Giuseppe Garibaldi

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414 LETTURE DEL RiSORGIMENTO. quelli di guerra, ci sarebbe sempre un altro che era soLto questo rispetto pill. còrsG di lui, il principe Napoleone, il qU:l.le r onta di quel rifiuto se la. sarebbe legata. al dito. Unirsi strettamente Piemonte a Francia, casa Savoia ai Napo leonidi, nelle condi- zioni presenti essere il migliore, l'unico buon partito: o la. guerra sarebbe stata felice, e a Vittorio Emanuele assicurata la. corona d' Italia, a Napoleone la durata della dinastia in Francia, l' una cosa afforzatrice dell' altra; o sarebbe stata di- sastrosa, e allora nessuna pili alleanza princi pesca possibile a casa Savoia. Non badasse a vane considerazioni di certi pre- giudizi aristocratici: se il proposto sposo non era di antica regia stirpe, apparteneva a famiglia a cui aveva dato più cbe regio splendore la gloria del gran Napoleone, era congiunto prossimo del sovrano del piu florido e potente impero d' Europa, e d'altronde era figlio egli stesso d'una prindpessa di sangue reale purissimo dei regnanti del Wurtemberg, Riguardo alla fe- licitù, della principessa, questa non era da cercarsi nel sangue pili o meno regio dello sposo: si rammentasse il re di tutte le principesse di casa Savoia dalla fiDe del secolo scorsO al pre- sente, accasate in regi connubi e tutte it;"relicissime: aversi da aspettare quella felicità dai meriti dello sposo j e nel principe Napoleone, guarito oramai da certi bollori giovanili, trovarsi meriti di cuore: egli cosi fedele alle amicizie j generoso mece- nate, liberale e magni-fico j meriti di ingegno j egli studioso, fre- quentatore di dotti, non ignaro di nessuna nobile disciplina, LIII. Giuseppe Massari. Il discorso della corona n di lO gennaio 18;')9. Dal cap. XLIX di La vita ed il regn.o di Vittor io Emanue le li) Mi- lano, 187$. L'apertura della. sessione venne fissata. al giorno lO gen- naio 1859: alla. compilazione del discorso della corona si pen- [ LETTURE DEL RISORGIMENTO. 415 sava fin dagli ultimi giorni di dicembre. Né la riflessione era soverchia, poiché non si doveva. avere soltanto l'intendimento di corrispondere alle necessità. della politica interna. ed al1e speranze degli Italiani, ma in pari tempo si doveva evitare il pericolo di destare all' estero apprensioni premature e di per- dere il favore dell ' opioione pubblica in Europa l naturalmente pronta a colpire con la. sua riprovazione il sovrano ed il go- verno che si atteggiassero a provocatori ed a perturbatori della pace. Era del pari indispensabile di udire l'avviso dell' impe - ratore dei Francesi, il quale doveva aver tanta parte all ' attua- zione del gran disegno. Ricevendo il corpo diplomatico alle Tuileries il primo giorno del 1859, Napoleone III si era rivolto in modo speciale all' ambasciatore austriaco barone Hiibner, e gli aveva detto - Mi duole che le nostre relazioni siano cosi cattivej dite tuttavia al vostro sovrano, che i miei senti- menti pel' lui non sono cambiati --o Non erano parole dette a caso pronunciate invano. Tutti i diplomatici le udi- rono e si affrettarono a darne contezza ai loro rispettivi go- verni. Non isfuggi a nessuuo la significazione gravissima che esse raccbiudevano: minacciose a Vienna, toroarono a To- rino di incoraggiamento e speranza l e rendevano piu agevole la compiJazione del discorso della corona. Si lavorò un pezzo a tro\"are la forma definitiva, Quelli che parteggiavano per le locuzioni piu spiccate e piu audaci erano il ed il conte di Cavourj e l'imperatore Napoleone III, pur consigliando ,pru- denza, abbondava nel loro senso. La sera del 7 di gennaio il conte di Cavour ebbe una nuova conferenza col l'e, il quale esaminò attentamente il discorso, scrisse di suo pugno alcune variazioni, segnatamente in quel periodo che accennava alle cose finanziarie, e concordò col suo ministro le parole diven- tate storiche, il grido di dolore, che erano state accennate e suggerite da Napoleone ilI. Il consiglio dei ministl'i si radunò la sera del giorno 8 e la mattina. del 9, ma la decisione finale pendeva. ancora dubbiosa. Ad ora inoltrata -della notte giunse un telegra.mma da Parigi, nel quale l' imperatore Napoleone si compiaceva di quelle parole e lodava l' di pro-

Transcript of Giuseppe Garibaldi

414 LETTURE DEL RiSORGIMENTO.

quelli di guerra, ci sarebbe sempre un altro che era soLto questo rispetto pill. còrsG di lui, il principe Napoleone, il qU:l.le r onta

di quel rifiuto se la. sarebbe legata. al dito. Unirsi strettamente Piemonte a Francia, casa Savoia ai Napoleonidi , nelle condi­zioni presenti essere il migliore, l'unico buon partito: o la. guerra sarebbe stata felice, e a Vittorio Emanuele assicurata la. corona d' Italia, a Napoleone la durata della dinastia in Francia, l' una cosa afforzatrice dell' altra; o sarebbe stata di­sastrosa, e allora nessuna pili alleanza princi pesca possibile a casa Savoia. Non badasse a vane considerazioni di certi pre­giudizi aristocratici: se il proposto sposo non era di antica regia stirpe, apparteneva a famiglia a cui aveva dato più cbe regio splendore la gloria del gran Napoleone, era congiunto prossimo del sovrano del piu florido e potente impero d' Europa,

e d'altronde era figlio egli stesso d'una prindpessa di sangue reale purissimo dei regnanti del Wurtemberg, Riguardo alla fe­licitù, della principessa, questa non era da cercarsi nel sangue pili o meno regio dello sposo: si rammentasse il re di tutte le principesse di casa Savoia dalla fiDe del secolo scorsO al pre­sente, accasate in regi connubi e tutte it;"relicissime: aversi da aspettare quella felicità dai meriti dello sposo j e nel principe Napoleone, guarito oramai da certi bollori giovanili, trovarsi meriti di cuore: egli cosi fedele alle amicizie j generoso mece­nate, liberale e magni-fico j meriti di ingegno j egli studioso, fre­quentatore di dotti, non ignaro di nessuna nobile disciplina,

LIII.

Giuseppe Massari.

Il discorso della corona n di lO gennaio 18;')9.

Dal cap. XLIX di La vita ed il regn.o di Vittorio Emanuele li) Mi­lano, 187$.

L'apertura della. sessione venne fissata. al giorno lO gen­naio 1859: alla. compilazione del discorso della corona si pen-

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sava fin dagli ultimi giorni di dicembre. Né la riflessione era soverchia, poiché non si doveva. avere soltanto l'intendimento di corrispondere alle necessità. della politica interna. ed al1e speranze degli Italiani, ma in pari tempo si doveva evitare il pericolo di destare all' estero apprensioni premature e di per­dere il favore dell' opioione pubblica in Europa l naturalmente pronta a colpire con la. sua riprovazione il sovrano ed il go­verno che si atteggiassero a provocatori ed a perturbatori della pace. Era del pari indispensabile di udire l'avviso dell' impe­ratore dei Francesi, il quale doveva aver tanta parte all' attua­zione del gran disegno. Ricevendo il corpo diplomatico alle Tuileries il primo giorno del 1859, Napoleone III si era rivolto in modo speciale all' ambasciatore austriaco barone Hiibner, e gli aveva detto - Mi duole che le nostre relazioni siano cosi cattivej dite tuttavia al vostro sovrano, che i miei senti­menti pel' lui non sono cambiati --o Non erano parole dette a caso né pronunciate invano. Tutti i diplomatici le udi­rono e si affrettarono a darne contezza ai loro rispettivi go­verni. Non isfuggi a nessuuo la significazione gravissima che esse raccbiudevano: minacciose a Vienna, toroarono a To­rino di incoraggiamento e speranza l e rendevano piu agevole la compiJazione del discorso della corona. Si lavorò un pezzo a tro\"are la forma definitiva, Quelli che parteggiavano per le locuzioni piu spiccate e piu audaci erano il r~ ed il conte di Cavourj e l'imperatore Napoleone III, pur consigliando ,pru­

denza, abbondava nel loro senso. La sera del 7 di gennaio il conte di Cavour ebbe una nuova conferenza col l'e, il quale esaminò attentamente il discorso, scrisse di suo pugno alcune variazioni, segnatamente in quel periodo che accennava alle cose finanziarie, e concordò col suo ministro le parole diven­tate storiche, il grido di dolore, che erano state accennate e suggerite da Napoleone ilI. Il consiglio dei ministl'i si radunò la sera del giorno 8 e la mattina. del 9, ma la decisione finale pendeva. ancora dubbiosa. Ad ora inoltrata -della notte giunse un telegra.mma da Parigi, nel quale l' imperatore Napoleone si compiaceva di quelle parole e lodava l' in~ndimeoto di pro-

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nUDciarle. Le perpl{lssità cessar0110. Il 1'6 di buon mattino

leggeva e rileggeva il discorso, perché voleva. che anche 1'ac­cento col quale l'avrebbe pronunciato corrispondesse all' in­tendimento che lo- aveva dettato . Si doleva di avere un po' di male di gola, e con l'usata giovialità diceva al conte di Cavour: - Ho paura che il primo tenore con questo maledetto mal di gola non canterà bene la sua parte -. Si sbagliava: non astante il mal di gola pronunziò quelle parole a meraviglia: la vivacità dell' interno convincimento, la coscienza del grande atto che compiva, gl' infiammavano J1 animol gl' ingagliardivano la voce. Mentre saliva le scale del palazzo Madama, vide fra i compo­nenti della deputazione del senato che si recava ad incontrarlo il senatore Luigi Cibrario che gli era specialmente caro, e con volto ridente gli disse: - Sentirh, caro Cibrario, che belle cose.-

La mattina del lO gennaio 1859, l'aspetto dell' aula di pa­lazzo Madama era oltre 1'uaato imponente. Le l'imembranze del passato s'intrecciavano con le speranze e con la fiducia nell' avvenire. Li Vittorio Emanuele aveva pronunciato il giu­ramento solenne che doveva compendiare la sua vita : li si era .piu volte rivolto e non indarno al senno ed al patriotismo del parlamento e del suo popolo: li aveva pronunciato spesso pa­role di prudenza e di rassegnazione virile: li quella mattina pronunziava le parole ardenti di chi sente nell' animo la gioia procellosa e trepida di un grande disegno.

Quando apri il foglio di carta che doveva leggere, fu S1-.1enzio profondissimo: tutti pendevano dalle auguste labbra.

Il segreto era stato gelosamente custodito, e la impazienza di sentire ciò che il re avrebbe detto era grandissima. Egli gittò

intorno all' aula uno sguardo fiammeggiante, e poi con voce che, fioca in sulle prime, andò man mano pigliando vigore e colorito, lesse :

Signori senatori, Signori deputati,

La nuova legislatura, inaugurata or fa un anno, non ha fal­lito alle speranze del paese, alla mia aspettazione. Meùiante il

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suo illuminato e leale coneorso noi abbiamo superate le - diffi­coltà della politica interna ed esterna, l'enden-do cosi piu saldi quei larghi principii di nazionalità e di progresso sui quali riposano le nostre libere istituzioni. Proseguendo nelIa mede­sima via, porterete questo anno nuovi miglioramenti Dei varii rami della legislazione e del)a pubblica amministrazione.

Nella scorsa sessione v i furono presentati alcuni proO'e~ti . o Intorno all' a.mministrazione della ginstizia. Riprendendone Y interrotto esa.me, confido che in questa verrà provveduto al riordinamento della magistratura, alla istituzione delle corti di assisie ed alla revisione del codice di procedura.

Sarete di nuovo 'chiamati a deliberare intorno alla l'iforma dell' amministrazione dei comuni e delle provincie. Il vivissimo desiderio che essa desta vi sarà di eccitamento a dedicarvi le speciali vostre cure.

Vi saranno proposte alcune modificazioni alla legge sulla guardia nazionale, affinché, serbate intatte le basi di questa nobile istituzione, sieno introdotti in essa quei miglioumenti suggeriti dall' esperienza, atti a rendere la sua azione piu ef­ficace in tutti i tempi. La crisi commerciale, da cui non andò immune il nostro paese, e la calamità che colpi ripetutamente· la prin~ipale nostra industria, scemal'ono i proventi dello stato; ci tolsero di vedere fin d'ora realizzate le concepite speranze di un compiuto pareggio tra le spese e le entrate pubbliche. Ciò non v' impedirà di conciliare, nel P esame del futuro bilancio, i bisogni dello stato cOI principii di severa economia.

Signori senatori, Signori deputati,

L'orizzonte, in mezzo a cui sorge il nuovo anno, non è pie­namente sereno. Ciò non di meno vi accingerete colla consueta alacrità ai vostri lavori parlamentari.

Confortati dall' esperienza del passato, andiamo risoluti in­contro all' eyentualità dell' avvenire. Quest' avvenire sarà felice . , nposando la nostra politica sulla giustizia, sull' amore della

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libertà. e della patria. Il nostro paese, piccolo per tenitorio, acquistò credi to nei consigli dell' Europa percllé grande per le idee che rappresenta, per le simpati~ che esso ispira. Questa condizione non è scevra di pericoli; giacché, nel mentre rispet­tiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d' Italia si leva. verso di noi.

Forti per la. concordia., fidenti 11el nostro buon diritto, aspettiamo prudenti e decisi i decreti della divina provvidenza.

Ad ogni periodo il discorso venne interrotto da applausi fra­gorosissimi e dalle grida di - Viva il Re -, ma, qunndo si udi­rono le parole grido di dolo1'e, fu un entusiasmo indescri vibile. Senatori, deputati, spettatori si levarono repentinamente in piedi e prol'uppero in acclamazioni vivissime. I ministri di Francia, di Russia, di Prussia e d'Inghilterra rimiravano at­toniti e .commossi lo spetta~oIo meraviglioso. L'incaricato d'af­fari di Napoli aveva il volto cosparso di cupo pallore. Noi poveri esuli non tentavamo nemmeno di asciugare le lagrime che copiose ed infrena.bili ci sgorgavano dagli occhi, e batte­vamo freneticamente le mani a quel re che pensava ai nostri lutti e ci prometteva una patria. Prima che le vittorie le an­nessioni ed i plebisciti gli conferissero la corona d' Italia, egli regnava. nei nostri cuori, egli era il nostro re.

La stessa sera il testo del discorso era recato di là dal 'ri­cino da persone appositamente venute da Milano a Todno' e

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nel glOrm susseguenti era letto e diffuso nella rimanente Eu-ropa. Dovunque l'impressione fu grandissima. A tutti gli ita­liani parve udire, ed era, lo squillo della tromba di risurre­zione.

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LlV.

Giuseppe Garibaldi.

Combilttimenti (li Varese e di Como.

Dal cap. XI delle Mem o1·je au tobiogro fiche, Firenze, Barbera, 1888.

Credo fosse il 17 maggio 1859. Eravamo sulla. terra. lom­barda.! al cospetto della potente dominatrice che da. dieci anni preparava il suo esercito vittorioso, ch'essa. ora credeva. invin­cibile, a compiere ciò che le era. mancato a Novara; forse so­gnando piacevolmente di metter le ugne delP aqu ila. sua sull' in­tiera penisola. Eravamo tremila, il bagaglio era poco, giacché avevamo lasciato il sacco della gente a Biella. I carri avevano avuto ordine di fermarsi in Piemonte, meno pochi destinati alle munizioni. Alcuni muli per le stesse e per l'ambulanza erano stati provveduti dall' egregio ed instancabile Bertani capo chirurgo.

Da. Sesto Calende marciai colla brigata a Varese. Ne1la notte Bisio col suo battaglione prese per la sponda del Lago Maggiore verso Laveno, con ordine di fel'mar3i sullo stradale che da quel punto mette a Varese. De Cristofol'is rimase a

Sesto colla sua compagnia per tenerci aperte le comunicazioni col Piemonte.

Gli austriaci, sapendoci a Sesto Calende, mandarono una forte ricognizione, e vi trovarono De Cristoforis colla sola sua compagnia. Quel prode non contò il nemico, si battè risoluta.­mente, e dopo una onorevole pugDl~ ripiegò sul distaccamento di Bi'xio. Tale era stato il concerto, perché io era ben persuaso di non poter con si poca forza tenere P importantissimo punto di Sesto Calonde. Gli austriaci però, con quella loro caratte­ristica prudenza, non lo tennero nemmeno essi , e si ritirarono su 1\1ilano.

Frattanto le popolazioni lombarde si animavano. Non v' era. da sperare da questo buon popolo una di quelle insurrezioni