Giuseppe Verdi Messa da Requiem · Verdi non abbandona mai il terreno della tradizione italiana,...

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Giuseppe Verdi

Messa da Requiem

S T A G I O N E 2 0 1 4 - 2 0 1 5

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Gianandrea Noseda direttoreHui He sopranoDaniela Barcellona mezzosopranoJorge de León tenoreMichele Pertusi bassoClaudio Fenoglio maestro del coroOrchestra e Coro del Teatro Regio

Giuseppe Verdi (1813-1901)

Messa da Requiem per soli, coro e orchestra

I. Requiem [Introitus] «Requiem æternam» (coro) «Kyrie» (soli e coro)

II. Dies iræ [Sequentia] «Dies iræ» (coro) «Tuba mirum» (coro, basso) «Liber scriptus» (mezzosoprano e coro) «Dies iræ» (coro) «Quid sum miser» (soprano, mezzosoprano e tenore) «Rex tremendæ» (soli e coro) «Recordare» (soprano e mezzosoprano) «Ingemisco» (tenore) «Confutatis» (basso e coro) «Dies iræ» (coro) «Lacrymosa» (soli e coro)

III. Offertorium «Domine Jesu» (soli)

IV. Sanctus «Sanctus, Sanctus, Sanctus» (due cori)

V. Agnus Dei «Agnus Dei» (soprano, mezzosoprano e coro)

VI. Communio «Lux æterna» (mezzosoprano, tenore e basso)

VII. Responsorium «Libera me» (soprano e coro)

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William D. Bramhall Jr, caricatura di Giuseppe Verdi. Brandywine Inc., New York 1979.

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La «Messa da Requiem» di Verdi e la costruzione dell’identità nazionale italianadi Marco Marica*

Il Requiem di Verdi fu composto in uno dei momenti più critici della vita del com-positore. Dopo il Don Carlos (1867), la revisione della Forza del destino (1869) e la rap-presentazione di Aida al Cairo (1871) e subito dopo a Milano (1872), Verdi, che non aveva ancora compiuto i sessant’anni, riteneva di aver terminato la sua carriera operistica. Sebbene fosse al culmine della sua fama internazionale e fosse ancora dotato di grande energia creativa, vi erano vari fattori che lo inducevano a questa convinzione, in parte di natura strettamente personale, in parte dovuti invece all’ambiente culturale e artistico che si andava affermando nell’Italia post-risorgimentale. In questo contesto ha visto la luce uno dei suoi massimi capolavori, la Messa da Requiem, che riflette profondamente nella genesi, nello stile e nelle finalità la crisi che il suo autore stava attraversando.

Con le ultime tre opere, in particolare con Aida, Verdi aveva portato a compimento quel processo di integrazione tra l’esigenza di conservare le strutture formali dell’opera italiana codificate da Rossini, Bellini e Donizetti, e il desiderio di rinnovarle dall’interno, sperimentando nuove soluzioni che consentissero una più profonda aderenza della mu-sica all’azione scenica. Anche nelle opere più “sperimentali”, come Macbeth e Don Carlos, Verdi non abbandona mai il terreno della tradizione italiana, semmai la arricchisce di nuovi apporti, fondamentalmente di matrice francese. Agli occhi di Verdi Aida rappre-sentava dunque un punto di arrivo, da cui era difficile ripartire. Ci vorranno più di quin-dici anni prima che il musicista con l’Otello (1887) torni a scrivere una nuova opera, adottando uno stile profondamente differente e originale.

In un’Europa sempre più percorsa dai venti del nazionalismo era inevitabile che qua-lunque scelta estetica assumesse anche una valenza politica. Per tale ragione Verdi consi-derava persino un dovere civico degli italiani quello di restare fedeli alla loro secolare tra-dizione musicale, ed era sempre più allarmato dall’attrazione che le giovani generazioni di artisti e parte del pubblico italiano provavano per la musica oltremontana, di Wagner in particolare, di cui in realtà in Italia si faceva un gran parlare ma di cui si conosceva ben poco, dato che solo nel 1871 verrà rappresentata in Italia un’opera wagneriana, il Lohengrin, mentre solamente dopo il 1883 arriveranno sulle scene italiane anche le sue opere della maturità.

Negli anni Sessanta dell’Ottocento l’interesse dei giovani musicisti per il teatro d’o-pera francese e quello di Wagner andava di pari passo con l’apertura verso la musica strumentale tedesca. Questa tendenza era particolarmente spiccata a Milano, dove alcuni musicisti vicini alla Scapigliatura milanese come Arrigo Boito e Franco Faccio (Boito, che era anche poeta, aderì nelle sue liriche alla Scapigliatura) auspicavano un radicale rinnovamento nell’arte italiana. Facendo proprio un corollario del pensiero positivista allora imperante in Europa, i giovani musicisti erano infatti convinti che anche in ambito artistico potesse essere applicata la categoria del “progresso” e che pertanto la vera arte fosse destinata ad avanzare, lasciandosi alle spalle il passato. E la direzione era quella indicata da Wagner, la cui musica essi consideravano l’arte del futuro.

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Nell’agosto del 1864 a Milano era stata costituita la prima Società del Quartetto (altre ne sorsero in seguito nel resto d’Italia), con lo scopo di far conoscere i classici della mu-sica da camera d’oltralpe. Alla Società milanese era legato il «Giornale della Società del Quartetto», edito da Ricordi, nel quale venivano pubblicate recensioni dei concerti e arti-coli sulla musica strumentale, molti dei quali firmati da Arrigo Boito, dotati di una forte vena polemica nei confronti della tradizione operistica italiana. A detta di Boito infatti i musicisti della Penisola dovevano liberare il melodramma dalla «cerchia del vecchio e del cretino», esercitandosi nei generi della sinfonia e del quartetto prima di arrivare a scrivere opere. Tutto ciò non poteva non irritare Verdi, che sebbene fosse un esperto conoscitore dei quartetti di Haydn, Mozart e Beethoven, sui quali aveva studiato in gioventù (nella sua villa a Sant’Agata esiste tuttora l’edizione completa di queste composizioni possedu-ta dal musicista), non poteva condividere gli attacchi contro l’opera italiana.

Il programma di rinnovamento di Boito e Faccio – la loro aspirazione di dar vita a un’arte più raffinata, intellettuale, sottratta ai condizionamenti del mercato, un’arte d’éli-te da contrapporre alle tendenze conservatrici della “massa” del pubblico – era espres-sione di un’apertura alle correnti più avanzate della cultura europea del tempo e un se-gno dell’evolversi della società italiana verso forme più moderne (la frattura tra artista è pubblico sarà infatti uno dei temi dominanti della cultura del Novecento). Sebbene negli scritti di Boito e Faccio non vi fossero attacchi personali nei confronti di Verdi, il compositore tuttavia, in quanto il maggior rappresentante della tradizione operistica italiana, si sentiva direttamente chiamato in causa. Inoltre, la sua repulsione per ogni sistema astratto e il suo spirito pragmatico lo portavano a rifiutare un’«arte dell’avvenire» che non si misurasse immediatamente con il presente e con il pubblico e che fosse intrisa di una sorta di misticismo. Tutto ciò, unito alle accuse di wagnerismo che gli furono rivolte da alcuni critici dopo la prima dell’Aida a Milano, aveva provocato furibonde reazioni da parte di Verdi, lasciandogli la sensazione di essere vittima di pregiudizi e in-comprensioni, e lo aveva rinsaldato nella sua decisione di dire addio definitivo alle scene. «Bel risultato dopo 35 anni di carriera finire imitatore!!!», scriverà nell’aprile 1875 in uno scoppio d’ira all’editore Giulio Ricordi, proseguendo poi sullo stesso tono: «Certo che queste ciarle non mi fanno, come non mi hanno mai fatto deviare d’un punto da quello che volevo fare, ché io ho sempre saputo quello che volevo, ma arrivato al punto che sono, sia alto sia basso, posso ben dire: “Se è così, servitevi” e quando vorrò fare della musica potrò ben farla nella mia stanza, senza udire le sentenze dei dotti, e degli imbecilli»1.

La storia fortunatamente andò diversamente: Verdi non si rinchiuse a far musica nella sua stanza e nei quindici anni che separano Aida dalla prima della rappresentazione di Otello il compositore si dedicherà alle revisioni di Simon Boccanegra (1881) e Don Carlo (1884) e scriverà due capolavori assoluti nel loro genere: il Quartetto in mi minore (1873) e la Messa da Requiem (1874). Sul piano personale invece l’intelligenza dei giovani mu-sicisti e lo smorzarsi col tempo del tono delle loro affermazioni faranno sì che proprio Faccio e Boito diverranno tra i più stretti collaboratori del compositore – il primo si con-quisterà la sua stima dirigendo nel 1869 La forza del destino a Milano, il secondo scriverà i libretti di Otello e Falstaff– mentre le ultime opere di Verdi rappresenteranno agli occhi dell’Europa il segno tangibile di un arte italiana moderna, raffinata ed elitaria.

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La Messa per Rossini

A partire dagli anni Settanta dell’Ottocento e fino a poco prima della morte Verdi dedicherà particolare attenzione alla musica sacra e alla polifonia vocale italiane, da Pale-strina fino a tutto il Settecento, ritenute da lui un patrimonio fondamentale della cultura nazionale, attraverso il quale le giovani generazioni dovevano ritrovare la propria identità musicale (in questo senso si deve intendere la sua celebre frase «torniamo all’antico: sarà un progresso» rivolta a Francesco Florimo in una lettera del 1871). Tuttavia il primo avvicinamento di Verdi alla musica sacra risale a qualche anno prima. Il 13 novembre 1868 era morto a Parigi Rossini; sebbene il Pesarese avesse smesso di scrivere musica da più di trent’anni, la commozione in Italia fu grande e sorsero immediatamente numerose iniziative per celebrarlo. Quattro giorni dopo Verdi scriveva all’editore milanese Ricordi una lettera, che questi pubblicò di lì a poco sulla «Gazzetta musicale di Milano» di cui era l’editore.

Carissimo RicordiAd onorare la memoria di Rossini vorrei che i più distinti maestri italiani (Mercadante a capo, e fosse anche per poche battute) componessero una Messa da Requiem da eseguirsi all’anniversario della sua morte.Vorrei che non solo i compositori, ma tutti gli artisti esecutori, oltre il prestare l’opera loro, offrisse-ro altresì l’obolo per pagare le spese occorrenti.Vorrei che nissuna mano straniera, né estranea all’arte, e fosse pur potente quanto si voglia, ci por-gesse aiuto. In questo caso io mi ritirerei subito dall’associazione.La messa dovrebbe essere eseguita nel S. Petronio della città di Bologna che fu la vera patria musi-cale di Rossini.Questa messa non dovrebbe essere oggetto né di curiosità né di speculazione; ma appena eseguita, dovrebbe essere suggellata, e posta negli archivi del Liceo musicale di quella città, da cui non do-vrebbe esser levata giammai. Forse potrebbe esser fatta eccezione per gli anniversari di Lui, quando i posteri credessero di celebrarli.Se io fossi nelle buone grazie del Santo Padre, lo pregherei di voler permettere, almeno per questa sola volta, che le donne prendessero parte all’esecuzione di questa musica, ma non essendolo, con-verrà trovare persona di me più idonea ad ottenere l’intento. Sarà bene istituire una Commissione di uomini intelligenti onde regolare l’andamento di quest’e-secuzione, e soprattutto per scegliere i compositori, fare la distribuzione dei pezzi, e vegliare sulla forma generale del lavoro. Questa composizione (per quanto ne possano essere buoni i singoli pezzi) mancherà necessaria-mente d’unità musicale; ma se difetterà da questo lato, varrà nonostante a dimostrare, come in noi tutti sia grande la venerazione per quell’uomo, di cui tutto il mondo piange ora la perdita2.

Ha origine così il progetto della Messa per Rossini, da cui come vedremo in seguito scaturirà successivamente la Messa da Requiem. Verdi intendeva celebrare colui che a quell’epoca era considerato il più grande compositore italiano dell’Ottocento. Il proget-to riscosse il plauso generale del mondo musicale italiano, e la commissione concepita da Verdi si costituì già il mese dopo, con Giulio Ricordi in funzione di segretario; in poco tempo la commissione, della quale Verdi non faceva parte e che agiva in piena au-tonomia, stabilì che la Messa avrebbe dovuto essere suddivisa in tredici parti, ciascuna delle quali sarebbe stata scritta da un compositore di spicco nel panorama musicale na-zionale. La scelta dei nomi venne effettuata da un lato in maniera tale da far partecipare musicisti provenienti da tutte le parti della Penisola, dall’altro in modo da far figurare

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compositori che si erano distinti nella musica teatrale o in quella sacra, privilegiando coloro che occupavano cariche ufficiali come maestri di cappella di istituzioni religiose o all’interno dei conservatori, affinché venisse rispecchiata il più possibile la realtà musi-cale dell’intero Paese. I compositori nominati dalla commissione furono: Antonio Baz-zini, Raimondo Boucheron, Antonio Buzzolla, Antonio Cagnoni, Carlo Coccia, Gaeta-no Gaspari, Teodulo Mabellini, Saverio Mercadante (che declinò l’invito per ragioni di salute), Alessandro Nini, Carlo Pedrotti, Errico Petrella (sostituito poi da Lauro Rossi), Pietro Platania, Federico Ricci e Giuseppe Verdi, che avrebbe scritto il Libera me, brano conclusivo della Messa. Le partiture avrebbero dovuto essere consegnate entro il 15 settembre 1869, in modo tale da permettere l’esecuzione il 13 novembre, a un anno di distanza dalla morte di Rossini.

Nelle intenzioni del suo ideatore e della commissione si trattava di un progetto con un contenuto non solo artistico e celebrativo, ma anche politico, di affermazione di unità nazionale e di orgoglio professionale dei musicisti italiani. Alla fine degli anni Sessanta dell’Ottocento non esisteva più un modello di musica sacra italiana, e a parte lo Stabat Mater e la Petite Messe solennelle dello stesso Rossini non erano stati scritti altri capola-vori di genere sacro dai musicisti italiani. L’appello di Verdi era dunque anche un segnale di risveglio per i musicisti nazionali, affinché si riappropriassero di una tradizione che da Palestrina fino a Pergolesi, Cherubini e Rossini aveva costituito un punto di forza della musica italiana. Infine esisteva il precedente (anche se poco noto) della Messa da Requiem per Vincenzo Bellini scritta da Donizetti come atto di omaggio di un musicista a un illustre collega scomparso. E anche se – come prevedeva Verdi – il risultato sarebbe stato un patchwork di stili musicali (per i più maliziosi detrattori del progetto era questa la ragione per cui Verdi desiderava che la partitura restasse poi sotto chiave nel Liceo musicale di Bologna), quello che contava era la valenza simbolica della composizione e della sua esecuzione nell’anniversario della morte di Rossini.

Il progetto verdiano può essere inteso tuttavia anche come risposta indiretta alla polemi-ca sollevata la primavera di quell’anno da una maldestra affermazione dell’allora ministro della Pubblica Istruzione, Emilio Broglio, il quale nell’aprile 1868 aveva proposto a Rossini di fondare e presiedere una società di amici della musica, che si sarebbe incaricata del fi-nanziamento e dell’amministrazione dei conservatori, sottraendola così alle finanze dello Stato, che in quegli anni versavano in pessime condizioni. La lettera di Broglio, nell’intento di adulare il Pesarese, conteneva una palese offesa ai compositori italiani viventi: «[…] dopo Rossini, che vuol dire da quarant’anni, cosa abbiamo? Quattro opere di Meyerbeer… Come si può rimediare a una sì grave sterilità?». Quando la lettera del ministro fu pubblicata Verdi, indignato, restituì la medaglia di commendatore dell’Ordine della corona che aveva ricevuto da poco. La Messa per Rossini doveva costituire dunque una risposta costruttiva a tale umiliante affermazione del ministro, una vera e propria impennata d’orgoglio dei compositori italiani attraverso la celebrazione del Maestro scomparso.

Sebbene tutti i musicisti avessero consegnato puntualmente le loro partiture, Luigi Scalaberni, impresario del Teatro Comunale di Bologna, non era disposto a concedere l’orchestra, il coro e i cantanti del teatro fino a quando non fosse terminata la stagione autunnale, cioè fino a dicembre; una condizione ritenuta inaccettabile da Verdi, perché ciò avrebbe snaturato il significato dell’evento, come scrive il 19 agosto 1869 al direttore d’orchestra Angelo Mariani, incaricato di dirigere la composizione:

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[…] Un uomo, un grande artista che segna un’epoca, muore: un individuo qualunque invita gli artisti suoi contemporanei ad onorar quell’Uomo, onorando in Lui l’arte nostra; una musica vien espressamente composta ed eseguita nel Tempio maggiore della città che fu sua patria musicale, e perché questo compimento non sia pascolo a miserabili vanità e ad interessi esosi, vien rinchiuso, dopo la solennità, nell’archivio di un Liceo celebre. […]Diventa questo un fatto storico e non una ciarlatanata musicale. […] Qui non si tratta d’individui; basta che il giorno arrivi, che la solennità abbia luogo, infine che il Fatto storico, intendi bene: Fatto storico, esista. Ammesso questo, l’obbligo è in tutti di fare quanto sta in noi per ottenere l’intento, senza pretendere preghiere prima, né lodi e ringraziamenti dopo.Se questa solennità avrà luogo, avremo fatto indubitatamente opera buona, artistica, patriottica. Se no: avremo provato una volta di più che noi ci adoperiamo soltanto quando l’interesse e la vanità no-stra son paghi; quando veniamo incensati adulati spudoratamente in articoli, in biografie; quando i nostri nomi sono schiamazzati nei teatri, trascinati nelle vie, come i ciarlatani in piazza; ma quando la nostra personalità deve sparire sotto un’idea ed un’opera nobile e generosa, allora ci dileguiamo sotto il manto del nostro egoistico indifferentismo, che è il flagello e la rovina della nostra patria3.

Poiché né il Comune di Bologna, da cui dipendeva il Teatro Comunale, né la commis-sione milanese, né Mariani riuscirono a trovare una soluzione, l’esecuzione venne sospe-sa. Verdi, a torto, accuserà Mariani di aver avuto la sua parte di responsabilità nell’aver fatto naufragare il progetto, visto che il direttore era stato impegnato alla fine dell’estate in solenni celebrazioni a Pesaro, città natale di Rossini. Probabilmente ebbero invece maggior peso la reticenza della Giunta comunale di Bologna e il netto rifiuto dell’impre-sario Luigi Scalaberni a mettere a disposizione i musicisti del Comunale. Va detto inoltre che a Bologna il clima culturale era favorevole alla cosiddetta musica dell’avvenire, come dimostra l’esecuzione del Lohengrin nel 1871, mentre vi era un clima ostile nei confronti di Ricordi. A Bologna veniva infatti pubblicata la rivista musicale «L’arpa», il cui diretto-re Gustavo Sangiorgi (era anche assessore comunale) aveva sostenuto con forza la deci-sione dell’editore Lucca (concorrente di Ricordi) di pubblicare tutte le opere di Wagner. Il conflitto tra «L’arpa» e la «Gazzetta musicale di Milano» di Ricordi fanno dunque da sfondo al fallimento del progetto della Messa per Rossini a Bologna.

La Messa per Rossini compare ancora in una lettera di Verdi a Giulio Ricordi del 27 dicembre 1869, nella quale il compositore suggerisce che se proprio la Messa deve essere eseguita, allora paradossalmente che venga eseguita alla Scala, concludendo laconica-mente: «La nuova Messa può lottare con quelle di Mozart, Cherubini etc… collo Stabat, colla Petite Messe?… Sì? … Datela. No? … Allora Pax vobis»4. Neanche quella volta, tuttavia, se ne fece nulla: la prima esecuzione della Messa per Rossini si è tenuta più di cent’anni dopo, l’11 settembre 1988, non in Italia ma nella Liederhalle di Stoccarda sotto la direzione di Helmut Rilling.

Dalla Messa per Rossini alla «Messa da Requiem»

Fallito il tentativo di eseguire la Messa per Rossini, Verdi non parlerà più della com-posizione fino all’inizio del 1871, quando nuovamente la Commissione valuta l’idea di Verdi di eseguirla alla Scala ed esamina attentamente la qualità artistica dei brani. In tale circostanza il compositore Alberto Mazzuccato scrisse a Verdi una lettera di complimen-ti per il Libera me, alla quale il musicista rispose con tono scherzoso:

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Se alla mia età si potesse ancora decentemente arrossire, arrossirei per gli elogi che mi fate di quel mio pezzo […]. E, vedete ambizione di compositore! – quelle vostre parole avrebbero quasi fatto nascere in me il desiderio di scrivere, più tardi, la Messa per intiero; tanto più che con qualche mag-giore sviluppo mi troverei aver già fatti il Requiem ed il Dies iræ, di cui è il riepilogo nel Libera già composto. Pensate dunque, e abbiatene rimorso, quali deplorabili conseguenze potrebbero avere quelle vostre lodi! – Ma state tranquillo: è una tentazione che passerà come tante altre. Io non amo le cose inutili. – Messe da morto ve ne sono tante, tante e tante!!! È inutile aggiungerne una di più5.

Effettivamente Verdi per un tempo non sembra più pensare alla Messa, anche perché è assorbito dalla composizione e dal duplice allestimento (al Cairo e a Milano) dell’Aida. Subito dopo, tuttavia, avendo deciso di non scrivere più opere, Verdi inizia a interessarsi ad altri generi musicali. Sembra quasi che il compositore voglia ora suggellare la propria car-riera – così come aveva fatto Rossini – con composizioni d’altro tipo e lasciare ai musicisti più giovani una sorta di testamento musicale, che serva loro d’esempio e ammonimento.

In questo contesto vedono la luce il Quartetto in mi minore, nato da un intento più polemico che celebrativo, e poco dopo la Messa da Requiem. Il Quartetto fu composto nel marzo 1873 a Napoli, mentre Verdi era in attesa di mettere in scena Aida; anche nella scelta del luogo, probabilmente, vi è un intento polemico: Napoli costituiva per Verdi la città più rappresentativa dei valori “italiani” nella musica, la città della lunga tradizione didattica dei conservatori, il luogo in cui si era formato il suo maestro Lavigna, ma anche il luogo dove il pubblico si faceva meno condizionare dai giornalisti, come constaterà poco dopo la prima di Aida al San Carlo, accolta dal pubblico napoletano con grande en-tusiasmo e senza le riserve e prevenzioni manifestate da parte dei critici milanesi. Verdi da un lato ha voluto dunque ribadire il suo legame con la tradizione cameristica italiana (sebbene messa in ombra dal melodramma, anche in Italia la musica strumentale era stata coltivata durante l’Ottocento, come attestano per esempio i quartetti di due operisti come Donizetti e Pacini), dall’altro intendeva dimostrare di essere in grado di comporre una musica “dotta”, scrivendo l’ultimo movimento del Quartetto in forma di fuga. Anni dopo avrebbe così ricordato la sua composizione: «[…] non volli dare nissuna importan-za a quel pezzo, e perché credevo allora e credo ancora (forse a torto) che il Quartetto in Italia sia pianta fuori clima. Non intendo dire perciò che anche questo genere di com-posizione non possa allignare ed essere utile fra noi, ma io vorrei che le nostre Società, Licei, Conservatorio, unitamente a Quartetti a corda, istituissero Quartetti a voci, per ese-guire Palestrina, i suoi contemporanei, e Marcello». Quando, nell’estate 1876, Ricordi ed Escudier pubblicheranno la composizione, Verdi scriverà a Ricordi: «Ho ricevuto il Quartetto, e ve ne ringrazio. L’interno non vale l’esterno, o lo valesse anche, è convenuto che noi italiani non dobbiamo ammirare questo genere di composizioni se non porta un nome tedesco. Sempre l’istessi!!».

Nell’aprile del 1873, neppure un mese dopo la composizione del Quartetto, Verdi chiese a Ricordi di restituirgli la partitura del Libera me della Messa per Rossini; è assai probabile che a questo punto avesse deciso di scrivere un Requiem, ed è altrettanto pro-babile che avesse in mente di dedicarlo ad Alessandro Manzoni, ancora in vita ma quasi novantenne, di cui era un fervente ammiratore e che aveva potuto incontrare a Milano qualche anno prima grazie a Clarina Maffei, intima amica di Verdi sin dagli anni giovani-li. L’incontro era stato preparato nel 1867 con la solita abilità diplomatica da Giuseppina Strepponi dopo una visita a Milano, nella quale aveva conosciuto la Maffei. Tornata a Sant’Agata Giuseppina scrive il 21 maggio alla nuova amica:

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[Verdi] mi aspettava alla stazione di Alseno con la piccola Filomena, ed appena in vettura mi do-mandò della mia famiglia e di quanto avevo fatto a Milano […]. Mentr’egli ridendo mi dava il lusinghiero epiteto di capricciosa (non si dà che alle donne giovani e da un pezzo io non lo sono più), io sortii pian pianino dalla borsa il tuo bigliettino, glielo gittai sulle ginocchia, ed appena egli v’ebbe dato uno sguardo mi procurò la vista di una gran fila di denti, com-presi quelli del giudizio! Gli dissi presto presto, a passo di carica come tu mi avevi accolta; com’eri (cosa per te straordinaria) sortita con me; come io fui sciocca a star tant’anni prima di conoscerti, ed egli andava ripetendo: “non mi sorprende, non mi sorprende, conosco la Clarina”. Volendo spingere la macchina a tutto vapore dissi con affrettata indifferenza: “se poi andrai a Milano, ti presenterai a Manzoni. Egli t’aspetta, ed io vi fui con lei l’altro giorno”.Pouff! qui la bomba fu così forte ed inaspettata, che non seppi più se dovevo aprir gli sportelli della carrozza per dargli aria, o se dovessi chiuderli, temendo che nel parossismo della sorpresa e della gioia non mi saltasse fuori! È venuto rosso, smorto, sudato; si cavò il cappello, lo stropicciò in modo che per poco non lo ridusse in focaccia. Più (e ciò resti fra noi) il severissimo e fierissimo orso di Busseto n’ebbe pieni gli occhi di lagrime, e tutti e due commossi, convulsi, siamo rimasti dieci mi-nuti in completo silenzio. […]Ora Verdi è in pensiero per iscrivere a Manzoni, ed io rido, perché se sono rimasta tanto confusa, imbrogliata e scema quando mi procurasti quel grande onore di farmi trovare alla sua presenza, ho piacere che anche quelli che sono da molto più di me provino un po’ d’imbarazzo, si stirino i baffi, si grattino le orecchie per trovare parole degne da dirsi ai colossi.Più ci penso, più mi meraviglio, non della mia grande pazzia, ma dell’incredibile, eppure sincera e profonda modestia… di chi? di colui che scrisse il più gran libro dei tempi moderni!6

L’incontro con Manzoni avverrà di lì a poco, il 30 giugno 1867, durante la prima visita di Verdi a Milano dopo quasi vent’anni di assenza. L’ammirazione del musicista per lo scrittore lombardo, che considerava la personalità di maggior spicco tra gli intellettuali italiani del tempo, era profonda e sincera, come traspare chiaramente dalla lettera di Giuseppina, e ciò spiega il suo dolore alla notizia della morte, avvenuta il 22 maggio 1873. «Verrò fra breve per visitarne la tomba», scrive a Ricordi pochi giorni dopo, «solo e senza essere visto, e forse (dopo ulteriori riflessioni, e dopo aver pesate le mie forze) per proporre cosa ad onorarne la memoria»7. Quindi per tramite di Ricordi propone al Comune di Milano di far eseguire nel primo anniversario della morte di Manzoni una Messa da Requiem che si sarebbe incaricato di comporre: «È un impulso, o dirò meglio, un bisogno del cuore che mi spinge ad onorare, per quanto posso, questo Grande che ho tanto stimato come scrittore e venerato come uomo, modello di virtù e di patriottismo»8. Tra la fine del 1873 e l’inizio del 1874 Verdi riprende dunque la partitura mai eseguita del «Libera me», sviluppa le sezioni del «Requiem æternam» e del «Dies iræ» e compone le restanti parti della Messa. Il Requiem verrà eseguito il 22 maggio 1874 nella chiesa di San Marco a Milano, con Teresa Stolz e Maria Waldman (le due interpreti dell’Aida sca-ligera), Giuseppe Capponi (tenore) e Ormondo Maini (basso); l’orchestra e il coro della Scala saranno diretti da Verdi stesso. È un successo enorme, che si ripeterà nell’estate a Parigi e nella tournée europea della primavera del 1875, durante la quale Verdi dirige la composizione nuovamente a Parigi, quindi a Londra e a Vienna.

Il fatto che un musicista di teatro come Verdi abbia scritto una composizione sacra commemorativa ha da sempre attirato l’attenzione dei biografi, che sono andati alla ri-cerca delle ragioni di questa scelta, apparentemente in contraddizione con il suo anticle-ricalismo e la sua insofferenza per le celebrazioni ufficiali. Verdi, che aveva rifiutato altre volte di scrivere musiche di circostanza, riteneva al contrario che fosse un dovere morale degli artisti commemorare eventi o personalità particolarmente rilevanti per la nazione.

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Angelo Colla (1827-1892), copertina per la prima edizione dello spartito della Messa da Requiem. Ricordi, Milano 1874.

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Per questa ragione nel 1849, in piena guerra risorgimentale, aveva composto l’inno «Suo-na la tromba» e nel 1862 l’Inno delle nazioni, destinato a rappresentare musicalmente il nuovo Stato italiano all’esposizione internazionale di Londra; per le stesse ragioni aveva concepito nel 1868 il progetto della Messa per Rossini. Rossini e Manzoni erano agli occhi di Verdi i due pilastri su cui costruire l’identità della neonata nazione italiana, e ciò spiega la sua intenzione di commemorare entrambi con una messa funebre.

La struttura musicale della «Messa da Requiem»

Il Requiem di Verdi, il cui titolo completo è Messa da Requiem per l’anniversario della morte di Manzoni - 22 maggio 1874, utilizza il testo liturgico della messa funebre catto-lica; poiché tuttavia, a differenza dell’ordinario della messa, non esiste un testo standard per la celebrazione dei defunti (il Requiem di Mozart, per esempio, include il Commu-nio, mentre le due messe funebri di Cherubini hanno anche un Graduale e un «Pie Jesu Domine»), né esiste un criterio unico nella ripartizione musicale del testo, Verdi decise di adottare per intero il testo della Messa per Rossini, comprendente Introitus, Kyrie, Sequentia («Dies iræ»), Offertorium, Sanctus e Agnus Dei e terminante con un Libera me, frequente nella tradizione italiana dell’Ottocento. Dalla Messa per Rossini Verdi ha ripreso anche l’impiego dei quattro solisti, che cantano sia col coro, sia da soli, sia infine in varie combinazioni di uno o più solisti9.

L’Introito («Requiem æternam») e il Kyrie della Messa di Verdi costituiscono due nu-meri separati, ma strettamente connessi tra loro; entrambi impiegano le quattro voci soliste (soprano, mezzosoprano, tenore e basso) e il coro e hanno una stretta relazione tonale (il primo brano è in la minore, il secondo in la maggiore). Per l’Introito Verdi ha ripreso la sezione «Requiem æternam» del Libera me scritto nel 1869, riadattando per coro e orchestra d’archi la musica composta originariamente per soprano e coro a cap-pella. Due idee musicali contrastanti – una più tragica, sulle parole «Requiem æternam», una più luminosa in corrispondenza di «et lux perpetua» – stabiliscono da subito i due poli drammatici – il timore e la speranza nella salvazione – su cui si basa la Messa da Requiem. Il salmo «Te decet hymnus» viene intonato dal coro a cappella in uno “stile antico” di stampo ecclesiastico.

Il Kyrie per quartetto vocale e coro è caratterizzato da una scrittura imitativa elaborata e da un articolato percorso armonico, che danno l’impressione di un continuo ampliarsi dell’orizzonte. Si tratta di una delle pagine musicalmente più complesse della Messa da Requiem, in cui la musica prende il sopravvento sul testo cantato.

Il testo della Sequenza che nella liturgia della messa funebre fa seguito al Kyrie è formato da diciotto strofe, nelle prime sei delle quali l’autore Tommaso da Celano (ca. 1200 - ca. 1250) descrive il giudizio universale, mentre nelle restanti strofe supplica Dio di salvarlo e di concedergli la pace eterna. Così come hanno fatto la maggior parte dei compositori prima di lui, per esempio Mozart, anche Verdi suddivide la Sequenza in più sezioni. La prima è affidata al coro e corrisponde alle due strofe iniziali («Dies iræ, dies illa»); la musica descrive con estrema violenza sonora l’apocalisse, raffigurata come una sorta di tempesta che si va calmando lentamente (Verdi scriverà qualcosa di simile per la scena iniziale di Otello). La musica ritorna altre due volte nel corso della Sequenza e costituisce una sorta di filo conduttore. Si tratta di una variazione rispetto

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al testo liturgico che non si incontra nelle messe funebri di altri compositori e che fu decisa da Verdi per dare unità drammatica alla composizione, resa ancora più stringente da un’ulteriore ripresa del «Dies iræ» nel Libera me.

Il «Tuba mirum» per coro è introdotto da una fragorosa fanfara di trombe fuori scena. Si tratta di un effetto chiaramente teatrale, che conferisce una spazialità visiva alla scena e che accompagna con forte risultato drammatico le grida di terrore del coro. È uno di quegli effetti chiaramente derivati dal mondo dell’opera che Verdi usa a piene mani nella Sequenza, che con il suo testo ricco di immagini altamente drammatiche ha sempre costi-tuito un’inesauribile fonte d’ispirazione per i compositori.

Il breve «Mors stupebit» per basso e orchestra riprende alcuni tópoi musicali operistici per descrivere lo stupore, assai simili a quelli che Verdi ha già impiegato nella secon-da strofa della sequenza («Quantus tremor»). Il successivo «Liber scriptus», affidato al mezzosoprano, è il primo lungo brano lirico per voce sola; qui Verdi fa ricorso a una scrittura vocale tipicamente operistica. Al termine di questa sezione viene esposta in for-ma abbreviata la musica del «Dies iræ».

Il «Quid sum miser» per soprano, mezzosoprano e tenore, caratterizzato dalle tipiche appoggiature discendenti (un topos musicale del “lamento”), e il «Rex tremendæ» per i quattro solisti e il coro sottolineano il passaggio nel testo poetico alla prima persona. Ora è il peccatore a parlare, timoroso di non essere accolto tra i beati. La transizione tra la terza e la prima persona è caratterizzata musicalmente nel «Rex tremendæ» dal pas-saggio dal coro alle voci solistiche; mentre al coro è affidata una musica imponente, con una melodia discendente puntata (topos musicale dell’autorità), la preghiera intonata dai solisti ha un carattere lirico, con un profilo melodico ascendente.

Le tre sezioni successive sono affidate interamente ai solisti, rispettivamente soprano e mezzosoprano («Recordare»), tenore («Ingemisco») e basso («Confutatis»). Si tratta di tre brani assai differenti l’uno dall’altro, ma in cui prevale il senso di fiducia nel perdono divino e in cui la scrittura vocale si rifà nuovamente a modelli operistici – alcuni critici dell’epoca di Verdi coglievano persino una certa somiglianza dell’«Ingemisco» con Aida.

Una brusca ripresa della musica del «Dies iræ» serve da introduzione all’ultima sezio-ne della Sequenza, il «Lacrymosa» a quattro voci e coro. La melodia principale è derivata da un duetto del Don Carlos, soppresso durante le prove dell’opera. La figura sincopata che intona il soprano come contrappunto alla terza esposizione del tema fa ricorso a un altro consolidato topos musicale del teatro d’opera associato all’idea del pianto e del lamento.

L’Offertorio a quattro voci (soprano, mezzosoprano, tenore e basso) è articolato in tre sezioni distinte («Domine Jesu Christe», «Quam olim Abrahæ» e «Hostias»), delle quali le prime due vengono riprese in ordine inverso dopo la terza sezione. Mentre nel «Domine Jesu Christe» predomina un tono sereno, a dispetto delle pene infernali de-scritte nel testo, nel «Quam olim Abrahæ» Verdi ritorna allo “stile antico” con un fugato; nell’«Hostias» infine il compositore evoca un’atmosfera mistica, facendo uso di mezzi musicali – tonalità di do maggiore e melodie che si muovono prevalentemente per grado congiunto – assai affini a quelli impiegati all’inizio del terzo atto di Aida («O tu che sei d’Osiride») e che nel Requiem ritroviamo anche nell’«Ingemisco» e nell’Agnus Dei.

Il Sanctus è una fuga a due cori quanto mai originale, sia per il tempo veloce (Al-legro), che contrasta con il carattere maestoso della maggior parte dei Sanctus di altri

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compositori, sia perché Verdi fonde in un unico movimento della durata di pochi minuti l’«Hosanna» e il «Benedictus», che generalmente costituiscono sezioni a parte. Inoltre il trattamento della fuga è assai inconsueto, poiché a differenza delle fughe tradizionali dopo un’esposizione completa il soggetto viene esposto in forma abbreviata, spesso sen-za il controsoggetto e con notevoli variazioni, mentre manca una vera e propria ripresa finale.

Seguendo il modello del Requiem di Mozart Verdi ha composto l’Agnus Dei e il Lux æterna come due movimenti separati. L’Agnus Dei a due voci (soprano e mezzosoprano) e coro ha una struttura di tema e variazioni, con le tre implorazioni enunciate prima dalle voci soliste e ripetute quindi in antifona dal coro. Il tema ha un aspetto più strumentale che vocale e ricorda il cantus firmus gregoriano. Il Lux æterna a tre voci (mezzosoprano, tenore e basso) inizia con una ripetizione del testo dell’antifona dell’Introito («Requiem æternam»), ragion per cui numerose messe funebri, tra cui quella di Mozart, ne ripren-dono anche la musica e concludono con il Lux æterna. Poiché invece la composizione di Verdi termina con il Libera me, che pure ripete il testo iniziale, nel Lux æterna il com-positore non riutilizza le prime battute del suo Requiem, bensì scrive una nuova musica, creando un contrasto musicale tra l’immagine della luce eterna e quella della pace eterna («Requiem æternam»), qui resa con una marcia funebre su un cupo rullo di timpani.

Il Libera me «per soprano e cori e fuga finale» con cui si conclude la composizione riprende la musica che Verdi aveva scritto nel 1869 per la Messa per Rossini. Nella re-visione del 1874 Verdi utilizza tuttavia le nuove parti scritte per il «Requiem æternam» e il «Dies iræ» (nella versione originale questi brani erano differenti), ma conserva la struttura in quattro sezioni, con un assolo iniziale del soprano («Libera me, Domine»), il coro («Dies iræ»), una sezione per soprano e coro a cappella («Requiem æternam») e una Fuga finale del coro con interventi del soprano. La prima sezione è una supplica dell’in-dividuo – poco importa che la voce sia femminile, mentre il testo è al maschile: «factus sum» – di chiara ascendenza operistica, con ampio uso dei “parlanti”. La seconda sezione riprende la musica del «Dies iræ» (solo alcune battute di questa sezione corrispondono alla versione originale del 1869), mentre la terza sezione riprende in maniera abbreviata la musica dell’Introito («Requiem æternam»). L’ultima sezione è una fuga corale sul testo iniziale («Libera me»), che lascia spazio ad ampi squarci solistici del soprano; il soggetto della fuga è l’inversione di quello del Sanctus. Le battute finali sono affidate alla solista, che mormora nel registro basso le ultime parole di supplica («Libera me, Domine, de morte æterna»), spegnendosi lentamente.

La struttura formale del Libera me e il ruolo di protagonista del soprano stabiliscono un chiaro riferimento alla forma del finale d’atto operistico, con una “scena” iniziale, un coro («Dies iræ»), un tempo di mezzo («Requiem æternam») e una stretta in forma di fuga corale. Questa struttura mette in evidenza i due poli drammatici fondamentali del brano – e di tutta la composizione – ovvero il contrasto tra il timore del giudizio univer-sale («Dies iræ») e la speranza nella pace eterna («Requiem æternam»). A differenza di un finale d’opera, tuttavia, l’“azione” è per così dire sospesa e non vi è una transizione da una situazione drammatica a un’altra. Il testo della supplica iniziale («Libera me») viene ripetuto per intero nella fuga; la supplica dell’individuo, sospesa tra timore e speranza, non ha risposta, e il finale termina con l’unica certezza della morte terrena. Si tratta a ben vedere di un finale “laico”, nel quale manca la fiducia del fedele nel perdono divino:

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l’ascoltatore non sa se la supplica finale è stata accolta oppure no, percepisce solo lo spe-gnersi della vita.

Che Verdi fosse ateo a quel tempo traspare chiaramente dalla corrispondenza di Giu-seppina, che al contrario di lui era credente; si legge ad esempio in un lettera inviata il 9 maggio 1872 al medico veneziano Cesare Vigna, in risposta a un suo libro che questi ave-va inviato a Sant’Agata e nel quale si discuteva dei rapporti tra spiritualità e positivismo:

[Verdi] è artista, tutti s’accordano nell’accordargli il dono divino del genio; è una perla d’onest’uo-mo, capisce e sente ogni delicato, ed elevato sentimento, con tutto ciò questo brigante si permette d’essere, non dirò ateo, ma certo poco credente, e ciò con una ostinazione ed una calma da basto-narlo [nella brutta copia si legge tuttavia: “si permette di essere un ateo con una ostinazione ed una calma da bastonarlo”]. Io ho un bel parlargli delle meraviglie del cielo, della terra, del mare, etc. etc. Mi ride in faccia e mi gela in mezzo del mio entusiasmo tutto divino col dirmi: siete matti! e sfortu-natamente lo dice in buona fede10.

Ancora più interessante è un passo della lettera di Giuseppina a Clarina Maffei del 3 settembre dello steso anno, nel quale i nomi di Verdi e Manzoni appaiono associati:

Vi sono delle nature virtuosissime che hanno bisogno di credere in Dio: altre, ugualmente perfette, che sono felici, non credendo a niente ed osservando solo rigorosamente ogni precetto di severa mo-ralità. Manzoni e Verdi!… Questi due uomini mi fanno pensare, sono per me un vero soggetto di meditazione. Ma le mie imperfezioni e la mia ignoranza mi rendono incapace di sciogliere l’oscuro problema11.

La Messa da Requiem non è dunque il frutto di una conversione al Cattolicesimo del musicista, ma un gesto d’omaggio a un grande uomo e artista profondamente religioso, che Verdi vuole additare agli italiani come esempio in un momento difficile della storia patria, quando la presa di Roma del 1870 aveva creato una profonda spaccatura tra Stato e Chiesa. Così come Rossini rappresenta agli occhi di Verdi la tradizione operistica italiana, minacciata dal crescente interesse del pubblico italiano per la musica sinfonica tedesca e per le opere straniere, Manzoni costituisce a suo avviso un uomo che, nella ricerca del vero, ha saputo conciliare fede cristiana e formazione culturale laica. Sebbene non ne condivida il sentimento religioso, come si percepisce anche dalla musica del Requiem, nella quale manca l’elemento di cristiana speranza e rassegnazione, Verdi riconosce dunque in Manzoni un maestro di tutti gli italiani, che vuole onorare da laico con una messa da morto; un’ennesi-ma dimostrazione della rettitudine morale e della responsabilità civile di Verdi, al di là di ogni convinzione politica e religiosa.

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* Nato a Roma nel 1965, Marco Marica è dottore di ricerca in Musicologia. Ha pubblicato articoli dedicati a Giuseppe Verdi, all’influenza dell’opéra-comique sul melodramma italiano del primo Ottocento, e all’opera tedesca degli anni Venti del Novecento. Ha curato l’edizione dell’autografo del Notturno a tre voci «Guarda che bianca luna!» di Verdi ed è coautore del libro Per amore di Verdi (1813-1901). Vita, immagini, ritratti, edito nel 2001 dall’Istituto Nazionale di Studi Verdiani e dalla Grafiche Step Editrice di Parma per celebrare il centenario della morte del compositore. Dal 1998 al 2003 è stato redattore dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma. Dal 2008 è addetto culturale del Ministero degli Affari Esteri e dal 2010 è il vicedirettore dell’Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires.

1 Franco Abbiati, Giuseppe Verdi, vol. III, Ricordi, Milano 1959, p. 749.2 «Gazzetta musicale di Milano», XXIII, n.  47, 22 novembre 1868, p.  379; cit. da Carlo Matteo

Mossa, Una Messa per la storia, in Messa per Rossini: la storia, il testo, la musica, a cura di Michele Girardi e Pierluigi Petrobelli, Milano, 1988, pp. 11-78: 57.

3 Frank Walker, L’uomo Verdi, Milano, 1964, pp. 431-432.4 I copialettere di Giuseppe Verdi, a cura di Gaetano Cesari e Alessandro Luzio, Milano 1913, pp. 222-

223: 223.5 Ivi, pp. 243-244.6 Frank Walker, op. cit., pp. 328-329.7 I Copialettere cit., p. 283.8 Franco Abbiati, op. cit., p. 645.9 Per un’analisi dettagliata della musica del Requiem di Verdi si rimanda a David Rosen, Verdi:

«Requiem», Cambridge, 1995, pp. 18-59, a cui si rifanno i paragrafi seguenti. Per l’indicazione delle sezioni musicali si è usato il corsivo per i titoli delle varie parti liturgiche della messa e le virgolette per l’incipit testuale delle sezioni musicali, che spesso non coincidono con le parti della messa.

10 Frank Walker, op. cit., p. 340.11 Ivi, p. 342.

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Giuseppe Verdi (1813-1901) in una litografia ricavata dal ritratto fotografico di Étienne Carjat, 1870 ca.

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Un ritratto di Alberto Bosco*

Quanta gente ancora crede che Giuseppe Verdi sia nato in una famiglia di contadini? Chissà, certo è che di tutti i miti che nei secoli, in particolare nel XIX, si sono sovrap-posti alla figura storica di questo compositore, quello delle sue origini contadine è il più rivelatore e da lì si può partire per tracciarne un ritratto. Tecnicamente parlando, Verdi, contadino non lo nacque, ma lo diventò. Era, infatti, nato in una frazione di Busseto che si chiama Roncole – e forse l’assonanza con roncola, attrezzo contadinesco, può aver influito sulla nascita della leggenda – ma suo padre era un oste, sua madre una filatrice e la sua educazione fu borghese. In più, i genitori furono abbastanza aperti da non osta-colare la vocazione del figlio che, seppur instradato un po’ tardi a quella carriera e non aiutato da un talento eccezionalmente spiccato, era quanto mai ostinato a fare di sé un musicista. Secondo alcuni, ricevette addirittura una formazione più ordinata nelle belle lettere – si era pensato di farlo sacerdote – che non in musica, non avendo avuto ad esempio la fortuna di un Rossini di incontrar per la sua strada un maestro del calibro del padre Mattei all’età dovuta. Quel tanto, però, che apprese da Ferdinando Provesi a Bus-seto e da Vincenzo Lavigna a Milano, gli bastò per buttarsi nel mondo teatrale di allora, imparando con le proprie gambe i segreti del mestiere, in particolare di strumentazione e drammaturgia. Guadagnati soldi a sufficienza, poté comprarsi nel 1848 un podere e una villa a Sant’Agata, nei pressi di Piacenza, e poi, affermatosi in tutto il mondo come primo operista italiano, pensò di godersi dopo trentacinque anni di servizio la sua bella pensione, dedicandosi interamente alla cura dei suoi terreni. Così si può apprezzare nel ricco epistolario verdiano il cambio di prospettive, notando come alle lettere ai librettisti su problemi di versi e finali d’atto, si siano sostituite lettere ancora più appassionate su questioni di concimi e sementi.

Eppure la figura leggendaria del compositore contadino ha delle ragioni che vanno ol-tre la passione per il giardinaggio di Verdi e anche oltre la consueta abitudine romantica di dare ai musicisti delle origini vicine al popolo per conferire alla loro musica l’autorità dello spirito nazionale. La realtà è che, unico forse nel panorama europeo, Verdi guardò sempre alla materia poetica da lui trattata e alle forme musicali in cui si cimentava dal basso verso l’alto, arricchendo sempre più di sfumature e complessità il suo vocabolario, ma mai mutando quelle categorie morali che l’alimentavano. Per cui le sue opere non si sono mai poste come prerogativa di nessuna élite culturale o sociale, ma aspiravano a trasmettere verità comunicabili a tutti. Di qui anche la peculiarità di uno stile che, pur raffinandosi continuamente, non perse mai i modi spicci, quasi brutali che lo avevano contraddistinto sin dagli esordi e che hanno fatto giustamente pensare ai modi sbrigativi dei contadini.

Questo non significa che Verdi fosse, come si è visto, un illetterato e rozzo semplifica-tore; anzi, dotato di un intelletto reattivo e aperto, egli seppe adeguare il proprio stile in modo costante al pubblico, garantendosi al tempo stesso la sua fedeltà e quindi la possi-bilità di farne evolvere i gusti senza mai perderne il consenso.

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Del resto, sembra che il primo a stupirsi del successo del Nabucco anche tra i macchini-sti e facchini della Scala sia stato lo stesso Verdi, che evidentemente capì allora quale era la strada giusta per lui. Non solo, il fiuto di Verdi fu così infallibile da condizionare a sua volta con il suo prepotente successo la vita culturale italiana: si pensi al risveglio dell’inte-resse per Shakespeare, interesse non limitato ai poeti e ai letterati, ma attivamente mani-festatosi nei teatri, nato sulla scorta del Macbeth, dato a Firenze nel 1847; oppure si pensi alla chiaroveggenza con cui Verdi volle a tutti i costi il soggetto del Rigoletto, riesumando un dramma di Hugo di vent’anni prima che era stato un fiasco colossale, tanto da essere tolto di scena dopo la prima rappresentazione.

Proprio in questa capacità di assecondare e guidare i gusti del pubblico sta una delle grandi differenze che separano Verdi da Wagner, il quale operò la sua azione riformatrice del teatro musicale a colpi di rivoluzioni e, per così dire, imponendola dall’alto, dopo aver deliberatamente rifiutato le convenzioni vigenti. Verdi, invece, trasformò l’opera italiana in modo parimenti profondo, ma senza mai uscire dal circuito e dalle pratiche che la caratterizzavano. Colpisce, quindi, ancor di più sapere che il massimo esponente (Verdi) della più antica e blasonata tradizione musicale europea (l’opera italiana) all’apice della propria fama sia stato anch’egli stregato dalle teorie estetiche di Wagner, spingendosi con le sue ultime opere in territori estranei alla sua poetica originale. L’influenza degli stimoli culturali d’oltralpe, i mutamenti sociali avvenuti in Italia a seguito dell’unificazione, la vicinanza con il culturalismo estetizzante di Arrigo Boito, spinsero il vecchio Verdi a lasciarsi alle spalle il mondo morale e ideale dell’opera romantica e a declinare da par suo i temi cari alla nuova borghesia che aspirava ad essere cosmopolita ed europea. Così con Otello e Falstaff, Verdi, che aveva dominato il panorama musicale italiano negli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento, aprì la strada al «dopo-Verdi», a quel periodo sto-rico contrassegnato in musica dall’ascesa della cosiddetta Giovane Scuola. Un periodo alquanto lontano dall’ethos risorgimentale, cui per amore della propria arte il “contadino” Verdi sentì di doversi adeguare.

* Alberto Bosco è nato a Torino, dove ha completato gli studi di Composizione, Pianoforte e Storia della musica all’Università e al Conservatorio. Ha frequentato per periodi prolungati anche l’Univer-sità di Vienna, l’Università Complutense di Madrid, il Conservatorio Superiore di Lione, l’Univer-sità di Oxford e la Columbia di New York. Tra le istituzioni che gli hanno conferito borse di studio ci sono il Ministero degli Esteri spagnolo, l’Università di Torino, la Commissione Fulbright, la Fon-dazione Paul Sacher di Basilea e l’Accademia Nazionale dei Lincei. Attualmente insegna a Madrid, nelle sedi distaccate dell’Università di Saint Louis e di Stanford, e collabora regolarmente con riviste specializzate, società di concerti ed enti lirici.

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Resurrezione dei morti, particolare del rosone rappresentante l'Apocalisse nella chiesa della Sainte-Chapelle. Parigi, 1250 circa.

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I. Requiem

coro Requiem æternam dona eis,Domine, et lux perpetua luceat eis.Te decet hymnus Deus, in Sion, et tibi redettur votum in Jerusalem, exaudi orationem meam, ad te omnis caro veniet.Requiem æternam dona eis, Domine,et lux perpetua luceat eis.

soli e coro Kyrie eleison; Christe eleison; Kyrie eleison.

II. Dies iræ

coroDies iræ, dies illa, solvet sæculum in favilla,teste David cum Sibylla.

Quantus tremor est futurus,quando judex est venturus,cuncta stricte discussurus.Tuba mirum spargens sonum,per sepulchra regionum,coget omnes ante thronum. bassoMors stupebit et natura, cum resurget creatura,judicanti responsura. mezzosoprano e coroLiber scriptus proferetur, in quo totum continetur,unde mundus judicetur.Judex ergo, cum sedebit,quidquid latet, apparebit,nil inultum remanebit. coroDies iræ, dies illa, solvet sæclum in favilla,teste David cum Sibylla. soprano, mezzosoprano e tenoreQuid sum miser tunc dicturus, quem patronum rogaturus,cum vix justus sit securus?

coro L’eterno riposo dona loro, Signore,e splenda su essi la luce eterna.Si innalzi un inno a te, o Dio, in Sion, e ti sia offerto un sacrificio in Gerusalemme; esaudiscila mia preghiera, a te viene ogni mortale.L’eterno riposo dona loro, Signore,e splenda su essi la luce eterna. soli e coro Signore, pietà; Cristo, pietà; Signore, pietà.

coroGiorno terribile quel giornoin cui il mondo finirà incenerito,testimoni Davide e la Sibilla [come testimoniato a cristiani e pagani].Quale pauroso tremito si manifesteràquando il Giudice verràa scrutare severamente ogni cosa.Uno straordinario suono di tromba,diffondendosi ovunque nei sepolcri,chiamerà tutti innanzi al trono di Dio.

bassoNatura e morte resteranno allibitenel veder risorgere ogni creatura,chiamata a rispondere a colui che giudica.

mezzosoprano e coroSarà rivelato il libro scrittoin cui è contenuto tutto ciòdi cui l’umanità deve rispondere.Il Giudice, assiso sul suo seggio,svelerà ogni colpa nascosta,e niente rimarrà impunito.

coroGiorno terribile quel giornoin cui il mondo finirà incenerito,testimoni Davide e la Sibilla.

soprano, mezzosoprano e tenoreMisero me, che dirò a mia discolpa,chi chiamerò in mia difesa,quando nemmeno il giusto è senza timore?

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soli e coro Rex tremendæ majestatis, qui salvandos salvas gratis,salva me, fons pietatis. soprano e mezzosopranoRecordare Jesu pie, quod sum causa tuæ viæ,ne me perdas illa die.Quærens me, sedisti lassus,redemisti crucem passus,tantus labor non sit cassus.Juste judex ultionis,donum fac remissionis,ante diem rationis. tenoreIngemisco, tamquam reus, culpa rubet vultus meus,supplicanti parce, Deus.Qui Mariam absolvisti,et latronem exaudisti,mihi quoque spem didisti.Preces meæ non sunt dignæ,sed tu bonus fac benigne,ne perenni cremer igne!Inter oves locum præsta,et ab hædis me sequestra,statuens in parte dextra. basso e coro Confutatis maledictis, flammis acribus addictis,voca me cum benedictis.Oro supplex et acclinis,cor contritum quasi cinis,gere curam mei finis. coroDies iræ, dies illa, solvet sæclum in favilla,teste David cum Sibylla. soli e coro Lacrymosa dies illa, qua resurget ex favilla,judicandus homos reus.Huic ergo parce Deus.Pie Jesu Domine,dona eis requiem. Amen.

soli e coro O Re di tremenda maestà,tu che salvi per grazia chi è da salvare,o fonte di pietà, salvami.

soprano e mezzosopranoO buon Gesù, ricordatiche per me scendesti dal cielo in terra:non lasciare che quel giorno io sia perduto.Per cercare me ti affaticasti,per riscattarmi moristi in croce,non sia vano tanto dolore.Giudice giusto e severo,concedimi il perdono,prima del giorno della resa dei conti.

tenorePiango come un reo,per la colpa arrossisce il mio volto:risparmia chi ti supplica, o Dio.Tu che hai perdonato Maria di [Magdala]e accolto la preghiera del buon ladrone,anche a me hai dato speranza.Le mie preghiere sono indegne,ma tu, buon Dio, con benignità fa’ch’io non arda nel fuoco eterno.Fammi posto tra gli agnelli,e separami dai capri,chiamandomi alla tua destra.

basso e coro Quando avrai smascherato i malvagi,condannati alle fiamme atroci,chiamami insieme ai tuoi eletti.Prostrato a terra, invoco pietà,il mio cuore è spezzato e incenerito:prenditi cura del mio destino.

coroGiorno terribile quel giornoin cui il mondo finirà incenerito,testimoni Davide e la Sibilla.

soli e coro Giorno di lacrime, quelloin cui dalle ceneri risorgeràil reo per essere giudicato.Concedigli il perdono, o Dio.Gesù, Signore pietoso,concedi a tutti il riposo eterno. Amen.

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III. Offertorium

soliDomine Jesu Christe, Rex gloriæ, libera animas omnium fidelium defunctorum de pœnis inferni et de profundo lacu.Libera eas de ore leonis, ne absorbeat eas tartarus, ne cadant in obscurum: Sed signifer sanctus Michæl repræsentet eas in lucem sanctam,quam olim Abrahæ promisisti et semini ejus.

Hostias et preces tibi, Domine, laudis offerimus. Tu suscipe pro animabus illis, quarum hodie memoriam facimus; Fac eas, Domine, de morte transire ad vitam, quam olim Abrahæ promisisti et semini ejus.Libera animas omnium fidelium defunctorum de pœnis inferni. Fac eas de morte transire ad vitam.

IV. Sanctus

due coriSanctus, sanctus, sanctus, Dominus Deus Sabaoth.Pleni sunt cœli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis!Benedictus, qui venit in nomine Domini.Hosanna in excelsis!

V. Agnus Dei

soprano, mezzosoprano e coroAgnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis requiem.Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis requiem sempiternam.

VI. Communio

mezzosoprano, tenore e bassoLux æterna luceat eis, Domine, cum sanctis tuis in æternum, quia pius es.Requiem æternam dona eis, Domine,et lux perpetua luceat eis, cum sanctis tuisin æternum, quia pius es.

soliSignore Gesù Cristo, Re di gloria, libera le anime di tutti i fedeli defunti dalle pene dell’infernoe dal profondo abisso.Liberale dalla bocca del leone, non siano inghiottite dal baratro, non cadano nel buio della notte eterna: ma che l’Arcangelo Michele, col suo vessillo, le introduca nella luce divina, che un tempo promettesti ad Abramo e alla sua discendenza.A te, o Signore, offerte e preghiere offriamo con lodi. Accettale per le anime di cui oggi facciamo memoria; falle passare, Signore, dalla morte alla vita, che un tempo promettesti ad Abramo e alla sua discendenza.Libera le anime di tutti i fedeli defunti dalle pene dell’inferno. Falle passare dalla morte alla vita.

due coriSanto, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo.

Il cielo e la terra sono pieni della tua gloria.Osanna nel più alto dei cieli!Benedetto colui che viene nel nome del Signore.Osanna nel più alto dei cieli!

soprano, mezzosoprano e coroAgnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a loro il riposo.Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a loro il riposo eterno.

mezzosoprano, tenore e bassoL’eterna luce, Signore, li illumini in eterno insieme ai tuoi santi, perché tu sei misericordioso.L’eterno riposo dona loro, Signore, e splendasu essi la luce eterna, insieme ai tuoi santiin eterno, perché tu sei misericordioso.

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VII. Responsorium

soprano e coroLibera me, Domine, de morte æterna, in die illa tremenda, quando cœli movendi suntet terra, dum veneris judicare sæculumper ignem.Tremens factus sum ego et timeo, dum discussio venerit atque ventura ira, quando cœli movendi sunt et terra. Dies iræ, dies illa, calamitatis et miseriæ,dies magna et amara valde, dum veneris judicare sæculum per ignem.Requiem æternam dona eis, Domine,et lux perpetua luceat eis. Libera me, Domine, de morte æterna, in die illa tremenda, quando cœli movendi suntet terra, dum veneris judicare sæculumper ignem.

soprano e coroLiberami, Signore, dall’eterna morte, in quel giorno tremendo, quando il cielo e la terra saranno sconvolti, quando verrai a giudicare il mondocol fuoco.Io tremo di spavento e ho paura, davanti al severo giudizio e all’ira che verrà, quando il cielo e la terra saranno sconvolti.Giorno terribile quel giorno, di catastrofi e miseria, giorno grande e ben triste, quando verrai a giudicare il mondo col fuoco.L’eterno riposo dona loro, Signore,e splenda su essi la luce eterna.Liberami, Signore, dall’eterna morte, in quel giorno tremendo, quando il cielo e la terra saranno sconvolti, quando verrai a giudicare il mondo col fuoco.

Michelangelo Buonarroti (1475-1564), Giudizio universale, particolare con la resurrezione dei corpi. Roma, Cappella Sistina, 1536-1541.

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Gianandrea Noseda è considerato oggi tra i più eminenti direttori d’orchestra del panorama inter-nazionale. Direttore Musicale del Teatro Regio dal 2007, che ha collocato stabilmente nella mappa dei grandi teatri d’opera, vi dirige ogni anno pro-duzioni operistiche e concerti sinfonici. Dal 2010 al 2014 ha guidato i complessi del Teatro Regio in tournée in Spagna, Francia, Germania, Austria, Cina, Giappone, Russia e Scozia. Al Théâtre des Champs Elysées di Parigi torna ogni anno per presentare opere in forma di concerto, un appun-tamento ormai molto atteso dal pubblico parigino. Nel maggio 2013 ha portato l’Orchestra e il Coro del Teatro Regio per la prima volta a Dresda e a Vienna (Konzerthaus), mentre nel dicembre 2014 li accompagnerà in Nord America, dove debutte-ranno con quattro esecuzioni in forma di concerto di Guglielmo Tell a Chicago, Ann Arbor, Toronto e alla Carnegie Hall di New York. Molte delle pro-duzioni che ha diretto al Regio sono uscite in dvd; tra queste I Vespri siciliani di Verdi (con la regia di Davide Livermore), Boris Godunov di Musorgskij (con la regia di Andrei Konchalovsky) e Thaïs di Massenet (con la regia di Stefano Poda), che è stata inserita tra le venti produzioni più belle degli ulti-mi vent’anni da «Bbc Music Magazine».

Gianandrea Noseda è inoltre Direttore Ospite Principale dell’Orchestra Filarmonica di Israele, Conductor Laureate della Bbc Philharmonic, “Vic-tor De Sabata Guest Chair” della Pittsburgh Sym-phony e Direttore Artistico del Festival di Stresa. È stato inoltre il primo Direttore Ospite Principale straniero nella storia del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo e Direttore Ospite Principale della Rotterdam Philharmonic e dell’Orchestra Sinfoni-ca Nazionale della Rai.

Nato a Milano, dove ha compiuto gli studi mu-sicali, dirige le più importanti orchestre sinfoniche del mondo: Los Angeles, Chicago, Pittsburgh, Cleveland e Philadelphia negli Stati Uniti, la Lon-don Symphony, l’Orchestre de Paris e la Filarmo-nica della Scala in Europa, mentre in Giappone è ospite regolare della NHK Symphony Orchestra. Intensa e felice la collaborazione con il Metropo-litan di New York dove dirige ogni anno dal 2002 e dove è tornato nel 2014 con due produzioni, tra cui un attesissimo Il principe Igor (per la regia di Dmitrij Černjakov). Tra i momenti culminanti del-le passate stagioni, l’esecuzione del War Requiem di Britten con la London Symphony (presentato al Barbican Centre di Londra e al Lincoln Centre di New York e poi pubblicato in cd). Il persona-le successo nel Macbeth alla Metropolitan Opera,

insieme al trionfo della Luisa Miller scaligera, dei Vespri siciliani all’Opera di Vienna e del Rigoletto al Festival di Aix-en-Provence, lo impongono ormai come sicuro punto di riferimento per il repertorio verdiano nel mondo.

Dal 2002 Gianandrea Noseda è legato all’eti-chetta discografica Chandos, per la quale ha re-gistrato oltre 30 cd dedicati a musiche di Bartók, Dvořák, Karłowicz, Liszt, Mahler, Prokof ’ev, Rachmaninoff, Šostakovič e Smetana. Un posto particolare nella sua discografia è occupato dalla musica di Rachmaninoff, al quale ha dedicato di-verse incisioni che comprendono tutte le sinfonie e le tre opere. Ha inoltre avviato «Musica Italiana», un progetto consacrato ai compositori italiani del XX secolo, che ha portato alla riscoperta della produzione sinfonica di grandi personalità come Casella, Dallapiccola, Petrassi e Wolf-Ferrari at-traverso registrazioni discografiche accolte dalla critica musicale internazionale con plauso unani-me. Nell’ambito della collaborazione con Deutsche Grammophon ha inciso il debutto discografico di Anna Netrebko con la Filarmonica di Vienna, mentre con l’Orchestra del Teatro Regio ha diretto l’album mozartiano di Ildebrando D’Arcangelo e i due progetti discografici dedicati all’anniversario verdiano con Rolando Villazón e Anna Netrebko.

Attento ai giovani musicisti, ha collaborato con il Royal College of Music e con l’Orchestra della Guildhall School di Londra, con la National Youth Orchestra of United Kingdom e con l’Orchestra Giovanile Italiana. Dirige inoltre regolarmente la European Union Youth Orchestra in tournée in Europa.

Gianandrea Noseda è Cavaliere Ufficiale al Me-rito della Repubblica Italiana.

Il soprano Hui He è nata in Cina a Xī’ān (la vecchia città imperiale, nota anche per il famoso esercito di terracotta) e si è imposta all’interesse del mondo musicale internazionale in occasione della vincita del secondo premio al Concorso Inter-nazionale “Plácido Domingo’s Operalia” tenutosi a Los Angeles nel settembre 2000. Tutta la prestigio-sa Giuria del Concorso ne ha sottolineato la bellis-sima voce e la splendida musicalità. Con Plácido Domingo ha tenuto poi un importante concerto il 5 gennaio 2001 a Shànghai Due anni più tardi, nell’aprile 2002, si è affermata al 42° Concorso in-ternazionale “Voci verdiane” di Busseto, vincendo il primo premio. Presidente della prestigiosa giuria era il noto soprano Leyla Gencer, che su di lei si è subito espressa in termini entusiastici.

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Hui He è una delle soliste più amate dal pubbli-co e dai mass media cinesi: recente il suo New Year Concert, nella Sala Grande del Parlamento a Pechi-no, alla presenza del Presidente della Repubblica e delle maggiori personalità politiche e culturali cinesi.

La sua carriera internazionale ha conosciuto una svolta dal 2003, con la Madama Butterfly all’Opéra di Bordeaux, ruolo interpretato in tutto il mondo, e anche al Teatro Regio nel 2010 (regia di Damia-no Michieletto). Celebre interprete anche di Aida e Tosca, il suo repertorio include fra gli altri anche Un ballo in maschera (Amelia), Il trovatore (Leonora), Manon Lescaut, Turandot (Liù). Nell’ultimo decen-nio ha cantato nei maggiori teatri di tutto il mondo, dal Metropolitan alla Wiener Staatsoper, dal Teatro alla Scala alla Deutsche Oper di Berlino, dalla Baye-rische Staatsoper al Gran Teatre del Liceu.

Daniela Barcellona è nata a Trieste, dove ha compiuto gli studi musicali e vocali sotto la guida di Alessandro Vitiello. Dopo aver vinto numero-si concorsi internazionali, fra i quali l’“Aldo Belli” di Spoleto, l’“Iris Adami Corradetti” di Padova e il “Pavarotti” International di Filadelfia, la sua carriera ha avuto un inizio sfolgorante nell’estate del 1999 quando al Rossini Opera Festival ha interpretato per la prima volta il ruolo di Tancredi: da allora è ri-conosciuta come una delle più importanti e richieste interpreti a livello internazionale.

In Italia è stata acclamata più volte, olte che al Rof, alla Scala di Milano, al Teatro Regio (Anna Bolena, Tancredi, Don Carlo, Messa da Requiem di Verdi), al Teatro dell’Opera di Roma, al Comunale di Bologna e di Firenze, presso l’Accademia di Santa Cecilia e il Festival dei Due Mondi di Spoleto, allo Sferisterio di Macerata, all’Arena e al Teatro Filar-monico di Verona, al Teatro Regio di Parma e al San Carlo di Napoli, al Carlo Felice di Genova, al Teatro Massimo di Palermo, al Teatro Verdi di Trieste.

In campo internazionale, è stata poi ospite dei Berliner Philharmoniker e dell’orchestra della Baye-rische Rundfunk, della London Symphony Orche-stra, della Deutsche Oper di Berlino, del Metropoli-tan di New York (Norma), della Royal Opera Hou-se di Londra. Si è esibita all’Opéra e al Théâtre des Champs Elysées di Parigi, alla Bayerische Staatso-per di Monaco di Baviera, al Teatro Real di Madrid, al Liceu di Barcellona, al Palau des Artes di Valencia, alla Staatsoper di Vienna, a Ginevra, Amsterdam, Semperoper di Dresda, all’Opera di Tel Aviv e al Fe-stival di Salisburgo, presso la Sydney Opera House, al Festival Radio France et Montpellier, a Las Pal-mas e Tokio.

Ha collaborato con alcuni fra i più grandi diret-tori d’orchestra, quali Claudio Abbado, Roberto Abbado, Daniel Barenboim, Bruno Campanella, Riccardo Chailly, Myung-Whun Chung, Sir Colin Davis, Gianluigi Gelmetti, Valery Gergiev, James Levine, Lorin Maazel, Riccardo Muti, Kent Naga-no, Gianandrea Noseda, Georges Prêtre, Wolfgang Sawallisch e Alberto Zedda. Fra gli importanti ri-conoscimenti che le sono stati assegnati, ricordia-mo il premio “Abbiati” della critica italiana, i premi “Lucia Valentini-Terrani” e “Aureliano Pertile”, l’O-pera Award 2002, il premio Cd Classica, il “Rossini d’oro” e il “S. Giusto d’oro” (la più giovane premiata).

Numerose le incisioni discografiche, che com-prendono monografie dedicate ad Alessandro Scar-latti e a Pergolesi (Sony), opere di Rossini (Stabat Mater, Petite Messe solennelle, Giovanna d’Arco, due edizioni del Tancredi, Bianca e Falliero, Adelaide di Borgogna, Sigismondo e Il viaggio a Reims), di Bel-lini (due edizioni della Norma), di Mayr e Meyer-beer (rispettivamente Ginevra di Scozia e Marghe-rita d’Anjou), la Messa da Requiem verdiana (nella celebre incisione con Claudio Abbado e i Berliner Philharmoniker), fino ai monumentali Les Troyens di Berlioz, con la direzione di Gergiev.

Nato a Santa Cruz de Tenerife, Jorge de León in-traprende lo studio del canto con Isabel García Soto, perfezionandosi poi in Italia con Giuseppe Valden-go e in Spagna con Alfonso García Leoz. Vincitore del Concorso nazionale “Villa Abaran” di Murcia, si esibisce in opere, concerti e zarzuelas nei principali teatri spagnoli. Nel 2004 vince il primo premio e il premio “José Carreras” come miglior tenore al Con-corso “Julian Gayarre”; l’anno seguente è vincitore del secondo premio al concorso “Jaime Aragall”.

Nel 2010 si è affermato in Andrea Chénier a Ma-drid, in Cavalleria rusticana e La vida breve a Valen-cia sotto la direzione di Lorin Maazel, in Carmen, ancora a Valencia e all’Arena di Verona, in Madama Butterfly a Tenerife e in Aida a Valencia. Nel 2011 ha cantato Carmen al San Carlo di Napoli, Tosca a Madrid, Madama Butterfly a Bari, Tosca e Carmen a Palermo. Nel 2012 ha debuttato alla Scala in Aida, interpretato Le Cid e Tosca a Valencia e Il trovatore e Aida in Arena di Verona.

Il Teatro alla Scala l’ha coinvolto in due tournée per Aida, in Qatar nel 2012 e in Giappone nel 2013; dalla fine del 2012 ha cantato Turandot a Firenze e a Tokyo sotto la direzione di Zubin Mehta, Tosca a Pamplona e Valladolid, Aida a Palermo. Nell’esta-te 2013 ha eseguito la Messa da Requiem di Verdi a Barcellona mentre, dopo l’Aida dell’Arena, ha vestito

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i panni di Radamès anche alla Scala e a Napoli. Nel 2014 è stato invitato a Berlino per Tosca, ad Aven-ches e Verona per Carmen, a Pechino e Milano per Cavalleria rusticana, a Bilbao per Alzira. Nel 2015 tornerà nuovamente a Pechino, per Aida, ancora una volta diretto da Zubin Mehta. Con questo concerto debutta al Teatro Regio.

Michele Pertusi ha collaborato con direttori di fama internazionale quali Daniel Barenboim, Semyon Bychkov, Riccardo Chailly, Colin Da-vis, Daniele Gatti, Carlo Maria Giulini, Vladimir Jurowski, James Levine, Zubin Metha, Riccardo Muti, Antonio Pappano e Georg Solti, calcando i palcoscenici dei più importanti teatri al mondo, fra i quali l’Opéra Bastille, la Wiener Staatsoper, il Co-vent Garden, il Teatro alla Scala, il Metropolitan di New York, il Teatro Real di Madrid, il Rossini Opera Festival di Pesaro, la Bayerische Staatsoper, la Deutsche Oper di Berlino, la Monnaie di Bru-xelles, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e il Barbican Centre di Londra.

Ha inaugurato la stagione 2013/14 con grande successo in Attila all’Opéra Royal de Wallonie di Liegi e in seguito ha interpretato Jacopo Fiesco nell’inaugurale Simon Boccanegra del Teatro Regio; ha cantato la Messa da Requiem di Verdi al Teatro Regio di Parma, I Puritani all’Opéra national de Paris, La Sonnambula al Liceu di Barcellona e al Metropolitan di New York, Così fan tutte al Teatro alla Scala e Petite Messe solennelle di Rossini al Fe-stival di Salisburgo.

Fra i suoi prossimi impegni annovera La forza del destino al Festival Verdi di Parma, Semiramide (Lione), Maria Stuarda e Nabucco (Barcellona), Requiem di Mozart con la Chicago Symphony, Il barbiere di Siviglia, Nabucco, Rigoletto e Don Pa-squale (Wiener Staatsoper), I Puritani (Zurigo), Maria Stuarda (Avignone) ed Ernani (Tolosa).

Raffinato interprete rossiniano, Michele Pertusi è stato più volte acclamato trionfatore al Rossini Opera Festival di Pesaro. Il debutto pesarese, ri-salente al 1992, lo vide protagonista di una nuova produzione di Moïse et Pharaon (come Moïse) di-retta da Vladimir Jurowski, con la regia di Graham Vick. Sempre a Pesaro ha recentemente interpreta-to Il viaggio a Reims, Petite Messe solennelle, Le Siège de Corinthe e La gazza ladra. Il Festival Rossiniano gli ha conferito inoltre il prestigioso premio “Ros-sini d’oro”.

La sua ricca discografia comprende, fra gli altri titoli, Petite Messe solennelle, Stabat Mater, Cantata per Pio IX, Cenerentola e Il turco in Italia diretta da

Riccardo Chailly, Don Giovanni e Così fan tutte con Georg Solti (Decca), Le nozze di Figaro con Zubin Mehta (Sony), Semiramide e Maometto II (Ricor-di), Don Giovanni con Daniel Barenboim (Erato), La Damnation de Faust e Falstaff con Colin Davis (Lso).

Nel 1995 gli è stato conferito il premio “Franco Abbiati” dalla critica musicale italiana. Per l’inci-sione del Turco in Italia diretta da Riccardo Chailly (Decca) è stato insignito del Gramophone Award e nel febbraio 2006 ha vinto il prestigioso Grammy Award per l’incisione del ruolo del titolo in Falstaff. Ha recentemente ricevuto dal Presidente della Re-pubblica italiana la Medaglia d’Oro come Beneme-rito della Cultura.

Nato a Parma, ha studiato canto con Arrigo Pola e Carlo Bergonzi; in seguito ha completato la sua formazione con Rodolfo Celletti. Collabora per la preparazione dei ruoli con la professoressa Hisako Tanaka.

Claudio Fenoglio, nato nel 1976, si è diploma-to con il massimo dei voti e la lode in Pianoforte e in Musica corale e direzione di coro; si è inoltre laureato in Composizione. Ha studiato principal-mente con Laura Richaud, Franco Scala, Giorgio Colombo Taccani e Gilberto Bosco, frequentando numerosi corsi di perfezionamento. Parallelamente agli studi accademici ha iniziato l’attività in ambito operistico come Maestro sostituto per poi specia-lizzarsi nella direzione di coro. È stato Aiuto Mae-stro del coro presso il Teatro Massimo di Palermo affiancando per due anni Franco Monego.

Nel 2002 è stato chiamato al Teatro Regio come Assistente del Maestro del coro Claudio Marino Moretti e successivamente di Roberto Gabbiani. A partire dal 2007 ha cominciato l’attività come Altro Direttore del coro, alternandosi al Direttore principale in alcune produzioni della Stagione del Regio e collaborando con il Coro Filarmonico dello stesso Teatro. Nel novembre 2010 è stato nomina-to Direttore del Coro del Teatro Regio, incarico che mantiene tuttora accanto a quello di Maestro del Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi” di Torino.

L’Orchestra del Teatro Regio è l’erede del com-plesso fondato alla fine dell’Ottocento da Arturo Toscanini, sotto la cui direzione vennero eseguiti numerosissimi concerti e molte storiche produzio-ni operistiche, quali la prima italiana del Crepuscolo degli dèi di Wagner e le prime assolute di Manon Lescaut e Bohème di Puccini.

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Nel corso della sua lunga storia ha dimostrato una spiccata duttilità nell’affrontare il grande reper-torio così come molti titoli del Novecento, anche in prima assoluta, come Gargantua di Corghi e Leggen-da di Solbiati. L’Orchestra si è esibita con i solisti più celebri e alla guida del complesso si sono alter-nati direttori di fama internazionale come Roberto Abbado, Ahronovič, Bartoletti, Bychkov, Campa-nella, Gelmetti, Gergiev, Luisotti, Oren, Pidò, Sado, Steinberg, Tate e infine Gianandrea Noseda, che dal 2007 ricopre il ruolo di Direttore musicale del Tea-tro Regio. Ha inoltre accompagnato grandi compa-gnie di balletto come quelle del Bol’šoj di Mosca e del Mariinskij di San Pietroburgo.

Numerosi gli inviti in festival e teatri stranieri; ne-gli ultimi cinque anni, in particolare, è stata ospite con il maestro Noseda in Germania (Wiesbaden, Dresda), Spagna (Madrid, Oviedo, Saragoza e altre città), Austria (Wiener Konzerthaus), Francia (al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi). Nell’estate del 2010 ha tenuto una trionfale tournée in Giappo-ne e in Cina con Traviata e Bohème, un successo am-piamente bissato nel 2013 con il “Regio Japan Tour”: nove date a Tokyo con Tosca, Messa da requiem, Un ballo in maschera e un Gala Rossini. Dopo le prime tournées a San Pietroburgo ed Edimburgo, i pros-simi appuntamenti internazionali del 2014 saranno a Parigi, Chicago, Toronto, Ann Arbor e New York (Carnegie Hall).

L’Orchestra e il Coro del Teatro figurano oggi nei video di alcune delle più interessanti produzioni delle ultime Stagioni: Medea, Edgar, Thaïs, Adriana Lecouvreur, Boris Godunov, Un ballo in maschera e I Vespri siciliani. Tra le incisioni discografiche più recenti, tutte dirette da Gianandrea Noseda, figu-rano due cd dedicati a Verdi con Rolando Villazón

e Anna Netrebko e uno mozartiano con Ildebran-do D’Arcangelo per Deutsche Grammophon; per Chandos Quattro pezzi sacri di Verdi e Magnificat e Salmo XII di Petrassi.

Fondato alla fine dell’Ottocento e ricostituito nel 1945 dopo il secondo conflitto mondiale, il Coro del Teatro Regio è uno dei maggiori cori teatrali euro-pei. Sotto la guida di Bruno Casoni (1994-2002) ha raggiunto un alto livello internazionale, dimostrato anche dall’esecuzione dell’Otello di Verdi sotto la guida di Claudio Abbado e dalla stima di Semyon Bychkov che, dopo averlo diretto al Regio nel 2002 per la Messa in si minore di Bach, lo ha invitato a Colonia per l’incisione della Messa da Requiem di Verdi ed è tornato a coinvolgerlo nel 2012 in un concerto brahmsiano con l’Osn della Rai.

Il Coro è stato diretto successivamente da Rober-to Gabbiani, che ne ha incrementato ulteriormente lo sviluppo artistico, mentre nel novembre 2010 l’incarico è stato attribuito a Claudio Fenoglio. Ol-tre alla Stagione d’Opera, il Coro svolge anche una significativa attività concertistica e figura in diverse registrazioni discografiche, ultime delle quali Boris Godunov di Musorgskij, Un ballo in maschera, Vespri siciliani e Quattro pezzi sacri di Verdi, Magnificat e Salmo IX di Petrassi con l’Orchestra del Regio di-retta da Gianandrea Noseda.

Il Coro ha preso parte alle numerose tournée del Teatro Regio in tutta Europa e nelle due trasferte in Oriente: in Cina e Giappone nel 2010, a Tokyo nel 2013, con diverse produzioni operistiche e concerti lirico-sinfonici. Dopo le tappe di San Pietroburgo e Edimburgo, parteciperà a tutti i prossimi appunta-menti internazionali del Regio, a Parigi e in Nord America.

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Orchestra

Violini primiStefano Vagnarelli •

Marina BertoloClaudia ZanzottoMonica TasinatoEdoardo De AngelisFation HoxholliMarcello IaconettiElio LercaraCarmen LupoliEnrico Luxardo Miriam Maltagliati Alessio MurgiaLaura QuagliaDaniele SoncinGiuseppe Tripodi Francesca ViscitoRoberto Zoppi

Violini secondiCecilia Bacci •

Tomoka OsakabeBartolomeo AngelilloSilvana BaloccoPaola Bettella Maurizio Dore Anna Rita Ercolini Angelica FaccaniSilvio Gasparella Ekaterina Gulyagina Roberto LirelliAnselma MartellonoBrice Olivier Mbigna    MbakopIvana NicolettaPaola PradottoValentina RauseoLaura Riccardi

VioleArmando Barilli •

Alessandro Cipolletta Gustavo FioravantiAndrea ArcelliTamara BairoRita BracciClaudio CavallettiMaria Elena EusebiettiAlma MandolesiFranco Mori Roberto Musso Alessandro Sacco Claudio VignettaGiuseppe Zoppi

VioloncelliRelja Lukic •

Jacopo Di Tonno •

Davide Eusebietti Giulio ArpinatiFabrice De DonatisAlfredo GiarbellaFrancesca GosioArmando MatacenaLuisa Miroglio Marco MoscaPaola Perardi

ContrabbassiDavide Botto •

Atos CanestrelliAlessandri BelliFulvio CaccialupiVito GalanteMichele LipaniStefano Schiavolin

OttavinoRoberto Baiocco

FlautiFederico Giarbella •

Maria Siracusa

OboiCarlos Del Ser •

Stefano Simondi

ClarinettiLuigi Picatto •

Luciano Meola

FagottiAndrea Azzi •

Orazio LodinAngela GravinaSergio Pochettino

CorniUgo Favaro •

Pierluigi FilagnaFabrizio DindoEvandro Merisio

• Prime parti

Teatro RegioWalter Vergnano, Sovrintendente

Gianandrea Noseda, Direttore musicale

Si ringrazia la Fondazione Pro Canale di Milano per aver messo i propri strumenti a disposizione dei professori Stefano Vagnarelli (violino Francesco Ruggeri, Cremona 1686), Marina Bertolo (Violino Carlo Ferdinando Landolfi, Milano 1751), Cecilia Bacci (violino Santo Serafino, Venezia 1725) e Tomoka Osakabe (violino Bernardo Calcanius, Genova 1756).

TrombeSandro Angotti •

Marco RigolettiPaolo ParavagnaLuca Saglietti

TromboniGianluca Scipioni •

Enrico AvicoMarco Tempesta

TubaRudy Colusso

TimpaniRaul Camarasa •

PercussioniLavinio Carminati

Trombe interneIvano Buat •

Stefano Coppo Gianluigi PetraruloLorenzo Bonaudo

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© Fondazione Teatro Regio di Torino Prezzo: € 2

Coro

SopraniSabrina AmèNicoletta BaùChiara BongiovanniAnna Maria BorriCaterina BorrusoSabrina BoscaratoEugenia BraynovaSerafina CannilloCristina CognoCristiana CorderoEugenia DegregoriAlessandra Di PaoloManuela GiacominiFederica GiansantiRita La VecchiaLaura LanfranchiPaola Isabella LopopoloMaria de Lourdes    MartinsFrancesca MorettiLyudmila PorvatovaSilvia SpruzzolaPierina TriveroGiovanna Zerilli

Mezzosoprani / ContraltiAngelica BuzzolanShiow-hwa ChangIvana CraveroCorallina DemariaMaria Di MauroRoberta GarelliRossana GariboldiElena InduniNaoko ItoAntonella MartinRaffaella RielloMyriam RossignolMarina SandbergTeresa UdaDaniela ValdenassiTiziana ValvoBarbara Vivian

TenoriPierangelo AiméJanos BuhallaMarino CapettiniGian Luigi CaraAntonio CorettiDiego CossuLuis Odilon Dos SantosAlejandro EscobarGiancarlo FabbriSabino GaitaMauro GinestroneRoberto GuennoLeopoldo Lo SciutoVito MartinoMatteo MugaveroFulvio ObertoMatteo PavlicaDario ProlaGualberto SilvestriSandro ToninoFranco TraversoValerio Varetto

Baritoni / BassiLeonardo BaldiMauro BarraLorenzo BattagionEnrico BavaGiuseppe CapoferriMassimo Di StefanoUmberto GinanniDesaret LikaLuca LudoviciRiccardo MattiottoDavide Motta FréGheorghe Valentin NistorFranco RizzoEnrico SperoniMarco SportelliMarco TognozziFrancesco TosoVincenzo Vigo

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MESSA DA REQUIEMGIUSEPPE VERDI

OTELLOGIUSEPPE VERDI

GIULIO CESAREGEORG FRIEDRICH HÄNDEL

BALLET NACIONAL DE CUBAGISELLEDON CHISCIOTTE

ROBERTO BOLLE AND FRIENDSGALA DI DANZA

GOYESCASENRIQUE GRANADOS

SUOR ANGELICAGIACOMO PUCCINI

LE NOZZE DI FIGAROWOLFGANG AMADEUS MOZART

IL TURCO IN ITALIAGIOACHINO ROSSINI

I PURITANIVINCENZO BELLINI

HÄNSEL E GRETELENGELBERT HUMPERDINCK

FAUSTCHARLES GOUNOD

LA BOHÈMEGIACOMO PUCCINI

IL BARBIERE DI SIVIGLIAGIOACHINO ROSSINI

LA TRAVIATAGIUSEPPE VERDI

NORMAVINCENZO BELLINI

Stagione 2014-2015 per scheda di sala (cm 158x235).indd 1 18/09/2014 10.20.09