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109 L’evoluzione dei poteri della Banca d’Italia dall’Unità al 1936 di Giuliana Veltri 1 Introduzione Il presente lavoro, in modo sintetico considerata l’ampiezza dell’argomen- to trattato, evidenzia le principali tappe che hanno segnato le molteplici tra- sformazioni della Banca d’Italia, dall’Unità sino alla riforma bancaria del 1936, alla luce delle recenti ricerche effettuate da A. Polsi, P. Pecorari, F. Bonelli, F. Balletta, F. Belli, G. Guarino e G. Toniolo 2 . Il percorso che abbiamo deciso di intraprendere non vuole essere solo una rassegna di fatti storici quanto, piuttosto, la valutazione attenta di quelli che sono i fattori che hanno determinano il passaggio della Banca d’Italia, come banca di emissione tra le altre banche, a banca centrale. Primo, fra tutti que- sti fattori, è l’istituzione della Vigilanza come compito specifico della Banca d’Italia. Siamo partiti dal tentativo di ricostruire i rapporti tra banca centrale ed autorità di governo, in una prospettiva istituzionale al fine di comprendere attraverso quale strada si è formata quella tradizione di autorevolezza e di 1 Giuliana Veltri, dottoranda di Storia Economica, dipartimento di Analisi dei Pro- cessi Economico-Sociali, Linguistici, Produttivi e Territoriali, facoltà di Economia [Fede- rico II] di Napoli. 2 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia. Il governo della moneta e del sistema ban- cario dallOttocento ad oggi; P. Pecorari, La fabbrica dei soldi. Istituti di emissione e que- stioni bancarie in Italia 1861-1913; F. Bonelli, La Banca d’Italia dal 1894 al 1913 e La crisi del 1907: una tappa dello sviluppo industriale in Italia; F. Balletta, Storia eco- nomica secoli XVIII-XX e Un colpo mancino assestato al mezzogiorno d’Italia: l’unificazio- ne dell’emissione di cartamoneta nel 1926; F. Belli, Legislazione bancaria italiana 1861- 2003; G. Guarino e G. Toniolo, La Banca d’Italia e l’economia di guerra. 1914- 1919.

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L’evoluzione dei poteri dellaBanca d’Italia dall’Unità al 1936

diGiuliana Veltri1

Introduzione

Il presente lavoro, in modo sintetico considerata l’ampiezza dell’argomen-to trattato, evidenzia le principali tappe che hanno segnato le molteplici tra-sformazioni della Banca d’Italia, dall’Unità sino alla riforma bancaria del1936, alla luce delle recenti ricerche effettuate da A. Polsi, P. Pecorari, F.Bonelli, F. Balletta, F. Belli, G. Guarino e G. Toniolo2.

Il percorso che abbiamo deciso di intraprendere non vuole essere solo unarassegna di fatti storici quanto, piuttosto, la valutazione attenta di quelli chesono i fattori che hanno determinano il passaggio della Banca d’Italia, comebanca di emissione tra le altre banche, a banca centrale. Primo, fra tutti que-sti fattori, è l’istituzione della Vigilanza come compito specifico della Bancad’Italia.

Siamo partiti dal tentativo di ricostruire i rapporti tra banca centrale edautorità di governo, in una prospettiva istituzionale al fine di comprendereattraverso quale strada si è formata quella tradizione di autorevolezza e di

1 Giuliana Veltri, dottoranda di Storia Economica, dipartimento di Analisi dei Pro-cessi Economico-Sociali, Linguistici, Produttivi e Territoriali, facoltà di Economia [Fede-rico II] di Napoli.

2 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia. Il governo della moneta e del sistema ban-cario dall’Ottocento ad oggi; P. Pecorari, La fabbrica dei soldi. Istituti di emissione e que-stioni bancarie in Italia 1861-1913; F. Bonelli, La Banca d’Italia dal 1894 al 1913 eLa crisi del 1907: una tappa dello sviluppo industriale in Italia; F. Balletta, Storia eco-nomica secoli XVIII-XX e Un colpo mancino assestato al mezzogiorno d’Italia: l’unificazio-ne dell’emissione di cartamoneta nel 1926; F. Belli, Legislazione bancaria italiana 1861-2003; G. Guarino e G. Toniolo, La Banca d’Italia e l’economia di guerra. 1914-1919.

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accumulo di poteri su di una istituzione, che per molti versi «costituisce unqualcosa di unico nel panorama istituzionale ed amministrativo del paese»3.

Dobbiamo considerare che l’originaria rilevanza della Banca di emissione,in termini di politica monetaria, era strettamente connaturata alla sua ten-denza a divenire “centrale”. La riflessione è che tale sviluppo si trova in lineacon la tradizione storica della semplice banca, della banca ordinaria. Si tratta,cioè, di un processo che inizia con l’emissione di titoli rappresentativi didepositi, circolanti soprattutto con finalità di sostegno del funzionamento edell’efficienza dei pagamenti. Tuttavia, a questo ruolo originario si affiancauna funzione tipicamente creditizia. Questo elemento è il primo passo impor-tante per l’attribuzione, all’Istituto di emissione, di specifiche responsabilitàmonetarie in senso stretto.

Storicamente, infatti, le notevoli responsabilità monetarie assegnate allaBanca d’Italia, scaturirono da questa nuova concezione: all’incombenza inizia-le di provvedere al supporto del circuito dei pagamenti – con la diffusione deibiglietti di banca, solo rappresentativi dell’unica “vera moneta”, ossia l’oro co-niato – si sostituì la missione di assicurare la convertibilità della moneta rap-presentativa.

In questo contesto, però, la Banca d’Italia si trovò sempre in una posizio-ne secondaria: l’influenza primaria, infatti, era ancora rappresentata dallamoneta aurea emessa dallo Stato o dalla banca per concessione statale. Tutta-via, l’esperienza maturata nell’esercizio di questo ruolo secondario, consentiràdi eludere il conflitto tra la politica monetaria della banca centrale, tanto chegiunge a precludere ogni possibilità di una sua concezione4.

Nei regimi monetari che adottarono il sistema aureo bastava attenersi alle«regole del gioco» di un meccanismo automatico in cui l’oro si «prende[va]cura di se stesso: travalica[va] liberamente […] le frontiere e con ciò mate-rialmente restringe[va] o allarga[va] la circolazione monetaria di cui [era] l’u-nico componente»5, potendo essere tramutato da moneta a merce e viceversa,con estrema facilità. Ora, però, si verifica che l’emissione dei biglietti e la con-cezione creditizia degli stessi farà in modo che, all’originaria rappresentativitàdel biglietto, si accompagni una «rappresentatività creditizia del biglietto»6,corrispondente solo in parte, (precisamente per l’ammontare della “riserva fra-

3 A. Polsi, Introduzione a Stato e Banca Centrale in Italia. Il governo della moneta e delsistema bancario dall’Ottocento ad oggi, Editori Laterza, Roma-Bari 2001, pag. VIII.

4 Cfr. J.H. Williams, Monetary Stability and the Gold Standard, ristampato in Postwar Monetary Plans and other Essays, New York 1945, pag. 183.

5 A. Ferrari, Politica monetaria, evoluzione e aspetti odierni, Giuffrè, Milano 1959, pag.21.

6 Ibidem, pag. 22.

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zionale”), alla moneta metallica. Perciò il criterio della razionalità delle riser-ve avrà, ovviamente, l’assenso dello Stato poiché consente allo stesso, in cam-bio di concezioni di privilegi sull’emissione, di poter richiedere alla banca,anche senza l’effettivo deposito del metallo corrispondente, l’emissione dibiglietti convertibili in oro.

Lo Stato, infatti, non avrebbe avuto nessuna convenienza a rinunciare al-l’aiuto delle banche di emissione. Ecco come si spiega perché il potere mo-netario si presenti originariamente come un potere che, pur derivando da unaconcessione dello Stato, tende naturalmente alla banca centrale.

Tale concessione, nella fase iniziale dello sviluppo della banca centrale,costituirà la base per una coesistenza di una politica monetaria dello Statoaccanto ad una propria della “banca centrale”.

Inoltre, il ricorso all’Istituto di emissione, da parte delle autorità statali,si giustificava con l’incapacità dello Stato, debitore della Banca per esigenze dibilancio, di generare autonomamente quel clima di fiducia necessario alla rea-lizzazione di proprie e dirette emissioni fiduciarie.

Abbiamo scelto di partire dall’Unità Nazionale, poiché fu in seguito allapolitica bancaria post-unitaria del governo del Regno che si registrò la pre-senza, nel sistema bancario del tempo, di un primo embrionale nucleo dellamoderna banca centrale.

L’espressione “banca centrale” comparve per la prima volta, in uno scrittodell’economista genovese Boccardo7. Essa designava il vertice dell’assetto, teo-ricamente primordiale, che avrebbe dovuto assumere il sistema creditizio. Unassetto che attribuiva alla “banca centrale” la moderna funzione di “bancadelle banche”, cioè di prestatore di ultima istanza, tramite il risconto, per lebanche minori8.

Le tappe più rilevanti di questo processo sono identificabili nelle vicenderiguardanti il monopolio delle emissioni, le relazioni intercorrenti tra istitutocentrale e banche ordinarie, nei rapporti instaurati tra banca centrale ed auto-rità governative, le leggi bancarie del 1926 e del 1936. In particolare ci siamosoffermati sul ruolo del monopolio e sulle evoluzioni delle normative dellavigilanza. Attraverso il riconoscimento del monopolio dell’emissione si assistealla definitiva realizzazione del concetto di banca centrale. La funzione qualifi-cante del monopolio nei confronti della banca centrale è, del resto, supportatadalla importanza dottrinale della cosiddetta teoria del “central banking”. Lafase storica in cui viene attribuito alla Banca d’Italia il monopolio delle emis-

7 Cfr. A. Gigliobianco, Tra concorrenza e collaborazione: considerazioni sulla natura deirapporti fra “Banca centrale”e sistema bancario nell’esperienza italiana (1844-1918), in S. Car-darelli, Ricerche per la storia della Banca d’Italia, vol. I, Laterza, 1990.

8 Cfr. M.H. De Kock, Central Banking, Londra 1954, pagg. 26 e ss.

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sioni costituisce, infatti, il momento in cui viene ufficialmente riconosciuto,sia sul piano normativo che sul piano dottrinale, il prestigio della propria fun-zione. Ed è anche il momento in cui la Banca d’Italia acquista la “fieracoscienza” della propria autorità, che le consentirà, nel prosieguo del suo cam-mino, di affermarsi come una delle più prestigiose ed autorevoli istituzionidella storia italiana.

Per la funzione di vigilanza della Banca d’Italia, abbiamo cercato di svi-lupparne la parabola storica, i cambiamenti che ha prodotto ed i suoi obietti-vi nel sistema finanziario italiano. Ci siamo trattenuti, a tal fine, sulle leggidel ’26 e del ’36, poiché è a partire da esse che la vigilanza affronta positiva-mente i cambiamenti che hanno reso la finanza e gli scambi continuativa-mente dinamici su qualunque asse temporale e spaziale.

1. Banche di emissione senza banca centrale

«Vi sono banche di emissione che sono alimentate e sostenute dalla ric-chezza nazionale. Esse rispecchiano, in tal caso, la prosperità di un paese che,come la Francia, abbonda di mezzi monetari metallici, oppure, come l’Inghil-terra, possiede strumenti di credito perfezionati e un commercio mondiale trai più cospicui. Ve ne sono altre, invece, che per l’attività che svolgono sonochiamate a risanare e a migliorare l’ambiente economico in cui vivono»9.

«L’autonomia decisionale della banca centrale, in un paese e in un sistemaeconomico e sociale come il nostro, caratterizzato da una debole accumulazio-ne di capitale, è molto limitata. Quando la politica monetaria e creditizia èuna delle poche leve, probabilmente l’unica, di cui il governo disponga peradattare la propria politica economica, questo non accresce il potere dellabanca centrale. Al contrario: lo condiziona e lo diminuisce fortemente […].Da noi […] la banca si deve far carico di responsabilità che in altri paesi nonincombono sulle autorità monetarie»10.

La Banca d’Italia è una delle istituzioni che, in Italia, gode di grandeautorevolezza. È stato l’istituto di emissione che ha svolto funzioni di bancacentrale (fino alla fine del ’900), di monopolio della vigilanza sul sistema cre-ditizio, di antitrust sul sistema bancario. «Uomini provenienti dal suo inter-no hanno occupato e occupano cariche di primo piano in organi istituzionali

9 M. Luzzatti, B. Stringher, C. Vivante, Consultation pour la Banque Nationale deRoumanie, Roma 1915, trad. It. a cura di F. Bonelli, La Banca d’ Italia dal 1894 al 1913,Roma-Bari 1991, pag. 60.

10 G. Carli, Intervista sul capitalismo italiano, a cura di E. Scalari, Roma-Bari 1977,pagg. 45 e 46.

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ed amministrativi, secondo un processo di osmosi che non ha uguale neglialtri paesi più avanzati»11.

Come sostiene Polsi, in Stato e Banca Centrale in Italia, le banche centralinascono in relazione ad una esigenza di politica monetaria: esse devono garan-tire sufficiente elasticità al mercato monetario. Pertanto, alla base del poterestraordinario acquisito in Italia dal sistema bancario sta, fondamentalmente,l’innestarsi di una scelta politica di fare della manovra monetaria lo strumen-to principale e, in talune circostanze, unico regolatore dell’intervento delloStato in economia, su di una situazione già preesistente di marcata dissocia-zione tra risparmiatori ed investitori.

«Nella stessa direzione di questa scelta, più o meno consapevole, macomunque volontaria, delle forze politiche che hanno governato l’Italia neldopoguerra e fondamentalmente della DC, hanno operato gli effetti di unaprogressiva perdita di controllo della spesa corrente nel settore pubblico e lainsufficienza dello Stato nel reperimento delle entrate fiscali»12. Si è venuto acreare per la banca centrale, soprattutto a partire dagli anni ’60, una specie distato privilegiato e, allo stesso tempo, di forte stato di necessità che l’ha indot-ta a fuoriuscire dai suoi compiti istituzionali.

La genesi delle banche centrali è legata alla diffusione della carta moneta,mentre l’acquisizione delle loro attuali funzioni è relativamente recente. Sto-ricamente la coniazione della moneta era una prerogativa regia e simbolo dellasovranità. L’uso della carta moneta e la costituzione delle prime banche diemissione si ebbe fra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo come privi-legio che il sovrano concede ai privati in cambio di prestiti alle finanze delloStato.

Si cominciò a comprendere che per l’espansione del commercio fossenecessario un incremento della quantità di moneta e del credito bancario, cheproprio i nuovi istituti, di solito forme di società anonima, potevano garanti-re. Così, all’inizio dell’800, «quando si diff[use] in Europa l’economia politi-ca, si pens[ò] che la stabilità della moneta e la sua efficienza come mezzo dipagamento dipend[evano] dall’aggancio del segno monetario all’oro e alrispetto di norme prudenziali nella emissione. Le banche di emissione [furo-no] ritenute necessarie […] ma la loro azione [venne] rivestita da numeroselimitazioni per evitare pericolosi eccessi nella emissione di banconote, tali damettere in pericolo il valore stesso della moneta»13.

11 A. Polsi, Introduzione a Stato e Banca Centrale in Italia. Il governo della moneta e delsistema bancario dall’Ottocento ad oggi, Editori Laterza, Roma-Bari 2001, pag. VIII.

12 L. Barca e G. Vanghetti, L’Italia delle Banche, Editori Riuniti, Roma 1976,pag. 21.

13 Ibidem.

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Alla metà dell’800, la banca di emissione era nei paesi più avanzati, allosnodo di due mercati: quello monetario e quello creditizio, su cui agiva con leproprie operazioni dirette ed alla cui stabilità contribuiva attraverso il cosid-detto credito di ultima istanza. Nasceva, pertanto, la consapevolezza che labanca di emissione era un’istituzione che dominava il resto del sistema banca-rio, pur continuando ad agire in concorrenza con le altre banche.

All’indomani del disordine monetario dei primi anni ’20 del ’900 e delfaticoso processo di ricostruzione del sistema monetario, si cominciò a teoriz-zare la posizione delle banche di emissione come banche centrali. Se questonon portò a cambiamenti giuridici delle imprese che, infatti, continuarono adessere private, tuttavia le arricchì di compiti e responsabilità tanto da trasfor-marle in organismi istituzionali volti a salvaguardare la stabilità monetariainterna ed internazionale.

La grande crisi del 1929 ed il crollo del sistema monetario del 1931inflissero un duro colpo al prestigio delle banche centrali ed alla loro indipen-denza. Si avvertì l’esigenza di forme di controllo e regolamentazione del mer-cato monetario e creditizio per garantire un maggiore interesse generale eprese avvio, negli anni ’30, la stagione delle grandi leggi bancarie, che, in undecennio finirono per attirare le banche di emissione nella sfera delle istitu-zioni pubbliche e per sottoporre i sistemi bancari ad un insieme di regole econtrolli a volte affidati alla stessa banca centrale, a volte ad apparati gover-nativi14. Fu questo anche il periodo della collaborazione fra banche centrali egoverni durata fino all’inizio degli anni ’70, cioè fino a quando lo shock petro-lifero e le sempre crescenti spese dei sistemi di welfare misero di nuovo in‘forse’ l’obiettivo della stabilità monetaria con le politiche di spesa dei gover-ni, evidenziando come le principali determinanti della stabilità monetariasiano, a pari titolo, il bilancio statale e la politica della banca centrale.

Si accesero, di conseguenza, nuovi dibattiti: il tema dell’autonomia dellebanche centrali rispetto ai governi e politiche di bilancio ritenute non sempreaffidabili per il mantenimento della stabilità monetaria; il tema della possibi-lità di un sistema bancario libero o, quanto meno, un sistema monetario senzabanca centrale15.

L’Italia seguì con tempi propri questi cicli istituzionali: la Banca d’Italianacque solo nel 1893 e bisognerà attendere il 1926 per stabilire il monopoliodell’emissione. Tuttavia, prima che altrove, nacque, in Italia, la consapevolez-

14 Cfr. M. De Cecco, Introduzione a L’Italia e il sistema finanziario internazionale1918-1936, Editori Laterza, Roma-Bari 1993, pagg. 3-19.

15 Sono importanti per la trattazione di quest’ultimo tema gli studi di WalterBagehot in Lombard Street e di Vera Smith in The Rationale of Central Banking.

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za che una banca di emissione fosse anche un’istituzione orientata ad utilizza-re i propri strumenti operativi per favorire la crescita economica del paese.

All’indomani della proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, furonoFrancia ed Inghilterra i principali Stati europei che definirono gli standardmonetari accettati dagli altri paesi. Essi erano dotati di una “costituzionemonetaria” ben definita: l’Inghilterra usava un regime di circolazione basatosull’oro e già nel 1844 attribuì il monopolio dell’emissione di banconote allaBanca d’Inghilterra, richiudendo il privilegio entro rigidi limiti; la Franciamanteneva un regime di circolazione bimetallico (argento ed oro), mentre l’e-missione di banconote era monopolio della Banca di Francia dal 1848.

Per l’Italia l’atto legislativo di maggior rilievo fu la legge organica 24agosto 1862, più nota come legge Pepoli. Essa faceva della lira italiana l’unitàmonetaria legale per i pagamenti e l’unità di conto per le contabilità pubbli-che e private. Per quel che riguarda il “metallo”, pur in presenza di una situa-zione internazionale favorevole al monometallismo aureo, la legge Pepoli ebbeaccesso allo standard bimetallico francese, escludendo il monometallismo au-reo, ma anche altre soluzioni come la carta moneta inconvertibile ed il mono-metallismo argenteo. Diversamente dal settore metallico, l’ordinamento del-l’emissione cartacea non si ispirò a criteri di unità e ciò dipese da un conflittointerno all’equilibrio tradizionale le cui prime avvisaglie erano avvertibili nelcontrasto tra le prospettive centralistiche del Cavour e le spinte privatistichedei più importanti istituti bancari di Torino, Firenze e Bologna, «sommatisialle resistenze derivanti dalla natura “semipubblica” degli istituti meridionalie dagli stretti rapporti tra interessi economici locali ed esigenze della finanzastatale, il che indu[sse] a legare “la soluzione dei problemi della emissione e delcredito a quella del pubblico” e a protrarre “le scelte definitive”»16. L’emissionefu ritenuta un’iniziativa privata, ancorché sottoposta a vincoli di statuto esubordinata al controllo del governo. A monte di queste ragioni, stava lacarenza di volontà politica nei confronti di un problema a torto ritenuto menourgente, se non meno essenziale, di quello metallico17.

Degli istituti che, nel marzo 1861, avevano la facoltà di emettere cartamoneta al portatore, dotata di potere liberatorio legale, il maggiore era laBanca Nazionale degli Stati Sardi, nata nel 1849, dalla fusione della Banca diGenova con la Banca di Torino. Con l’annessione dell’Italia centrale, essaincorporò la Banca per le Quattro legazioni e la Banca Parmense con l’obiet-

16 P. Pecorari, La fabbrica dei soldi. Istituti di emissione e questioni bancarie in Italia1861-1913, Patron Editore, Bologna 1994, pagg. 16-20.

17 Cfr. V. Sannucci, Molteplicità delle banche di emissione: ragioni economiche ed effettisull’efficacia del controllo monetario, 1860-1890, in «Ricerche per la storia…», I, pagg.181-218.

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tivo di pervenire al più presto all’accorpamento di tutte le banche d’emissio-ne del paese. Ma tale processo trovò non poche difficoltà ed opposizioni. Ledifficoltà erano oggettive, perché i diversi regimi della circolazione monetariafra Nord ed ex Regno delle Due Sicilie – bimetallica ed ancorata all’area delfranco la circolazione piemontese, argentea al Centro Sud – rendevano diffi-coltosa l’operosità della Banca Nazionale, che prese il nome di Banca Nazio-nale nel Regno d’Italia. «Nel periodo che seguì l’Unità, il sistema bancario[…] si trovò di fronte a tre compiti principali: favorire l’integrazione dellerealtà economiche locali in un unico sistema nazionale; porre delle solide basiper il supporto dello sviluppo dell’agricoltura; sostenere – qualche anno piùtardi – il processo di industrializzazione che appariva sempre di più l’unica viada seguire per la modernizzazione del paese. Estremamente complesso risulta-va il primo scopo, per il raggiungimento del quale il governo contava anchesullo strumento monetario che avrebbe dovuto essere gestito da un unico isti-tuto di emissione»18. Tuttavia le opposizioni interne, soprattutto toscane emeridionali, impedirono il processo di unificazione nell’emissione dei bigliet-ti di banca e così, negli anni immediatamente successivi alla formazione dellostato unitario, erano cinque gli istituti che operavano in Italia oltre la BancaNazionale: due enti toscani, la Banca Toscana e la Banca Toscana di credito;due storici istituti meridionali quali il Banco di Napoli ed il Banco di Siciliae, dal 1870, la Banca dello Stato Pontificio (che assume il vecchio nome diBanca Romana). «Questi elementi – uniti alle preferenze espresse da alcunieconomisti all’epoca della scuola liberista, come Francesco Ferrara, che soste-nevano la validità di un sistema con pluralità di banche di emissione – nonimpedirono tuttavia alla Banca Nazionale di assumere di fatto una forte pre-minenza […]»19; basti tener presente che la Banca Nazionale deteneva, nel1873, i due terzi del capitale sociale degli istituti di emissione ed il sessantaper cento della circolazione20.

Ma facciamo un breve passo indietro. Nella prima parte degli anni ’60 siverificò in Europa, un momento di crescita economica e di sviluppo di istitu-zioni bancarie e finanziarie. Stando così le cose, in Francia ed in Inghilterra,ampi settori del mondo bancario cominciarono a contestare le posizioni di pri-vilegio delle rispettive banche di emissione. In Francia, il caso dei fratelliPereire, che riuscirono ad ottenere dal Parlamento una commissione per inda-

18 C. Bremond, Una rassegna del pensiero degli storici dell’economia su banche e creditonegli stati preunitari e nell’Italia liberale, 1815-1926, in «Rivista di Storia Finanziaria»,Napoli-Arte Tipografica, Napoli Luglio-Dicembre 2002, n. 9, pagg. 26 e 27.

19 Ibidem.20 Cfr. C. Supino, Storia della circolazione cartacea in Italia dal 1860 al 1928, Sei,

Milano 1929, pag. 61.

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gare sull’operato della Banca di Francia, inflisse a quest’ultima un duro colpoalla sua autorevolezza.

Alla luce di ciò, si comprende come in Italia, all’inizio del 1865, le argo-mentazioni a favore del monopolio dell’emissione e del conferimento dellatesoreria alla banca unica, si trovassero a fronteggiare una contestazione dot-trinaria da parte dei teorici di forme di free banking, ma soprattutto un climapolitico ed emotivo dell’opinione pubblica avverso alle istituzioni bancariemonopolistiche.

La situazione cambiò a partire dalla primavera del 1866: in previsionedella guerra fra Austria e Prussia, i mercati finanziari europei vennero attra-versati da forti turbolenze che provocarono un rialzo dei tassi di sconto e, nelcaso dell’Italia, il ritiro di ingenti capitali esteri investiti in Italia.

La breve, ma intensa crisi, finanziaria del maggio-giugno 1866 ebbe conse-guenze di lunga durata sugli assetti creditizi continentali. Essa si tradusse, aLondra, nel fallimento dei tentativi delle clearing house21 di svincolarsi dalla tute-la della Banca d’Inghilterra che riprese il suo ruolo centrale di banca di emissio-ne; in Francia, nella fine del caso Pereire a favore della Banca di Francia.

«In Italia le conseguenze sulle banche furono più gravi, in quanto ilpaese, alla vigilia di una nuova guerra con l’Austria, con i crediti esteri non piùrinnovati e la caduta delle quotazioni dei titoli del debito pubblico, fu costret-to ad una misura traumatica e lesiva dell’orgoglio nazionale appena ristabilito,quale la proclamazione del corso forzoso dei biglietti della Banca Nazionale.Agli altri istituti di emissione fu prescritto l’obbligo della convertibilità deibiglietti in moneta metallica o in biglietti della Banca Nazionale»22.

La misura potrebbe far pensare al monopolio dell’emissione a favore dellaBanca nazionale, ma, a ben vedere, il corso forzoso portò conseguenze rilevan-ti anche per le altre banche e, soprattutto, per i banchi meridionali, che vide-ro equiparare la loro circolazione di fedi di credito alle banconote. L’emissionediventò così la fonte principale di risorse anche per le banche di emissioneminori. Certo esisteva il vincolo di cambiare a vista i propri biglietti con quel-li della Banca Nazionale, ma la politica dei governi e lo stesso interesse dellaBanca Nazionale incrementarono al massimo tale operazione.

La dichiarazione del corso forzoso provocò l’espansione della moneta car-tacea, ponendo come urgente «la necessità di una regolazione legislativa delladelicata materia dell’emissione di moneta, non più affidabile a provvedimentiparziali adottati sotto la spinta dell’emergenza»23.

21 Le clearing houses sono istituti bancari specializzati nello sconto di cambiali. 22 A. Polsi, Stato e Banca in Italia… op. cit., pagg. 7 e 8.23 Ibidem, pag. 9.

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Tuttavia il dibattito sugli istituti di emissione cambiò: non era più possi-bile avere come obiettivo l’unificazione dell’emissione che appariva, ormai,difficilmente realizzabile, in quanto la forte liquidità immessa nel sistemaeconomico e la moderata inflazione che ne seguì, svolgevano una non debolefunzione di stimolo per l’attività economica, inoltre forte era l’avversioneverso la prospettiva di un monopolio dell’emissione non solo da parte deglioperatori economici del Mezzogiorno, ma anche dal principale centro finan-ziario del paese, ossia Genova, unita alle posizioni teoriche dei fautori dellalibertà di emissione. All’espansione della creazione della moneta premeva,però, un vincolo esterno che non si poteva trascurare: il rapporto di cambiocon il franco francese che, nei primi anni ’70, diede segni di deterioramento.

Alla luce di queste considerazioni riteniamo importante fare alcune valu-tazioni sulla circolazione monetaria. Come sostiene Pecorari, essa può esseredistinta in due periodi. Nel primo (fino al ’66) la “carta bancale” non svolge-va veramente la funzione della moneta ma, concorreva allo sviluppo dei com-merci e del credito. Il suo aumento avvenne in modo graduale conformemen-te alla crescita della pubblica ricchezza24.

Nel secondo periodo (dal ’67 al ’73), la circolazione raddoppiò quasi. L’au-mento si rivelò eccezionalmente rapido tra il ’71 e il ’73, interessando soprat-tutto la Banca Nazionale.

L’incremento della circolazione è meglio spiegabile se consideriamo ilfatto che accanto alle emissioni legali ve ne erano anche di abusive25. Leresponsabilità maggiori sono da attribuire alle banche ordinarie di deposito esconto, le banche popolari, gli istituti di credito agrario.

«La crescita debordante ed in molti casi abusiva della circolazione banca-ria, la diversa copertura dei biglietti nei vari istituti, l’esigenza di controllipiù adeguati, la carente normativa in materia di rapporti interbancari, l’im-portanza sempre maggiore assunta dalla Banca Nazionale, più volte chiamataa far fronte a richieste di prestiti da parte del governo e sempre più temuta daifautori del regime concorrenziale, l’inasprimento dell’aggio, l’urgenza di bloc-care la spirale inflazionistica, l’assenza di segni distintivi per i biglietti a corsoforzoso, e insieme le interconnessioni di ciascuno di questi elementi con glialtri re[sero] indilazionabile un riordino della complessa materia»26.

È necessario a questo punto richiamare alcuni fatti. Nel 1870-71 si ebbeil passaggio della capitale a Roma con conseguenti spese straordinarie e l’as-sunzione del debito pubblico relativo al Lazio, che incrementarono il deficit

24 P. Pecorari, La fabbrica dei soldi….op. cit., pagg. 42 e 43. 25 De Mattia, I bilanci degli istituti di emissioni…., pagg. 467-469 (tav. 7).26 P. Pecorari, La fabbrica dei soldi… op.cit., pag. 52.

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delle finanze statali, tenuto sotto controllo, fino al ’71, ma aggravatosi nel’72-73. Nel dicembre 1871, Sella (andato al governo nel 1870) espose allaCamera un piano finanziario per il quinquennio 1872-76, che nelle sue previ-sioni avrebbe consentito l’eliminazione del disavanzo. Il piano prevedeva: a)un nuovo prestito di 300 milioni con la Banca Nazionale, autorizzata ademettere una somma corrispondente di biglietti; b) la sospensione dell’am-mortamento del debito verso lo stesso istituto; c) la cessione del servizio ditesoreria ai quattro maggiori istituti di emissione (Nazionale nel Regno d’Ita-lia, Nazionale Toscana, Banco di Napoli e Banco di Sicilia)27. Per ottenerel’approvazione del piano, Sella accettò alcune modifiche richieste dalla Com-missione, tra le quali la rinuncia a trasferire il servizio di tesoreria.

Nel 1872, con la crescita dell’inflazione e della speculazione, Sella elaboròun progetto di legge volto a porre freno alla circolazione cartacea. Il progettonon andò a buon fine e, nel giugno 1873, la base politica dell’esecutivo cadde,aprendo la via a Minghetti che, tra l’estate del ’73 e la primavera del ’74, sot-toposto a molteplici pressioni di uomini d’affari e speculatori che volevanol’aumento della circolazione, ma consapevole che tale concessione avrebbeaggravato le condizioni di vita dei più deboli e scatenato la borghesia agrariaed industriale, oltre che i gruppi economici del Centro-Sud ostili ad ognirafforzamento della Banca Nazionale, presentò al Parlamento un progetto dilegge bancaria detto della “pluralità disciplinata”. Lo scopo era quello di rego-lare la circolazione «nel solo periodo del corso forzoso»28, ed allo stesso temporidurre il «regionalismo dei biglietti e [a] pareggiare le condizioni degli isti-tuti fra di loro e dirimpetto allo Stato»29.

Il progetto, diventato legge il 30 aprile 1874, istituì un Consorzio for-mato da sei banche di emissione (Banca Nazionale nel Regno di Italia, BancaNazionale Toscana, Banca Toscana di Credito, Banca Romana, Banco di Napo-li e Banco di Sicilia), cui si affidò il compito di emettere biglietti circolantiper conto dello Stato nel limite massimo di un miliardo. Ai biglietti consor-tili non fu attribuito il corso forzoso, ma solo il corso legale. Ogni banca pote-va emettere biglietti nei limiti del triplo del patrimonio posseduto e del capi-tale versato alla data del 14 dicembre 1873. I sei istituti non potevano varia-re il saggio di sconto senza autorizzazione governativa. Venne sancito il divie-to a privati, società o enti di emettere biglietti per tutta la durata del corsoforzoso30.

27 Ibidem.28 M. Minghetti, Discorsi parlamentari, raccolti e pubblicati per deliberazione della

Camera dei deputati, Roma 1890, pag. 408.29 Ibidem, pag. 409.30 P. Pecorari, La fabbrica dei soldi…, op. cit., pag. 52.

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Sebbene la legge sulla “pluralità disciplinata” regoli, per la prima volta,dopo l’Unità, l’attività di emissione e, talvolta venga considerata la prima leg-ge bancaria italiana, essa rappresentò una soluzione di compromesso in quan-to se diede un certo ordine al regime dell’emissione, riuscendo sia a limitarela circolazione per conto dello stato, sia ad influire positivamente sul mercatodei cambi e a sopprimere la carta moneta abusiva, risultò però inadeguatasotto altri profili. Lasciava irrisolto il problema del monopolio dell’emissionecome concreta alternativa al regime della concorrenza31; non soddisfaceva l’e-sigenza di conferire elasticità di offerta al circolante cartaceo; non affrontava ilnodo della vigilanza preventiva e non poneva le premesse per il ritorno dellaconvertibilità metallica.

2. La regolazione del mercato monetario dopo il 1874

Dopo l’entrata in vigore della legge sulla “pluralità disciplinata”, iniziò lalenta liquidazione della crisi internazionale verificatasi nel 1873, le cui riper-cussioni si avvertirono anche in Italia, dove si verificò la caduta dei prezzi,specie nel settore delle materie prime industriali e dei prodotti finiti per l’in-dustria. Per la circolazione dei biglietti del Consorzio non si apprezzaronoincrementi di rilievo grazie anche al raggiungimento del pareggio nel bilan-cio dello Stato che, dal 1875 al 1881, presentò degli avanzi.

Quest’ultimo dato è importante da considerare, poiché la cessazione deldisavanzo eliminava una delle cause che incidevano sulla crescita della circola-zione cartacea. Infatti, «rispetto ai limiti fissati dalla legge bancaria del ’74,non si [ebbero] in tali anni veri e propri sforamenti, ove si eccettuavano il casodella Banca Romana e, per un’unica volta, della Banca Nazionale»32. Sullabase dei progressi economici del Paese, (quali gli avanzi degli ultimi bilancidello Stato, l’aumento dei risparmi, i più favorevoli rapporti di credito e debi-to con l’estero, il rafforzamento della finanza pubblica e la migliorata situa-zione monetaria nazionale), il 15 novembre 1880 il ministro delle FinanzeAgostino Migliani presentò, alla Camera, un progetto di legge per l’abolizio-ne del corso forzoso. Ciò nonostante, vi era una fragilità di fondo del sistemadi cui Migliani non era consapevole. Sebbene molti siano gli elementi di

31 La legge sembrava venire incontro alla preoccupazione di incrementare la concor-renza fra gli istituti di emissione a vantaggio del mondo del commercio, ma non tenevapresente che proprio una concorrenza esasperata fra gli istituti, rischiava di compromet-tere la ritrovata stabilità della moneta e poteva anche portare le banche, impegnate allaricerca dei clienti, ad una cattiva valutazione dei rischi.

32 P. Pecorari, La fabbrica dei soldi …op. cit., pag. 52.

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ripresa economica, continuavano a permanere motivi di preoccupazione: i pro-blemi legati all’agricoltura che, specie per i cereali, il riso e la seta, non riu-scivano a fronteggiare la concorrenza europea; l’aumento del debito per l’eser-cizio statale delle ferrovie sia dell’Alta Italia sia di quelle Romane. Insomma,l’inversione di trend non eliminava la debolezza di fondo del sistema che, anzi,si accentuò con la recessione del 1883-84, la quale, in Italia, si accompagnòcon l’epidemia di colera e con la successiva crisi del 1887-88.

È facile intuire come il progetto di Migliani non trovò consenso da partedi tutti; tuttavia, superata l’opposizione parlamentare, esso divenne legge il 7aprile 1881(n. 133).

Venne pertanto abolito il corso forzoso: «il Consorzio degli istituti diemissione [doveva] essere sciolto entro il 30 giugno 1881 e i biglietti in cir-colazione [dovevano] diventare debito diretto dello Stato. [Fu] rinviata la fis-sazione del terminus a quo per l’apertura del cambio, come pure per la sostitu-zione dei biglietti di piccolo taglio con moneta divisionaria»33.

Con l’abolizione del corso forzoso l’aggio scomparve, il potere di acquistodella lira si rafforzò e ricominciarono ad affluire i capitali stranieri in Italia.Migliani, infatti, organizzò un grosso prestito estero, rimborsabile in oro, di644 milioni di lire, in gran parte raccolto a Londra sotto gli auspici dellaHambro & Co. e della Baring Brothers34. La maggior disponibilità di danaroinvogliò le banche a concedere più facilmente prestiti e lo Stato ad aumenta-re le proprie spese.

Negli anni 1885-93, le cose peggiorarono sotto l’aspetto monetario. Iproblemi economici più gravi erano due: la concorrenza dei prodotti agricolidell’America settentrionale portò ad una riduzione della prosperità dell’agri-coltura italiana; a seguito di prestiti bancari sconsiderati si verificò un boomedilizio a Roma e a Napoli, che poi si interruppe. Queste difficoltà lasciaronole maggiori banche con prestiti che i debitori non furono in grado di rimbor-sare. Invece di dichiararli crediti irrecuperabili, le banche li trasformarono increditi ipotecari a lungo termine e crearono sezioni di credito ipotecario, sulmodello Crédit Foncier, cui li trasferirono, oltre a concederne di nuovi, finan-ziati con l’emissione di obbligazioni e con fondi delle maggiori banche35.

Una situazione di particolare vulnerabilità, tra le sei banche di consorzio,l’aveva la Banca Romana, che oltre ad avere un’eccessiva espansione dei suoiprestiti, soffriva di saldi sempre più negativi nel reciproco rimborso dei bi-glietti. Avviò, così, una campagna per essere sollevata dalle proprie obbliga-zioni di rimborso, nuovamente appoggiata dal governo che non solo manten-

33 Ibidem, pag. 69.34 T. Canovai, Le Banche di emissione in Italia, Casa Editrice Ital., Roma 1912, pag. 48. 35 Ibidem, pagg. 62-70.

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ne la segretezza dell’operazione ma, nel 1891, la sollevò ufficialmente dall’ob-bligo di rimborsare i suoi biglietti.

Così, mentre la Banca Nazionale concedeva grossi prestiti alla Banca Roma-na non presentando i suoi biglietti per il rimborso, «la Banca Romana, che [era]già in una situazione disastrosa, si [gettò] a capofitto sulla via della rovina»36.

Il tutto avvenne per mano di un economista, Maffeo Pantaloni, che ottenneuna copia del rapporto dell’ispezione alla Banca Romana, completato nel 1889 –mantenuto segreto – e che rese pubblico nel 1893. Si rivelò per la Banca Roma-na l’esistenza di un vuoto di cassa di 20 milioni di lire e la stampa di biglietticon un numero di serie duplicato. Ma gravi irregolarità vennero alla luce anchepresso la Banca Nazionale, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, che emiserouna quantità di biglietti superiore ai limiti legali, cambiali di comodo, e unnumero eccessivo di cambiali in sofferenza37. Queste rivelazioni, assieme alle crisidi altre banche, portarono al collasso tutto il sistema bancario38.

3. La nascita della Banca Centrale in una situazione di emergenza

Giolitti, come capo del governo dal maggio 1893, fu costretto in tempirapidissimi a formulare una proposta di riforma delle banche di emissione, inun clima avvelenato dalle polemiche su presunti episodi di corruzione e dallacollusione di vertici politici con le banche di emissione. Lo stesso Giolittivenne travolto dallo scandalo e, quindi, costretto a dimettersi nel novembre1893. La situazione di emergenza non impedì, comunque, di varare la legge10 agosto 1893, che istituì la Banca d’Italia. «Una legge nata in un clima diforte sospetto e sfiducia verso le passate banche di emissione, contenentedisposizioni molto dure per gli azionisti della nuova società e una pesantetutela dell’esecutivo su di essa»39.

Vennero stipulate due “convenzioni”: la prima riguardava la fusione tra laBanca Nazionale nel Regno, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana diCredito; la seconda riguardava la fusione fra le prime tre e la Banca Romana ela liquidazione di quest’ultima.

Si giunse così alla legge 10 agosto 1893, che diede vita alla Banca d’Ita-lia40 prodotto della fusione di tre istituti. La facoltà di emettere biglietti,

36 Ibidem, pag. 108.37 F. Balletta, Storia economica secoli XVIII-XX, Arte Tipografica, Napoli 1991,

pag. 201.38 Ibidem.39 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 18.40 P. Pecorari, La fabbrica dei soldi….., op. cit., pagg. 115 e 116.

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attribuita dalla legge al nuovo istituto (art. 2) fu riconosciuta, per un periododi vent’anni, anche ai banchi di Napoli e di Sicilia. Il limite massimo norma-le della circolazione dei tre istituti di emissione fu stabilito in 908 milioni dilire dei quali 660 alla Banca d’Italia, 200 al Banco di Napoli e 48 al Banco diSicilia. Ai biglietti dichiarati convertibili in moneta metallica fu concesso ilcorso legale per la durata di un quinquennio nelle province in cui ciascun isti-tuto emittente disponeva di una sede, di una succursale o di una rappresen-tanza.

Norme rigorose furono fissate per la fabbricazione dei biglietti, cui parte-cipò anche lo Stato, che ad ogni biglietto appose un proprio contrassegno. Leoperazioni che i tre istituti erano autorizzati a compiere riguardavano, in parti-colare, lo sconto a non più di quattro mesi, le anticipazioni a non più di sei mesie la compravendita, in contanti di tratte e assegni sull’estero e di cambiali sul-l’estero, il ricevimento di depositi in conto corrente fruttifero. Erano vietatenuove operazioni di credito fondiario, come pure tutte le operazione in contocorrente allo scoperto. Le variazioni nel saggio di sconto venivano subordinatead approvazione del Ministero del Tesoro. Al governo spettava l’autorizzareall’apertura o chiusura di sedi e succursali ed agenzie. Gli istituti erano sottopo-sti alla vigilanza del Ministero dell’Agricoltura, industria e commercio, di con-certo con il Tesoro, ed un rappresentante del governo poteva intervenire alle riu-nioni degli elettivi, con la facoltà di sospendere le deliberazioni non conformialla legge. La nomina del direttore generale fu affidata al Consiglio superioredella Banca d’Italia, ma sottoposto ad approvazione del governo.

Pur mantenendo una pluralità di banche di emissione, la preminenzadella nuova Banca d’Italia sui due banchi meridionali fu tale da non dare piùadito a forme di concorrenza: ad essa si sostituì una sostanziale collaborazionefra le banche di emissione. La Banca d’Italia restò una società privata, ma ilcondizionamento posto dai pubblici poteri fu molto forte e ciò era riscontra-bile dagli eventi che seguirono subito dopo l’entrata in vigore della legge.

4. Il rapporto tra governo e Banca d’Italia

La riforma del 1893 e la nascita della Banca d’Italia, mutarono profonda-mente i termini del governo della moneta. La Banca fu obbligata a realizzareil risanamento dei propri conti senza gravare sul bilancio dello Stato ed, altempo stesso, dovette permettere una certa flessibilità nella circolazione senzaindebolire il cambio. In effetti, le condizioni del bilancio della Banca eranodifficili per la presenza delle immobilizzazioni dei passati istituti e dellaBanca Romana. Ciò determinava una pesante dipendenza dell’istituto di emis-sione dalle direttive del Tesoro. All’inizio, vi fu una forte contrapposizione tra

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governo ed azionisti della Banca, soprattutto quando, nel dicembre 1893,divenne ministro del Tesoro Sidney Sonnino.

Ma facciamo un breve salto indietro per determinare le cause che sono all’o-rigine di questo scontro, a tal fine valuteremo la situazione economica e moneta-ria dell’estate 1893. Nelle settimane successive al varo dell’Atto bancario, lasituazione economica e monetaria italiana peggiorò: il cambio su Parigi, crebbe41.Come conseguenza del ribasso della rendita, da una parte si verificò un forte rien-tro dei titoli, essendo più alte le quotazioni in Italia per il sostegno ricevuto attra-verso le banche di emissione42, dall’altra parte si ebbe una preoccupante esporta-zione di moneta metallica. Le banche dovettero fronteggiare un massiccio ritirodi depositi e molte vennero travolte dalle crisi. I casi più clamorosi furono quel-li della Società Generale di Credito Mobiliare Italiano e della Banca Generale.

5. Tra pubblico e privato

Dopo la riforma del 1893, la Banca d’Italia continuò a mantenere la suanatura di società privata, ma subì la forte presenza dello Stato: «era tenuta auna contemperazione fra interesse degli azionisti e interesse pubblico, in cui ilsecondo aveva ormai una certa preminenza grazie a pochi ma efficaci stru-menti di controllo sulle principali decisioni dell’istituto»43. Il mantenimentodella struttura privatista della Banca fu necessario per garantire sia l’efficacianella conduzione economica della società, sia a preservare il governo della mo-neta da un’ingerenza troppo pressante del potere politico. La facoltà del gover-no di nominare il direttore mise in ombra gli azionisti ma, a ben vedere, lanorma non modificò quelli che erano i loro poteri all’interno della Banca poi-ché, dalle sue origini, si era affermata nella Banca Nazionale una tradizione diguida autocratica sempre attenta ai rapporti con il governo.

Dopo il 1893, il ritorno economico degli azionisti risultò fortemente in-debolito, tuttavia essi, nonostante episodiche proteste, non seppero organizza-re un’opposizione efficace alla direzione di Giuseppe Marchiori (nuovo diret-tore generale della Banca d’Italia), né furono capaci di assumere iniziative dirilievo o posizioni di forza all’interno della società. «Storicamente gli organi-smi dirigenti della banca italiana non esprimevano una vera élite nazionaledella ricchezza e degli affari, ma tendevano a rappresentare geograficamentegli interessi delle varie parti del paese»44. Questa debolezza strutturale dell’a-

41 P. Pecorari, La fabbrica dei soldi..., op. cit., pag. 119.42 Ibidem, pag. 120.43 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 20.44 Ibidem, pagg. 21 e 22.

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zionarato e del capitalismo italiano, esaltò il ruolo mediatore fra pubblico eprivato della dirigenza della Banca, che del rapporto con il governo fece anziuno dei propri punti di legittimazione. Ci fu, soprattutto dopo il 1893, unamaggiore consapevolezza del ruolo pubblico dell’istituzione, organismo cen-trale per garantire l’equilibrio della circolazione monetaria, ma anche degliassetti finanziari del paese. L’azionarato non riuscì ad esercitare un peso nellescelte di fondo della politica e organizzazione dell’istituto.

Con una legge del 1895, il nuovo istituto assunse il servizio di tesoreriaper conto dello Stato; era questo un passo da non sottovalutarsi nel camminoverso la banca centrale unica. Tutta questa materia giunse a maturazioneprima nel 1910 con il testo unico sugli istituti di emissione e sulla circola-zione dei biglietti di banca, che determinava il quadro istituzionale definitivoed, in un secondo momento, nel 1926, quando la Banca d’Italia ottenne ilmonopolio dell’emissione45. «In fase di rodaggio l’asimmetria tra forma priva-tistica e compiti pubblicistici si f[ece] sentire in maniera evidente: appar[ì]inevitabile lo scontro fra il Tesoro, che si muove[va] nel senso della subordi-nazione della Banca d’Italia, e la Banca medesima, che in prima battuta [riten-ne] di potersi configurare senza sostanziali soluzioni di continuità come erededella Banca nazionale nel regno»46.

Alla guida della Banca d’Italia venne posto l’ex direttore della BancaNazionale Giacomo Grillo. Un uomo che aveva l’abitudine di schierarsi sulfronte degli interessi degli azionisti e quindi poco sensibile ai nuovi compitiaffidati all’istituto ed ai vincoli e ai sacrifici dell’interesse privato che le scel-te di risanamento imponevano. D’altra parte, il governo aveva il coltello dallaparte del manico. A dispetto della natura privatistica della Banca d’Italia, ilcondizionamento pubblico era consistente; «basti considerare quanto segue: 1)le variazioni del saggio ufficiale di sconto [furono] sottoposte all’approvazionedel Tesoro; 2) l’apertura o chiusura di sedi o succursali [necessitò] dell’auto-rizzazione governativa; 3) la Banca [fu] sottoposta a vigilanza governativa,accentrata presso il Tesoro dal 1895 in avanti; 4) un rappresentante del gover-no interv[enne] alle riunioni degli organi della Banca ed [ebbe] facoltà disospendere le deliberazioni non conformi alla legge; 5) la nomina del diretto-re generale, per quanto di spettanza interna, [fu] assoggettata ad approvazio-ne del governo»47. La Banca era tenuta, inoltre, a risanare i propri conti senzapesare sul bilancio dello Stato; in una situazione del genere era difficile averespazi di autonomia.

45 Ibidem.46 Ibidem, pag. 104.47 Ibidem.

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Appena la Banca mosse i primi passi, Grillo si dimise e fu sostituito daun politico, Giuseppe Marchiori. Se questa sostituzione placò lo scontro tradirettore generale della Banca e Tesoro, lo spostò all’interno della Banca stes-sa, cioè fra direttore e consiglio di amministrazione dell’istituto. Gli azionistipertanto si lamentavano: «se per un verso lo statuto della Banca [anda]va adetrimento della ripartizione degli utili e a favore della costituzione di riser-ve, per altro verso, il livello stesso degli utili si colloca[va] assai al di sotto diquello a cui erano avvezzi gli azionisti della vecchia Nazionale»48. Gli stessiazionisti furono chiamati a «metter mano al portafoglio per rimpinguare ilcapitale della Banca»49.

Fu in questo clima di confronto fra gli organi dell’Istituto che prese lemosse l’opera di risanamento e rafforzamento, di precisazione ed ampliamentodei compiti della Banca d’Italia e di prima determinazione dei rapporti con ilgoverno. Marchiori morì nel novembre 1900; lo sostituì una figura di gran-dissimo spicco, Bonaldo Stringher, ex direttore generale del Tesoro. In prece-denza aveva percorso la carriera all’interno dell’amministrazione finanziaria,fino a ricoprire, dal 1893 al 1898, la carica di direttore generale del Tesoro.Era stato, quindi, l’interlocutore istituzionale diretto della Banca, incaricatodi vigilare su di essa nei primi anni di attuazione della legge istitutiva.

6. Bonaldo Stringher

La trasformazione della Banca d’Italia da istituto di emissione fra istituti diemissione, seppure in posizione di supremazia, a “banca centrale” fu opera inmassima parte di Stringher. Fu Stringher che gettò le basi e costruì una rete dirapporti banca-stato capace di salvaguardare l’autonomia di giudizio della bancamedesima. «Per me fra Banca e Stato non può esservi dissidio, – rilev[ò] Strin-gher – comune dove[va] essere l’intento di migliorare le condizioni dell’attivitànazionale e rialzarne le sorti. Ma comunione di intenti non significa minima-mente rinunziare all’autonomia nostra nell’esercizio del credito entro i confinisegnati dalle leggi e dagli istituti»50. Il messaggio è chiaro: fine della contrap-posizione con il governo, ma anche riconquista dell’autonomia dell’istituto, li-mitato notevolmente durante il mandato Marchiori. Stringher non fu solo diret-tore della Banca d’Italia, ma svolse anche un importante ruolo in organismi con-sultivi della pubblica amministrazione ed in associazioni private, appoggiandomolte iniziative in materia creditizia e monetaria. «Si [mosse] innanzitutto

48 Ibidem, pag. 105.49 Ibidem.50 Cfr. F. Monelli, La Banca d’Italia dal 1894 al 1913, op. cit., pag. 811.

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come il capo di un’importante istituzione pubblica, strettamente collegata al-l’amministrazione statale, e non più tanto e solo come il direttore della princi-pale banca di emissione su mandato dei propri azionisti»51.

Questa era la nuova immagine che emerge dalle attività pubbliche diStringher e testimoniava il cambiamento di ruolo che la Banca d’Italia stavaprogressivamente subendo a partire dall’inizio del secolo, e questo soprattuttoper opera di Stringher. «Egli si f[ece] promotore di rilevanti modificazionidello statuto della banca, che rafforza[rono] i poteri della direzione […]. [Fu]Stringher che compre[se] il ruolo essenziale della moral suasion, come linea dicondotta basata sulla autorevolezza, sulla capacità di intessere rapporti lealicon le banche e con lo Stato e sull’autonomia di giudizio. [Fu] infine Strin-gher che [colse] con chiarezza la necessità per una banca centrale di porsi percosì dire al di fuori “della mischia”, come “potere neutro” e capace di vederecon occhio più lungo»52.

Prima di affrontare il tema del processo di formazione della banca centra-le, è necessario chiarire il rapporto tra banche miste e Banca d’Italia. La bancamista rappresentò un interlocutore scomodo sia per i governi che per l’istitu-to di emissione. Banca Commerciale e Credito Italiano nacquero su basi d’in-dipendenza dal potere politico, cosa che creò un certo disagio nella classe poli-tica dirigente abituata, sin dal Cavour, ad intrattenere strette relazioni con imaggiori organismi bancari del paese. Inoltre le banche miste dimostraronouna notevole indipendenza anche dalla Banca d’Italia. Come sia possibile que-sto è facile intuirlo se si considera un aspetto fondamentale, ossia la vasta retedi relazioni internazionali di cui le banche miste godevano, rete che permisedi sostenere gran parte del lavoro bancario e di investimento senza ricorrere alrifinanziamento della Banca d’Italia. «Vi fu sempre una certa diffidenza fra ledue istituzioni: da Milano Stringher e la Banca d’Italia venivano percepiticome troppo vicini al governo, troppo “politici”, mentre viceversa le iniziati-ve delle due banche miste venivano seguite con qualche preoccupazione per latenuta complessiva del sistema e per una non palese, ma convinta diffidenzadi fondo verso la grande finanza internazionale, potenzialmente destabilizzan-te»53. Sicché, mentre Banca Commerciale e Credito Italiano continuarono acrescere, la Banca d’Italia acquisì un atteggiamento benevolo e quasi di prote-zione verso quegli istituti concorrenziali alle due banche. Tra questi il Bancodi Roma, che fu l’istituto a godere di maggiori favori di ampi settori del

51 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 23.52 F. Belli, Legislazione bancaria italiana 1852-2003, G. Giappichielli Editore, Tori-

no 2004, pag. 105.53 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 24 ed in particolare D.

Forsyth, The crisis of liberal Italy Monetary and Financial Policy 1914-22.

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mondo politico e la Società Bancaria Italiana, poi Banca Italiana di Sconto.Verso quest’ultima Stringher fu benevolo. Essa nacque a Milano per fusione dicase private minori e fu subito protagonista di una rapida crescita, perciò rap-presentò una reale possibilità di concorrenza per le altre due grandi banchemiste. Inoltre, essendo un organismo prettamente nazionale, era maggiormen-te controllabile dalla Banca d’Italia.

Il ruolo di supremazia della Banca d’Italia si esplicò nel 1907, quando unabreve, ma intensa, crisi finanziaria originatasi dagli Stati Uniti provocò unrepentino aumento dei saggi di interesse internazionali e mise in grave difficoltàla Società Bancaria Italiana, divenuta ormai il terzo istituto del paese. «L’inter-vento deciso della Banca d’Italia permise, per la prima volta nella storia d’Italiae caso quasi unico nella storia secolare della finanza italiana, di procedere a unsalvataggio bancario di imponenti dimensioni senza dover ricorrere a denaropubblico. Utilizzando […] la propria forza di persuasione morale (moral suasion),la Banca indusse il resto del sistema bancario a intervenire per garantire, anchenel proprio interesse, la sopravvivenza di un importante istituto in difficoltà»54.Con la gestione della crisi, la Banca d’Italia ebbe una posizione sovraordinataalle altre banche: «attorno al 1907 si situ[ò] […] il punto di svolta per cui laBanca [uscì] dalla situazione di tutela da parte del Tesoro e ott[enne] sempremaggior autonomia»55. Da quel momento la Banca «cominciò ad operare comecentro autonomo di decisioni, destinatario di sempre più ampie deleghe da partedel governo per l’espletamento di compiti in campo monetario, per interventisul cambio, per assicurare la stabilità del sistema finanziario»56.

Con il salvataggio del 1907 e con la legge dello stesso anno, che consentìufficialmente interventi sul mercato dei cambi attraverso l’acquisizione di valuteestere, la Banca cominciò a collocarsi nella posizione di una vera banca centrale.È importante valutare, inoltre, quanto osserva Pecorari a proposito della novitàdel ruolo svolto dalla Banca d’Italia che travalicò la funzione di prestatore di ulti-ma istanza ed operò interventi presso altre banche e presso il governo. Per l’azio-ne sul governo, va osservato che Stringher non utilizzò il criterio del salvataggio«puro e semplice della speculazione borsistica che era stata responsabile delleinstabilità del mercato italiano dei valori mobiliari»57; operò, invece, dei distinguotra situazioni e situazioni, cercando di regolare le immissioni di liquidità, dirafforzare nel contempo i margini di autonomia gestionale dell’Istituto58.

54 Ibidem, pag. 25.55 Ibidem.56 F. Bonelli, La Banca d’Italia dal 1894 al 1913 op. cit.., pag. 293.57 F. Bonelli, La crisi del 1907: una tappa dello sviluppo industriale in Italia, Fonda-

zione Luigi Einaudi, Torino 1971, pag. 163.58 Ibidem, pag. 164.

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Ciò ebbe effetto non solo a livello finanziario ma anche “prospettico”, neitempi medio-lunghi, ossia negli anni ’20-30, che porteranno al definitivostrutturarsi della banca centrale e all’assunzione di quelli che saranno i suoicompiti istituzionali: 1) l’accentramento delle risorse metalliche e valutariedel paese, che andranno costituite e mantenute in misura rapportabile “aglieventuali saldi passivi della bilancia dei pagamenti”; 2) l’operatività come“organo esecutivo della politica monetaria, creditizia e valutaria dello Stato”;3) l’impegno volto al raggiungimento dell’equilibrio finanziario del pubblicoerario; 4) la vigilanza e il controllo sul sistema bancario nazionale59.

Dopo il 1907, dunque, aumentò la presenza istituzionale della Bancanella gestione della politica economica. In particolare aumentarono le richie-ste di interventi a favore di settori industriali in difficoltà, in primo luogol’industria siderurgica. Interventi in materia di politica industriale non eranocerto di competenza della Banca, ciononostante Stringher si adoperò a ricerca-re una situazione finanziaria di tutto il comparto, culminata nella riorganizza-zione degli assetti proprietari dell’industria siderurgica nel 1911 e nel 1914.

Nel 1912, poi, Stringher venne nominato presidente dell’INA. La nominanon rispose a nessuna logica di tipo economico visto la mancanza di legami fra lasocietà di assicurazione e la Banca, ma attestò il riconoscimento della posizione diStringher, considerato ormai uomo di Stato e figura dotata di tale prestigio darendere facilmente comprensibile la sua nomina a capo dell’ente pubblico.

Del compito “pubblicistico” che la Banca d’Italia andò assumendo Strin-gher era ben consapevole, basti pensare a quanto scrisse in una relazione del1913, per rispondere ad una richiesta del governo rumeno, che chiese alleprincipali banche di emissione europee consigli per impiantare la banca cen-trale in quel paese. Stringher scrisse che, in alcuni paesi in difficoltà, le ban-che centrali erano chiamate a «risanare e migliorare l’ambiente economico incui viv[evano], allo scopo di agire favorevolmente sui corsi dei cambi e di rim-borsare i loro biglietti in specie metalliche»60. A questo ruolo attivo dellabanca di emissione doveva corrispondere «una solida struttura che ispir[asse]fiducia nel modo più assoluto. Infatti queste istituzioni, obbligate come[erano] nei momenti di difficoltà […] a scontare valori in cui [avrebbe potu-to] celarsi un certo carattere di immobilizzazione, [dovevano] moltiplicare leloro riserve sia ordinarie che straordinarie, il che si [poteva] fare soltanto limi-tando al massimo consentito la quota del dividendo da distribuire»61. La limi-tazione dei dividendi aveva un profondo significato: oltre che richiesta di sa-

59 P. Pecorari, La Fabbrica dei soldi… op. cit., pagg. 165 e 166.60 F. Bonelli, La Banca d’Italia dal 1894 al 1913: momenti della formazione di una

banca centrale, op. cit., pag. 60.61 Ibidem.

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crifici agli azionisti privati, sottolineava anche la funzione di interesse genera-le della Banca. La politica dei dividendi e la sua accettazione da parte degliazionisti segnò un graduale avvicinamento del titolo della Banca alle caratte-ristiche dei titoli pubblici.

Nel 1909 venne approvato un nuovo statuto della Banca, che riconoscevauna ridistribuzione dei poteri all’interno dell’istituto, con un ruolo maggior-mente accentuato della direzione e del direttore generale e una riduzione dellapresenza del Consiglio superiore nella gestione corrente, dovuta alla soppressio-ne del suo Comitato in precedenza incaricato di partecipare a tale gestione62.

Un altro episodio che va considerato è l’istituzione, nel 1914, presso laBanca, di un ufficio studi dipendente dal gabinetto del direttore generale:misura organizzativa che riconosceva l’importanza di un centro di raccolta diinformazioni e dati a supporto della direzione generale e un altro passo per lacostruzione della banca centrale. Le informazioni economiche non erano piùmonopolio dei ministeri economici, ma anche della banca di emissione.

7. Banca e governo durante la prima guerra mondiale

Nel corso del primo conflitto mondiale aumentò l’importanza degli istitutidi emissione nel complesso del sistema bancario europeo, a causa dell’espansionedella circolazione monetaria da essi generata per finanziare la spesa pubblica63,così come aumentò il ruolo finanziario svolto dalle banche di credito ordinario,che sostennero l’eccezionale crescita della produzione industriale del paese.

Ernesto Cianci in Nascita dello stato industriale in Italia, osserva in proposito:«La Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano, la Banca Italiana di Scon-to, il Banco di Roma costituivano un quadrunvirato bancario onnipotente, inogni zona dell’economia italiana. Esse stavano dietro ad ogni impresa e a ognispeculazione. Gli azionisti, i depositanti, i clienti delle quattro banche eranocosì inconsciamente divenuti soci di una serie svariatissima di aziende»64.

Le dinamiche produttive e finanziarie che si realizzarono nel corso dellaguerra portarono ad un mutamento nei rapporti di controllo tra le quattrograndi banche miste e le principali imprese del paese65.

62 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…op. cit., pag. 27.63 Cfr. G. Toniolo, La Banca d’Italia e l’economia di guerra. 1914-1919, Il Mulino,

Roma-Bari 2003, pagg. 9-18. 64 E. Cianci, Nascita dello Stato imprenditore italiano, Mursia, Milano 1977, pag. 20.65 Se nel periodo giolittiano era venuta maturando una sostanziale subordinazione dei

gruppi industriali ai migliori istituti di credito, dipendenza che era continuata nei primianni di guerra, nella fase terminale del conflitto tale rapporto venne capovolgendosi.

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Lo scoppio della guerra vide impegnata la Banca d’Italia, assieme a Strin-gher, a collaborare allo sforzo bellico aiutando il governo nel reperimento diprestiti all’estero e agevolando in ogni modo la sottoscrizione dei prestitiinterni. Quello che è interessante notare è che, nel periodo della grande guer-ra, la Banca d’Italia si configurò come banca centrale.

Dal punto di vista istituzionale la scelta più rilevante fu la costituzione diun nuovo organismo il CSVI, ossia il Consorzio Sovvenzione Valori Industria-li istituito nel 1914, che iniziò ad operare il 22 febbraio 1915, pochi mesiprima dell’entrata in guerra dell’Italia. Esso venne costituito dagli istituti diemissione e da altri istituti di credito, in particolare casse di risparmio, concompiti di erogazione di prestiti alle industrie e di rifinanziamento al sistemabancario. Inizialmente, fu concepito come «istituto provvisorio, contingentealle vicende belliche, e si pensò di farne una sorta di rete di sicurezza per gliistituti di credito, che potevano scontarvi cambiali munite anche di una solafirma. L’organo si finanziava dalle banche di emissione che ne riscattavano lecambiali, e la Banca d’Italia era, di fatto, l’istituto che ne controllava la gestio-ne»66. Presidente del CSVI fu lo stesso Stringher. Dopo pochi anni dalla suacreazione, il CSVI fu investito da un altro progetto: ossia farne non solo unente di rifinanziamento per le imprese industriali, ma anche una seconda lineadi credito una volta esaurite le possibilità del credito ordinario.

In realtà, durante la guerra, il CSVI ebbe un’importanza limitata sia per l’ab-bondante liquidità creata dalla Banca d’Italia, sia per i generosi pagamenti con-cessi alle industrie impegnate nello sforzo bellico, che permisero all’apparatoindustriale italiano di godere di tranquillità finanziaria e di accumulare ingentiprofitti.

Un’altra considerazione va fatta sul rapporto tra Banca e Tesoro. Durantela guerra, la Banca d’Italia si affiancò alla conduzione della politica monetariagestita dal Tesoro. L’intesa fra i due organismi divenne forte ma, non manca-rono momenti di tensione, specie verso la fine del conflitto.

Uomo chiave del governo fu, in quel periodo, il ministro del Tesoro Nitti,«ben deciso a diventare il nuovo “animatore” dello sforzo bellico»67. Una delleprime misure adottate da Nitti fu l’istituzione del monopolio statale dei cam-bi: nel 1917 la lira andò incontro ad una progressiva svalutazione ed attraver-so il monopolio, Nitti credette di poter contenere tale svalutazione.

Rispetto al mercato dei cambi, la Banca d’Italia era stata, fino a quelmomento, in una posizione marginale, sopravanzata sia dalla Banca Commer-ciale che dal Banco di Napoli. La creazione dell’ente di gestione dei cambiavrebbe dovuto favorire la Banca d’Italia, tuttavia fu aspramente avversato da

66 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 29.67 Ibidem, pag. 30.

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Stringher. «Durante la guerra la Banca aveva accentuato le proprie funzioni dibanca centrale, proponendosi come guida morale e rete di sicurezza di tutto ilsistema creditizio, e referente privilegiato se non unico del Tesoro. La preoc-cupazione di Stringher era stata quella di favorire in ogni modo i rapporti dicollaborazione fra le banche, gli istituti di emissione e il governo, l’istituzio-ne del CSVI ne era stato un positivo esempio, garantendo a ognuno la propriasfera di autonomia e accrescendo la posizione di mediazione e guida del siste-ma creditizio dell’istituto. L’iniziativa di Nitti invece veniva a rompere quelquadro di collaborazione ed equilibrio costruito da Stringher con molta perse-veranza fin dall’inizio della sua direzione»68.

L’Istituto Nazionale Cambi con l’Estero (INCE) venne costituito nel1917 e fu composto dal consorzio delle tre banche di emissione a cui siaggiunsero le quattro banche del paese e gli istituti che vennero aggregatiin base ad accordi con la Banca d’Italia. Presidente fu lo stesso direttoredella Banca d’Italia. All’Istituto si attribuì non solo il monopolio dei cambima anche una potestà ispettiva nei confronti delle banche, per quantoriguarda la materia valutaria. Si trattò della prima attribuzione di facoltàispettive ad un ente statale «dai tempi del cessato sindacato di controllosulle società commerciali»69.

La Banca d’Italia svolse il ruolo di cassiere dell’INCE. «Con la costitu-zione dell’istituto la Banca si trovava in una posizione ambigua: veniva isti-tuzionalmente coinvolta nella gestione della politica del cambio, arricchen-do le proprie funzioni di banca centrale ma si trovava in una posizione diservizio rispetto ad un ente dotato di vasti poteri»70. Infatti, nonostante lapresidenza fosse attribuita alla stesso Stringher, il vero referente della poli-tica dei cambi restò il ministro del Tesoro, simbolo evidente della volontàdel governo di riappropriarsi della gestione di una parte della politicamonetaria.

Alla fine del conflitto, la posizione della Banca d’Italia era ormai chiara:«Banca centrale nel senso pieno del termine, cioè al vertice del mercato mone-tario e creditizio interno, nonché gestore del mercato dei cambi. La partita orasi giocava sul piano dei poteri e dell’autonomia dei governi all’interno di unambito, la determinazione della politica monetaria e, in qualche misura, lapolitica economica nel suo complesso, che entrambi i soggetti intendevanooccupare»71.

68 Ibidem, pag. 31.69 Ibidem.70 Ibidem.71 Ibidem, pag. 32.

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8. Il dopoguerra

Al momento dell’entrata in guerra, i sintomi di deterioramento del rap-porto banca-industria cominciarono a farsi evidenti. La guerra attenuò, oquantomeno mascherò, la crisi che, tuttavia, riesplose in maniera pesante aconflitto concluso. «La riconversione economica da un’economia di guerra adun’economia di pace e le rilevanti tensioni sociali connesse al forte incremen-to della disoccupazione, [fecero] riaffiorare in maniera pesante ed aggravata lacrisi della banca mista. L’intreccio banche-industrie si [fece] man mano piùinnaturale ed intricato con i tentativi di scalata delle industrie alle banche, lemisure d’intervento e di sostegno della Banca d’Italia e degli altri istituti diemissione si dimostra[rono] non più sufficienti o, quantomeno, ri[uscirono]solo a fatica ad evitare crack generalizzati, pagando, di converso, cari prezzi perquanto riguarda il ruolo e l’autonomia di scelta, in particolare dal lato delcontrollo della moneta, degli istituti di emissione»72.

Per chiarire il ruolo della Banca d’Italia bisogna analizzare l’episodio più rile-vante di questi anni: le scalate delle banche miste e la loro crisi a partire daiprimi anni Venti, nonché i salvataggi della Banca d’Italia. Come sostiene Belli, ildiscorso sulle scalate «è una matassa molto difficile da sbrogliare»73, noi concen-treremo l’attenzione soprattutto sulla Banca Italiana di Sconto e la Banca Roma-na. Gli ultimi mesi della guerra ed i primi anni Venti furono un momento moltoagitato per la comunità finanziaria: grazie alla grande liquidità creata dalla Bancad’Italia per sostenere il Tesoro, e finita nelle casse dei grandi gruppi industriali,si verificarono episodi di scalata ai principali istituti di credito da parte dei grup-pi industriali e finanziari. La Banca Italiana di Sconto era un istituto legato algruppo Ansaldo dei fratelli Perrone, imprenditori genovesi. L’intreccio Ansaldo-BIS fu un esempio di «mostruosa fratellanza siamese»74 poiché fin dai primi annidi guerra l’Ansaldo possedeva il 40 per cento del capitale della BIS, e dava illu-sione di poter disporre di risorse finanziarie illimitate e capaci di sostenere anchei più ambiziosi progetti di espansione. Nei primi mesi del 1918, quando il con-flitto era ancora in corso, l’Ansaldo-BIS tentò la scalata della Banca Commercia-le Italiana, legata alle acciaierie Terni. Contemporaneamente, però, i Perrone lan-ciarono la scalata alla Fiat, mentre quest’ultima, da parte sua, si alleò al finanzie-re piemontese Riccardo Gualino e partì all’assalto del Credit75. Questo primoscontro si concluse con una tregua: la costituzione del “cartello bancario”, stipu-

72 F. Belli, Legislazione bancaria italiana 1861-2003…, op. cit., pag. 113 e 114.73 Ibidem.74 Ibidem.75 N. De Ianni, Gli affari di Agnelli e Gualino 1917-1927, Prismi, Napoli 1998,

pag. 48.

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lato nel 1918, che aveva lo scopo di limitare la concorrenza fra i quattro maggioriistituti. Tuttavia si trattò di una tregua che non durerà a lungo, visto che nel1920 assisteremo a quelle che Belli definisce “guerre parallele”. Guerre che scop-piarono all’indomani della costituzione dei “consorzi” da parte di talune banchemiste che volevano collocare le loro azioni. Esempi erano la Comit, che costituì ilConsorzio Mobiliare finanziario (Comofin) e il Credit che costituì la compagniafinanziaria nazionale (Cofina). Lo scopo dei consorzi era «un escamotage per aggi-rare il divieto di acquisto delle proprie azioni contenute nel codice di commer-cio»76. Fatto sta che la BIS non ebbe un proprio consorzio e fu la prima a cadere,nel dicembre del 1921; anche il Banco di Roma non ebbe un proprio consorzio evenne salvato “per un pelo” tra il 1922-23. L’esposizione della BIS nei confrontidell’Ansaldo fu amplissima, ma anche la situazione del Banco di Roma non fudelle migliori.

A fine novembre 1921 la Banca d’Italia si fece promotrice di un consorziodi salvataggio della BIS, alla quale vennero concessi 600 milioni di lire che,però, subito si rivelarono insufficienti e quindi sembrò non restare altra stradache la liquidazione, anche se la Banca Italiana di Sconto riuscirà a rimborsare il100 per cento dei depositi. In altro modo fu risolta la vicenda del Banco diRoma pur se il punto di partenza non fu tanto diverso da quello della BIS.Quando, nel 1922, si insediò il governo Mussolini, si avviò un’operazione di sal-vataggio tramite la costituzione di una finanziaria ad hoc, la Società FinanziariaIndustriale (SFI). Alla SFI furono conferite le partecipazioni dell’istituto, cosic-ché anche il Banco di Roma ebbe il proprio “consorzio”. Il controllo della Bancavenne assunto da un pool bancario costituito dalla Comit, dal Credit e dallaBanca Nazionale di Credito. Il salvataggio comportò il sostenimento di perditeforse più elevate di quelle derivate dalla liquidazione della Banca Italiana diSconto e impose un allargamento consistente della circolazione, che non potèessere estraneo alla fiammata inflazionistica che si verifica a partire dal 192477.

La crisi delle banche miste degli anni Venti fu diversa da quella di iniziosecolo. La sua natura non fu solo bancaria o finanziaria ma possiamo definirla“industriale”. Anche la tipologia degli interventi differì da quelli attuati nel1907, infatti riguardò la sostanziale diversa organizzazione dei rapporti banca-industria/industria-banca. Basti pensare al CSVI che nacque come uno “spor-tello” speciale della Banca d’Italia, strumento straordinario e temporaneo concui si doveva far fronte a una esigenza parimenti straordinaria e temporanea, eche a guerra finita intervenne sia nella liquidazione della Banca Italiana diSconto sia nel salvataggio del Banco di Roma.

76 Ibidem, pag. 115.77 Ibidem, pag. 116.

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Ma quale fu il ruolo della Banca d’Italia? La tripartizione dell’emissionerestò vigente sino al 1926 anche se, soprattutto negli anni della guerra, ilruolo della Banca d’Italia si ampliò fortemente sia sul terreno del credito, siasu quello del controllo della moneta. Se durante la guerra la Banca d’Italia nonpotè tener allentati i cordoni della borsa, altra fu la situazione nella temperiedella crisi post-bellica78. Dopo il conflitto, la Banca d’Italia fu divisa tra lanecessità di evitare probabili catastrofi bancario-industriali e la necessità dinon “spuntare” il proprio ruolo di “prestatore di ultima istanza” ed i propristrumenti di intervento (anticipazioni e risconti) in un uso “a pioggia” o, inogni modo, in un uso non rigorosamente vagliato79.

In sintesi se per un verso le crisi post-belliche non interruppero – anziaccelerarono – il processo di costituzione della “banca centrale”, per un altroverso finirono per indebolire il ruolo della Banca d’Italia mettendo in forse lesue stesse capacità di tenere sotto controllo il “sistema” creditizio.

I “salvataggi” dei primi anni Venti mostrarono come la Banca d’Italia, maanche il regime fascista appena insediato, scongiurassero una crisi bancaria digrandi proporzioni che si sarebbe innescata con la caduta di un grande istitu-to di credito quale il Banco di Roma. La Banca indicò come, nella situazioneeccezionale del tempo, i suoi interventi traessero giustificazione anche dall’e-sigenza di contenere una complessiva instabilità economica e sociale. La pre-carietà e sovente l’indecisione dei governi del tempo indussero a interventi inqualche modo “di supplenza”80.

Gli esiti delle operazioni di salvataggio furono più complessi e pericolosi diquelli del 1893. La Banca d’Italia si trova nuovamente “immobilizzata” ma, anc-ora di più, fu investita di responsabilità nella gestione di imprese manifatturieree bancarie, andando contro l’esigenza di mantenere una neutralità allocativa. Lecrisi bancarie dei primi anni Venti accentuarono il carattere oligopolistico delsistema bancario che la Banca d’Italia aveva per due decenni tentato di allentare81.

9. I primi progetti diretti a regolare l’attività delle banche

I provvedimenti del 1926, che possono essere considerati la prima leggegenerale bancaria, sono intitolati alla “tutela del risparmio”. Il tema dellatutela del risparmio segna una svolta nella legislazione bancaria, ed è un tema

78 Ibidem, pag. 119.79 Ibidem.80 G. Guarino e G. Toniolo, La Banca d’Italia e il sistema bancario. 1919-1936,

Editori Laterza, Roma-Bari 1993, pagg. 37 e 38.81 Ibidem.

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che ritroviamo nei primi anni del secolo, basti pensare a quanto il noto giuri-sta Cesare Vivante afferma nel 1902: «Si lasciano senza difesa i depositanti chenon possono esercitare alcun controllo e alcun privilegio sulle riserve dellebanche che pur si alimentano con i loro depositi; perciò si videro e si vedran-no portar via di nuovo con periodiche razzie i loro risparmi»82.

Le crisi dei primi anni Venti riproposero il problema della stabilità delsistema bancario e dei singoli intermediari. Divenne indispensabile, per igoverni tutelare «per quanto [era] possibile mediante l’applicazione di regolegenerali e obbiettive, il pubblico risparmio»83.

L’ordinamento vigente si ispirava a principi di free banking, almeno perquanto riguarda gli istituti di credito privati. Il Codice di Commercio del1882 omologava la banca alla normale impresa commerciale, anche se eranostate introdotte norme che regolavano aspetti dell’attività bancaria. Ma eccoquanto scriveva uno studioso del tempo: «sull’efficacia di questa pubblicazio-ne […] benché avvalorata da sanzioni penali, l’esperienza insegn[ò] che non vi[era] da fare molto assegnamento pel modo come spesso bilanci e situazionimensili [venivano] compilati»84. Tali preoccupazioni, unite ai fallimenti ban-cari, fornirono argomentazioni solide per rivedere tale principio. Ecco quindiche la questione della “tutela del risparmio” venne ripresa nel 1908 in unoschema di disegno di legge presentato dal ministro di Agricoltura, Industriae Commercio, recante provvedimenti per la riforma degli ordinamenti del cre-dito. Si trattava del progetto Coccu-Orto.

Nel 1913, nel quadro della presentazione di un progetto di riordino dei ser-vizi del ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, venne proposta l’esten-sione di alcune norme sulle casse di risparmio alle società commerciali bancarie,allorquando la raccolta avesse superato il triplo dell’ammontare del capitale delleriserve. Se questo ammontare scendeva sotto il decimo dei depositi a risparmio,due terzi degli utili andavano destinati a riserva, pena la liquidazione dellasocietà. Fu Nitti a presentare tale proposta che, tuttavia, non andò in porto.

Il progetto Coccu-Orto venne poi riproposto, nel 1918, dal ministro del-l’Industria, Commercio e Lavoro Giuffelli (progetto Giuffelli). Questa nuovaproposta prevedeva il divieto di omologare gli atti costitutivi, gli statuti e lemodificazioni statutari concernenti società di credito che si proponevano di rac-cogliere depositi; se a tali atti non veniva unito un certificato del ministro diAgricoltura Industria e Commercio che attestava la regolarità legale e tecnica

82 Tratto da F. Belli, La legislazione Bancaria in Italia1861-2003…., op. cit., pag.122.

83 B. I., Adunanza per il 1927, pag. 55.84 G. Miraulo, Ordinamento bancario e tutela del risparmio, Tipografia delle Mantella-

te, Roma 1927, pag. 22.

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dell’ordinamento statutario di tali servizi. «Siamo davanti ad una sorta di regi-me autorizzativo surrettizio»85. Anche questo progetto non andò a buon fine.

Di autorizzazione vera e propria si parlò nella proposta di legge Chiesa,presa in considerazione dalla Camera nel 1920. Vennero assoggettati ad auto-rizzazione tutti gli enti e privati che intendevano esercitare il commercio delcredito e dei depositi ed anche nuove sedi e succursali; la vigilanza spettò alMinistero del Tesoro di concerto con quello di Agricoltura industria e com-mercio. Queste innovazioni rientrarono nella proposta di riforma elaborata,sempre nel 1920, da un’apposita commissione ministeriale che si limitò a pre-vedere l’istituzione di un privilegio per i depositi a risparmio, stavolta indivi-duati in base alla remunerazione.

Le vicende bancarie del 1921-23, tuttavia, rafforzarono il peso degli argo-menti di coloro che ritenevano necessario introdurre regole e controlli nelmercato del credito, tanto che, appena dopo il crollo della Banca Italiana diSconto, il partito popolare votò un ordine del giorno con il quale auspicò chela Banca d’Italia, trasformata in Banca di Stato, potesse svolgere un’operadirettrice e di controllo sugli istituti privati di credito, a tutela della pubbli-ca economia. Sicuramente «[Fu] dall’onda emotiva suscitata dalle vicende delBanco di Roma che trasse origine un progetto di decreto avente quale ogget-to “norme per la tutela del risparmio”»86.

Si trattava del progetto di legge del 1923, l’ultimo, abortito prima del varodelle norme del 1926. Esso era caratterizzato dalla completezza degli strumentidi vigilanza predisposti e dalla previsione di un sistema sanzionatorio severo eben articolato: introduceva l’autorizzazione ministeriale per le società che inten-devano ricevere depositi fiduciari; istituiva un comitato di sorveglianza; ponevalimiti alla concentrazione dei rischi; istituiva una specie di “riserva obbligatoria”,pari ai due decimi dei depositi, da investirsi in titoli di Stato depositati presso gliistituti di emissione; si attribuiva al ministro delle Finanze il potere di commis-sariare gli enti creditrici. Per la vigilanza bancaria, il progetto del 1923 prevede-va che essa venisse gestita da un “comitato di vigilanza”, composto dai direttorigenerali dei tre istituti di emissione, incaricato di esaminare i bilanci e di assicu-rarne la conformità alle disposizioni di legge; al comitato era concesso il “dirittodi fare procedere da personale proprio alle verifiche di controllo che riterrà oppor-tune” (è questo l’unico accenno, generico e proprio per questo onnicomprensivo,a poteri ispettivi)87. Probabilmente, il governo che non si sentiva abbastanza forteper imporre provvedimenti così radicali, ed anche il progetto del 1923 venneposto in cassetto.

85 F. Belli, La legislazione bancaria italiana 1861-2003…, op. cit., pag. 124.86 Ibidem, pag. 19.87 Ibidem, pagg. 49 e 50.

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10. La legge bancaria del 1926

A partire dal 1° luglio del 1926 si attuò l’unificazione dell’emissionedella carta moneta88. Questo provvedimento che completa un processo inizia-to sin dall’Unità d’Italia, non sortì particolare enfasi o impatto, poiché sitrattò di poco più che della registrazione di una situazione di fatto, per cui laBanca d’Italia aveva ormai la gestione autonoma della politica monetaria delpaese, limitandosi le altre due banche a seguire le direttive di Stringher. «Eraun provvedimento che la Banca d’Italia aspettava dall’Unità, ma la resistenzadegli economisti liberisti e degli istituti meridionali, forti di una tradizionepiù che secolare […] ne aveva impedito la realizzazione»89

In agosto, Mussolini annunciò, a Pesaro, la decisione di arrestare la svalu-tazione interna ed esterna della lira. Nello stesso mese venne perfezionato iltesto finale della legge bancaria. Il legame tra il “risanamento monetario” e la“tutela del risparmio”, venne stabilito dallo stesso Mussolini. Con il decretodel settembre 1926 (Provvedimenti per tutela del risparmio) e del novembre dellostesso anno (Norme regolamentari per la tutela del risparmio)90 si posero le basi perla regolamentazione dell’attività creditizia e del servizio di vigilanza sull’atti-vità bancaria. Al controllo furono assoggettate tutte le banche, esclusi gli isti-tuti di credito agrari, tutti gli enti o istituti che per leggi speciali operavanosotto la vigilanza del Ministero dell’Economia nazionale, nonché le casse dirisparmio ed i monti di pietà.

A partire dal 1926, l’attività bancaria divenne “attività riservata”. L’auto-rizzazione ad aprire aziende di credito, osserva Belli, riguardava tre diversesituazioni. La prima era data dall’inizio delle operazioni bancarie: «Le aziendedi credito che [intendevano] iniziare la propria attività nel Regno o nelleColonie, [dovevano] richiedere l’autorizzazione»91. La seconda concerneva l’a-pertura di sedi o di filiali. La terza riguardava i procedimenti di fusione tra lebanche92. Un’altra novità apportata nel 1926, fu il capitale minimo iniziale:per la prima volta si fissarono i limiti di capitale per le banche di nuova costi-tuzione, diversificati a seconda della forma giuridica prescelta e dell’ambitogeografico di attività.

88 R. D. L. 26. 5. 1926, n. 812, convertito nella L. 25. 6. 1926, n. 1326 e successi-ve convenzioni tra Governo e banche di emissione.

89 F. Balletta, Prefazione a Un colpo mancino assestato al mezzogiorno d’Italia: l’unifica-zione dell’emissione di cartamoneta nel 1926, Arte Tipografica Napoli, Napoli 2002, pag. 8.

90 Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 1926, n. 210.91 Regolamento per la tutela del risparmio in G. U. del 16 dicembre 1926, n. 289,

art. 5.92 Ibidem, art. 6.

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Le autorizzazioni erano rilasciate dal ministro delle Finanze di concerto conquello dell’Economia «sentito l’Istituto di emissione»93, ossia la Banca d’Italiadiventata l’unico istituto di emissione. Tutte le banche venivano iscritte in unapposito “albo”, tenuto dal ministro delle Finanze ed erano obbligate a comuni-care alla Banca d’Italia le situazioni contabili ed i bilanci annuali. Le aziendedovevano compilare il bilancio e il rendiconto annuale, da trasmetterne in copia,con le relative relazioni, all’istituto di emissione94.

L’albo era una novità, mentre la “vigilanza informativa”, unitamente aquella “ispettiva”, aveva radici ottocentesche. La vigilanza ispettiva fu impu-tata con chiarezza alla Banca d’Italia.

Altro controllo riguardò il rispetto di una data proporzione fra il patri-monio, i depositi ed il congelamento, sub specie di conti vincolanti presso laBanca d’Italia o d’investimento in titoli di Stato o da esso garantiti di quotaparte dei depositi in eccedenza: «Il patrimonio (capitale versato a riserva) delleaziende di credito non [poteva] essere inferiore ad un ventesimo dell’importodei depositi comunque costituiti […]. Le aziende di credito, le quali [aveva-no] una somma di depositi superiore a venti volte l’ammontare del patrimo-nio [dovevano] investire l’eccedenza in titoli di Stato o garantiti dallo Stato,da depositarsi presso l’Istituto di emissione, o versarla in conto corrente frut-tifero presso l’Istituto medesimo […]»95. Questo primo esempio di “coeffi-ciente” non [era] altro che la riserva bancaria obbligatoria. Tale riserva nasce-va finalizzata alla tutela dei depositanti.

In secondo luogo, va posta l’attenzione sul meccanismo del limite degliaffidamenti. Si determinò il limite massimo di fido nel 20 per cento del patri-monio di una banca. Tale fido poteva essere superato solo dietro autorizzazio-ne della Banca d’Italia.

In conclusione con l’unificazione dell’emissione presso la Banca d’Italia econ il riassetto bancario attraverso la legge del 1926, si segnò una essenzialema non conclusiva metamorfosi della “Banca d’Italia in banca centrale”, orga-no interno di governo della moneta e del credito ed organo “internazionale” dicollegamento delle politiche economiche.

11. L’istituzione della vigilanza bancaria

Il punto essenziale della legge bancaria del 1926, fu il fatto che la Bancad’Italia, anche se agiva in nome e per conto del Ministero delle Finanze,

93 Ibidem, art. 9.94 Ibidem, art. 13.95 Ibidem, art. 15.

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acquisì vasti poteri di controllo e di ispezione, nel sistema creditizio italiano.Per svolgere tali compiti essa organizzò un proprio “ufficio di vigilanza”96.

Intanto si ebbe la rivalutazione della lira per favorire l’apertura del mer-cato italiano ai prestiti esteri, soprattutto americani, «che avrebbero dovutorappresentare l’occasione per rafforzare l’apparato industriale, in particolare lagrande industria, che in quel momento era considerata come il settore che an-dava sviluppato maggiormente»97. La rivalutazione implicava uno stretto con-trollo del mercato creditizio e monetario, per impedire allargamenti eccessividella circolazione in grado di mettere in pericolo la stabilità del cambio, marichiese anche una politica creditizia accorta e selettiva.

Nell’ottocento solo le casse di risparmio mantennero una vigilanza pub-blica in virtù della loro natura di enti di previdenza e beneficenza. Alla finedella prima guerra mondiale, tranne pochi istituti (il Monte dei Paschi diSiena, l’istituto bancario San Paolo, l’istituto di accredito per la cooperazionee i monti di pietà), era il Ministero dell’Agricoltura che continuava ad eserci-tare una qualche forma di vigilanza, «tutto il resto del sistema era libero daqualsiasi controllo da parte dell’apparato centrale dello Stato»98.

Durante e dopo la guerra non si fecero molti cambiamenti, tranne qual-che rilevazione statistica da parte dell’associazione fra le banche popolari. Sologli annuari economici privati e quelli dell’Associazione Bancaria Italiana(ABI) fornirono informazioni su numero e presenza delle società. Dopo ognigrave crisi bancaria, si avanzarono proposte per introdurre forme di vigilanzasulle aziende di credito. «Nelle discussioni e nei progetti di legge seguiti allacrisi del 1907, si pensava a uffici dell’amministrazione statale. Ancora nel1909 quando si stabilì il principio dell’autorizzazione governativa per le ban-che estere che volessero insediarsi nel nostro paese, la pratica istruttoria veni-va affidata a uffici statali»99.

L’evento che determinò, sia nell’opinione pubblica che nel governo, unlargo consenso alla creazione di una struttura amministrativa permanenteincaricata di vigilare sul sistema bancario, fu il crollo della Banca Italiana diSconto nel dicembre 1921. Le soluzioni possibili erano due: affidare nuova-mente le funzioni di vigilanza all’apparato statale, oppure individuare unnuovo soggetto, nelle banche di emissione, allora ancora in numero di tre100.Comunque, l’istituzione della vigilanza ebbe luogo solo nel 1926 dopo che laBanca d’Italia ottenne il monopolio dell’emissione e quando le pressioni inter-

96 F. Belli, Legislazione Bancaria Italiana 1861-2003…, op. cit., pag. 130.97 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag 42.98 Ibidem, pag. 44.99 Ibidem.100 Ibidem, pag. 46.

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nazionali spinsero per il potenziamento dei poteri e dell’autonomia dellabanca centrale.

Come fa notare Guarino, il decreto del 1926 «contiene alcune norme dicarattere effettivamente regolamentare, dirette a precisare o completare i pre-cetti dell’antecedente D.L. n. 1511. […] esse danno ingresso alla Banca d’Ita-lia in tutte le procedure di tipo applicativo. Si introduce il concetto che ilrisparmio tutelato è quello raccolto tra il pubblico. Si indicano la parte delladisciplina, comprensiva di tutte le disposizioni più importanti, applicabileanche alle Casse di Risparmio, ai Monti di Pietà, agli Istituti di credito agra-rio, alle Casse rurali, istituti soggetti antecedentemente alla sola e distintavigilanza del ministro dell’Economia. Anche le fusioni sono soggette ad auto-rizzazione. L’autorizzazione (art. 9) comporta una valutazione di “utilità” e“convenienza”. Le comunicazioni vanno fatte dalle banche al direttore dellafiliale dell’Istituto di emissione nel capoluogo di provincia. Agli ispettoridella vigilanza vanno forniti tutti gli atti e documenti richiesti. La Banca d’I-talia riferisce in merito alle infrazioni e alle violazioni di legge al solo mini-stro delle Finanze (art. 18) […]»101.

L’attribuzione della vigilanza alla Banca d’Italia dimostra com’è cambiatala prospettiva rispetto a pochi anni prima: all’idea ottocentesca che lo Statodovesse controllare un’attività strategica come l’attività bancaria per tutelaregli interessi dei risparmiatori, si sostituisce la concezione che compito delloStato fosse quello di fissare principi e regole di ordine generale la cui attua-zione e sorveglianza fossero demandate ad organismi esterni, dotati di autono-mia e potere discrezionale, ma anche capace di svolgere funzioni amministra-tive nuove ed altamente specializzate. Come rileva Polsi, questa tendenza rap-presenta la fine del ciclo amministrativo giolittiano, «imperniato sull’apertu-ra degli apparati amministrativi all’esterno grazie alla creazione di innumere-voli consigli presso i ministeri, incaricati di fornire pareri alla normale attivitàlegislativa e amministrativa»102.

La Banca d’Italia, con l’affidamento della vigilanza, svolse una nuova fun-zione che diede una svolta pubblicistica all’istituzione. L’affidamento di partedi queste funzioni alla Banca fu un fatto quasi scontato, essendo la Banca l’u-nica istituzione presente capillarmente nel paese, mentre una struttura stataleavrebbe richiesto un largo dispendio di uomini e strutture e la formazione diun personale specializzato che all’interno della pubblica amministrazione pro-babilmente non esisteva.

101 G. Guarino, Il profilo giuridico in G. Toniolo, La Banca d’Italia e il sistema ban-cario 1919-1936, op. cit., pagg. 120 e 121.

102 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 46.

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L’esame dei documenti dimostra che, in brevissimo tempo, la Banca d’I-talia seppe darsi un modello di organizzazione, ancora in vigore, che ne atte-sta la validità. Senza tale organizzazione, la riforma bancaria si sarebbe risoltain un nulla di fatto ed, inoltre, è grazie ad essa che la funzione della vigilanzanon venne deferita ad altri uffici diversi dalla Banca d’Italia.

Due sono le funzioni principali di controllo sancite dai decreti del ’26:una autorizzativa ed un’altra ispettiva. Le autorizzazioni interessavano la costi-tuzione di nuove aziende, la fusione fra società esistenti e l’apertura di nuovisportelli. Tale facoltà faceva capo al Ministero delle Finanze che istituiva unapposito albo delle aziende di credito, il quale si serviva della Banca d’Italiaper le pratiche istruttorie e per ottenere pareri. L’attività ispettiva era fram-mentata fra più soggetti: le casse di risparmio, i monti di pietà e gli istitutidi credito agrario erano di competenza del Ministero dell’Economia nazionale,gli istituti di credito pubblico (Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Crediop)erano sottoposti al Ministero delle Finanze, mentre le società ordinarie, le coo-perative e le casse rurali ricadevano nella sfera della Banca d’Italia. Alla Bancad’Italia, inoltre, faceva capo la raccolta periodica dei bilanci di tutte le azien-de di credito.

Durante la preparazione del regolamento, redatto dagli uffici della Bancad’Italia e poi presentato al ministro Volpi, le spinte del mondo bancario sidirigevano verso la necessità di dare adeguato tempo alle aziende di mettersiin regola con le nuove norme patrimoniali e verso la necessità di lasciare allaBanca d’Italia un ampio spazio discrezionale nel valutare la posizione delleaziende. Ecco quanto si legge in un appunto per Volpi del suo capo di gabi-netto Iginio Brocchi: «Il comm. Bianchini desidera richiamare l’attenzione diV. E. sull’assoluta necessità di evitare che i depositanti abbiano la sensazioneche, nei riguardi di un numero considerevole di banche ed Istituti di credito,viene fatta la contestazione ufficiale della loro condizione anormale o perlo-meno della mancanza di quelle garanzie e di quel giusto equilibrio fra il capi-tale sociale ed i depositi, che il regolamento stesso dovrebbe al caso determi-nare. Qualora il regolamento mettesse in evidenza queste deficienze di alcuniistituti e rendesse obbligatoria la confessione delle stesse facendole pubbliche,sarebbe da temersi che i depositanti perdano la fiducia necessaria per la con-servazione dei depositi […]»103.

Da parte della Banca si insisteva, invece, nel rendere più penetrante lafunzione di vigilanza, evidenziando l’obbligo per gli istituti di presentaretutti i documenti richiesti dagli ispettori. Entrambe le esigenze furono accol-te, come abbiamo visto, nel decreto 6 novembre 1926 n. 1830, che obbligavale aziende ad esibire atti e documenti ai funzionari dell’Istituto di emissione,

103 Archivio Centrale dello Stato, Carte Volpi, cart. 4, fasc. 32, s. fasc. 139.

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ma concedeva pure alle aziende, un tempo di quattro anni per poter regola-rizzare la loro posizione.

L’organizzazione della vigilanza si ispirava essenzialmente a due principi:specializzazione e decentramento. Presso la sede centrale della Banca, fu costi-tuito un apposito ufficio di vigilanza, con un proprio nucleo di ispettori. Ildecentramento portò ad attribuire funzioni ai dirigenti delle filiali. Ognunodoveva rispondere delle aziende di credito della propria circoscrizione. La vigi-lanza divenne il mezzo attraverso il quale si affermò il ruolo guida, oltre chedi controllo, dell’intero sistema, da parte della Banca d’Italia. Ecco perchéStringher spese tutte le sue forze non solo nell’organizzazione in sé dellaBanca, ma anche nella direzione di riconoscimento dei suoi poteri. Uno deiprimi problemi da risolvere era quello della presentazione dei documenti daparte di tutte le aziende di credito. Bisognava far capire che le attribuzioniinerenti alla vigilanza non erano una facoltà ma un dovere: «Tutte, indistinta-mente tutte, le aziende di credito avrebbero dovuto essere ispezionate»104.Certo, anche in passato indagini approfondite erano state fatte in momenti dicrisi e salvataggio, adesso, però, le ispezioni erano divenute istituzionali. Eracompito delle filiali controllare periodicamente e continuamente le aziendedella propria giurisdizione. Ignorare la situazione di una qualsiasi azienda,anche la più piccola, e farsi cogliere in una condizione di inadempienza era,per il dirigente della filiale, una grave mancanza. «La vigilanza era una pote-stà propria della banca, che non poteva essere delegata»105.

Altre conseguenze dei decreti del 1926, come ci fa notare Guarino, furo-no conquiste sul piano dei principi. Innanzitutto, si affermò il principio del-l’autonomia della Banca d’Italia. Molti erano i fattori che determinavano que-sta condizione: lo stato di debolezza in cui versavano le aziende di credito,specie quelle maggiori che, legate da gravosi impegni verso il sistema indu-striale, temevano l’interferenza del governo; le figure di Stringher e dei suoicollaboratori, uomini responsabili e provenienti da ambienti culturali lontanidal fascismo; la presenza, in quegli anni, al Ministero delle Finanze, al qualela Banca d’Italia era collegata, di un uomo come Volpi, che «condivideva indi-rizzi e idee della Banca d’Italia e né apprezzava le capacità […]»106; lo stessoMussolini, consapevole dei propri limiti, avvertiva la necessità di affermare ilprincipio dell’autonomia.

I decreti del 1926 affermavano non solo l’autonomia della Banca d’Italia,ma anche la sua autorità. In precedenza, la Banca aveva assunto una posizionedi supremazia, specie per i salvataggi delle due gravi crisi bancarie della Banca

104 Vedi Lettera al Direttore della filiale di Torino del 25. 11. 1927.105 G. Guarino, Il profilo giuridico, op. cit., pag. 124.106 Ibidem, pag. 125.

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Italiana di Sconto e del Banco di Roma. Ed è interessante notare come sia laBanca d’Italia a proporre: basti notare la corrispondenza con il ministro delleFinanze, ma va anche notato come Stringher tenesse a sottolineare come laBanca d’Italia stava lavorando con il pieno consentimento del governo. Eccocosa si legge nella lettera di Stringher a Peano, del 6 maggio 1922, nella sin-tesi dei rapporti fra Banco di Roma e Banca d’Italia: «[…] sempre con l’inte-sa del R. Governo, la Banca d’Italia fu costretta a raddoppiare, nei confrontidel Banco di Roma, il proprio rischio […]»107.

Autorità ed autonomia si legavano al concetto che la Banca d’Italia fosseun organo portatore di interessi generali come il governo ma, allo stessotempo, un’autorità non politica pertanto una garanzia per il mondo del credi-to. La Banca, scriveva Stringher in una lettera del 1922, si muoveva «permotivi di interesse pubblico, e contro ogni tornaconto proprio […]»108.

Fondamentale era il rapporto tra vigilanza e depositanti. «Uno dei prin-cipali argomenti usati dagli oppositori della riforma [era] che, in caso di dis-sesto, la vigilanza avrebbe coinvolto la responsabilità non solo morale, maanche giuridica della Banca»109. A queste opposizioni, Stringher, nella relazio-ne annuale della Banca d’Italia del 1927, la prima dopo l’entrata in vigoredella riforma, così rispondeva: «con queste disposizioni non si è inteso certa-mente di evitare ogni pericolo e ogni inconveniente, e di dare, comunque, unasicura garanzia ai depositanti; perché questa garanzia […] è da trarre, soprat-tutto, dalla capacità, dal vigile accorgimento nell’operare e dalla rettitudinedegli uomini […]. Il nuovo provvedimento […] vuole e deve avere, soprat-tutto, la portata di monito, il quale risvegli la coscienza delle proprie respon-sabilità in chiunque sia chiamato ad amministrare il risparmio del popolo ita-liano»110.

Da un lato, la vigilanza aveva il compito di controllare che le regole sta-bilite dal legislatore fossero osservate ma, dall’altro lato, doveva essere curadei depositanti valutare il grado di affidabilità delle aziende. Gli amministra-tori delle aziende di credito, non avrebbero potuto ripararsi sotto la tuteladella Banca d’Italia. Su di loro ricadevano per intero la responsabilità per ilmodo in cui era gestita l’azienda. Sino al 1926 le aziende di credito non erano

107 ASBI, Lettera di Stringher a Peano. Sintesi dei rapporti fra Banco di Roma e Banca d’I-talia. Roma 6 maggio. Direttorio-Stringher, cart. 13, fasc. 1. – Bozza autografa di lette-ra in partenza.

108 ASBI, Lettera di Stringher a Peano. Ulteriori somministrazioni urgenti al Banco diRoma; Vicentini è stato inviato a chiarire la posizione del Banco. Direttorio-Stringher, cart. 13,fasc. 1, Roma 10 aprile 1922.

109 G. Guarino, La Banca d’Italia e il sistema Bancario…. op. cit., pag. 129.110 B. I., Adunanza per il 1926, pag. 71.

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assoggettate ad altra regola al di fuori di quelle generali del Codice di Com-mercio. «Le pratiche contabili e gestionali delle aziende erano le più varie, ilsistema si era sviluppato in misura spropositata e in modo irrazionale. Appar-ve subito chiaro a Stringher che la nuova disciplina non andava trattata comenormativa che si potesse limitare ad una automatica applicazione ma, fosse daconsiderare una rete con la quale ricondurre il sistema a pratiche uniformi e auna maggiore razionalità. La funzione della Banca d’Italia sarebbe stata inprimo luogo quella di spiegare e istruire, bisognava elaborare regole e prassicui le condotte delle aziende avrebbero dovuto confrontarsi anche al fine dipoter disporre di dati omogenei»111. «Stringher, complessivamente, concepì lariforma del 1926 anche come uno strumento di cui la Banca d’Italia avrebbedovuto avvalersi per gradualmente passare da uno stato di anarchia alla for-mazione di un sistema coerente. A questo effetto si dovevano ostacolare le ten-denze eccessivamente espansionistiche di alcuni istituti, evitare la concentra-zione in una medesima zona, opporsi a ogni forma di elusione delle norme,ridurre complessivamente il numero degli sportelli e delle banche. Stringheravvertì che quanto più fosse allargata l’area del potere autorizzativo, tanto piùla Banca d’Italia avrebbe potuto operare efficacemente per il conseguimento diquesti risultati»112.

Dall’autunno del 1926 le autorità monetarie adottarono una politica deglisportelli fortemente restrittiva. Dopo l’emanazione della legge vi era stataun’immediata sospensione dell’apertura di nuovi sportelli ed il controllocapillare della legalità delle aperture verificatesi pochi giorni prima dellalegge. La sospensiva cessò nel 1927, ma riprese nel 1928 e 1929, ancora nelmarzo del 1930 fino al 1932, e poi con successive proroghe fino al 1935.Attuata la sospensiva sui nuovi sportelli, la Banca, in accordo con i ministeri,adottò ulteriori restrizioni per le richieste di assorbimento di aziende in liqui-dazione o dissestate da parte dei grandi istituti. Così facendo la Banca d’Italiafinì per detenere un reale potere discrezionale di decisione, vincolando forte-mente ai propri pareri l’azione dell’esecutivo. Nel 1927 e nel 1928, furonocompiute 668 ispezioni, soprattutto sulle banche di piccole dimensioni, cheebbero esiti positivi «nel senso di indurre le amministrazioni responsabili amettersi sulla retta via o di contestare loro le deficienze riscontrate, con invi-to a porvi riparo, e in guisa tale da rendere le amministrazioni stesse respon-sabili di fronte alla legge nel caso di sospensione di pagamenti»113.

111 G. Guarino, La Banca d’Italia e il sistema Bancario…. op. cit., pagg. 131 e 132.112 Ibidem, pag. 138.113 ASBI, Carte Stringher, 402/2. 01/33, riprodotto da Guarino-Toniolo, La

Banca d’Italia e il sistema bancario 1919-1936, op. cit., pag. 125.

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La Banca, pur insistendo sulla necessità di tutelare le piccole aziende sanee vitali, ritenne comunque più valido assecondare il concentramento in istitu-ti più solidi di organismi minori. In quest’opera di riorganizzazione, la Bancafu aiutata da una politica monetaria restrittiva, adottata dall’estate del 1926,che mise in difficoltà molti istituti diventati più consenzienti, diversamentedalle banche cattoliche, che poterono contare sull’aiuto del governo Mussolinie che riuscirono, pertanto, a sottrarsi alle pressioni di Stringher e Volpi.

Nella relazione del bilancio del 1929, Stringher affermò con soddisfazio-ne che erano 435 le aziende le cui operazioni erano state sospese. «La vigilan-za però servì alla Banca in primo luogo per migliorare la propria posizione sulmercato creditizio. Tale attività […] si concentrò nelle ispezioni al sistemaminore, che costituiva il principale cliente delle sedi»114. Dallo studio delleispezioni (dal 1927 al 1935 furono compiute dai funzionari dell’Istituto 3281ispezioni) risultò subito evidente che prevalsero le ispezioni agli istituti loca-li, mentre furono rarissime quelle verso le grandi banche. Quello che premevaall’istituto di emissione era controllare i mercati del credito locali, «le grandibanche non furono toccate dalla nuova vigilanza per varie ragioni. Vi era cer-tamente la preoccupazione di non urtare istituti che […] sopravanzavano laBanca d’Italia per capitale, sedi e personale»115. Inoltre, l’ispezione, soprattut-to nei primi anni, rivestì un carattere eccezionale e potè perciò sollevare dubbitra la pubblica opinione nei confronti dell’istituto sottoposto al provvedimen-to amministrativo. Ecco perché la vigilanza fu da un lato un servizio di pri-maria importanza, dall’altro da trattare con prudenza. La Banca d’Italia scelse,infatti, di agire innanzitutto sulle banche locali di cui si sapeva ben poco ed icui dissesti erano più frequenti. Da questa azione sarebbe derivata, successiva-mente, la legittimazione alla Banca ad allargare la propria sfera di vigilanzaanche agli istituti maggiori. La vigilanza, dunque, nei primi anni, venne uti-lizzata prevalentemente «ai fini di una razionalizzazione del sistema bancariominore, mentre non [fu] neppure presa in considerazione l’idea di farne lostrumento per una politica di controllo della qualità del credito erogato dalsistema, e quindi della saldezza delle istituzioni creditizie»116.

Tuttavia la situazione venne a modificarsi quando, a seguito della grandecrisi, il quadro globale del sistema bancario incominciò a farsi molto critico.La Banca fu accusata di essere responsabile delle precarie condizioni del siste-ma bancario, rese palesi dall’ampia opera di salvataggio condotta all’iniziodegli anni Trenta. Ma ecco cosa il nuovo governatore Azzolini scrisse nellarelazione del marzo 1932 in difesa della Banca: «La provvìda istituzione della

114 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…. op. cit., pag. 55. 115 Ibidem, pag. 56.116 Ibidem, pag. 57.

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vigilanza ha introdotto una disciplina nel campo creditizio, esercitando unfreno ad alcune concezioni di megalomania bancaria, e [ha reso] possibile, inmolte evenienze, di evitare cadute e dissesti […] quando gli organi responsa-bili delle aziende vigilate si mostrano solleciti di accogliere suggerimenti econsigli amministrativi e tecnici e inviti a intervenire con rimedi efficaci etempestivi. Né si deve pensare da alcuno […] alla possibilità di interventifinanziari risanatori, solo per il fatto che gli è demandata la vigilanza […]. Èdunque evidente che le disposizioni di legge, che si riferiscono alla tutela delrisparmio, mentre tendono ad accrescere il senso del dovere in chi amministral’altrui, non diminuiscono nei singoli depositanti l’obbligo di rendersi conto[…] della solidità degli enti ai quali credono affidare i loro averi»117.

12. Lo statuto della Banca d’Italia del 1928

Il 28 giugno 1928 la Banca d’Italia riformò gli statuti precedenti. Essen-do in passato i poteri ripartiti fra direzione (direttore generale e vicedirettore),da un lato, e Consiglio superiore, dall’altro, ora si rafforzò in maniera signifi-cativa, la direzione con la creazione di una nuova figura, il governatore, cherappresentò l’Istituto di fronte a terzi, a cui seguivano, in via gerarchica, ildirettore generale ed il vicedirettore. Questi venivano nominati dal Consigliosuperiore e la loro nomina era sottoposta ad approvazione dal governo. Poi dalConsiglio superiore veniva creato un nuovo organismo, il Comitato del Consi-glio, composto dal governatore, dall’ufficio di presidenza del Consiglio e dasei consiglieri.

Anche le competenze vennero ridistribuite118. Tutte le decisioni di politicamonetaria e le decisioni relative al personale vennero sottratte al Consigliosuperiore ed affidate al governatore, che potè nominare gli alti gradi del perso-nale, mentre la nomina e la revoca degli impiegati intermedi rimase al Consi-glio. Polsi scrive: «Con questo statuto si formalizza quella separazione di com-petenze fra direzione o “amministrazione centrale della Banca” […] e Consigliosuperiore, che troverà sanzione netta negli statuti del 1936 e successivi, fino adoggi»119.

Al governatore spettarono ormai compiti di interesse pubblico, qualidecisioni di politica monetaria, la vigilanza e la definizione dei rapporti con le

117 B. I., Adunanza generale degli azionisti tenuta in Roma il giorno 31 marzo 1932,Roma 1932, pag. 57.

118 Per una migliore valutazione delle singole competenze, vedere art. 48 R. D. 28giugno 1928 n. 1404.

119 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 50.

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altre istituzioni; al Consiglio spettarono decisioni di organizzazione interna.Divenne primo governatore Bonaldo Stringher e direttore generale VincenzoAzzolini, allora direttore generale del Tesoro. A Niccolò Introna andò la vice-direzione.

Altro aspetto determinante da considerare è la discussione suscitata, apartire dal 1926, della posizione della Banca d’Italia tra il pubblico ed il pri-vato. Dopo la riforma del ’26 e con l’assunzione delle nuove competenze, in-fatti, l’Istituto di emissione si configurava come un ente pubblico, pur con-servando la sua base azionaria privata. La Banca d’Italia regolata da normelegislative, ma organizzata su base privata, si collocava al confine tra la societàprivata e l’ente pubblico, e perciò difficile da classificare. «La posizione dellaBanca, per la natura delle sue funzioni, era inevitabilmente in bilico fra lasocietà privata e l’ente pubblico, e la difesa della propria autonomia, pur in unquadro di piena collaborazione con il governo, era la difesa della propria capa-cità amministrativa dall’ingerenza di influssi politici contingenti»120.

Durante il regime fascista c’era la volontà di assoggettare la Banca ad unpiù stretto controllo del governo, anche come conseguenza della delega di fun-zioni amministrative compiuta dalla legge del 1926. Tuttavia, negli anni cheseguirono lo svolgimento di queste funzioni, la capacità con le quali esse ven-nero svolte, portarono ad esaltare, da un lato, la crescente natura pubblicisticache la Banca venne assumendo e, dall’altro, si consolidò il modello della sepa-razione rispetto all’operato amministrativo dello Stato121.

13. Il governatore Azzolini

Bonaldo Stringher morì nel dicembre 1930, nel mezzo della crisi econo-mica mondiale. Per i possibili successori tre alternative sembravano possibili:un uomo legato al regime, la nomina di un personaggio “indipendente” diprestigio, oppure la scelta di un “interno”. Secondo Azzolini, candidati al go-vernatorato erano l’ex ministro delle Finanze De Stefani, «due ministri in cari-ca e altre personalità fasciste»122. Sempre Azzolini sostenne che Stringher,poco prima di morire, aveva segnalato a Mussolini il suo nome e che «circa lametà dei membri del Consiglio Superiore non era iscritta al partito fascista eun quinto di essi erano ebrei»123. Al di là di ciò, è facile capire come sia stato

120 Ibidem, pag. 52.121 Cfr. G. Guarino, La Banca d’Italia e il sistema Bancario…., op. cit.122 ASBI, VA al Cardinale Federico Cattani, 31 maggio 1940, Direttorio-Azzolini,

cart. 16.123 Memoriale Azzolini, pagg. 1 e 2.

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possibile arrivare alla nomina di Azzolini. Scegliere un uomo legato al regimeappariva un’alternativa poco praticabile, perché poco opportuna in unmomento in cui la «Banca e il paese erano impegnati nella regia di importan-ti accordi internazionali come la costituzione della Banca dei RegolamentiInternazionali, sempre più compromesso dall’aggravarsi della crisi internazio-nale»124. Altri personaggi potevano essere De Stefani o Beneduce. Si trattavadi due uomini agli antipodi: liberista il primo, pratico tessitore dell’economiail secondo; di posizione politica fascista De Stefani, agnostico politicamenteBeneduce. Su De Stefani, però, pesava l’avversione degli ambienti industrialie finanziari, che lo ritenevano colpevole della crisi del 1925 e della politicacreditizia restrittiva che ne seguì; dall’altra parte, sembra che Beneduce nonfosse incline a ricoprire la carica di governatore preferendo conservare il suoruolo di consigliere economico del duce e di tessitore dell’economia interna-zionale.

Luigi Einaudi scrisse, al momento della nomina di Azzolini, che il gover-no ed il Consiglio superiore della Banca, «avevano con evidenza avvertito lanecessità di tener fuori la Banca financo dal semplice sospetto di interferenzepolitiche»125; De Felice sostenne che in Mussolini sarebbe prevalsa «la ten-denza […] a servirsi per l’attuazione delle sue direttive, più che di uominipolitici di un certo prestigio, di personalità che […] considerava dei “puri tec-nici”, capaci ma privi di peso politico proprio, meno legati ai grandi “giri”economici e sostanzialmente meno portati a sconfinare dai propri settori dicompetenza nella “grande politica”»126.

Effettivamente Azzolini era una personalità che, nel delicato momentoeconomico, rispondeva all’esigenza di nominare un governatore che fosse com-petente, personalità conosciuta e con relazioni all’estero, che avesse una buonaconoscenza della Banca, buone relazioni internazionali ed una dichiaratafedeltà politica.

In precedenza Azzolini aveva percorso una lunga carriera all’interno delMinistero del Tesoro, così come aveva fatto Stringher; fu direttore generale delTesoro ed in quella veste è interlocutore diretto di Stringher. I due collabora-no nell’INCE e, nel 1928, in occasione della riorganizzazione statutaria dellaBanca, Azzolini diventò direttore generale, in sostituzione di Stringher, poivenne nominato governatore nel gennaio 1931. Il suo primo atto «fu l’elogia

124 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 59.125 R. Marchionatti, From Our Italian Correspondent. Luigi Einauidi’s Articles in

«The Economist», Fondazione L. Einaudi-Olschki, Firenze 2000, vol. II, pagg. 517 e518.

126 R. De Felice, Mussolini il duce: gli anni del consenso 1929-1936, Einaudi, Torino1974, pagg. 174 e 175.

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del suo predecessore davanti ai governatori delle principali banche centralipresso la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea»127. Di Stringher siprofessò “discepolo devoto” e volle ricordare i principi ai quali si era ispiratoed ai quali anche lui sarebbe rimasto fedele: «concordanza fra gli interessi del-l’economia nazionale e gli interessi dell’istituto di emissione, autonomia ope-rativa dell’istituto, deferenza verso lo Stato»128.

14. La crisi del 1929-32

La crisi economica del 1929-33 fu di ampiezza senza precedenti, poichénon solo interessò tutti i grandi paesi europei che ormai erano legati tra loroda relazioni economiche e finanziarie, ma anche tutti i settori dell’economia.Scoppiata nell’autunno del 1929 ebbe il suo apice in Europa dopo la cadutaCredit Anstalt nel maggio 1931, mise a dura prova il sistema creditizio nazio-nale, ma permise l’inizio di una grande opera di riorganizzazione dello stessosistema. Le più colpite furono le banche miste.

Per poter chiarire le cause che stanno alla base di ciò, dobbiamo tener pre-sente il rapporto ormai “patologico” fra banche miste e industrie. Prima del1926, la Banca d’Italia si era posta come principale istituto finanziatore delsistema bancario, sia delle grandi banche miste che degli istituti minori.Dopo la rivalutazione della lira, pur riducendo il rifinanziamento al sistema,l’azione di sostegno alle banche minori, anche quelle che appaiono in diffi-coltà, non mancò. A partire dagli anni Venti, le grandi banche miste di “tipotedesco” «concentrarono nel proprio portafoglio una tale quantità di parteci-pazioni azionarie di maggioranza in imprese manifatturiere e di servizi dafinire per configurarsi come vere e proprie “capogruppo”. A ciò si aggiunge-vano cospicue linee di credito immobilizzate nel finanziamento a lungo ter-mine delle medesime imprese e il possesso, appena mascherato, di importantiquantità di azioni proprie»129. I grandi istituti di credito furono estremamen-te vulnerabili nei confronti degli shock che colpirono l’economia a partire dal1929: caduta della domanda e dei profitti delle imprese industriali, crollo deivalori azionari, “deflazione dei debiti”, ritiro dei depositi. Nell’autunno del1930 iniziò l’emergenza: divenne chiaro che numerosi istituti di creditominori ma anche una grande banca come il Credito Italiano, non avrebberopotuto superare da sole le difficoltà del momento, e si rese così necessario l’in-

127 A. Roselli, Il governatore Vincenzo Azzolini. 1931-1944, Editori Laterza, Roma-Bari 2001, pag. 4.

128 ASBI, Commemorazione, Direttorio-Azzolini, cart. 37.129 G. Toniolo, La Banca d’Italia e il sistema bancario. 1919-1936, op. cit., pag. 70.

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tervento del Governo. Quest’ultimo, con un decreto non pubblicato sulla«Gazzetta Ufficiale», e perciò in gran segreto, si apprestò tramite la Bancad’Italia, «ancorché sotto il velo dell’Istituto di Liquidazioni»130, a disporreinterventi finanziari a favore del «Banco di S. Spirito, Istituto S. Paolo diTorino, Banca Popolare di Novara, Banca Nazionale dell’Agricoltura, BancaAgricola Provinciale di Rovigo, Consorzio delle casse di risparmio veneto,Banca delle Marche e degli Abruzzi, Banca Toscana, Banca Agricola Italianaper più di 150 milioni di lire, altri 50 milioni erano concessi a mutuo all’I-stituto centrale di credito delle Banche Cattoliche, e ben 330 milioni allaSocietà Finanziaria Italiana, società non ancora fondata […] ma già concepitaper rilevare le partecipazioni industriali del Credito Italiano»131.

L’Istituto di Liquidazioni fu finanziato dalla Banca d’Italia, per cui questasi ritrovò di nuovo sulla strada dei salvataggi bancari. Il fatto che il decretonon venne reso pubblico dimostrava la gravità del momento ed il tentativo dievitare fenomeni di panico e turbative al mercato monetario.

Nell’estate del 1931, a seguito della caduta del Credit Anstalt, fu laBanca Commerciale a rischiare la crisi. Il suo salvataggio fu possibile grazie aduna convenzione firmata il 31 ottobre 1931 dallo stesso Mussolini. L’impegnofinanziario che la Banca d’Italia dovette sostenere ne immobilizzò gran partedell’attivo e portò una restrizione creditizia verso le banche minori. Con ilR.D. 31 gennaio 1932, anche questo non pubblicato nella «Gazzetta Ufficia-le», fu ufficialmente autorizzato il salvataggio della Banca Commerciale.

Il crollo della Banca Commerciale mostrò la necessità di radicali riformeed interventi nel sistema bancario nazionale. In realtà, non ci troviamo difronte a qualcosa di nuovo, anzi, sembra di rivedere il medesimo copione: «difronte ad un grave shock esogeno le autorità sono costrette a intervenire perevitare il fallimento a catena di banche e imprese industriali»132. L’intervento,tuttavia, ha alcune caratteristiche innovative rispetto al passato. Coloro chegestirono i salvataggi del 1931 avevano ben chiaro che la crisi non avrebbeavuto nessuna possibilità di soluzione se non «mediante la netta separazionefra banca ed industria, perché lì era la radice del male»133. La convenzione del20 febbraio 1931, con la quale si stabilirono le condizioni per l’erogazione dei330 milioni al Credito Italiano, impegnò quest’ultimo a compiere, da quelmomento, solo operazioni di “credito ordinario”; analogo impegno dovetteassumere la Comit. In pratica, si individuò, inizialmente solo in modo stru-mentale alle esigenze immediate e poi in modo sistematico, nel legame banca-

130 Ibidem, pag. 71.131 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 61.132 G. Toniolo, La Banca d’Italia e il sistema bancario. 1919-1936, op. cit., pag. 71.133 Ibidem, pag. 72.

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industria il nodo da sciogliere per ridare stabilità al sistema finanziario italia-no. Si intese sciogliere questo nodo scindendo le responsabilità dei banchierida quelle degli industriali. Volendo definire con il termine “disegno” questasoluzione si può dire che esso partì dal 1931 ad opera, soprattutto, di AlbertoBeneduce.

Mentre l’attività bancaria avrebbe dovuto limitarsi al credito a breve, ilcredito industriale avrebbe dovuto essere gestito da istituti specializzati, dicui il primo esempio fu l’IMI, l’Istituto Mobiliare Italiano, costituito condecreto del 13 novembre 1931. L’istituto, dopo una prima fase di estremaprudenza, si specializzò nell’erogazione di credito industriale a medio-lungotermine, divenendo, dopo il 1936, uno dei pilastri del sostegno finanziario delregime ed assorbendo il Consorzio Sovvenzioni sui valori Industriali134.

Nel 1933, Mussolini affidò a Beneduce la realizzazione di un’operazioneconsistente nel raggruppare tutte le banche che erogavano finanziamentiall’industria in un nuovo organismo, l’IRI. L’istituto è presieduto da Benedu-ce e diretto da Donato Menichella, che vi rimase fino al 1943 e divenne gover-natore della Banca d’Italia nel 1947. «L’IRI non [era] più solo un tentativo diripristinare un canale di finanziamento industriale, scrive Polsi, ma ambi[va]a sistemare tutta la partita degli immobilizzi bancari e permettere un profon-do rimodellamento del sistema industriale»135.

L’IRI fu, in origine, diviso in due sezioni: una per gli smobilizzi, chesubentrò all’Istituto di Liquidazioni, ed una di finanziamento industriale.La sezione smobilizzi doveva realizzare l’integrale acquisizione delle parte-cipazioni detenute dalle ex banche miste e dalle finanziarie controllate,assumendosene tutti gli oneri. Il disegno si completò con le convenzionidel 1934 fra IRI e Banco di Roma, Credito Italiano e Banca Commercia-le. In tali convenzioni le tre grandi banche si impegnarono a mantenere ilcarattere di banche di credito commerciale e ad astenersi dal porre in esse-re per l’avvenire acquisizioni di nuove partecipazioni industriali. «L’opera-zione portata ad effetto dall’IRI nel febbraio 1934 (cioè lo smobilizzodelle banche miste) fu una riforma e non un salvataggio e neppure un risa-namento […]. Si sarebbe avuto salvataggio se l’IRI si fosse limitato acoprire le perdite delle banche […]. L’operazione avrebbe invece potutodefinirsi risanamento se anziché limitarsi alla copertura delle perdite subi-te dalle banche, l’IRI si fosse fatto trasferire le partecipazioni che le ban-che stesse possedevano nelle imprese in utile oltre che nelle imprese in per-dita»136.

134 F. Belli, Legislazione Bancaria italiana 1861-2003…, op. cit., pag. 146.135 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 65.136 F. Belli, Legislazione Bancaria italiana 1861-2003…, op. cit., pag. 148.

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Il vero dato nuovo, però, in questo contesto, risiedeva nella parallela econseguente espulsione della banca mista dalla scena economica italiana.Infatti, con la costituzione dell’IRI, con lo smobilizzo del 1934 e con la suastabilizzazione nel 1937 si chiuse una prima rilevantissima tappa del processoformativo dell’economia pubblica italiana.

Si trattò di una nuova “costituzione economica” che produsse un comple-to dislocamento di funzioni e di poteri nel sistema bancario e nelle autoritàmonetarie. «Ne usciva in primo luogo sminuito il ruolo imprenditoriale delladirigenza bancaria, di cui venivano fortemente ridotti i margini operativi[…]. Si cre[ò] un circuito finanziario gestito da IRI, IMI e Tesoro separato dalcircuito monetario gestito dalla Banca d’Italia, in cui Tesoro ed enti pubblicigodevano di un certo margine di manovra per fissare i tassi di interesse alungo termine»137.

Il ruolo della Banca d’Italia, infatti, risultò ridimensionato in questo tipodi mercato creditizio diviso a metà, in cui chi raccoglie risparmio era poi sepa-rato dalla decisione su come investirlo. Un altro problema che si pose fu ilrapporto tra la Banca, titolare della vigilanza, e le banche sotto il controlloIRI, e perciò di fatto pubbliche. Anche i rapporti fra IRI e Tesoro risultaronomutati nel segno di una profonda separatezza, poiché la preoccupazione pri-maria dei progettisti dell’IRI era quella di tenere lontano l’IRI dagli influssipolitici, al fine di garantire efficienza nelle gestioni industriali e bancarie che,infatti, continuarono ad operare in regime di diritto privato138.

«La profonda rivoluzione degli assetti istituzionali del mondo industrialee bancario italiano fu sancita dal processo legislativo del 1936 in cui, da unlato, l’IRI fu reso ente pubblico permanente, mentre tutto il sistema bancario,a iniziare dalla Banca d’Italia fu regolamentato da una nuova legge banca-ria»139.

15. La nuova legge economica. La legge bancaria del 1936

La legge bancaria del 1936 comprendeva un ciclo di provvedimenti legi-slativi emanati fra il 1936 ed il 1938. Con la locuzione “legge bancaria del1936” o “del 1936-38” o “riforma bancaria”, si intendeva un aggregato nor-mativo composito che prende le mosse dal R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375 suc-cessivamente modificato dal R.D.L. 17 luglio 1937, n. 1400. I due decretivennero poi convertiti, rispettivamente, nelle leggi 7 marzo 1938, n. 141 e 7

137 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 66.138 Ibidem, pag. 67.139 Ibidem.

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aprile 1938, n. 636 (identiche nel contenuto). La legge 10 giugno 1940, n.933, che apportò qualche modificazioni, completò il quadro originario dellalegge generale bancaria.

Nel processo formativo della legge si rilevano due storie: una palese eduna segreta. Quest’ultima è quella che si ricava dai documenti predispostidelle riunioni della corporazione della Previdenza e del Credito, dai successividibattiti ed ordini del giorno, dagli atti parlamentari. «La “storia segreta”,antecedente e parallela alla prima, è stata ricostruita soprattutto a partire daappunti e documenti elaborati per lo più in ambito IRI di Beneduce, Meni-chella, Saraceno, De Gregorio che vengono considerati i padri, “segreti”appunto, della legge […]»140.

Non è certo se la genesi della legge bancaria risentisse direttamente deiprocedimenti di riforma che, nel medesimo periodo, investirono gran partedegli ordinamenti delle banche centrali dei paesi sviluppati. C’era, comunque,alla metà degli anni Trenta, la tendenza a rimettere in qualche modo sotto con-trollo politico l’azione delle banche centrali ed a riconoscere come sfera diinteresse pubblico la gestione della moneta141.

La legislazione bancaria degli anni Trenta tradusse due tipi di esigenze inqualche modo diverse e forse opposte tra di loro: da un lato, la grande crisirese necessario una regolazione pubblica del settore bancario dell’economia,tanto che molte furono le critiche rivolte alle stesse banche centrali che sidimostrarono impotenti a contenere gli effetti della crisi; dall’altro lato, lebanche centrali si presentarono come gli unici organismi tecnicamente piùcapaci di mettere in pratica le nuove misure che si andavano predisponendo.Tuttavia, dal 1928, si rilevò, sia all’interno del governo che della Banca d’Ita-lia, l’opportunità di rivedere le norme del 1926. Mosconi, infatti, invita Strin-gher a designare un esperto quale membro di un gruppo di lavoro incaricatodi studiare «eventuali ritocchi ed aggiunte alla vigente legislazione sulla tute-la del risparmio»142. Un’altra prova, a testimonianza di ciò, è un documentonel quale Azzolini, nell’agosto del 1933, trasmise a Jung la bozza di un nuovodecreto sulla tutela del risparmio. Da tale documento, molto accurato, apparechiaro che la Banca intendeva fare tesoro dell’esperienza accumulata dal 1926.L’articolo 2 della bozza, che consta di 32 articoli, assoggettava alla legge nonsolo le aziende che regolavano depositi direttamente dal pubblico, ma anchequelle che «amministra[vano], concentra[vano], utilizza[vano] o comunquedispongono dei depositi raccolti delle aziende consorziate, federate, od asso-

140 G. Toniolo, La Banca d’Italia e il sistema bancario. 1919-1936, op. cit., pag. 95.141 A. Polsi, Stato e Banca Centrale in Italia…, op. cit., pag. 67.142 ASBI, Vigilanza, cart. 78A/2, Lettera del ministro delle Finanze Antonio Mosconi al

governatore della Banca d’Italia Bonaldo Stringher, Roma 21 dicembre 1928.

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ciate, per dare direttive o per compiere operazioni nell’interesse proprio o diqueste ultime»143. Per il resto, gli altri articoli che componevano la bozzariflettevano l’esperienza della Banca in materia di vigilanza. Il progetto eraimportante, perché «stabilisce una specie di automatismo nella revoca dell’au-torizzazione alla raccolta di depositi qualora venga meno il capitale minimorichiesto; estende il campo delle autorizzazioni; allarga i poteri dell’organo divigilanza; disciplina le società di mutuo soccorso; introduce un vero e proprioregime di riserva obbligatoria […] con l’obbligo di investire in titolo di Statoalmeno un quinto dei depositi e l’intero ammontare di quelli eccedenti ildecuplo del capitale […]. Il documento del 1933 rappresenta il maggior sfor-zo di elaborazione e il principale contributo tecnico della Banca alla prepara-zione della legge […]»144.

Con gli interventi e le normative introdotte negli anni 1931-34, il siste-ma creditizio prese, nella sostanza, la sua conformazione definitiva, ossia: lanetta separazione tra banca ed industria, la concentrazione dei pieni poteri divigilanza e di guida nella Banca d’Italia. Ma cosa aggiungevano effettivamen-te i 106 articoli del R.D.L. n. 375? Guarino parla di tre fattori: 1) molti pro-getti della legge 1926 erano imprecisi: per capirne il contenuto si era dovutiricorrere alla prassi; adesso il contenuto del R.D.L. 1936 derivava da una pras-si ormai consolidata; 2) il R.D.L. n. 375/36 introduceva capitoli che costitui-scono il completamento delle norme già in vigore, quasi la loro continuazio-ne; 3) le disposizioni del R.D.L. n. 375/36, che sembravano corollari dellalegge precedente presentarono invece aspetti completamente nuovi ed origi-nari. Vediamo quali:

– l’“invenzione” del modulo organizzativo Comitato dei ministri/entitàod ente operativo che avrebbe trovato gran seguito in particolare negli anni’50 e ’60: il modello affidava il compito della vigilanza alla Banca d’Italia,attraverso un organismo creato apposta, ossia l’Ispettorato per la difesa delrisparmio e l’esercizio del credito;

– nel complesso organizzativo Comitato dei ministri-Ispettorato venivanoconcentrati tutti i poteri che prima spettavano ai ministri in relazione alleaziende di credito; in pratica vennero unificati i poteri di direzione, vigilanzae controllo nei confronti di tutte le banche, indipendentemente da quale fossestata la loro forma giuridica: casse di risparmio, monti di pietà, casse rurali edagrarie, banche estere, credito edilizio, credito fondiario IMI, Crediop, Icippu,credito navale, credito per il lavoro italiano all’estero145;

143 ASBI, Direttorio-Introna, 13/1/63, Bozza di decreto preparata dalla Banca d’Italia,Roma 8 dicembre 1933.

144 G. Toniolo, La Banca d’Italia e il sistema bancario. 1919-1936, op. cit., pag. 98.145 Cfr. artt. 40 e 41 del R. D. L. n. 375/36.

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– venne definito l’assetto della Banca d’Italia: «la Banca d’Italia […] [fu]dichiarata Istituto di diritto pubblico»146, se ne determinarono gli azionisti egli organi, si vietarono alla Banca le operazioni di risconto diretto che potero-no «essere fatte solamente nei confronti delle aziende di credito, sia di dirittopubblico che di diritto privato, sottoposte al controllo dell’Ispettorato»147; «ilConsiglio Superiore della Banca si compo[se] del governatore e di quindiciconsiglieri, dei quali dodici da nominarsi nelle assemblee generali dei soci[…] e tre da designarsi dalla corporazione della previdenza e del credito»148.Circa il governatore la legge non diceva niente, in merito alla cui nominaavrebbe disposto lo statuto149.

Il nuovo statuto della Banca venne approvato con il R.D. 11.6.1936, n.1067. «In esso si confermava (art. 19) la norma anteriormente vigente, cheattribuiva al Consiglio superiore la nomina, come la revoca del governatore, alcui mandato non era assegnato alcun termine»150. Come rileva Guarino, que-ste disposizioni sono importanti poiché con esse si affermò, in modo “istitu-zionalizzato”, il principio di autonomia e di indipendenza della Banca d’Italia.Il governo non aveva nessun mezzo giuridico per influenzare la nomina deiconsiglieri superiori e, di conseguenza, non poteva neanche intervenire sullanomina o revoca del governatore in carica.

La legge del 1936 racchiudeva una innovazione importante negli arti-coli 31-35. La legge precedente conteneva molte incertezze «circa i rappor-ti tra patrimonio, ammontare dei depositi, destinazione degli utili, limitealla concentrazione dei fidi, natura e ripartizione degli investimenti. Con lanuova legge, negli art. 31-35, tutta la materia [venne] sottratta alla leggeed affidata al Comitato dei ministri ed all’Ispettorato. Ad essi non [venne-ro] solo affidati gli oggetti in questione ma altri ancora, come «i limiti deitassi, attivi e passivi, le condizioni delle operazioni di deposito e di contocorrente, la distribuzione territoriale delle aziende, la sistemazione degliimmobilizzi».

La struttura finanziaria del 1936 fu molto differente da quella del 1926:era avvenuta la separazione tra banche ed industrie le grandi banche perseroogni capacità di autonomia e di contrapposizione alla banca centrale e venne-ro inquadrate nell’IRI. Gli articoli 31-35 possono, per questi motivi, sembra-re soltanto una manovra tecnica, tuttavia «i poteri così accordati avrebbero inseguito concorso in modo rilevante alla trasformazione dell’intero ruolo della

146 Cfr. art. 20.147 Cfr. art. 23.148 Cfr. art. 22.149 Cfr. art. 24.150 G. Guarino, Il profilo giuridico, op. cit., pag. 157.

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Banca d’Italia, da guida e controllo del sistema bancario sino alla piena rego-lazione della liquidità del paese»151.

Ma quale fu il fine principale della riforma del 1936? Fu la separazionedella banca mista dalle banche ordinarie. Eppure è singolare che la sconfessio-ne della banca mista e della banca d’affari, il vincolo della separatezza trabanca ed industria e la distinzione tra il credito ordinario ed i crediti speciali,compresi quelli a medio e lungo termine, non abbiano trovato nessuna espli-cita enunciazione nella legge bancaria. In realtà chi aveva voluto questo piano,sin dal 1915, era Beneduce, che «silenziosamente e tenacemente aveva cercatodi realizzarlo ed ora lo poneva a premessa e a risultato della grande riformabancaria»152. Erano state le tre convenzioni del 1934 ad estromettere le ban-che da tutte le posizioni industriali e, soltanto in seguito a questi eventi, erastato possibile, per Beneduce ed i suoi collaboratori, concepire la riforma ban-caria.

La Banca d’Italia che ruolo ebbe nell’elaborazione della legge e nella costi-tuzione del sistema creditizio? L’Istituto entrò solo nella fase finale di questieventi. Il vero protagonista fu Beneduce. Egli fu l’ispiratore dell’IMI; egliinventò l’IRI nella forma definitiva che esso assumerà; fu Beneduce a sotto-porre, nel 1933, al governo un rapporto sui problemi del risanamento banca-rio e sulla «impostazione che [doveva] avere in un paese come l’Italia, l’eser-cizio del credito mobiliare»153; e fu sempre Beneduce che, avuta l’approvazio-ne del rapporto, predispose le convenzioni, convocò le banche ed impose,senza possibilità di discussione, la sottoscrizione dei testi. «Quando in sedeIRI [maturò] l’idea della legge bancaria l’apporto della Banca d’Italia [fu]pressoché inesistente»154. Nonostante ciò, l’istituto che uscì rafforzato dallariforma fu la Banca d’Italia. Vediamo come ciò è stato possibile.

La vera modificazione ed innovazione della legge n. 375/36, fu l’istituzio-ne dell’Ispettorato per la difesa del risparmio e per l’esercizio del credito. Tuttii poteri esercitati in passato dalle più varie amministrazioni si unificarono. Atale scopo non ci si sarebbe potuti avvalere della Banca d’Italia, «che non [era]in senso stretto un’amministrazione della Stato»155. La soluzione miglioreapparve, dunque, l’invenzione del combinato organizzatorio Comitato deiministri-ispettorato. Infatti, ciò consentì di sostituire i ministri con una auto-

151 Ibidem, pag. 158.152 Ibidem, pag. 159.153 ACS, ASIRI, Relazione dell’IRI sul bilancio per il 1935, serie nera, cart. 18, Roma

27 marzo 1935.154 Guarino G., Il profilo giuridico, op. cit., pag. 160.155 ASBI, Lettera del governatore della Banca d’Italia Vincenzo Azzolini al ministro delle

Finanze Guido Jung, Direttorio- Azzolini, cart. 44, fasc. 2, Roma 28 luglio 1932.

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rità più alta, il Comitato appunto, e divenne così possibile utilizzare per icompiti attuativi un ufficio specializzato, quale fu l’Ispettorato. «La Bancad’Italia non veniva esclusa, ma anzi associata alle decisioni in quanto lo stessogovernatore veniva preposto all’Ispettorato e veniva ammesso, fatto del tuttoeccezionale, a partecipare alle sedute del Comitato dei ministri»156.

L’Ispettorato, in realtà, non operò mai come un organismo distinto dallaBanca d’Italia. Esso continuò ad avvalersi dei direttori di sede della Banca d’I-talia e, a livello centrale, la direzione per la vigilanza istituita in Banca d’Ita-lia, consolidò esperienze ed autorità. Non c’erano motivazioni per cui si sareb-be dovuto sostituire un ufficio che, fino a quel momento, aveva funzionatoperfettamente. «Ci si continuò ad avvalere dunque degli ispettori della Bancad’Italia. L’istituzione di un ufficio distinto sarebbe stata in seguito anche for-malmente abbandonata»157.

Con la riforma del 1936 si ebbe la sostituzione diretta della Banca d’Ita-lia a tutti i ministeri nell’esercizio dei poteri in materia creditizia ed inoltre,sin dalla titolarità dei poteri di vigilanza, si venne ad affermare, come conse-guenza, la prassi che il governatore dovesse sottoporre all’organo collegiale leproposte di delibere. «La concentrazione di tutti i poteri in materia creditizianella Banca d’Italia con estensione a poteri nuovi di vigilanza e controlloavrebbe consentito gradualmente di estendere le funzioni della Banca all’inte-grale governo della liquidità e della moneta»158.

La legge bancaria nacque in periodo fascista ma restò praticamente ugua-le fino al 1993. Da che cosa dipende questa resistenza? Da cosa deriva questaadattabilità a varie stagioni politiche e a varie congiunture economiche nazio-nali ed internazionali? «La legge era caratterizzata da flessibilità e duttibilità,sottolinea Tarantola-Ronchi, in quanto non dettava vincoli o norme puntualicui il sistema bancario doveva attenersi, ma linee-guida abbastanza ampie,delegando all’organo di vigilanza il compito-potere di regolatore di aspettitipici dell’attività bancaria. In virtù di tale caratteristica la legge bancaria, purrimanendo invariata nel tempo, ha consentito alle autorità di adattare la rego-lazione secondaria alle diverse esigenze del momento»159.

La domanda sull’attualità della legge bancaria del 1936 viene posta ormaida quarant’anni ed essa ha, per lo più, risposte positive. Cominciò a porsela lacommissione economica del Ministero per la Costituente nel 1945-46, «giun-gendo alla conclusione che sia la scelta in ordine alla politica degli sportelli e

156 G. Guarino, Il profilo giuridico, op. cit., pag. 162.157 Ibidem.158 Ibidem.159 A. Tarantola Ronchi, La vigilanza sulle e sui gruppi bancari, il Mulino, Bologna

1996, pag. 35.

159

alla specializzazione funzionale, sia la loro successiva gestione, erano, nel com-plesso, da valutarsi positivamente»160.

Nel 1975, il gruppo di lavoro di Monti e di Padoa Schioppa giunse allavalutazione che si potesse migliorare il funzionamento della “struttura del siste-ma creditizio”, ma l’assetto normativo complessivo fu comunque soddisfacente.«Più tardi, nel 1979, al convegno dell’Associazione per il progresso sul “nuovoruolo per le banche”, Savona affermava che la legge bancaria non deve esseremodificata. Occorre, anzi, tornare al suo dettato originario, ripristinando la spe-cializzazione degli istituti e degli strumenti ad essi attribuiti»161.

Altri esempi positivi sulla legge del ’36 possiamo farne, ma il punto cheva sottolineato è un altro. Come sostiene Cassese, noi riteniamo che la doman-da circa l’attualità e la validità della legge bancaria è posta in modo tropposintetico da risultare sbagliata. «La legge bancaria del 1936 è, infatti, solo lapunta di un ice-berg, costituito da almeno cinquecento altre leggi, statuti e attinormativi di varia natura. Essa definisce, e a grandi linee, solo una piccolaparte dell’ordinamento bancario […]. Per questi motivi, piuttosto che chie-dersi se sia ancora attuale la legge bancaria, occorre chiedersi se tutte questevarie parti che rappresentano la “costituzione” del credito siano tra loro con-gruenti e se esse poi, nel complesso, siano congruenti con la realtà del sistemacreditizio»162.

Cassese ci fa notare come, in realtà, la legge bancaria sia viva e morta allostesso tempo. «Se si guarda alla lettera della norma, essa sopravvive. Era,infatti, una norma elastica, adatta a più situazioni. Non codificava la banca“pura” […], né la separazione dei tipi di credito, né regole circa le dimensio-ni territoriali delle banche […]. Se si guarda, ai presupposti su cui la leggebancaria era fondata […] e alle altre componenti del quadro normativo, si puòdire che la legge bancaria è superata. Né l’assetto territoriale, né il repartofunzionale, sono ancora vigenti»163.

L’assetto del sistema bancario dopo la legge del 1936, non è vero sia rima-sto invariato fino ad oggi, «sia a causa di mutamenti di singole parti, sia pereffetto di addizioni successive»164. Cosa si è andato modificando?

In primo luogo, la specializzazione funzionale, rispettata rigidamente dal1936 al 1944, venne, fino al 1970, interpretata in maniera flessibile ed inseguito, con ancor maggiore larghezza (si pensi alla legge n. 23 del 1981).

160 S. Cassese, È ancora attuale la legge del 1936? Stato, banche e imprese pubbliche daglianni ’30 agli anni ’80, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1987, pag. 33.

161 Ibidem.162 Ibidem, pag. 34.163 Ibidem, pag. 36.164 Ibidem.

160

In secondo luogo, a mutare fu la regolamentazione della distribuzione territo-riale, rispettata rigidamente sino al 1947, poi resa progressivamente più elasticafino alla delibera Cicr del 19 luglio 1984, che modificò le aree territoriali di ope-ratività, riducendole a tre (interprovinciale, interregionale e nazionale)165. In terzoluogo, ebbe un grande sviluppo, nel dopoguerra, il credito speciale, nella forma dicredito agevolato, che era istituto marginale durante gli anni Trenta. Un quartofatto nuovo fu l’internazionalizzazione dell’attività bancaria che produsse prima il“concordato” 1975, poi la sua revisione del maggio 1983, «nonché crescenti ini-ziative congiunte delle autorità di vigilanza, dirette ad ampliare le possibilità dicontrollo domestico e di quello nel paese ospitante, possibilmente su base di bilan-ci consolidati, in modo da tener d’occhio l’attività bancaria indiretta»166.

I mutamenti successivi della legge bancaria vennero indirizzati, da unlato, verso una maggiore concorrenza, dall’altro, verso una maggiore discipli-na. È giusto pensare che tutti gli interventi apportati alla legge bancaria sianointerventi di deregulation. «Bisogna, sottolineare la storicità e, quindi, la varia-bilità dei campi sui quali si esercita la disciplina pubblica»167.

Gli anni Trenta rappresentarono uno spartiacque importante della storiaamministrativa dei paesi sviluppati. Non ci troviamo più nella situazione incui il potere pubblico interveniva in maniera neutrale, come garante dellapace sociale, ma ha inizio un’epoca nuova, nella quale «al capitalismo privatosi affianca un consistente settore pubblico, il potere pubblico afferma una suapolitica economica, da imporre – se necessario – ai privati»168. Inizia un “motodi lunga durata”, caratterizzato dallo spostamento dei poteri decisionali dal-l’area privata a quella pubblica, dalla conseguente crescita degli apparati pub-blici e da una notevole concentrazione di poteri pubblici nello Stato.

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Riviste consultate

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Documenti consultati

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Roma 1932.- BI, Adunanza per il 1927.- BI, Adunanza per1926.- Codice di Commercio: art. 177 e art. 62 del relativo regolamento.- Memoriale Azzolini.- Regolamento per la tutela del risparmio in « Gazzetta Ufficiale » del 16 dicem-

bre 1926, n. 289.