.A.R. Veneto, II Sez., 22 agosto 2002 n. 4514).

Tali principi possono essere ragionevolmente trasfusi nel caso in esame nel quale l’interesse

dell’ordinamento sportivo a sanzionare un tesserato – pur a fronte della sicurezza che lo stesso non

potrà in alcun caso, ex art. 36, settimo comma, N.O.I.F., chiedere una nuova iscrizione – deriva

dalla necessità non solo di moralizzare il mondo sportivo accertando sempre e comunque il

comportamento asseritamente amorale di un ex iscritto ma anche dal fatto che tra le sanzioni

comminabili figura anche quella pecuniaria, a nulla rilevando che, come afferma la F.I.G.C. nei

propri scritti difensivi, questa assumerebbe la natura di obbligazione naturale.

GIURISPRUDENZA 134

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Ad avviso della Federazione, infatti, essa potrebbe non essere mai pagata senza che sia

possibile, proprio per l’autonomia dell’ordinamento sportivo, ricorrere ai rimedi predisposti, questa

volta dall’ordinamento statale, contro i debitori inadempienti.

Il primo motivo di ricorso non è dunque suscettibile di positiva valutazione.

6. Con il secondo motivo di ricorso si deduce innanzitutto l’illegittimità, sotto molteplici

profili, dell’intero sistema probatorio basato sulle intercettazioni telefoniche delle utenze del sig.

Moggi. Priva di pregio è la prima censura dedotta con il motivo in esame, con la quale si afferma

che illegittimamente le intercettazioni sono state fatte e raccolte da una società che non era stata

scelta a seguito di una procedura di evidenza pubblica.

Rileva infatti il Collegio che eventuali vizi, relativi all’affidamento senza ricorso ad una gara,

del servizio di intercettazione telefonica alla Telecom Italia s.p.a. (peraltro non evocata in giudizio),

non sono idonei a refluire con effetti invalidanti sull’attività posta in essere dalla C.A.F. prima e

dalla Corte Federale della F.I.G.C. poi e sulle conclusioni alle quali sono pervenuti gli organi in

questione anche sulla base di dette intercettazioni, non sussistendo tra le informazioni fornite dalla

Telecom Italia s.p.a. e l’uso che delle stesse è stato fatto in sede di indagine preliminare un rapporto

diverso da quello di mera strumentalità materiale del primo rispetto al secondo.

Aggiungasi che il ricorrente non contesta, in punto di fatto, il contenuto delle intercettazioni

telefoniche poste a base della sua condanna disciplinare, con la conseguenza che dall’affidamento

del servizio ad altra società risultata aggiudicataria di una gara il sig. Moggi non sarebbe stato in

grado di ottenere alcun risultato utile.

Di qui la non accoglibilità della richiesta di trasmissione degli atti di causa alla Corte di

Giustizia ex art. 234 del Trattato Ce (come del resto affermato anche dal Consiglio di Stato

nell’ordinanza n. 1600 del 30 marzo 2007, con la quale è stato confermato il diniego di sospensione

cautelare di questo Tribunale).

7. Priva di pregio è anche la censura, sempre dedotta con il secondo motivo di ricorso, con la

quale si afferma che, illegittimamente, di tutte le intercettazioni raccolte solo alcune sono state

utilizzate. La scelta di talune conversazioni anziché di altre avrebbe portato ad una visione distorta

dell’intera vicenda.

Rileva il Collegio che le intercettazioni raccolte, stante il loro inequivoco tenore, sono

certamente sufficienti a supportare l’intero impianto probatorio con la conseguenza che, ove pure ne

fossero state aggiunte altre, la conclusione non muterebbe.

GIURISPRUDENZA 135

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8. Occorre ora passare all’esame della censura più delicata relativa all’utilizzabilità delle

intercettazioni telefoniche in sede di procedimento disciplinare a carico di soggetti appartenenti (o

che erano appartenuti) all’ordinamento sportivo e alla possibilità di fondare sulle stesse l’intera

struttura probatoria.

Sulla questione il Collegio si è già pronunciato (21 giugno 2007 n. 5645) in occasione della

decisione emessa su un ricorso proposto da una società sportiva sanzionata nell’ambito della stessa

vicenda cd. calciopoli, con argomentazioni dalle quali non intende discostarsi.

Giova premettere che le intercettazioni telefoniche provenienti dal procedimento penale

pendente dinanzi all’Autorità giudiziaria napoletana sono state acquisite dagli uffici federali ai sensi

dell’art. 2, terzo comma, L. 13 dicembre 1989 n. 401, che consente agli organi della disciplina

sportiva di chiedere copia degli atti del procedimento penale a norma dell’art. 116 c.p.p.

Dette intercettazioni sono state legittimamente valutate in sede amministrativa, in conformità

al principio di libera utilizzazione degli elementi di prova acquisiti in procedimenti diversi, che

opera in assenza di un principio di tipicità dei mezzi di prova.

Questa Sezione ha anche chiarito, in relazione alla valenza probatoria delle intercettazioni,

che “non può essere trascurato come anche la giurisprudenza penale (Cass. pen., V Sez., 9 febbraio

2007 n. 5699 e 16 febbraio 2000 n. 6350), sia pure ai diversi fini del giudizio penale, costantemente

afferma che nell’interpretazione dei fatti comunicativi le regole del linguaggio e della

comunicazione costituiscono il criterio di inferenza (premessa maggiore) che, muovendo dal testo

della comunicazione o comunque della struttura del messaggio (premessa minore), consente di

pervenire alla conclusione interpretativa.

Sicchè le valutazioni del giudice di merito sono censurabili solo quando si fondino su criteri

interpretativi inaccettabili (difetto della giustificazione esterna), ovvero applichino scorrettamente

tali criteri (difetto della giustificazione interna)”.

Anche nel caso di specie, l’interpretazione del significato delle intercettazioni coinvolgenti il

sig. Moggi è adeguatamente e logicamente motivata nelle decisioni degli organi federali e risulta

compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento,

secondo la formula ricorrente nella giurisprudenza penale.

Ne deriva, ancora, che l’interpretazione del fatto comunicativo (e cioè della conversazione

intercettata) è incensurabile in questa sede di giurisdizione di legittimità, seppure esclusiva.

GIURISPRUDENZA 136

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Tar Lazio Sentenza 2472/2008..…

Quanto poi alla prospettata inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, in quanto

asseritamente acquisite al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 del c.p.p., ritiene il

Collegio sufficiente osservare come il divieto di utilizzazione concerne il procedimento penale e

comunque richiede un accertamento che rientra nella competenza esclusiva del giudice penale

(Cass., I Sez., 30 marzo 1993), il quale dispone la distruzione della relativa documentazione (art.

271, terzo comma, c.p.p.).

Deve dunque condividersi l’orientamento giurisprudenziale alla stregua del quale

l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche non può spiegare effetti oltre gli ambiti processuali

penali e, pertanto, non può impedire l’apprezzamento delle stesse in sede disciplinare (T.A.R.

Lazio, Sez. III ter, 21 giugno 2007 n. 5645; T.A.R. Bari, I Sez., 19 aprile 2001 n. 1199).

9. Il Collegio esclude, infine, che le intercettazioni sulle quali gli organi di giustizia sportiva si

sono basati per comminare le sanzioni non siano idonee ad assurgere a prova dell’illecito contestato

al sig. Moggi.

Occorre prendere le mosse dalla condivisibile valutazione, contenuta nella decisione della

Corte federale, e, prima ancora della C.A.F., secondo cui “le trascrizioni delle intercettazioni

telefoniche ed ambientali non vengono generalmente in rilievo quali prove in sé degli addebiti

rivolti ai deferiti, ma come mera circostanza storica - non disconosciuta nella sua esistenza, né nel

suo oggetto, né nella sua veridicità, dagli incolpati suscettibile di lettura critica, interpretazione

logica, collegamento con altri elementi probatori acquisiti, in una parola di valutazione di merito”.

Tale metodo è stato seguito anche con riguardo alla posizione del sig. Moggi, come

inequivocabilmente si evince alle pagg. 64 - 68 della decisione della Corte federale, ove il

contenuto delle interlocuzioni intervenute tra il ricorrente e i designatori arbitrali è stato sottoposto a

vaglio critico e ritenuto condivisibilmente espressivo di un comune intento fraudolento, tale da

integrare la fattispecie di cui all’art. 6 del Codice di giustizia Sportiva.

10. Non è suscettibile di positiva valutazione neanche la censura, anch’essa dedotta con il

secondo motivo, con la quale si afferma che illegittimamente il contraddittorio con il sig. Moggi si è

svolto solo nella fase dibattimentale mentre avrebbe dovuto essere anticipato alla fase delle

indagini.

E’ sufficiente sul punto richiamare quanto già chiarito dal Collegio sub 4 in ordine al

momento in cui inizia il procedimento disciplinare. Contrariamente a quanto assunto dal ricorrente,

questo inizia, infatti, con il deferimento dell’inquisito alla C.A.F., con la conseguenza che è solo da

quel momento che si deve come di fatto è avvenuto -assicurare il contraddittorio con l’accusato, il

GIURISPRUDENZA 137

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Tar Lazio Sentenza 2472/2008..…

quale viene messo in tal modo in grado di dare il proprio apporto partecipativo al provvedimento

conclusivo del procedimento disciplinare di non doversi procedere o di comminatoria di sanzione.

Aggiungasi, al solo fine di moralizzare la vicenda contenziosa, che il sig. Moggi in data 7

giugno 2006 (e, quindi, prima del deferimento avvenuto con atto del 22 giugno 2006) ha

comunicato per il tramite dei suoi legali di essere divenuto ormai estraneo all’ordinamento

calcistico per effetto delle rassegnate dimissioni e di non intendere, per questo motivo, “presenziare

alle audizioni in corso”.

Altro rilievo determinante alla reiezione della censura è connesso al fatto che le decisioni

degli organi di giustizia sportiva in questa sede gravati sono l’epilogo di procedimenti mministrativi

(seppure in forma giustiziale) e non già giurisdizionali, con la conseguenza che non possono

ritenersi presidiati dalle garanzie del processo.

Come la Sezione ha già chiarito (8 giugno 2007 n. 5280), alla giustizia sportiva si applicano,

oltre che le regole sue proprie previste dalla normativa federale, per analogia anche quelle

dell’istruttoria procedimentale, ove vengono acquisiti fatti semplici e complessi, che possono anche

investire la sfera giuridica di soggetti terzi. Richiamando anche la giurisprudenza formatasi in tema

di ricorsi amministrativi di cui al D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, si è evidenziata

l’inapplicabilità delle regole processuali di formazione in contraddittorio della prova (tipiche

specialmente del processo penale).

Pur valorizzando la disciplina contenuta nella legge generale sul procedimento

amministrativo, la giurisprudenza costantemente afferma che contraddittorio e partecipazione sono

soddisfatti allorché la parte interessata sia adeguatamente informata della natura e dell’effettivo

avvio del procedimento e sia posta in condizione di fornire gli apporti ritenuti utili in chiave

istruttoria e logico - argomentativa (Cons. Stato, IV Sez., 30 giugno 2003 n. 3925).

11. Con l’ultima, articolata censura, sempre del secondo motivo di ricorso, il sig. Moggi

deduce che la decisione della C.A.F. è viziata da palese contraddizione, atteso che gli si imputa di

aver alterato la classifica senza alterare il risultato di singole partite.

Ove si fosse correttamente proceduto, al più il ricorrente avrebbe potuto essere sanzionato per

la minore violazione prevista dall’art. 1 del Codice di Giustizia Sportiva (id est, violazione di doveri

di lealtà sportiva), e non per quella prevista dall’art. 6 (id est, illecito sportivo).

GIURISPRUDENZA 138

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Anche questa censura non è suscettibile di positiva valutazione. Risulta infatti palese, da una

corretta lettura dell’art. 6, comma 1, del Codice di giustizia sportiva, che ciò che si è inteso

qualificare come “illecito sportivo” e severamente sanzionare non è soltanto l’avvenuta alterazione,

con mezzi fraudolenti, del risultato di una determinata partita ma, a monte e innanzitutto, la

creazione di una struttura sapientemente articolata e fondata su interessati rapporti con i centri

decisionali della Federazione e della classe arbitrale, la cui funzione non è certamente quella di

assicurare ad una determinata società, all’interno del “sistema calcio”, un’immagine di strapotere

sul piano organizzativo e funzionale, ma di ingenerare a suo favore una situazione di sudditanza

psicologica da parte sia degli arbitri, condizionandone l’operato a mezzo dello strumento delle

designazioni affidate a persone facenti parte della struttura sopra citata, che delle altre società,

boicottandole non solo sul piano strettamente competitivo ma anche su quello del mercato delle

acquisizioni, e al tempo stesso di assicurare alla società protetta la consapevolezza che in caso di

bisogno non mancheranno tempestivi interventi idonei a fronteggiare, con idonee misure, eventuali

situazioni di pericolo. Situazione questa agevolmente realizzabile con il concorso di un arbitro

compiacente e disponibile a non vedere all’occorrenza falli compiuti sul campo da giocatori della

società protetta e a intervenire con severità su quelli, esistenti o no, imputati ai giocatori della

squadra avversaria.

In sostanza ciò che appare decisivo, dal punto di vista strutturale, è la circostanza che l’illecito

sportivo di cui all’art. 6, I e II comma, del C.G.S. si configura come illecito di pericolo, o, meglio, a

consumazione anticipata, concretandosi nel compimento, con qualsiasi mezzo, di atti

funzionalmente preordinati ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare

un vantaggio che poi si rifletterà nella classifica.

Non rileva, quindi, al limite, che l’arbitraggio sia stato effettivamente parziale, ma piuttosto

l’idoneità degli atti compiuti a conseguire il risultato lesivo, ovvero la messa in pericolo del bene

protetto.

12. Quanto alla dedotta disparità di trattamento, a prescindere dalla genericità e, quindi,

dall’inammissibilità – della censura per omessa indicazione dei nominativi di coloro che sarebbero

stati destinatari di un diverso è più favorevole trattamento, è assorbente la considerazione che tale

figura sintomatica dell’eccesso di potere richiede che situazioni identiche siano disciplinate in modo

ingiustificatamente diverso, ed è evidente che tale giudizio di equivalenza risulta precluso

dall’accertamento di autonome fattispecie di responsabilità.

GIURISPRUDENZA 139

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13. La reiezione dei motivi dedotti con l’atto introduttivo del giudizio comporta la reiezione

dei motivi, pressoché identici, dedotti con il primo atto di motivi aggiunti.

14. Infine, per quanto attiene ai secondi motivi aggiunti dedotti per l’annullamento del lodo

arbitrale, essi sono da respingere nella parte in cui prospettano vizi di illegittimità derivati da quelli

già denunciati con l’atto introduttivo del giudizio e nella via dei primi motivi aggiunti. Ed invero, a

prescindere dal fatto che non risulta chiarito quali fra i vizi imputati agli atti già impugnati si

rifletterebbero anche sul lodo, in ragione del suo contenuto, è assorbente la considerazione che tutte

le censure contro di esso dedotte sono state motivatamente disattese.

Non assecondabile è anche l’altro motivo di doglianza, con il quale si imputa al Collegio

arbitrale un comportamento contraddittorio per aver dichiarato la sua incompetenza ad emettere il

loro arbitrale senza aver contestualmente annullato le pronunce disciplinari adottate a carico del sig.

Moggi.

Sembra al Collegio agevole opporre che illogica sarebbe la decisione collegiale (non

contestata peraltro nella parte afferente la dichiarata incompetenza) se la camera arbitrale, dopo aver

dichiarato la sua incompetenza a pronunciare nella materia de qua,si fosse sentita autorizzata ad

intervenire con effetti demolitori sulle decisioni inprecedenza assunte dai giudici sportivi.

15. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

Quanto alle spese di giudizio, può disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite

in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione III Ter, definitivamente

pronunciando sul ricorso proposto, come in epigrafe, dal sig. Luciano Moggi:

a) dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto dal Codacons e dall’Associazione

Utenti Servizi Turistici, Sportivi e Multiproprietà, Sezioni tifosi dell’Inter e della Roma;

b) respinge il ricorso principale.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 13 marzo 2008.

GIURISPRUDENZA 140

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Sentenza GdP Napoli..…

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Giudice di Pace di Napoli, 1^ sezione civile, nella persona del giudice dott. Renato Marzano, ha

pronunziato la seguente sentenza, riservata all’udienza del 13/03/2006, nella causa iscritta al

n°33571/05 R.G.,

tra()elettivamente domiciliato in Napoli alla via () presso lo studio degli avvocati() che lo

rappresentano e difendono come da mandato a margine dell’atto introduttivo

– attore –;

e

FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO,

in persona del Presidente dott. Franco Carraro, elettivamente domiciliata in Napoli alla via ()presso

lo studio dell’avv.() del Foro di Napoli, che la rappresentano e difendono unitamente all’avv. () del

Foro di Roma, come da procura speciale in calce alla copia notificata dell’atto di citazione;

- convenuta -;

nonché

(), elettivamente domiciliato in Napoli alla () presso lo studio degli avvocati () che lo rappresentano

e difendono come da mandato in calce all’atto di intervento volontario

– interventore - + altri 18;

Oggetto: Azione di risarcimento danni.

Conclusioni:

Per l’attore come da atto di citazione e comparsa conclusionale.

Per la convenuta Federazione Italiana Giuoco Calcio: come da comparsa di costituzione e

verbali di causa.

Per gli interventori come da comparsa di intervento e note conclusionali.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 23/11/2005, l’istante conveniva in giudizio la FIGC,

esponendo: quale cittadino Napoletano, è appassionato del gioco del calcio ed è tifosissimo della

squadra del Napoli.

GIURISPRUDENZA 141

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Sentenza GdP Napoli..…

Naturalmente è appassionato del gioco del calcio professionistico e assistere ad una partita è

uno spettacolo a pagamento sia allo stadio che in tv.

A tal proposito è noto come si sia diffusa anche in Italia, da una decina di anni, la televisione a

pagamento, la cd. pay tv, che consente di vedere in diretta, nel comodo salotto di casa, in compagnia

di familiari ed amici, lo spettacolo della singola partita di calcio che si desidera vedere: tale servizio

è erogato prevalentemente dalla tv satellitare Sky alla quale si sono aggiunte recentemente anche le

altre tv a pagamento Mediaset e SI (Sport Italia).

E’ chiaro, quindi, lo si ribadisce, che intanto questo spettacolo è appassionante in quanto alla

bellezza ed al fascino del gioco professionistico, si aggiunge la circostanza che vi partecipi la

propria squadra del cuore e che venga vissuto nel proprio habitat che è sicuramente lo Stadio della

propria città, che, per l’attore è il S. Paolo o, in alternativa, la televisione di casa. In Italia,

l’organismo che disciplina il gioco del calcio è la Federazione Italiana Gioco Calcio (F.I.G.C.),

unica federazione sportiva riconosciuta dal CONI., dalla UEFA e dalla FIFA per ogni aspetto

riguardante il gioco del calcio sia a livello nazionale che internazionale.

Lo Statuto della FIGC all’art. 1, n. 1 testualmente recita : “La Federazione Italiana Giuoco

Calcio (F.I.G.C.) è associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato avente lo

scopo di promuovere e disciplinare l’attività del giuoco del calcio e gli aspetti ad essa connessi”.

Tra le funzioni attribuite alla FIGC rientrano a norma dell’art. 3 dello Statuto, la cura delle

relazioni calcistiche internazionali, la disciplina sportiva e la gestione tecnico-organizzativa ed

economica delle squadre nazionali, le funzioni di garanzia, con particolare riferimento alla giustizia

sportiva, agli arbitri e ai controlli delle società sportive sulla base delle legislazione vigente, la

disciplina dell’affiliazione alla FIGC di società ed associazioni nonché la disciplina di tesseramento

delle persone, la determinazione dei criteri di promozione e retrocessione nei campionati, basati

esclusivamente sul titolo sportivo, e dei criteri di iscrizione ai campionati, basati anche sulla verifica

da parte di apposito organo tecnico (COVISOC e COAVISOC) dei requisiti economico-gestionali e

di equilibrio finanziario.

In relazione a tale ultimo aspetto, allo scopo di garantire il regolare svolgimento dei

Campionati, le società calcistiche professionistiche sono sottoposte, al controllo di verifica

dell’equilibrio finanziario, ai controlli e ai conseguenti provvedimenti stabiliti dalla FIGC e

quest’ultima può esercitare nei loro confronti i poteri di denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c. (art.

16 Statuto).

GIURISPRUDENZA 142

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Sentenza GdP Napoli..…

In particolare la parte che associa le società che partecipano ai Campionati di Serie A e B è la

Lega Nazionale Professionisti, mentre quella che associa le società che partecipano ai Campionati

di Serie C1 e C2 è la Lega Professionisti Serie C.

Ciascuna Lega stabilisce autonomamente la propria organizzazione, ovviamente nel rispetto

degli indirizzi del CONI e della FIGC.

Nel 1996 le società di calcio, da originarie associazioni non riconosciute, si sono evolute in

società di capitali assoggettate a tutti gli obblighi di legge, ivi compreso il versamento delle ritenute

alla fonte dei contratti con i calciatori, degli oneri previdenziali ed erariali in genere.

Esse ricevono contributi, dalla Lega di appartenenza, maggiori o minori a seconda della

disponibilità di cassa della stessa.

Inutile dire che tutte le società di calcio affiliate alla FIGC hanno come obiettivo quello di

militare nella massima serie, cioè la Serie A, militanza che consente di vincere il massimo trofeo

Nazionale che è lo Scudetto, e che nel caso di piazzamento fra le prime 5/6 fa maturare il diritto a

giocare le Coppe europee, cioè la Champions League e la Coppa Uefa, con grande visibilità

televisiva, ma è evidente che anche il “solo” giocare con le maggiori squadre nazionali (Milan,

Juventus, Inter, Fiorentina ecc.) garantisce una qualità eccelsa dello spettacolo del calcio al quale è

proporzionalmente e direttamente collegata l’emotività del vedere la propria squadra del cuore che

prende parte a tali competizioni.

L’attore, vivendo a Napoli da sempre, per godere di questo spettacolo e per ricevere, quindi,

l’erogazione di questo servizio, offerto fino al campionato 2003/2004 dalla S.S.C. Napoli che, per

esemplificare e per evitare equivoci, è la società nella quale ha militato per tanti anni il fuoriclasse

Diego Armando Maradona, che ha dominato la scena calcistica nazionale ed europea dal 1985 fino

al 1993/94 circa, oltre che tramite televisione, si reca allo stadio S. Paolo di Fuorigrotta di Napoli.

Facile, quindi, immaginare la eccelsa qualità dello spettacolo visto dall’attore per tanti anni in

tv ed allo stadio S. Paolo.

La FIGC, poi, in ordine ai criteri di ripescaggio, con il comunicato n. 224/A del 13 giugno

2005 li ha modificati, non prevedendo più il divieto dei due ripescaggi nei cinque anni, in vigore

fino a quel momento per tutte le società professionistiche, limitandolo ai ripescaggi per la disputa

dei Campionati di C1 e di C2, cioè dalla C2 per disputare la C1 e dalla Serie D per disputare la C2.

La COVISOC, con provvedimento del 9 luglio, individuò nel Messina e Torino in serie A e

nel Perugia e Salernitana in serie B le società non in regola; essa COVISOC, però, interpretò in

maniera elastica il disposto di cui al capo IV del comunicato 189/A dichiarando che esse potevano

GIURISPRUDENZA 143

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Sentenza GdP Napoli..…

proporre appello alla COAVISOC entro il 12 luglio allegando l’ulteriore documentazione

giustificativa rispetto alle deficienze da essa riscontrate.

Essa, di fatto, aveva prorogato i termini per la regolarizzazione da quello perentorio del 30

giugno a quello del 12 luglio entro il quale era possibile proporre appello alla COAVISOC.

Ed è accaduto ciò benché, come detto, il termine del 30 giugno fosse perentorio.

Termine la cui inosservanza l’anno prima costò alla SSC NAPOLI la non iscrizione al

Campionato di serie B ed il successivo fallimento civile.

La COAVISOC confermò integralmente la decisione della COVISOC.

Conseguenza delle varie esclusioni comminate dalla COVISOC e confermate dalla

COAVISOC, alle quali si aggiungeva la pena della retrocessione in C1 comminata al Genoa dalla

Disciplinare per illecito sportivo, sarebbe stata il ripescaggio a catena di 4 società tra le quali il

Napoli Soccer dalla serie C1 per riempire il vuoto creatosi, perché il Messina, per effetto della

giovane costituzione non poteva accedere al Lodo Petrucci e doveva ricominciare dai dilettanti.

Le società che sarebbero state così ripescate dalla serie C1 erano Catanzaro, Pescara, Vicenza

ed in quarta posizione il Napoli Soccer.

Va aggiunto che COVISOC e COAVISOC avevano dichiarato in regola le varie società tra le

quali il Pescara ed il Vicenza, fatta salva la veridicità delle affermazioni di autocertificazione di

assenza di debiti previdenziali, tra i quali ovviamente rientra, per accezione pacifica, quello dei

contributi INAIL, ormai obbligatori per gli sportivi professionisti dal 2000, ex d.lgs. 38/2000. Il

TAR rigettò tutti i ricorsi, eccetto quello della società del Messina calcio che fu riammessa alla serie

A determinando il mancato ripescaggio del Napoli Soccer.

L’attore abbonato al Napoli Soccer e assiduo telespettatore dei programmi sportivi nell’attuale

campionato ha assistito a tutte le partite (Napoli-Massese, Napoli-Sassari Torres, Napoli-Juve

Stabia, Napoli-Manfredonia) nelle quali lo spettacolo è stato estremamente scadente, quasi patetico.

Infatti, non soltanto la gran parte delle squadre che militano nella serie C quasi mai è in grado

di offrire agli spettatori uno spettacolo entusiasmante, ma certamente, come gli stadi piccoli e

pericolosi per un pubblico come quello napoletano, anche gli arbitri non sono di livello adeguato

per cui troppo spesso si verificano errori di arbitraggio che ovviamente contribuiscono a peggiorare

la qualità delle partite, e dunque dello spettacolo, oltre che penalizzare le squadre.

L’attore non solo quale tifoso ma anche quale cittadino napoletano per aver dovuto udire (o

leggere) le a dir poco inopportune dichiarazioni del Presidente della Lega di Serie C, rag. Macalli, il

quale, anziché impegnarsi a prendere provvedimenti per assicurare arbitraggi più corretti per le

GIURISPRUDENZA 144

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Sentenza GdP Napoli..…

partite della Lega che presiede, ha infierito sulla Napoli Soccer e sul suo Presidente dr. Aurelio De

Laurentiis, dicendo che il Napoli avrebbe dovuto comunque vincere contro la squadra del Sassari

Torres, “mediocre” e ove necessario avrebbe dovuto anche “segnare tre goals regolari per averne

almeno 1 convalidato”.

E che il Presidente De Laurentiis dovrebbe prendere a calci i suoi giocatori, rei di non

impegnarsi abbastanza per segnare i citati tre goals.

L’attore, infatti, quando vede la propria squadra in tv o quando si è recato e si recherà ancora

per tutto il campionato in corso allo stadio S. Paolo, non ha goduto e non godrà dello spettacolo di

cui avrebbe goduto se il Napoli fosse stato ripescato in Serie B come era giusto che fosse, subendo

tutti i disagi e pericoli consequenziali alla serie C, come nel caso degli stadi, e, quindi, ritiene che il

motivo della scadente qualità del servizio erogatogli sia conseguenza della militanza del Napoli

Soccer alla serie C1, che a sua volta determina l’ulteriore conseguenza di demotivarne i contenuti

atteso che egli è consapevole che per poter godere del fantastico ed emozionante spettacolo del

Napoli in serie A, dovrà aspettare almeno altri due anni.

Viceversa, se il Napoli Soccer fosse stato ripescato in serie B senza, cioè, che venissero

commessi dalla FIGC gli illeciti o inspiegabili condotte su descritti, lì, allo Stadio S. Paolo di

Napoli, l’attore avrebbe potuto fruire del servizio di migliore qualità con l’emozione di concorrere

per la promozione in serie A.

Concludeva: ai sensi dell’art. 320 1° e 2° comma c.p.c. inviti la convenuta FIGC a formulare

la sua offerta, premesso che la domanda viene contenuta nei limiti di €. 1.032,00 secondo equità; se

infruttuoso il tentativo di conciliazione, accertata e declarata la responsabilità della FIGC per i

motivi di cui in premessa, la condanni al risarcimento di tutti i danni subiti dall’attore, ivi compresi

quelli per il costo sostenuto per l’acquisto di un servizio scadente; condanni, altresì, la FIGC al

pagamento delle spese, dei diritti ed onorari del giudizio con attribuzione ai sottoscritti procuratori

anticipatari.

All’udienza del 20/01/2006 si costituiva la convenuta Federazione Italiana Giuoco Calcio., la

quale a mezzo del proprio difensore, eccepiva il difetto di giurisdizione del Giudice adito, il

mancato assolvimento della pregiudiziale amministrativa, l’incompetenza territoriale del giudice, il

difetto di legittimazione ad agire e resistere, nel merito contestava la domanda, chiedeva accogliersi

le seguenti conclusioni: in via principale ed in rito dichiarare il proprio difetto di giurisdizione;

sempre in rito, in via subordinata e salvo gravame, dichiarare la propria incompetenza territoriale in

favore del Foro di Roma; in via ulteriormente subordinata e salvo gravame, nel merito, rigettare

GIURISPRUDENZA 145

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ogni domanda avversaria perché infondata in fatto e diritto; in ogni caso con vittoria di spese,

competenze ed onorari del giudizio.

All’udienza del 17/02/2006 e 13/03/2006 si costituivano gli interventori che, per la medesima

ragione dell’attore, spiegavano domande autonome nei confronti della Federazione Italiana Giuoco

Calcio.

Acquisita la documentazione, ammessa ed espletata la comparizione personale delle parti e la

prova testi, la causa all’udienza del 13/03/2006 era riservata per la decisione.

Motivi della decisione

In via del tutto preliminare appare opportuno procedere all’esame delle eccezioni di difetto di

giurisdizione e di competenza territoriale sollevate dalla convenuta FIGC, nonché il proprio difetto

di legittimazione ad agire e resistere in giudizio.

Relativamente alla eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla convenuta F.I.G.C., si

rileva che essa è infondata.

Invero, nel caso di specie la normativa invocata dalla convenuta – art. 3 L.280/03 – coinvolge

unicamente tesserati e società affiliate, mentre l’attore è un semplice tifoso, non tesserato, ed è terzo

rispetto a detta normativa, e nel presente giudizio egli richiede il risarcimento dei danni patrimoniali

e non patrimoniali derivanti dalla sua qualità di spettatore delle partite di calcio disputate dalla

Napoli Soccer e causati dall’illecito comportamento della Federazione Italiana Giuoco Calcio.

Giova sul punto osservare che in base ai criteri di riparto di giurisdizione stabiliti dall'art. 3

del decreto legge 19 agosto 2003 n. 220, convertito nella legge 17 ottobre 2003 n. 280, contenente

disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, mentre spettano alla giurisdizione esclusiva del

giudice amministrativo (una volta esaurito il rispetto di eventuali clausole compromissorie) le

controversie che hanno per oggetto l'impugnativa di atti del C.O.N.I. o delle Federazioni sportive

nazionali, che si configurano come decisioni amministrative aventi rilevanza per l'ordinamento

statale, sono invece devolute alla giurisdizione del giudice ordinario (sempre previo il rispetto delle

clausole compromissorie) le controversie concernenti i rapporti patrimoniali fra società,

associazioni ed atleti aderenti alle singole Federazioni (Cass. civ., Sez. Unite, 23/03/2004, n.5775).

Quanto all’incompetenza territoriale dell’adito Ufficio del Giudice di Pace in favore del

Giudice di Pace di Roma, va anch’essa disattesa.

Non vi è dubbio che l’attore abbia dichiarato di aver assistito alle partire della Napoli Soccer

allo stadio S. Paolo e di aver seguito quelle esterne attraverso l’emittente SKY, pertanto il luogo

dell’illecito commesso è senz’altro Napoli, laddove è sorta la pedissequa obbligazione risarcitoria.

GIURISPRUDENZA 146

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Sentenza GdP Napoli..…

Passando alla legittimazione attiva e passiva delle parti in causa, essa non appare in

discussione in quanto l’attore si duole del comportamento tenuto dalla Federazione Giuoco Calcio

in ordine all’emanazione di provvedimenti di ripescaggio di squadre retrocesse attraverso i quali

sarebbero state favorite squadre che già aveva usufruito di detta agevolazione (vedi Pescara calcio),

oppure abbia consentito la deroga dei termini perentori per la regolarizzazione delle posizioni di

squadre in evidente difficoltà con il versamento dei contributi previdenziali in favore dei propri

tesserati (vedi Messina Calcio), oppure non abbia non abbia controllato l’esatto e puntuale

versamento dei contributi INAIL a carico di varie squadre di calcio.

Pertanto, l’attore è senza dubbio legittimato a stare in giudizio, così come la Federazione

Italiana Giuoco Calcio è legittimata passivamente, quale ente responsabile, per statuto,

dell’organizzazione dei campionati di calcio, delle promozioni, delle retrocessioni e dei ripescaggi

delle squadre, di controllo delle posizioni amministrative, contributive e tributarie delle stesse.

Orbene, disattese le eccezioni preliminari sollevate dalla convenuta FIGC, è necessario procedere

all’esame del merito della causa, e verificare se le doglianze dell’attore trovano fondamento in un

comportamento colposo della convenuta rilevante ai fini del “nemimen laedere” ex art. 2043 c.c..

Agli atti è stata prodotta la delibera del Consiglio Federale della FIGC del 13/06/2005 con la

quale veniva approvato un criterio, solo apparentemente omogeneo di ripescaggio, che si basava

sulla priorità accordata alle squadre retrocesse nell’ultimo campionato nei confronti delle prime fra

le non promosse, solo per i campionato di serie C, e non per quelli di A e di B, sanciva il divieto di

ripescaggio per le società che si erano già avvalse di tale beneficio negli ultimi cinque anni.

Il detto deliberato appare del tutto irragionevole, illogico ed arbitrario, introducendo una

evidente disparità di trattamenti tra squadre militanti nella serie C, con quelle militanti nelle serie A

e B.

In effetti la reiterazione del ripescaggio per il campionato di serie A/B comporta la

duplicazione di un beneficio del tutto svincolato dal merito sportivo, ed in contrasto con i principi

cui si ispira l’ordinamento sportivo, risultando, peraltro, oltremodo irragionevole che la posizione

della società già ripescata debba prevalere nei confronti di chi non si è mai avvalso del beneficio.

Nella sostanza, detto provvedimento della FIGC ha consentito il ripescaggio nel campionato

di serie B 2005/06 del Pescara, che già aveva subito del beneficio proprio in occasione del

fallimento della S.S.C. Napoli, nel precedente campionato, e quindi infra i cinque anni.

GIURISPRUDENZA 147

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Sentenza GdP Napoli..…

Inoltre, in base alle regole stabilite dalla FGIC, ai fini dell’iscrizione ai campionati di calcio

professionistici, costituiva requisito necessario che le società fossero in regola con gli obblighi

contributivi ed assicurativi alla data del 31/03/2005, la sussistenza di tale requisito era dimostrabile

attraverso un’autocertificazione da rendere entro la data del 30/06/2005.

In forza di dette autocertificazioni con deliberazione del 15/07/2005 venivano ammesse al

campionato professionisti serie B il Vicenza ed il Pescara. Avverso la deliberazione proponeva

ricorso, prima in sede di conciliazione e poi in sede amministrativa, la Napoli Soccer, ed all’esito,

quantunque non favorevole alla società, si evidenziava che le società Vicenza e Pescara alla data del

30/06/2005, ovvero al 31/03/2005, non erano in regola con il pagamento dei contributi INAIL,

dimostrando con assoluta certezza che le autocertificazioni rappresentavano una situazione di

regolarità contributiva inesistente alla data della loro sottoscrizione e che le società avevano reso

delle dichiarazioni non veritiere.

Pertanto, emerge con estrema evidenza l’illegittimità del provvedimento della FIGC del

16/08/2005 con il quale è stata confermata l’iscrizione al campionato di serie B, attribuendo alle

stesse il beneficio del ripescaggio.

Peraltro, tale iscrizione è stata resa possibile dalla mancata applicazione da parte della FIGC

del disposto degli artt. 1-7 e 13 del codice di giustizia sportiva, secondo i quali coloro che sono

tenuti all’osservanza delle norme federali devono comportarsi secondo principi di lealtà, correttezza

e probità in ogni rapporto riferibile all’attività sportiva, ed è ritenuto illecito disciplinare fornire

dichiarazioni mendaci o reticenti con conseguente obbligo di punire tali comportamenti indicando

tra le varie sanzioni quella dell’esclusione dal campionato di competenza con assegnazione ad uno

dei campionati di categoria inferiore.

Appare sconcertante la decisone di non tener conto di tali circostanze in sede di

individuazione delle squadre da ammettere al campionato di serie B, decisione che ha privilegiato

società che hanno utilizzato false dichiarazioni in danno di chi si era comportato secondo le previste

regole.

Nella fattispecie le squadre di Vicenza e Pescara non solo non sono state sanzionate, ma

addirittura, retrocesse sul campo in serie C1, sono state premiate con il ripescaggio nella serie B.

Conseguenza di detti comportamenti omissivi ed illeciti è che la Napoli Soccer è stato iscritto

al campionato di serie C1, e l’attore costretto ad assistere ad uno spettacolo calcistico indecoroso

per la società e per la città.

GIURISPRUDENZA 148

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Sul punto, ed anche all’esito delle dichiarazioni rese dal teste escusso sig. Carlo Alvino, è

bene osservare che non sussiste alcun dubbio sulla specifica circostanza che il gioco praticato nella

serie C1 è sicuramente di basso livello tecnico-tattico, laddove i calciatori tendono unicamente a

“picchiare” gli avversari e molto spesso gli arbitri non ammoniscono nel timore di subire

aggressioni, in particolare negli stadi, se così si possono definire, dei piccoli centri. Inoltre, dal

momento che le partite della Napoli Soccer vengono trasmesse in esclusiva dall’emittente satellitare

SKY, è facile vedere partite in cui i calciatori avversari peccano di protagonismo, accentuando

l’agonismo a discapito del vero spettacolo del calcio, spezzando le trame di gioco con falli inutili,

pericolosi e dannosi.

Altra visione si può godere già nella serie B, laddove gli allenatori sono più portati a far

rispettare dai propri giocatori alcune fondamentali tattiche di gioco, assegnando ad ognuno di essi

compiti specifici per il buon fine del risultato.

Notoriamente esperti di calcio definiscono i campionati di serie C un “inferno”.

Il comportamento della Federazione Italiana Giuoco Calcio nella fattispecie è senz’altro

censurabile e lesivo dei diritti e degli interessi dell’attore.

Quanto alla richiesta di risarcimento del danno è opportuno inquadrarlo e qualificarlo quale

danno di tipo esistenziale.

Sul punto, giova rilevare che il danno esistenziale è quella figura di danno creata dalla

Giurisprudenza e dalla Dottrina per la sentita esigenza, di colmare, nel sistema risarcitorio del

danno alla persona, tutelata espressamente dall’art. 2 della Carta Costituzionale, il vuoto lasciato tra

le due figure del danno morale e del danno biologico.

A differenza del danno morale, che è risarcibile solo in presenza di una fattispecie di reato, e

viene commisurato al dolore che il danneggiato ha intimamente patito; ed a differenza del danno

biologico che consiste nella lesione psicofisica del soggetto, accertabile con criterio medico-legale,

il danno esistenziale può essere definito come la lesione della personalità del soggetto nel suo modo

di essere sia personale che sociale che si sostanzia nella alterazione apprezzabile della qualità della

vita consistente in “agire altrimenti” o in un “non poter più fare come prima”.

La figura del danno esistenziale perciò assicura la tutela risarcitoria a fronte di quei

comportamenti illeciti che non integrano un fatto di reato e non hanno cagionato al danneggiato una

lesione alla integrità psico-fisica, accertabile con criterio medico-legale, ma non di meno hanno

menomato o fortemente compresso la estrinsecazione della sua personalità nei rapporti con il

GIURISPRUDENZA 149

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prossimo, con l’ambiente o rispetto alle attività della vita, in modo da ledere i diritti

costituzionalmente tutelati dall’art. 2 della Costituzione.

La creazione giurisprudenziale del danno esistenziale pone il problema di delimitarne i

confini, al fine di evitare che le enormi potenzialità estensive di questa figura vengano utilizzate non

più, o non solo, per assicurare la tutela risarcitoria a situazioni di diritto soggettivo leso, non

altrimenti tutelabili, ma per estendere la risarcibilità del danno a vantaggio di chi, più o meno

scaltramente, decida di dare sfogo alla propria intolleranza.

Questa valutazione, rimessa al Giudice del singolo caso, è tanto più necessaria dove si ponga

mente al fatto che, nella nostra società caratterizzata da una qualità della vita in continuo

miglioramento, da rapporti sociali ed opportunità non solo lavorative, ma soprattutto ricreative

sempre più intense ed alla portata di tutti, la nuova figura di danno esistenziale può rappresentare al

tempo stesso la grande opportunità di tutela delle più svariate situazione di diritto soggettivo leso,

ma non di meno una pericolosa apertura verso forme di abuso del diritto, di istigazione alla

intolleranza ed alla litigiosità, fomentate dalla speranza di poter trarre vantaggio da ogni

scorrettezza o errore altrui.

Pur nel condiviso sforzo di garantire il valore uomo, in ogni sua apprezzabile estrinsecazione,

l’interprete del diritto, per fuggire alla tentazione di trasformare in situazioni di diritto soggettivo

leso, anche quelle piccole o temporanee privazioni che sono ineliminabili nella convivenza sociale,

deve rimanere aderente al dettato Costituzionale ed accertare in modo rigoroso, nel singolo caso,

quando il comportamento illecito del terzo ha davvero menomato o compresso in modo

apprezzabile i diritti inviolabili della persona, o quando di contro la scorrettezza altrui ha arrecato al

danneggiato una privazione che non è giunta a pregiudicare i valori tutelati dall’art. 2 della Carta

Costituzionale.

Passando all’esame del caso di specie, si osserva:

a) L’attore è appassionato del giuoco del calcio, conoscitore delle regole e tifoso della Napoli

Soccer, oggi, e della SSC Napoli, prima.

Egli assiste, ed assisteva, alle partite del Napoli giocate allo stadio S. Paolo per essere titolare

di regolare abbonamento nominativo.

Inoltre, per le partite disputate fuori casa egli le vede, e le vedeva, sull’emittente privata ed a

pagamento SKY.

b) Quale conoscitore ed appassionato di calcio, l’attore può ben riconoscere la tattica applicata

in campo da una squadra ed apprezzarne il gioco.

GIURISPRUDENZA 150

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c) All’esito dell’istruttoria svolta e dalle dichiarazioni rese dai testi escussi, non vi è ombra di

dubbio sulla specifica circostanza che nella serie C si pratica un calcio fondato unicamente

sull’agonismo, privo di tattica e svolto da calciatori di livello tecnico basso.

Peraltro, spesso le gare di calcio della serie C sono infarcite di errori della terna arbitrale,

frutto di errori di inesperienza e di scarsa preparazione degli arbitri.

Difatti, come noto, la serie C è la fucina dei futuri arbitri per le serie superiori, laddove ne

arrivano solo in pochi.

L’attore, pertanto, la domenica è costretto ad assistere a gare di calcio della Napoli Soccer di

pessimo spessore tecnico tattico, e sebbene la propria squadra vinca e sia in testa alla classifica, egli

comunque soffre per la militanza della predetta nella serie definita da molti un “inferno”, laddove

avrebbe potuto godere di uno spettacolo più adeguato, sia al blasone della squadra che della città, se

solo la Napoli Soccer, come suo diritto, fosse stato ammessa al campionato di serie B, ed avesse

lottato, come auspicabile in forza della nuova composizione della società, per la promozione in serie

A.

Pertanto, l’attore ha subito dei danni di tipo esistenziale, ed in accoglimento della domanda,

così come formulata, consegue il risarcimento del danno esistenziale, nella misura equitativa di €

1.000,00.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza della convenuta Federazione Italiana Giuoco

Calcio, e si liquidano in dispositivo.

Quanto alle posizioni degli interventori è opportuno, preliminarmente, dichiarare la

procedibilità delle loro rispettive domande ai sensi dell’art. 105 c.p.c..

In ordine alla posizione di ognuno di essi si rileva che o sono abbonati alla Napoli Soccer, o

alla pay – TV SKY, ed anche per costoro sussistono, per i motivi già esposti innanzi per l’attore

principale, gli estremi per la condanna della convenuta ad un risarcimento danni di tipo esistenziale

nella misura di € 800,00 per ognuno di essi e conseguente condanna alle spese del giudizio che si

liquidano come da dispositivo.

GIURISPRUDENZA 151

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Sentenza GdP Napoli..…

P.Q.M.

Il Giudice di Pace di Napoli, definitivamente pronunziando nella causa promossa come in

narrativa, così provvede:

Accoglie la domanda cosi come proposta e per l’effetto condanna, la Federazione Italiana

Giuoco Calcio, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al risarcimento del danno in

favore del sig. Taranto Giuseppe che liquida in via equitativa, in complessivi €.1.000,00=, oltre

interessi dalla pubblicazione della sentenza;

Condanna la Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del suo legale rappresentante pro

tempore, al pagamento in favore del sig.() delle competenze del presente giudizio che si liquidano

in € 80,00 per spese vive, € 400,00 per diritti ed € 600,00 per onorario, oltre IVA, CPA e rimborso

spese forfettario, con attribuzione ai difensori.

Accoglie le domande degli interventori (), e per l’effetto condanna, la Federazione Italiana

Giuoco Calcio, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al risarcimento del danno in

favore dei signori (), che liquida in via equitativa, in complessivi €. 800,00=, per ognuno di essi,

oltre interessi dalla pubblicazione della sentenza;

Condanna la Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del suo legale rappresentante pro

tempore, al pagamento in favore dei signori (), delle competenze del presente giudizio che si

liquidano, per ognuno di essi, in € 40,00 per spese vive, € 200,00 per diritti ed € 300,00 per

onorario, oltre IVA, CPA e rimborso spese forfettario, con attribuzione al difensore.

Napoli, 25.03.2006

Risarcimento danni - Il comportamento della Federazione Italiana Giuoco Calcio nella

causazione della penalizzazione del Napoli è senz’altro censurabile e lesivo dei diritti e degli

interessi dell’attore ed è opportuno inquadrarlo e qualificarlo quale danno di tipo esistenziale.

Sul punto, giova rilevare che il danno esistenziale è quella figura di danno creata dalla

Giurisprudenza e dalla Dottrina per la sentita esigenza di colmare, nel sistema risarcitorio del

danno alla persona, tutelata espressamente dall’art. 2 della Carta Costituzionale, il vuoto lasciato

tra le due figure del danno morale e del danno biologico (D.Z.)

GIURISPRUDENZA 152

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FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO 00198 ROMA – VIA GREGORIO ALLEGRI, 14 CASELLA POSTALE 2450

COMUNICATO UFFICIALE N 34/CDN (2007/2008)

La Commissione disciplinare nazionale, costituita dal prof. Claudio Franchini, Presidente,

dall’avv. Emilio Battaglia, dall’avv. Antonio Valori, Componenti, e con l’assistenza alla Segreteria

del sig. Nicola Terra, si è riunita il giorno 29 febbraio 2008 e ha assunto la seguente decisione:

(166) - DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE A CARICO DI:

MASSIMO CELLINO (Presidente del consiglio di amministrazione Cagliari Calcio SpA)

PER VIOLAZIONE ART. 27 COMMA 2 DELLO STATUTO DELLA FIGC (OGGI ART. 30)

NONCHE’ ART. 1 COMMA 1 CGS E DELLA SOCIETA’ CAGLIARI CALCIO SpA PER

VIOLAZIONE ART. 2 COMMA 4 CGS (OGGI ART. 4 COMMA 1) (nota n. 2218/397pf06-07/SP/en

del 21.1.2008)

Il procedimento

Con provvedimento del 21 gennaio 2008, il Procuratore Federale ha deferito a questa

Commissione Massimo Cellino, Presidente del Consiglio di Amministrazione della Soc. Cagliari

Calcio S.p.A., per rispondere della violazione dell’art. 27 comma 2 (oggi art. 30), dello Statuto della

FIGC, per aver violato l’obbligo di accettare la piena efficacia dei provvedimenti degli Organi di

Giustizia sportiva e soggetti delegati della FIGC nonché della violazione di cui all’art. 1, comma 1,

del CGS, per avere contravvenuto ai principi di lealtà, correttezza e probità sportiva, nonché la

Società Cagliari Calcio S.p.A. per rispondere della violazione di cui all’art. 2, comma 4 del C.G.S.,

oggi trasfuso nell’art. 4, comma 1 del C.G.S. a titolo di responsabilità diretta per i comportamenti

ascritti al proprio Presidente.

Nell’atto di deferimento veniva evidenziato che la Soc. Cagliari Calcio S.p.A., in persona del

Signor Massimo Cellino, in qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione, e lo stesso

Massimo Cellino personalmente, nel corso del 2007 avrebbero presentato, dinanzi alla Procura della

Repubblica di Oristano, nei confronti del Signor Gianluca Grassadonia, all’epoca dei fatti

Calciatore tesserato nel campionato di serie C1, una querela per diffamazione a mezzo stampa

GIURISPRUDENZA 153

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Il caso Cagliari..…

aggravata ex art. 595, commi 2 e 3 cod. pen., quale autore delle dichiarazioni apparse su un articolo

lanciato il 7 febbraio 2007 dall’Agenzia di Stampa G.R.T., in difetto di preventiva autorizzazione

federale.

Nei termini assegnati nell’atto di contestazione degli addebiti, gli incolpati hanno fatto

pervenire una memoria difensiva nella quale si fa presente che la querela in questione ha

rappresentato un atto inevitabile, spontaneo, “che doveva necessariamente ad immediatamente

essere esperito” per ristabilire serenità nell’ambiente e nella tifoseria, turbati dalle dichiarazioni del

Grassadonia, e si deduce la supremazia, indipendenza ed estraneità della giurisdizione penale

rispetto al cd. vincolo di giustizia sportiva, sia nel merito che sotto il profilo processuale.

Invero, di fronte a tale interesse pubblico superiore non avrebbe senso la distinzione che si

trae nell’atto di deferimento, “dal momento che la perseguibilità d’ufficio o la querela di parte sono

solo due modi diversi, comunque finalizzati alla obbligatorietà della punizione del reato”.

A ciò si aggiunga l’erroneità dell’impostazione del deferimento improntata sulla

considerazione della fattispecie come “un mero contenzioso di tipo civilistico – privatistico, relativo

a diritti disponibili”, laddove la vicenda avrebbe “una connotazione eminentemente pubblicistica

superiore od estranea al diritto sportivo”.

Infine, si richiama l’attenzione su procedimenti giurisprudenziali relativi ai rapporti tra

giustizia sportiva e giustizia ordinaria.

Per questi motivi si chiede, previa declaratoria della mancanza dei presupposti di fatto e di

diritto e stante, comunque, l’infondatezza del deferimento, il proscioglimento dei deferiti.

Alla riunione odierna é comparso il rappresentante della Procura Federale, il quale ha chiesto

la dichiarazione di responsabilità degli incolpati e la loro condanna alla sanzione di un anno di

inibizione ed € 10.000,00 di ammenda per Massimo Cellino e di 3 punti di penalizzazione ed €

20.000,00 di ammenda per la Società Cagliari Calcio SpA.

Per i deferiti è comparso il difensore, il quale si è riportato al contenuto della memoria

difensiva e delle conclusioni in essa rassegnate.

GIURISPRUDENZA 154

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I motivi della decisione

Preliminarmente occorre escludere l’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 1 CGS

quale norma a carattere generale, in presenza di una norma speciale quale l’art. 27, comma 2, (oggi

30) dello Statuto della FIGC.

Nel merito la Commissione, esaminati gli atti, sentite le parti, ritiene provata la responsabilità

di Massimo Cellino e della società Cagliari Calcio SpA, il quale ha adito l’Autorità Giudiziaria

ordinaria (nel caso di specie quella penale) in assenza di autorizzazione da parte del Consiglio

Federale e, pertanto, in evidente violazione della clausola compromissoria.

Nessuna rilevanza può essere attribuita agli assunti difensivi richiamati in narrativa laddove si

consideri che: la clausola compromissoria non distingue tra diritti soggettivi e interessi legittimi o

pubblici, sottoponendo ad autorizzazione il ricorso a qualsiasi “giurisdizione statale”; la necessità di

premunirsi di autorizzazione non avrebbe leso in alcun modo i diritti dei soggetti offesi dalle

dichiarazioni del Grassadonia, in quanto essi avrebbero potuto inoltrare, nell’immediatezza dei fatti,

la richiesta di autorizzazione esplicitando eventualmente l’urgenza di una tempestiva risposta, stante

il termine di 3 mesi, oltre il quale la presentazione della querela è tardiva; negli atti d’indagine non

vi è traccia né dell’autorizzazione, né della sua richiesta; l’operatività della clausola

compromissoria non impedisce al tesserato l’esercizio dei propri diritti costituzionalmente garantiti,

ma comporta, in caso di sua violazione, esclusivamente la sottoposizione ad un procedimento

disciplinare; non vi è alcun contrasto tra l’autonomia dell’ordinamento sportivo e la giurisdizione

ordinaria, laddove spetta a quest’ultima accertare o meno la sussistenza dell’ipotesi di reato

denunciato, mentre spetta al primo la regolamentazione dei rapporti interni tra i propri tesserati.

Sennonché, nel caso di specie, i fatti oggetto delle querele sporte da Massimo Cellino e dalla società

Cagliari Calcio SpA poiché rientravano nell’ambito della competenza degli Organi di Giustizia

Sportiva trattandosi di presunti rapporti tra una parte della tifoseria e la società Cagliari Calcio

SpA, nonché le modalità di analisi dirette ad accertare l’uso di sostanze dopanti da parte di un

calciatore della società avrebbero dovuto indurre, da un lato, a sporgere denuncia agli organi

inquirenti designati dallo Statuto Federale della FIGC e, dall’altro, a richiedere l’autorizzazione a

presentare la querela alla competente Autorità Giudiziaria ordinaria. Poiché tale condotta integra la

violazione egli artt. 27, comma 2 e 4, dello Statuto Federale (oggi art. 30), deve affermarsi la

responsabilità di Massimo Cellino e della società Cagliari Calcio SpA.

GIURISPRUDENZA 155

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L’accertamento della responsabilità dei deferiti comporta l’applicazione delle sanzioni di cui

all’art. 11 bis CGS (oggi art. 15 del CGS) ossia, oltre all’irrogazione di un’ammenda, la

penalizzazione di almeno 3 punti in classifica per le Società; l’inibizione e la squalifica non

inferiore a mesi 6 per i calciatori e gli allenatori e non inferiore a un anno per tutte le altre persone

fisiche. Sanzioni eque appaiono quelle di cui al dispositivo.

Il dispositivo

Per tali motivi la Commissione delibera di infliggere a Massimo Cellino la sanzione della

inibizione di un anno e dell’ammenda di € 10.000,00 (diecimila/00) ed alla Società Cagliari Calcio

SpA la sanzione della penalizzazione di 3 punti in classifica da scontarsi nell’attuale stagione

calcistica e dell’ammenda di € 20.000,00 (ventimila/00) a titolo di responsabilità diretta.

GIURISPRUDENZA 156

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FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO 00198 ROMA – VIA GREGORIO ALLEGRI, 14 CASELLA POSTALE 2450

COMUNICATO UFFICIALE N 154/CGF (2007/2008)

RICORSO AI SENSI DELL’ ART. 37, COMMA 1, lett a), C.G.S. DELLA SOCIETA’ CAGLIARI

CALCIO 1920 AVVERSO LA SANZIONE DI TRE PUNTI DI PENALIZZAZIONE ED AMMENDA

DI EURO 20.000 E DEL DOTT. MASSIMO CELLINO AVVERSO L’INIBIZIONE DI ANNI UNO

ED AMMENDA DI EURO 10.000 INFLITTE DALLA COMMISSIONE DISCIPLINARE

NAZIONALE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera

C.D.N. C.U. n. 34/CDN del 29 febbraio 2008)

Fatto

Il Procuratore Federale, con atto del 21 gennaio 2008, deferiva alla Commissione

Disciplinare Nazionale il Dott. Massimo Cellino, Presidente del Consiglio di amministrazione della

Società Cagliari Calcio 1920, S.p.A., e la Società Cagliari Calcio 1920, S.p.A., per rispondere:

- il primo della violazione degli artt. 27, commi 2 e 4, dello Statuto della Federazione Italiana

Giuoco Calcio (oggi art. 30 del nuovo Statuto Federale), per non avere rispettato l’obbligo di

accettare la piena efficacia dei provvedimenti degli organi di giustizia sportiva e soggetti delegati

della F.I.G.C., e dell’art. 1 del Codice di Giustizia Sportiva per violazione dei doveri di lealtà,

correttezza e probità sportiva;

-la Società Cagliari Calcio 1920 S.p.A., a titolo di responsabilità diretta, ai sensi dell’art. 2,

comma 4, del Codice di Giustizia Sportiva (oggi art. 4, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva)

in relazione agli addebiti contestati al suo presidente e rappresentante legale. Il Procuratore

Federale rilevava che il Dott. Cellino aveva presentato querela per diffamazione a mezzo stampa nei

confronti di Gianluca Grassadonia, ex calciatore del Cagliari Calcio e all’epoca dei fatti in forza

alla società Salernitana, senza avere preventivamente esperito i mezzi di tutela previsti

dall’ordinamento sportivo e senza avere ottenuto la prescritta autorizzazione ad adire le vie legali.

Dagli atti risulta che il predetto calciatore aveva rilasciato dichiarazioni all’agenzia di stampa

“GRT”, pubblicate poi da vari quotidiani locali e nazionali, in relazione alla sua pregressa militanza

GIURISPRUDENZA 157

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Il caso Cagliari..…

nel Cagliari Calcio, adducendo di non avere la certezza ma di esprimere il proprio personale

convincimento che ci fosse un accordo tra la predetta società ed un certo tipo di tifoseria per

metterlo in condizioni di non tornare più a Cagliari, utilizzando minacce e violenze psicologiche.

Il Grassadonia, nelle stesse dichiarazioni, ha inoltre affermato che egli stesso ed altri

calciatori della Società Cagliari Calcio, nel periodo tra il 1998 e il 2003, avrebbero compiuto atti di

manipolazione dei prelievi antidoping per coprire un compagno di squadra che faceva uso di

sostanze vietate.

La Commissione Disciplinare Nazionale, con la decisione pubblicata nel Comunicato

Ufficiale n. 34/CDN, del 29 febbraio 2008, affermava la responsabilità del Dott. Cellino per

violazione dell’art. 27 dello Statuto, ritenendo assorbita in tale norma la violazione dell’art. 1 del

Codice di Giustizia Sportiva, e gli irrogava la sanzione della inibizione per un anno e l’ammenda di

Euro 10.000.

Alla Società Cagliari Calcio la Commissione Disciplinare Nazionale infliggeva, a titolo di

responsabilità diretta per il fatto ascritto al suo presidente, la sanzione della penalizzazione di 3

punti in classifica e l’ammenda di Euro 20.000. La decisione fonda su tre punti:

1) l’art. 27 dello Statuto Federale impone l’autorizzazione del Consiglio Federale per adire

“qualsiasi giurisdizione statale”, senza distinzione tra gli ordini giurisdizionali o per le posizioni

giuridiche soggettive a tutela delle quali l’azione viene promossa;

2) la necessità di munirsi dell’autorizzazione non avrebbe leso in alcun modo i diritti del Dott.

Cellino che “avrebbe potuto inoltrare, nell’immediatezza dei fatti, la richiesta di autorizzazione

esplicitando eventualmente l’urgenza di una tempestiva risposta, stante il termine di tre mesi, oltre il

quale la presentazione della querela è tardiva; negli atti d’indagine non vi è traccia né

dell’autorizzazione né della sua richiesta”;

3) poiché i fatti oggetto della querela rientrano nella competenza degli organi della giustizia

federale, in quanto attinenti ai rapporti tra la società Cagliari Calcio e una parte dei suoi sostenitori

e al comportamento di calciatori della predetta Società, il Dott. Cellino avrebbe dovuto, da un lato,

sporgere denuncia agli organi inquirenti della Federazione, dall’altro, chiedere l’autorizzazione al

Consiglio Federale a presentare la querela contro il Grassadonia.

Avverso la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale la Società Cagliari Calcio ha

presentato ricorso a questa Corte di Giustizia Federale deducendo i seguenti motivi:

1) insussistenza della violazione dell’art. 27 dello Statuto F.I.G.C.;

GIURISPRUDENZA 158

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Il caso Cagliari..…

2) mancanza, nella condotta del Dott. Cellino, dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. 27

dello Statuto F.I.G.C.;

3) stante la presenza nella vicenda di soggetti non tesserati e la unitarietà del processo per il

reato di diffamazione irrilevanza della querela proposta dal Dott. Cellino nei confronti del

Grassadonia;

4) errore scusabile nella interpretazione dell’art. 27 dello Statuto federale.

Il primo motivo di ricorso è articolato su più punti:

a) la clausola compromissoria non può dirsi violata, in quanto, sia per l’art. 27 dello Statuto

della Federazione Italiana Giuoco Calcio che per gli artt. 1 e 2 della legge statale n. 280 del 2003,

sono riservati agli organi della giustizia sportiva unicamente le controversie strettamente

riconducibili all’attività sportiva, nei suoi profili tecnici, amministrativi e disciplinari;

b) nella specie, non vi è un provvedimento della Federazione impugnato davanti agli organi

della giustizia statale e, quindi, non è stato commesso un fatto che rientri nell’ambito di operatività

dell’art. 27 citato, ma solo un’azione diretta, dal soggetto leso da dichiarazioni infamanti, alla tutela

della sua onorabilità;

c) nell’ordinamento sportivo non vi è un giudice che possa sanzionare il comportamento del

Grassadonia che, oltretutto, configura un reato e, quindi, un fatto rilevante per l’ordinamento

generale, anche ai fini di una eventuale azione risarcitoria.

Con il secondo motivo di ricorso, la Società ricorrente ha sostenuto che non sarebbe

configurabile dolo o colpa nella condotta del Dott. Cellino.

Questi non solo ha manifestato pubblicamente, immediatamente dopo la pubblicazione sui

giornali delle dichiarazioni del Grassadonia, la sua volontà di presentare querela nei confronti del

calciatore, ma ha anche tempestivamente informato di tale sua intenzione la stessa Federazione con

lettera indirizzata al Commissario Straordinario della F.I.G.C. e per conoscenza al Presidente della

Lega Nazionale Professionisti che porta la data del 9 febbraio 2007 (giorno successivo a quello

della pubblicazione sui quotidiani delle dichiarazioni del Grassadonia).

Con tale lettera, comunicata per fax lo stesso 9 febbraio 2007, il Dott. Cellino ha reso noto

agli organi federali in indirizzo di essere in procinto di sporgere querela contro il predetto calciatore

(“Invio la presente per comunicarle che in seguito alle gravissime dichiarazioni rese a mezzo

stampa dall’ex tesserato del Cagliari Gianluca Grassadonia mi accingo a sporgere nei suoi confronti

denuncia di natura penale”) e si è riservato di chiedere la prescritta autorizzazione qualora avesse

deciso di proporre azione per il risarcimento del danno (“Rappresento fin d’ora che nel caso in

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Il caso Cagliari..…

futuro dovesse rendersi necessario anche l’avvio d’azione di natura civile provvederò a richiedere

preventiva autorizzazione alla F.I.G.C.”).

Dal tenore di tale nota emergerebbe la buona fede del Dott. Cellino e la mancanza della

volontà di trasgredire la norma relativa al vincolo di giustizia.

Con il terzo motivo di ricorso, la Società Cagliari Calcio ha rilevato che, per la

configurazione unitaria del reato di diffamazione a mezzo stampa, tutti i soggetti coinvolti, anche

se non querelati, ne rispondono, ai sensi dell’art. 123 c.p. (“La querela si estende di diritto a tutti

coloro che hanno commesso il reato”).

La querela proposta contro i quotidiani, i direttori dei giornali, gli editori ecc., nei confronti,

cioè, di soggetti estranei all’ordinamento federale, si sarebbe comunque estesa anche al

Grassadonia. Ne conseguirebbe, secondo la Società ricorrente, che è del tutto irrilevante la

circostanza che il Dott. Cellino non abbia chiesto l’autorizzazione al Consiglio Federale per

sporgere querela nei confronti del predetto tesserato.

Questo ultimo punto ha formato oggetto di ulteriori argomentazioni nella memoria depositata

dalla Società Cagliari Calcio il 17 marzo 2008.

In tale memoria, è stata prospettata anche la natura meramente difensiva della querela

presentata dal Dott. Cellino nei confronti del Grassadonia, giacché la pubblicazione delle

dichiarazioni del calciatore avrebbero potuto avere per conseguenza, nella loro possibile

configurazione come notitia criminis, un’accusa di correità nei confronti dello stesso Dott. Cellino,

per avere adombrato una collusione tra questi e una parte della tifoseria per fatti passibili di essere

qualificati come reati comuni.

Come ultimo motivo di ricorso, la Società ricorrente ha invocato la scusabilità dell’errore in

cui sarebbe incorso il Dott. Cellino, stante le innegabili difficoltà interpretative dell’art. 27 (ora art.

30) dello Statuto Federale rilevate anche da questa Corte di Giustizia Federale che ne ha

riconosciuto la complessità ermeneutica nella recente decisione relativa al ricorso dell’A.C. Arezzo,

S.p.A., pubblicata nel Comunicato Ufficiale n. 56 dell’11 dicembre 2007.

In sede di discussione orale del ricorso, la Procura Federale ha eccepito la tardività dei motivi

dedotti dalla Società ricorrente con la memoria integrativa depositata il 17 marzo 2008 e, nel

merito, ha fatto proprie, argomentandone la portata e il contenuto, le motivazioni poste a

fondamento della decisione impugnata.

La Società ricorrente ha confermato le tesi difensive già formulate nel ricorso.

GIURISPRUDENZA 160

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Diritto

1. -In merito al primo motivo di ricorso (ambito e oggetto del c.d. vincolo di giustizia) si

osserva che l’art. 27 dello Statuto Federale vigente all’epoca dei fatti (la cui formulazione è stata

poi trasfusa nell’art. 30 dello Statuto Federale attualmente in vigore) dispone, al comma 2, che i

tesserati, le società affiliate e tutti i soggetti, organismi e loro componenti, che svolgono attività di

carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevanti per l’ordinamento

federale, “in ragione della loro appartenenza all’ordinamento settoriale sportivo o dei vincoli assunti

con la costituzione del rapporto associativo, accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi

provvedimento adottato dalla F.I.G.C., dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque

riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere

tecnico, disciplinare ed economico”.

Il comma 4 della norma in esame, nella parte che qui interessa, stabilisce poi che “il Consiglio

Federale, per gravi ragioni di opportunità, può autorizzare il ricorso alla giurisdizione statale in

deroga al vincolo di giustizia”. Aggiunge, infine, il comma 4 in discorso che: “ogni comportamento

contrastante con gli obblighi di cui al presente articolo, ovvero comunque rivolto ad eludere il

vincolo di giustizia comporta l’irrogazione delle sanzioni disciplinari stabilite dalle norme federali”.

L’art. 15 del Codice di Giustizia Sportiva concernente “violazione della clausola

compromissoria”, a sua volta, stabilisce le sanzioni per le violazioni dell’art. 30 dello Statuto

Federale.

Correttamente la decisione impugnata ha rilevato che la clausola compromissoria “non

impedisce al tesserato l’esercizio dei propri diritti costituzionalmente garantiti, ma comporta, in

caso di sua violazione, esclusivamente la sottoposizione ad un procedimento disciplinare”,

spettando all’ordinamento sportivo la regolamentazione dei rapporti interni tra gli affiliati

(l’affermazione è coerente con quanto statuito in proposito dalle Sezioni Unite di questa Corte nella

decisione di cui al citato Com. Uff. n. 56/CGF del 11 dicembre 2007).

Ed invero, l’ordinamento federale, costituito dall’insieme organico di regole, di carattere

tecnico, disciplinare ed economico che disciplina i rapporti tra gli affiliati alla Federazione, vincola

tutti i soggetti che ad esso hanno volontariamente aderito a risolvere le controversie che li

concernono “attinenti a materie riconducibili allo svolgimento dell’attività federale”, soltanto

nell’ambito di tale ordinamento, salvo casi “di grave opportunità”, e ha stabilito a tutela di tale

GIURISPRUDENZA 161

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Il caso Cagliari..…

regola, fondamentale per la sua autonomia, tutto un sistema di sanzioni disciplinari con validità ed

efficacia all’interno dello stesso ambito federale.

Nel suo contenuto l’art. 15 in esame stabilisce sanzioni sia a carico di chi non accetta, e

impugna davanti agli organi di giustizia statale, senza l’autorizzazione del Consiglio Federale, un

provvedimento (“un qualsiasi provvedimento”) già adottato da un organo federale nelle materie

riconducibili allo svolgimento dell’attività federale, sia a carico di chi, senza avere ottenuto

l’autorizzazione del Consiglio Federale, promuove davanti agli organi giurisdizionali statali “le

vertenze nelle materie riconducibili all’attività federale di carattere tecnico, disciplinare ed

economico”.

Si rivela incongruo, pertanto, in quanto non attinente al caso in esame il rilievo formulato

dalla Società ricorrente, con il primo profilo del motivo di ricorso in esame, secondo cui nella

specie l’art. 27 dello Statuto Federale non sarebbe stato violato in quanto non è stato impugnato

davanti ad organi della giustizia statale alcun provvedimento adottato dalla Federazione vertendosi

nell’altra ipotesi regolata dalla norma relativa all’azione portata davanti ad organi della giustizia

statale senza autorizzazione.

Deve solo aggiungersi che la materia è certamente attinente all’ordinamento sportivo

calcistico giacché le dichiarazioni del Grassadonia fanno riferimento a rapporti che sarebbero stati

indebitamente intrattenuti dal Dott. Cellino, come presidente del Cagliari Calcio, e i sostenitori di

detta Società e, inoltre, che i calciatori del Cagliari Calcio avrebbero volontariamente alterato i

prelievi antidoping per coprire un compagno di squadra che faceva uso di sostanze vietate.

2. -Ritenuto pertanto che la questione su cui si controverte debba ritenersi rientrante

nell’ambito del vincolo di giustizia, può prescindersi dagli ulteriori profili oggettivi di censura,

passando all’esame di quelli soggettivi.

Merita infatti accoglimento, ad avviso della Corte, il motivo di ricorso con il quale la Società

ricorrente ha dedotto che la condotta del Dott. Cellino è stata inficiata dall’erronea convinzione,

peraltro in buona fede, che per sporgere querela in ordine ad un fatto di rilievo penale non

occorresse l’autorizzazione del Consiglio Federale e che tale errore debba ritenersi scusabile.

Ed invero, l’esame del comportamento tenuto dal Dott. Cellino conduce a tale conclusione.

Il Dott. Cellino, come si è già accennato, ha reso noto pubblicamente, subito dopo la

pubblicazione sui quotidiani delle dichiarazioni lesive della sua reputazione, che avrebbe presentato

querela contro il Grassadonia.

GIURISPRUDENZA 162

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Il caso Cagliari..…

Nella lettera del 9 febbraio 2007, diretta al Commissario Straordinario della F.I.G.C., più

indietro testualmente riportata nei punti più rilevanti, il Dott. Cellino mostra chiaramente di ritenere

che per la querela (che indica come “denuncia penale”) non occorra l’autorizzazione del Consiglio

Federale, mentre tale autorizzazione ritiene necessaria, riservandosi quindi di chiederla, per

l’eventualità che avesse ritenuto di adire il giudice civile per un’azione di risarcimento dei danni.

Tale convincimento è stato poi indirettamente rafforzato dal comportamento della Federazione

che nel periodo di oltre venti giorni poi trascorso fino alla perfezione della querela non ha sollevato

obiezioni di sorta.

Né va dimenticato che nella decisione delle Sezioni Unite, più volte richiamata, è stata

evidenziata la incertezza che fino ad allora si era manifestata in ordine alla portata e ai limiti del

vincolo di giustizia.

Ne consegue, a giudizio della Corte, l’assenza dell’elemento soggettivo necessario per

configurare in concreto l’illecito previsto dal combinato disposto costituito dall’art. 30 dello Statuto

Federale e dell’art. 15 del Codice di Giustizia Sportiva.

Sussistono quindi validi motivi per concludere che non vi sono le condizioni per ritenere

meritevoli, delle sanzioni loro inflitte, la Società Cagliari Calcio e il suo presidente con

consequenziale annullamento della impugnata delibera dalla Commissione Disciplinare Nazionale,

assorbite le ulteriori deduzioni formulate nel ricorso.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Federale accoglie il ricorso e per l’effetto annulla le sanzioni inflitte.

Ordina la restituzione della tassa.

GIURISPRUDENZA 163

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C.U n.46 e 53 del 13/03/08 e 17/04/08..…

Giudice Sportivo Comitato Regionale Puglia Comunicato Ufficiale

numero 46 del 13 marzo 2008

Nel corso della gara tifosi del Manduria lanciavano all'indirizzo di un assistente dell'arbitro

sputi (2°Recidiva), due lattine di coca cola, due pietre ed un bastone per tamburo senza

conseguenze(2°Recidiva).A fine gara alcuni soggetti estranei nei pressi degli spogliatoi

accendevano un piccolo tafferuglio tra i componenti di entrambe le squadre senza particolari

conseguenze. Inoltre il pullmann della società Tricase ed il veicolo che ospitava gli assistenti

lasciavano il campo scortati dalle forze dell'ordine. Inoltre, grazie alla fattiva collaborazione dei

dirigenti del Manduria, il direttore di gara veniva fatto uscire a bordo della sua auto dall'uscita

secondaria e si avviava senza problemi verso casa. Uscito dalla superstrada che collega Manduria

con S.Pancrazio Salentino ad un incrocio l'arbitro notava due auto ferme a bordo strada ed otto

persone sconosciute fuori dagli abitacoli, alcune delle quali portavano una sciarpa del Manduria al

collo.

Alla vista dell'autovettura del direttore di gara gli sconosciuti entravano nelle loro auto ed

incominciavano ad inseguire l'arbitro per le vie del paese. Tale inseguimento durava circa

dieci minuti fino a quando, giunti in una strada poco trafficata, una delle due macchine lo

sorpassava e gli tagliava la strada mentre l'altro veicolo si fermava dietro il mezzo dell'arbitro

impedendogli qualunque manovra. A questo punto gli occupanti della macchina che era davanti al

direttore di gara scendevano dalla stessa e si dirigevano verso l'arbitro proferendo al suo indirizzo

frasi minacciose ed ingiuriose. In tale frangente l'interessato intravedeva lateralmente un tratturo di

campagna e prontamente lo percorreva per un tratto riuscendo ad aggirare l'auto davanti a se ed a

riprendere la strada. I due mezzi con a bordo i tifosi riprendevano l'inseguimento per circa

cinquecento metri fino a quando l'arbitro intravedeva all'interno di una stazione di servizio i

carabinieri e chiedeva loro soccorso. Solo a questo punto gli inseguitori fuggivano ed il direttore di

gara veniva scortato fino a Lecce dai carabinieri.

Nelle vicende da ultimo descritte il Giudice Sportivo ravvisa gli estremi della responsabilità

oggettiva della società per fatti violenti attribuibili a propri sostenitori prevista dall'art.14 del C.G.S.

GIURISPRUDENZA 164

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C.U n.46 e 53 del 13/03/08 e 17/04/08..…

Tanto premesso

D E L I B E R A

1) di comminare alla società U.G. MANDURIA SPORT la sanzione sportiva della disputa di

gare A PORTE CHIUSE ED IN CAMPO NEUTRO con effetto immediato fino al 30 Giugno 2008;

2) di comminare alla società U.G.MANDURIA SPORT l'ammenda di euro 1.500,00.

GIURISPRUDENZA 165

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C.U n.46 e 53 del 13/03/08 e 17/04/08..…

Commissione Disciplinare Territoriale Comitato Regionale Puglia

Comunicato Ufficiale numero 53 del 17 aprile 2008

Gara : U.G. MANDURIA SPORT - A.S.D. ATLETICO TRICASE del 9 marzo 2008.

(Reclamo della U.G. MANDURIA SPORT in opposizione ai provvedimenti disciplinari adottati dal

Giudice Sportivo a carico della società per la disputa delle gare a porte chiuse in campo neutro fino

al 30.6.2008 e ammenda di € 1.500,00 di cui alla delibera riportata sul Comunicato Ufficiale n. 46

del 13 marzo 2008 del Comitato Regionale Puglia)

Esaminati gli atti ufficiali;

letto il reclamo a margine citato;

udito il rappresentante della ricorrente;

sentito l’arbitro che ha reso supplemento di rapporto;

esperite indagini dalle quali è risultato che con minuziosa predeterminazione alcuni sostenitori

della società U.G. MANDURIA SPORT hanno atteso l’arbitro a notevole distanza dal campo

sportivo per aggredirlo e per sfuggire al controllo dei carabinieri che lo scortavano insieme alla

squadra ospitata;

ritenuto che la società U.G. MANDURIA SPORT deve ritenersi responsabile oggettivamente

del comportamento dei propri sostenitori ancorché i fatti occorsi siano avvenuti a distanza del

campo di gioco, ma nelle stesse circostanze di tempo immediatamente successive alla disputa della

gara;

considerato tuttavia che va dato atto del fattivo comportamento dei dirigenti della società U.G.

MANDURIA SPORT a cui va il plauso per aver ovviato a incidenti ben più gravi di quelli che

avrebberopotuto verificarsi se l’aggressione, solo tentata, dei tifosi della società U.G. MANDURIA

SPORT si fosse realizzata;

tutto ciò premesso, utile e equa appare la revoca dei provvedimenti della sanzione

pecuniariadell’ammenda di € 1.500,00 e dell’espletamento del gioco in campo neutro inflitti dal

primo giudice;

GIURISPRUDENZA 166

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C.U n.46 e 53 del 13/03/08 e 17/04/08..…

P.Q.M.

D E L I B E R A

revocarsi la sanzione dell’ammenda di € 1.500,00; confermarsi la sanzione della disputa delle

gare a porte chiuse fino al 30.6.2008 e revocarsi la sanzione della disputa delle stesse in campo

neutro; non addebitarsi la tassa stante il parziale accoglimento del ricorso.

GIURISPRUDENZA 167