Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Questa seconda indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia, che segue a quattro anni di distanza la prima ricerca sui ccGiovani oggi», pubblicata dal Mulino nel 1984, costituisce un ulteriore tassello nella costituzione di un osservatorio empirico delle dinamiche della popolazione giovanile in Italia. Basata su un ampio campione di giovani, intervistati dalla DoxA in tutte le regioni del paese, la ricerca esplora le tematiche più rilevanti della condizione giovanile: scuola e lavoro, consumi e tempo libero, vita familiare ed affettiva, partecipazione politica e sociale, devianza e valori. Il quadrO--che ne risulta sottolinea una serie di elementi che vengono offerti alla riflessione di quanti (genitori, insegnanti, operatori, politici) si devono confrontare con i problemi dei giovani: la scarsa produttività del sistema educativo, la crescente estraneità nei confronti della sfera pubblica organizzata e dei partiti, l'impegno sul problema della pace, dell'ambiente e della scuola, gli atteggiamenti verso le norme morali, la difesa nei confronti della droga, i modelli di consumo e di tempo libero, gli orientamenti verso il futuro.

Alessandro Cavalli insegna Sociologia politica nell'Università di Pavia. Con il Mulino ha già pubblicato «Economia, società e stato .. (con N. Addario, 1980) e «Il tempo dei giovani» (1985). Antonio De Lillo insegna Metodologia delle scienze sociali nell'Università di Pavia. Con il Mulino ha già pubblicato «Scuola e lavoro .. (1981) e «La valutazione sociale delle occupazioni•• (con A. Schizzerotto, 1985).

ISBN 88-15-01807-7

l. 18.000 9 78 076

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CONTEMPORANEA/26

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L'Associazione lard

IARD è un Istituto di Ricerca senza finalità di lucro che opera prevalentemente nel campo dei giovani e della scuola. È stato fondato a Milano nel 1961 e conduce studi teorici, indagini em­piriche e sperimentazioni nel campo dei processi educativi, for­mativi e di socializzazione con approcci che integrano le prospet­tive delle diverse scienze sociali.

Le linee principali di attività si articolano attualmente in nove aree tematiche:

-

l. La condizione giovanile, 2. La condizione infantile e prea­dolescenziale, 3. I giovani e la condizione lavorativa, 4. L'educa­zione linguistica, 5. La struttura del sistema scolastico italiano, 6. La costruzione dei curricoli e definizione dei contenuti didat­tici, 7. La politica culturale, 8. Il turismo educativo, 9. Le fiere: itinerari didattici.

In ciascuno di questi àmbiti tematici vengono elaborati mo­delli di intervento, avviate sperimentazioni per mettere alla prova la validità delle ipotesi, organizzati corsi di formazione e aggiornamento per insegnanti e operatori culturali.

La finalità operativa che impronta tutto il lavoro ha portato alla produzione di un'ampia gamma di strumenti, sussidi didat­tici e pubblicazioni, aventi lo scopo di diffondere le proposte ela­borate ed i risultati delle ricerche.

Sono stati altresì promossi ed organizzati numerosi Conve­gni e T avole Rotonde con lo scopo di mettere a confronto esperti sui temi via via affrontati e di far conoscere a tutti gli in-teressati le conclusioni raggiunte. _

Come riconoscimento della rilevanza delle proprie attività, l'Associazione è stata insignita nel 1968 e nel 1976 della Meda­glia d'Oro per i Benemeriti della Scuola, della Cultura e del­l' Arte, su segnalazione del Ministero della Pubblica Istruzione.

Questa ricerca è stata condotta sotto la responsabilità del Comitato scientifico dell'Associazione IARD, il quale ne ha affi­dato la realizzazione ad un'équipe composta da Alessandro Ca­valli, direttore del Dipartimento di studi politici e sociali dell'U­niversità di Pavia, Vincenzo Cesareo, direttore del Dipartimento di sociologia dell'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano; Antonio De Lillo, preside della Facoltà di Sociologia dell'Uni­versità di Trento; Luca Ricolfi, ricercatore di sociologia nell'Uni­versità di Torino; Guido Romagnoli, ordinario di Sociologia del lavoro nell'Università di Trento. Il rapporto finale, qui pubbli­cato, è stato redatto da Alessandro Cavalli e Antonio De Lillo.

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ALESSANDRO CAVALLI ANTONIO DE LILLO

GIOVANI ANNI 80

Secondo rapporto lard sulla condizione giovanile in Italia

SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO

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CA V ALLI, Alessandro

Giovani anni 80 : Secondo rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia / Alessandro Cavalli, Antonio de Lillo. Bologna : Il Mu­lino, 1988. 209 p. : tab. ; 21 cm. (Contemporanea ; 26). ISBN 88-15-01807-7 l. Giovanni - Italia - Rapporti I. De Lillo, Antonio 305.230 945

Copyright © 1988 by Società Editrice il Mulino, Bologna. È vietata la riproduzione anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

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Indice

Presentazione p. 7

Introduzione 9

I . Le esperienze scolastiche 15

l. I percorsi scolastici 15 2. I giudizi sull'esperienza scolastica 24 3. I rapporti con gli insegnanti 28 4. Scuola e lavoro 30

II. I percorsi lavorativi 33

l. La condizione lavorativa 33 2. Le storie lavorative 37 3. Il lavoro attuale 41 4. La valutazione del lavoro svolto 45 5. Le immagini del lavoro 49

III. Progetti, attese, orientamenti per il futuro 55

l. Premessa 55 2. La previsione di finire gli studi 57 3. La previsione di trovare un lavoro stabile 59 4. La previsione di andare a vivere per conto

proprio, di sposarsi e di avere dei figli 60 5. L'incertezza delle attese e delle scelte 64 6. Gli orientamenti al futuro: «autodetermi-

nati» e «fatalisti» 65

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IV. Gli orientamenti di valore

l. Le cose che contano nella vita 2. Il grado di 'soddisfazione 3. Le cose che contano nel lavoro 4. Materialisti e post-materialisti 5. Fede e pratica religiosa

V. La partecipaz�one politica e sociale

l. Le nuove forme di partecipazione politica 2. Le preferenze elettorali 3. Fiducia/sfiducia nelle istituzioni 4. La partecipazione associativa

VI. Le reti di rapporti interpersonali

VII.

l. I rapporti di convivenza e l'autonomia dalla famiglia

2. Le relazioni tra i pari: i gruppi amicali

Tempo libero e consumi giovanili

l. L'importanza delle attività di tempo libero

p. 7 1

71 74 79 82 84

89

89 93

100 103

109

109 113

119

e di consumo 119 2. Le risorse monetarie disponibili 122 3. Omogeneità e differenziazione nell'uso del

tempo libero e nei consumi giovanili 124 4. Mass-media e modelli di consumo 130 5. Le attività sportive e le vacanze 132

VIII. Devianza e trasgressioni 137

137 142 148 153

l. La percezione delle norme sociali 2. Le norme individuali 3. La propensione a trasgredire 4. L'esposizione alla droga

Conclusioni 157

Appendice: Il questionario e le distribuzioni di frequenza 167

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Presentazione

Con la pubblicazione di questo rapporto, l'Associazione IARD onora l'impegno che si era assunta nel 1984 in occa­sione della prima indagine sulla condizione giovanile in Ita­lia (Giovani oggi, Il Mulino, 1 984) : di procedere, cioè, alla replica dell'indagine al fine di costruire nel tempo un osser­vatorio delle dinamiche della popolazione giovanile nel no­stro Paese .

Ci eravamo assunti questo impegno, sia di fronte a noi stessi e ai nostri collaboratori, sia nei confronti di coloro che avevano avuto fiducia nell'iniziativa e che avevano con­cretamente sostenuto il nostro sforzo, sia, infine, nei con­fronti di tutti coloro (responsabili politici, operatori sociali ed economici, insegnanti, formatori e giovani) che avevano utilizzato la nostra indagine ed apprezzato lo spirito di ser­vizio pubblico col quale l'avevamo concepita.

I risultati della seconda indagine, che qui offriamo alla riflessione e alla discussione pubblica sui problemi dei gio­vani, ci confermano che la strategia di rilevazioni periodiche tra loro confrontabili è la strategia giusta per un accurato monitoraggio di una realtà giovanile in rapida e continua trasformazione.

Questa volta, inoltre, abbiamo reintervistato un cospi­cuo numero di soggetti del campione della precedente inda­gine, realizzando così una delle prime, se non la prima, ri­cerca sociologica longitudinale sui giovani in Italia.

L'esito del lavoro ci consente di guardare fiduciosa­mente al futuro e di preparare, nel giro di qualche anno, la terza indagine IARD sulla condizione giovanile.

Anche questa volta dobbiamo ringraziare tutti coloro che hanno contribuito finanziariamente alla realizzazione dell'indagine: Associazione Nazionale fra le Imprese Assi-

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curatrici; Associazione Industriale Lombarda; Camera di Commercio di Milano; Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde; Consiglio Nazionale delle Ricerche; Commis­sione delle Comunità Europee; Costan Spa; FORMEZ, Cen­tro di Formazione e Studi per il Mezzogiorno; IBM Italia Spa; Associazione Sindacale Intersind; Ministero di Grazia e Giustizia; Ministero del Lavoro; Ministero della Ricerca Scientifica; Industrie Pirelli Spa; Regione Lombardia.

Un ringraziamento va infine alla DoxA che ha curato la rilevazione sul campo e le prime elaborazioni dei dati con la sua consueta professionalità.

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FRANCO BRAMBILLA Presidente dell'Associazione IARD

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Introduzione

In questo volume sono presentati i principali risultati di un'indagine sulla condizione giovanile in Italia, condotta dalla Associazione IARD con la collaborazione dell'Istituto DoxA. Si tratta della replica di un'analoga ricerca del 1983, anch'essa a carattere campionario e curata dallo IARD 1, nel­l' ambito dell'osservatorio nazionale che questo istituto ha co­stituito per studiare, sia con rilevazioni periodiche a carattere nazionale, sia con studi specifici, la direzione, i ritmi e l'inten­sità dei mutamenti ai quali sono soggetti gli atteggiamenti, gli orientamenti, le attese ed i comportamenti giovanili.

La replica dell'indagine del 1983 si compone di due rile­vazioni distinte. La prima è stata realizzata attraverso l'in­tervista ad un nuovo campione di 2 .000 soggetti, in età compresa tra i 15 ed i 24 anni, scelto in modo da garantire la rappresentatività della popolazione di riferimento. Le in­formazioni sono state raccolte tramite questionario struttu­rato che, pur toccando gli stessi temi della ricerca del 1983 (la scuola, il lavoro, la vita familiare ed affettiva, la parteci­pazione sociale e politica, i consumi ed il tempo libero, la devianza), ha approfondito in modo particolare gli aspetti legati ai valori ed agli atteggiamenti dei giovani nei con­fronti della propria vita e del proprio futuro.

La seconda parte della replica è consistita nella reinter­vista ad un sub-campione di giovani che erano già stati in­tervistati nel 198��d al quale sono state sottoposte le stesse domande dèl precedente questionario. Sono stati scelti i quindicenni, i diciottenni ed i ventunenni dell'e­poca, allo scopo di conoscere che cosa fosse cambiato, non

1 AA.VV., Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, Il Mulino, 1984.

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solo nelle loro condizioni di vita, ma anche in termini di at­teggiamenti, orientamenti, sistemi di preferenze.

Il condurre rilevazioni periodiche su una stessa fascia di età, infatti, se permette di valutare che cosa cambia e cosa ri­mane costante nel tempo, presenta tuttavia il limite, proprio perché le interviste sono somministrate a coorti differenti, di non consentire di separare i mutamenti a carattere genera­zionale, da quelli legati invece alla maturazione dell'indivi­duo ed alla sua evoluzione per effetto del passare degli anni. Le indagini di pane!, fondate appunto sulla reintervista agli stessi soggetti, a distanza di tempo, utilizzando lo stesso questionario, danno la possibilità di distinguere i cambia­menti intra-generazionali da quelli inter-generazionali.

Per quanto è a nostra conoscenza, il reintervistare dopo alcuni anni le stesse persone è una pratica di ricerca assai poco diffusa nelle indagini sociologiche, specie nel nostro paese, anche a causa delle difficoltà di reperimento delle stesse persone. Tali difficoltà sono particolarmente evidenti per le fasce di età giovanili, per le quali la mobilità geografica è particolarmente elevata. Tuttavia i vantaggi di affiancare, alla ripetizione di una rilevazione, i dati ricavabili da un pa­ne! sono evidenti negli studi sulla condizione giovanile. Esso è l'unico strumento, infatti, che permette di determinare, una volta osservata una differenza significativa tra due classi di età distinte, quale parte di essa sia attdbuibile al fatto che si tratta di soggetti in stadi diversi del ciclo di vita e quale parte, invece, dipenda dal fatto che i due gruppi apparten­gono «storicamente» a due diverse generazioni.

Come abbiamo ricordato, l'indagine campionaria è stata condotta su 2.000 soggetti, scelti sull'intero territorio nazio­nale in modo da garantire la rappresentatività statistica ri­spetto al sesso, all'età ed allo strato geografico di residenza, utilizzando gli stessi criteri della precedente ricerca 2• Le in­terviste sono state svolte nell'inverno 1986/87, quindi a

2 Il piano di campionamento è stato predisposto dall'Istituto DoxA, che ha curato anche l'esecuzione e la codifica delle interviste ed ha colla­borato alla redazione del questionario. L'ideazione e la progettazione del­l'intera indagine sono state svolte, invece, dalla stessa équipe che aveva guidato la precedente ricerca, composta dai proff. Vincenzo Cesareo, Guido Romagnoli e Luca Ricolfi, oltre che dagli autori del presente vo· lume.

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poco più di tre anni di distanza dall'indagine precedente. I raffronti tra le principali caratteristiche dei due campioni sono riportati nel corso del volume e in appendice. Occorre qui solo ricordare che, tanto nella redazione delle domande, quanto nei criteri usati per l'elaborazione dei dati si è ope­rato in modo da garantirsi il più alto grado possibile di comparabilità.

Va tenuto, comunque, presente che il tempo intercorso tra le due rilevazioni non ha prodotto variazioni di rilievo ri­spetto alla distribuzione delle principali variabili definitorie delle caratteristiche strutturali dei soggetti, salvo qualche modifica nella composizione per età, dovuta al calo demogra­fico per le leve più giovani. Qualche differenza, invece, si ri­scontra rispetto allo status socio-economico della famiglia ed al livello culturale dei genitori degli intervistati (tabb. l e 2) . Questi due indicatori nascono dalla combinazione, il primo della professione del padre e del suo titolo di studio e il se­condo del titolo di studio di entrambi i genitori.

Nel triennio di intervallo tra le due rilevazioni sembra, dunque, che le cose nel nostro paese siano in certa misura mi-

TAB. 1 . Confronto 1983-1987 dello status socio-economico familiare degli intervistati

1987 1983

Status basso 8,5 12,2

Status medio -basso 3 1 ,4 33,0

Status medio 2 1 ,4 21 ,8

Status medio -alto 16,9 13,8

Status a lt o 21 ,7 19, 1

Totali ( = 100) 1 . 779 3 .477

TAB. 2. Confronto 1983-1987 de/livello culturale familiare degli inte1vistati

Livell o basso Livell o medio -basso Livell o medi o -alto Livello alto

Totali ( = 100)

1987

15 ,4 38 ,1 28,5 18,0

1 .937

1983

21 ,7 36,7 26,0 15,0

3 .886

1 1

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gliorate, almeno per quanto riguarda il retroterra sociale e culturale dei giovani da noi intervistati. Le posizioni più basse sono diminuite e, per contro, è aumentata la propor­zione di giovani che vivono in condizioni socio-economiche agiate. Gli stessi andamenti si osservano anche rispetto al li­vello culturale dei genitori che, in certa misura, è un indica­tore del capitale culturale che questi trasmettono ai loro figli.

Questi dati non devono, tuttavia, portare a pensare che la nostra società sia diventata più egualitaria. Le differenze so­ciali continuano a permanere e, forse, per alcuni aspetti si ap­profondiscono. Tutto ciò, come avremo modo di vedere, si ri­percuote direttamente sui giovani e si traduce in differenze, talora anche di rilievo, in termini di opportunità educative e lavorative. Queste ultime si riflettono, poi, anche sulle con­cezioni di vita e sugli atteggiamenti generali. Non ci sembra, di conseguenza, possibile parlare della condizione giovanile, come se fosse una proprietà generale o una struttura di fondo che caratterizza le persone per il solo fatto di trovarsi in una certa fase della vita. In realtà, accanto ad alcuni comporta­menti ed atteggiamenti che possono considerarsi propri del­l' età, troviamo notevoli diversificazioni in termini di stili di vita, di propensioni, di livelli di progettualità, di attese.

L'indagine di pane! ha interessato complessivamente 718 ragazzi che erano stati intervistati nel 1983 e che sono stati reintervistati nella primavera del 1987. Nell'impossibilità di replicare l'indagine su tutti i 4.000 soggetti si è deciso, come abbiamo già ricordato, di prendere in considerazione solo tre leve, composte complessivamente di 1 . 1 3 7 soggetti 3• Di que­sti è stato possibile rintracciarne 975, pari all'86% del sub­campione originario. Ulteriori difficoltà sono, poi, derivate dal fatto che non tutti si sono dimostrati disponibili ad essere reintervistati, per cui alla fine la ricerca ha potuto contare solo sulla ripetizione di circa due terzi del totale delle intervi­ste del 1983 (tab. 3) .

Malgrado, quindi, circa un terzo del gruppo originario non abbia potuto essere reintervistato, la dimensione com­plessiva del campione, appare abbastanza consistente da dare significatività ai confronti fatti.

3 Anche l'esecuzione delle reinterviste, nonché la codifica delle stesse sono state curate dall'Istituto DoxA.

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TAB. 3. Cadute, rifiuti e reinterviste del campione di quindicenni, diciottenni e ventu­nenni del 1983

N %

Non rintracciati 162 14,2 Rifiuti 257 22,6 Reinterviste 718 63,2

Totali 1.137 100,0

Nel corso di questo volume viene solo presentato un quadro generale dei principali risultati della ricerca, ope­rando anche i confronti con la precedente indagine e cer­cando di valutare i mutamenti riscontrati alla luce dell'in­dagine pane!.

Siamo consapevoli che molto più poteva essere detto ed analisi più approfondite potevano essere condotte, data an­che la gran massa dei dati disponibili. Abbiamo preferito tracciare una sintesi che desse conto di ciò che ci è apparso più immediatamente evidente, rimandando ad un succes­sivo lavoro un'analisi maggiormente approfondita e detta­gliata di quella qui presentata .

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l. Le esperienze scolastiche

1. l percorsi scolastici

La condizione dei giovani, per quanto riguarda il lavoro e lo studio, non appare sostanzialmente modificata rispetto alla situazione rilevata nel 1983: a fronte di poco meno della metà del campione (43,6%) che è ancora inserito nel sistema scolastico o universitario, vi è quasi un quarto di intervistati che non studia e non lavora e circa un terzo di lavoratori. Anche la proporzione di studenti-lavoratori non sembra aver subito significative modificazioni nell'arco di tempo considerato (cfr. tab. I. 1), rimanendo un fenomeno di dimensioni relativamente limitate.

Nemmeno la distribuzione per tipo di scuola frequen­tata mostra diversità di rilievo, rispetto alla precedente in­dagine sulla condizione giovanile . Due terzi di coloro che studiano sono iscritti ad una ,scuola superiore e circa un quarto frequenta l'università. E, semmai, da sottolineare il fatto che, in una popolazione che ha superato i 15 anni di età vi sia pur sempre una certa quota (il 2 ,2%) che fre­quenta ancora la scuola media inferiore .

Le questioni relative ai tassi di frequenza scolastica, ai

TAB. I. l. Condizione attuale degli interoistati

Lavorano solamente Lavorano e studiano Studiano solamente Non studiano e non lavorano

Totali ( = 100)

1987

32,6 4,4

39,2 23,8

2.000

1983

31,9 4,3

38,4 25,4

4.000

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passaggi da un livello all'altro, alle scelte post-obbligo, ai ri­tardi ed alle condizioni generali che provocano le disugua­glianze nella fruizione dell'offerta formativa, sono state ampiamente trattate nella letteratura sull'argomento, ricor­rendo alle fonti ufficiali ed alle rilevazioni su vasta scala. Non è certo un'indagine campionaria che può dare ulteriori elementi di conoscenza intorno ai problemi di ordine strut­turale che investono il sistema scolastico del nostro paese. Non sono, invece, desumibili dai dati lsTAT né dalle altre fonti ufficiali le interconnessioni tra i diversi aspetti dei processi di scolarizzazione, le carriere individuali, i tipi di percorsi seguiti e le caratteristiche socio-economiche della famiglia, le opinioni, gli atteggiamenti, le attese dei gio­vani. È quanto appunto cercheremo di vedere in questo ca­pitolo.

Ai fini delle analisi successive, per poter disporre di sot­togruppi omogenei e numericamente consistenti, gli stu­denti lavoratori, data la loro ridotta entità numerica, sono stati suddivisi a seconda della prevalenza dell'uno o dell'al­tro tipo di attività. Coloro che hanno dichiarato di lavorare solo in periodi non scolastici (circa il 20% di questo sotto­gruppo) sono di fatto degli studenti che svolgono lavori sta­gionali e, di conseguenza, sono stati accorpati con gli stu­denti; gli altri, invece, sono stati ricompresi nella categoria dei lavoratori, essendo tra l'altro per la gran parte iscritti all'università. In tal modo l'intero campione risulta artico­lato in tre gruppi principali: gli studenti, pari al 40% degli intervistati; i lavoratori, che costituiscono il 36,2% del campione; coloro che non studiano né lavorano e che as­sommano al 23,8% .

Per avere un quadro d'insieme della distribuzione delle diseguaglianze educative nel nostro paese, può essere utile considerare la tabella I.2, nella quale sono riportate le pro­porzioni di coloro che studiano secondo due variabili terri­toriali (area geografica ed ampiezza del comune di resi­denza), due caratteristiche personali degli intervistati (sesso ed età) e due dimensioni definitorie delle condizioni fami­liari (status socio-economico e livello culturale della fami­glia) .

Le prime due variabili confermano fenomeni già altrove osservati e discussi. La fruizione scolastica nel Sud è più

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TAB. I. 2. Proporzione di studenti secondo:

La ripartizione geografica

Nord 40, 5 Centro 38,7 Sud 42,4 Isole 35,7

L'ampiezza del comune

fino a 10.000 ab . 33,8 da 10a 50. 000ab . 40,7 oltre 50. 000 ab. 45,0

Il sesso e l'età

Maschi 15-1 7 anni Femmine 15-17 anni Maschi 18-20 anni Femmine 18-20 anni Maschi 21-24 anni Femmine 21-24 anni

Lo status socio-economico

Basso Medio -basso Medio Medio -alto Alto

74,8 78, 1 42,7 35,2 16,9 13,6

19,5 26,6 37,2 48,2 69, 9

Tot. Maschi Tot . Femmine

Tot. 15-17 anni Tot . 18-20 anni Tot . 21-24 anni

Il livello culturale familiare

Basso Medio -basso Medio -alto Alto

41,3 38,7

76,4 38,9 15,3

17,2 28,7 47,1 71,8

elevata che nel resto del paese, anche per effetto delle diffi­coltà nel trovare un lavoro. D'altronde nel Sud e nelle isole è anche più elevata la proporzione dei giovani che non stu­diano e non lavorano; essa infatti si aggira intorno al 30%, contro il 19% del resto d'Italia. Per motivi diversi, un ele­vato tasso di scolarizzazione caratterizza anche le regioni del Nord.

Assai netta poi, è la differenza secondo l'ampiezza del comune di residenza. Mentre solo un terzo di coloro che vi­vono in piccoli centri va a scuola, questa proporzione sale quasi alla metà per i residenti in comuni medi e grandi. Il fenomeno è di rilievo se si tiene conto del fatto che nei co­muni con meno di 10.000 abitanti risiede il 34% degli in­tervistati. Esso è certamente dovuto alla minor offerta for­mativa, in termini di presenza delle strutture scolastiche, nei centri più piccoli, ma è presumibilmente legato a fattori di ordine culturale più generali ed a differenti situazioni nel mercato del lavoro. Del resto i comuni di minori dimen­sioni sono anche quelli che vedono una maggior propor­zione di occupati, ma anche una più elevata percentuale di giovani che non studiano e non lavorano.

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Se c on sideriam o c om ple ssi vamente la pr oporz ione dei ma sch i che stud ian o e la c om par iam o c on quella delle femm ine , n on sem bran o e sser vi variaz ion i d i grande am­piezza. Le d ifferenze tra i due se ssi, in vece , c om inc ian o a

di ventare rile vant i quand o e sam iniam o c ong iuntamen te il se sso e l 'et à. La c orrelazi one negat iva tra et à e fre quenza sc ola st ica si pre senta in m od o a ssa i più marcat o per le ra­

gazze che · n on per i ragazz i. Mentre nella fa sc ia dei 15-1 7enn i osser viam o un vantagg io relat ivo delle femm ine su i ma sch i, c ol pa ssare degl i anni il ra pport o si in verte in

m od o a ssai nett o. Molte pl ici son o i fatt or i che influ isc on o sulle d ifferenze tra i se ssi d i fr onte alla scu ola e su di e ssi

a vrem o m od o di t ornare pi ù oltre. In linea generale pos­siam o osser vare che le differenze territ or iali di cui a b­biam o a ppena parlat o e, anc or più quelle d i t ipo culturale,

delle qual i tratterem o tra bre ve, ag isc on o tutte nel sen so di aumentare la di scr iminazi one tra i se ssi, rendend o an ­c ora maggi ori per le ragazze le d isuguagl ianze di opportu ­nit à d i fr onte all'i struzi one .

Gli squ ilibri tutt ora e si stent i nelle possibil it à d i acce­dere a i d iver si li velli d i istruz ione a ppai on o sintet izzati nel ­Tult ima parte della ta bella 1.2, nella quale son o calc olate le

pr oporz ion i d i student i in c ia scun o de i sott ogru ppi ident ifi ­cati dall o statu s soc io-ec on om ic o e dal l ivell o culturale della famiglia . Nelle famiglie più di sagiate le due c ond izi on i pre­valenti (e d i ent it à pre ssoché par i, agg irand osi entram be in­

t orn o al 40%) son o quella di la vorat ore o di in occu pat o, mentre gl i student i son o sol o un quint o del t otale. A ssa i d i­ver sa è, in vece , la situaz ione d i c ol or o che pr oveng on o dalle

famiglie più a bbienti: in que st o ca so la pr oporzi one di c o­l or o c he n on stud ian o e n on la voran o è piutt ost o e sigua ( in­t orn o al 9%) , ed a bba stanza r id otta (di poc o su per iore al 20%) è anche la qu ota degli occu pati. Anal og he c on sidera ­z ion i emerg on o anche dall'ana lisi per l ivell o culturale fam i­l iare , a c onferma del fatt o che gl i squili br i nel n ostr o pae se permang on o c on si stenti e son o legat i n on sol o ai d iver si l i­velli di svilu ppo delle !ll"ee ge ografic he , ma anc he ad una struttura di di suguagl ianze soc iali , ec on omiche e c ultur ali

c he tende a per petuar si, a cau sa dell 'inca pac it à del sistema d i garant ire par i opportun it à d i acce sso a i li velli su per ior i dell' istruz ione a tutt i i c ittad in i.

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TAB. 1.3. Permanenze, entrate e uscite dal sistema scolastico alle diverse età

Età Passano Ripetono Rientrano Escono Restano Basi alla classe la classe fuori =100 successiva

da 6 a 7 a 95,5 1,5 3,0 * 2.000 da 7 a 8 a 98,9 1,1 2.000 da 8 a 9 a 98,9 1,0 0,1 2.000 da 9 a 10 a 98,7 1,1 0,1 0,1 2.000 da 10 a 11 a 97,1 1,2 1,5 0,2 2.000 da 11 a 12 a 91,8 5,1 0,1 1,4 1,6 2.000 da 12 a 13 a 91 ,2 4,0 0, 1 1,7 3,0 2.000 da 13 a 14 a 80,0 4,5 0,1 10,7 4,7 2.000 da 14 a 15 a 66,6 9,2 0,6 8,8 14,8 2.000 da 15 a 16 a 62,9 6,1 1,2 6,9 22,9 1.827 da 16 a 17 a 55,6 4,6 0,8 8,4 30,6 1.628 da 17 a 18 a 48,1 3,7 0,6 8,0 39,6 1.421 da 18 a 19 a 32,4 3,2 0,7 16,1 47,6 1 .269 da 19 a 20 a 23,6 1,3 1,2 9,7 64,2 1.058 da 20 a 21 a 19,8 0,9 2,0 4,8 72,5 822 da 21 a 22 a 17,9 0,3 0,9 3,8 77,1 614 da 22 a 23 a 14,1 1,1 1,2 2,2 81,4 401 da 23 a 24 a 9,6 4,0 1,0 1,6 83,8 188

(*) Nuovi entrati

Nella sezi one del que sti onari o rela ti va alla scu ola ed ai pr oce ssi f orma ti vi, veni va chie sto all'in ter vi sta to di indi­

care, ann o per ann o, a par tire dai 6 anni di et à, se anda va o men o a scu ola, n onché la cla sse ed il ti po di scu ola frequen ­ta ta . In tal m od o è sta to possi bile, per cia scun sogge tto, ri­

c ostruire l'in ter o i ter sc ola stic o, le ri pe tenze, gli a bband oni tem poranei e defini ti vi, i rien tri, per a vere, quindi, un qua­

dr o c om ple ssi vo dei flu ssi che, alle di ver se e tà en tran o ed e sc on o dal si stema sc ola stic o.

Il ri sul ta to di que sta anali si, per l'in ter o cam pi one di in ­ter vi sta ti, è ria ssun to nella ta bella 1.3, ogni riga della quale

i llu stra ciò che è a vvenu to nel pa ssaggi o da un'e tà all'al tra. La prima c ol onna indica dunque la cla sse di e tà di riferi­men to; ne lla sec onda c ol onna son o ri por ta te le percen tuali di c ol or o che son o pa ssa ti alla cla sse succe ssi va e, quindi, e sprime l� pr oporzi one dei reg olari in quell'ann o. Le c o­l onne succe ssi ve indican o, sem pre al pa ssaggi o da un'e tà al­l' al tra, i ri pe ten ti, c ol or o che son o rien tra ti, gli u sci ti dalla scu ola, in via tem poranea o defini ti va. Il penul tim o da to

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rappresenta la proporzione di intervistati che, essendo usciti dal sistema negli anni precedenti, ne sono rimasti fuori. La tabella, infine, riporta la base di calcolo delle per­centuali.

Due avvertenze occorre fare per una corretta lettura della tabella I. 3 . Poiché i calcoli sono sta ti fatti sull'in t ero campione, composto da 10 leve tra i 15 ed i 24 anni, i dati esposti sono dei valori medi; essi, in altri termini, sintetiz­zano fenomeni che non si sono prodotti in un unico mo­mento temporale, ma che riguardano, appunto, un arco di dieci anni. Una seconda cautela nella lettura dei dati va fatta per quanto riguarda le età più adulte che, per il dimi­nuire della numerosità dei soggetti, danno luogo a stime via via meno consistenti dei fenomeni in esame.

Malgrado queste limitazioni, ci pare che la tabella dia comunque delle informazioni estremamente utili per com­prendere alcuni aspetti delle dinamiche scolastiche. Come è infatti facile osservare il fenomeno degli abbandoni inizia in età assai precoci, già col passaggio dagli otto ai nove anni, per assumere valori sempre maggiori negli anni suc­cessivi. Solo in parte tali uscite sono compensate dai rien­tri, tanto che il cumularsi delle uscite fa sì che all'età di 12 anni già il 3% della popolazione giovanile si trovava al di fuori della scuola. Il fenomeno dei rientri non sembra, peraltro, assumere dimensioni vistose in nessuna delle età considerate; solo a partire dai 19 anni, forse per effetto di inutili ricerche di lavoro, frazioni più consistenti, anche se pur sempre modeste, di giovani paiono cercare nella ripresa degli studi qualche chance in più di promozione sociale o di inserimento nel lavoro.

Di rilievo appaiono anche le uscite dal sistema scola­stico tra i 15 ed i 18 anni. In parte queste sono da attri­buirsi al ritardato completamento del ciclo dell'obbligo o alla frequenza ai cicli brevi post-obbligo, ma in parte consi­stente si tratta di veri e propri abbandoni delle scuole me­die superiori. Se, infatti, consideriamo il totale di coloro che hanno interrotto un ciclo di studi senza conseguire il ti­tolo, vediamo che i due terzi di questi frequentavano la scuola secondaria. Né va trascurato il fatto che ben un quinto di tutti gli abbandoni scolastici sia avvenuto nel corso della scuola dell'obbligo (il 2,6% nel corso delle ele-

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m enta ri) . Di cons egu enza un int ervistato su 16 (il 6,6%) en­t ra n el mondo d el lavo ro s enza la li cenza m edia inf erio re.

Ma p erché si abbandona la s cuola ? A pa rt e i motivi d'o r­din e, p er cos ì di re, st ruttu ra le ( condizioni economi ch e d ella famiglia, n ecessità di anda re a lavo ra re e simi li), è int e­ressant e oss erva re com e olt re la m età d ei giovani ch e hanno

int errotto g li studi s enza cons egui re il titolo sia po rtata ad auto co lp evolizza rsi . Pi ù di un t erz O (il 3 7,7%), infatti, in­di ca n ella man canza di volontà la causa d ell' abbandono ed o lt re un quinto (i l 22, 7%) p ensa ch e esso sia dovuto ad una s celta s colasti ca sbag liata.

A ccanto agli abbandoni, l'alt ro asp etto d el la s el ezion e s colasti ca, m eno d efinitivo an ch e s e sp esso p reludio d el p rimo, è qu ello d ell e rip et enz e. P res entato talvolta com e in­di cato re di «s eri età» d ella s cuola, il f enom eno d ell e rip et enz e appa re, tuttavia, st rettam ent e l egato all e condizioni so cio­economi ch e d ella famiglia e, an co r pi ù, al liv ello cultu ral e di

qu esta ed ha cons egu enz e di rett e sui d estini lavo rativi. Compl essivam ent e ci rca un t erzo d egli int ervistati ha ri­

p etuto alm eno una class e n el co rso d ella sua ca rri era s cola­sti ca . A f ront e di quasi la m età d ei rip et enti (il 42 ,7%) t ra colo ro ch e p rov engono da famig li e di basso status so cio- eco ­

nomi co, abbiamo ril evato ch e t ra i figli di class e alta qu esta p ropo rzion e s cend e a quasi un qua rto (2 7,9%) . Vi è dunqu e un co rrelazion e n etta t ra la p rov eni enza so cia le ed il su ccesso s colasti co. Co rrelazion e ch e si manif esta in modo a lt rettanto evid ent e s e si consid era il capital e cultu ral e t rasm esso dalla

famiglia (tab. 1.4). E sop rattutto t ra colo ro ch e hanno avuto du e o pi ù rip e­

t enz e, cio è una vita s colasti ca pi ù t ravagliata, ch e si fa s en-

TAB. 1.4. Numero di ripetenze secondo il livello culturale della famiglia

Basso Medio Medio Alto Totale basso alto

Ripetenze: nessuna 58,0 67,2 64,3 73,6 66, 1 solo una 28,7 24,3 27,8 21,4 25,4 due o più 13,3 8,5 7,9 5,0 8,5

Totali ( = 100) 298 737 552 349 1.937

2 1

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t ire in modo particolarmente evidente l'origine familiare. I relativamente migliori risultati dei figli di condizione me­dio-bassa sono probabilmente dovuti al fatto che proprio in questi ceti gli investimenti in istruzione vengono visti come una reale possibilità di avanzata sociale e, quindi, i figli che continuano gli studi sono coloro che riescono a garantirsi standard elevati di profitto scolastico. Resta comunque in­negabile il vantaggio derivante dall'elevato livello culturale e sociale della famiglia.

Il ripetere una o più volta una classe si ripercuote, dice­vamo, anche sui destini scolastici e professionali dei gio­vani. La tabella I .5 mostra in modo sufficientemente chiaro questo legame.

Non solo coloro che continuano a studiare hanno avuto una carriera scolastica migliore, ma la proporzione maggiore di pluriripetenti si trova proprio nel sottogruppo di coloro che hanno smesso gli studi e non lavorano.

I processi di selezione scolastica, pur necessari se si vuoi costruire una società fondata sul merito e non sul privile­gio, sembrano ancora tuttavia essere una causa di emargina­zione dei meno avvantaggiati e dei più deboli socialmente . Invece di essere fattore di eguaglianza e di decondiziona­mento, il nostro sistema scolastico, dai dati fin qui emersi, si dimostra ancora troppo legato a meccanismi di riprodu­zione delle disuguaglianze.

Per ottenere un indicatore sintetico della carriera scola­stica, che tenga conto allo stesso tempo delle interruzioni, delle ripetenze e dei ritardi scolastici, abbiamo combinato insieme queste diverse dimensioni ed identificato, così, tre tipi di percorsi scolastici:

TAB. 1.5. Numero di ripetenze secondo la condizione professionale

Ripetenze: nessuna solo una due o più

Totali ( = 100)

22

Studiano

68,3 24,7

7,0

801

Lavorano

65,0 26,2

8,8

723

Non studiano e non

lavorano

63,0 26,2 10,8

476

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a) i percorsi regolari, seguiti da coloro che non hanno mai interrotto un ciclo di studi ed hanno conseguito il titolo (quale che esso sia) nel numero di anni previsti oppure stanno proseguendo con regolarità gli studi; la percentuale di intervistati che ricade in questa categoria è pari al 54 , l % ;

b) i percorsi irregolari, che caratterizzano gli studenti che hanno interrotto gli studi oppure hanno avuto una boc­ciatura; complessivamente questo gruppo rappresenta il 29,5% del campione;

c) i percorsi molto irregolari, propri di quegli intervistati che hanno interrotto più volte gli studi, oppure hanno ripe­tuto due o più anni o, ancora, hanno subito sia bocciature sia interruzioni; rientra in questo terzo gruppo una quota cospicua di giovani, pari al 16,4% degli intervistati.

Si tratta di una tipologia che mette in evidenza, ovvia­mente, gli stessi andamenti che abbiamo appena osservato nell'analisi delle singole dimensioni che sono servite a co­struirla; può, peraltro, essere utile vederne gli andamenti se­condo le variabili territoriali ed i diversi gruppi di età di­stinti per sesso (tab. 1 .6) .

TAB. 1.6. Tipi di percorsi scolastici secondo l'area geografica, l'ampiezza del comune e la combinazione sesso-età

Regolari Irre · Molto Totali go lari irregolari ( = 100)

Aree geografiche:

Nord 54, 8 31, 0 14, 2 856 Centro 52, 1 30,6 17, 3 362 Sud 58, 6 26, 4 15,0 534 Isole 44,8 29,3 25, 9 248

Ampiezza del comune: meno di 10. 000 ab. 57, 4 27, 4 15, 2 685 da 10 a 50.000 ab. 52, 6 31, 3 16, 1 522 oltre i 50. 000 ab. 52, 3 30, 0 17,7 793

Sesso ed età: maschi 15- 17 anni 59, 0 22, 5 18,5 293 femmine 15-17 anni 66, 3 25,0 8, 7 285 maschi 18- 20 anni 45, 2 33, 1 21, 7 294 femmine 18-20 anni 55,7 28, 9 15, 4 305 maschi 21· 2 4 anni 43, 6 35, 9 20, 5 419 femmine 21-24 anni 58, 2 28, 8 13, 0 403

Totale campione 54, 1 29, 5 16, 4 2. 000

23

Page 26: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Ancora una volta osserviamo le differenze per aree geo­grafiche, indicative degli squilibri territoriali esistenti nel­l' offerta formativa e nei modi di fruizione della stessa. Si riconferma, poi, il miglior rendimento scolastico delle ra­gazze rispetto ai ragazzi, che va accentuandosi al crescere dell'età, proprio perché la prosecuzione degli studi da parte delle prime, in vaste zone del paese, è ancora considerata meno scontata che per i maschi. Le ragazze che intendono studiare devono quindi garantire livelli di rendimento tali da giustificare l' investimento in istruzione fatto dalla fami­glia.

2. l giudizi sull'esperienza scolastica

La situazione generale dei percorsi e degli esiti scolastici tratteggiata nelle pagine precedenti non fornisce un quadro molto confortante del funzionamento del nostro sistema formativo. Solo poco più della metà dei giovani ha seguito un iter di studi che abbiamo potuto definire regolare, a fronte di un terzo circa degli intervistati che ha avuto qual­che infortunio nel corso della sua carriera e di un ragazzo su sei che di infortuni ne ha avuti diversi. Abbiamo anche osservato come i condizionamenti familiari e sociali operino ancora in modo notevole sulla riuscita scolastica. Qual è il giudizio che i diretti interessati danno della scuola? In che misura essi sono consapevoli delle sue disfunzioni?

A prima vista sembra che la valutazione complessiva che i giovani del nostro campione danno della loro espe­rienza scolastica sia ampiamente positiva. Richiesti, infatti, di giudicare l'istruzione che hanno ricevuto (o stanno rice­vendo) , più dei 4/5 degli intervistati se ne sono dichiarati «molto» o «abbastanza» soddisfatti. Solo il 17% ha detto di esserne «poco» o '«per nulla» contento. Queste proporzioni sono quasi identiche a quelle rilevate nella ìndagine del 1983 e l' analisi del pane! non indica che questo atteggia­mento sia mutato col passare del tempo.

Sembra dunque che per i giovani l 'istruzione ricevuta a scuola sia comunque valutata positivamente, indipendente­mente dal sesso o dall'età. A guardar bene, tuttavia, alcune differenze si riescono a cogliere, pur nel generale consenso.

24

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Vi è, anzitutto, diversità nel grado di soddisfazione rispetto allo status socio-economico ed al livello culturale della fami­glia: il 22% di giovani di condizione sociale e culturale bassa si dichiara scontento degli studi fatti, contro l' 1 1 % di coloro che appartengono agli strati alti. Ma è soprattutto rispetto alla storia scolastica e lavorativa che si possono co­gliere le differenze di giudizio più marcate (tab. I. 7) .

Chi studia ancora è assai più propenso a valutare come soddisfacente l'esperienza che sta facendo, soprattutto se il suo curriculum è stato positivo. L'impatto col mondo del lavoro, per contro, fornendo un test di realtà che chi studia ancora non può aver avuto, porta ad una maggiore insoddi­sfazione rispetto alla carriera seguita a scuola.

Questa disparità di valutazione tra chi è dentro e chi è fuori dal sistema scolastico, legata non solo alla diversità delle esperienze fatte, ma anche alla differente prospettiva dalla quale si guardano le cose, appare ancora più evidente quando si approfondisce l'analisi della percezione che i gio­vani hanno della loro vita scolastica. Nel corso dell'intervi­sta veniva, infatti, chiesto se i giovani fossero soddisfatti o meno di quattro aspetti della scuola due riferiti ai contenuti trasmessi (capacità professionali e cultura generale) e due ai rapporti interpersonali (con gli insegnanti ed i compagni) .

In questo caso, data anche per la maggiore articolazione del giudizio richiesto, vi è un campo maggiore di variabilità nelle valutazioni date. La stragrande maggioranza (il 9 1 %)

TAB. I. 7. Soddisfazione dell'istrnzione ricevuta secondo la condizione professionale e il tipo di percorso scolastico

Molta o Poca o Non Totale abbastanza per nulla so ( = 100)

Condizione profess.: studiano 90, 7 8,8 0, 5 805 lavorano 77,4 22, 1 0,5 723 non stud . e non lav . 76,8 22,6 0,6 476

Percorsi scolastici: regolari 85,3 14, 3 0,4 1.082 irregolari 81,5 18,2 0,3 590 molto irregolari 75, 4 23,2 1,4 328

Totale campione 82,6 16, 9 0,5 2. 000

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degli intervistati, sia che abbia smesso sia che continui an­cora gli studi, indica come soddisfacenti i rapporti con i compagni; si tratta di un giudizio che appare uniforme­mente distribuito rispetto all'età, alle condizioni sociali, al­l'area geografica. L'unica differenza di un certo rilievo la si osserva rispetto al sesso, nel senso che i maschi sembrano apprezzare un po' di più delle ragazze questo aspetto della vita scolastica (94% contro 1'88 %) .

Circa i 3/4 degli intervistati, poi, esprimono una valuta­zione positiva sia dei rapporti con gli insegnanti sia della cultura generale acquisita a scuola. Quest'ultimo item ri­ceve i maggiori consensi dai ragazzi che provengono da fa­miglie culturalmente avvantaggiate, per i quali la scuola, più che una preparazione al lavoro è, soprattutto, acquisi­zione di conoscenze di base. L'item, infatti, che spacca in modo netto il campione è quello relativo ali' acquisizione della capacità professionali. In questo caso solo poco più della metà dei giovani intervistati si è detto soddisfatto della preparazione professionale ricevuta; si tratta di un giudizio dato soprattutto da coloro che frequentano ancora la scuola o, comunque, ne sono usciti da poco tempo.

Nel complesso la valutazione che gli intervistati dell"87 danno di questi diversi aspetti della scuola è leggermente più positivo di quello raccolto con l'indagine precedente (si veda il confronto riportato in appendice) : l'incremento, an­che se non di grande entità, è però uniformemente distri­buito. Il che porta a pensare che, complessivamente, la per­cezione della scuola da parte dei giovani sia migliorata.

TAB. 1. 8. Variazione nel tempo del giudizio su alcuni aspetti della scuola. Dati di pane!

Capacità Cultura Rapporti Rapporti profess. generale compagni insegn.

Dal 1983 al 1987 il giudizio è:

rimast o positivo 3 9, 9 60, 9 82,3 58, 2 rimasto negativo 18, 8 11, 4 3 ,3 11, 4 passat o da neg . a pos. 24, 1 16, 3 9,4 16,3 passat o da pos . a neg. 17, 2 11,4 5,0 14,1

Totale ( = 3 61) 100 100 100 100

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Per verificare se, effettivamente, nell' arco di questi anni i giovani hanno manifestato una tendenza a rivalutare i diversi aspetti della scuola, si può fare ricorso ai dati del­l' indagine pare! (tab. I .8) . Da essa risulta che il maggior tasso di stabilità è manifestato dai rapporti con i compagni: 1'82% continua ad averne un'immagine positiva anche a di­stanza di tre anni. Per contro la più elevata instabilità di giudizio i giovani la manifestano nel valutare le capacità professionali acquisite a scuola. Solo metà degli intervistati conferma quanto aveva detto nella prima intervista. Va os­servato peraltro che, proprio sulla professionalità acquisita a scuola, ben 1/4 dei giovani ne ha dato una rivalutazione. Complessivamente, per tutti e quattro gli items la propor­zione di coloro che sono passati da una valutazione nega­tiva ad una positiva è superiore a quella di coloro che hanno seguito il percorso inverso.

Tanto il confronto del campione 1987 con quello del 1983, quanto i risultati della reintervista agli stessi soggetti dopo quattro anni, mostrano una rivalutazione complessiva della scuola, un miglioramento dell'immagine che i giovani ne hanno. Abbiamo visto, però, che questo apprezzamento dell'esperienza scolastica si fonda in gran parte sugli aspetti, per così dire, «espressivi», legati ai rapporti inter­personali. Meno positivo, invece, appare il giudizio dei gio­vani quando si tratta di tener conto dei contenuti tra­smessi.

Una conferma di quanto detto possiamo averla se consi­deriamo congiuntamente le diverse combinazioni di rispo­ste alle quattro domande sulla soddisfazione della scuola. È infatti possibile identificare facilmente quattro gruppi. Il primo, che possiamo chiamare dei soddisfatti, è composto da coloro che si sono detti contenti di tutti gli aspetti della scuola proposti alla valutazione. Essi rappresentano poco meno della metà del totale degli intervistati (il 43%); si tratta soprattutto dei più giovani, di coloro che ancora stu­diano e di chi ha avuto una carriera scolastica regolare .

Il gruppo opposto, dei critici, è formato da quegli inter­vistati che non si sono detti contenti di alcun aspetto della scuola o, al massimo, ne hanno indicato uno solo (e nei 3/4 dei casi si tratta dei rapporti con i compagni) . Non è un gruppo molto numeroso, dato che, complessivamente, rap-

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pr es enta il 10% d ei giovani ma è composto , signifi cat iva­m ent e, in pr eva lenza da co loro ch e hanno int errotto gli st udi o ch e prov engono da famig li e di condizion e so cio- eco­nomi ca e cultural e bassa.

Vi sono , poi , i ragazzi p er i quali il giudizio sul la s cuola è fondato prin cipalm ent e sui b uoni rapporti int erp erson ali ,

sia con i compagni sia con g li ins egnanti e ch e rappr es en ­tano po co pi ù di un t erzo ( il 3 7%) d el campion e. Si tratta d el gruppo pi ù uniform em ent e dist rib uito tra i liv elli di età , i tipi di p er corsi s colasti ci e l e classi so cia li.

A lq uanto esigua , infin e, è la p er cent ual e di coloro ch e d el la s cuola appr ezzano solo l 'istr uzion e ri cev uta , sia essa cult ura g en eral e o pr eparazion e prof essiona le. Solo il 10% ,

infatti , ri entra in qu esto sotto-insi em e, composto in pr eva­l enza da giovani ch e non hanno an cora avuto esp eri enz e di lavoro o ch e prov engono da famigli e cultura lm ent e e so cial ­m ent e avvantaggiat e.

S e, d unqu e, l'immag ine ch e d ella s cuola hanno i giovani int ervistati è certam ent e positiva e, com e abbiamo visto , i 4/5 s e n e di ch iara comp lessivam ent e soddisfatta , non si p uò tras curar e ch e q uesta soddisfazion e è legata in gran part e ag li asp etti di so cializzazion e, di rappo rti interp ersonali , di ami cizia ch e caratt erizzano l' esp eri enza. Assai m eno favo­r evol e è il gi udizio ch e i giovani danno di quanto hanno im ­parato . Chi , p er condizioni fam iliari favor evo li , è m eno pr eo ccupato di imparar e un m esti er e o di a cquisir e una cul­t ura g en eral e appar e m eno criti co di chi , inv ece, ha riposto n egli st udi la sp eranza di una pr eparazion e prof essional e o di un mig lioram ento d ell e propri e condizioni so ci ali.

3. l rapporti con gli insegnanti

A diff er enza di altri gruppi o istituzioni , n ei confront i d ei q uali la fidu cia d ei giovan i è aum entata o diminuita n el­l' ar co d ei quattro a nni int ercorsi tra l e du e indagini cam­pionari e, g li ins egnanti s embrano av er mant en uta inalt erata n el t empo la loro immagin e. N el 1983 , infatti , il 70% cir ca d egli int ervistati di chiarava di av er e mo lta o abbastanza fi­d ucia in loro ; n el 1987 q uesta p er cent ual e è s cesa al 6 7% , di una misu ra , cio è , statisti cam ent e non signifi cativa .

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Page 31: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

I dati globali tuttavia, se utili per ottenere indicazioni di carattere generale, rischiano di nascondere dinamiche più complesse. L'apparente stabilità del grado di fiducia nel tempo, in effetti, sembra più dovuta a compensazioni tra variazioni di segno opposto, che ad un'effettiva costanza di giudizio. Considerati complessivamente, anche i risultati del pane! sembrano confermare l'andamento generale . Se tuttavia incrociamo le risposte date nel 1983 con quelle che gli stessi soggetti hanno fornito quattro anni dopo, vediamo che circa un terzo degli intervistati ha cambiato parere (tab. !.9).

·

Anche per quanto riguarda la valutazione dei rapporti con gli insegnanti avuti a scuola avevamo osservato anda­menti pressoché analoghi (tab. ! .8).

Appare evidente che quello nei confronti degli inse­gnanti è un giudizio legato al passare degli anni e, quindi, alla maggiore o minore vicinanza con l'esperienza scolastica vissuta. Così come diverso è il giudizio che i giovani danno quando pensano agli insegnanti come categoria, da quello che esprimono facendo riferimento alla propria espe­rienza scolastica. Nel primo caso vi è un atteggiamento maggiormente critico, che è forse anche il riflesso di un certo grado di insoddisfazione manifestata verso la scuola nel suo complesso. Nel secondo caso, gli intervistati espri­mono valutazioni nei confronti di persone con le quali hanno avuto un rapporto diretto e sono meno propensi a far loro carico delle disfunzioni riscontrate o della scarsa preparazione professionale ricevuta.

L' analisi dei difetti riscontrati negli insegnanti manife­sta un sia pur lieve peggioramento di immagine rispetto alla precedente rilevazione, soprattutto per quanto riguarda il

TAB. 1 .9 . Variazione nel tempo del grado di fiducia nei confronti degli insegnanti. Da­ti di pane!

Dal 1983 al 1987 il giudizio è: rimasto positivo rimasto negativo passato da positivo a negativo passato da negativo a positivo

Totale ( = 100 )

57,4 9, 1

17,6 15,9

70 5

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TAB. 1 . 10. Difetti diffusi tra gli insegnanti

Tendenza a non considerare le esigenze ed il punto di vista degli studenti Incompetenza e impreparazione nella propria materia Influenza politica ed ideologica sugli allievi Eccessiva severità Eccessiva accondiscenza ed arrendevolezza di fronte alle richieste degli studenti

Totali (risposte multiple)

1987 1983

58,7

39,2 36,7 24,3

22,7

2.000

53,9

36,9 29,8 25,0

17 ,9

2.000

timore che i giovani hanno di essere ideologicamente in­fluenzati dagli insegnanti e la preoccupazione di non essere tenuti in gran conto da loro (tab. I . lO).

In questo caso ci troviamo di fronte ad un' articolazione di opinioni che prescinde in larga misura dall'età, dal sesso o dalla condizione sociale . Neanche il tipo di carriera scola­stica, più o meno regolare, o il fatto di studiare rispetto al­l' aver smesso, dà luogo a differenze significative fra questi tipi di giudizi. Possiamo quindi pensare che si tratti, più che di valutazioni fondate su diversità di esperienze o di vissuti, di un atteggiamento di fondo che i giovani hanno nei confronti dei loro insegnanti, espressione di timori e di valutazioni largamente condivise in questa fascia di età.

4. Scuola e lavoro

Abbiamo visto nelle pagine precedenti che l'aspetto della scuola verso il quale i giovani manifestano la valuta­zione meno positiva è quello della preparazione professio­nale ricevuta. Eppure questa sembra essere una finalità alla quale gli intervistati annettono una certa importanza. Quasi i due terzi (il 62 %), infatti, ritiene che la scuola me­dia superiore dovrebbe fornire un titolo di studio utile ad un inserimento immediato nel mondo del lavoro. A questo gruppo si contrappone poco più di un terzo (35%) del cam­pione che, al contrario, è del parere che sia meglio acquisire prima una buona base di cultura generale e solo alla fine de-

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gli studi imparare un lavoro (il restante 3 % non ha espresso opinioni in merito) .

Si tratta di un risultato che non è direttamente compa­rabile con i dati dell"83 perché, allora, la domanda era stata formulata in modo diverso; non venivano infatti messe in alternativa preparazione al lavoro e cultura generale, ma si chiedeva solo se l'intervistato fosse d' accordo con l'asse­gnare finalità direttamente professionalizzanti alla scuola secondaria. La proporzione dei sì fu, comunque, pari all'82% .

La maggioranza dei giovani ritiene, quindi, necessario che la scuola prepari al lavoro, anche se non è da trascurare la quota di coloro che assegnano alla secondaria solo fini di cultura generale. In questo caso le variazioni di opinione appaiono legate più alle origini sociali ed alle esperienze la­vorative che non alla storia scolastica. Infatti non si notano differenze di rilievo nella distribuzione delle risposte tra coloro che hanno svolto studi regolari e quelli che hanno se­guito i tipi di percorsi scolastici che prima abbiamo definito come «irregolari» o «molto irregolari», così come non vi sono diversità tra i diversi modi di giudicare l'esperienza scolastica.

Le maggiori divergenze di pareri si osservano, invece, comparando gli intervistati secondo lo status socio-econo­mico e il livello culturale familiare, nel senso che tra coloro che provengono da famiglie più avvantaggiate socialmente e culturalmente è maggiore la proporzione di coloro che si aspettano dalla scuola una formazione culturale di base. Malgrado queste differenze, la proporzione di coloro che vorrebbero una scuola orientata in senso professionaliz­zante . e, in tutti i sottogruppi, sempre superiore al 50% . Questo dato ci sembra che esprima in modo assai chiaro un'esigenza largamente diffusa tra i giovani, nei confronti della quale la risposta del sistema scolastico è ancora inade­guata.

Non si tratta, peraltro, solo di un'esigenza astratta ma di un bisogno che viene sentito particolarmente da chi è in­serito nel mondo del lavoro. Alla domanda che chiedeva in che misura la preparazione scolastica ricevuta si fosse rive­lata utile per lo svolgimento dell'attuale attività lavorativa, il 42% di coloro che lavorano e sono in possesso di un ti-

3 1

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TAB. 1. 1 1 . Utilità degli studi fatti per il lavoro attuale secondo il titolo di studio (sottogruppo di coloro che lavorano)

Diploma di scuola media

inferiore

Molta 6,7 Abbastanza 25,5 Poca 23 , 1 Nessuna 44,7

Totali ( = 100) 329

Diploma di scuola

secondaria

1 7,7 30,4 23,4 28,5

299

Totale

1 1 ,8 27,2 23,1 37,9

690

tolo di scuola secondaria ha risposto «poco» o «per nulla» utile. La comparazione tra le risposte date a questa do­manda da questo sottogruppo e da quello degli occupati con il solo titolo di scuola dell'obbligo è riportata nella tabella I. l l (non sono stati considerati, data l'esiguità numerica, coloro che lavorano senza il titolo di scuola dell'obbligo e i laureati) .

Sul tema del rapporto tra scuola e lavoro torneremo a parlare nel prossimo capitolo, in sede di analisi dei percorsi lavorativi seguiti dagli intervistati. A conclusione di questa breve analisi del modo in cui i giovani percepiscono e giudi­cano le proprie esperienze formative, ci preme sottolineare come, dal complesso delle risposte date, emerga un' accetta­zione di fondo da parte degli intervistati della scuola in quanto istituzione. Ma essa è vissuta principalmente come momento di socializzazione, di arricchimento della persona­lità, di occasione di rapporti con i pari e con gli insegnanti. Questi, in particolare, vengono vissuti con tutta la contrad­dittorietà con la quale si vivono le figure parentali: se ne desidera l'affetto e la comprensione, ma si teme che pos­sano influenzare ed imporsi troppo, se ne colgono i limiti ma, allo stesso tempo, la critica non è mai troppo spinta. La consapevolezza delle difficoltà occupazionali porta la gran parte degli intervistati a chiedere professionalità, tanto più quanto essi si rendono conto di non essere garantiti da una situazione familiare capace di aiutarli.

· ·

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I l . l percorsi lavorativi

1 . La condizione lavorativa

Tra le cose importanti della vita il lavoro occupa, per i giovani, una posizione di indubbio rilievo. Già la ricerca del 1983 aveva messo in evidenza che, subito dopo la fami­glia, era questo l'aspetto più rilevante e sul quale gli inter­vistati concordavano in modo pressoché unanime. A quat­tro anni di distanza, l'atteggiamento non sembra essersi modificato: il 96,4% dei giovani ritiene, infatti, che il la­voro sia comunque un elemento fondamentale nei propri progetti di vita (la percentuale corrispondente dell' '83 era il 95,9%), indipendentemente dall'età, dal sesso, dalla con­dizione sociale o dalla zona di residenza. Gli stessi dati del pane! confermano questi risultati: il 94% di coloro che sono stati reintervistati quattro anni dopo continua a ritenere che il lavoro sia importante; ad essi si aggiunge un ulteriore 4% che, in questo arco di tempo, ha rivisto il proprio giu­dizio, nel senso di una rivalutazione del peso che il lavoro ha nella vita.

Il dato, in sé, non è particolarmente sorprendente. Il di­battito svoltosi negli ultimi anni sulla centralità del lavoro e sul suo significato come categoria interpretativa della so­cietà e delle sue trasformazioni, ha posto in evidenza il fatto che le profonde modifiche avvenute nella struttura economica e produttiva del nostro paese, hanno cambiato anche il ruolo che il lavoro ha nel definire l'identità sociale. Questo ruolo, tuttavia, non è mai venuto meno, anche se può essersi modificato. L'esercitare un mestiere o una pro­fessione, lo svolgere un'occupazione, non sono solo una

Questo capitolo è stato scritto in collaborazione con Guido Sarchielli .

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fonte di reddito e quindi un mezzo per procurarsi da vi­vere, ma sono anche un elemento cruciale per definire la posizione di un individuo nella società, la sua rete di rap­porti, i tipi di interazione con gli altri, l'intorno sociale in cui egli si muove.

Resta comunque vero che, specie tra i giovani, anche a causa delle difficoltà occupazionali che essi trovano, il ter­mine «lavoro» viene associato ad un complesso di attività retribuite di natura assai eterogenea, che comportano impe­gni temporali diversi, con vario grado di tutela e di sicu­rezza. Date queste difficoltà definitorie abbiamo lasciato agli intervistati stabilire se essi svolgessero un'attività lavo­rativa «vera e propria» e quindi autocollocarsi tra gli occu­pati o i non occupati. Avremo modo di tornare più oltre su questo punto, quando esamineremo la condizione lavora­tiva dei giovani dal punto di vista del tempo impegnato, del tipo di azienda e di settore, della continuità o meno, per esaminare le diverse condizioni occupazionali nelle quali essi si trovano.

Sulla base delle risposte ottenute abbiamo, comunque, potuto tracciare un quadro complessivo della condizione occupazionale del nostro campione, usando gli stessi rag­gruppamenti delle fonti lsTAT. La tabella 11 . 1 riporta ap­punto tale classificazione sia per tutti gli intervistati sia per ripartizioni geografiche e ampiezza del comune.

TAB. II. l . Condizione professionale per area geografica ed ampiezza del comune di re­sidenza

Area geografica Ampiezza comune Totale

Nord Centro Sud Isole fino da lO a oltre 10 .000 50.000 50. 000 abit. a bit. a bit.

Lavoratori e stu-denti lavoratori 42,8 39,2 28,5 32,7 41 ,7 36,3 33,5 37,1

Studenti 39,5 37,8 4 1 ,5 34,8 32,8 39,3 44,5 39, l In cerca di prima

occupazione 8 , 1 1 1 ,3 15,3 1 1 ,5 1 3 ,6 9,5 9,8 . 1 1 ,0 Disoccupati 5, l 7,2 4,7 4,5 4,4 6,2 5,4 5,3 Inattivi 4,5 4,5 10,0 16,5 7,5 8,7 6,6 7,5

Totali ( = 100) 855 362 534 248 685 522 793 2 .000

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In questo caso, diversamente da quanto abbiamo fatto nel capitolo precedente, nel quale abbiamo usato un criterio di prevalenza tra studio e lavoro, tra gli occupati sono com­presi tutti coloro che hanno comunque dichiarato di svol­gere un lavoro, indipendentemente dal fatto che fossero an­cora studenti o che tale lavoro fosse svolto in periodo scola­stico o extrascolastico. Tra i disoccupati sono classificati tutti coloro che in passato svolgevano un'attività lavorativa ed attualmente sono inattivi. I tassi di occupazione più alti si osservano al Nord e nei centri più piccoli; in questi ul­timi troviamo anche la maggior proporzione di coloro che dichiarano di essere in cerca di prima occupazione.

La proporzione di occupati, complessivamente, non è molto lontana da quella rilevata nel 1983 (allora era del 36,6%), è invece aumentata la percentuale di coloro che si dichiarano in cerca di occupazione (nella precedente inda­gine era di poco inferiore al 20%) e, per converso, è dimi­nuito il numero delle non forze di lavoro (43,5 % nell"83 contro l' attuale 39,2%), che ovviamente comprende anche coloro che sono ancora studenti e non cercano lavoro.

Per quanto riguarda ancora gli occupati, si conferma l'i­neguale distribuzione che favorisce i maschi (anche nelle forme miste di scuola e lavoro) ed una ovvia correlazione .con l'età, nel senso di una maggiore proporzione di occu­pati tra le leve più adulte. Altrettanto prevedibile l'anda­mento in rapporto alle condizioni sociali della famiglia di provenienza: vi è una maggiore proporzione di occupati tra coloro che appartengono alle classi medie ed a quelle basse. Il dato, probabilmente, ha significati sociali differenti nei due casi: mentre coloro che appartengono alla classe media possono usufruire di una rete di rapporti capace di dare esito favorevole alla ricerca del lavoro, chi parte da posi­zioni sociali più svantaggiate riceve solo pressioni ad accet­tare qualunque offerta di lavoro, pur di non essere di peso alla famiglia.

Anche la distribuzione geografica delle opportunità oc­cupazionali rivela una forte struttura di diseguaglianze: a fronte del 43% di occupati al Nord, osserviamo una pro­porzione del 39% al centro, che scende al 30% in media tra Sud e isole. Se consideriamo i soggetti in cerca di occu­pazione (cioè coloro che sono disoccupati unitamente a chi

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ha dichiarato di essere in cerca del primo lavoro) , abbiamo la conferma in negativo di quanto appena detto. Tale anda­mento rispecchia i risultati delle rilevazioni lsTAT sulle forze di lavoro, che segnalano come la disoccupazione si presenti con gravità e caratteristiche assai diverse nelle va­rie zone geografiche: mentre al Nord i tassi di disoccupa­zione giovanile si avvicinano a quelli dei paesi della CEE, il Mezzogiorno d'Italia sta tuttora subendo tassi di disoccu­pazione assai elevati, soprattutto, come risulta anche dal nostro campione, nelle età tra i 19 ed i 24 anni.

La tabella II.2 mostra le disuguaglianze nella condi­zione professionale rispetto al sesso ed al titolo di studio. Mentre, sul piano della disoccupazione, le differenze tra i due sessi non appaiono particolarmente evidenti, va messo in rilievo il minore tasso di occupazione delle ragazze e so­prattutto il fatto che, tra queste ultime, la proporzione di inattive è quattro volte superiore a quella dei maschi e la percentuale di chi è in cerca di prima occupazione è quasi doppia rispetto ai coetanei maschi.

Avevamo già osservato, parlando della situazione scola­stica, che circa un intervistato su 15 non ha completato il ciclo dell'obbligo e che, tra questi, assai pochi sono ancora studenti. I dati della tabella II.2 ci mostrano che quasi un quarto di questo sottogruppo non studia e non lavora (e si tratta, in larga misura, di donne) , mentre i tassi di disoccu­pazione sono decisamente superiori alla media, così come

TAB. II.2. Condizione professionale secondo il sesso ed il titolo di studio

Sesso Titolo di studio

maschi femmine licenza licenza di diploma se. elementare se . m. m. sup. o

o meno inferiore laurea

Lavoratori e studenti lavoratori 43,5 30,6 45,1 32,8 4 1 ,6

Studenti 40, 1 38,1 13 ,9 47, 1 32,3 In cerca di prima occu -

pazione 7,8 14,3 7,3 7,5 16,4" Disoccupati 5,5 5 , l 8,3 5,0 5 ,2 Inattivi 3 , 1 1 1 ,9 25,4 7,5 �.5

Totali ( = 100) 1 .006 994 U2 1 .084 784

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la percentuale di occupati. Ciò sta ad indicare che, per la maggior parte, si tratta di ragazzi che non solo hanno diffi­coltà a trovare lavoro, ma sono anche destinati ad occupare le posizioni più basse ed a maggior rischio di stabilità del posto di lavoro, in larga misura proprio a causa dei processi di esclusione subiti nella scuola dell'obbligo.

2. Le storie lavorative

L'analisi del primo contatto con il mondo del lavoro consente, in primo luogo di vedere il grado di diffusione delle opportunità occupazionali all'interno della fascia di età giovanile e, in secondo luogo, di identificare una tipolo­gia di percorsi e di esperienze lavorative, sulla base delle ca­ratteristiche e della durata del lavori svolti.

Non è possibile in questa sede, destinata a tracciare un quadro sintetico della condizione giovanile, condurre un'a­nalisi tipologica molto dettagliata, che tenga conto appieno di tutti gli elementi biografici e di tutte le esperienze lavo­rative vissute dai nostri intervistati; ci limiteremo, quindi, solo a tratteggiare gli aspetti più significativi della fase di primo contatto con il lavoro per vederne le principali carat­teristiche.

Conoscere in qual modo sia avvenuto il primo impatto con il mondo del lavoro consente di avere un indicatore ca­pace di riconoscere ed interpretare gli atteggiamenti verso il lavoro, le strategie cognitive che sostengono la ricerca di un'occupazione, gli stessi comportamenti messi in atto nello svolgimento del lavoro. È noto, infatti, che le moda­lità con cui ciascuno di noi affronta il lavoro (sia sul piano delle rappresentazioni mentali, sia su quello delle aspetta­tive e delle aspirazioni, sia, infine, in termini di comporta­menti espliciti) sono direttamente collegate ai meccanismi socio-psicologici che operano tanto nella fase antecedente al concreto incontro con il lavoro, quanto in quella successiva all'ingresso, stabile o meno, in una specifica struttura lavo­rativa.

Un quadro complessivo delle prime esperienze lavora­tive, basato sull'età in cui gli intervistati hanno iniziato un lavoro «vero e proprio», ci consente di rilevare che queste

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TAB. II .3. Percentuale di coloro che hanno avuto esperienze di lavoro nel passato se­condo il sesso, l'età, lo status socio-economico, la zona geografica e la con­dizione professionale

Maschi 48,5 15-1 7 anni 15,5 Femmine 37,6 18-20 anni 40,9

2 1-24 anni 64, 1 Status basso 50,6 Status medio -basso 52,5 Nord 49,5 Status medio 45,9 Centro 47,5 Status medio-alto 36,6 Sud 32,6 Status alto 24,9 Isole 37,3

Lavorano 89,3 Non lavorano 15,9 Totale 43, 1

hanno interessato in misura ragguardevole i giovani. Il 43% del campione dichiara, infatti, di aver svolto in pas­sato un lavoro che non era di tipo episodico od occasionale . Questo dato appare piuttosto consistente, specie se si tiene conto del fatto che al momento dell'intervista il 63% dei soggetti non lavorava, contro il 3 7% di occupati.

Dalla tabella II .3 si può rilevare che, mentre il sesso e l'età si comportano in modo del tutto prevedibile (sono di più i maschi che si avviano al lavoro e la proporzione di co­loro che hanno avuto esperienze di lavoro cresce in fun­zione dell'età) , la distribuzione secondo lo status socio-eco­nomico della famiglia, mostra che è la condizione medio­bassa che porta ad una maggiore spinta verso l'inserimento lavorativo.

La distinzione per area geografica mette, poi, in evi­denza come siano i giovani del Nord ad avere in maggior misura esperienze pregresse di lavoro vero e proprio, a con­ferma ulteriore (se ve ne fosse ancora bisogno) della diversa distribuzione territoriale delle opportunità occupazionali nel nostro paese.

TAB. ll.4 . Età di inizio di un lavoro vero e proprio. Percentuale di coloro che hanno iniziato alle diverse età sul totale dei soggetti in età

15 anni 16 anni 17 anni :8 anni 19 anni

38

13,6 6,7 6,4 5,9 7,5

20 anni 21 anni 22 anni 23 anni 24 anni

7 , 1 7,2 4,1 4,7 2 , 1

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Quanto all'età in cui si hanno le prime esperienze lavo­rative, la tabella II.4 riporta la percentuale di coloro hanno iniziato alle diverse età, rapportata al totale dei soggetti che al momento dell'intervista avevano raggiunto o superato l'età stessa. Si può agevolmente osservare come vi sia una tendenza all'inizio precoce del lavoro: il tasso di coloro che hanno iniziato un lavoro a 15 anni o prima è superiore a tutti gli altri. Per contro la percentuale di coloro che ini­ziano a lavorare dopo i 2 1 anni (calcolata, ovviamente, sul totale di soggetti che hanno raggiunto o superato questa età) è circa un terzo rispetto al gruppo precedente.

Sull'avvio precoce dell'esperienza lavorativa possono es­sere fatte due brevi considerazioni, che mettono in luce come i nostri dati rispecchino tendenze generali in atto nel paese. La prima è di ordine strutturale, nel senso che dall'a­nalisi dei flussi di ingresso nel mercato del lavoro in Italia, emerge come l'età media di inserimento lavorativo nel set­tore industriale sia piuttosto bassa (il 57% dei maschi en­trati all'inizio degli anni '80 aveva un'età compresa tra i 14 ed i 19 anni) , mentre per il settore dei servizi essa è assai più elevata. In proposito va osservato che le età più basse sono anche quelle nelle quali avviene la forma più classica di inserimento lavorativo giovanile - l'apprendistato -nei settori dell'artigianato o della piccola industria, indi­pendentemente dal fatto che tale inserimento avvenga o meno con le tutele di legge previste da questo particolare tipo di rapporto di lavoro.

La seconda considerazione attiene invece alle conse­guenze di un inserimento precoce nel lavoro. Ci si do­vrebbe, infatti, chiedere in che misura iniziare presto a la­vorare consenta poi una carriera adeguata in termini di ac­quisizione di capacità spendibili sul mercato e dunque ri­spondenti all'esigenza di mantenersi attivi di fronte alle di­verse dinamiche del mercato occupazionale stesso.

Quanto abbiamo sopra rilevato in merito alla disoccupa­zione costituisce un'ulteriore spia delle difficoltà che i gio­vani incontrano a rimanere sul mercato, in mancanza di ri­sorse personali e di supporti esterni, anche per quei soggetti che si sono dimostrati propensi a lavorare in più giovane età e che, dunque, non mostrano idiosincrasie né pregiudi­ziali ideologiche o valoriali al proseguimento della loro

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esperienza. Va osservato, al proposito, che su questi feno­. meni gli effetti della origine sociale e della zona geografica sono particolarmente sensibili.

Ulteriori elementi a riprova del fatto che l'incontro con il lavoro non ha una valenza pedagogico-formativa (come si voleva con lo stesso antico apprendistato del 1955 o nelle leggi succ�sive in favore dei giovani, fino ai più recenti modelli di inserimento quali, ad esempio, i contratti di formazione e lavoro) ma rappresenta un lavo­rare a pieno titolo, derivano dall'esame della durata del primo lavoro. Quote assai elevate di giovani (il 25%) svol­gono lo stesso lavoro per un periodo di tempo compreso fra i tre ed i cinque anni e notevole è anche la propor­zione di coloro che sono nella stessa occupazione da sei anni ed oltre (15%).

Questa fedeltà al posto di lavoro non risulta sensibile alle differenze di sesso; aumenta in tutti i casi con il cre­scere dell'età, mentre appare legata alle condizioni sociali familiari: i giovani di origini sociali basse o medio-basse, infatti, cominciano prima degli altri a lavorare e resistono più a lungo nella stessa situazione lavorativa rispetto ai coetanei.

La lunghezza della settimana e della giornata lavora­tiva confermano il fatto che, fin dalle prime esperienze, i giovani hanno nella grande maggioranza rapporti di lavoro regolari. Più dei 4/5 di coloro che hanno avuto esperienze lavorative hanno detto che si trattava di lavori che li im­pegnavano per 5 o sei giorni alla settimana. Una piccola parte (il 7%) lavorava per sette giorni ed una frazione an­cora minore (il 3,5%) svolgeva lavori che possono definirsi saltuari o part-time. Anche rispetto alla durata della gior­nata lavorativa si trae l'indicazione di una situazione lavo­rativa a pieno titolo. I 2/3 infatti lavorava per 7 od 8 ore al giorno, contro 1/6 che dichiara di aver lavorato per 6 ore o meno ed 1/5 che denuncia una giornata di .lavoro su­periore alle otto ore.

Anche se teniamo conto del fatto che non è agevole valutare l'attendibilità delle dichiarazioni degli intervistati, che in qualche caso possono essere portati a dichiarare un impegno di lavoro superiore al reale, resta tuttavia il fatto che i dati sulla durata giornaliera e settimanale del lavoro

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Page 43: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAB. II . 5 . Modalità di rapporto con il lavoro

Non hanno mai lavorato Hanno iniziato con un lavoro vero e pro­

prio Hanno iniziato con lavori saltuari poi con

un lavoro vero e proprio

Hanno svolto solo lavori saltuari

Totali

V .A.

1 . 042

787

72

98

2.000

%

52, 1

39,4

3,6

4,9

100,0

fanno pensare a situazioni non del tutto regolari quanto a rispetto delle leggi in materia .

Complessivamente, dunque, l'entrata dei giovani nel mondo del lavoro è, nella maggior parte dei casi, un ingresso a pieno titolo. Questo dato è confermato anche dall'analisi delle risposte alla domanda con la quale si voleva sapere a che età l'intervistato avesse avuto una qualunque esperienza lavorativa, anche di carattere episodico od occasionale. La combinazione delle risorse date a questa domanda con quella relativa all'età di inizio del lavoro vero e proprio consente di ricostruire la tipologia esposta nella tabella Il .5 .

Poco più della metà dei giovani dichiara di non aver avuto alcun contatto con il mondo del lavoro, il che non esclude comunque che, anche in questo gruppo, vi siano giovani che svolgono piccoli lavori a carattere saltuario ed ai quali non danno, comunque, alcun significato se non quello di ricavare un po' di denaro da spendere liberamente per sé. Circa 1'80% degli intervistati che dichiarano di aver lavorato, hanno iniziato con un vero e proprio lavoro. Que­sto dato conferma quanto detto fin a questo punto, cioè che, nella maggior parte dei casi, per i giovani l' inizio di un'attività lavorativa ha comunque il significato di un'en­trata nel mondo adulto.

3. Il lavoro attuale

Abbiamo visto nelle pagine precedenti che poco più di un terzo (il 37, 1 %) dei giovani, al momento dell 'intervista

4 1

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svolgeva un lavoro. Analizzeremo ora le caratteristiche principali delle occupazioni di coloro che hanno dichiarato di aver lavorato nel corso del mese precedente; si tratta di un gruppo leggermente più ridotto, dal momento che una parte di quelli che si sono dichiarati lavoratori, di fatto svolge lavori saltuari o a carattere stagionale. Complessiva­mente, dunque, il 35% dei giovani rientra nel novero di coloro che, al momento della rilevazione, si trovava in con­dizione lavorativa. Un quadro complessivo della composi­zione di questo gruppo rispetto alle principali variabili defi­nitorie è riportato nella tabella II .6, accanto alla distribu­zione delle stesse variabili per l'intero campione di intervi­stati, in modo da avere un termine di confronto.

Il sottogruppo di occupati è dunque composto per il 60% circa da maschi e per il restante 40% da femmine; queste ultime sono quindi sottorappresentate di circa 10 punti percentuali rispetto alla proporzione in cui sono pre­senti nell'intero campione. Quasi i due terzi dei giovani oc­cupati hanno un'età compresa tra i 21 ed i 24 anni e, in

TAB. Il.6. Distribuzione del sesso, dell'età, della zona geografica, dell'ampiezza del comune di residenza e dello status socio-economico nel sottogruppo di oc­cupati e nell'intero campione

Occupati Totale

Maschi 58,9 50,3 Femmine 4 1 , 1 49,7

15-17 anni 1 1 ,0 28,9 18-20 anni 26,8 30,0 21-24 anni 62,2 4 1 , 1

Nord 50,0 42,8 Centro 19,2 18 , 1 Sud 19,9 26,7 Isole 10,9 12,4

Comuni fino a 10.000 abitanti 38,5 34,2 Comuni tra i 10 ed i 50.000 abitanti 25,5 26, 1 Comuni oltre i 50.000 abitanti 35,9 39,7

Status basso 19,1 15 ,4 Status medio -basso 38,5 3 1 ,4 Status medio 23,9 21 ,4 Sta tus medio -alto 14,8 16,9 Status alto 13,3 21 ,7

Basi (697 = 100) (2.000 = 100)

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questo caso, la sovrarappresentazione è particolarmente ri­levante. Le maggiori differenze si riscontrano, però, ancora una volta tra le diverse zone del paese. La metà dei giovani occupati, infatti, risiede al Nord, pur vivendo in quest'area solo poco meno del 43% dell'intera popolazione giovanile. Per contro il Sud, che costituisce più di un quarto del to­tale del campione, contribuisce all'occupazione giovanile solo per meno di un quinto. Abbastanza prevedibile, in­fine, è la composizione degli occupati per status socio-eco­nomico della famiglia, anche se si riconferma che i tassi re­lativi di occupazione sono più alti in corrispondenza delle posizioni medio-basse e non di quelle basse.

Nel complesso la larga maggioranza degli occupati (il 70%) si trova in una situazione lavorativa stabile, contro il 30% di giovani che svolge un lavoro a carattere tempora­neo. Anche da questo punto di vista, tuttavia, ritroviamo le stesse differenze per sesso, età, area geografica e condi­zione sociale che abbiamo osservato in altri casi. Le ragazze ed i più giovani si trovano in maggior proporzione in condi­zioni di lavoro temporaneo e, mentre al Nord, su ogni 4 oc­cupati uno svolge un lavoro temporaneo e tre, invece, hanno un'occupazione stabile, al Sud il rapporto è quasi pari (42 % contro il 58% di stabili) . Rispetto alla classe so­ciale, poi, sono i figli di classe media ad avere il maggior tasso di stabilità lavorativa mentre, ancora una volta, co­loro che provengono dalle classi meno favorite sono in pro­porzione maggiore degli altri in situazione di temporaneità.

La maggior parte dei giovani occupati si trova in condi­zione dipendente, con prevalenza di condizioni operaie ed impiegatizie di livello esecutivo; il confronto con i dati dell"83 non mostra particolari variazioni rispetto alla posi­zione nel lavoro (tab. II. 7), salvo un leggero aumento dei

TAB. II. 7. Posizione lavorativa. Confronto 1983-1987

Campione 1983 Campione 1987

La v ora tori in proprio Lavoratori dipendenti Lavoratori in cooperativa Coadiuvanti familiari

Totali ( = 100)

1 1,7 15,3 78, 1 77,5

0,6 0,7 9,6 6,5

1 .447 697

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lavoratori autonomi, pressoché pari alla diminuzione dei coa­diuvanti familiari.

I più rilevanti cambiamenti nella struttura del lavoro gio­vanile rispetto al 1983 si hanno, tuttavia, nel settore occupa­zionale. Si osserva infatti una netta riduzione dell'occupa­zione nell'industria: nella precedente rilevazione, infatti, quasi la metà (il 49,5%) degli intervistati lavorava in questo settore, mentre nell'87 questa proporzione è scesa ad un terzo (32 %). Per contro si osserva un prevedibile aumento degli occupati nei servizi (dal 43% al 62%), mentre la pro­porzione degli addetti in agricoltura rimane sempre di scarsa entità (intorno al 6%).

Sono soprattutto le ragazze ad essere occupate nel terzia­rio, mentre il settGlre industriale vede una maggior propor­zione di maschi. I più giovani, coloro che provengono dai ceti inferiori ed i residenti al Nord trovano principalmente lavoro nell'industria, rispecchiando tendenze ampiamente note. Al­trettanto facilmente prevedibile è la collocazione prevalente in strutture di piccole dimensioni o artigianali (i due terzi la­vorano in aziende fino a 14 addetti) .

Le dichiarazioni degli intervistati intorno al guadagno medio mensile mostrano tendenze ed andamenti abbastanza simili a quelli già osservati nella precedente indagine del 1983. Pur dando per scontato un certo margine di reticenza nel rispondere a questo tipo di domanda (ed infatti un inter­vistato su 7 si è rifiutato di indicare l'entità del proprio red­dito da lavoro) , gli andamenti ricavabili dalle risposte otte­nute sono abbastanza chiari e coerenti con i risultati di altre rilevazioni. II guadagno medio dichiarato dai giovani occu­pati si aggira intorno alle 718 . 000 lire mensili, con scarti nd­tevoli da individuo a individuo. Possiamo identificare, sulla base della distribuzione delle retribuzioni quattro fasce. Una prima composta da coloro che percepiscono meno di 400.000 lire mensili e che costituisce circa un quarto (il 24,5%) di que­sto sottogruppo. Una seconda fascia è rappresentata da chi guadagna tra le 400 e le 800.000 lire al mese e che interessa poco meno di un terzo (il 3 1 ,4%) degli occupati. Un altro terzo (il 33,6%) percepisce tra le 800.000 lire ed il milione al mese e solo il 10% ha entrate che superano questa cifra.

Viene confermata, dunque, una tendenza alla sottoretri­buzione, già osservata nell'indagine dell' '83. Ancora più in-

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dicativi sono, però, i differenziali rispetto alle zone geogra­fiche, all'età ed al sesso. Se la retribuzione media dei gio­vani residenti al Nord è di poco inferiore alle 800. 000 lire, quella degli occupati del Sud non arriva alle 600.000. Ana­logamente vi è un rilevante scarto tra i redditi da lavoro dei 15-1 7enni (425 .000 lire in media), rispetto ai 21-24enni (808.000) . Ma differenze di rilievo si osservano anche ri­spetto al sesso: in media le ragazze percepiscono 100.000 lire in meno rispetto ai loro coetanei maschi e questa diffe­renza rimane costante per tutte le classi di età.

La retribuzione dichiarata dai giovani appare, dunque, abbastanza anomala, specie se si tiene conto del fatto che, come abbiamo visto, l'impiego lavorativo in termini di ore e di giorni alla settimana appare normale e, in qualche caso, supera i limiti previsti dai contratti collettivi di lavoro. Una spiegazione, parziale, di questo fenomeno può rintracciarsi nel fatto che circa il 40% degli occupati si trova in posi­zione di apprendista o di operaio comune o, ancora, ai li­velli inferiori della carriera impiegatizia.

· Non sembra, tuttavia, possa negarsi una difficile auto­nomia economica, confermata anche dal fatto che la mag­gior parte dei giovani lavoratori vive ancora nella famiglia di origine e, da questo punto di vista, non appaiono diffe­renze tra chi è occupato e chi non lo è. Il percepire un red­dito da lavoro sembra, comunque, una fonte di autonomia dalla famiglia in cui pure si continua a vivere: solo il 20% degli occupati versa integralmente i propri guadagni nelle casse di famiglia, mentre all'opposto circa un terzo dichiara di tenere per sé i propri redditi da lavoro.

4. La valutazione del lavoro svolto

I tre quarti degli occupati si dichiarano complessiva­mente molto o abbastanza soddisfatti del lavoro svolto, dato questo che contrasta, almeno in parte, con le basse re­tribuzioni e il notevole impegno giornaliero e settimanale osservato nel paragrafo precedente. Si tratta, peraltro, di un dato non molto dissimile da quello rilevato dall'indagine del 1983, che vedeva una percentuale quasi pari di soddi­sfatti. È probabile che, in questa valutazione, giochi molto

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la consapevolezza delle difficoltà occupazionali e dunque una certa propensione ad accontentarsi di ciò che si ha. D'altronde una conferma in questo senso la abbiamo anche dalla considerazione che la maggior parte (1'80%) di chi si considera soddisfatto dichiara di non essere in cerca di un'altra occupazione, mentre il rapporto è esattamente ro­vesciato per coloro che sono totalmente insoddisfatti del­l' attuale condizione lavorativa.

Al di là di una soddisfazione generica, tuttavia, quando si tratta di valutare il grado di utilizzo delle proprie capa­cità nel lavoro attuale, la proporzione di risposte positive scende al 52% e solo un occupato su cinque ritiene che esse siano «utilizzate totalmente». Anche in questo non si no­tano differenze rilevanti rispetto all' indagine dell"83.

Assai più critici sono i giovani lavoratori nei confronti della preparazione scolastica ricevuta; in questo caso la per­centuale di giudizi positivi scende ulteriormente al 39%, contro una quota quasi pari (38%) di occupati che giudi­cano quanto hanno ricevuto dalla scuola del tutto inutile per il lavoro che stanno svolgendo . Si tratta, ovviamente, di un giudizio che varia a seconda del titolo di stqdio posse­duto e del livello occupazionale raggiunto, ma che conferma in buona misura quanto abbiamo osservato nel capitolo pre­cedente a proposito della percezione da parte dei giovani della formazione professionale ricevuta a scuola.

Ai fini di una corretta interpretazione dei giudizi che gli intervistati danno del proprio lavoro, occorre tener pre­sente che si tratta di valutazioni soggettive che vanno lette anche alla luce dell'immagine complessiva che i giovani hanno del lavoro. Sarebbe, infatti, erroneo considerare tali giudizi come espressivi delle condizioni oggettive nelle quali si svolge il lavoro e non tener conto che i parametri di giudizio dipendono anche, quando non in larga misura, dal sistema di valori, di credenze e di ideali propri del singolo e del gruppo sociale cui egli appartiene.

Il 30%, in media, degli occupati dichiara di star cer­cando lavoro anche se, come abbiamo visto, questa propor­zione è estremamente variabile rispetto al giudizio che cia­scuno dà della propria situazione lavorativa. In generale i motivi per i quali si cerca lavoro sono legati, appunto, al desiderio di trovare un posto migliore (nel 60% dei casi) ol-

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tre · che dalla temporaneità e dalla instabilità dell'occupa­zione attuale . Resta, comunque, il fatto che ben sette lavo­ratori su dieci non cerchino di modificare la propria situa­zione lavorativa, probabilmente anche per una sorta di adattamento, sul piano cognitivo e comportamentale, alla propria condizione di lavoro, anche quando questa non sia ottimale.

Se consideriamo, a questo punto, congiuntamente tutti coloro che attualmente stanno cercando lavoro, siano essi occupati, disoccupati o in cerca di prima occupazione (si tratta di circa il 30% dell'intero campione) vediamo che la modalità più diffusa è l'iscrizione all'ufficio di colloca­mento, seguita, nell'ordine, dal ricorso a parenti ed amici, dalla partecipazione a concorsi pubblici, dalle domande di­rette alle aziende, dalle risposte alle inserzioni sui giornali. Assai poco praticato, invece, e per motivi abbastanza ovvi, è il ricorso alla pubblicazione di annunci sui giornali.

Qualche considerazione occorre fare intorno all'elevata percentuale (43 %) di partecipazione a concorsi pubblici. In questo caso il richiamo del «posto sicuro» sembra farsi sen­tire in modo abbastanza forte, specialmente fra coloro che provengono dalle famiglie più agiate, dai residenti al Centro­Sud e da chi è già occupato. Il maggior grado di attivismo nella ricerca del lavoro è manifestato dai disoccupati, sia ri­spetto a chi è in cerca di prima occupazione, sia a chi, già occupato, è alla ricerca di un lavoro migliore . Il grado di at­tivismo, tuttavia, oltre che allo «stato di necessità» appare correlato anche alla situazione socio-economica e culturale: sono coloro che provengono dagli strati alti e medio-alti della popolazione che pongono in essere il maggior numero di azioni per cercare lavoro. I condizionamenti sociali e cul­turali influiscono in modo evidente sulla qualità e la quan­tità di strategie messe in atto per procurarsi il lavoro: le azioni più efficaci (inserzioni sui giornali, concorsi pubblici, presentazione diretta in azienda) sono seguite in maggior misura da chi, sia per condizione familiare, sia per studi fatti, possiede in maggior misura gli strumenti e la capacità di lettura della realtà del mercato del lavoro. Chi, al contra­rio, ha meno risorse familiari e personali ricorre con mag­gior frequenza ai canali istituzionali, quali l'iscrizione al­l'ufficio di collocamento.

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Strettamente connesso alla valutazione della propria con­dizione lavorativa è il giudizio sul tempo libero e sull'orario di lavoro. I due terzi degli occupati giudica sufficiente il tempo a disposizione fuori del lavoro e la percentuale è molto vicina a quella osservata nel 1983 . In media si dichiarano più soddi­sfatti i maschi, i più giovani e chi proviene da famiglie di con­dizione inferiore. Posti, poi, di fronte all'alternativa tra gua­dagnare meno lavorando di meno o un maggior impegno lavo­rativo con un guadagno più elevato, gli occupati in maggio­ranza (59%) hanno preferito questa seconda alternativa.

La composizione delle risposte alle due domande fornisce un quadro abbastanza coerente: chi ritiene di avere suffi­ciente tempo libero sembra propendere per un impegno lavo­rativo maggiore onde veder aumentato il proprio guadagno; si tratta, anche in questo caso, prevalentemente dei maschi, dei più giovani, di chi appartiene allo status socio-economico basso o medio-basso.

La modalità preferita, infine, in caso di riduzione dell'o­rario di lavoro è quella di poter disporre di un giorno in più alla settimana, rispetto all'aumento delle ferie annuali o del numero di ore libere giornaliere.

La considerazione di tutte le risposte date ai giovani occu­pati all'insieme delle domande sulla valutazione del lavoro porta a concludere che, complessivamente, il bilancio appare positivo, anche se, come abbiamo più volte ripetuto, non ap­pare chiara l'origine di questa soddisfazione lavorativa. Essa può essere, forse, spiegata, con una riduzione delle aspetta­tive nei confronti del lavoro, come dimostrato anche dal fatto che molti, pur non considerando pienamente utilizzate le proprie capacità, dichiarano di essere tutto sommato soddi­sfatti della propria condizione. Va, inoltre, tenuto conto del­l' atteggiamento strumentale nei confronti del lavoro, manife­stato da tutti coloro (e sono quasi il 60% degli occupati) che preferiscono avere minor. tempo libero in cambio di maggior guadagno.

Il risultato qui esposto non è molto dissimile da quello già emerso in sede di analisi dei dati della ricerca del 1983, quando era stato osservato che i timori manifestati dai soste­nitori del «rifiuto» del lavoro e della caduta dell'etica lavora­tiva presso i giovani si rivelavano, alla luce delle risposte date al nostro questionario, del tutto infondati.

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Molte delle affermazioni ricorrenti sulla rilevanza del tempo libero, sulla perdita di significato qualitativo e quan­titativo del lavoro, sul prevalere degli aspetti «intrinseci» ri­spetto a quelli «estrinseci» della prestazione lavorativa, ven­gono messi fortemente in discussione da tutto quanto è emerso fin qui.

5. Le immagini del lavoro

Una prima serie di elementi dai quali è possibile trarre indicazioni intorno all'immagine che del lavoro hanno i gio­vani è data dalle risposte alla domanda volta a conoscere quali aspetti del lavoro, all'interno di un elenco di 10, venga considerato più importante. Le risposte, anche in questo caso, non sono molto dissimili da quelle raccolte nella precedente indagine. Quattro items raccolgono, in­sieme, oltre i due terzi delle risposte: gli aspetti economici, la stabilità del posto di lavoro, la possibilità di imparare cose nuove e l'interesse per il tipo di lavoro svolto.

Questi risultati confermano il carattere inultidimensio­nale dell' atteggiamento nei confronti del lavoro, che impe­disce una netta differen;z;iazione tra chi lo percepisce solo in termini strumentali, e chi, al contrario, ne coglie prevalen­temente gli aspetti espressivi. Tanto infatti gli atteggia­menti del primo tipo (reddito, sicurezza) quanto quelli del secondo (interesse per il lavoro in sé, possibilità di appren­dere) sono presenti in misura non molto dissimile nelle ri­sposte date dai giovani intervistati. Se, accanto a ciò che viene indicato come più importante, consideriamo anche le caratteristiche che sono state collocate al secondo posto, vediamo che la gran parte degli intervistati ha fornito cop­pie di scelte in cui guadagno e stabilità si accompagnano a caratteristiche non strumentali dell'attività lavorativa.

La tabella Il.8 . riporta una classificazione di queste scelte per alcune suddivisioni del campione, ricavata dalle distribuzioni delle indicazioni relative al primo ed al se­condo posto dei diversi items proposti agli intervistati. Ap­pare in modo chiaro il predominio assegnato agli aspetti economici in tutti i gruppi considerati, fatta eccezione per gli studenti e per coloro che provengono dai ceti più privi-

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legiati (si tratta, comunque, di due sottoinsiém1 m parte coincidenti) . L'importanza della retribuzione non ha co­munque lo stesso peso in tutti i sottogruppi: essa è più ele­vata tra chi proviene da condizioni sociali di maggiore svantaggio e tra coloro che attualmente sono senza lavoro.

L'altro nucleo forte è costituito dalla stabilità del posto di lavoro e dalla possibilità di imparare cose nuove, a ricon­ferma del fatto che, nel valutare il lavoro, i giovani non tengono conto solo dei suoi contenuti puramente materiali. Il fatto, poi, che i più privilegiati diano minore importanza a questi aspetti mostra, come risulta anche da altre inda­gini, che in questi casi ci si può permettere una maggiore disponibilità nei confronti delle caratteristiche qualitative del lavoro, legate allo sviluppo personale ed alla gratifica­zione intrinseca, data la maggiore serenità verso i problemi economici e di sicurezza.

Esiste, comunque, da parte di una larga fascia di gio­vani, una elevata disponibilità ad investire nel lavoro, an­che a scapito degli aspetti retributivi, in funzione di una formazione ed una qualificazione professionali. L'80% dei giovani si dichiara, infatti, disponibile a lavorare per uno o due anni con uno stipendio ridotto, anche del 30% rispetto ai normali contratti di lavoro, pur di fare esperienza pra­tica, imparare bene un nuovo lavoro o anche solo per mi­gliorare le proprie capacità. Si tratta, dunque, di un'elevata disponibilità verso i contratti di formazione e lavoro, uni­formemente diffusa per sesso, età e condizione sociale. Solo tra chi è già occupato la propensione ad accettare queste forme di lavoro è leggermente più bassa, pur interessando comunque quasi i tre quarti di questo sottogruppo.

Questo risultato, che vede la quasi totalità degli intervi­stati disposta a scambiare denaro contro formazione, testi­monia anche, a nostro giudizio, una valutazione complessi­vamente negativa della preparazione fornita dal nostro si­stema scolastico. Si è disposti a vedere ridotta la propria re­tribuzione pur di ottenere in cambio una qualificazione che la scuola non ha dato o che da essa non ci si aspetta.

La percezione di un mercato del lavoro difficile si coglie anche dalle risposte alla domanda sul tipo di occupazione preferita. Mentre non vi sono particolari differenze, al­meno nelle preferenze espresse, tra settore pubblico e set-

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tore privato, i giovani manifestano in larga misura un orien­tamento verso la grande azienda rispetto alla piccola e verso il lavoro autonomo piuttosto che quello dipendente. Anche nella consapevolezza che queste contrapposizioni (grande/ piccolo, pubblico/privato, autonomo/dipendente) rappresen­tano più stereotipi che reali ambiti lavorativi, il tipo di rispo­ste fornite dai giovani stanno ad indicare da un lato una ri­cerca di sicurezza e, dall'altro, la consapevolezza delle diffi­coltà di trovare un lavoro dipendente.

Alla luce dei dati fin qui esaminati si può avanzare l'i­potesi che i giovani mostrino una notevole disponibilità a sostenere sacrifici o comunque ad accettare cambiamenti nella propria vita, pur di ottenere una soddisfacente posi­zione occupazionale. A conferma di quanto detto si può an­cora osservare che i due terzi degli intervistati si dichiara disponibile a trasferirsi altrove per trovare lavoro o per mi­gliorare la propria posizione e più di un terzo andrebbe, a tal fine, a vivere anche in paesi extraeuropei.

L'immagine complessiva che emerge è, dunque, quella di una concezione positiva del lavoro nell' ambito dei progetti di vita, accompagnata dal timore di non essere sufficiente­mente preparati per trovare una collocazione soddisfacente, né adeguatamente protetti dai rischi della disoccupazione. Quest'ultima, in particolare, viene in gran parte attribuita a cause economiche di carattere generale, come il progresso tecnologico che riduce il numero dei posti di lavoro ed a si­tuazioni specifiche della realtà italiana, che da un lato, a giu­dizio degli intervistati, non offre lavoro a tutti e, dall'altro, è governata da persone che non si impegnano a sufficienza ad affrontare il problema. Queste tre sono, infatti, le cause della disoccupazione condivise dai due terzi degli intervi­stati. Minore invece (anche se superiore al 50%) è la propor­zione di coloro che danno la colpa ai sindacati o alla scarsa preparazione professionale. Troviamo in queste risposte una conferma alle posizioni di coloro che sostengono che l' imma­gine sociale della disoccupazione non è più riconducibile a colpe dell'individuo, alla concezione del disoccupato come deviante, ma vengono invece riconosciute come responsabi­lità dirette del sistema politico-economico.

Se, però, questa concezione diffusa della disoccupa­ziOne come problema «macra» può comportare il supera-

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mento di una concezione di tipo assistenziale a favore di politiche attive del lavoro, non va trascurato il rischio di caduta in una sorta di fatalismo e di conseguente delega delle soluzioni ad azioni estranee alla volontà dell'indivi­duo.

A conclusione di questa analisi delle risposte date dai giovani intervistati sui problemi del lavoro abbiamo, dun­que, tratto l'impressione di trovarci di fronte a persone che mostrano una notevole disponibilità alla prestazione lavora­tiva, che si impegnano nella ricerca del lavoro, che restano fedeli alla propria occupazione, anche quando questa non è del tutto soddisfacente o coerente con le aspettative ini­ziali, che percepiscono il lavoro non solo come opportunità concreta, ma anche come strumento di realizzazione dei propri scopi.

Viene fatto di chiedersi se tali atteggiamenti e propen­sioni si ricolleghino a nuove modalità di collocarsi sul mer­cato del lavoro o se la disponibilità dimostrata non sia im­putabile alle difficoltà occupazionali e di mercato. Anche se i dati della ricerca non possono dare indicazioni conclusive al riguardo, da essa sono emersi una serie di segnali, in ter­mini di opinioni, atteggiamenti e comportamenti verso il la­voro, che sembrano sottolineare l'intenzione di affrontarlo attivamente e, comunque, valutandone con prudenza e rea­lismo le caratteristiche positive e negative, in funzione sia delle effettive opportunità percepite, sia delle proprie ri­sorse disponibili.

Questo rilievo, già presente nell'indagine del 1983, sembra il dato principale su cui riflettere, dal momento che non si riferisce a posizioni lavorative particolarmente quali­ficate né solo a soggetti che dispongono di elevate risorse familiari. Si tratta, infatti, in prevalenza di giovani che esplorano concretamente un ambiente non favorevole, cer­cando di sfruttare al massimo le opportunità di sopravvi­venza economica, che pure sembrano esistere.

Il loro ingresso lavorativo precoce, la durata ampia del lavoro giornaliero e settimanale, la retribuzione al limite della norma, le attività lavorative di tipo manuale e scarsa­mente qualificato, dovrebbero essere tutti fattori di scorag­giamento di ogni aspettativa di novità ed incentivare com­portamenti e rappresentazioni di acquiescenza alle regole

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sociali. Al contrario, anche vivendo in una condizione di «perifericità sociale» i giovani mostrano di saper discrimi­nare tra le diverse possibilità quelle che si connotano come più realistiche o facilmente dominabili.

Non si tratta, forse, di un effettiva possibilità di nego­ziare il proprio destino professionale e sociale, ma non viene dato neppure per scontato un significato generale del lavoro che giustifichi la propria situazione attuale e le pro­spettive future. Si opera, piuttosto, come se fosse più chiaro il meccanismo di funzionamento di tale strumento - il lavoro - e, quindi, come se esso potesse essere utiliz­zato in modo da poter conseguire i propri scopi.

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1 1 1 . Progetti, attese, orientamenti per il futuro

1 . Premessa

I giovani sono, quasi per definizione, quella parte della popolazione che da un lato può attendersi di avere la mag­gior parte della vita davanti a sé, e, dall'altro, non ha an­cora acquisito quel complesso di attributi che nella nostra società definiscono una persona adulta.

La fissazione della maggiore età a 18 anni è soltanto una di queste caratteristiche: essa produce effetti giuridici che hanno grande rilievo nella determinazione dei diritti e dei doveri di una persona, ma il raggiungimento della mag­giore età non produce di per sé, da solo, il passaggio all'età adulta. Si può anzi dire che l'abbassamento della soglia della maggiore età dai 21 ai 18 anni ha coinciso storica­mente con una fase che ha visto lo spostamento dell'acqui­sizione di molti attributi dell'età adulta verso un'età più elevata. In altri termini, nelle società avanzate l'età giova­nile tende ad allungarsi, spostando per molti «giovani» il li­mite di passaggio alla fase adulta del ciclo di vita in un'età che solo pochi decenni fa indicava per molti uno status di adulto già stabilmente acquisito.

Una delle cause indirette di questa ridefinizione sociale della durata della fase del ciclo di vita è senza dubbio l'al­lungamento della durata media della vita stessa: vivere più a lungo non significa soltanto una più lunga vecchiaia ma anche una più lunga gioventù.

Ma la causa più diretta è l' allungamento dei percorsi educativi per una quota crescente della popolazione, il fe­nomeno, cioè, della scolarizzazione di massa. I giovani oggi passano a scuola un numero di anni sensibilmente maggiore di quanto non abbiano fatto, in media, i loro genitori nei due decenni a cavallo della seconda guerra mondiale.

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Le tappe, tuttavia, attraverso le quali si raggiunge so­cialmente l'età adulta (dal punto di vista psicologico le va­riabili in gioco sono diverse anche se evidentemente pro­cessi sociali e psichici sono strettamente connessi) sono per altro rimaste sostanzialmente le stesse: la fine del corso for­male degli studi, l'acquisizione di un lavoro potenzialmente stabile, l'abbandono della casa dei genitori per «metter su» una propria dimora, il matrimonio, la maternità/paternità.

Una persona sposata, con figli, che vive in una casa pro­pria, svolge stabilmente un lavoro e ha concluso la propria carriera di studente è considerata nella nostra società una persona adulta a tutti gli effetti. Non tutti gli attributi sono ovviamente necessari (le donne sposate sono comunque adulte anche senza un lavoro stabile, così come gli uomini che lavorano stabilmente sono considerati adulti anche se non sono sposati) . Si tratta di criteri che non si possono ap­plicare meccanicamente, nel complesso però marcano nella nostra società i confini tra l'età giovanile e l'età adulta del ciclo di vita.

Per esplorare questo processo di acquisizione degli attri­buti dell'età adulta abbiamo posto ai giovani del nostro campione una domanda in cui si chiede loro se, nei pros­simi cinque anni, prevedono di finire gli studi, di trovare un lavoro stabile, di andare a vivere per conto proprio, di sposarsi e di avere dei figli. La formulazione della domanda (che inizia con: «parliamo adesso di che cosa si aspetta di fare nei prossimi cinque anni»), nonostante l'enfasi che il verbo fare pon'e sull'azione, lascia aperta una doppia possi­bile interpretazione: quello che succederà nei prossimi cin­que anni potrà essere sia il risultato di scelte del soggetto sia l'esito di circostanze e occasioni che in misura maggiore o minore sfuggono alla sua volontà. La domanda (e quindi anche le risposte) non discrimina cioè tra orientamenti at­tivi o passivi verso il futuro.

Il futuro, in altre parole, può essere costellato sia di at­tese di cose che possono succedere, sia di intenzioni/pro­getti volti a far succedere delle cose, sia di combinazioni composite di attese e progetti. Questa dimensione sarà ana­lizzata successivamente.

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2. La previsione di finire gli studi

La fine degli studi resta una tappa importante nel pro­cesso di crescita verso lo status di adulto . Le prospettive dell'educazione permanente non hanno indebolito il fatto che vi è una fase della vita in cui sono prevalentemente concentrati i processi formativi. Di fatto un terzo circa dei 15-24enni del nostro campione ha già la fine degli studi dietro le spalle e questa quota cresce ovviamente nelle fasce d'età più alte .

Rispetto al 1983 la prospettiva di finire gli studi nel­l'arco del prossimo quinquennio sembra ulteriormente ri­dursi (coloro che hanno già finito o sono sicuri di finire scendono dal 61% al 53,8%) e questo è un ulteriore sin­tomo della tendenza all'allungamento dei percorsi scolastici e a protrarre la condizione di studente.

Vediamo ora la prospettiva di finire gli studi per chi già lavora, per chi lavora e studia insieme, per chi studia sol­tant� e per chi non studia e neppure lavora.

E da notare che solo il 49,8% di coloro che lavorano (esclusi evidentemente i lavoratori studenti) dichiarano di avere «finito gli studi». Gli altri lavoratori (24, 1 %) esclu­dono di finirli, e si tratta evidentemente di coloro che hanno interrotto gli studi senza concluderli con il raggiun­gimento di un titolo, mentre una quota minore intende forse riprendere il ciclo interrotto senza essere in grado di prevedere la possibilità di arrivare effettivamente alla fine (13 ,6%). Coloro, invece, che pur lavorando studiano an­cora con l'aspettativa di finire gli studi sono il 12,6% .

TAB. III . l. Previsione di finire gli studi per condizione di studente o lavoratore

Non studia Studia Lavora e non lavora

È già successo 55,6 1,4 49,8 Sì, sono sicuro 2,7 53,9 6,8 Credo di sl 4,5 30,2 5 ,8 Credo di no 5 , 1 6 , 1 3 ,3 No, è escluso 24,4 4,4 24, 1 Non so 7 ,i' 4,0 10,3

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Analizzando i dati per età e per sesso si nota che esiste comunque una quota non trascurabile sia di ragazzi (14, 7%) che di ragazze (10,8%) che, pur avendo ormai 21 -24 anni, non è in grado di prevedere la conclusione degli studi entro i prossimi cinque anni (quando avranno cioè tra i 26 e i 29 anni) . Sono evidentemente quegli «studenti a vita» che di fuori corso in fuori corso estendono nel futuro la loro condizione studentesca senza potere prevedere se e quando arriveranno alla laurea.

Come abbiamo visto nel capitolo sull'esperienza scola­stica la lunghezza del percorso educativo dipende in modo molto netto dal livello sociale e culturale della famiglia d'o­rigine. Nonostante le trasformazioni connesse alla «scuola di massa» vale ancora fondamentalmente che i percorsi brevi sono per i ragazzi/e di bassa origine sociale, i percorsi medi per i ragazzi/e di classe media, mentre i percorsi lun­ghi sono ancora in larga misura ri�ervati ai ragazzi e alle ra­gazze di origine sociale elevata. E da notare, però, che gli «studenti a vita» appartengono un po' a tutte le classi, solo che quelli di origini sociali modeste devono lavorare per mantenere attiva la loro condizione di studenti, mentre i più privilegiati possono farlo senza lavorare.

I dati della ricerca pane! ci consentono di cogliere in che misura le aspettative degli stessi soggetti in merito alla con­clusione degli studi si sono avverate oppure si sono modifi­cate a distanza di 3 anni e mezzo.

Tra coloro che escludevano, oppure nutrivano dubbi sulla possibilità di finire gli studi, una quota consistente (44,6%) li ha invece conclusi, con ogni probabilità deci­dendo di interrompere un percorso che non si presentava comunque molto promettente. Altri, invece, hanno acqui­sito una fiducia che non avevano (24,2%) e si tratta di co­loro che nel 1983 erano all'inizio di un ciclo di cui ora sono in grado di prevedere con fiducia o sicurezza la fine. Il re­stante 3 1 ,2%, invece, resta sostanzialmente incerto o sfi­ducioso sulla possibilità di concludere (questa volta entro il 1992) il proprio iter scolastico.

Tra coloro che erano fiduciosi o sicuri di finire gli studi entro cinque anni nel 1983, il 35 ,7% li ha effettivamente conclusi, il 5 1 ,2% è rimasto fiducioso di finirli nel pros­simo quinquennio, mentre il 13 , 1 % ha perso la fiducia di-

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chiarata nel 1983 . Tra aspettative e realtà c'è sempre un certo scarto e spesso la realtà induce a modificare le aspettative.

3. La previsione di trovare un lavoro stabile

La possibilità di trovare un lavoro stabile non dipende evidentemente soltanto dalla volontà di trovarlo. Le condi­zioni del mercato del lavoro determinano fortemente (come abbiamo visto nel cap. Il) la distribuzione delle opportu­nità. Da questo punto di vista i maschi sono più avvantag­giati delle femmine (nella classe di età 21-24 il 13% dei ra­gazzi contro il 30% delle ragazze esprime dubbi o sfiducia sulla propria capacità di trovare un lavoro stabile), i giovani di bassa estrazione socio-culturale, soprattutto se privi di un titolo di studio superiore alla scuola dell'obbligo, sono più svantaggiati rispetto ai loro coetanei di origine sociale più elevata e di più alta scolarizzazione e soprattutto, i gio­vani che vivono nelle regioni meridionali e nelle isole sono di gran lunga più svantaggiati nella prospettiva di trovare un lavoro stabile dei loro coetanei che vivono nel resto del paese. Quando queste opportunità, positive o negative, si sovrappongono (come, ad esempio, nel caso delle ragazze prive di titolo di studio che vivono nelle isole, oppure dei ragazzi diplomati o laureati che vivono nelle regioni setten­trionali) allora le aspettative di trovare un lavoro stabile di­ventano quasi nulle, oppure raggiungono la quasi certezza.

A prescindere comunque da queste fonti di differenzia­zione nella struttura delle opportunità lavorative aperte (o chiuse) ai giovani, resta il fatto che tra i 2 1-24enni esiste comunque nel nostro paese una quota assai consistente (circa il 15% dei maschi e il 38% delle femmine) di per­sone che sono sicure di non poter trovare lavoro oppure nu­trono seri dubbi sulla possibilità di trovarlo, una quota di giovani quindi che si presenta scoraggiata di fronte alla pos­sibilità di poter guardare al proprio futuro senza dover di­pendere da altri. Non c'è da stupirsi perciò se vi sono dei giovani che esitano di fronte alla prospettiva di affrontare da adulti il proprio futuro, la struttura delle opportunità la­vorative non costituisce certo un incentivo ad abbandonare la condizione giovanile di semi-dipendenza/semi-maturità.

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Rispetto al 1983, inoltre, le prospettive occupazionali, così come vengono percepite dai soggetti intervistati, sembrano essersi ulteriormente ridotte, si raddoppiano in­fatti le quote di coloro che dichiarano di non sapere o non poter prevedere se nei prossimi cinque anni troveranno o meno un lavoro stabile (dal 7 al 14% di tutti gli intervistati dai 15 ai 24 anni) .

Alla luce dei dati della ricerca pane! questa maggiore sfi­ducia nelle proprie opportunità di trovare lavoro sembra in larga misura imputabile alle nuove leve giovanili, infatti i 15-2 1enni nel 1983 reintervistati nel 1987 sembrano avere acquisito fiducia con il passare degli anni: coloro, ad esem­pio, che nel 1983 avevano dichiarato di non nutrire fiducia e di avere molti dubbi circa la possibilità di trovare un la­voro stabile, oggi, o l'hanno trovato (12%) o sono diventati più fiduciosi (50,8%), mentre solo una parte (il 37,2%) ha conservato la sfiducia di allora. Per contro, solo una piccola minoranza (il 16,4%) di coloro che erano fiduciosi di tro­vare lavoro nel 1983 ha oggi perso tale fiducia, di fronte a una maggioranza (il 55,7%) che ha effettivamente trovato il lavoro atteso, mentre la quota restante (27,9%) aspetta ancora con fiducia.

Sono quindi soprattutto i giovanissimi (15- 17 anni), per scelta o per necessità, a protrarre sempre più avanti nel tempo la prospettiva di assumere un lavoro stabile.

4. La previsione di andare a vivere per conto proprio, di sposarsi e di avere dei figli

Il vero salto qualitativo nel processo che conduce all'età adulta è la decisione di andare a vivere per conto proprio, anche se i nostri dati suggeriscono che il valore emancipa­tivo di questa decisione non è più ora così forte come probabilmente lo è stato per precedenti generazioni di gio­vani. Attualmente solo il 10% del nostro campione non vive più in casa coi genitori e la percentuale non sale molto ( 18,9%) nelle classi di età più elevate (2 1 -24 anni) . L'uscita di casa avviene quasi esclusivamente in seguito al matrimo­nio: tra i 201 giovani del nostro campione che non vivono in casa coi genitori 156 (77 ,6%) sono sposati. I giovani che

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vivono da soli, o con amici o con il partner senza essere spo­sati non raggiungono nel complesso neppure il 2% dei 2 1-24enni.

I giovani quindi escludono nel prevedere il loro futuro che vi possa essere un'uscita dalla casa dei genitori che non sia connessa col fatto di sposarsi e quindi con il fatto di «met­tere su casa» con un/a partner. Non vi è tra i giovani l'aspira­zione alla vita da singolo/a, se questo succederà, sarà per il fallimento di una prospettiva di vita in comune con il/la part­ner e non per una scelta o previsione deliberata in tal senso.

È da notare comunque la presenza di una differenza se­mantica tra ragazzi e ragazze nel significato attribuito alla frase «andare a vivere per conto proprio»: mentre tra i ra­gazzi coloro che intendono andare a vivere per conto proprio o già lo fanno sono leggermente di più coloro che intendono sposarsi o sono già sposati (34,3% contro 32,6%), per le ra­gazze succede esattamente il contrario, e cioè sono di più quelle che sono sposate o intendono sposarsi di quelle che vi­vono o prevedono di vivere per conto proprio (52,4% contro 26, l%) e ciò significa che per molte ragazze sposarsi vuoi dire andare a vivere con il partner e non andare a vivere per conto proprio, cioè fuori dalla casa dei genitori.

Il dato comunque significativo è che vi è circa la metà dei ragazzi tra i 2 1 e i 24 anni che sposta la previsione di andare a vivere per conto proprio e di sposarsi al di là della soglia dei 26-29 anni e ciò vale, almeno per quanto riguarda il matrimo­nio, anche per il 35% delle ragazze della stessa età.

Per converso la propensione a un'uscita precoce dalla casa dei genitori è assai modesta: solo un 16% dei ragazzi tra i 15 e 17 anni prevede di uscire di casa e di sposarsi nei pros­simi cinque anni (quindi tra i 20 e i 22 anni) , mentre un terzo delle ragazzine della stessa età contempla il matrimonio nello stesso lasso di tempo. Potremmo quindi dire che ci sono po­chi «anticipatori» (giovani che vogliono diventare presto adulti) e molti «dilazionatori», cioè giovani che intendono procrastinare le scelte di uscire di casa e di sposarsi e che, ri­spetto al 1983, diminuisce ulteriormente la quota degli «anti­cipatori» mentre aumenta la quota dei «dilazionatori».

Un primo dato appare evidente: l'età giovanile è più lunga per i giovani degli strati sociali più elevati e più breve per i giovani degli strati inferiori. Ciò non vuoi dire, però,

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che la correlazione sia molto forte. È vero che gli «anticipa­tori», coloro che escono presto di casa e che si sposano pre­sto, appartengono in stragrande maggioranza agli strati bassi e medio-bassi della società, che le ragazze anticipano il matrimonio e la previsione di matrimonio rispetto ai coe­tanei maschi e che ciò avviene soprattutto nelle regioni me­ridionali, ma è anche vero che la quota di «dilazionatori» ri­mane comunque elevata in tutti gli strati della popolazione giovanile.

Si vedano, ad esempio, i dati sulla decisione/intenzio­ne/previsione di sposarsi nei prossimi cinque anni per i gio­vani e le giovani tra i 2 1 e i 24 anni a seconda del livello culturale della famiglia di origine, riportati nella tabella III.2.

Come si vede mentre gli «anticipatori» del matrimonio si collocano all'estremo inferiore della scala sociale, i «dila­zionatori» si concentrano all'estremo superiore. Non si tratta soltanto di una conseguenza del maggior numero di anni che questi ultimi passano nella scuola o nell'università. Infatti, nello strato più elevato coloro che non prevedono di finire gli studi (o di trovare un lavoro stabile) nel giro di cinque anni sono meno di un terzo di coloro che non preve­dono di sposarsi. Vi è quindi senz' altro un fattore indipen­dente dalla lunghezza dei percorsi educativi che gioca per allungare, soprattutto nelle classi alte, l'età giovanile . Per questi giovani «dilazionatori» la prospettiva di diventare adulti non sembra particolarmente attraente. La casa dei

TAB . III.2. Propensione al matrimonio nei prossimi cinque anni (età 21-24 anni, per sesso e livello culturale familiare)

Basso Medio Medio Alto Basso Medio Medio Alto basso alto basso alto

M F

Già sposato/a 12,9 5,7 2 , 1 2,3 36,9 29,0 19,5 5,6 Sì, è sicuro 17,9 13,9 13,3 7,5 13,8 10,9 15,8 7,3 Credo di sì 39,5 33,9 26,9 26,4 29,0 26,4 24,7 33,5 Credo di no 12,7 16,4 15,5 23,6 2,8 8,0 8,9 24,1 No, è escluso 4,2 12,1 13 ,4 19,7 2,7 5,6 7,0 12,8 Non posso prev. 12,8 18,8 28,8 20,6 14,8 20,1 24,0 16,8

100 100 100 100 100 100 100 100

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genitori garantisce una sistemazione abitativa ritenuta probabilmente assai adeguata (soprattutto di fronte alle difficoltà oggettive di trovare un nuovo alloggio economi­camente accessibile), inoltre i genitori non sembrano porre restrizioni eccessive alle libertà personali (come vedremo nel cap. VI), sono disposti a sovvenzionare i figli per un numero imprecisato di anni, questi, a loro volta, qualora abbiano trovato un lavoro, possono godere del loro red­dito senza doversi assumere resppnsabilità famigliari. I giovani che rifiutano la prospettiva del matrimonio sono molto pochi (il 5 ,0%), ma sono molti coloro che allonta­nano questa prospettiva nel tempo per poter stazionare più a lungo nella fase del ciclo ,Pi vita in cui attualmente si trovano.

I dati della ricerca pane! ci consentono di vedere quanto delle previsioni del 1983 si è realizzato e come si sono mo­dificate le attese di matrimonio. Solo un quarto di coloro che prevedevano il matrimonio nell'arco di cinque anni dalla prima intervista si sono effettivamente sposati al mo­mento della seconda intervista, una metà ha mantenuto at­tese positive per il prossimo q��ennio, mentre il re­stante quarto ha oggi molti dubbi e iacertezze sulla possibi­lità di sposarsi nel prossimo futuro. Tra coloro, invece, che nel 1983 escludevano o erano incerti di sposarsi solo una piccola minoranza (3 ,5%) ha smentito, sposandosi, le pro­prie attese. Nel complesso la maggioranza (54,8%) di chi non intendeva sposarsi nel 1983 estende la propensione ne­gativa al matrimonio anche al quinquennio successivo alla seconda intervista, mentre tra le due interviste per una quota consistente (4 1 ,7%) le attese negative nei confronti del matrimonio si sono trasformate in attese positive. An­che la prospettiva della maternità/paternità sembra per que­sta generazione di giovani essersiiplteriormente spostata in avanti rispetto ai giovani intervistati nel 1983. Allora, escludevano questa possibilità oppure non la ritenevano prevedibile il 61 ,5% degli intervistati, nella rilevazione del 1987 questa quota sale al 68,4%.

La previsione di diventare padre nei prossimi cinque anni è formulata da poco più di un terzo dei maschi tra i 2 1 e i 24 anni mentre più di metà delle femmine prevede di di­ventare madre oppure lo è già.

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Qu esta p rev1s10n e va ria molto p er class e so cial e n el s enso ch e l e classi bass e anti cipano il mom ento d ella nas cita d ei figli, m ent re l e classi alt e l<;? rita rdano. Ma qu esto non rapp res enta certo una novità. E int eressant e nota re p eral­

t ro com e ai liv elli so cio- culturali pi ù el evati vi siano quasi alt rettant e giovani donn e (2 1 -24 anni) ch e rimandano la mat ernità di quanto non ci siano giovani mas chi ch e riman­dano la pat ernità. An ch e a qu esto p roposito quindi l e diff e­renz e mas chio-f emmina t endono ad att enua rsi fo rt em ent e

n ei ceti pi ù p rivil egiati. Qui du e ragazz e su t re rinviano la p rosp ettiva d ella mat ernità olt re i 26 anni di età, m ent re ciò val e p er m eno di una su t re n ella class e pi ù bassa.

Merita solo una s egnalazion e il fatto ch e la p rop ension e a rita rda re la nas cita d ei figli è pi ù a ccentuata n ell e regioni no rd-o ccid entali risp etto all e regioni m eridionali e all e isol e, m ent re l e regioni no rd-o ri entali e d el cent ro o ccupano una posizion e int erm edia. L e diff erenz e, pu r signifi cativ e, non sono p erò molto fo rti e ciò t estimonia d el fatto ch e i compo rtam enti d emog rafi ci d ell e nuov e g en erazioni t en ­

dono a unifo rma rsi su un uni co mod ello s enza g ross e va ria­zioni int erregionali .

5. L'incertezza delle attese e delle scelte

Abbiamo chi esto ai nost ri int ervistati quali erano l e lo ro att es e in m erito alla p robabilità di v erifi ca rsi n ell'a rco d el p rossimo quinqu ennio di cinqu e ev enti ch e n ella nost ra so ci età s egnano alt rettant e tapp e n el p ro cesso di avvi cina­m ento alla fas e adulta d el ci clo di vita. Molti giovani fo r­mulano d ell e p revisioni abbastanza d efinit e, cio è si att en­dono ch e tali ev enti si v erifi chino oppu re non si v erifi­chino, ma vi è una mino ranza cospi cua ch e di chia ra di

f ront e a qu est e att es e/s celt e di non ess ere in g rado di fa re d ell e p revisioni.

Abbiamo p ertanto id entifi cato a ccanto agli «anti cipa ­to ri» e ai «dilazionato ri» un g ruppo di «in certi», di giovani, cio è, p er i quali il p rop rio futu ro è ap erto, n el s enso di im­

p rev edibil e. L'ampi ezza di qu esto g ruppo sfio ra il 30% d el nost ro campion e di giovani ed è int eressant e v ed ere quali fatto ri sono responsabili d ella sua va riabilità.

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Prima di tutto la quota di «incerti» si distribuisce equa­mente tra maschi e femmine e, per entrambi, cresce con l'età: tra i più giovani ( 15- 1 7 anni) gli «incerti» sono il 21 ,7% mentre nella fascia di età 21 -24 salgono al 35,8% (questa tendenza è confermata anche dalla ricerca pane[). L'approssimarsi delle scelte, quindi, aumenta tra i giovani il grado di incertezza, quando invece i tempi delle scelte ap­paiono ancora lontani è più facile fare delle previsioni. Vi è comunque un altro fattore che tende a «ridurre» il grado di incertezza: a parità di età i giovani che studino appaiono assai meno incerti dei giovani che lavorano oppure che non studiano e non lavorano. Ciò può voler anche dire per gli studenti le scelte appaiono comunque rimandate e quindi la minore incertezza potrebbe essere spiegata dalla minore ur­genza delle «scadenze», ma può voler anche dire che la cul­tura alla quale si ha accesso costituisce una risorsa che con­sente di ridurre l'elemento di incertezza nelle scelte che si hanno da compiere. Quest'ultima interpretazione è raffor­zata dal fatto che la quota di «incerti» è minore nel sotto­gruppo di giovani che provengono da famiglie di alto livello culturale rispetto a coloro che provengono da famiglie di li­vello basso o medio-basso. Ciò suggerisce che vi è una di­mensione culturale che influenza i modi di porsi nei con­fronti del futuro. Cercheremo ora di esplorare questa di­mensiOne.

6. Gli orientamenti al futuro: «autodeterminati» e «fatal isti»

Il futuro può apparire come lo spazio di realizzazione dei propri progetti e delle proprie mete, come il luogo nel quale attendono le occasioni che il soggetto sarà, o meno, in grado di cogliere e di orientare ai propri fini. Oppure, al contrario, come il luogo dei rischi e delle insidie che ostaco­lano il soggetto nella sua stessa capacità di perseguire delle mete e di formulare dei progetti, un luogo governato da forze incontrollabili nei confronti delle quali la volontà in­dividuale risulta inerme e impotente.

Gli psicologi hanno a lungo lavorato su questa dimen­sione fondamentale della struttura della personalità e anche a noi è parso di cogliere in essa un aspetto molto impor-

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tante del modo dei giovani di porsi nei confronti della realtà che li circonda nella prospettiva del tempo futuro verso il quale è orientata la loro esistenza. Anche in prece­denti ricerche 1 abbiamo potuto verificare come lo studio degli orientamenti temporali sia un passaggio decisivo per cercare di comprendere la condizione giovanile.

Per «indagare» questo aspetto degli orientamenti tem­porali abbiamo utilizzato tre coppie di affermazioni, chie­dendo agli intervistati di scegliere nei tre casi una delle due alternative proposte.

La prima alternativa («quando penso al mio futuro lo vedo pieno di possibilità e di sorprese», oppure «quando penso al mio futuro lo vedo pieno di rischi e di incognite») vuole cogliere il grado di apertura e di ottimismo, oppure di chiusura e di pessimismo verso il proprio futuro. La domanda ha mostrato una forte capacità di discriminare tra atteggia­menti opposti spaccando il campione in due metà uguali e ge­nerando una quota assai modesta di «non so» (3 , 7%).

La seconda alternativa («nella vita è importante avere degli obiettivi e delle mete», oppure «è inutile fare tanti progetti perché succede sempre qualcosa che ci impedisce di realizzarli») insiste sulla componente progettuale dell'o­rientamento e futuro, anch'essa discrimina abbastanza bene isolando un 70,5% a favore della prima affermazione, il 26,9% a favore della seconda e solo il 2, 7% di «non so».

La terza alternativa («il successo dipende dal lavorare sodo e la fortuna conta poco», oppure «non è saggio fare tanti programmi per il futuro perché molto dipende dalla fortuna») cerca di cogliere l' importanza attribuita rispetti­vamente all'impegno personale («lavorare sodo») e alla for­tuna nel determinare il «successo». Anche in questo caso la domanda risulta efficace nel discriminare componenti di­verse. Il 60,5% del campione ha scelto la prima afferma­zione, il 34,4% la seconda, mentre la quota dei «non so» è que�ta volta leggermente più alta (5 ,2%).

E importante notare che tutte e tre le alternative mo­strano uno scarsissimo legame col sesso e con l'età degli in­tervistati (i valori del chi2 non sono significativi) e quindi

1 Cfr. A. Cavalli (a cura di), Il tempo dei giovani, Bologna, Il Mu­lino, 1985 .

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colgono una componente della personalità non legata al pro­cesso evolutivo. Nell'ipotesi che le tre alternative misurino un'unica dimensione sottostante, abbiamo costruito la se­guente tipologia lungo un asse di autodeterminazione/fatali­smo: giovani con una forte componente di autodetermina­zione (coloro che hanno scelto tutte e tre le volte la prima af­fermazione), giovani con una media componente di autode­terminazione (hanno scelto due volte la prima affermazione, e una volta la seconda oppure «non so») , giovani con una me­dia componente di fatalismo (due volte la seconda afferma­zione e una volta la prima oppure «non so») , giovani con una forte componente di fatalismo (tutte e tre le volte la seconda affermazione) e giovani incerti (almeno due volte «non so») .

Il nostro campione risulta così distribuito nei vari tipi:

autodeterminati quasi autodeterminati quasi fatalisti fatalisti incerti

28,7% 34,3% 22,8%

9,4% 4,8%

Questo «indice» (così come gli indicatori con i quali è costituito) non da differenze statisticamente significative per sesso e neppure per età, almeno per quanto riguarda il sottocampione maschile, mentre vi è un legame debole (ma statisticamente significativo) tra auto-determinazione/fata­lismo ed età per le giovani donne nel senso che la quota di «fa­taliste» cresce con l'età (passando dal 4,8% per le 15-1 7enni al 12,5% per le 2 1-24enni), mentre contemporaneamente diminuisce la quota di giovani donne «autoderminate» (dal 3 1 ,4% al 24,4%).

Purtroppo non siamo in grado di dire (questi indicatori infatti ci mancano nella ricerca pane!) in che misura questo fenomeno sia imputabile al processo evolutivo delle ragazze, oppure alla specificità di questa generazione di ragazze. En­trambe le ipotesi infatti appaiono plausibili. Ma probabil­mente una terza ipotesi è la più convincente: in realtà le ra­gazze sono assai più numerose dei ragazzi nella condizione di coloro che non studiano e non lavorano (il 3 1 ,3% controil 16,4%) e questa condizione risulta favorire sensibilmente l'insorgere di un orientamento fatalistico, come risulta dalla tabella III. 3 .

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TAB. III.3. Autodetenninazione/fatalismo per condizione studio/lavoro

Non studia Studia Lavora e non lavora

Autodeterminati 1 7,8 34,6 29,2 Quasi autodeterminati 29,4 38,8 32, 7 Quasi fatalisti 29,7 18,5 23,2 Fatalisti 16,6 5 ,0 9,8 Incerti 6,5 3,4 5 , 1

100 100 100

I tre gruppi degli studenti, dei lavoratori e di coloro che non sono né l'una né l'altra cosa si collocano in ordine lungo un continuo che va dal massimo di autodetermina­zione per gli studenti al massimo di fatalismo per chi non studia e non lavora. Si potrebbe quindi pensare che l' ac­cesso alla cultura fornisce una serie di strumenti che con­sentono all'individuo di sviluppare l'idea di poter padro­neggiare il proprio futuro. Ciò è vero però soltanto in parte, infatti se analizziamo l'andamento dell'indice di au­todeterminazione/fatalismo in base al livello culturale della famiglia d 'origine ci accorgiamo che la differenza tra stu­denti e lavoratori risultano attenuate e tendono a scompa­rire ai livelli più elevati.

Resta però il fatto che a tutti i livelli, i giovani che stu­diano hanno assai più scarsa propensione al fatalismo di chi, invece, non studia e non lavora. Il fatto di avere dei

TAB. III.4. Autodeterminazione/fatalismo per condizione studio/lavoro e livello so· cio-culturale familiare elevato

Non studia Studia Lavora Totale non lavora

Autodeterminati 30,6 41 ,7 47,0 41 ,7 Quasi autodeterminati 34,2 39,9 42,1 39,8 Quasi fatalisti 27,6 12,5 9,3 13 ,2 Fatalisti e incerti 7,7 6,0 1 ,6 5,3

1 00 100 100 100

N = 349 Chi2 = 9,58 (8 g.d.l .)

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T AB. III.5. Autodeterminazione/fatalismo per livello culturale familiare

Basso Medio Medio Alto basso alto

Autodeterminati 15,6 25,2 32,2 41,7 Quasi autodeterminati 29,9 32,3 35,9 39,8 Quasi fatalisti 28,7 26,1 2 1 ,3 13,2 Fatalisti e incerti 18,1 12,0 5,5 2,7 Incerti 7,7 4,4 5,2 2,6

100 100 100 100

Chi2 = 137,189 (12 g.d.l.)

genito ri «colti» influisce sul modo di po rsi nei conf ronti della p rop ria vita futu ra , ma anco r pi ù influisce il fatto di pote r dispo rre, in p rop rio, di st rumenti cultu rali che con­sentano di pad roneggia re l'idea che ci si fa di sé stessi e del p rop rio futu ro .

Il senso di pote r pad roneggia re i l p rop rio futu ro non è quindi soltanto il risultato dell'ope ra re di fatto ri socio-cultu­rali di base che hanno a che fa re con la collocazione dei

soggetti nella st ruttu ra della disuguaglianza sociale . Nono­stante ciò, il nesso t ra l'indice di autodete rminazione/fatali ­smo e l'indice che misu ra il livello cultu rale della famiglia è molto fo rte e assume un andamento linea re senza anomalie.

Se analizziamo gli stessi dati in base all'indice di status socio-economico (cost ruito sulla condizione p rofessionale e la scola rità del pad re) il nesso si indebolisce soltanto di poco (il chi2 passa da 13 7 a 12 g radi di libe rtà a 1 10 e 16 g radi di libe rtà , il coefficiente di contingenza da 0,25 7 a 0,242) . Se conside riamo che anche colo ro che rispondono «non so», e che abbiamo indicato come «ince rti», seguono l' andamento della dist ribuzione dei «fatalisti», possiamo conclude re che vi è un'a rea giovanile, che nello st rato cul­tu ralmente pi ù dep rivato supe ra la metà degli inte rvistati (esattamente i 54,5%), dove domina l'idea che il p rop rio futu ro non è gove rnabile ma soggetto a fo rze ed eventi in ­cont rollabili che sove rchiano la volontà individuale . Ciò semb ra smenti re clamo rosamente un'immagine della condi­zione e della cultu ra giovanile come fondamentalmente omogenea e indiffe renziata lungo linee di classe che si in-

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contrano sovente nelle analisi superficiali dei mass media ed anche di alcuni studiosi. L'origine famigliare, soprattutto per quanto riguarda il capitale culturale incorporato nella famiglia, costituisce un potente fattore di spiegazione di quegli orientamenti di fondo che indicano il modo di porsi nei confronti della propria vita futura. I «dilazionatori» che abbiamo trovato così numerosi tra i giovani e le giovani di classe elevata non sono quindi nello stesso tempo dei «fa­talisti». Il fatto di protrarre le scelte che consentono di di­ventare adulti si combina con un forte senso di padroneg­giare comunque il proprio futuro, di essere in grado di ac­cumulare esperienze e di esplorare opportunità che in fu­turo si sarà in grado di cogliere. Al contrario, gli «anticipa­tori» sono più soggetti al fatalismo, al senso che il proprio avvenire sfugge alla determinazione della volontà e quindi alla capacità di progettarlo.

Se poi consideriamo come quest'area del fatalismo e dell'incertezza si distribuisce nelle varie aree geografiche, notiamo che nella popolazione giovanile si riproducono le tradizionali spaccature culturali che dividono il paese: il «fatalismo» cresce dalle regioni del Nord-Ovest e del Nord-Est (rispettivamente 30,3% e 30,6%) alle regioni del Centro e del Sud (35,4% e 42,2%) per raggiungere il va­lore più alto tra i giovani che vivono nelle isole (49,9%).

Esplorando altri aspetti della condizione giovanile ci si accorge che in realtà essi sono connessi a questa dimensione di autodeterminazione/fatalismo; i «fatalisti», cioè, presen­tano un grado sensibilmente superiore di insoddisfazione degli altri giovani delle condizioni generali della propria vita, hanno assai meno fiducia nella possibilità di trovare un lavoro che corrisponda alle proprie aspirazioni e mo­strano inoltre, come vedremo, livelli particolarmente ele­vati di passività nel campo della partecipazione politica e sociale.

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IV. Gli orientamenti di valore

1 . Le cose che contano nella vita

A che cosa i giovani attribuiscono valore, quali sono le cose che essi ritengono importanti per la loro vita e che de­finiscono l'orizzonte rispetto al quale costruire le proprie scale di priorità, i criteri in base ai quali compiere le scelte fondamentali che danno un senso all'esistenza? Abbiamo chiesto ai giovani del nostro campione di dirci a quale sfera dell'esistenza attribuissero molta, abbatanza, poca o nes­suna importanza. Assegnando un punteggio alle loro rispo­ste in una scala da l (nessuna importanza) a 5 (molta im­portanza) ne è risultata la graduatoria esposta nella tabella IV. l nella quale sono indicati a fini di comparazione i dati delle due indagini del 1983 e del 1987.

Come si vede nell'arco di tempo tra le due indagini nulla è sostanzialmente cambiato negli orientamenti di fondo dei giovani, vi sono solo alcuni lievi spostamenti che però non modificano l 'ordine della graduatoria anche se

T AB. IV . l . La gerarchia dei valori

l . La famiglia 2. Il lavoro 3. Il ragazzo/a, gli amici/che 4 . Il divertimento nel tempo libero 5 . Lo studio e gli interessi culturali 6. Lo sport 7. L' impegno sociale 8. L' impegno religioso 9. L'attività politica

Punteggio medio Diff. 1983 1987

4,79 4,59 4,57 4,28 3,88 3,73 3,61 2,91 2,34

4,81 4,60 4,50 4,26 3,77 3,68 3,50 2,99 2,25

+ 0,02 + 0,01 - 0,07 - 0,02 - 0, 1 1 - 0,05 - 0, 1 1 + 0,08 - 0,09

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non sono insignificanti per cogliere alcune linee di tendenza in atto nella generazione attuale. Il lieve declino del valore attribuito all'impegno sociale e politico, così come allo stu­dio e alla cultura, e la maggiore importanza dell' impegno re­ligioso, sono tutti segnali che trovano conferma, come ve­dremo, nell'andamento di altri indicatori.

Il quadro complessivo che emerge, tuttavia, è un quadro di grande stabilità. Si ha l'impressione che questa graduato­ria rifletta delle strutture dotate di un elevato grado di per­sistenza, che mutano solo lentamente e lungo archi di tempo assai più ampi del breve intervallo 1983-1987.

Alla stessa conclusione si giunge analizzando i dati della ricerca pane!. Appare chiaro, tuttavia, che gli individui sono in grado di modificare le loro scale di valore anche se la di­stribuzione nell'intera popolazione delle cose che contano nella vita resta sostanzialmente stabile. A questo proposito è utile osservare i dati della tabella IV .2 dove è riportata nella prima colonna la percentuale di giovani che hanno mante­nuto inalterata l'importanza attribuita ad ogni singolo va­lore, nella seconda colonna la percentuale di giovani che at­tribuiscono maggiore importanza oggi di quanto non era successo nel 1983 e, infine, nella terza colonna la percen­tuale di coloro che attribuiscono oggi minore importanza che non all 'atto della precedente intervista. Nell'ultima co­lonna, infine, abbiamo calcolato la differenza tra la seconda e la terza colonna: una differenza positiva indica i valori che si rafforzano con l'età, una differenza negativa indica invece i valori che con l'età tendono ad attuare la loro importanza:

TAB. IV.2. Stabilità e dinamica dei <<Valori» con l'età

Famiglia Lavoro Affetto/amicizia Attività politica Divertimento Impegno religioso Impegno sociale Sport Studio/cultura

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Stabilità

75,6 59,4 58,2 5 1 ,9 50,7 49,4 48,8 47,6 44,5

Ascesa

12,9 19,0 25,5 24,2 24,4 24,2 24, 1 20,4 22,3

Declino

1 1 ,5 21 ,6 16,3 23,8 24,9 26,3 27,1 32,0 33,2

Diff.

+ 1 ,4 - 1,6 + 9,2 + 0,4 - 0,5 - 2,1 - 3,0 - 1 1 ,6 - 10,9

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Come si vede, vi sono delle «cose» che contano nella vita e la cui importanza non è soggetta a grandi cambia­menti con il passare degli anni. Sono la famiglia, il lavoro e i rapporti personali di affetto e di amicizia. Vi sono delle «cose» che contano poco (l'attività politica) ma che non cambiano molto la loro importanza quando si diventa più grandi. E vi sono «cose» che tendono a perdere di impor­tanza avvicinandosi all'età adulta (lo sport e lo studio e an­che, in misura minore, l'impegno sociale e religioso). Il ri­sultato significativo, comunque, che emerge dalla ricerca pane!, è che i singoli individui mutano nel tempo le loro scale di valore più di quanto questi cambiamenti non si ri­flettano nei cambiamenti che riguardano l'intera popola­zione giovanile. Aggregati, i mutamenti individuali in ge­nere tendono a compensarsi, così che nel complesso la struttura dei valori per l'intera società resta stabile .

Il segnale più evidente di questa stabilità resta l'incon­trastato dominio della famiglia come la «cosa» che conta di più nella vita e ciò vale per i maschi come per le femmine, per i giovanissimi e per i meno giovani, per coloro che pro­vengono dalle classi sociali più elevate come per coloro che sono nati in famiglie meno privilegiate. Vi è un'unica diffe­renza, in verità assai modesta, ma degna di segnalazione. I giovani che considerano la famiglia «molto» importante sono un po' meno numerosi nelle regioni meridionali e nelle isole (78,4% contro 1 '87,5% delle regioni nord-occiden­tali) , un piccolo segnale che indica che il «valore» della fa­miglia non ha nulla da spartire con il «familismo» che la let­teratura ci ha insegnato a connettere con la cultura meri­dionale.

Dopo la famiglia, la «cosa» che conta di più nella vita, anch'essa con un alto grado di stabilità, è il lavoro. I gio­vani per i quali il lavoro c�nta poco o nulla solo solo il 3 ,5% del nostro campione. E un po' più importante per i ragazzi che non per le ragazze, per i meno giovani rispetto ai giovanissimi, per i giovani di status elevato che non per i giovani di status inferiore, per i giovani che vivono al Nord che non per quelli che vivono al Sud, ma si tratta in ogni caso di differenze modeste. Lo stesso vale per l'affetto e l'amicizia. Non vi è nessun sottogruppo nella popolazione giovanile per il quale la scala delle cose che contano nella

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vita non veda ai primi tre posti: famiglia, lavoro, affetto e amicizia. Un elevato consenso vi è anche tra i giovani in merito all'importanza da assegnare al divertimento e al tempo libero. Qualche differenza, comunque, incomincia qui ad apparire: i maschi sono più «lucidi» delle femmine, i giovanissimi dei meno giovani, i più privilegiati dei meno privilegiati, i ragazzi/e del Nord danno più peso al diverti­mento dei ragazzi/e del Sud. Sulle altre «cose» il grado di consenso è minore: per i ragazzi lo sport è più importante dello studio e degli interessi culturali, mentre per le ragazze prima dello sport vengono lo studio e gli interessi culturali, nonché l'impegno sociale. Lo studio e gli interessi culturali sono molto meno importanti per i ragazzi/e di classe infe­riore che non per i loro coetanei di classe elevata. L'impor­tanza attribuita ad un determinato «valore» dipende anche, in parte, dalla possibilità di accedervi. Non è un caso che l 'importanza delle singole «cose» che abbiamo elencato sia in genere maggiore per i ragazzi/e che possono facilmente accedervi in ragione · della loro origine sociale che non per coloro che invece provengono da famiglie con un bagaglio socio-culturale più modesto e che quindi devono superare maggiori difficoltà. Se è difficile raggiungere un obiettivo, questo perde, almeno in parte, la sua capacità di attrazione. Lo stesso vale per i ragazzi/e delle regioni meridionali per i quali le «cose» elencate sono socialmente più distanti e quindi anche relativamente meno importanti. Nel com­plesso, tuttavia, si può tranquillamente dire che la gerarchia delle cose che contano nella vita è sostanzialmente la stessa per tutti i giovani che vivono in Italia a qualsiasi sesso, classe o regione appartengano. Vi è, in altri termini, un'in­tegrazione abbastanza forte nella valutazione delle cose che contano.

2. Il grado di soddisfazione

Se le cose che contano segnalano a quale sfera dell'esi­stenza viene attribuito maggiore o minor valore, il grado di soddisfazione indica la misura in cui un individuo ritiene di aver raggiunto, nelle varie sfere, i «valori» ai quali attribui­sce importanza. Abbiamo inoltre chiesto ai giovani del no-

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TAB. IV. 3. Il grado di soddisfazione nei confronti di alcuni aspetti della vita e della vi· ta nel complesso

Molto o Poco o Diff. 3-4 abbastanza per niente

1983 1987 1983 1987

I rapporti familiari 9 1 , 3 93,2 7,9 6,7 + 1,2 La salute 90,9 92,5 8,9 7,3 + 1 ,6 Le amicizie che ho 89,8 91,0 9,5 8,5 + 1 ,0 I rapporti coi coetanei 88,2 90,8 1 1 ,3 8,7 + 2,6 La casa in cui vivo 85,8 88,1 13,9 1 1 ,8 + 2,1 I l mio tenore di vita 82,4 82,7 17,0 16,9 + 0,1 L'istruzione che ho ri-

cevuto 82,9 82,6 16,9 16,6 + 0,3 Il luogo in cui vivo 78,7 78,5 2 1,2 2 1,3 - 0,1 Il lavoro che faccio (so-

lo lavora tori) 75,3 74,0 21 ,5 2 1 ,2 + 0,3 Il modo di passare il

tempo libero 73,6 72, 1 25,9 27,6 - 1,7 I rapporti con gli inse-

gnanti (solo studenti) 69,5 68,8 27,5 30, 1 - 2,6 Come si vive oggi in

Italia 40,9 52,7 57,6 45,9 + 1 1 ,7 La vita in generale 73,4 78,8 25,6 20,9 + 4,7

stro campione in quale misura, nel complesso, si ritenessero soddisfatti della vita attualmente condotta. Riportiamo i dati nella tabella IV.3 .

Come la gerarchia delle cose che contano nella vita, così anche il grado di soddisfazione presenta nel com­plesso una notevole stabilità. Gli spostamenti tra i dati del campione 1 983 e i dati del campione 1987 sono di entità modesta. Cresce di un poco (il 2,6%) l'insoddisfazione de­gli stud�nti nei confronti del loro rapporto con gli inse­gnanti. E interessante notare che non cresce, invece, l'in­soddisfazione per l'istruzione ricevuta: le difficoltà nascono quindi nella qualità del rapporto studente-docente, piutto­sto che nel contenuto del rapporto stesso. In ogni caso, il fatto che quasi un terzo degli studenti sia insoddisfatto del rapporto con gli insegnanti indica la presenza di un disagio abbastanza diffuso nella sfera della scuola, soprattutto nel quadro di livelli di soddisfazione stabili o crescenti nei con­fronti degli altri aspetti dell'esistenza. Cresce in particolare 10 mtsura assai sensibile il grado di soddisfazione verso le

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condizioni generali di vita in Italia che si riflette anche sul grado di soddisfazione nei confronti delle proprie condi­zioni di vita. Questo rafforzamento dell'ottimismo di fon­do emerge anche, in modo ancor più netto dai dati della ricerca pane! e questo vuoi dire che non è subentrata sem­plicemente una «nuova» generazione più ottimista, ma che una generale corrente di ottimismo ha attraversato i gio­vani convincendo ad una visione più graficante della vita anche molti che qualche anno fa sembravano inclini ad una visione più pessimistica. Anche qui vale la pena riportare i dati analiticamente (cfr. tab. IV.4) ricordando che nella prima colonna è riportata la percentuale di coloro che indi­cano nel 1987 lo stesso grado di soddisfazione del 1983, mentre la seconda e la terza colonna indicano coloro che oggi sono rispettivamente più o meno soddisfatti che non al momento della prima intervista. Nell'ultima colonna, in­fine, sono calcolate le diffenze tra la seconda e la terza co­lonna: una differenza positiva segnala che sono di più co­loro che sono ora più soddisfatti, una differenza negativa segnala che sono di più coloro che sono meno soddisfatti che non nel 1983 . Le differenze negative di una certa en­tità riguardano l'istruzione ricevuta e i rapporti con gli in­segnanti: nell'intervallo tra le due interviste i rapporti nella sfera scolastica si sono ulteriormente logorati (almeno nella

TAB. IV.4. Stabilità e cambiamenti nei livelli di soddisfazione

Come nel Più del Meno del Diff.

1983 1 983 1983

Come si vive oggi in Italia 43,7 39,7 16,6 + 23,1 La vita in generale 52,3 28,8 18,9 + 9,9 I rapporti coi coetanei 49,9 28,7 2 1 ,4 + 7,3 I lavori che faccio (la v.) 45,6 30,4 24,0 + 6,4 Il luogo in cui vivo 44, 1 29,4 26,5 + 2,9 Il mio tenore di vita 53,0 24,8 22,2 + 2,6 Il modo di passare il tempo

libero 45,0 28,3 26,7 + 1 ,6 I rapporti familiari 52,6 23,9 23,5 + 0,4 La casa in cui vivo 54,2 22,7 23,1 - 0,4 La salute 5 1 ,2 22,3 26,5 - 4,2 L'istruzione ricevuta 50,8 18,8 30,4 - 1 1 ,6 I rapporti con gli inse·

gnanti 37,8 23,5 38,7 - 15,2

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percezione che di essi hanno i soggetti intervistati) . Per gli altri aspetti, invece, il numero dei «soddisfatti» risulta cre­scente, soprattutto quasi un quarto del nostro campione (il 23, l %) ha oggi una visione più ottimistica delle condizioni di vita nel Paese di quanto non aveva indicato nel 1983.

I giovani italiani risultano quindi nel complesso soddi­sfatti della loro vita. Peraltro, questo risultato è del tutto conforme a tutte le ricerche analoghe condotte in varie parti del mondo. In altre parole, non ci si deve mettere il cuore in pace se la gente si dichiara soddisfatta della vita che fa. Gli esseri umani esitano di fronte ad una esplicita dichiarazione di insoddisfazione poiché finirebbe per essere lesiva del senso di autostima, dell'identità stessa e dell'inte­grità della persona. È difficile dire a quale soglia il grado di insoddisfazione diventa un «problema sociale», dove inco­mincia ad incrinare l'integrazione sociale, il senso di appar­tenenza alla comunità, dove diventa una minaccia per l'or­dine sociale. Ad esempio, il fatto che uno studente su tre lamenti come insoddisfacente il rapporto con gli insegnanti può essere segnalato come indicatore di una situazione «pa­tologica» anche se la maggioranza degli studenti (due su tre) mostrano invece soddisfazione. Il giudizio di insoddisfa­zione è infatti sempre un giudizio relativo che riguarda la percezione di un divario tra livello dei desideri e delle aspi­razioni e realtà, è la dichiarazione di un senso di privazione rispetto ad uno standard che si reputa, appunto, soddisfa­cente. Gli effetti sociali della presenza di insoddisfazione non sono però scontati. L'insoddisfazione può trasformarsi in un potenziale di lotta e di conflitto, laddove fa scattare la molla dell'azione collettiva, può motivare all'iniziativa individuale, laddove si scorgano mezzi disponibili per ri­durre il divario tra desideri e realtà, ma può anche espri­mersi in forme depressive individuali, laddove non si i!!_­travvedano spazi per l'azione individuale e/o collettiva. E significativo comunque che tra le due rilevazioni il livello generale di soddifazione sia tendenzialmente crescente: l'a­rea di scontento e di disagio giovanile si è quindi ridotta, ma non è certo scomparsa. I dati a nostra disposizione ci consentono di localizzare questa area di disagio analizzando in base ai consueti indicatori come varia il tasso di insoddi­sfazione.

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La prima significativa differenza nella distribuzione dei livelli di insoddisfazione è tra maschi e femmine: in tutte le aree che abbiamo esplorato (meno quella che riguarda i rap­porti con gli insegnanti) le giovani sono più insoddisfatte dei giovani. In particolare, sono consistentemente più insoddi­sfatte del modo con cui utilizzano il loro tempo libero, del luogo in cui vivono, delle amicizie che frequentano e della casa in cui abitano. La percezione del divario tra desideri e realtà è quindi più forte per le ragazze che per i ragazzi.

Differenze di maggiore ampiezza che non quelle tra ma­schi e femmine si rilevano a seconda dello status socio-cultu­rale della famiglia di origine. Anche qui vi sono solo due aspetti per i quali i ragazzi/e di status inferiore sono più soddi­sfatti dei loro coetanei di status più elevato: i rapporti fami­gliari e i rapporti con gli insegnanti. Per questi due aspetti i ra­gazzi/e di status elevato hanno probabilmente livelli di aspira­zione anche assai più elevati e quindi è più facile che venga percepito un divario con la realtà. Per tutti gli altri aspetti, in­vece, l'insoddisfazione è assai più diffusa negli strati inferiori, soprattutto per quanto riguarda in generale il modo in cui si vive oggi in Italia, il proprio tenore di vita, il lavoro che si fa, ma anche i rapporti con gli altri coetanei. Il dato che il grado di insoddisfazione sia inversamente correlato al livello delle opportunità non è certo «nuovo», ma forse non è banale sotto­lineare che le disuguaglianze sociali producono sempre sensi­bili effetti soggettivi sul grado in cui si è meno soddisfatti della propria esistenza.

Oltre alle differenze tra i sessi e le «classi», permangono tra i giovani italiani forti differenze a seconda dell'area geo­grafica di residenza: su tutti gli indicatori da noi utilizzati il li­vello di insoddisfazione dei giovani che vivono al Sud e nelle isole è sensibilmente più elevato rispetto ai giovani che vi­vono nelle regioni del Nord. I giovani meridionali sono molto più insoddisfatti in particolare di come si vive oggi nel paese, di come utilizzano il loro tempo libero, del luogo in cui vivono e del loro tenore di vita. Il Mezzogiorno risulta quindi anche dai nostri dati come un'area «.depressa», non solo nel tradizio­nale significato economico del termine, ma nel senso di un più elevato livello di insoddisfazione dei giovani che vi vivono.

I fattori di insoddisfazione individuati agiscono evidente­meri te in modo cumulativo. Abbiamo cosl i minimi livelli di

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insoddisfazione per i giovani maschi di status socio-cultu­rale elevato che vivono nelle regioni settentrionali, mentre i massimi livelli di insoddisfazione si riscontrano tra i gio­vani di status basso che vivono nel Mezzogiorno, in parti­colare se si tratta di ragazze.

Come abbiamo avuto modo di accennare nel precedente capitolo, il grado di insoddisfazione è, inoltre, significativa­mente connesso ad un atteggiamento fatalistico nei con­fronti del proprio futuro, nel senso che i giovani che pensano che il futuro è governato dal destino e dalla fortuna senza che la volontà individuale abbia possibilità di controllo, ten­dono anche ad essere coloro che sono più insoddisfatti della vita che conducono. Anche in questo caso è forte il legame con l'area di residenza: «fatalisti» e «insoddisfatti» tendono ad essere assai più numerosi nelle regioni meridionali e nelle isole che non nel resto del paese.

3. Le cose che contano nel lavoro

Una dimensione importante degli orientamenti di va­lore diffusi tra i giovani emerge prendendo in considera­zione quali sono gli aspetti del lavoro che vengono conside­rati come più importanti. Come è noto, negli ultimi anni si è discusso molto sul tema della «centralità» del lavoro come luogo di formazione dell'indentità. I dati di un'indagine campionaria non possono certo dare una risposta conclusiva agli interrogativi posti da questo dibattito. Abbiamo visto comunque come i giovani del nostro campione collochino il lavoro, subito dopo la famiglia, come la «cosa>> che conta di più nella vita. Il significato, tuttavia, che viene attribuito al lavoro varia considerevolmente e varia anche, sia pure in misura contenuta, rispetto al 1983, e questo segnala che siamo in una fase di transizione verso un modello culturale nel quale il lavoro assume una centralità e una gamma di si­gnificati diversi dal modello che ha dominato nella nostra cultura per molte generazioni. Nel nuovo modello culturale le qualità del «buon» lavoro non sono più tanto quelle le­gate alle gerarchie della ricchezza, del prestigio e del po­tere, cioè alle mete che il lavoro consente strumentalmente di raggiungere «fuori» del lavoro e neppure all'orgoglio pro-

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fessionale del «lavoro ben fatto» (il vebleniano instinct of workmanship), quanto piuttosto alle opportunità che il lavoro fornisce di imparare cose nuove e di esprimere le proprie ca­pacità, all'interesse che esso è in grado di stimolare in chi lo compie e alle possibilità di stabilire con gli altri dei buoni rapporti di comunicazione. Confrontando tra loro i dati delle due ricerche si nota immediatamente che gli aspetti legati al nuovo modello culturale tendono a rafforzarsi: ad esempio, sono di più oggi rispetto a quattro anni fa i giovani che riten­gono più importante nel lavoro la possibilità di imparare cose nuove e di esprimere le proprie capacità che non la sicurezza del posto. Ciò non vuol dire naturalmente che reddito, sicu­rezza e opportunità di carriera non contino più; il modello tradizionale sopravvive accanto al nuovo modello, in una po­sizione, però, che non è più così dominante.

La convivenza nella nostra società di due modelli cultu­rali che valorizzano aspetti divesi dell'esperienza lavorativa è

TAB. IV.5 . Le cose che contano ne/ lavoro

Lo stipendio, il reddito La possibilità di imparare cose

nuove e di esprimere le proprie capacità

La sicurezza e la stabilità del po­sto

L'interesse per il tipo di lavoro I buoni rapporti con i compagni

di lavoro La possibilità di migliorare (red­

dito e tipo di lavoro) Le condizioni di lavoro (ambien­

te di lavoro, tempi di tra­sporto)

L'autonomia, la· possibilità di de­cidere

Buoni rapporti coi superiori, i capi

L'orario di lavoro

80

% di giovani che ritengono i seguenti aspetti del lavoro come più importanti

1983 1987

38, 1

26,9

30,2 19,2

1 7,5

2 1 ,2

16,5

14,0

8,0 2,4

4.000

38,4

32,2

28,8 26,5

20, 1

18,0

13,7

1 1 ,2

7,3 2,7

2.000

pane!

1983 1987

34,5

32,3

29,6 17 ,4

19,4

22,8

15,6

12,7

6,5 2,1

718

40,7

32,7

25,2 22,3

15,6

20,3

14,8

18,5

7,2 2,4

718

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confermata ulteriormente dai dati della ricerca pane!. Se ordiniamo i vari aspetti a seconda della loro stabilità negli anni, vediamo che l'orientamento strumentale che vede nel guadagno l'aspetto più importante del lavoro si rivela come il più stabile, subito dopo, però, viene la possibilità di imparare cose nuove e di esprimere le proprie capacità e l'interesse intrinseco per il tipo di lavoro svolto (per i tre aspetti indicati la percentuale di intervistati che man­tengono la stessa risposta tra le due rilevazipni e rispetti­vamente del 55,2, del 42,7 e del 40,0%). E interessante notare come alcuni aspetti sia del modello tradizionale sia del nuovo modello siano correlati al livello socio-culturale della famiglia di origine, mentre altri lo sono assai meno o non lo sono affatto. Gli aspetti remunerativi del lavoro appaiono, ad esempio, assai più importanti per i giovani di origine sociale inferiore che non per i loro coetanei di classe più elevata e lo stesso vale per l'opportunità di avere buoni rapporti sia con i compagni di lavoro che con i superiori. Al contrario, l'interesse intrinseco per il tipo di lavoro svolto e l'autonomia e la possibilità di prendere decisioni sono aspetti assai più apprezzati al vertice che non alla base della scala sociale. Le opportunità di car­riera, la sicurezza del posto e la possibilità di accrescere la propria professionalità e di esprimere le proprie capacità sono aspetti che non variano sensibilmente in relazione alla dimensione verticale della stratificazione sociale. In altre parole, i bisogni di sicurezza, di affermazione e di crescita professionale e personale sono in linea di massima uniformemente distribuiti nella popolazione giovanile a prescindere dalla collocazione sociale dei soggetti intervi­stati. Se possiamo quindi dire che il nuovo modello cultu­rale è senz' altro il portato di livelli crescenti di cultura, nel senso che una popolazione giovanile più istruita e che proviene da un ambiente famigliare più colto tende a pri­vilegiare di più gli aspetti «espressivi» del lavoro rispetto agli aspetti «strumentali», è però vero che anche le classi inferiori non risultano impermeabili all'influenza del nuovo modello e che il vecchio modello in base al quale «bisogna lavorare per guadagnarsi da vivere» ha perso molto della sua capacità di motivazione e di legittima­zione del lavoro.

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È da segnalare, inoltre, che la componente femminile della popolazione giovanile risulta propendere per il nuovo modello in misura più accentuata che non la componente maschile: le ragazze danno più peso dei ragazzi agli aspetti espressivi del lavoro che non agli aspetti retributivi e stru­mentali, come se l'affacciarsi delle giovani donne al mondo del lavoro portasse con sé anche un nuovo tipo di domande e di bisogni.

4. Materialisti e post-materialisti

Il dibattito sugli orientamenti di valore nelle società avanzate, e in particolare della popolazione giovanile, è stato negli ultimi anni fortemente influenzato dall'impor­tante lavoro di Inglehart La rivoluzione silenziosa. Inglehart vede tendenzialmente e gradualmente affermarsi un orien­tamento a quelli che egli chiama «valori post-materialistici» e un relativo declino dei «valori materialistici», in altre pa­role, i valori della crescita personale, della libertà indivi­duale e della democrazia si affermerebbero a scapito dei va­lori dell'ordine, della sicurezza economica e della ricchezza, man mano che si passa verso società in cui il benessere ap­pare come un dato diffuso e acquisito. Abbiamo appena vi­sto come i risultati che emergono dall'analisi delle cose che contano nel lavoro non siano indifferenti alla discussione di questa tematica.

Purtroppo, per un errore tecnico commesso nella for­mulazione della domanda, gli indicatori ricavati dalle ricer­che di lnglehart che abbiamo incluso nel questionario non ci consentono un confronto puntuale dei nostri dati con quelli della sua ricerca. Rimane purtuttavia possibile rica­vare una serie di interessanti indicazioni sugli orientamenti di valore dalle risposte alla seguente domanda: Se dovesse scegliere tra le seguenti cose, quali sarebbero le due più im­portanti per Lei?

tiche

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mantenere l'ordine nella nazione dare alla gente maggiore potere nelle decisioni poli-

combattere l'aumento dei prezzi proteggere la libertà di parola

Page 85: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

- combattere la disoccupazione. Riducendo, senza dubbio arbitrariamente, queste cin­

que dimensioni a quattro (cioè, mettendo insieme nel va­lore della «sicurezza economica» sia la lotta all'inflazione che la lotta alla disoccupazione), ed incrociando le risposte relative alle modalità collocate rispettivamente al primo e secondo posto, si ottiene la seguente tipologia: l . i liberai­democratici (cioè, coloro che combinano difesa della libertà di parola e maggior potere alla gente e che si avvicinano di più alla polarità post-materialistica della tipologia di lngle­hart) , essi sono soltanto il 2, 7% del nostro campione; 2. i liberai-materialisti (difesa della libertà di parola, insieme a lotta all'inflazione o alla disoccupazione), il 26,6% del cam­pione; 3 . i democratico-materialisti (maggior potere alla gente, lotta all'inflazione e disoccupazione), il 14,2% del campione; 4. i materialisti (lotta all'inflazione e alla disoc­cupazione) il 20,8%; 5 . i materialisti-autoritari (lotta all'in­flazione o alla disoccupazione e mantenimento dell'ordine) , il 35,2% .

Questa tipologia è senz' altro assai discutibile (e non sol­tanto per la non corrispondenza con i tipi identificati da lnglehart) . Tuttavia, essa mette ben in luce come tra i gio­vani italiani di questa generazione si possa parlare di un forte bisogno di ordine e sicurezza economica e come i co­siddetti valori post-materialistici stentino ad affermarsi come dominanti. Le correlazioni con il livello socio-cultu­rale della famiglia e con l'area geografica di residenza, vanno peraltro nella direzione attesa, rafforzando cioè l'i­potesi che il fatto di vivere in un contesto ambientale più «avanzato» e in un ambiente famigliare più privilegiato fa­voriscono l'emergere di valori ideologico-politici più spo­stati verso il polo della libertà e della democrazia. I dati delle tabelle IV.6 e IV. 7 illustrano questa relazione.

Le relazioni individuate non sono molto marcate: que­ste componenti valoriali sono distribuite in tutti gli strati sociali e in tutte le aree geografiche, tuttavia, lo sono in modo selettivo e diseguale, così come, probabilmente, sono presenti all'interno di ciascun individuo con intensità variabili. Si nota, inoltre, che le componenti post-materiali­stiche sono più forti quando si accompagnano ad un atteg­giamento più partecipativo verso l'impegno politico e so-

8 1

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TAli. IV.6. Orientamenti di valore ideologico-politici per livello socio-culturale della famiglia

Media Alto Medio Medio Basso alto basso

Liberai-democratici 2,7 4,7 2,8 2,0 1 ,8 Liberai-materialisti 26,6 36,6 29,3 23,5 1 7 , 1 Democratico-materialisti 14,2 17,6 14,5 1 3 , 1 12,4 Materialisti 20,8 13,5 17,8 24,5 28,6 Materialisti-autori t ari 35,2 27,6 35,6 36,9 40, 1

100 100 100 100

TAli. IV.7. Orientamenti di valore ideologico-politici per area di residenza

Media Nord- Nord- Centro Sud Isole Ovest Est

Liberai-democratici 2 ,7 3,0 4,1 4,0 1 ,2 1 ,8 Liberai-materialisti 26,6 30,7 30,9 29,8 19,4 17,6 Democratico-materialisti 14,2 1 5 ,0 13 ,0 12,4 14,1 14,5 Materialisti 20,8 22,0 14,8 18,9 18,9 30,3 Materialisti-autori t ari 35,7 28,9 37,1 34,3 45,8 34,8

100 100 100 100 100 100

cial e, sono pi ù fo rti t ra gli st ud ent i e i lavo rato ri p iuttosto ch e t ra colo ro ch e non studiano e non lavo rano, m ent re, al cont ra rio, l e compon enti mat erialistich e e a uto rita ri e si raf­forzano in combinazion e con qu ei t ratti c ult urali e di p erso­nalità ch e t endono al fatalismo e al s enso di impot enza n el gov erna re il p rop rio f utu ro.

5. Fede e pratica religiosa

P er i giovani italiani la f ed e rel ig iosa occupa una posi­zion e impo rtant e. P er esplo ra re qu esto asp etto abbiamo a disposizion e t re indicato ri: l' impo rtanza att rib uita all'imp e­gno religioso, l 'importanza att rib uita alla religion e in g en e­ral e n ella p rop ria vita e la f req uenza alla m essa . I t re indi­catori, conf rontati con i dati d el 1983, ci danno un q uadro compl essivo d ella r eligiosità d ei giovani e d ella s ua stabilità n el t empo.

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TAB. IV.8. Importanza dell'impegno religioso e della religione in generale (1 983-1987)

Impegno . religioso

1983 1987

Molto importante 12,2 12,4 Abbastanza impor-

tante 36, 1 38,5 Poco importante 32,7 3 3 , 1 Non importante 18,4 15,7 Non so 0,6 0,4

100 100

TAB. IV.9. Frequenza alla messa

Tutte le settimane o quasi 2-3 volte al mese Circa l volta al mese 1-2 volte in 3 mesi Mai in 3 mesi

Moltissimo

Molto Abbastanza Poco Per niente Non so

1983

24,4 12,0 10,4 16,3 36,3

100

Religione

1983

7,3

19,6 37,1 24,0 1 1 ,5

0,5

100

1987

8,4

22,4 38, 1 22,7

8 , 1 0,4

100

1987

24,4 12,3

8,6 17 ,5 37,4

100

Incrociati tra loro e ridotti a dimensioni dicotomiche questi indicatori producono una tipologia che, confrontata coi dati del 1983 , fornisce di nuovo un quadro di grande stabilità. Le uniche differenze da rilevare si riferiscono al­l'aumento di coloro che attribuiscono importanza alla reli­gione pur non frequentando le funzioni religiose, si rafforza quindi una forma di religiosità individuale non istituzio­nale, il calo ulteriore di coloro, già assai pochi, che prati­cano una forma puramente rituale o formale di religiosità, e la riduzione, contenuta ma non trascurabile, dell'area «se­colarizza t a».

Questi modi di vivere la dimensione religiosa variano in misura abbastanza consistente a seconda del sesso (con una preponderanza di giovani donne religiose e praticanti e di giovani maschi, invece, non religiosi e non praticanti) e del­l'età. Passando da 15 a 24 anni si nota, soprattutto, una

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T AB. IV . 10. Tipologia di forme di religiosi là

Religioni e praticanti Religiosi non praticanti Praticanti non religiosi Non religiosi e non praticanti

1983

42 23

4 3 1

100

1987

42 (36,4)� 27 (32,5)

3 ( 2,3) 28 (28,8)

100

* Nelle elaborazioni che seguono abbiamo adottato una versione della variabi­le che fornisce una distribuzione leggermente modificata (si vedano i dati tra pa­rentesi). Mentre i dati indicati non tra parentesi sono perfettamente confrontabili con quelli del 1983.

TAB. IV. 1 L Tipologia di forme di religiosità e fiducia verso i sacerdoti

Religiosi Religiosi Praticanti Non pratic. praticanti non prat. non relig. non relig.

Fiducia nei sacerdoti:

per niente 3,2 1 1 ,5 13,7 39,0 poca 16, 1 32,3 47,9 46,2 abbastanza 58,2 44,4 3 1,5 12,2 molta 20,9 9,6 5,5 1 ,2

100 100 100 100

forte riduzione della frequenza alle celebrazioni domenicali e un corrispondente aumento di religiosità individuale non mediata da pratiche di appartenenza all' organizzazione della Chiesa.

È interessante vedere come quest'ultimo gruppo (quello dei religiosi non praticanti) manifesta con una notevole fre­quenza un atteggiamento di scarsa fiducia nei confronti dei ministri del culto, una dimensione anch'essa sensibilmente connessa all'età. Tuttavia, la scarsa fiducia verso i sacerdoti è presente anche in una minoranza non trascurabile di reli­giosi-praticanti. E, al polo opposto, vi è un piccolo gruppo di atei/agnostici/non praticanti che purtuttavia dimostra fi­ducia nei rappresentanti del clero . Ciò dimostra che le due dimensioni dell'atteggiàmento verso la religione e dell'at­teggiamento verso la Chiesa, pur evidentemente connesse, presentano tuttavia un certo grado di indipendenza.

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Page 89: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

TAn. IV. 12. Tipologia delle forme di religiosùà per area geografica

Nord Nord Centro Sud Isole ovest est

Religiosi/praticanti 43,0 34,3 29,8 32,7 28,5 Religiosi/non praticanti 25,6 30,2 34,6 40,8 40,9 Praticanti/non religiosi 3,3 2,3 1,5 1 ,2 2 , 1 Non religiosi/non praticanti 28, 1 33,2 34, 1 25,3 28,5

100 100 100 100

I nostri dati contermano la tendenza alla forte ripresa dell'attivismo giovanile cattolico nelle regioni nord-occiden­tali e soprattutto in Lombardia, come se la tendenza alla se­colarizzazione si fosse arrestata, ed anzi invertita, proprio nelle aree settentrionali, ribaltando, almeno per l'attuale generazione di giovani, l'immagine di un Nord-Est (Trive­neto) cattolico e di un Nord-Ovest (triangolo industriale) laico.

Dai dati or ora riportati sembra potersi leggere la pre­senza di processi diversi per quanto attiene alla religiosità delle nuove generazioni: nelle regioni nord-occidentali sembra rilevarsi un fenomeno che potremmo chiamare di «de-secolarizzazione», le regioni nord-orientali di tradizio­nale cultura cattolica sembrano avvicinarsi a quelle del Centro dove la cultura laica ha maggiori radici, mentre tra i giovani meridionali sembra affermarsi una forma di religiosità più individuale e più indipendente dall'organiz­zazione della Chiesa. Queste, evidentemente, sono sol­tanto ipotesi, suggerite dai dati, che avrebbero bisogno, per essere confermate, di un materiale empirico assai più ricco e analitico e, soprattutto, esteso su archi temporali più ampi. Vi è tuttavia un'altra indicazione che porta ul­teriore materiale di supporto a queste ipotesi, e cioè I' esi­stenza di un legame tra il livello socio-culturale della fami­glia e le forme di religiosità, legame che denota probabil­mente un declino delle forme tradizionali di religiosità «popolare» tra i giovani delle classi basse e l'emergere di una nuova religiosità tra i giovani delle classi cultural­mente più privilegiate. Si vedano, in proposito, i dati del­la tabella IV . 13 .

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TAB. IV. 13 . Tipologia delle forme di religiosità per livello socio-culturale della fami­glia

Alto Medio Medio Basso alto basso

Religiosi/praticanti 4 1 ,5 38,1 36,7 26,3 Religiosi/non praticanti 25, 1 3 1 ,6 33,2 43 , 1 Praticanti/non religiosi 2,9 1 ,8 2,8 1 ,0 Non religiosi/non praticanti 30,5 28,5 27,3 29,6

1 00 100 100 100

Dare importanza alla religione ha anche riflessi su altri piani dell'esistenza. I giovani religiosi (soprattutto se all'im­portanza soggettiva della religione associano anche la pra­tica) tendono ad essere un po' più ottimisti nei confronti del futuro e più soddisfatti della loro esistenza e, inoltre, hanno mediamente più fiducia dei loro coetanei nelle istitu­zioni fondamentali della società. Le relazioni tra queste va­riabili non sono statisticamente molto forti e tuttavia indi­cano come l'appartenenza religiosa si associ ad un più ele­vato livello di integrazione sociale.

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V. La partecipazione politica e sociale

1 . Le nuove forme della partecipazione politica

Nel commentare i risultati dell'indagine lARD-gio­vani 1983, Ricolfi indicava un cambiamento nel significato che i giovani attribuiscono alla politica.

La politica - scriveva 1 - , anziché come dimensione perva­siva, che informa di sé tutte le attività e le relazioni umane, è vissuta oggi come dimensione normale dell'esistenza, come uno fra i modi possibili di allocazione del tempo. Lontanissimi dall'i­dea che il privato, il personale, il quotidiano «siano» politica, i giovani sembrano seinmai inclinare all'idea opposta, che sia la politica ad essere soltanto una dimensione della vita quotidiana, una frazione tra le molte tra cui gli individui possono dividere il loro tempo e i loro pensieri. Un a frazione che può essere grande per alcuni e meno grande, o inesistente, per altri, ma che per po­chissimi è qualcosa attraverso cui ci si definisce, o si può trovare un senso alla propria esistenza.

I risultati dell' indagine 1987 confermano e qualificano questa interpretazione. Ad un primo esame dei dati sembra evidente che il distacco dei giovani dall'impegno politico e dalla militanza in un'organizzazione politica si sia ulterior­mente accentuato. Il numero di coloro che si ritengono «po­liticamente impegnati» si è ridotto, si è ridotto anche il nu­mero di coloro che, pur non impegnandosi personalmente, dice di tenersi informato di ciò che succede in politica, mentre aumentano coloro che ritengono sia meglio delegare la politica a persone competenti, oppure che manifestano

1 L. Ricolti, Associazionismo e partecipazione politica, in Giovani ogp,i, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 85.

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TA!l. V . l . Atteggiamento verso la politica

Mi considero politicamente impegnato Mi tengo al corrente della politica senza parte­

ci parvi personalmente Penso che si debba lasciare la politica a persone

che hanno più competenza di me La politica mi disgusta Non risponde

1983 1987

3,2

44,2

40,0 12,0

0,6

2,3

39,3

42, 1 15,8

0,6

100 100

un netto rifiuto di tutto ciò che ha a che fare con la poli­tica.

Il disinteresse per e il rifiuto della politica sono partico­larmente accentuati tra i giovanissimi ( 15 - 17 anni) , dove quasi 7 giovani su 10 mostrano la loro estraneità nei con­fronti della politica e tra i giovani che provengono dagli strati inferiori. Considerando il livello culturale della fami­glia di origine, il rifiuto della politica passa dall' 1 1 ,9% al 19,5% e il disinteresse per la politica dal 3 1 % al 49% pas­sando dal livello più altro al livello più basso.

Il rapporto dei giovani con la politica non è comunque stabile, gli atteggiamenti ora illustrati cambiano frequente­mente nel corso degli anni di vita giovanili . I risultati della ricerca pane! sono molto indicativi per mettere in luce la notevole «labilità» di questi atteggiamenti. Ad esempio, tra i giovani che si consideravano politicamente impegnati nel 1983 e che abbiamo reintervistato nell' '87, meno di uno su tre (il 28,6%) si considerava ancora impegnato a qua:si quattro anni di distanza. Peraltro, molti giovani che non si interessavano di politica, o addirittura che la rifiutavano con disprezzo, mostrano ora livelli di interesse e coinvolgi­mento molto maggiori. I dati della tabella V.2 mostrano chiaramente come l 'interesse e l'impegno per la politica cre­scano con gli anni e che solo poco più della metà del cam­pione ha mantenuto nelle due interviste la stessa modalità di risposta.

Forse si può avanzare l'ipotesi che, rispetto agli anni 1968-77, oggi l 'interesse e l'impegno per la politica si mani­festino, quando si manifestano, più tardi. Tuttavia questi

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TAR. V.2. Dinamica degli atteggiamenti verso la politica (dati panel 1983-1 987)

1983 (*) 2 3 4 5 N

l . Mi considero politica· mente impegnato 28,6 3,3 2,3 2,3 12,5 24

2. Mi tengo al corrente, ma non partecipo 64,3 7 1 , 3 38,6 40,2 50,0 302

3 . Bisogna lasciare la poli-tica a persone più com-perenti 18,8 46,4 32,2 12,5 228

4. La politica mi disgusta 7 ,1 6,3 12,7 23,0 25,0 81 5 . Non risponde 0,3 2 ,3 3

100 100 100 100 100 14 303 306 87 8 718

(*) l = <<mi considero politicamente impegnato»; 2 = <<mi tengo al corrente ma non partecipo>>; 3 = <<bisogna lasciare la politica a persone più competenti»; 4 = <Ja poli-tica mi disgusta»; 5 = <<non risponde».

dati possono dare un'impressione eccessivamente riduttiva dell'effettivo grado di impegno e di interesse politici dei giovani di questa generazione. Se infatti esaminiamo non tanto le dichiarazioni di impegno o disimpegno in generale, ma le dichiarazioni di partecipazione in un periodo deter­minato (gli ultimi 12 mesi prima dell'intervista) ad eventi come manifestazioni, raccolte di firme, assemblee, dibattiti su temi specifici, ecc. , emerge un quadro assai diverso dei comportamenti «politici» dei giovani d'oggi. Su molti temi (cfr. tab. V.3) il livello di partecipazione rilevato nel 1987 risulta assai più intenso che non nel 1983.

Sui temi della pace e del disarmo, della scuola e della difesa dell'ambiente i giovani dell"87 si dimostrano più at­tivi di quelli dell' '83. E non solo, i giovanissimi (15- 1 7 anni) partecipano di più dei giovani che hanno superato i 18 anni. Vi è quindi tra i giovanissimi, soprattutto tra gli studenti, una forma di partecipazione che molti degli stessi partecipanti esitano a definire in termini di impegno o an­che di interesse per la politica. Questo dato si presta a due interpretazioni diverse, non necessariamente tra loro in­compatibili: nella partecipazione a manifestazioni può pre­valere la componente lucida di marinare per un giorno la scuola e quindi neppure gli attori stessi si sentono di defi­nire questo comportamento come politico, oppure la «poli-

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TAB. V . 3 . Partecipazione negli ultimi 12 mesi ad azioni su temi specifiCI ( 1 \ISJ-1 \1/SIJ

% di giovani che hanno partecipato

1-2 volte almeno 3 volte totale 1983 1987 1983 1987 1983 1987

Pace e disarmo 8,9 14,7 4,5 5 ,2 13,4 19,9 Problemi della scuola 9,6 15 ,7 12,4 14,7 22,0 30,4 Problemi dei lavoratori 3,7 5,8 4,2 2,8 7,9 8,6 Difesa dell'ambiente e del

territorio 3,2 7,5 1 ,7 2 ,5 4,9 10,0 Problemi delle donne 2,3 2,8 1 ,5 0,5 3,8 3,3 Problemi del quartiere-

zona 1,9 2,3 1 , 3 0,6 3,2 2,9 Organizzazione campagne

elettorali 2,2 2, 1 1 , 3 0,8 3,5 2,9

tica» viene definita come qualcosa che ha a che fare con l'organizzazione dei partiti e con il «sistema politico» e quindi il comportamento di partecipazione a manifestazioni non rientra nel campo semantico di applicazione del ter­mme.

È significativo, inoltre, che vi sia un calo della parteci­pazione, sia pure contenuto, sui temi delle donne e dei pro­blemi del quartiere, temi lasciati in eredità dai movimenti degli anni '70. In calo anche la partecipazione a campagne elettorali, ma in questo caso il riferimento ai 12 mesi prece­denti la rilevazione (privi di consultazioni elettorali) , può aver contribuito a deformare il dato.

Possiamo comunque avanzare una prima conclusione e cioè che è presente nella popolazione giovanile un' area di partecipazione su tematiche specifiche che non viene defi­nita direttamente come «politica», soprattutto se per politica si intende una forma di agire dotata di un minimo di orga­nizzazione e di continuità. Si tratta di un tipo di agire issue oriented improntato a episodicità e a discontinuità, ma che comunque non può non rappresentare per coloro che ne ven­gono coinvolti una prima forma di socializzazione politica, un accostamento, sia pure sporadico, a tematiche e a com­portamenti che toccano la sfera pubblica.

I dati della ricerca panel forniscono a questo proposito delle indicazioni assai interessanti che vanno nel senso del­l'interpretazione proposta. Nonostante il livello di parteci-

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pazione dei giovani intervistati sia nel complesso sensibil­mente aumentato tra le due rilevazioni, il numero di coloro che erano impegnati su certi temi nel 1983 e restano impe­gnati sugli ste-ssi temi nel 1987 risulta modesto. C'è quindi una notevole mobilità tra issues diverse. Tra coloro, ad esem­pio, che nel 1983 avevano partecipato a manifestazioni per la pace e il disarmo, solo uno su cinque (esattamente il 21 ,2%) ha rinnovato il proprio impegno sullo stesso tema anche nel 1987, altri sono «migrati» verso altri temi (la difesa dell'am­biente, i problemi della donna, i problemi della scuola), men­tre altri ancora (in questo caso ben il 36,6%) sono «migrati» verso l'area della non partecipazione. Anche sul tema della difesa dell'ambiente, che tra l' '83 e l' '87 ha visto triplicato il livello di partecipazione in seguito al successo delle mobilita­zioni dei movimenti ecologisti, presenta una scarsa conti­nuità di partecipazione, degli stessi soggetti lungo l'arco di tempo considerato: solo meno di uno su tre (il 3 1 ,3%) di co­loro che avevano partecipato nell"83 a manifestazioni ecolo­giste era ancora attivo sullo stesso tema nel 1987.

Possiamo quindi concludere che mentre l'impegno in politica e l'interesse per la politica risultano tra i giovani chiaramente in declino, non viene meno, ed anzi si raf­forza, un tipo di partecipazione discontinua su singole is­sues che forse potremmo chiamare pre-politica e la cui pre­senza testimonia soprattutto del fatto che è il sistema poli­tico con le sue organizzazioni partitiche ad essere diventato sempre più incapace di recepire e di incorporare il poten­ziale partecipativo delle giovani generazioni. Vedremo in seguito come questo fenomeno si rifletta sulle preferenze dei giovani per i partiti politici.

2. Le preferenze elettorali

2. 1 . Coloro che non esprimono preferenze

Prima di addentrarci nell'analisi delle preferenze eletto­rali è opportuno considerare l'area di coloro, e sono tanti, per i quali non siamo in grado di disporre del dato sulle preferenze per uno dei partiti che si contendono l'eletto­rato giovanile . Vi è infatti una quota elevata di giovani che

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non esprime nessuna preferenza partitica, scegliendo una delle seguenti modalità di risposta:

voterei scheda bianca o nulla non andrei a votare non ci ho ancora pensato non voglio rispondere

9,3% 3 ,0%

26,0% 10,4 % .

Si tratta di quasi la metà dell'intero campione intervi­stato. Rispetto al 1983 la quota di giovani che non espri­mono preferenze sembra notevolmente aumentata (si passa dal 4 1 ,2 al 48,5 %), ma ciò è senz'altro in parte dovuto al fatto che nel questionario del 1983, rispetto a quello dell"87, non era prevista la modalità di risposta «non ci ho ancora pensato» che è stata scelta in prevalenza proprio dai giovanissimi che non hanno ancora raggiunto l'età del voto. A fronte di coloro che adottano questa risposta, si riduce notevolmente la quota di coloro che; si rifiutano di rispon­dere a questa domanda (dal 29,4 an0,4%) . Stazionaria, in­vece, la quota di coloro che non andrebbero a votare o vo­terebbero scheda bianca o nulla (circa il 12%).

Se questa differenza nella formtÙazione del questionario rende più ardua la comparazione, ci permette però di ve­dere quanto sia ampia la parte di giovani che non hanno, o comunque non vogliono esprimere, preferenze per uno dei (molti) partiti esistenti. Questa quota può essere presa nel suo complesso come un indicatore di estraneità o di disaffe­zione rispetto al sistema dei partiti, infatti, chi si rifiuta di esprimere preferenze, oppure non ha sviluppato preferenze, non può che sentirsi in qualche modo estraneo all'arena sulla quale si svolge la competizione politica.

Vediamo perciò da chi è composta questa quota di gio­vani che non si sentono rappresentati all'interno del si­stema dei partiti: sono di più le ragazze (5 1 ,6%) rispetto ai ragazzi (46,5%), sono di più i giovanissimi (56,7% dei 15- 17enni) rispetto ai più maturi (48,8% dei 2 1-24enni) , sono di più quelli di classe medio-bassa (52, 7%) rispetto a quelli di classe alta (40,3%), sono di più i giovani delle re­gioni del Nord-Est (61 ,3 % nel Triveneto), rispetto a quelli del Nord-Ovest (50%) del Centro (47%) e, soprattutto, del Sud e delle isole (45%). Non si tratta perciò di un feno­meno connesso al grado di «modernità» o «arretratezza» del

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contesto sociale, anzi, caso mai è vero il contrario, e cioè che i partiti fanno meno presa sui giovani proprio nelle re­gioni più avanzate del Nord, dove forse si sono più logorati i meccanismi di trasmissione delle culture politiche di cui i partiti sono portatori.

2.2. L 'instabilità delle preferenze politiche giovanili

Una conferma del fatto che l'aumento del grado di estraneità dal sistema dei partiti è dovuto, almeno in parte, alla modificazione della formulazione della domanda del questionario ci viene dai dati della ricerca pane! dove la stessa modificazione (introdotta nel questionario del 1 987) produce un aumento dell'area nella «non preferenza» della stessa entità rilevata nel confronto tra le due indagini cam­pionarie (precisamente dal 4 1 ,9% al 49,2%). Tuttavia, questo «errore» involontario nella formulazione del questio­nario ha, una volta tanto, effetti positivi in quanto ci con­sente di condurre con maggiore dettaglio sui dati del pane! l'analisi della particolare instabilità delle preferenze partiti­che giovanili. La possibilità di disporre per gli stessi sog­getti di dati in due momenti della stessa fase giovanile del ciclo di vita ci consente così di cogliere alcuni aspetti im­portanti della dinamica della formazione delle preferenze politiche. Possiamo infatti ottenere indicazioni sui seguenti fenomeni: il grado di fedeltà al medesimo partito (calco­lando su coloro che avevano espresso nel 1983 la prefe­renza per un determinato partito quanti mantengono la stessa preferenza anche nel 1987), il grado di infedeltà al partito come tendenza a passare dalla preferenza per un partito all'area della «non preferenza» (calcolando, su co­loro che nel 1983 avevano espresso preferenza per un par­tito determinato quanti non esprimono nel 1987 preferenza per nessun partito) , il grado di infedeltà a un partito come tendenza a passare ad altri partiti (calcolando, su coloro che nel 1983 avevano espresso preferenza per un dato partito quanti preferiscono ora un partito diverso), la capacità di un partito di attrarre preferenze giovanili da altri partiti (calcolando, su coloro che nel 1987 preferiscono un dato partito, quanti nel 1983 avevano preferito un partito di-

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verso), la capacità di un partito di attirare preferenze dall'a­rea esterna al sistema dei partiti (calcolando quanti tra co­loro che nel 1987 hanno espresso preferenza per un dato partito non avevano espresso nel 1983 alcuna preferenza) .

Da questa analisi si possono ricavare le seguenti conclu­swm:

a) il grado di fedeltà al medesimo partito . Tra i giovani che nel 1983 avevano espresso la prefe­

renza per un partito solo 4 su 1 0 (il 39, 1 %) mantengono la stessa preferenza anche nel 1987 e questo dato è già un in­dicatore assai evidente della forte instabilità delle prefe­renze politiche giovanili. L'elettorato giovanile appare tipi­camente come un elettorato fluttuante le cui preferenze non sono, o non sono ancora, stabilizzate in forme di ap­partenenza. Ciò non vale tuttavia nella stessa misura per tutti i partiti: la graduatoria dei partiti a seconda del grado di fedeltà del loro elettorato giovanile vede in testa da Dc (52,3%), il Ms1 (42,9%) e il Pc1 (42,6%), in posizione in­termedia il Psm (36,4%), il Pu (27,8%) e DP (27 ,3 %), mentre i livelli più bassi di fedeltà spettano al Ps1 (25%), al PR (23 ,5%) e al PRI (22%).

b) il grado di infedeltà verso l'area della «non preferenza». La quota di giovani che nel 1983 aveva espresso prefe­

renza per un partito e che passano nel 1987 all 'area della «non preferenza» è assai elevata (il 39%) è ciò indica che il sistema dei partiti esercita una scarsa forza di tenuta dei giovani i quali in misura consistente tendono ad uscire ai margini verso un'area di indifferenza rispetto ai partiti. Non casualmente, sono i partiti estremi al sistema, sia di destra che di sinistra, che tendono a perdere preferenze che non vanno a nessun altro partito ma escono all 'esterno del­l' area di egemonia dei partiti. La graduatoria vede in testa il Ms1 (53 ,5%), DP (45 ,4%) e il Pc1 (43,4%), seguono da vicino il Ps1 (4 1 ,8%), il PR (4 1 , 1 %), mentre perdono meno i partiti di centro e cioè il Psm (36,3%), il PRI (34,2%), il Pu (33,2%) e la Dc (33%) .

c ) il grado di infedeltà verso altri partiti. La quota di giovani che tra le due rilevazioni cambiano

preferenza passando da un partito all'altro è tutto sommato ridotta, il 22% . I partiti che perdono di più a favore di al­tri partiti sono il PRI (43 ,8%), il Pu (39%), il PR (35 ,4%),

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il Ps1 (33,2%), il Psm (27,3%) e DP (27,3%), quelli che perdono di meno sono la Dc (14,6%), il Pc1 ( 14%) e il Msi (3 ,6%).

d) la capacità di attirare preferenze da altri partiti. Anche la capacità dei vari partiti di sottrarre consensi

ad altri partiti risulta assai variabile. Quattro elettori «verdi» su dieci, provengono, ad esempio, da altri partiti (il 57,7%), ma anche i radicali e i repubblicani reclutano una parte consistente dei loro elettori da «scontenti» prove­nienti da altri partiti (rispettivamente il 37,5 % e il 36,3%), seguono, nell'ordine, il Psm (33,3%), il Ms1 (3 1 ,8%), il Ps1 (2 7 ,1%), DP (20%), il Pc1 (1 7,5%), la Dc ( 15 ,8%) e il Pu ( 1 1 , 1 %).

e) la capacità di attirare consensi dall'area esterna al si­stema dei partiti.

Vi sono, potremmo dire, due tipi di «partiti di con­fine», quelli le cui preferenze vanno e vengono dall'area esterna al sistema dei partiti, e quelli, invece, che tendono a perdere piuttosto che a guadagnare attingendo a questa area. Al primo gruppo appartengono DP (metà delle prefe­renze provengono dall'esterno, cioè dall'area della non pre­ferenza) , i «verdi» (42,3%), il Ps1 (4 1 ,6%) e il PR (37,5%), al secondo gruppo appartengono il Pc1 (24,3%) e il Msi (13 ,6%) che perdono molto e guadagnano poco rispetto al­l' elettorato giovanile che sta ai confini del sistema dei par­titi. Da questo punto di vista Ms1 e Pc1 si comportano come i partiti di centro che non hanno una forte capacità di attrazione di consensi dall'esterno: Pu (33 ,3%), Dc (30, 1 %), Pu (22,7%) , Psm (0%).

Queste indicazioni vanno naturalmente prese con grande cautela. Soprattutto per i partiti minori, data la scarsa ampiezza del campione della ricerca pane!, le percen­tuali indicate sono calcolate su un numero troppo limitato di casi per poter essere considerate significative. Tuttavia, il quadro generale che emerge risulta abbastanza chiaro. Pur non potendo fare confronti con dati analoghi per la po­polazione adulta, le preferenze elettorali dei giovani ap­paiono caratterizzate da un elevato grado di instabilità: solo la Dc, il Ms1 e il PCI possono contare su un nucleo abba­stanza consistente di giovani elettori «fedeli». Gli altri par­titi, invece, devono fare i conti con giovani elettori che

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vanno e vengono, soprattutto il PRI, il PR e il Ps1 non rie­scono a stabilizzare più di un quarto dei loro consensi gio­vanili. Vi sono partiti, come abbiamo visto, che si collocano ai confini del sistema dei partiti, che cedono e ricevono consensi da coloro che nell'una o nell'altra rilevazione non hanno saputo, o non hanno voluto, esprimere preferenze per uno dei partiti del sistema. I «verdi» che rappresentano un fatto nuovo dei comportamenti elettorali degli ultimi anni, ricevono consensi provenienti da tutti i partiti (salvo, almeno nel nostro campione, dal Ms1 e dal Psm), ma anche dall'area della «non preferenza». I partiti laici di centro, in­vece, (il PRI, il Pu e anche, sia pure in misura minore, il PR e il Ps1) scambiano preferenze con altri partiti, sia in uscita che in entrata. Il quadro resta comunque quello di un elet­torato giovanile fluttuante, con una quota piuttosto ri­stretta di giovani che sembrano aver fatto delle scelte poli­tiche stabili.

2.3. Le preferenze elettorali dei giovani prima delle elezioni del giu­gno 1987

Dopo aver visto, sulla base della ricerca pane!, la par­ticolare instabilità delle preferenze politiche giovanili, possiamo ora tornare alla ricerca campionaria 1987, te­nendo conto che la rilevazione è state effettuata dalla DoxA nell'inverno 1986- 1987, quindi prima che si par­lasse dello scioglimento delle Camere e delle elezioni an­ticipate svoltesi nel giugno 1987. Confrontati con i dati elettorali, si può dire che le indicazioni della nostra ri­cerca avrebbero potuto essere prese come un sondaggio piuttosto attendibile delle tendenze emerse dai risultati elettorali. Se confrontiamo i nostri dati per i giovani tra 18 e 24 anni con le stime del voto giovanile ottenute confrontando le differenze tra elezioni per la Camera e per il Senato (stime dell'Istituto Superiore di Sociologia di Milano) non tenendo conto degli astenuti, delle schede bianche e nulle, vediamo che, a parte lo spostamento di voti dal Pc1 al Ps1, i dati della nostra ricerca hanno accu­ratamente previsto le tendenze che sarebbero poi emerse col voto di giugno:

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Democrazia Cristiana Partito Comunista Partito Socialista Psm-Pu-PRr Msr DP-PRr-Altri Verdi

Stime voto giovanile

32,8 18,9 24,3

6,3 4,9 7,4 5,4

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Ricerca IARD 1987

35,3 24,0 13 ,0

9,0 7,9 7,7 3 , 1

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Vediamo ora di esaminare in che modo alcune carat­teristiche di base della popolazione giovanile influenzano le preferenze politiche_ Prima di tutto il sesso. A parte il fatto, già notato, che i giovani maschi tendono un po' di più delle giovani donne a dare la propria preferenza per uno dei partiti del nostro sistema politico, non si ri­levano più nell'elettorato giovanile differenze significa­tive nel voto tra maschi e femmine. Il fenomeno che ci aveva consentito nella precedente ricerca di parlare di «declino del tradizionalismo femminile», emerge del tutto confermato. Sul piano del comportamento politico le gio­vani donne risultano «allineate» ai giovani nel loro com­plesso.

Rispetto all 'età, invece, risultano alcune differenze si­gnificative. Possiamo a questo proposito considerare an­che le preferenze dei 15-1 7enni. Vi sono alcuni partiti che attirano assai meno di altri il consenso dei giovanis­simi (il Pc1, il Pu, il PR e il Msi), mentre altri, soprat­tutto la Dc, ricevono proporzionalmente più consensi dai giovanissimi rispetto ai meno giovani.

In riferimento alla classe sociale della famiglia d'ori­gine, tutti i partiti risultano avere una base sociale gio­vanile piuttosto differenziata, sono cioè, in larga misura, partiti interclassisti. Il Pc1, tuttavia, è assai più forte nelle classi inferiori che non nelle classi superiori, men­tre l'inverso succede per altri partiti (la Dc, il PRI, il Pu, il PR, il Ms1 e anche i «verdi»), mentre il Ps1 rac­coglie consensi giovanili indifferentemente da tutti gli strati sociali.

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Per quanto riguarda, infine, la distribuzione del voto per aree geografiche, il voto giovanile non si scosta dalle ben note tendenze del voto adulto .

Concludendo, il voto giovanile segnala una notevole di­stanza, soprattutto dei giovanissimi, dall'arena politica dei partiti. Rispetto alle generazioni precedenti, lo avevamo notato nella precedente ricerca, i giovani si percepiscono come meno politicizzati. Per coloro peraltro che hanno de­finito un orientamento, sia pure instabile, non vi è molta distanza dagli adulti, non si può dire, cioè, che i giovani siano più a sinistra o più a destra del resto della popola­zione. Nella fase storica che stiamo vivendo, non è sul ter­reno della politica che si evidenziano le differenze genera­zionali.

3. La fiducia/sfiducia nelle istituzioni

Sia nel 1983 che nel 1987 abbiamo posto ai giovani in­tervistati una domanda rivolta ad accertare quale fosse il grado di fiducia/sfiducia riposto in determinati gruppi espressione di alcune tra le più importanti istituzioni so­ciali. Ne è risultata (cfr. tab. V.4) una graduatoria dei vari gruppi/istituzioni in base ai punteggi medi raggiunti in una scala che va da un minimo di l (nessuna fiducia) a un mas­simo di 4 (molta fiducia) .

TAB. V.4. Fiducia in gruppi/istituzioni

1987 1 983 Posiz. Posiz. Diff. 1987 1983

Polizia 3,56 3 ,52 l l + 0,04 Insegnanti/Scuola 3,38 3 ,46 2 2 - 0,08 Carabinieri 3,35 3,33 3 4 + 0,02 Banche 3 , 33 3,35 4 3 - 0,02 Giudici/Magistratura 3,03 3,06 5 5 - 0,03 Sacerdoti/Chiesa 2,95 2,78 6 6 + 0,17 Governo 2,68 2,33 7 lO + 0,35 Militari/Esercito 2,68 2,76 8 7 - 0,08 Funzionari pubblici 2,43 2,36 9 9 + 0,07 Sindacalisti 2,36 2,48 lO 8 - 0, 12 Uomini politici 2,20 2,08 I l 1 1 + 0,12

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Vi sono cinque gruppi/istituzioni che si può dire go­dano, mediamente, della fiducia dei giovani (nell'ordine: polizia, insegnanti/scuola, carabinieri, banche, magistra­tura) e cinque gruppi/istituzioni che godono, invece, di scarsa fiducia (sempre nell'ordine: governo, militari di car­riera/esercito, funzionari pubblici/burocrazia, sindacalisti e uomini politici) . I sacerdoti si collocano al confine tra fidu­cia e sfiducia, ma qui in particolare il valore medio na­sconde il fatto che l'avere fiducia o sfiducia dipende dall'es­sere o meno vicini alla religione e alla Chiesa e quindi di­pende dalla fede più che dalla fiducia. Il quadro risulta co­munque chiaro: i giovani ripongono fiducia nelle istituzioni dell'ordine sociale, mentre hanno poca fiducia nelle istitu­zioni di tipo politico. Le istituzioni economiche (nel que­stionario, purtroppo, sono state soltanto incluse le banche) godono anch'esse di una fiducia abbastanza diffusa. Anche gli insegnanti ottengono nel complesso più fiducia che sfi­ducia, ma è pur sempre sintomo di notevole disagio il fatto che circa un terzo dei giovani abbia poca o nulla fiducia nei propri insegnanti.

Se si analizzano le differenze tra il 1983 e il 1987, si nota peraltro un fatto nuovo: il governo è risalito nella gra­duatoria dal decimo al settimo posto, mostrando lo scarto maggiore tra le due rilevazioni. Anche i sacerdoti, gli uo­mini politici e, in misura più ridotta, la burocrazia hanno migliorato la loro immagine agli occhi dei giovani, mentre sindacalisti, insegnanti e militari hanno perso qualche fra­zione di fiducia. Il governo di pentapartito, nella versione che ha retto fino alle elezioni del 1987, ha nel complesso dato un'immagine che ha risollevato la fiducia dei giovani nelle istituzioni politiche. Altre rilevazioni in futuro po­tranno dire se si è trattato di un effetto congiunturale, op­pure permanente.

Indicazioni interessanti si ricavano dall'analisi del «ba­rometro» della fiducia a seconda del sesso, dall'età, della classe sociale e dell'area geografica di residenza degli inter­vistati.

Tra i due sessi vi è nel complesso un elevato grado di consenso sulla fiducia/sfiducia da riporre nelle varie istitu­zioni. Vi sono, però, alcune significative differenze: i ra­gazzi hanno più fiducia delle ragazze nella magistratura e

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nella burocrazia, ma meno nella Chiesa (sacerdoti) e nell'e­sercito (militari) e nei sindacati. La differenza più marcata riguarda la magistratura e la Chiesa e qui forse si esprime una diversa modalità di rapporto con le istituzioni nel senso che le ragazze stentano a sviluppare fiducia in un'istitu­zione per definizione distante e astratta e della quale in ge­nere non si ha diretta esperienza, come la giustizia, mentre hanno più fiducia nella Chiesa, il rapporto con la quale è mediato dalla figura più accessibile del sacerdote.

La fiducia nelle istituzioni sembra nettamente dimi­nuire con l'età, come se il patrimonio di fiducia dei più gio­vani (15- 1 7 anni) venisse gradualmente eroso man mano che ci si avvicina alle istituzioni della società adulta . Da questo processo di erosione della fiducia si distanzia sol­tanto un'istituzione, la magistratura, che invece rafforza col passare degli anni la propria immagine agli occhi dei giovani, mentre la caduta è particolarmente pronunciata per la Chiesa, l'esercito, il governo, la burocrazia, la scuola e anche le banche.

Questa flessione nella fiducia avvicinandosi all'età adulta è confermata dalla ricerca pane! che coglie gli stessi soggetti a 3-4 anni di distanza. I valori medi della fiducia per ogni gruppo/istituzione sono in genere in leggero de­clino. Tuttavia, emerge anche un altro dato interessante che viene nascosto da un semplice confronto tra valori medi. Per i singoli, in questa fase del ciclo di vita, la fidu­cia/sfiducia nelle istituzioni non è un dato stabile. Ad esem­pio, tra le due interviste, molti che avevano prima fiducia nella burocrazia ora l'hanno persa, mentre altri, che prima non ne avevano, ora ne hanno o ne hanno di più. In altre parole, tra le due rilevazioni non cambia molto la propor­zione di coloro che hanno o non hanno fiducia, però coloro che oggi hanno fiducia non sono più gli stessi che l'avevano quattro anni fa. Il dato interessante, che solo una ricerca pane! è in grado di mettere in luce, è che la stabilità degli orientamenti di una popolazione non significa necessaria­mente stabilità degli orientamenti degli individui che la compongono.

Anche tra i giovani di diversa classe sociale vi è un certo consenso sulla fiducia da riporre nelle varie istitu­zioni, nel senso che la polizia è per tutti l'istituzione che

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gode del massimo di fiducia, mentre burocrati, sindacalisti e uomini politici occupano stabilmente le ultime tre posi­zioni. Anche qui, però, vi sono differenze che meritano di essere segnalate. Il grado minore di consenso si ha in riferi­mento alla magistratura e all'esercito: i giovani di classe in­feriore hanno più fiducia nell'esercito che non nella magi­stratura, mentre esattamente il contrario avviene per i gio­vani di classe superiore. I giovani di classe elevata hanno più fiducia nelle banche e negli insegnanti che non nei cara­binieri, mentre i carabinieri sopravanzano banche e inse­gnanti per i giovani di classe inferiore. Anche i sacerdoti, i burocrati e il governo godono di maggior fiducia al vertice che non alla base della gerarchia sociale, mentre i sindacali­sti ottengono il massimo della comunque scarsa fiducia di cui godono nello strato medio-basso e non nello strato più basso della popolazione giovanile.

Rispetto alle differenze di «classe» risultano media­mente più marcate le differenze geografiche. Rispetto alla fiducia nelle istituzioni conta di più vivere in una data cul­tura regionale che non appartenere ad una determinata classe sociale . Il generale la fiducia nelle istituzioni decresce passando dalle regioni settentrionali a quelle meridionali. Tra le varie istituzioni, solo l'esercito gode di maggior fidu­cia nelle regioni del Sud e nelle isole rispetto al resto d'Ita­lia, mentre il livello più basso di fiducia nell'esercito si ri­scontra nelle regioni del Nord-Est, dove invece la polizia ri­scuote una fiducia molto elevata. Nel Sud e nelle isole è molto minore che nelle altre aree di fiducia nella polizia, nelle banche, nella scuola e nella magistratura. Anche i gio­vani quindi riflettono la presenza delle diverse culture civi­che che si sono storicamente formate nel paese.

4. La partecipazione associativa

Uno degli indicatori più significativa di partecipazione sociale è la partecipazione alle attività di associazioni che operano in forma organizzata. Abbiamo visto come tra i giovani vi sia un potenziale di partecipazione sociale che spesso avviene in forme di mobilitazione su temi specifici, in modo peraltro spesso discontinuo, cioè al di fuori di

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schemi organizzativi dotati di un certo grado di persistenza nel tempo. Tuttavia, la metà dei giovani del nostro cam­pione non rifiuta forme di partecipazione più organizzata nell'ambito di strutture associative. Anzi, se metà dei gio­vani resta estranea all'associazionismo, la metà che parte­cipa tende ad avere un rapporto abbastanza intenso con la/ le associazioni di cui fa parte. Quasi tutti coloro che sono membri di un'associazione o di un gruppo hanno parteci­pato alle sue attività almeno tre volte negli ultimi tre mesi, non basta cioè avere una tessera di iscrizione in tasca per sentirsi parte di un'organizzazione. Dai dati della ricerca pane! risulta peraltro che l'adesione a un'associazione non significa, per i giovani, appartenenza stabile. A parte le as­sociazioni di pratica sportiva che mantengono una certa presa nel tempo, meno della metà di coloro che nel 1983 avevano dichiarato di far parte di una data associazione ne facevano ancora parte nel 1987. Nelle e dalle associazioni e dai gruppi organizzati si entra e si esce con una certa faci­lità. Non solo si passa facilmente da un'associazione di un tipo ad un altra di tipo diverso (ad esempio, da un' organiz­zazione religiosa ad una culturale o ricreativa e viceversa), ma è anche frequente che si abbandonino le esperienze as­sociative nelle quali si era impegnati, oppure ci si lasci coin­volgere se prima non lo si era. Il mondo dell'associazioni­smo giovanile è quindi fluido, il rapporto con i gruppi orga­nizzati è caratterizzato da discontinuità, le appartenenze non sembrano marcatamente coinvolgenti. Nel complesso, l'associazionismo tende a decrescere con l'età nel senso che si tratta di un associazionismo tipicamente giovanile che viene gradualmente abbandonato man mano che ci si avvi­cina all'età e allo status adulto . Le tre forme prevalenti di associazionismo giovanile sono, nell'ordine, l'associazioni­smo sportivo (sia di praticanti, sia di tifosi) , l'associazioni­smo religioso e l'associazionismo studentesco. Tutte e tre le forme tendono a ridursi fortemente nella classe di età tra i 2 1-24 anni. Al contrario, tende a rafforzarsi con l'età l'as­sociazionismo politico e sindacale (dal 2 , 1 % tra i 15- 1 7 anni, al 6,2% tra i 21 -24 anni), che però resta un'espe­rienza di pochi. L'associazionismo inoltre resta ancora un'esperienza più maschile che femminile (non partecipa il 41% dei giovani, ma il 55% delle giovani) , la maggior pre-

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senza femminile nelle organizzazioni religiose (1 9,4% con­tro il 14,4% dei maschi), non compensa il grosso divario nella pratica sportiva organizzata (36,8% dei maschi contro il 17,6% delle femmine) .

Abbiamo raggruppato le varie forme di associazionismo in due categorie: le associazioni che implicano un impegno per qualche «causa» (organizzazioni politiche, sindacali, re­ligiose, assistenziali, di difesa della natura) e le associazioni che sono invece legate alla fruizione del tempo libero (orga­nizzazioni sportive, ricreative, culturali) . Possiamo così dividere il nostro campione in quattro sotto-gruppi per quanto riguarda il rapporto col fenomeno dell'associazioni­smo: l . coloro che non partecipano a nessuna associazione (48,4%); 2 . coloro che partecipano ad associazioni di leisure (20, l %); 3 . coloro che partecipano ad associazioni di impe­gno politico-sociale-religioso (13,3%); 4 . coloro che parteci­pano ad entrambi i tipi di associazioni (18,2%).

Chi partecipa a quale tipo di associazione? La condi­zione che favorisce di più l'associazionismo è quella di stu­dente. Gli studenti sono più presenti sia nelle associazioni di impegno sia in quelle di fruizione. I giovani lavoratori sono particolarmente presenti nelle associazioni di frui­zione, ma assai meno in quelle di impegno. Chi non studia e non lavora ha scarsi livelli di partecipazione in generale (il 64,5% non partecipa a nessun tipo di associazione) . L'asso­ciazionismo dei giovani è fortemente legato al livello socio­culturale della famiglia d'origine soprattutto nel senso che ai livelli più elevati di status prevalgono forme di associa­zionismo multiplo (sia di impegno, sia di fruizione) , mentre ai livelli più bassi è più frequente partecipare all'uno op­pure all'altro tipo di associazioni e più raramente ad en­trambe. Il fatto di organizzarsi per un fine, sia esso Iudica o di impegno civile e religioso, nell'ambito di una struttura associativa resta fondamentalmente legato al tipo di fami­glia in cui si è nati e cresciuti: tra i giovani di classe infe­riore coloro che fanno parte di qualche tipo di assicura­zione raggiungono appena il 40%, mentre sono il 63% tra i giovani di classe superiore. I dati della tabella V.5 illu­strano chiaramente tale andamento.

Come abbiamo visto, l'associazionismo politico racco­glie un numero modesto di giovani: solo il 2,5 % del nostro

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TAB. V.5. Associazionismo e tipo di associazionismo per livello culturale della /ami-glia

Basso Medio Medio Alto basso alto

Nessun tipo di associazionismo 60,0 53,5 40,7 37,6 Associazionismo di fruizione (ri-

creativo, sportivo, culturale) 1 7,0 17,6 23,0 24,0 Associazionismo di impegno (poli-

tico, sociale, religioso) 1 3,7 14 , 1 1 3 , 1 1 3 , 1 Associazionismo multiplo di frui-

zione e di impegno 9,5 14,8 23,3 25,3

1 00 100 100 100

campione dichiara che il gruppo politico di cui fa parte è la più importante tra le associazioni alle quali dà la sua ade­sione. Però, l'associazionismo in sé, in tutte le sue forme, anche in quelle più lontane dalla politica in quanto tale, ri­sulta in qualche modo connesso ad un atteggiamento più partecipativo-attivo verso la politica. Ad esempio, tra co­loro che pensano che la politica sia da delegare a persone competenti, oppure che manifestano un netto rifiuto per la politica, troviamo livelli particolarmente bassi di associazio­nismo, anche del tipo Iudica-ricreativo. Lo stesso avviene per coloro che di fronte ad un problema hanno assoluta fi­ducia nell' autorità nella certezza che questa saprà prendere in ogni caso la decisione migliore, anche costoro hanno un' assai scarsa tendenza ad associarsi, non foss'altro che per praticare uno sport. Al contrario, chi è politicamente impegnato, ma anche chi per la politica mostra pur sempre qualche interesse anche senza impegno, palesa una tenden­za assai più accentuata alla partecipazione associativa.

Infine, l'associazionismo risulta significativamente con­nesso alla dimensione dell 'auto-determinazione/fatalismo di cui abbiamo parlato nel capitolo III. I giovani che pensano che il loro futuro possa essere determinato dalla loro vo­lontà e d al loro impegno hanno una tendenza all' agire asso­ciativo assai più marcata che non i giovani che pensano che il loro futuro sia prevalentemente in balia del destino e della fortuna (coloro che non partecipano a nessuna associa­zione sono il 4 1 % degli «auto-determinati», ma ben il 63% dei «fatalisti») , come risulta dalla tabella V.6.

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TAB. V.6. Associazionismo per indice di autodeterminazione/fatalismo

Nessun associazionismo Associazionismo di fruizione Associazionismo di impegno Associazionismo multiplo

Chi2 = 47,22 (12 g.d.U.

Alta Media · Medio Alto autodet. autodet. fata!. fata!.

4 1 , 1 24,0 1 3 ,0 22,0

46,9 19,4 1 3 , 8 34,2

52,5 16,8 14,9 22,9

63,2 18,7 10,7

9,5

È inoltre importante notare che l'associazionismo non è significativamente connesso né all'ampiezza del comune, né alla zona geografica di residenza (salvo un leggero più ac­centuato «non-associazionismo» nelle isole) e questo raf­forza l'ipotesi che si tratti di un fenomeno assai più legato alle diverse culture di classe che non alle diverse culture dei grandi e dei piccoli centri, oppure delle regioni settentrio­nali o meridionali.

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VI. Le reti di rapporti interpersonali

1 . l rapporti di convivenza e l 'autonomia dalla famiglia

I giovani vivono nella grande maggioranza dei casi coi loro genitori. L'uscita di casa non coincide quasi mai con l'assunzione di un lavoro, ma con il matrimonio. All'età di 23-24 'anni, su 100 giovani che lavorano 79 vivono coi geni­tori, 15 sono sposati e vivono con il/la partner, 3 vivono da soli o con amici, 2 vivono in comunità (pensionato, ca­serma) e l vive con altri parenti. Il problema dell' autono­mia non si pone quindi in termini di autonomia dalla fami� glia, ma di autonomia nella famiglia.

I genitori, peraltro, non sono molto giovani: in media lo scarto tra generazione dei genitori e generazione dei figli è di 32 anni per i padri e di 28 anni per le madri, il che vuoi dire che un giovane di 24 anni ha (sempre in media) un pa­dre di 56 anni e una madre di 52. Rispetto ad altre società, ad esempio quelle nord-europee, questo divario è in Italia più accentuato. In famiglia vivono genitori e figli non spo­sati e il numero dei figli tende a ridursi sempre di più. Il numero medio dei figli nelle famiglie dei giovani del nostro campione è di 1 ,88 e varia da 1,97 nelle famiglie dei 2 1-24enni a l , 79 nelle famiglie dei 15-17enni, a dimostra­zione che la tendenza è verso un'ulteriore diminuzione del numero dei figli per coppia. I figli unici sonò'.!' 1 1 ,3 %, ma vi sono più figli unici che figlie uniche e ciò indica che la coppia decide di non avere più figli dopo il primo soprat­tutto se il primo figlio è maschio. li numero dei figli varia molto per classe sociale e per area geografica nel senso che è sensibilmente più alto nelle famiglie di classe inferiore e nelle regioni meridionali. Il nostro campione riflette quindi fedelmente le caratteristiche della struttura demografica

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della popolazione italiana. Ma, a parte questi richiami (utili, se non altro, per rassicurarsi sulla effettiva rappresen­tatività del campione) , il dato sul quale riflettere è la asso­luta dominanza del modello di convivenza famigliare nella fase giovanile del ciclo di vita. Anche se la maggioranza dei giovani, come abbiamo potuto rilevare nella ricerca del 1983, ritiene che un ragazzo o una ragazza può scegliere di andare a vivere fuori dalla casa dei genitori quando ha un lavoro ed è in grado di mantenersi e solo una minoranza considera legittimo uscire di casa soltanto col matrimonio, di fatto, però, quasi tutti escono di casa soltano quando si sposano. Nelle dichiarazioni dei giovani, la convivenza coi genitori non è più una prescrizione normativa interioriz­zata, ma una situazione di fatto che non viene avvertita come lesiva dell'autonomia personale. La nostra interpreta­zione è che i giovan� abbiano negoziato con successo, senza incontrare troppe resistenze, consistenti spazi di autonomia nella famiglia e che �uindi non avvertano nella grande mag­gioranza dei casi un; impellente bisogno ad autonomizzarsi sul piano della convivenza.

L'unico indicatore di cui disponiamo per saggiare la plausibilità di que�ta ipotesi è relativo alla frequenza delle uscite serali, ma

1è un indicatore abbastanza eloquente di

ciò che si intende per autonomia. A questo proposito, però, emergono delle differenze molto significative tra giovani maschi e giovani donne: uscire per conto proprio dopo cena è una pratica maschile assai più che femminile. Le propor­zioni sono esattamente invertite, mentre tra i ragazzi co­loro che escono più di 4-5 sere la settimana sono circa il 45 % contro solo il 15% delle ragazze, vi è un 45% di ra­gazze che non esce mai o quasi mai contro un 15% di ra­gazzi. La famiglia italiana, se così ci si può esprimere, ha ancora un trattamento fortemente differenziale nel conce­dere libertà ai figli maschi e alle figlie femmine. Ma non tutte le famiglie si comportano a questo proposito in modo uniforme. Sui figli maschi tra i 15 e i 17 anni, le famiglie di classe elevata esercitano ancora un controllo rigoroso sulle uscite serali (solo 16 ragazzi su 100 in questa classe e fascia d'età escono più di 4-5 sere la settimana) e questo controllo si attenua gradualmente con la crescita dei figli. Nelle fami­glie di classe inferiore, invece, il controllo sui figli maschi è

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già a 15 anni assai limitato (ben 65 ragazzi su 100 escono la sera con elevata frequenza) e non viene ulteriormente allen­tato con l'età, a 15 anni sotto questo profilo i ragazzi go­dono della stessa libertà dei loro fratelli maggiori di 24 anni. Per le ragazze il discorso è diverso: le famiglie di classe alta concedono assai più libertà alle figlie delle fami­glie di classe inferiore e anche qui si tratta di una libertà che viene gradualmente concessa man mano che cresce l'età delle figlie, così che, nella fascia d'età più elevata (22-24 anni) la differenza tra ragazzi e ragazze risulta comunque molto attenuata. Possiamo dire che per le classi alte dopo i 2 1 anni non c'è più una grande distanza tra figli maschi e figlie femmine in termini di libertà di gestione del tempo serale . Per le classi basse, invece, il controllo sulle figlie femmine è assai rigoroso e non diminuisce nell'arco di età considerato nella nostra ricerca. Le ragazze di 15 anni go­dono della stessa libertà di «uscita» delle sorelle maggiori di 24 anni (cioè, assai poca) , il loro tempo risulta assai più che non per le loro coetanee di classe superiore vincolato «spa­zialmente» alle mura della sfera domestica. La distanza tra ragazzi e ragazze in termini di libertà di uscire di casa la sera · varia inoltre in modo consistente tra le regioni del Nord e del Centro e le regioni del Sud: i ragazzi del Nord e del Centro escono meno frequentemente la sera dei ragazzi del Sud, ma l'opposto avviene per le ragazze, le ragazze meridionali stanno assai di più in casa delle loro coetanee delle altre regioni. Siamo qui di fronte a un fatto culturale di notevoli dimensioni: vi sono due fattori, la cultura delle classi meno privilegiate e la cultura delle regioni meridio­nali, che resistono alla concessione a ragazzi e ragazze degli stessi diritti e delle stesse libertà. Il fatto culturalmente ri­levante non è soltanto la discriminazione negativa nei con­fronti delle ragazze, ma anche la discriminazione positiva nei confronti dei ragazzi: i ragazzi del Sud hanno consi­stenti maggiori «libertà» dalla famiglia dei ragazzi del Nord.

Queste differenze non sembrano modificarsi nell' arco di tempo tra le due ricerche. Ma un confronto tra i dati del 1983 e i dati del 1987 riserva una sorpresa: con l'unica ec­cezione delle ragazze più giovani ( 15- 1 7 anni) , la frequenza delle uscite serali diminuisce sensibilmente nel breve arco

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di 4 anni. Che cosa è successo in questi quattro anni per far sì che i ragazzi e le ragazze oggi escano meno di sera? Sono i genitori che hanno «tirato le redini», oppure sono i giovani stessi che avvertono meno la spinta ad uscire di casa? È difficile dare, sulla base dei dati disponibili, una ri­sposta a queste domande. Il fatto, ad esempio, che si tende ad uscire meno di casa nei grandi centri piuttosto che nei piccoli centri, può forse suggerire l'ipotesi di una accre­sciuta percezione, da parte dei genitori e degli stessi gio­vani, della pericolosità dopo il tramonto delle grandi città. Forse, una volta ottenuto il riconoscimento simbolico del diritto di uscire la sera, i giovani tendono a non farne più un uso frequente. Forse, ancora, si sta diffondendo la pra­tica di incontrarsi con gli amici a casa dell'uno o dell'altro perché i genitori pongono meno vincoli all'ingresso degli amici che non all'uscita dei loro figli. Forse, gli insegnanti sono diventati più esigenti e gli studenti devono dedicare più tempo allo studio. Sono tutte ipotesi plausibili. Non ci sembra, comunque, che questo dato indichi un'inversione del processo di acquisizione di spazi di autonomia all'in­terno della famiglia.

Sulla scorta dei dati sulla frequenza delle uscite serali e sull'età alla quale i nostri intervistati hanno incominciato a guadagnare dei soldi da poter spendere liberamente per sé abbiamo costruito un indice per misurare il grado di auto­nomia nella famiglia nell'ipotesi che chi esce liberamente e guadagna dei soldi da poter spendere per sé ha comunque un grado elevato di autonomia anche se continua a vivere coi genitori. Questo indice coglie abbastanza bene il feno­meno che vogliamo indagare e, infatti, risulta fortemente correlato all'età: tra i 15-16 anni abbiamo 1/3 di giovani che possiamo considerare «autonomi» dalla famiglia, men­tre tra i 23-24 anni essi sono poco più del 3/4 del nostro campione. L'indice misura anche accuratamente il diverso grado di autonomia di maschi e femmine, come si può ve­dere nella tabella VI.I .

Come c'era da attendersi l'indice di autonomia nella fa­miglia è sensibilmente legato alla classe sociale di apparte­nenza, ma il legame, molto forte per i maschi, scompare per le femmine. Infatti, per i maschi, l'acquisizione dell' auto­nomia economica (spendere per sé quello che si guadagna)

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T AB. VI. l. Grado di autonomia dalla famiglia per sesso ed età

Autonomia Maschi Femmine

15-17 18-21 22-24 15-17 18-21 22-24

Bassa 48,0 27,1 13,9 73,7 49,3 39,6 Media 37,0 53,4 6 1 ,2 22,4 44,3 56,0 Alta 15,0 19,4 . 24,9 4,0 6,3 4,4

100 100 100 100 100 100 N = (280) (290) (414) (268) (297) (394)

va di pari passo con la libertà di gestione del proprio tempo extra-domestico ed entrambi sono correlati negativamente con la classe sociale nel senso che i maschi di classe bassa sono notevolmente più «autonomi» di quelli di classe alta. Per le ragazze, invece, mentre la possibilità di acquisire un reddito spendibile per sé è negativamente correlato alla classe (le ragazze di classe alta vanno a lavorare più tardi e quindi non hanno un reddito proprio spendibile), la libertà di gestione del tempo serale è positivamente correlata alla classe (le ragazze di classe alta sono sensibilmente più «li­bere»): i due indicatori coi quali è costruito l'indice vanno quindi in direzione opposta quando correlati con la classe sociale e quindi la correlazione scompare. I dati sono ripor­tati nella tabella VI .2.

2. Le relazioni tra pari: i gruppi amicali

La grande maggioranza dei giovani intervistati ha un gruppo di amici coi quali si vede regolarmente. Molto è stato detto e scritto sull'importanza dei rapporti di amicizia tra pari soprattutto in una fase del ciclo di vita in cui si al­lentano i rapporti di dipendenza dalla famiglia e in cui non si sono ancora consolidate le relazioni che caratterizzeranno in seguito la vita adulta. Da questo punto di vista i dati non rivelano nessun mutamento dal 1983 ad oggi. Non pos­siamo purtroppo valutare se sia intervenuto qualche muta­mento nel grado di segregazione sessuale nella composi­zione dei gruppi amicali. I dati del panel, però, confermano appieno che con l'uscita dagli anni dell' adolescenza dimi-

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TAB. VI.2. Autonomia dalla famiglia per status socio-culturale e sesso

Autonomia Maschi Femmine

basso medio medio alto basso medio medio alto basso alto basso alto

Bassa 12,7 22,9 29,0 45,9 53,2 49,8 5 1 ,6 57,9 Media 55,7 5 1 ,0 55,1 44,8 42,5 44,6 44,3 36,3 Alta 3 1 ,5 26, 1 15,8 9,3 4,3 5,5 4,0 5,7

100 100 100 100 100 100 100 100 N = (149) (353) (265) (185) (141) (365) (273) ( 157)

nuiscono notevolmente i gruppi amicali mano-sessuali, mentre si diffondono gruppi misti di ragazze e ragazzi. I ra­gazzi restano comunque più a lungo in gruppi di soli maschi di quanto non facciano le ragazze in gruppi di sole fem­mine: tra i 15 e i 1 7 anni (i dati sono della ricerca del 1983) abbiamo ancora un 53% di ragazzi in gruppi esclusiva­mente o prevalentemente mano-sessuali, contro un 28% di ragazze . Dopo i 18 anni la composizione del gruppo di pari diventa invece sempre più frequentemente mista, anche se tra i 2 1 -24 anni resta sempre una percentuale elevata di maschi in gruppi esclusivamente o prevalentemente ma­schili (37% contro il 20% delle ragazze) . Un altro fatto è inoltre da notare: è più facile che vi siano delle ragazze in un gruppo prevalentemente maschile che non dei ragazzi in un gruppo prevalentemente femminile . I ragazzi quindi sta­biliscono rapporti amicali di gruppo con l'altro sesso più tardi di quanto non facciano le "ragazze. Ciò è dovuto pro­babilmente al fatto ben noto che le ragazze escono dall'ado­lescenza ad un'età di qualche anno inferiore ai ragazzi e quindi stabiliscono prima rapporti amicali con l'altro sesso.

Si disegna comunque un percorso evolutivo che va da una prevalenza di rapporti amicali tra pari dello stesso sesso negli anni dell'adolescenza, a rapporti misti negli anni post­adolescenziali per arrivare poi con l' avvicinarsi dell'età adulta a rapporti di coppia. I rapporti diadici di amicizia (l'amico/a del «cuore») sembrano, invece, farsi sempre meno frequenti, anche rispetto ai dati del 1983 . L'am­piezza del gruppo amicale tende anzi ad estendersi ulterior­mente rispetto alla precedente ricerca e resta un nesso posi-

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tivo con la classe sociale di appartenenza (più ampio il gruppo più alta la classe) . Dai dati disponibili non si pos­sono trarre ulteriori indicazioni sul funzionamento e la di­namica dei gruppi amicali: ad esempio, sull'appartenenza multipla a più gruppi, sulla presenza o meno di un nucleo centrale e di uno periferico all'interno di ciascun gruppo, sulla velocità della rotazione dei membri del gruppo. L'ipo­tesi che si tratti di gruppi abbastanza «aperti», con forme di appartenenza fluttuanti, non può appoggiarsi su una base empirica. La frequenza di incontro sembra invece ridursi sia pure di poco rispetto al 1983 coerentemente col dato, prima riportato, che i giovani escono un po' meno di sera. Resta comunque assai elevata la quota di ragazze che non rispondono quando si chiede loro con quale frequenza ve­dono gli amici (il 23% contro il 10% dei maschi) e ciò in­dica che la domanda tocca un tasto delicato, un'area pro­blematica che probabilmente mette in discussione i rapporti famigliari e rispetto alla quale quindi si manifesta una certa reticenza.

I gruppi che si incontrano ritualisticamente il sabato sera per uscire insieme sono una minoranza (il 16,4%), ma sono molto più frequenti tra le ragazze che non tra i ra­gazzi. Le ragazze escono meno con gli amici e il ritmo di in­contro è più cadenzato sul ciclo settimanale, mentre è assai più facile che i ragazzi incontrino i loro amici tutti i giorni o quasi.

I rapporti di gruppo tra pari si affievoliscono con l'età man mano che si rafforzano i rapporti di coppia. Chi ha un ragazzo o una ragazza vede un po' meno gli amici, anche perché il rapporto con il/la partner tende ad essere fre­quente, quasi quotidiano. Rapporti di coppia e rapporti amicali non sempre riescono a convivere e ad integrarsi, ac­cade con una certa frequenza che la coppia tenda ad isolarsi e a rendere meno frequenti i rapporti amicali, almeno fino alla fase in cui i rapporti amicali si stabiliscono tra persone con i/le loro partner. Le differenze tuttavia non sono dello stesso segno per maschi e femmine: sono più i maschi che quando hanno la ragazza riducono la frequenza di incontro coi loro amici, le ragazze, invece, non sembrano rendere meno frequenti i loro rapporti amicali. Anche i dati della ri­cerca pane! peraltro confermano che avvicinandosi all'età

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adulta i rapporti nel gruppo amicale tendono a diventare meno frequenti. L'analisi peraltro non può essere ulterior­men_�e approfondita sulla base dei dati disponibili.

E interessante vedere se, e in che misura, i rapporti amicali e di coppia interferiscano con il grado di partecipa­zione politica, sociale e associativa. Se interferenza c'è que­sta è senz'altro positiva nel senso che i giovani che hanno amici e li vedono frequentemente, così come i giovani che hanno un partner dell'altro sesso tendono ad essere più di­sponibili alla partecipazione in senso lato, sono cioè più «at­tivi» di coloro invece che tendono a restringere i loro rap­porti alla sola cerchia famigliare e non sono inseriti in una rete di rapporti interpersonali tra pari. Questo sembra es­sere particolarmente vero per le ragazze, soprattutto per quelle che dichiarano di avere un «ragazzo». Per una ra­gazza il fatto di avere un partner vuol dire assai frequente­mente essere più libera (almeno dalla famiglia) , poter parte­cipare più attivamente alla vita sociale esterna. Basta fare un solo esempio: la partecipazione associativa di qualsiasi tipo (politica, sociale, ricreativa, culturale) , delle ragazze con partner è assai più elevata a parità di età che non per le ragazze senza partner.

È interessante analizzare al di là della partecipazione as­sociativa quali attività di tempo libero sono incentivate dalla presenza di un partner e quali, invece, sono disincen­tivate. Per i maschi la presenza della ragazza non fa molta differenza, vanno un po' di più al cinema e ai concerti di musica rock e stanno un po' meno in casa a leggere e ad ascoltare musica. Nel complesso, però, il fatto di avere la ragazza non incide molto sulle scelte di uso del tempo li­bero. Le ragazze che hanno un partner, invece, sono più at­tive nel tempo libero delle ragazze senza partner: leggono di più, vanno più frequentemente ai concerti, a teatro, a vi­sitare mostre e musei, praticano più sport, oltre ad andare più frequentemente al cinema e allo stadio. Sembra che il fatto di avere un ragazzo apra a una ragazza orizzonti ex­tra-famigliari meno accessibili alle coetanee senza partner, sulle quali il controllo della famiglia è presumibilmente più restrittivo.

Nell'indagine del 1987 abbiamo ridotto considerevol­mente rispetto all' '83 il numero di indicatori relativi alla

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sfera dei rapporti interpersonali sia famigliari che amicali nell'ipotesi che nel breve intervallo tra le due rilevazioni non ci debbano essere stati cambiamenti rilevanti. Tutta­via, anche sulla base di un materiale empirico ridotto, ci sembrano confermate le conclusioni alle quali eravamo per­venuti nel 1983 e cioè che per le ragazze la sfera dei rap­porti famigliari si presenta più conflittuale in virtù delle maggiori restrizioni e del maggior controllo esercitato dai genitori sulle figlie femmine rispetto ai figli maschi. Ciò vuoi dire che se vogliono affermare la loro autonomia le ra­gazze devono «negoziare di più» dei loro coetanei e che una parte di esse rimane più a lungo sotto la tutela della fami­glia, riducendo la rete di rapporti interpersonali esterni. In questa situazione, la comparsa di un partner rafforza il po­tere di negoziazione e quindi l'opportunità di acquisire spazi di autonomia dalla famiglia, anche se questo passaggio può significare la transizione verso una diversa forma di di­pendenza.

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VII. Tempo libero e consumi giovanili

1 . L'importanza delle attività di tempo libero e di consumo

Tempo libero e consumi di tempo libero sono, non c'è bisogno di sottolinearlo, aspetti essenziali delle società mo­derne. Al di là dei discorsi ideologici sulla società consumi­stica e sui loisirs che riempiono gli scaffali delle biblioteche di sociologia, è da notare, parlando di giovani, come questi entrino a far parte della società nella loro veste di consuma­tori, prima che come produttori o cittadini. Essi costitui­scono un mercato, e un mercato di dimensioni notevoli, poiché dispongono di tempo e di risorse. Anche coloro che non lavorano, e che quindi non hanno un reddito proprio da spendere, riescono ad ottenere, negoziando, somme di denaro consistenti dalle proprie famiglie che spendono in modo autonomo in misura crescente con l'età. Tempo li­bero e consumi giovanili sono quindi fenomeni socialmente ed economicamente rilevanti, oltre ad essere soggettiva­mente rilevanti per gli stessi giovani.

Come abbiamo visto quando abbiamo analizzato le cose che contano nella vita dei giovani, tutto quanto va sotto l'etichetta di svago e tempo libero occupa una posizione im­portante. Questa propensione ad attribuire grande impor­tanza al divertimento è certo strettamente legata all'età ed infatti i giovanissimi sono un po' più inclini dei meno gio­vani ad assegnare valore a questa dimensione dell'esistenza. In questo fenomeno giocano sia componenti tipiche di na­tura evolutiva, sia componenti generazionali legate alla con­giuntura storico-culturale dell'epoca in cui viviamo. Le componenti evolutive sono evidenti: al «divertiti finché sei giovane», che non si sente dire da molti adulti, corrisponde il «divertiamoci finché siamo giovani» di molti giovani. Di-

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vertimento e gioventù sono termini tra i quali la nostra cul­tura, e non solo da ora, stabilisce un'intima connessione. Ma vi sono anche componenti specifiche di questa genera­zione di giovani che vive questa età alla fine degli anni '80. Il dilazionamento dell'entrata nella vita adulta, la caduta delle tensioni sociali e ideali, il ridimensionamento della centralità dello studio, sono tutti fattori che contribuiscono ad esaltare la rilevanza e la persistenza del momento «Iu­dica» nell'esperienza giovanile. Più i giovani possono go­dere di una relativa deresponsabilizzazione, più possono di­lazionare nel tempo il momento in cui dovranno assumersi degli impegni e più tenderanno a mettere in secondo piano lo studio e tutto ciò che comporta impegno e investimento e a vivere in una dimensione «presentificata» il loro tempo libero. Non si vuoi dare con ciò una valutazione moralistica («i giovani pensano solo a divertirsi», è una frase che si sente assai spesso in bocca agli adulti) e suggerire paternali­sticamente che i giovani dovrebbero prendere la vita «più sul serio», si vuole indicare soltanto, come, di fatto, il co­siddetto tempo libero occupi una parte cospicua della quoti­dianità giovanile e costituisca una porzione soggettiva­mente rilevante della stessa. Non a caso, infatti, i giovani, insieme con gli anziani, sono coloro che rispetto alle altre classi di età avvertono con minore intensità la scarsità del tempo libero. Anche tra i giovani lavoratori, solo uno su tre lamenta che il tempo libero disponibile è insufficiente a soddisfare le proprie aspirazioni, mentre le giovani lavora­trici avvertono la scarsità del tempo libero con frequenza maggiore (4 su 10) .

La disponibilità di tempo libero e l'importanza attri­buita alle attività relative non significano però un altret­tanto elevato grado di soddisfazione sui modi coi quali que­sto tempo viene effettivamente riempito. Anzi, come ab­biamo visto nel capitolo sugli orientamenti di valore e come già risultava dall'indagine del 1983, l'area delle attività di tempo libero risulta una di quelle dove è più ampia tra i giovani la quota di insoddisfatti e dove quindi è più mar­cato il divario tra livello delle aspirazioni e loro realizza­zione. Sia pure di poco, inoltre, il disagio sull'uso del tempo libero è aumentato rispetto al 1983. Le più insoddi­sfatte sono comunque anche oggi le giovani donne tra 21 e

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24 anni e in particolare coloro che hanno già figli e marito a cui badare e ciò è coerente anche con quanto si sa sulla popolazione adulta che vede sempre le donne segnalare li­velli di insoddisfazione maggiori. La condizione femminile, anche da questo punto di vista, si presenta quindi come marcatamente problematica nel senso che per le donne il tempo non si presenta mai come «effettivamente libero», da un lato perché il tempo delle cure famigliari tende ad oc­cupare pervasivamente tutti i possibili interstizi temporali e dall'altro lato perché il controllo famigliare sull'uso del tempo, soprattutto per le giovanissime, risulta comunque più elevato che non per i coetanei maschi.

Un'altra differenza significativa è che i giovani maschi che lavorano · sono più soddisfatti dell'uso che fanno del tempo libero dei loro coetanei che studiano, mentre esatta­mente l'inverso succede per le ragazze: le giovani studen­tesse sono più soddisfatte delle giovani lavoratrici. Anche se le differenze non sono molto forti è possibile però avan­zare un'interpretazione: i giovani maschi che lavorano di­spongono di risorse monetarie liberamente spendibili che consentono loro di riempire in modo soggettivamente più soddisfacente il proprio tempo libero rispetto agli studenti, le giovani donne che studiano, invece, vivono lo studio come un fatto emancipativo e liberatorio che si ripercuote anche sulla soddisfazione nell'uso del tempo libero, mentre lo stesso non accade per quelle giovani (quasi tutte di classe bassa) che hanno assunto precocemente un lavoro extra­domestico. -

Due sono infatti le determinanti dei livelli di soddisfa­zione nell'uso del tempo libero : la disponibilità di tempo e la disponibilità di risorse da dedicare ai consumi. La scar­sità di tempo sembra ripercuotersi sulla sua qualità: chi ha poco tempo libero non è neppure soddisfatto di come lo utilizza. La scarsità di risorse genera anch'essa insoddisfa­zione poiché nella nostra cultura risulta assai forte l'equa­zione: tempo libero = tempo per il consumo.

La soddisfazione nell'uso del tempo libero appare quindi assai fortemente legata alla struttura delle opportu­nità, sia delle opportunità personali connesse alla condi­zione sociale della famiglia d'origine, sia alle opportunità del contesto nel quale si vive. Come vedremo dettagliata-

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mente nel corso di questo capitolo le disuguaglianze tra i giovani nell'uso del tempo libero e nell'accesso ai consumi giovanili appaiono assai marcate e questo fatto si ripercuote significativamente sui livelli di soddisfazione: chi viene da famiglia ad alto livello di reddito e di cultura, chi vive nei centri maggiori e, soprattutto, chi vive nelle regioni del Nord è consistentemente più soddisfatto dell'uso del tempo libero. Le differenze Nord-Sud risultano su questi indica­tori quasi abissali, ben più ampie di quelle di sesso, di età o di ceto, a testimonianza ulteriore dell'esistenza di una am­pia area di disagio giovanile nelle regioni meridionali. L'Ita­lia dei giovani appare ancora una volta nettamente spaccata in due.

Alle stesse conclusioni si giunge considerando il grado di soddisfazione del proprio tenore di vita che è evidente­mente legato al livello dei consumi. Qui le soglie di soddi­sfazione sono più basse (gli insoddisfatti raggiungono solo il 17% dell'intero campione) , ma la variabilità per condizione sociale e per zona geografica risulta comunque notevole.

2. Le risorse monetarie disponibili

Le risorse monetarie di cui giovani dispongono possono essere di due fonti: reddito da lavoro proprio e trasferi­menti dai genitori. Le due fonti, in realtà, risultano spesso intrecciate. Molti giovani che lavorano danno tutto o parte del proprio guadagno in famiglia come contributo al red­dito famigliare e poi ricevono dai genitori una somma per le proprie spese personali, altri, invece, tengono per sé tutto o quasi quello che guadagnano per spenderlo come vogliono, mentre il loro mantenimento viene comunque garantito dalla famiglia. I due casi riflettono evidentemente due di­versi modelli di controllo famigliare sulle spese dei giovani. Il modello più restrittivo dell' autonomia economica dei gio­vani è più frequente nelle classi inferiori e nei confronti delle ragazze, mentre il secondo modello è più tipico delle classi superiori e si manifesta più spesso nei confronti dei figli maschi. Peraltro, le giovani donne di classe elevata che lavorano possono tenere per le proprie spese quanto guada­gnano non diversamente dai loro coetanei maschi: un'ulte-

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riore prova del fatto che il trattamento differenziale per sesso è una pratica prevalentemente diffusa nelle famiglie degli strati inferiori. Comunque, i giovani e le giovani di classe superiore che dispongono di un reddito da lavoro proprio sono assai pochi e i soldi che possono spendere libe­ramente dipendono largamente dalle elargizioni dei genitori mentre il contrario avviene per ragazzi e ragazze di classe inferiore.

Quale che sia la fonte dalla quale di giovani traggono le risorse di cui possono disporre da spendere liberamente per sé, un dato si segnala come assai significativo: la somma globale mensile disponibile varia assai poco in funzione della condizione sociale. In media, i giovani del nostro cam­pione possono spendere circa 192.000 al mese e la distribu­zione per classe sociale della famiglia produce oscillazioni di 10-15 .000 in più o in meno intorno alla media. Ciò non vuoi dire però che la capacità di spesa e di consumo sia omogenea tra i giovani indipendentemente dalla condizione socio-economica della famiglia. Si può presumere infatti che molti consumi dei giovani delle classi più privilegiate vengano comunque soddisfatti ricorrendo al reddito fami­gliare senza intaccare le somme a disposizione dei giovani stessi. L'uso dell'automobile (assai diffuso tra i giovani di tutte le classi sociali) ha significato economico diverso se si tratta dell'automobile propria, di cui si sono sostenute le spese di acquisto e si sostengono le spese di manutenzione e carburante, oppure se si tratta della «Seconda» vettura di famiglia. Così, molte spese per l'abbigliamento non gra­vano nelle classi alte sui soldi di cui i giovani dispongono autonomamente. Tuttavia, anche ammettendo queste diffe­renze nascoste, resta comunque il fatto che la somma di de­naro direttamente spendibile dai giovani ogni mese risulta abbastanza costante al variare della classe sociale. Ciò in­dica, a nostro avviso, l 'esistenza di un «paniere» piuttosto omogeneo di consumi giovanili di tempo libero (certi capi di abbigliamento, l'auto-moto-motorino, le vacanze, l' hi-fi, dischi di musica, giornali e riviste, ingressi in discoteca e/o allo stadio, pizza/panini con gli amici, ecc.), un mix cioè di consumi simbolici di appartenenza senza i quali un giovane non si sente pienamente «cittadino» della sua generazione. Avremo modo di vedere nel paragrafo successivo come que-

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sto modello di consumo si articola e si differenzia in al­meno alcune delle sue dimensioni principali. Tuttavia, ci sembra di poter avanzare l'ipotesi (i dati a disposizione non ci consentono di andare oltre) dell'esistenza di un modello di consumo giovanile di tempo libero che i vari gruppi di giovani possono articolare in diverse modalità, al e dal quale possono più o meno avvicinarsi o allontanarsi.

Nonostante questa, relativa, omogeneità restano tutta­via anche notevoli differenze, tra maschi e femmine e tra giovani residenti in aree geografiche diverse. Le ragazze di­spongono di una somma di denaro del 24% inferiore a quella di cui dispongono i coetanei maschi (in media 165. 000 al mese contro 2 1 7 . 000) . Nelle tasche dei giovani del Sud e delle isole passa meno denaro (in media 156.000 al mese) che non nelle tasche dei giovani del Nord­Ovest (204.000 lire), del Nord-Est ( 191 .000 lire) e, soprat­tutto, del Centro (235.000 lire) . Le disponibilità monetarie, inoltre, variano molto con l'età (ma questo è del tutto com­prensibile), mentre varia assai meno di quanto ci si sarebbe potuto aspettare tra giovani che vivono in un capoluogo di provincia e giovani che vivono in centri minori. Anche da questo punto di vista le «distanze culturali» tra giovani di campagna e giovani di città sembrano essersi ridotte.

3. Omogeneità e differenziazione nell' uso del tempo li bero e nei consumi giovanili

Vediamo ora come si distribuiscono a seconda della loro frequenza alcune attività di tempo libero e di consumo così come risulta dai dati delle due ricerche del 1983 e del 1987. Si fa presente, tuttavia, che in questo caso il con­fronto tra le due rilevazioni non fornisce indicazioni sul­l' andamento storico dei comportamenti esplorati poiché si tratta di comportamenti a forte componente stagionale e quindi l'epoca della rilevazione (autunno, subito dopo le vacanze estive, per la ricerca del 1983 e inverno per la ri­cerca 1987) influenza senz'altro i risultati.

Come si legge chiaramente dalla tabella VII. 1 , musica, cinema e sport occupano prevalentemente il tempo libero dei giovani. Le differenze di sesso, però, sono notevoli: i

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TAB. VIL I . Frequenza delle attività di tempo libero (% di giovani che hanno svolto

l .

2. 3.

4. 5.

6.

7. 8.

9.

10. 1 1 . 12 .

13 . 14. 15 . 16 .

17 .

18 .

le varie attività almeno l volta negli ultimi tre mesi) per sesso

Ha ascoltato dischi o cassette di musica leggera E andato al cinema Ha ballato in un luogo pubblico (discote-ca, ecc.) Ha letto libri (non di studio) Ha comperato dischi o cassette di musica leggera È andato ad assistere ad una manifestazio-ne sportiva tra praticato attivamente uno sport E andato in viaggio dormendo almeno una notte fuori casa È entrato in una libreria per comperare li-bri non di studio Ha visital<' un museo o una mostra d'arte È entrato in una biblioteca pubblica Ha ascoltato dischi o cassette di musica classica Ha suonato uno strumento musicale t andato ad un concerto di musica leggera E andato a teatro

·

Ha partecipato ad un convegno o a un di-battito culturale Ha comperato dischi o cassette di musica classica È andato ad un concerto di musica classica

1983

65,1

52,8

46,9

49,3 36,6

58,5

33,5 34,7 23,6

18,3 22,8

9,6

9,0

1987 M

8 1 , 1 82,4 69,2 75,0

57,5 62,8 56,0 48,5

47,4 52, 1

42,3 57,5 4 1 ,0 56,0

36,0 40,9

28,9 26,0 22,1 22,8 26,8 28,8

18,3 18,3 1 7,2 19 ,1 1 5 , 5 16,8 13 ,3 12,1

13,3 15,4

6,7 8,1 4 ,5 4,9

F

79,8 63,3

52,2 63,6

42,7

25,0 26,0

3 1 ,0

3 1 ,9 2 1 , 5 24,8

18,3 15,4 14,4 14,6

1 1 ,2

5,4 4,2

ragazzi fanno assai più attività delle ragazze, soprattutto, praticano di più lo sport, vanno di più allo stadio, al cinema e in discoteca, le ragazze, invece, sono più propense alle at­tività culturali (leggono e comperano più libri non di stu­dio, vanno più frequentemente a teatro) . Anche la condi­zione sociale, evidentf'me;' te, influenza pesantemente le at­tività e i consumi di tempo libero: le risposte a tutti i 18 items della domanda sono significativamente correlate allo status socio-economico e al livello culturale della famiglia.

Queste differenze ci hanno indotto ad approfondire l'a­nalisi per esplorare i modi in cui si articolano i modelli di consumo e tempo libero dei giovani. Tenendo conto dell'in­tensità e della frequenza con la quale vengono svolte le va­rie attività (in una scala da l a 4 a seconda che la ricorrenza sia una o più volte la settimana, una o più volte al mese,

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una o due volte in tre mesi, mai in tre mesi) , abbiamo co­struito due indici: un indice di tempo libero e consumi gio­vanili e un indice di consumi culturali. Nel primo indice sono confluite le risposte a sei items (discoteca, cinema, concerto rock, stadio, acquisto e ascolto dischi/cassette rock) , nel secondo le risposte a nove items (concerto musica classica, teatro, acquisto e ascolto dischi/cassette musica classica, musei e mostre, convegni e dibattiti, biblioteca, acquisto e lettura libri) . Abbiamo quindi «spaccato» i due indici in modo tale da identificare quattro livelli di inten­sità di partecipazione alle due categorie di attività e di con­sumo. L'analisi di entrambi gli indici per sesso, area geogra­fica, status socio-economico, livello culturale famigliare, ampiezza del comune di residenza, grado di autodetermina­zione/fatalismo, tasso di associazionismo, ecc. ha indicato sempre l'esistenza di nessi fortemente significativi dal punto di vista statistico. I due indici misurano due dimen­sioni diverse, il primo il grado di partecipazione alle attività e ai consumi che definiscono in modo specifico la «cultura giovanile», mentre il secondo misura invece il grado di ac­cesso e di fruizione della «cultura» nel senso tradizionale e «dotto» del termine. Le due dimensioni non sono evidente­mente tra loro indipendenti, non è incompatibile infatti partecipare nello stesso tempo sia alla «cultura giovanile» che alla «cultura dotta», oppure privilegiare l'una piuttosto che l'altra, o, ancora, essere esclusi da entrambe. I due in­dici sono stati quindi incrociati tra di loro ed hanno dato luogo alla distribuzione riportata nella tabella VII.2.

TAB. VII.2. Tempo libero e consumi «giovanili» e consumi culturali

Indice consumi culturali Alto Medio Basso Nullo

r 7,2 7 , 7 5 , 7 4,2

Indice consumi Medio 4 , 7 6 , 7 5,6 4,9 <<giovanili» Basso 5,8 7 ,8 9,5 9,3

Nullo 1,8 4,2 5,3 9,6

L'incrocio delle due dimensioni definisce una tipologia di modelli di consumo e tempo libero. Il primo tipo pre­senta livelli alti o medi sia di fruizione della «cultura giova­nile» che della «cultura dotta»: chiameremo, per brevità,

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quei giovani che rientrano in questo tipo, «ludici e colti». Il secondo tipo presenta livelli medi o alti di «cultura dotta» e livelli bassi o nulli di «cultura giovanile», chiameremo co­storo semplicemente «colti». Il terzo tipo, al contrario, avrà alti o medi livelli di «cultura giovanile» ma bassi o nulli li­velli di «cultura dotta», chiameremo costoro semplicemente «ludici». Infine, chi ha bassi o nulli punteggi in entrambe le dimensioni risulterà appartenere al gruppo degli «esclusi», si tratta di coloro che non dispongono delle condizioni og­gettive e/o delle disposizioni soggettive per poter accedere sia ai consumi giovanili che ai consumi culturali tradizio­nali.

Questi «tipi» si distribuiscono in modo differenziato nello spazio sociale, essi identificano quindi diversi modi di uso del tempo e di consumo che corrispondono a condizioni giovanili socialmente e culturalmente diverse . Vediamo quindi come si distribuiscono i vari tipi a seconda dei vari fattori di differenziazione. In altre parole, cerchiamo di ri­spondere alla domanda: quali sono i fattori sociali che con­dizionano gli stili di vita della popolazione giovanile?

Esaminiamo innanzitutto l 'influenza del sesso e dell'età nei dati della tabella VII .3 .

Il modello della «cultura giovanile» appare come preva­lentemente maschile, mentre il modello della «cultura dotta» appare come prevalentemente femminile: i ragazzi «ludici» sono in tutte le classi d'età più del doppio delle ra­gazze «lud.iche», mentre le ragazze «colte» superano netta­mente, see.\Jre in tutte le classi d'età, i ragazzi «colti». L'accesso alla cultura, come abbiamo avuto modo di notare

TAB. VII .3 . Tipologia di comumi e uso del tempo libero per sesso ed età

Maschi Femmine

15-17 18-20 2 1-24 15-17 18-20 2 1 -24

Ludici e colti 24,7 29, 1 26.3 24,5 30,9 22,0 Colti 15 ,0 14,5 15,0 22,7 22,5 26,1 Ludici 26,9 3 1 , l 29,5 1 3 , 1 12,0 12,0 Esclusi 33,5 25,3 29,2 39,6 34,7 40,0

100 100 100 1 00 1 00 100

Chi' 178,47 (15 g.d.i .) .

127

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in varie occasioni, rappresenta evidentemente per le ra­gazze un modo per affermare la propria autonomia. L'alta quota di ragazze «colte» è infatti da mettere in relazione al­I' alta quota di «escluse», di ragazze cioè che non escono di casa, né per coltivare i propri interessi culturali, né per di­vertirsi come e con i coetanei. Sia per i maschi che per le femmine gli anni d'oro delle attività di tempo libero e di consumo sono quelli tra i 18 e i 20, quando si comincia a uscire dalla tutela famigliare e non si sono ancora assunte responsabilità adulte.

Se il sesso e I' età sono fattori che condizionano sensibil­mente i modelli di uso del tempo libero e di consumo dei giovani, la condizione socio-economica della famiglia resta pur sempre uno dei più potenti fattori di differenziazione, e ancor di più lo è il livello culturale dei genitori. Abbiamo analizzato la distribuzione della nostra tipologia in rela­zione all' indice culturale famigliare calcolato su sette livelli in modo che emergesse il nesso lineare molto forte che spiega come le opportunità di accesso alla cultura, ed anche alla cultura giovanile, dipendano dal tipo di famiglia in cui si nasce. I dati sono riportati nella tabella VII .4 .

Questi dati si commentano da soli: le disuguaglianze nelle possibilità di adattare modelli di consumo «c_olti» o «giovanili» dipendono fortemente dalla famiglia. E vero che vi è pur sempre un 26,6% di giovani con entrambi i ge­nitori analfabeti o quasi che presenta livelli elevati di con­sumo culturale, ma la stessa percentuale per i giovani che

T AB. VII. 4. Tipologia di consumi e uso del tempo libero per livello culturale della fa­miglia

Livello culturale della famiglia

Molto Alto Medio Medio Medio Basso Molto alto alto basso basso

Ludici e. colti 38,2 38,2 37,6 2 5 ,9 2 1 ,6 1 1 ,3 1 1 ,2 Colti 28,1 24,3 19,8 22,4 16,1 14,7 15,4 Ludici 19,6 19,5 18,0 19,2 23,4 2 1 ,6 1 7,0 Esclusi 14,2 1 7 ,9 24,6 32,5 39,0 52,4 56,4

100 100 100 100 100 100 100

Chi> = 257,68 (2 1 g.d.l .l .

128

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hanno entrambi i genitori laureati è di ben 40 punti supe­riore (66,3%) . È da notare comunque che l'unico tipo che non presenta una distribuzione legata al livello culturale della famiglia è quello dei «ludici», cioè dei ragazzi e delle ragazze con scarso o nullo accesso alla cultura dotta, ma che tuttavia consumano intensamente la «cultura giovanile». Qui gioca senza dubbio un ruolo determinante la disponibi­lità di denaro dei giovani lavoratori che, come sappiamo, provengono in gran parte dagli strati inferiori della popola­zione. Per costoro il lavoro precoce diventa uno strumento per essere uguali agli altri giovani che studiano, almeno per quanto riguarda l' accesso ad alcuni tratti esteriori della cul­tura giovanile. Questo dato viene specificato prendendo in considerazione la condizione di lavoratore o di studente, come risulta dalla tabella VII .5 .

La condizione più svantaggiata in relazione all'accesso ai consumi sia culturali che giovanili risulta quella di coloro che hanno già abbandonato gli studi e che tuttavia non la­vorano: si tratta di giovani inoccupati e disoccupati (in maggioranza donne e residenti nelle regioni meridionali e nelle isole) . Non stupisce, purtroppo, che la quota degli «esclusi» sia quasi doppia al Sud/i.sole rispetto alle regioni del Nord.

Ci sembra, infine, importante riferire che l'analisi dei dati relativi alla nostra tipologia di fruitori/consumatori di tempo libero ha messo in evidenza una connessi1)ne al­quanto significativa con la dimensione autodeterminazio­ne/fatalismo che, come abbiamo visto coglie un aspetto im-

TAB. VII.5 . Tipologia di consumo e uso del tempo libero rispetto alla condizione di studente o lavoratore

Studenti Lavoratori Non studiano Totale e non lavorano

Ludici e colti 33,7 23,8 16,2 26, 1 Colti 24,2 15,5 17,5 19,4 Ludici 16,8 27,8 15,7 20,8 Esclusi 25,3 32,9 50,6 33,7

100 100 100 1 00

Chi2 208,03 (6 g.d.l.) .

129

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TAB. VII .6 . Tipologia di uso del tempo libero e di consumo per indice di autodetermi· nazione/fatalismo

Ludici e colti Colti Ludici Esclusi

Autodet. Quasi Quasi Fatalisti

33,1 22,3 21,0 23,5

100

autodet. fatalisti

27,7 21,1 20,8 15,8 20,1 20,7 31,2 42,4

100 100

12,4 16,9 23,2 47,6

100

Chi2 = 140,07 (12 g.d.l .) .

Incerti

17,2 11,2 18,7 53,0

100

portante del modo dei giovani di porsi nei confronti della vita e del futuro . L'orientamento fatalistico, in base al quale il soggetto si percepisce come una persona dotata di scarso controllo e capacità di determinare il proprio futuro, risulta assai più frequente tra quei giovani che hanno un basso livello di partecipazione alle attività di tempo libero e ai consumi giovanili, in particolare se si tratta di attività e di consumi culturali. Al polo opposto, coloro che manife­stano fiducia nelle proprie capacità di governare la propria vita e di compiere delle scelte sono assai più attivi nel riem­pire il loro tempo libero, soprattutto se riescono a combi­nare le espressioni tipiche della cultura giovanile con l' ac­cesso a consumi culturali di grado più elevato. I dati della tabella VII .6 mettono chiaramente in luce questa relazione.

4. Mass-media e modelli di consumo

È noto che i giovani sono grandi consumatori di mass­media. Sembra che il recente cospicuo aumento di lettura dei quotidiani sia in larga misura da attribuire alle nuove leve di lettori giovani. Inoltre, la televisione può contare tra i suoi «utenti» una quota consistente di giovani . Nei confronti dei giovani, e forse non soltanto di essi, giornali e televisione risultano però essere due mezzi almeno in parte competitivi, nel senso che un'alta esposizione alla televi­sione si associa frequentemente a scarsa lettura dei giornali, e viceversa. Inoltre, mentre il numero di ore passate eh-

130

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vanti al televisore tende a ridursi con l'età (anche dai nostri dati i 15-17enni risultano fruitori assai più intensi dei 2 1-24enni) , la lettura dei quotidiani cresce, come se avvici­nandosi all'età adulta la lettura sostituisse parzialmente l'e­sposizione al mezzo televisivo.

A noi però in questa sede interessa vedere se e come il consumo di media si associ ai modelli di uso del tempo li­bero e di consumo che abbiamo individuato e, in partico­lare, se giornali e televisione siano connessi a modelli di­versi. Non pensiamo necessariamente che vi possa essere una relazione causale tra esposizione a un certo tipo di me­dia e adozione di un particolare stile di consumo (anche se una relazione causale non è da escludere) , ci basta consta­tare se e in che misura il consumo di giornali e di televi­sione faccia parte di modalità diverse di essere giovani e consumatori. L'incrocio tra la nostra tipologia, la lettura di quotidiani e l'esposizione alla televisione ci indica, come ri­sulta dalle tabelle VII. 7 e VII.8, che questo nesso esiste ed è anche sorprendentemente forte.

La lettura dei quotidiani è associata in generale alle atti­vità di tempo libero e di consumo nel senso che chi legge poco i quotidiani tende anche ad essere poco attivo nel tempo libero. Ma, soprattutto, i giovani lettori di quotidiani sono anche grandi consumatori sia di cultura giovanile, sia di cultura dotta. Chi consuma nel tempo libero soltanto cultura giovanile legge in genere meno i quotidiani di chi consuma cultura dotta, ma legge di più di chi se ne sta in casa.

TAB. VII.7. Tipologia di uso del tempo libero e di consumo per frequenza di lettura dei quotidiani

Mai o Meno di 1-2 volte 4-.5 volte Tutti i quasi l volta settimana settimana giorni mai settimana o quasi

Ludici e col ti 9,3 16,6 30,.5 3 1 ,2 37,0 Colti 14,6 18,7 17,6 25,7 22,4 Ludici 16,9 22,1 23,0 18,6 2 1 , 1 Esclusi 59,2 42,6 28,9 23,4 19,.5

(1 9,2) (15,3) (26,9) (1 1,.5) (26,6) 100 100 100 100 100

Chi> = 349,47 ( 1.5 g.dJ.).

1 3 1

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TAB. VII.8. Tipologia di uso del tempo libero e di consumo per esposizione alla tele-visione

Meno di Da l a Da 2 a Da 3 a Da 4 a Più di l ora 2 ore 3 ore 4 ore 5 ore 5 ore

Ludici e colti 29,4 28,7 26,6 25,7 20,3 13 ,3 Colti 22,7 21 ,9 17 ,6 15,6 19,0 19,5 Ludici 18,4 2 1 , 9 2 1 , 1 20,2 23,6 15,4 Esclusi 29,4 27,6 34,7 38,6 37,1 5 1,8

(9,2) (31 ,4) (30,3) (14,9) (7,7) (6,4) 100 100 100 100 100 100

Chi' = 79,58 (18 g.d.l.).

Per quanto riguarda l'esposizione alla televisione, il nesso tra le due variabili è meno forte, ma va esattamente nella direzione opposta. · I giovani grandi consumatori di tele­visione tendono ad essere scarsamente attivi nel tempo li­bero, partecipano di meno sia alla cultura giovanile che alla cultura dotta. L'esposizione alla televisione non sembra quindi indurre ad altre attività di tempo libero, ma piuttosto a sostituirsi ad esse. Sembra quasi che il fatto di restare tante ore davanti al televisore riduca sia la propensione ad uscire (per andare al cinema, a teatro, ma anche allo stadio o in di­scoteca), sia la propensione alla lettura di libri e quotidiani.

5. Le attività sportive e le vacanze

Tra le attività di tempo libero lo sport occupa senz'altro una posizione importante nella fase giovanile del ciclo di vita. Ma proprio in riferimento alla pratica sportiva si no­tano le differenze più forti tra i .due sessi. Dai nostri dati emerge il quadro seguente:

- non praticano mai nessuno sport : 18% (maschi) , 57% (femmine)

- praticano sport solo in vacanza: 26% (maschi) , 17% (femmine)

- praticano sport durante l'anno: 56% (maschi) , 26% (femmine) .

Vi sono soltanto alcune attività sportive che sono prati­cate più frequentemente dalle ragazze rispetto ai ragazzi

132

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(ginnastica, pattinaggio e sport equestri) . È interessante ve­dere quali sono gli sport preferiti dai maschi e dalle fem­mine. I dati che seguono indicano la percentuale di coloro che hanno praticato i vari sport almeno 2 volte negli ultimi 12 mesi rispettivamente dai maschi e dalle femmine:

Mascbi Femmine

l . Calcio 52,5 l . Ginnastica 32,5 2. Nuoto 27,4 2 . Nuoto 24,9 3 . Tennis 25,0 3 . Palla volo 18,2 4. Ping-pong 23,0 4 . Sci/sport invernali 9,6 5 . Ginnastica 20,8 5 . Tennis 7,5 6. Pallavolo 18 ,6 6. Atletica 7 , 1 7. Pallacanestro 14,0 7. Pattinaggio 6,8 8. Sci/sport invernali 13 ,3 8. Pinfpong 5,0 9. Atletica 12,4 9. P al acanestro 3,9

l O. Podismo 7,2 10. Podismo 3 ,3 11 . Ciclismo 5 ,9 1 1 . Calcio 3 ,3 12. Motociclismo 5 ,8 12. Ciclismo 2,5 13. Pesca subacquea 5,6 13 . Windsurf 2,5 14. Windsurf 4,8 14. Equitazione 2,2 15. Pattinaggio 4,8 15. J udo/Kara te 1 , 9 16 . Bocce 4,3 17. J udo/Karate 4 ,0 18. Caccia 3,5 19. Vela 2,1 20. Alpinismo/roccia 2 ,0

La pratica sportiva, però, sembra occupare soltanto una fase piuttosto limitata del ciclo di vita. I nostri dati ci con­sentono soltanto un confronto tra i giovanissimi (15-17 anni) e i meno giovani (18-20 e 21 -24 anni) , ma per quasi tutti gli sport le percentuali di «praticanti» d iminuiscono con l'età (sono esenti da questo declino solo la caccia, il motociclismo, il podismo e lo sci) . Quando si cresce si fa sempre meno dello sport, quasi che l'abbandono di un' attività sportiva segni simbolicamente il raggiu;lgimento dell'età adulta.

Ma non è solo l'età a influire sulla pratica o meno di uno sport. Dai nostri dati emerge anche che la pratica sportiva è per i giovani, se così ci si può esprimere, un «privilegio di classe». Perfino sport molto popolari come il calcio sono pra­ticati più frequentemente dai ragazzi di classe superiore ri­spetto ai coetanei di più modesta origine sociale . I dati ripor­tati nella tabella VII .9 sono a questo proposito assai elo­quenti.

1 3 3

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TAB. VIU). Pr<1 t i ca sportiva per livello socio-culturale famigliare

Basso Medio Medio Alto basso alto

Non praticano nessuno sport 5 1 ,0 36,5 21 ,0 16,3 Praticano:

atletica 4,7 8,8 1 1 ,0 14,2 calcio 23,8 25,2 30,8 33,3 judo/karate/lotta 2,0 2 ,3 2,9 5,2 ciclismo 2,3 2,7 4,7 8,0 nuoto 10,4 19,7 3 1 ,7 43,9 sci/sport invernali 3,4 7,7 1 1 ,7 24,5 tennis 9,7 1 1 ,8 1 8,0 28,9 pallacanestro 2,3 7,2 10,3 16,3 ping-pong 4,7 1 1 ,9 15 ,6 23,3 pattinaggio 1 ,7 5,6 5,6 9,8 palla volo 8,4 15,5 22,8 26, 1

TAB. Vll . 1 0 . Vacanze per livello socio-culturale della famiglia

Basso Medio Medio Alto basso alto

Ha passato almeno 4 giorni di vacanza fuori dal comune 38,9 60,5 73,0 87,3

Ha fatto un viaggio in aereo 3,4 4,3 7,9 15 ,0 È andato all'estero 5,7 13 ,3 19,8 32,3 Ha dormito in un albergo o pensione 22,8 32,9 4 1 ,0 59,9 Ha dormito in tenda 8,4 14,2 18,5 23,5 Ila dormito in roulotte/camper 3,0 6,1 7,0 9,8 Ha fatto un viaggio in comitiva con un

gruppo organizza t o 1 7,8 22,8 27,9 3 1 ,5 Ha trascorso qualche week-end dormendo

fuori casa 19,8 23,0 43 ,3 62,5

Sembra evidente che qualora si voglia estendere la dif­fusione della pratica sportiva tra i giovani è necessario agire su una serie di barriere sociali e culturali che funzionano da ostacolo e da freno, riducendo sensibilmente la quota di giovani che hanno accesso alle opportunità di praticare uno sport.

Un cenno, infine, merita la diversa posizione dei gio­vani nei confronti delle «vacanze» . Nonostante l 'abitudine di «andare in vacanza» si sia indubbiamente diffusa, soprat­tutto tra i giovani, in strati sempre più ampi della popola­zione , i dati della nostra ricerca indicano la persistenza di

1 34

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forti disuguaglianze nell'accesso a questo t1p1co «bene» della società dei consumi. Del resto, la pubblicità di una va­sta gamma di beni di consumo rappresenta assai spesso si­tuazioni di gente (quasi sempre giovani) in vacanza. L'aspi­razione alla vacanza è assai forte tra i giovani, ma la sua realizzazione incontra frequentemente ostacoli altrettanto forti di natura sociale. Per «andare in vacanza» i giovani devono per lo più dipendere dalle risorse famigliari e, nono­stante il «turismo di massa», sono ancora molte le famiglie che non sono in grado di far fronte a questo tipo di esi­genza, come risulta dai dati della tabella VII. lO .

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VI l i . Devianza e trasgressioni

1 . La percezione delle norme sociali

Gli orientamenti alla conformità o alla devianza sono una spia importante per definire i caratteri di una colletti­vità. I valori, le norme, le regole tracciano il confine tra le­cito ed illecito : infrangere la norme vuol dire varcare tale confine, andare al di fuori dello spazio morale che identi­fica i criteri di appartenenza alla collettiviÙ. Ma mentre i confini fissati dalle norme giuridiche sono relativamente ben delimitati (se non altro per il fatto che esiste un appa­rato per presidiarli), i confini morali sono spesso vaghi, mu­tevoli e soggetti ad essere variamente interpretati.

Uno dei modi per capire chi sono i giovani, qual è il loro grado di integrazione sociale, come essi si pongono di fronte alla società è, appunto, vedere come essi interpre­tano le norme sociali, in che misura le fanno proprie, quale propensione manifestano verso la loro trasgressione. Anche l'analisi dei mutamenti osservabili col passare del tempo e con il crescere dell'età, può fornire utili elementi per co­gliere i cambiamenti che intervengono tra le diverse leve della popolazione giovanile tanto nella percezione delle re­gole morali della società, quanto nella costruzione dei co­dici di comportamento personali.

Per rispondere a questi interrogativi abbiamo sottopo­sto un elenco di sedici comportamenti, atti a mettere in luce la percezione delle regole morali da parte degli intervi­stati. Alcuni di questi comportamenti sono chiaramente il­leciti e giuridicamente punibili (i piccoli furti, l'evasione fi­scale, il danneggiamento di beni pubblici); altri, entro certi limiti, sono ammessi dalla legge, anche se all'interno della società «adulta» vengono valutati in modi assai diversi (il

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divorzio, l'aborto) ; altri ancora, pur non penalmente perse­guiti, sono in varia misura giudicati accettabili (avere rela­zioni con una persona sposata, avere rapporti omosessuali) .

Come si vede dagli esempi ora fatti si tratta di un in­sieme di comportamenti che comprende sia vere e proprie manifestazioni di devianza sociale, sia trasgressioni della morale corrente, sia modi diversi di concepire le norme so­ciali. Ai fini espositivi abbiamo preferito una classificazione che facesse riferimento agli ambiti etico-normativi entro i quali tali comportamenti si manifestano, distinguendo cin­que tipi di azioni a seconda dell'area alla quale sono ascrivi­bili:

l) area dei rapporti economici: viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare, assentarsi dal lavoro senza essere malati, prendere qualcosa in un negozio senza pagare, di­chiarare al fisco meno di quanto si guadagna;

2) area dei rapporti familiari e sessuali: divorziare, avere rapporti sessuali senza essere sposati, convivere senza essere sposati, avere esperienze omosessuali, avere una rela­zione con una persona sposata;

3) area dell'assunzione di sostanze eccitanti o ine­brianti: ubriacarsi, fumare occasionalmente marijuana, pren­dere droghe pesanti;

4) area della vita umana: abortire, sospendere le cure necessarie alla sopravvivenza di un malato incurabile;

5) area della violenza tipicamente giovanile: fare a botte per far valere le proprie ragioni, produrre danni a beni pubblici.

Per ciascuno di questi comportamenti è stato chiesto, con un questionario a parte autocompilato, di dire se, a giu­dizio dell' intervistato, esso fosse criticato o meno dalla so­cietà, se egli personalmente lo ritenesse ammissibile e, in­fine, se riteneva che gli potesse capitare di compierlo. Dalla prima domanda possiamo, quindi, trarre indicazioni in­torno a quelle che i giovani pensano siano le norme sociali, la seconda può essere considerata come un indicatore delle norme individuali e la terza ci fornisce la propensione a compiere quella certa azione. La distribuzione delle dsposte alle varie domande da parte dell'intero campione, così come i confronti con l'indagine del 1983 sono riportati in appendice.

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Nel complesso tutti i comportamenti proposti appaiono ai giovani come in larga misura criticati dalla società. Il comportamento ritenuto più tollerato, l'avere rapporti ses­suali senza essere sposati, è pur sempre considerato da metà degli intervistati come socialmente criticato. È, comunque, nella sfera della morale sessuale che i giovani percepiscono la maggior tolleranza sociale, a parte l'omosessualità e, in misura minore, le relazioni extraconiugali. Vi è, poi, un in­sieme di comportamenti che possiamo chiamare a media tolleranza sociale, nel quale rientrano gran parte delle tra­sgressioni di tipo economico (evasione fiscale, assenteismo, viaggiare sui mezzi pubblici senza biglietto). Un ultimo gruppo di comportamenti è, infine, costituito dalla droga, dal furto, dal vandalismo e dall'omosessualità, per i quali solo meno di un decimo degli intervistati ritiene che non siano criticati dalla società.

Il confronto con le risposte raccolte nell'indagine del 1983 mostra, per l' intero campione, alcune variazioni in aumento o in diminuzione nella percezione della tolleranza sociale. È soprattutto nell'area dei rapporti economici che si osservano le principali differenze. A parte, infatti, i pic­coli furti, rispetto ai quali non si osservano mutamenti tra le due rilevazioni, tanto l'evasione fiscale, quanto l' assen­teismo dal lavoro e il viaggiare senza biglietto sui mezzi pubblici, appaiono ai giovani del 1987 meno criticati dalla società di quanto non lo ritenessero gli intervistati dell"83 . Nell'area dei comportamenti sessuali, invece, solo la convi­venza e l'avere rapporti sessuali senza essere sposati (che, presumibilmente, i giovani intendono come rapporti prema­trimoniali) vengono percepiti, a quattro anni di distanza, come più tollerati, mentre più rigido appare il giudizio della società sul divorzio, l'aborto e l'omosessualità. Anche sul­l' assunzione di droghe (siano esse leggere o pesanti) si os­serva la percezione da parte dei giovani di un maggiore irri­gidimento della società.

Vi è, dunque, tra le due rilevazioni, un certo cambia­mento nel modo in cui gli intervistati interpretano le norme sociali. Occorre, a questo punto, stabilire se tale cambia­mento è dovuto all'intervallo di tempo trascorso e, quindi, ad un'evoluzione della morale corrente (o, per meglio dire, della percezione che ne hanno i giovani) oppure se è l'inter-

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secarsi di componenti evolutive e generazionali a produrre i risultati osservati. A tal fine conviene distinguere i 15- 17enni dal resto del campione. Questo gruppo di età, infatti, è composto dalle nuove leve che non erano rappre­sentate nell'indagine del 1983 e può, quindi, darci indica­zioni più precise su un'eventuale evoluzione dei criteri mo­rali trasmessi ai giovani dalla società adulta.

Se confrontiamo le risposte date dalla coorte più gio­vane con quelle dei 18-24enni, possiamo notare alcune dif­ferenze di rilievo. A parte la droga, l 'omosessualità e l'a­borto, che non mostrano variazioni significative al crescere dell'età, per tutti gli altri items sembra che i più grandi ab­biano una maggiore percezione delle proibizioni sociali . Si tratta di un'aumentata consapevolezza delle norme, acqui­sita con gli anni o, invece, di un diverso modo di intendere la morale sociale da parte delle nuove leve? L'analisi com­parata dei risultati delle due indagini e dei dati ricavabili dal pane! porta ad una conferma della seconda ipotesi.

La tabella VIII. 1 sintetizza i raffronti in parola. Le prime due colonne riportano la percentuale, distinta per i due gruppi di età, di coloro che consideravano criticati dalla società i singoli comportamenti nel 1983 . Le due co­lonne successive danno le stesse informazioni per il 198 7 . L'ultima parte della tabella, infine, dà i risultati ottenuti reintervistando gli stessi soggetti quattro anni dopo; l'ul­tima colonna, in particolare, esprime il coefficiente di stabi­lità di ciascun item, definito come la percentuale di coloro che, nell'arco di tempo considerato, hanno continuato a ri­tenere criticati dalla società i diversi comportamenti.

È abbastanza facile verificare che, in media, la distanza tra le opinioni degli adolescenti del 1983 e quelli del 1987 è maggiore del divario esistente tra i 18-24enni delle due rile­vazioni. Vi è, quindi, da parte dei più giovani, una perce­zione della società come maggiormente permissiva, soprat­tutto per le trasgressioni di tipo sessuale ed economico. Per quanto riguarda la droga, invece, vi è una maggiore consa­pevolezza, rispetto al passato, della critica che la società ne fa, anche se questa consapevolezza è maggiore tra i più grandi.

Gli stessi dati del pane! confermano queste conclusioni: le risposte date dai giovani che sono stati reintervistati a

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TAB. VIII . l . Variazione nel tempo nella percezione delle norme sociali. Percentuale di coloro che considerano criticati dalla società i diversi comportamenti per età e per tipo di rilevazione

Campione '83 Campione '87 Panel '83-'87

1 5 - 1 7 18-24 15-17 18-24 risp. risp. % di an m anm anni anni '83 '87 sta b.

Non pagare SUI trasporti pubblici 81,8 78,4 7 1 , 7 75,9 82, 1 8 1 ,8 69,7

Assentarsi dal lavoro 77,7 77,4 68,0 74,4 80, 1 76,2 6 1 ,6 Prendere qualcosa ln un

negozio senza pagare 9 1 ,8 9 1 ,9 90,3 92,5 92,4 92,7 86,0 Evadere le tasse 77,9 72,6 74,4 7 1 ,4 77,0 70,3 57 ,1 Divorziare 69,4 62,8 64,8 66,4 64, 1 64,1 45,9 Rapporti sessuali senza es-

sere sposati 57,7 49,8 56,0 47,6 55,5 43,4 30,2 Convivenza 62,4 64,4 60, 1 62,3 64,4 69,2 47,0 Esperienze omosessuali 87,6 88,4 91 ,4 9 1 ,8 89,9 88,2 79,5 Relazione con una persona

sposata 83,9 81 ,6 8 1 ,7 82,3 82,3 85,4 72,3 Ubriachezza 80,7 77,7 75, 1 79,9 79,8 82,9 68,1 Droghe leggere 90,7 89,8 90,8 9 1 , 1 88,8 9 1 ,3 81 ,2 Droghe pesanti 95,4 95,0 95,5 96,3 97,2 97,2 94,7 Abortire 74,5 70,9 75,5 75,4 75,6 71 ,4 57,7 Eutanasia 74,5 74, 1 77,4 79,7 74,2 79,8 60,8 Fare a botte 64,8 67,5 64,8 72,7 66,9 70,9 52,7 Danneggiare beni pubblici 87,6 9 1 ,2

quattro anni di distanza mostrano andamenti assai pm si­mili a quelli dei 18-24enni di entrambe le rilevazioni, che non agli adolescenti del 198 7 .

Ci sembra di poter, dunque, concludere che le nuove leve giovanili hanno complessivamente l'immagine di una società più permissiva sul piano delle regole morali, la loro percezione delle norme sociali, infatti, appare più elastica, meno rigida di quanto non Io sia per i fratelli maggiori. Si tratta di un effetto dovuto ad un complesso di fattori che influiscono sul formarsi dei giudizi morali attraverso la fa­miglia, i mass media, la scuola, i gruppi di pari. Se l' aumen­tata sensibilità nei confronti della droga è certamente un ri­sultato positivo, non va trascurato che tutte le trasgressioni di tipo economico sono giudicate, dagli adolescenti del 1987 , meno gravi rispetto al passato.

I dati del pane!, poi, ci danno anche alcune indicazioni circa la stabilità o meno, col passare degli anni e con I' au-

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mentare delle esperienze, dell'immagine delle norme so­ciali. Alcune di esse, infatti, manifestano una forte stabi­lità, come il giudizio sulla droga, sui piccoli furti o sulle re­lazioni extraconiugali. Altri comportamenti, invece, ap­paiono più soggetti a mutamenti: il divorzio, la convivenza, i rapporti prematrimoniali, il fare a botte, per i quali la pro­porzione di coloro che li hanno sempre ritenuti condannati dalla società è inferiore, e talora di molto, alla metà del camp10ne.

Qualche considerazione a parte meritano, infine, l'omo­sessualità e l'aborto. Nella nostra classificazione abbiamo fatto rientrare la prima fra le trasgressioni di tipo sessuale ed il secondo tra quelle che attengono all 'area della vita umana. Tutti gli andamenti osservati mostrano, invece, che nella percezione dei giovani, la società giudica l' omosessua­lità alla stregua dei comportamenti maggiormente condan­nabili, come l'assunzione di droghe pesanti, mentre l'a­borto sembra che sia percepito in modo assai più simile alle trasgressioni di tipo sessuale .

2. Le norme individuali

Il secondo livello nell'analisi dei rapporti dei giovani con le regole di condotta riguarda la moralità personale, ri­levata attraverso la domanda sull'ammissibilità o meno dei diversi comportamenti dal punto di vista, non più della so­cietà, ma degli intervistati stessi. Nel complesso sembra che i giovani, rispetto a quasi tutti i comportamenti proposti, siano diventati più rigidi di quanto fossero nel 1983; fanno eccezione l'assenteismo dal lavoro, l'evasione fiscale e la convivenza senza matrimonio. Nei confronti di questi tre items, infatti, sembra che la morale giovanile sia diventata più tollerante che in passato. Per contro gli intervistati ma­nifestano una valutazione più negativa soprattutto rispetto alla droga (leggera o pesante che sia), all'omosessualità, al­l' aborto e all'eutanasia.

Sembrano, quindi, confermate, almeno nelle linee gene­rali, le tendenze già riscontrate nell'analisi della percezione delle norme sociali. Per andare più a fondo occorre, però, ripercorrere la strada seguita nel paragrafo precedente e ve-

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dere in che misura il sottogruppo degli adolescenti si di­stacca dal resto del campione, per cercare di capire se ci si trova di fronte ad un effettivo cambiamento nei criteri mo­rali delle giovani generazioni.

L'esame delle differenze tra i diversi gruppi di età, al­l'interno del campione del 1987 mostra una notevole stabi­lità nel giudizio sulle droghe pesanti. Indipendentemente dall'età, vi è comunque il 93% circa dei giovani che non ri­tiene ammissibile l'assunzione di tali tipi di sostanze. Di­verso è, invece, il parere sulla marijuana, per la quale l' ac­cettabilità cresce al crescere degli anni; coloro che non giu­dicano negativamente il fumare qualche volta lo «spinello» costituiscono, infatti, il 15% del gruppo più giovane ed il 25% dei 2 1-24enni.

Se, all'interno del complesso di trasgressioni che stiamo esaminando, distinguiamo quelle che si riferiscono all'area del privato da quelle che sono più direttamente connesse alla sfera della convivenza civile e del rispetto degli altri, vediamo due andamenti opposti collegati all'età. L'ammissi­bilità dei comportamenti che più direttamente attengono alla vita del singolo e del suo immediato intorno (divorzio, convivenza, rapporti sessuali fuori dal matrimonio ed extra­coniugali, ubriachezza, droghe leggere, aborto ed eutanasia) cresce al crescere dell'età degli intervistati. Quei comporta­menti, invece, che riguardano l'area delle trasgressioni verso la collettività (evasione fiscale, assenteismo, piccoli furti, viaggiare senza biglietto, fare a botte, danneggiare beni pubblici) diventano sempre meno ammissibili man mano che ci si allontana dall'età adolescenziale.

L'interpretazione di questo risultato è, in linea di prin­cipio, abbastanza agevole. L'aumento, al crescere dell'età, dell'ammissibilità dei comportamenti più strettamente con­nessi alla sfera del privato può collegarsi allo sviluppo dell'i­dentità personale nei giovani. Man mano che si acquisisce il senso del sé, diminuiscono le incertezze di comportamento, aumenta la capacità di gestire la propria vita e, di conse­guenza, si accresce anche la tolleranza nei confronti di quelle trasgressioni che dipendono dalle scelte individuali. Per contro, l'età più adulta porta ad una maggiore consape­volezza del senso dello stato ed al rispetto delle esigenze degli altri e della collettività. Le personalità adolescenziali,

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TAB. VIII .2. Variazione nel tempo delle regole di condotta individuali. Percentuale di coloro che considerano ammissibili i diversi comportamenti per età e per tipo di rilevazione

Campione '83 Campione '87 Pane! '83-'87

15-17 18-24 15-17 18-24 risp. risp. % di anni anni anni anni '83 '87 sta b.

Non pagare sui trasporti pubblici 27,2 25,8 28,7 24,1 26,0 24,6 1 1 ,2

Assentarsi dal lavoro 3 1 , 7 27, 1 38,7 29,5 26,0 27,7 1 1 ,2 Prendere qualcosa in un

negozio senza pagare 10,2 1 1 ,2 10,9 8,7 1 0 , 1 6,7 1 , 7 E v adere le tasse 2 1 ,9 26,2 29,4 28,4 24,9 3 1 ,4 1 1 ,2 Divorziare 66,8 77,2 68,4 76,5 75,3 80,4 64, 1 Rapporti sessuali senza es-

sere sposati 7 1 ,9 83,6 70,5 83,5 77,6 86,8 70,9 Convivenza 73,6 77,5 76,0 80,1 8 1 ,2 83,2 7 1 ,7 Esperienze omosessuali 32,0 38,9 27 ,6 32,2 37 ,5 36, 1 2 1 ,3 Relazione con una persona

sposata 44,7 56,9 43,9 5 1 , 4 49,0 52,1 3 3 ,6 Ubriachezza 45,6 5 1 ,8 47,7 50,3 50,4 49,6 30,2 Droghe leggere 22,7 29,0 15,0 2 3 , 1 23,8 24,4 1 1,2 Droghe pesanti 8,5 8,9 7 ,3 6,4 8,9 1 1 ,2 0,8 Abortire 5 1 ,6 60,4 46,5 54,0 56,6 59,7 40,9 Eutanasia 38,5 40,6 3 1 ,4 35,5 39,8 39,8 22, 1 Fare a botte 42,5 32 ,5 4 1 ,8 30,5 38,9 34,2 17,6 Danneggiare beni pubblici 8,6 5 , 1

invece, proprio perché il processo di formazione dell 'iden­tità è ancora in corso, hanno maggior bisogno di certezze soprattutto nella sfera dei comportamenti individuali e quindi sono più portate ad assumere atteggiamenti rigidi. I processi di socializzazione, peraltro, non sono ancora del tutto completi e, di conseguenza, lo stato e le esigenze della vita associata appaiono più lontane, meno presenti nella problematica di vita degli adolescenti.

Questa interpretazione in termini evolutivi, però, se si adatta bene alla lettura dei risultati dell'indagine 1987 ed a quelli del pane!, non appare altrettanto soddisfacente quando si considerano anche i dati dell'indagine dell"83 . Come, infatti, risulta nella tabella VIII .2 (costruita in modo analogo alla precedente), gli andamenti complessivi secondo l'età sono alquanto differenti. In particolare se confrontiamo le risposte date dalle due coorti di adolescenti (quella dell"83 e quella dell"87), osserviamo un'omoge-

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neità di valutazione solo su alcune trasgressioni (fare a botte, viaggiare senza biglietto) che sono poi quelle tipiche di questa fascia di età. La maggior parte dei comportamenti che rientrano nella sfera dell' economico e dei rapporti ses­suali sono, invece, considerati più ammissibili dagli adole­scenti dell"87; questi ultimi, per contro, sono meno tolle­ranti sia verso la droga, sia verso l'omosessualità sia, infine, nei confronti dell'area della salvaguardia della vita umana (aborto, eutanasia) .

Questi risultati portano a pensare che i giudizi degli adolescenti del 1987 differiscono da quelli del 18-24enni, non solo per ragioni di carattere evolutivo, ma anche per­ché i loro codici morali sono, anche dal punto di vista gene­razionale, diversi.

Nell' analizzare il modo in cui i giovani percepiscono le norme sociali, avevamo rilevato che la nuova leva di adole­scenti mostra un diverso modo di porsi nei confronti di queste, soprattutto per quanto riguarda le trasgressioni di tipo economico. L'esame delle regole di condotta indivi­duali ha confermato solo in parte questa tendenza. In que­sto caso, peraltro, proprio perché ci muoviamo nel campo della morale individuale, vi è un maggior intersecarsi di componenti evolutive e generazionali. Non ci sembra, però, che venga smentita l'ipotesi di un minor senso dello stato e della collettività nelle generazioni più giovani, anche una volta scontati gli effetti dovuti all'età.

Ci siamo mossi, finora, per esaminare gli atteggiamenti dei giovani verso i comportamenti devianti e trasgressivi, in una prospettiva unidimensionale. Abbiamo, cioè, visto la percezione delle norme sociali e la tolleranza individuale verso tali · tipi di azioni, considerandole singolarmente. In nessuno di noi, peraltro, ed ancor meno nelle età di forma­zione della personalità, vi è corrispondenza tra i codici so­ciali e quelli individuali, tra la nostra rappresentazione delle norme generalmente condivise e le regole che ci guidano nell'agire, tra ciò che singolarmente ciascuno è disposto ad ammettere e a tollerare e quelli che invece immaginiamo siano i livelli di accettabilità da parte della società. Per ca­pire meglio il grado di identificazione dei giovani con le norme sociali può essere utile vedere in quale rapporto essi le pongano con i propri codici morali. Le combinazioni e,

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conseguentemente, le tipologie possibili sono quattro a se­conda che la società venga percepita come più rigida ri­spetto ai criteri di giudizio personali o, al contrario, più permissiva, oppure vi sia una percezione di pari tolleranza o pari intransigenza nei confronti delle diverse forme di trasgressione.

L'insieme dei comportamenti proposti alla valutazione degli intervistati è, come abbiamo visto, notevolmente ete­rogeneo; di conseguenza la distribuzione dei quattro tipi varia molto a seconda degli items. Per dare, tuttavia, un'in­dicazione di estrema sintesi e con tutte le cautele del caso, possiamo dire che, in media, · il 54% degli intervistati trova una corrispondenza fra il proprio giudizio di inammissibi­lità e la critica da parte della società. Circa un quarto degli intervistati, poi, ritiene che la società adotti, mediamente, criteri più rigidi dei propri, mentre il resto del campione è diviso tra coloro (sono il 14%) che ritengono di essere tol­leranti tanto quanto lo sono gli altri e un gruppetto di «mo­ralisti» (pari all'8%) che invece si raffigura una società più lassista rispetto ai propri codici morali.

La distribuzione, secondo il sesso e l'età, di coloro che, per i vari comportamenti, ritengono le proprie norme al­trettanto rigide di quelle della società (cioè che hanno ri­sposto che quell'azione è criticata ed inammissibile) è ripor­tata nella tabella VIII.3 . Considerando l'intero campione possiamo rilevare che, nel complesso, l'area di maggior identificazione dei giovani con le norme della società è quella della droga, dell'omosessualità, dei furti e dei dan­neggiamenti ai beni pubblici; le trasgressioni di tipo etero­sessuale sono invece quelle per le quali i nostri intervistati si ritengono, in genere, più permissivi di quanto non lo sia il mondo degli adulti.

Rispetto alla divisione per sesso e per gruppi di età os­serviamo che, ancora una volta, l'assunzione di droghe pe­sànti è giudicata negativamente e in coerenza con le norme sociali, dalla stragrande maggioranza dei giovani, indipen­dentemente dalle suddivisioni nei vari sottogruppi. A que­sto punto ci sembra di poter dire che la pericolosità della droga sia entrata nella coscienza dei giovani certamente in misura maggiore che nel passato, anche se avremo modo più avanti di rilevare come vi sia ancora una quota abba-

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TAB. VIII . 3 . Coerenza tra norme sociali e norme individuali. Percentuale di colom che ritengono criticati e non ammissibili i diversi comportamenti secon· do il sesso e l'età

M F M F M F 15-17 15-17 18-20 18-20 21-24 21-24 T o t.

anni anm anni anni anm anni

Non pagare sui trasporti pubblici 52,0 57,5 52,5 56,1 61 ,4 66, 1 58,3

Assentarsi dal lavoro 55,1 45,9 60,3 54,5 62,6 56, 1 56,2 Prendere qualcosa in un

negozio senza pagare 80,7 83, 1 82,4 86,4 84,9 87,2 84,4 Evadere le tasse 55,8 55,7 58,7 56,4 53,4 54,6 55,6 Divorziare 27,2 2 1 ,4 23,6 18,5 17,5 17 ,2 20,5 Rapporti sessuali senza es-

sere sposa ti 16,7 29,5 8,6 15,9 7,9 15 ,4 15, l Convivenza 18,0 18,6 13 , 1 19,5 12,0 1 7 ,9 16,3 Esperienze omosessuali 68,9 65,2 70,5 60,0 65,5 61,2 65,0 Relazione con una persona

sposata 42,7 56,5 34,7 56,3 3 1 ,6 53,8 45,5 Ubriachezza 43,0 45,9 36,4 48,9 41,8 50,5 44,6 Droghe leggere 76,4 8 1 , 7 70,5 77,0 67, 1 72,9 73,7 Droghe pesanti 88,4 89,9 90,3 90,5 9 1 , 1 9 1 , 1 90,3 Abortire 46,5 44,2 44,0 40,9 33,5 37,5 40,4 Eutanasia 56,3 56,2 56,2 57,0 52,6 57,5 55,9 Fare a botte 42,8 46,0 50,2 56,1 57,5 60,7 53 ,1 Danneggiare beni pubblici 8 1 ,5 79,2 84,8 85, 1 89,8 87,7 85,2

stanza consistente di ragazzi altamente esposta a questo ri­schio.

Diverso, invece, è il rapporto con le droghe leggere, nei confronti delle quali la permissività dei giovani aumenta con gli anni, anche se vi è la consapevolezza della critica da parte della società.

L'analisi per gruppi di età mette in rilievo, poi, come al­cuni tipi di trasgressioni siano legati particolarmente a com­portamenti di tipo adolescenziale: fare a botte, compiere piccoli furti, danneggiare beni pubblici, viaggiare senza bi­glietto, sono azioni per le quali il grado di adesione alle re­gole della società è direttamente proporzionale all'età degli intervistati.

Per sintetizzare le informazioni ricavabili da questo in­sieme di domande abbiamo costruito un indicatore del grado di coerenza tra le norme sociali e quelle individuali ed espresso dal numero di items per i quali ciascun intervi­stato ha risposto che l 'azione era criticata dalla società e da

1 -!7

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lui stesso giudicata non ammissibile. Anche se si tratta di una misura che unifica in modo forse un po' arbitrario di­mensioni diverse, ci sembra che essa metta bene in luce l'atteggiamento generale dei giovani nei confronti della de­vianza e delle trasgressioni. L'analisi degli andamenti di questo indice (che per brevità qui non riportiamo in modo dettagliato) mostra che l'immagine delle regole sociali ed il grado di accettazione da parte del singolo dipendono in larga misura dal livello culturale della famiglia e dalla di­mensione del comune in cui il giovane vive.

Il livello culturale appare, infatti, correlato negativa­mente col grado di accettazione delle norme sociali: tanto più alto è il primo tanto minore il secondo. Anche lo status socio-economico della famiglia mostra lo stesso andamento, salvo che per il sottogruppo di condizioni più disagiate, per i quali il livello di adesione è altrettanto basso di quello dei figli di classe alta. I modelli sottostanti, presumibilmente, sono qui di segno opposto. Chi gode di una situazione eco­nomica e culturale elevata può permettersi un certo grado di spregiudicatezza nei confronti della morale corrente; per i giovani meno favoriti dalle origini familiari si tratta, in­vece, di un vero e proprio rifiuto della società, che si mani­festa anche non rispettandone le regole.

Una correlazione negativa con il grado di accettazione delle norme sociali la .si osserva anche per quanto riguarda l'ampiezza del comune di residenza. Non è, d'altronde, una nostra scoperta che la cultura urbana è generalmente più trasgressiva di quella rurale e dei piccoli centri; semmai c'è da sottolineare il fatto che questo atteggiamento si riflette anche su chi poi, in concreto, non ha alcuna propensione personale alla trasgressione.

3. La propensione a trasgredire

L'ultima area da esaminare è quella dell'effettiva dispo­nibilità a compiere una certa azione deviante o trasgressiva. Si tratta di una dimensione assai difficile da cogliere, anche con una domanda abbastanza neutra, come quella da noi utilizzata («Pensa che questa cosa potrebbe capitare anche a lei?») perché presuppone che l'intervistato non solo sia

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sincero, ma sia anche capace di proiettarsi in una situazione ipotetica, nella quale può non essersi mai trovato. Per tale motivo le indicazioni tratte da questa domanda non pos­sono fornire previsioni sulla devianza giovanile, né tanto­meno danno conto di comportamenti concreti, ma servono solo, specie se trattate congiuntamente in strutture di coe­renza, a conoscere la generale propensione alla trasgres­sione da parte degli intervistati.

Il confronto tra le risposte date nell"83 e nell"87 mo­stra che su tutti gli items la percentuale di quelli che hanno detto che potrebbe capitare loro o è rimasta stabile oppure è diminuita, con l'unica eccezione dell'assentesimo lavora­tivo. In particolare è in calo la disponibilità verso la droga, a conferma di una tendenza già riscontrata sul piano delle norme, così come verso l'aborto e l'omosessualità. Il con­fronto per gruppi di età mostra, ancora una volta, una mag­gior propensione dei più giovani alle trasgressioni nell'area del pubblico, e dei più grandi a quelle connesse alla sfera della vita privata.

Anche in questo caso può essere utile combinare as­sieme le risposte date alla domanda sulla percezione delle norme sociali con la propensione a compiere quell'azione. La tabella VIII .4 riporta, distintamente per sesso e gruppi di età, la percentuale di quanti ritengono ciascuna azione socialmente criticata e purtuttavia hanno dichiarato che po­trebbe capitare loro di compierla.

La propensione a trasgredire le norme sociali è decisa­mente più alta tra i maschi che tra le ragazze, in alcuni casi la differenza è piuttosto rilevante, come ad esempio ri­guardo all'avere una relazione con una persona sposata (tra­sgressione che circa un quarto dei maschi è disposto a com­piere contro il 4% delle femmine) , al divorzio o all'ubria­chezza. Particolare è poi l'andamento della distribuzione per sesso ed età di coloro che mostrano una disponibilità ai rapporti sessuali senza matrimonio; in questo caso il divario tra ragazzi e ragazze va progressivamente diminuendo al crescere dell'età. L'unica eccezione a questo modello gene­rale è costituita dall'aborto, verso il quale la disponibilità alla trasgressione è più elevata per le femmine ed è corre­lata positivamente con I' età. Siamo qui in presenza di un modello culturale fortemente radicato, secondo il quale l'a-

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TAB. VIII.4. Propensione alla trasgressione delle norme sociali secondo il sesso e l'età

M F M F M F 1 5 - 1 7 15- 1 7 18-20 18-20 2 1 -24 2 1-24 Tot. anni anni anni anni anni anni

Non pagare sui trasporti 25,0 25,5 1 5 ,2 23,9 pubblici 25,8 24,2 30,5

Assentarsi dal lavoro 16,9 15,2 19,6 16,2 14,0 1 3 , 1 15,6 Prendere qualcosa in un

negozio senza pagare 7,6 3,3 4,8 2,7 4 , 1 2 , 1 4,0 Evadere le tasse 1 1 ,5 7 ,9 13 ,6 6,3 10,8 5,8 9,2 Divorziare 14,0 8,8 15,0 10,5 16,0 1 1 ,4 12,8 Rapporti sessuali senza es-

sere sposati 23,8 8,3 26,4 2 1 ,5 29,1 23,7 22,7 Convivenza 15,7 13,5 22,7 1 8 , 1 22,9 18,2 18,8 Esperienze omosessuali 1,2 1 , 7 1 , 2 0,3 1,2 2,0 1 ,3 Relazione con una persona

sposata 16,4 3,2 25 , 1 7,3 25,6 6,7 14,4 Ubriachezza 1 7,6 1 1 , 8 28,5 14,8 28,2 1 1 ,9 19,0 Droghe leggere 4,1 1 ,8 9,2 4,6 8 , 1 3,9 5,4 Droghe pesanti 1,4 0,3 0,8 l , l 1 ,0 0,2 0,8 Abortire 5,4 0,1 7,4 0,5 9,3 3,9 Eutanasia 7,0 6,3 10,3 9,8 9,8 7,2 8,4 Fare a botte 25,6 9,0 18,9 6,0 16,3 7,0 13 ,5 Danneggiare beni pubblici 8 , 1 1 , 7 3,5 0,5 2,0 0,7 2,6

borto è un problema della donna, soprattutto nelle sue con­seguenze pratiche. Abbiamo visto, infatti, che quanto a norme sociali e individuali le differenze tra maschi e fem­mine su questo item non sono di rilievo; eppure solo un ra­gazzo su cento ha detto che l'aborto è una cosa che «po­trebbe capitargli».

Gli andamenti per età confermano ulteriormente alcune delle conclusioni alle quali siamo pervenuti nell'analisi della percezione delle norme sociali e dei codici personali dei gio­vani. Vi è una struttura di fondo che non cambia con gli anni e porta al rifiuto delle droghe pesanti; altrettanto radi­cato sembra anche il giudizio sull'omosessualità. Vi è , poi, un insieme di comportamenti, tutti riferiti all'area delle re­lazioni sessuali, verso i quali i giovani, man mano che cre­scono , si dichiarano sempre più disponibili a far propri, an­che malgrado la critica o la condanna da parte della società_ Alcuni atti trasgressivi come fare a botte, danneggiare beni pubblici, commettere furtarelli, si dimostrano tipici dei ra­gazzi più giovani dato che la propensione a commetterli va

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decrescendo con gli anni. Un gruppo di azioni, infine, sem­bra tipico delle età comprese tra i 18 ed i 20 anni: viaggiare senza biglietto, ubriacarsi, fumare marijuana.

Anche in questo caso, per sintetizzare le informazioni della tabella VIII .4 abbiamo costruito un indice sulla base del numero di trasgressioni che ciascun intervistato ha di­chiarato di essere propenso a commettere, pur sapendo di fare qualcosa che la società giudica negativamente. Questo indice di propensione alla trasgressione delle norme sociali, in linea teorica, varia da O a 1 6, dato che quest'ultimo, ap­punto, è il numero di items sottoposto agli intervistati. Il 40% dei giovani del campione ha comunque un valore del­l'indice pari a zero; si tratta di coloro che non sono disposti a commettere alcuna delle azioni che essi ritengono criti­cate dalla società. Vi è, poi, il 44% degli intervistati che trasgredirebbe in uno o due casi ed il restante 16% che, in­vece, non esclude di compiere tre o più atti, anche se li considera condannati dalla società. Gli andamenti di questo indice sono analoghi a quelli osservati per il grado di coe­renza tra le norme sociali e quelle individuali. Più disposti alla trasgressione appaiono i maschi, coloro che provengono da famiglie di classe alta e di cultura elevata, oltre che i più socialmente svantaggiati, gli studenti e i ragazzi che vivono nei centri sopra i 50.000 abitanti.

Per completare questa analisi del modo in cui si manife­sta tra i giovani la presenza o meno dei codici morali e di come questi si modifichino a seconda delle diverse condi­zioni personali e sociali, resta da vedere se ed in che misura gli intervistati siano coerenti con se stessi, se cioè rispettino i propri stessi criteri di giudizio. A tale scopo abbiamo ri­portato nella tabella VIII .5, sempre distinguendo per età e sesso, la percentuale di coloro che hanno valutato le diverse azioni come non ammissibili dal punto di vista personale ed hanno anche detto che non pensano possa capitare loro di compierle.

La maggior coerenza tra le norme individuali ed i com­portamenti effettivi è manifestata, pressoché su tutti gli items, dalle ragazze. Fanno eccezione l'assenteismo, nei confronti del quale i maschi sembrano essere più rigorosi, l 'omosessualità, verso la quale le ragazze hanno forse mi­nori ansie e timori dei loro coetanei e l'aborto per i motivi

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TAB. VIII.5 . Coerenza tra norme individuali e comportamento. Percentuale di coloro che giudicano non ammissibili e non praticabili i diversi comportamenti secondo il sesso e l'età

M F M F M F 15-17 15-17 18-20 18-20 21 -24 2 1 -24 Tot. anni anni anni anni anm anni

Non pagare sui trasporti pubblici 32, 1 37,0 30,9 40,1 41,9 53,9 40,3

Assentarsi dal lavoro 37,6 35,1 43,1 42,0 52,7 49,1 44,2 Prendere qualcosa in un

negozio senza pagare 72,8 81,8 79,4 84,5 82,3 86,0 8 1 ,5 Evadere le tasse 45,1 5 1 ,8 48, 1 56,0 49,1 56,5 5 1 ,3 Divorziare 17,6 16,6 16,0 13,7 13,7 15 ,9 15 ,5 Rapporti sessuali senza es-

sere sposati 13 ,0 26,8 6,9 17 ,3 5,6 15,2 13,6 Convivenza 17,6 19,6 1 1 ,5 2 1,4 12, 1 19,3 16,8 Esperienze omosessuali 72,7 67,6 72,8 60,9 67,0 62,8 67,0 Relazione con una persona

sposata 32,4 5 1 ,5 24,2 5 1 ,9 23,6 49, 1 38,4 Ubriachezza 3 1 , 1 40,9 24,9 40,0 28,2 46,1 35,4 Droghe leggere 77,6 81, l 65,8 74, 1 65,8 74,7 l 72,8 Droghe pesanti 89,7 90,0 91 ,7 90,3 9 1 ,2 92,0 91,0 _ Abortire 53,0 45,3 50,2 42,5 39, 1 36,5 43,6 Eutanasia 49,8 53,7 5 1 ,8 55,5 46,2 52,6 51 ,3 Fare a botte 28,6 48,6 40,3 6 1 ,9 45,0 64,4 48,9 Danneggiare beni pubblici 75,3 85,0 8 1 ,6 89,9 88,7 92,7 86, 1

ai quali abbiamo accennato più sopra. ldentico per i due sessi appare, invece, l 'atteggiamento nei confronti della droga.

L' analisi delle distribuzioni per età riconferma la distin­zione che abbiamo precedentemente fatto tra sfera del pub­blico, nei confronti della quale i più giovani appaiono mag­giormente propensi a compiere trasgressioni e sfera del pri­vato che, invece, sembra preoccupare meno i più grandi. La coerenza tra norme individuali e comportamento va infatti crescendo con gli anni per l'assenteismo, il viaggiare senza biglietto, i piccoli furti, il fare a botte, il danneggiamento di cose pubbliche e, per contro, diminuisce per tutti i com­portamenti connessi con il sesso, oltre che per le droghe leggere e l'aborto.

Al termine di questa analisi degli atteggiamenti e delle propensioni giovanili verso la devianza e le trasgressioni, ci sembra che alcune conclusioni emergano in modo chiaro da tutto quanto detto finora. Vi sono, anzitutto, delle condi-

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zioni per così dire, di fondo che non solo agevolano que­sti tipi di comportamenti ma li rendono anche più tolleranti da parte dei giovani; esse sono, da un lato, le condizioni di vita urbana e, dall'altro, le origini sociali. Queste ultime, come abbiamo visto, operano in una doppia direzione, sia come fattore di emarginazione sociale e, dunque, di mag­gior potenziale trasgressivo, sia, per chi è più avvantaggiato sul piano culturale e sociale, come una sorta di convinci­mento del proprio privilegio, che porta, se non a trasgre­dire, a sentirsi comunque più tolleranti, aperti e possibilisti degli altri.

La distinzione per gruppi di età, ha messo, poi, in luce come la preoccupazione principale dei più giovani sia ri­volta all'area dei rapporti famigliari e sessuali, nei confronti della quale essi sono meno propensi alla trasgressione, più rigidi individualmente e più disposti ad accettare le proibi­zioni della società. Maggior disinvoltura dimostrano gli adolescenti nei confronti delle trasgressioni di tipo econo­mico e non solo, come abbiamo visto, perché a questa età il senso della cosa pubblica è meno forte, ma anche perché i 15-17enni dell"87 sono meno consapevoli di questa dimen­sione rispetto ai loro coetanei di quattro anni prima.

I due items connessi alla difesa della vita umana, euta­nasia ed aborto, · sémbrano invece appartenere ad ambiti problematici diversi, data l'eterogeneità dimostrata dai loro andamenti. Quasi indecifrabile è l'atteggiamento dei gio­vani verso l'eutanasia, probabilmente perché si tratta di una questione poco sentita e, nella maggior parte dei casi, estranea alla loro esperienza diretta. Per quanto riguarda l'aborto, ci sembra confermata l'ipotesi che questo sia un problema che i giovani collegano alla sfera del sesso, piutto­sto che a quello della difesa della vita umana.

4. L'esposizione alla droga

La percezione della pericolosità delle droghe pesanti è, come abbiamo visto, ampiamente diffusa tra tutti i giovani, che nella stragrande maggioranza manifestano anche un alto grado di coerenza tra atteggiamenti e comportamenti. Non va, tuttavia, trascurato che vi è un 2,5% di intervi-

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stati che, pur riconoscendo che si tratta di un comporta­mento socialmente non ammesso, dichiara di non sapere se potrebbe capitargli o meno; vi è, poi, da considerare che circa l' l % degli intervistati ammette che, comunque, po­trebbe fare l'esperienza della droga. In termini percentuali si tratta di valori bassi, ma se li rapportiamo ai circa otto milioni di popolazione in età tra i 15 ed i 24 anni, le cifre dei potenziali consumatori di droga cominciano a diventare cospicue.

Diverso, nel senso di una maggiore disponibilità a tra­sgredire, è l'atteggiamento dei giovani nei confronti delle droghe leggere. In questo caso la percentuale di coloro che hanno detto che potrebbe capitare loro di fumare qualche volta uno «spinello» sale al 6,3% e la proporzione degli in­certi è dell'8,3% il che significa che almeno un intervistato su sette è consumatore effettivo o potenziale di droghe leg­gere. Abbiamo, poi, anche osservato che la disponibilità verso l'assunzione di questo tipo di sostanze cresce 'Progres­sivamente con l'età ed è più elevata fra i figli di classe alta, quindi con maggiore disponibilità di denaro.

Dall'analisi delle risposte date possiamo trarre qualche indicazione su cosa pensino i giovani intorno all'eventuale differenza fra droghe pesanti e leggere. V a osservato, in primo luogo, che quasi 9 intervistati su 10 (1'88,9%) ritiene che la società critichi entrambi i tipi di sostanze, mentre il 7% pensa che siano socialmente condannate solo le droghe pesanti. Sul piano della morale personale, invece, 3 intervi­stati su quattro (il 75,3%) giudica inammissibili entrambe, mentre il 17% ritiene condannabili solo le sostanze come l'eroina e simili, ma non la marijuana (il resto degli intervi­stati ha preferito non rispondere all'una, all'altra o ad en­trambe le domande) .

Vi è dunque, una fascia consistente della popolazione giovanile che distingue nettamente tra droghe leggere e pe­santi e questa distinzione si riflette anche sulle propensioni a consumare tali sostanze . . Una percentuale piuttosto consi­stente (1'84%) di intervistati ha, comunque, escluso la pos­sibilità di ricorrere all'uso di qualsiasi tipo di eccitante, mentre il 5 % dichiara esplicitamente che potrebbe capitar­gli di fumare marijuana ma non di fare uso di sostanze più forti.

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Se teniamo conto delle reticenze e dei rifiuti che questo genere di domande provoca, ci sembra di poter concludere che, complessivamente, il fenomeno della droga, sia ess_a dell'uno o dell'altro tipo, coinvolge una proporzione piuttO" sto consistente della popolazione giovanile.

Qualche elemento confortante sulla diffusione della droga lo si può ricavare dal confronto temporale delle rispo­ste che i giovani hanno dato alle domande sui contatti con il mondo della droga. Come emerge in modo chiaro dalla tabella VIII.6, la comparazione fra i risultati del 1983 e quelli del 1987 mostra che nell'arco di 4 anni l 'esposizione alla droga ha subito una certa diminuzione, particolarmente rilevante per la fascia di età più giovane. Anche i dati del pane! mostrano che, nello stesso arco di tempo, i giovani che hanno avuto contatti con la droga, appartenenti allo stesso gruppo di reintervistati, non sono aumentati in mi­sura considerevole.

Anche se le domande contengono un certo grado di am­biguità, perché non distinguono fra droghe leggere e pe­santi (e abbiamo visto che questa distinzione è di rilievo

TAB. VIII .6. Variazione nel tempo dell'esposizione alla droga. Percentuale di coloro che hanno avuto i diversi tipi di contatto per età e per tipo di rilevazione

Campione '83 Campione '87 Panel '83-'87

15-17 18-24 15-17 18-24 risp. risp. anni anni anni anni '83 '87

Parlare con qualcuno che aveva fatto uso di droga 43,9 60,0 32,0 52,9 50,9 59,3

Conoscere qualcuno ·che usa abitualmente droghe 30,3 43,6 24,0 36,4 35,4 37,4

Vedere qualcuno che ha appena usato una droga 38,5 47,7 32,0 42,0 42,7 48,2

Vedere o prendere in mano qualche tipo di droga 14, 1 23,4 5,9 12,8 18,6 22,4

Sentire il desiderio o la curiosità di provare una droga 5,4 8,9 2,2 5,5 6,1 5,8

Totali ( = 100) 1 .295 2.705 579 1.421 361 361

1 5 5

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per una quota consistente di giovani) , non si può, tuttavia, trascurare il fatto che il 2,2% dei 15-1 7enni ed il 5,5% dei 1 8-24enni ha dichiarato di aver sentito la curiosità o il desi­derio di provare una droga, il che equivale ad ammettere di averlo fatto.

Se, complessivamente, abbiamo osservato come la cam­pagna antidroga di questi ultimi anni ha prodotto un certo effetto, soprattutto sugli adolescenti, i dati qui presentati mostrano come il fenomeno sia ancora esteso e colpisca quote consistenti di giovani. Le percentuali di coloro che dichiarano ammissibile l'uso di droga sono ancora molto elevate e stanno a dimostrare che occorre ancora fare molto, anche solo per fare entrare nella consapevolezza dei giovani la pericolosità di queste sostanze.

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Conclusioni

Forse il lettore che ha seguito fin qui questa sobria, pe­dante e certo noiosa esposizione e illustrazione di dati vorrà chiedere agli autori se è possibile tirare un po' le fila di tutto il discorso e disegnare sinteticamente un profilo di co­loro che vivono oggi la fase giovanile del loro ciclo di vita.

La domanda è senz' altro legittima. L'analisi dei dati è un'operazione di frammentazione dell'oggetto di ricerca in una miriade potenzialmente infinita di aspetti e sfaccetta­ture. Oltre una certa soglia di analisi i dati sembrano sover­chiare la capacità interpretativa del ricercatore per cui assai spesso egli arriva alla conclusione, assai deludente, almeno per il lettore, che la realtà è «estremamente differenziata e complessa». Cercheremo in questo breve capitolo conclu­sivo di non deludere il lettore indicano quelle che, a nostro avviso, sono le caratteristiche salienti dei giovani italiani alla fine degli anni '80, nella consapevolezza, però, che ogni operazione di sintesi e di semplificazione rischia peraltro di risultare riduttiva.

È necessario comunque preliminarmente ricordare che i giovani sono un oggetto singolare di ricerca: essi sono un'entità sociale eminentemente provvisoria. Questa è una delle ragioni che spiegano come mai le ricerche sui giovani invecchino rapidamente. Per quanto, come abbiamo visto, l'età giovanile tenda ad allungarsi come fase del ciclo di vita, essa indica comunque una condizione a termine. Ogni anno la popolazione giovanile si rinnova: come un ponte che collega le sponde dell'adolescenza a quelle dell'età adulta, la gioventù è sempre composta da una popolazione in transito. Fase attraverso la quale passa tutta la popola­zione e non gruppo sociale relativamente stabile nella sua composizione, la gioventù tende a riflettere le differenzia-

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zioni della società piuttosto che ad esprimere caratteri di omogeneità. Così, più che dei giovani in generale, si do­vrà parlare di diverse specifiche «modalità» di essere gio­vani a seconda dello spazio sociale nel quale si muovono i percorsi di vita. Queste diverse «modalità» si riconnettono a condizioni strutturali della società che definicono il tipo di vincoli e di opportunità all'interno dei quali si sviluppa l'agire dei singoli. Queste osservazioni sono così ovvie che non dovrebbe essere necessario ribadirle. Eppure, si sente troppo frequentemente parlare dei giovani in generale, come se ci si riferisse ad un'entità fondamentalmente omo­genea. Invece, il modo di essere giovani è profondamente segnato da condizioni che non dipendono dalla volontà dei singoli attori-soggetti: il sesso, la condizione sociale della famiglia d'origine e l' area geografica nella quale si è nati. Come abbiamo avuto modo di discutere nel corso dell' ana­lisi, le disuguaglianze sessuali, sociali e territoriali restano i fattori di base che condizionano il modo di essere giovani nella società italiana contemporanea. Vediamo ora, sinteti­camente, come queste condizioni attraversano le varie sfere dell'esperienza giovanile.

Partiamo dalla scuola, un'esperienza che è o è stata co­mune a tutti i giovani intervistati. Il processo di scolarizza­zione di massa e di allungamento dei percorsi educativi pro­cede a ritmi molto più lenti di quanto era accaduto negli anni '60 e '70. Rispetto a quegli anni la scuola italiana sem­bra di nuovo aver stretto le maglie della selezione. In ef­fetti, i ragazzi e le ragazze che escono precocemente dall'e­sperienza scolastica segnati dall'insuccesso sono un numero consistente: ogni quindici bambini che vanno a scuola com­piuti i sei anni, ve ne è almeno lino che non raggiungerà la licenza media inferiore e a sedici anni, età alla quale si pro­pone di estendere anche in Italia l'obbligo scolastico, un giovane su quattro è già uscito dal circuito educativo. Nel nostro campione coloro che hanno avuto una carriera scola­stica «regolare» (cioè, senza bocciature o interruzioni di un ciclo iniziato) sono solo poco più delle metà.

Ma non vi è soltanto il problema della selezione (caso mai vi è un problema di criteri di selezione) . Per molti gio­vani è l'esperienza scolastica nel suo complesso a rappresen­tare un'area problematica. Non si tratta certo di un pro-

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blema specifico della scuola italiana. Forse non c'è oggi nes­sun paese nel mondo moderno dove il funzionamento della scuola non faccia «problema» per molti giovani che la fre­quentano. Non si può nascondere, però, che esistono tra i giovani molti segnali di disagio : più della metà percepiscono insensibilità e incomprensione da parte degli insegnanti, più di uno su tre nutre dubbi sulla . preparazione professio­nale degli insegnanti stessi, · uno su sei si dichiara insoddi­sfatto della scuola che frequenta o che ha frequentato e, so­prattutto, più della metà dei giovani che lavorano non ri­tengono che quello che hanno imparato a scuola sia risul­tato utile nel lavoro che fanno attualmente. I giovani «scontenti» possono avere o meno ragione, ma il fatto che siano così numerosi non depone a favore del buon funzio­namento dei processi educativi.

La lunghezza dei percorsi educativi è una funzione di­retta del livello socio-economico-culturale della famiglia d'origine. La scuola riproduce le disuguaglianze di partenza e solo in pochi casi riesce ad attenuarle. Chi parte svantag­giato esce precocemente dal sistema educativo e si affaccia precocemente sul mercato del lavoro. Qui, l'esito dei prece­denti percorsi educativi, oltre che le situazioni locali della domanda di lavoro, condizionano pesantemente le modalità di inserimento. Coloro che non hanno un diploma, o che non hanno addirittura completato la scuola dell'obbligo, ri­schiano fortemente lunghi periodi di disoccupazione, inter­rotti da brevi esperienze di lavoro dequalificato e precario .

L'esperienza della disoccupazione è cbmunque presente a tutti i livelli dell'offerta di lavoro, ma è particolarmente grave per i giovani di bassa scolarità, per le giovani donne e per i giovani che vivono nelle regioni meridionali. Vi è, in altri termini, un continuo di situazioni di vantaggio-svan­taggio che va tra i due estremi dei maschi del Nord con alta scolarità alle ragazze del Sud con bassa scolarità. Le ragazze sono particolarmente numerose tra chi non studia, non la­vora e non cerca lavoro (sia perché non pensa di trovarlo, sia perché si dedica alle cure domestiche) , ma nel complesso questa nota tende a ridursi nel senso che l'offerta aggiun­tiva di lavoro è prevalentemente femminile, come risulta dall'alta percentuale di giovani donne in cerca di prima oc­cupazione.

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Chi ha un lavoro, ne è in genere piuttosto soddisfatto anche se questo non risponde appieno alle proprie aspira­zioni o alle proprie capacità. Bisogna tener presente che chi lavora in questa fascia d'età proviene prevalentemente dagli strati inferiori, dove per i giovani vi sono poche risorse al di là di quelle ricavabili dal proprio lavoro. Il lavoro si pone di più in termini di necessità che non in termini di scelta.

Al di là delle discussioni sulla minore centralità del la­voro rispetto al passato, per i giovani lavorare è comunque importante, sia in termini strumentali (per avere accesso ai consumi) , sia in termini di autorealìzzazione. Rispetto al la­voro convivono modelli culturali diversi: il lavoro è sia fonte di reddito e di sicurezza, sia luogo di espressione e crescita personale. Le due componenti sono presenti spesso nelle stesse persone, come è testimoniato dal fatto che molti giovani preferiscono un lavoro autonomo a uno dipen­dente, ma nello stesso tempo preferiscono lavorare in una grande azienda piuttosto che in una piccola.

La conclusione dell'iter scolastico e l'assunzione di un'attività lavorativa non segnano comunque in molti casi il passaggio allo status completo di adulto. Forse, le condi­zioni di incertezza che prevalgono sul versante del mercato del lavoro, influenzano la tendenza dei giovani a non ab­bandonare precocemente la casa dei genitori. La perma­nenza in famiglia gioca evidentemente da fattore rassicu­rante . Non solo, come è ovvio, chi studia resta più a lungo in famiglia, ma anche molti giovani che hanno finito gli studi e hanno trovato un lavoro esitano ad uscire definiti­vamente di casa. Questa prospettiva risulta generalmente connessa al matrimonio (sono assai pochi · i giovani che vi­vono fuori casa senza essere sposati) , ma il matrimonio e la nascita dei figli vengono assai spesso rinviati ad un futuro indeterminato. Del resto la famiglia risulta essere assai meno costrittiva che in passato della libertà dei giovani e quindi la spinta ad uscirne precocemente appare fortemente attenuata. Ciò vale in particolare per i giovani maschi e as­sai meno per le giovani femmine, le quali tendono ad uscire presto di casa soprattutto se appartengono a famiglie di bassa condizione sociale.

La famiglia, dunque, resta per i giovani un'istituzione rassicurante che protegge a lungo contro le incertezze della

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vita. Non a caso essà resta al vertice dei valori, delle cose che contano nella vita, insieme al lavoro, agli affetti e all'a­micizia. I giovani, senza grande distinzione di sesso, di ceto o di area geografica, privilegiano la sfera del privato e que­sta propensione mostra una grande stabilità nel tempo. Nella sfera pubblica, invece, gli atteggiamenti e le opinioni dei giovani sono più contrastate. Rispetto alla rilevazione di quattro anni fa, c'è, è vero, un più diffuso ottimismo sulle condizioni di vita nel paese e una maggiore fiducia nelle istituzioni pubbliche (soprattuto nel governo) . Tutta­via, si notano anche segni di disagio, la percezione di uno scarto tra valori-aspirazioni e realtà, soprattutto tra le gio­vani donne e coloro che vivono nelle regioni meridionali. Non è un caso che i giovani esprimano una forte domanda di ordine sociale e di sicurezza economica e che ripongano fiducia soprattutto in quelle istituzioni, come la polizia, i carabinieri e la magistratura la cui funzione si esprime es­senzialmente nella tutela dell'ordine.

È in particolare in relazione alla sfera della politica che molti giovani avvertono un senso di estraneità. L'impegno politico e la militanza organizzata, soprattutto quella che si esprime attraverso i partiti, trova scarsa risonanza tra i gio­vani. La quota di «militanti» si è ulteriormente ridotta an­che rispetto al già basso livello di quattro anni fa e quando i giovani esprimono delle preferenze politiche queste risul­tano caratterizzate da un elevato grado di instabilità.

Cresce, invece, la partecipazione non organizzata su te­matiche specifiche (la pace e il disarmo, la difesa dell' am­biente, la scuola), come se vi fosse un potenziale partecipa­tivo che trova modo di esprimersi solo attraverso manife­stazioni, cortei, raccolta di firme, assemblee e dibattiti. Cresce, anche, l'associazionismo volontario non politico, sia di tipo culturale e religioso, sia di tipo Iudica e ricrea­tivo. Si percepisce un divario tra la partecipazione politica in senso stretto e la partecipazione sociale e civile ed è pro­prio l'esistenza di questo divario che ci consente di non escludere la ricomparsa di movimenti giovanili al di fuori dell'organizzazione dei partiti.

Vi è però una quota assai elevata di giovani che manife­stano livelli minimi o nulli di partecipazione sociale e asso­ciativa, si tratta soprattutto di giovani dei ceti inferiori, di

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giovani che non studiano e non lavorano e di ragazze, di giovani cioè che rimangono sostanzialmente esclusi dalla sfera pubblica della vita sociale.

Ci si potrebbe attendere che questi giovani compensino la mancata partecipazione sociale con un'intensa partecipa­zione di tipo «consumistico». Ciò invece non accade: coloro che partecipano di meno sono anche coloro che consumano di meno e sono meno attivi nell'uso del tempo libero. Ab­biamo rilevato tra i giovani la presenza di due modelli di consumo e di uso del tempo libero: il primo di tipo «Iudi­ca-giovanilistico» e il secondo, invece, più orientato verso la «cultura». Più di un quarto dei giovani utilizza intensa­mente entrambi i modelli (si tratta in prevalenza di giovani sia maschi che femmine dei ceti più alti), un quinto utilizza prevalentemente il primo modello (si tratta soprattutto di giovani maschi di tutti i ceti) , un altro quinto utilizza il se­condo modello (sono soprattutto ragazze di ceto elevato), mentre ben un terzo resta escluso da entrambe i modelli (sono prevalentemente ragazzi e ragazze di ceto inferiore, spesso senza lavoro e residenti nelle regioni meridionali) .

Abbiamo chiamato questo gruppo «gli esclusi», poiché si tratta di giovani che non dispongono delle risorse mate­riali e culturali per accedere alla cultura e agli stili di vita giovanili, che non sono perciò in grado di partecipare alla vita sociale attraverso quel poderoso meccanismo di inte­grazione sociale costituito dai consumi.

La presenza di condizioni di marginalità sociale si rileva anche analizzando gli atteggiamenti verso le norme sociali e la propensione a comportamenti devianti. Nel complesso, i giovani italiani sembrano assai bene integrati nel codice morale della società anche se essi si percepiscono come più tolleranti della società che li circonda. Ai due estremi della scala sociale, tuttavia, si nota una più accentuata propen­sione alla trasgressione dei codici morali. Mentre la tra­sgressività dei giovani di ceto superiore sembra interpreta­bile in termini di maggiore tolleranza verso di sé e verso gli altri, per i giovani di ceto basso la trasgressività non può che essere interpretata come prodotto di condizioni di mar­ginalità sociale.

Rispetto a quattro anni fa, comunque, sembra si sia dif­fusa tra i giovani una tendenza verso un maggior rigorismo,

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soprattutto per quanto riguarda i comportamenti coinvolti nell' Ams: omosessualità e droga. Per quanto riguarda que­st'ultimo punto, sembra potersi rilevare· rispetto alla prece­dente ricerca una leggera minore esposizione dei giovani al rischio di tossicodipendenza, anche se l'ampiezza dell'area di rischio resta comunque assai consistente.

Vogliamo infine ricordare, concludendo, un dato che ci sembra importante sottolineare e che emerge con grande chiarezza dalla nostra ricerca. Al di là degli atteggiamenti e delle opinioni che abbiamo analizzato, ci sembra che quello che conta veramente per un giovane è il modo con cui af­fronta la vita, la fiducia che ha in sé stesso e nella sua capa­cità di affrontare il futuro senza essere dominato da forze oscure e non controllabili. Abbiamo cercato di cogliere que­sta dimensione misurando il grado di autodeterminazione/ fatalismo col quale i giovani affrontano il futuro e abbiamo identificato un gruppo di «fatalisti» e «quasi-fatalisti» che costituisce poco più di un terzo dell'intero campione di gio­vani intervistati. Si tratta di giovani che pensano di non es­sere in grado di esercitare alcun controllo sul proprio futuro e che quindi preferiscono abbandonarsi passivamente alle vicende della sorte. Analizzando chi sono i «fatalisti» ab­biamo rilevato che per lo più si tratta di giovani usciti assai presto dal sistema educativo, provenienti da famiglie cultu­ralmente e socialmente deprivate, che vivono nelle regioni depresse del Mezzogiorno, che partecipano assai poco alla vita sociale e che hanno scarso accesso ai consumi rispetto ai loro coetanei. Questi giovani non affrontano con fiducia la vita. Ci auguriamo che in futuro, quando noi stessi o altri ricercatori replicheranno questa indagine, la quota di questi giovani sia sensibilmente diminuita. La «buona» società è quella che consente ai suoi giovani di guardare al futuro con fiducia e speranza.

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Appendice

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Il questionario e le distribuzioni di frequenza

La replica dell'indagine IARD sulla condizione giovanile si è svolta utilizzando, come nel 1983 , lo strumento tecnico del que­stionario. Il questionario è stato sottoposto ad un campione di 2.000 giovani. In parte le domande contenute in questo questionario so­no le stesse di quelle contenute nelle due edizioni del questionario del 1983, in parte sono differenti .

Presentiamo qui di seguito la serie pressoché completa delle ta­belle che riportano in percentuale la frequenza delle risposte, allo scopo di offrire al lettore uno strumento valido per il confronto con altre indagini o per la verifica diretta dei risultati principali .

Per permettere una corretta lettura delle tabelle facciamo al­cune precisazioni :

- alle distribuzioni di frequenza che si riferiscono al 1987 sono affiancate quelle che si riferiscono al 1983, al fine di permettere un confronto tra i dati raccolti con le due indagini. Questo acco­stamento è possibile solo nel caso in cui le domande presenti nelle due edizioni del questionario 1983 siano ripetute in quello del 1 987 e quando le domande siano effettivamente comparabili;

- in alcuni casi i dati che si riferiscono al 1983 non sono di­rettamente inseriti nelle tabelle ma sono riportati in tabelle a par­te, senza numerazione , che seguono immediatamente quelle che si riferiscono al 1987;

- laddove non è indicato l' anno di riferimento si intende che la tabella riguarda l'indagine del 1987;

- nel 1983 furono somministrate due edizioni del questiona­rio a due campioni di 2 . 000 soggetti ciascuno. In alcuni casi le do­mande erano comuni alle due edizioni in altri no . Questo spiega il fatto che la «base)) in alcune domande del 1983 sia di 4.000 sog­getti e in altre sia di 2.000;

- come già nel rapporto sull'indagine del 1983, abbiamo chia­mato «base)) il numero assoluto di giovani coinvolti in ciascuna do­manda;

- la numerazione delle tabelle, non sempre continua, corri­sponde alla numerazione delle domande previste nel questionario.

1 6 ì

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Distribuzioni di frequenza l . Sesso:

1983 1987

Maschi 5 1,0 50,3 Femmine 49,0 49,7

Base 4.000 2 .000

2. Età:

1983 1987

15 anni 10,9 8,7 16 anni 1 1 , 1 10,0 17 anni 10,5 10,3 18 anni 10, 1 7,6 19 anni 10,1 10,6 20 anni 10,4 1 1 ,8 21 anni 9,5 10,4 22 anni 9,3 10,6 23 anni 9,2 10,7 24 anni 9,2 9,4

Base 4.000 2 .000

3 . Ha ancora i genitori?

Si, entrambi 9 1 ,0 Solo il padre 1,2 Solo la madre 7,6 Nessuno 0,3

Base 2.000

4a. Età dei genitori:

Padre Madre

Fino a 34 anni 0 , 1 0,9 35-44 anni 12,2 29,7 45-54 anni 52,9 50,7 55-59 anni 18,9 12,3 60-64 anni 10,0 4,1 O !tre 64 anni 4,4 0,8 Non indicato 1 ,4 1,4

Base 1843 1970

168

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4b. Età alla morte di uno o entrambi i genitori:

Padre Madre

Meno di 5 anni 6,4 10,0 Da 5 a 10 anni 17,2 23,3 Da 11 a 15 anni 22,3 26,7 Da 16 a 20 anni 28,7 23,3 Oltre 20 anni 10,2 3,3 Non indicato 14,6 16,7

Base 157 30

5 . Numero fratelli e sorelle viventi:

l fratello/sorella 40,7 2 fratelli/sorelle 25,8 3 fratelli/ sorelle 10,2 4 fratelli/sorelle 5,3 oltre 5 fratelli/sorelle 4,0 né fratelli né sorelle 1 1,3

Base 2.000

7a. Titolo di studio:

1983 1987

Nessuna scuola 0,5 0,3 Scuola elementare 8,2 6,3 Scuola media inferiore 57,2 54,2 Scuola media superiore (fino a 3 anni)

33,6 9,8

Scuola media superiore (4 o 5 anni) 28,5 Università 0,4 0,6 Diploma parauniversitario 0,2 0,4

Base 4.000 2.000

7b. Interruzione della frequenza ad una scuola (o corso di laurea):

1983 1987

Non ho interrotto la frequenza 81,3 76,9 Ho interrotto la frequenza 18,7 2 3 , 1

Base 4.000 2 .000

169

Page 172: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Ho interrotto la frequenza:

1983 1987

Scuola elementare 2,5 2,6 Scuola media inferiore 23,7 18,0 Scuola media superiore 66,0 66,2 Università 7,8 10,5 Altro tipo di scuola 2,6

Base 748 462

7c. Motivo dell'interruzione:

1983 1987

Mancanza di volontà 37,7 Non mi piaceva studiare 30,6 Non mi piaceva l'ambiente scolastico 8,4 Mancanza di interesse per il tipo di scuola frequentata 18,4 Motivi di lavoro o economici 14,8 12,3 Motivi personali o di famiglia 1 1 , 1 7,1 Motivi di salute 3 , 3 5 , 8 Bocciatura 10,2 6,9 Cambiamento di scuola o di indirizzo 2,6 Servizio militare 1,9 3,0 Altre risposte 1,2 2,6 Non so, nessuna risposta 4,9 8,9

Base 748 462

8. Iscrizione alla scuola media superiore:

1983 1987

Sì, sono iscritto 29, 1 27,6 No, non sono iscritto 70,9 72,5

Base 4.000 2.000

9a. Coloro che credono o sono sicuri di iscriversi all'università: (solo agli iscritti ad una scuola media superiore)

1983 1987

Sl, sono sicuro 18,9 20,5 Credo di sì 19,0 23,2 Credo di no 14,0 17,1 No, è escluso 32,3 24,9 Non so, non indica 15,8 14,0

Base 1 . 164 551

1 70

Page 173: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

9b. Lei pensa che: (a chi crede o è sicuro di iscriversi all'università)

Studierà all'università senza lavorare? Soprattutto studierà ma anche lavorerà? Soprattutto lavorerà ma anche studierà? Non so

Base

1983

4 1 ,3

36,1

5 ,9 16,7

441

1987

5 1 ,9

34,0

5,4 8,3

241

l O. Ipotesi di eventuale cambiamento nei prossimi cinque anni: (negli studi, nel lavoro, nella convivenza, ecc.)

Trovare un lavoro

È già successo Sì, sono sicuro Credo di sì Credo di no No, è escluso Non so, non posso prevedere

È già successo Sì, sono sicuro Credo di sì Credo di no No, è escluso Non so, non posso prevedere

È già successo Sì, sono sicuro Credo di sì Credo di no No, è escluso Non so, non posso prevedere

Base

stabile

1983 1987

18,0 19,5 10,1 8,9 44,1 36,8 13,5 13,3

7,3 7,0

7,1 14,6

Sposarsi

1983 1987

8,4 7,3 10,9 9,3 28,7 25,5 20,4 19,3 15,2 20,4

16,5 18,3

Andare a vivere per contro proprio

1983 1987

5,6 6,0 9,5 8,1

24,5 2 1 , 1 24,5 25,4 22,8 24,8

1 3 , 1 14,8

A vere dei figli

1983 1987

5 , 1 5,0 8,2 6,7

25,2 20, 1 22,2 20,7 19,6 26,0

19,7 2 1 , 7

Finire gli studi

1983 1987

34,0 30,8 27,0 23,8 13,7 16,1

5,8 4,9 14,9 17,0

4,6 7,5

4 .000 2 .000

1 7 1

Page 174: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

l l n . Ha mai svolto un 'attività lavorativa vera e propria?

Sì 43,0 No 57,0

Base 2 .000

l lb. Età di inizio dell'attività lavorativa vera e propria:

15 anni o prima 3 1 , 5 16 anni 14,2 17 anni 12,2 1 8 anni 9,8 1 9 anni 1 1 ,0 20 anni 8,7 21 anni 6,9 22 anni 2,9 23 anni 2,2 24 anni 0,5 Non indicato 0 , 1

Base 861

1 2 . Periodo durante il quale ha svolto questa attività:

Un anno o meno 43,6 2 anni 15 ,2 3 anni 9,8 4 anni 8,4 5 anni 7,0 6 anni 4 ,4 7 anni 4,8 8 anni 3,6 9 anni 1,4 10 anni 1 ,0 Più di 10 anni Non indicato 0,9

Base 861

13a. Giorni alla settimana impegnati da questa attività:

l giorno 0,5 2 giorni 0,8 3 giorni 1,4 4 giorni 1 ,0 5 giorni 44,9 6 giorni 42,9 7 giorni 7,4 Non indicato 1 ,2

Base 861

172

Page 175: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Ub. Ore al giorno impegnate da questa attività:

l ora 2 ore 0,9 3 ore 0,9 4 ore 4,1 5 ore 3,8 6 ore 6,3 7 ore 6,0 8 ore 55,9 Più di 8 ore 18,7 Non indicato 3,5

Base 861

15a . Occupazione in lavori saltuari_ o occasiona/i:

Sì, frequentemente 9,4 Sì, raramente 15,3 No, mai 75,4

Base 2.000

15b. Condizione attuale degli intervistati:

1983 1987

Non studia e non lavora 25,4 23,8 Studia e non lavora 39,2 38,4 Studia e lavora anche durante l'anno scolastico 4,3 3,6 Studia e lavora solo in periodo non scolastico 0,9 Lavora e non studia 31,9 32,6

Base 4.000 2.000

16. Giorni lavorati nell'ultimo mese:

Non ho lavorato 5,9 1-7 giorni 5,3 8-14 giorni 5,7 15-21 giorni 32,7 21-25 giorni 32,1 Più di 25 giorni 18,4

Base 741

173

Page 176: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

1 7 . Ore lavorate al giorno nell'ultimo mese:

l ora 2 ore 1 , 7 3 ore 2,6 4 ore 4,7 5 ore 4,7 6 ore 8,3 7 ore 7 ,6 8 ore 52, 1 Più di 8 ore 1 8 , 1 Non indicato 0,3

Base 697

18 . Il lavoro svolto nell'ultimo mese è:

Temporaneo 29,6 Stabile 67,4 Non indicato 3 ,0

Base 697

20. Posizione lavorativa:

Dipendente, e cioè:

dirigente appartenente alla carriera direttiva 0,4 insegnante 3 , 7 impiegato di concetto 7,0 impiegato esecutivo 13,5 capo operaio 0,4 apprendista 1 1 ,9 lavorante a domicilio 1,3

Lavoratore in proprio, e cioè:

imprenditore libero professionista 2,0 artigiano 6,9 commerciante 5,7 proprietario agricolo 0,7 mezzadro 0 , 1 coadiuvante familiare 6,5 socio cooperativa 0,7 altro 0, 1

Base 697

174

Page 177: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

2 1 . Settore di attività:

Agricoltura Industria estrattiva Industria manifatturiera Edilizia Energia Trasporti Credito, assicurazioni, finanze Commercio e turismo Artigiano Altri servizi privati Scuola Sanità Pubblica amministrazione Altro Non indicato

Base

22. Tempo di lavoro nell'attuale azienda:

Meno di 3 mesi 3-5 mesi 6- 1 1 mesi 1-2 anni 3-4 anni 5 o più anni Non indicato

Base

1983

7,4 1 ,0

2 3 , 1 10,4

1,0 1 ,9 1,5

19,4 12, 1 12,0

3 ,9 2 ,9 3 , 3

0,2

1 .447

1983

1 1 ,7 6,4

10,2 30,8 23,4 17,7

1 .447

23a. Numero dei dipendenti dell'azienda o ente per cui lavora:

Da l a 3 Da 4 a 14 Da 15 a 1 9 Da 2 0 a 4 9 Da 50 a 250 Da 251 a 500 Da 501 a 1 .000 Più di 1 . 000 Non indica

Base

1987

6,0 1 ,4

2 1 ,2 8,8 0,6 1 ,9 2,0

27,0

19,5 4,4 3,3 3 , 6 0,1 0,3

697

1987

12,6 8,8 9,6

30,8 17,5 20,2

0,4

697

33 ,1 26,3

4,4 8,9 8,5 1 ,7 2,2 5 ,7 9,3

697

175

Page 178: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

23b. Numero delle persone che lavorano nel luogo in cui lei lavora:

Da l a 3 4 1 ,5 Da 4 a 14 27,1 Da 15 a 19 4 ,3 Da 20 a 49 10,3 Da 50 a 250 5 ,5 Da 251 a 500 1,3 Da 501 a 1 . 000 0,7 Più di 1 .000 0,7 Non indica 8,8

Base 697

24. Ore lavorate nell'ultima settimana completa di lavoro:

1983 1987

Nessuna 3,7 2,2 Meno di 10 ore· 3,6 4,0 10-19 ore 3,9 5,2 20-29 ore 5,6 6,7 30-34 ore 4,5 5,2 35-39 ore 9,0 8,6 40-44 ore 44,2 37,0 45-49 ore 10,6 14,5 50-54 ore 5,3 5,0 55-59 ore 2,6 5,0 60 o più ore 6,4 5,9 Non indica 0,9 0,6

Base 1 . 447 697

25. Guadagno medio mensile:

Fino a 450.000 lire 22,8 450-650.000 lire 1 1 ,2 650-850.000 lire 18,7 850- 1 .050.000 lire 25,1 1 .050- 1 .250.000 lire 5,9 Più di 1 .250.000 lire 2,3 Non indica 13,9

Base 697

Media guadagno mensile:

1983 1987

6 3 1 .400 (*) 7 1 7.700

(*) in lire 1987

176

Page 179: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

26. f,Jipèlto di soddisfa:dOflt# neiconfron.ti dèll'attuale lavoro:

Molto soddisfatto Abbastanza soddisfatto Poco soddisfatto Per nulla soddisfatto Non sa, non indica

Base

1983

28,7 44,9 17,4

8,2 1 ,0

1 .447

27. Utilizzo delle capacità individuali nell'attuale lavmo:

Utilizzate totalmente Utilizzate in larga misura Utilizzate solo in parte In larga misura inutilizzate Totalmente inutilizzate Non indica

Base

1983

24,3 29,0 34,7

6,2 5,7 0,3

1 .447

1987

24,5 50,6 16,9

7,5 0,7

697

1987

22,4 30,1 37,3

5,5 4,0 0,7

697

28. Utilità della preparazione scolastica l"icevuta per svolgere l'attuale lavoro:

1983

Molto utile 16,7 Abbastanza utile 22,0 Poco utile 23,8 Per niente utile 37,2 Non indica 0,2

Base 1 . 447

29. Valutazione dell'adeguatezza del tempo libero dopo il lavoro:

Mi basta Non mi basta Non indica

Base

1983

65,0 34, 1

0,9

1 .447

1987

1 1 ,6 27, 1 22,8 37,6

0,9

697

1987

63,4 35,7

0,9

697

177

Page 180: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

30. Valutazioni di preferenza rispetto al rapporto orario di lavoro e guadagno:

1983 1987

Orario di lavoro più corto guadagnando di meno 16,2 24,2 Orario di lavoro più lungo guadagnando di più 58,5 59,0 Orario di lavoro più corto guadagnando di più 2,7 1 ,0 Orario di lavoro più corto guadagnando uguale 0,7 0,4 Orario di lavoro uguale guadagnando di più 2,1 l , l Va bene così 9,2 4,7 Altra risposta 0 , 1 0,3 Non sa, non indica 10,6 9,3

Base 1 .447 697

3 1 . Ipotesi di scelta del tempo libero, nel caso di una diminuzione delle ore di lavoro:

1983 1987

Più ore libere nei giorni in cui si lavora 25, 1 23,5 Un giorno libero in più ogni settimana 41,6 43,6 Più giorni di vacanza ogni anno 29,9 29,7 Altra risposta 0,6 0,4 Non indica 2,9 2,7

Base 1 .447 697

32. L 'azienda in cui lavora è: (solo ai lavoratori dipendenti)

Privata 83,4 Pubblica 12,4 Mista, in parte pubblica, in parte privata 2,6 Non indica 1 ,7

Base 5 4 1

33a. Sicurezza di avere lo stesso datore di lavoro anche fra un anno:

1983 1987

Sl, sono sicuro 45,2 36,0 Credo di sl 19,6 29,9 Credo di no 17,8 14,6 No, è escluso 8,8 8 , 1 Non so, non posso prevedere 8,6 1 1 ,3

Base 1 . 447 541

1 78

Page 181: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

33b. Motivi che detenninano l'insicurezza:

1 983 1987

Il reddito / lo stipendio 1 1 , 1 1 1 ,4 Le condizioni di lavoro 4,0 2,4 I rapporti con i colleghi 0 , 1 0,8 I rapporti con i superiori 1 , 3 Desiderio d i riprendere gli studi 2,4 La sicurezza e la stabilità del lavoro 19,5 26,0 L'autonomia e la possibilità di decidere 3 , 1 3 ,3 Il tipo di lavoro 27,5 36,6 L'impossibilità di migliorare 6,2 4,9 L'impossibilità di imparare cose nuove 1 , 6 Cause di forza maggiore 1 1 ,4 Altro 8,6 3 , 3 Non indica 2 1 ,2 7 , 3

Base 794 135

34a. Ricerca di lavoro:

1983 1987

Sì, sto cercando lavoro 3 1 ,2 3 1 , 1 No, non sto cercando lavoro 68,8 68,9

Base 2.552 2.000

34b. Motivi per cui si cerca un lavoro (i�tervistati già occupati):

Perché teme di perdere l'attuale occupazione 4,9 Perché lavora ma è un'occupazione temporanea 28,7 Perché cerca un secondo lavoro 0,9 Perché vuole un lavoro migliore, una migliore retribuzione 60, 1 Altro 1 , 3 Non indica 3,6

Base 223

1 79

Page 182: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

34c. Modalità intraprese per la ricerca di un lavoro:

1983

Ho messo annunci sui giornali 2,4 Mi sono iscritto all'ufficio di collocamento 25,8 Ho interessato amici e parenti 20,3 Ho fatto domanda ad aziende 14,2 Mi sono presentato ad aziende 8,3 Ho partecipato a concorsi pubblici 16,3 Ho letto e/o risposto ad inserzioni sui giornali 12,5 Altro 0,2

Base 797 (*)

(*) risposte multiple

34d . Motivi per cui non cerca lavoro:

Inizierò un lavoro in proprio nei prossimi mesi Inizierò tra breve un lavoro alle dipendenze Non ho interesse a lavorare Non si trova lavoro Sono studente Altre risposte Non indica

Base

38. Le cosa più importante nel lavoro:

I posto

Lo stipendio / il reddito 19,3 Le -:ondizioni di lavoro 6,2 Buoni rapporti con i compagni di lavoro 7,6 Buoni rapporti con i superiori 3 , 1 La possibilità d i migliorare (reddito e tipo di lavoro) 8,7 La sicurezza e la stabilità del posto 17,4 L'autonomia e la possibilità di decidere 5,3 L'interesse per i l tipo di lavoro 15,7 La possibilità di imparare cose nuove e di esprimere le proprie capacità 16,2 L'orario di lavoro 2,0 Non indica 0,7

Base

180

1987 sì

5,9

60,9 58,2 3 7,8 22,5 42,6

32,6

622

no

94, 1

39,1 4 1 ,8 62,2 77,5 57,4

67,4

1,0 1,2 8,8 4,7

80,8 1 ,9 1 ,5

860

II posto

19,1 7,6

12,7 4,3

9,4

1 1 ,5

5,9 10,8

16,1 2,7 0,2

2 .000

Page 183: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

39a. Disponibilità a trasferirsi in un altro comune per migliorare la propria situazione di lavoro:

Sì, sono disponibile No, non sono disponibile Non so, dipende

Base

68,2 23,8

8,1

2 .000

3 9b. Disponibilità a trasferirsi stabilmente in un altro comune, per migliorare la propria situazione di lavoro:

In questa regione In una regione vicina In altre regioni più lontane In un Paese europeo In un Paese extra-europeo

Base

40a. Preferenza per lavorare:

In un'azienda privata In un'azienda pubblica Non so, dipende

Base

40b. Preferenza per lavorare:

In una grande azienda In una piccola azienda Non so, dipende

Base

4 1a. Preferenza per fare un lavoro:

Lavoro indipendente Lavoro dipendente Non so, dipende

Base

Sl

91,4 75,4 55,3 45,3 35,6

1983

39,3 44,4 16,3

2.000

1983

5 1 , 1 29,6 19,3

2 .000

1983

59,1 32,4

8,5

2.000

No

8,5 24,6 44,7 54,7 64,4

1 .364

1987

4 1,4 47,3 1 1 ,4

2.000

1987

59,5 26,6 13,9

2.000

1987

56,9 38,8

4,4

2.000

1 8 1

Page 184: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

4 1c. Valutazione sulla possibilità di lavorare in proprio:

Penso di poter realizzare l'idea di lavorare in proprio Penso di non poter realizzare l'idea di lavorare in proprio per:

motivi economici motivi di studio difficoltà di inserimento continuerò l 'attività paterna ho già fatto un'altra scelta altri motivi

Non so, perché: non posso ancora prevedere non ho ancora pensato a quale lavoro fare

Base

3 1 ,6

7,1 2,6 4,2 0,2 1,6 0,7

2 , 1 5 1,3

2.000

42. Interesse a ricevere un prestito dallo Stato per poter svolgere un'attività in proprio:

Sì No Non so, dipende

Base

55,8 26,8 1 7,3

1 . 137

43. Accordo e disaccordo con le seguenti affermazioni riguardanti le cause della disoccupazione giovanile:

Accordo Disaccordo Non so

La preparazione professionale dei giovani è inadeguata 54,7 40,8 I sindacati tutelano solo coloro che sono già occupati 55,0 30,0 Il progresso tecnologico riduce il numero dei posti di lavoro 74,0 22,4 L'economia italiana non offre un posto di lavoro a tutti coloro che vogliono lavorare 73,8 2 1 ,6 Il governo non affronta seriamente il problema 71 ,9 19,6

Base

44. Lavoro con stipendio ridotto per 1-2 anni per fare esperienza pratica, imparare un nuovo lavoro, migliorare l'attuale preparazione:

182

Sì No Non indica

Base

4,6

1 5 , 1

3,7

4,7

8,5

2.000

81 ,3 14,0

4,7

2.000

Page 185: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

45 . Stato civile:

1983 1987

Celibe / nubile 9 1 , 1 92,2 Coniugato/a 8,8 7,8 Separato/a Divorziato/a 0,1 Vedovo/a

Base 4.000 2.000

46. Stato di convivenza degli intervistati:

1983 1987

Con uno o entrambi i genitori 88,8 90,0 Con altri parenti 0,6 0,9 Con il coniuge ma nella stessa casa dei miei o suoi genitori 1 ,4 1 ,0 Con il coniuge 7,1 6,5 Con iVla mio/a ragazzo/a 0,2 0,2 Con amici/amiche 0,2 0,4 In collegio, caserma, pensionato 1 ,2 0,8 Da solo/a 0,5 0,5

Base 4.000 2.000

47. Percentuale del guadagno che l'intervistato dà in famiglia (agli intervistati che lavorano e vivono in famiglia):

1983 1987

Nulla 36,5 34,8 Meno del 20% 7,7 12,4 20-39% 1 1 ,9 12,9 40-59% 9,4 9,0 60-79% 4,9 5,2 80-99% 3,6 4,4 Tutto 22,9 16,3 Non indica 2,8 5,5

Base 1 .271 675

183

Page 186: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

48. Età, occasione di guadagno e possibilità di spendere liberamente i soldi guadagnati:

1983 1987

Non mi è mai capitato di guadagnare soldi 36,9 39,7 Mi è capitato di guadagnare soldi ma non ho potuto spenderli liberamente per me 6,7 3,4 La prima volta che ho guadagnato soldi ed ho potuto spenderli per me avevo:

- meno di 12 anni 1,2 12-14 anni 8,0 6,7

- 15-17 anni 26,9 23,6 - 18-20 anni 16,8 18,1 - 21 anni o più 3,3 5,2

Non indica 0,3 2,7

Base 4.000 2.000

49. Somma disponibile, in media, al mese da spendere liberamente per sé (tenendo conto del guadagno personale e dei soldi erogati dai familiari):

1 84

Fino a 50.000 lire 5 1- 100.000 101-150.000 151-200.000 201-250.000 25 1-300.000 301-350.000 3 5 1 -400.000 401-450.000 45 1-500.000 501-550.000 551-600.000 601-650.000 Oltre 650.000 lire Non indica

Base Media = 192. 500 lire

27,3 19,1

6,0 10,4

2,1 7,0 0,8 3,2 0,5 2,6 0,3 1,4 0,2 5,3

14,3

2.000

Page 187: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

50. Frequenza dette uscite alla 5era per conto proprio:

1983 1987

Tutte le sere o quasi 29,8 2 1 ,4 4-5 volte la settimana 9,6 8 , 1 2-3 volte alla settimana 26,1 27,8 Circa l volta alla settimana 10,6 13,0 Meno di l volta alla settimana 7,0 7,3 Mai 16,9 22,5 Non indica 0,2

Base 3.592 2.000

5 1 . Diffusione tra i giovani dei gruppi di amici e dimensione del gruppo:

1983 1987

Sì, ho un gruppo di amici 84,0 83,0 No, non ho un gruppo di amici 16,0 1 7,0

Base 2.000 2.000

Il gruppo di amici 1983 1987 è composto da:

2-3 persone 13,2 10, 1 4-5 persone 25,7 25,0 6-1 O persone 34,3 38,9 1 1-20 persone 15,6 16,9 Più di 20 persone 7,0 7,2 Ho vari amici che vedo separatamente 4,2 2,0

Base 1 .679 1 .661

53 . Frequenza di incontro del gruppo di amici:

1983 1987

Tutti i giorni o quasi 4 1 ,0 33 ,1 4-5 volte la settimana 12,0 12,5 2-3 volte la settimana 28,8 34,7 Una volta la settimana 14,0 16,4 Meno di una volta la settimana 4,2 3,4

Base 1 .679 1 .661

54. Ha il ragazzo o la ragazza?

Sì 4 1 ,3 No 58,7

Base 2.000

185

Page 188: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

55. Frequenza degli incontri con il ragauo o la raga:z;za:

Tutti i giorni o quasi 4-5 volte la settimana 2-3 volte la settimana Circa una volta alla settimana Meno di una volta alla settimana Non so, dipende dai periodi

Base

5 1 ,6 14,0 22,2

5,0 3,4 3,9

826

56. Partecipazione alle attività di associazioni o gruppi negli ultimi tre mesi e attività considerata più importante:

Almeno Più di La più l volta 2 volte importante

1987 1983 1987 1983 1987

Organizzazione: politica 3 , 1 6,2 4,1 3,2 2,5 sindacale 1,5 2,8 2,1 1 ,3 1 ,3 religiosa 16,9 26,0 27,3 18,4 18,7 di categoria 1,8 1 ,5 2 , 1 0,7 1 ,0 sportiva di praticanti 27,3 52,3 45,6 42,6 38,2 sportiva di tifosi 1 1 ,9 2 1 ,2 18,8 9 , 1 8,3 culturale 8,8 14,0 1 1 , 1 10,2 6,6 ricreativa/turistica 5,3 9,8 5,9 3,7 2,8 difesa della natura 3,5 3,3 3,1 3,2 3,0 impegno sociale e assistenziale 4,5 6,0 6,3 4,9 4,1 collettivo o gruppo di base 2,6 2 , 7 3 , 6 1 , 0 1 ,2 degli studenti 10,5 14,3 7,3 delle donne 0,8 0,6 0,5 1 ,0 0,5

Base 2.000 1 .449 1 . 037 1 . 528 1 . 037

59. Importanza per l'Italia di far parte di un 'Europa unita:

Molto importante 5 1, 3 Abbastanza importante 39,6 Poco importante 3,4 Per nulla importante 1,4 Non so 4,4

Base 2.000

186

Page 189: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

60.

6 1 .

Partecipazione negli ultimi 1 2 mesi a d attività riguardanti i seguenti temi:

Ha partecipato Ha partecipato 1-2 volte più di 2 volte

1983 1987 1983 1987 1983 1987

Pace e disarmo 13,5 19,8 8�9 14,7 4,5 5,2 Problemi della scuola e degli studenti 22,0 30,4 9,6 15,7 12,4 14,7 Problemi dei lavoratori 8,0 8,5 3,7 5,8 4,2 2,8 Difesa dell'ambiente e del territorio 4,9 10,0 3,2 7,5 1,7 2,5 Problemi delle donne 4,0 3 ,2 2,3 2,8 1,5 0,5 Problemi del quartiere 3,2 2,8 1,9 2,3 1,3 0,6 Campagne elettorali 3,5 2,9 2,2 2 , 1 1,3 0,8

Base 4.000 2.000 4.000 2.000 4.000 2.000

Indicazione dell'importanza relativa di alcune misure politico-sociali:

Mantenere l'ordine nella nazione Dare alla gente maggiore potere nelle decisioni politiche Combattere l'aumento dei prezzi Proteggere la libertà di parola Combattere la disoccupazione Non indica

Base

I posto

18,1

6,0 5,9

12,2 57,6

0,3

II posto

25,9

10,5 18,6 15,9 28,8

0,5

2.000

62. Senso di appartenenza ad un 'unità geografica:

La località o la città in cui vivo La regione o provincia in cui vivo L'Italia L'Europa Il mondo in generale Non indica

Base

I posto

50,8 9,7

26,0 2,8

10,6 0,2

Il posto

17,9 22,8 36,2

8,7 13,5

1,0

2.000

187

Page 190: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

63 . Le cose più importanti nella vita nell'inclagine del 1 987:

Molto Abba-

Poco Per Non

stanza niente so

Famiglia 82,9 16 ,2 0,6 0,2 O, l Lavoro 66,6 29,8 2 ,7 0 ,4 0,6 Ragazzo/a amici/che 60,9 33,9 4,2 0,7 0,3 Attività politica 2,8 22,0 45,6 28,7 l , l Impegno religioso 12,4 38,5 3 3 , 1 1 5 , 7 0 , 4 Impegno sociale 17,9 5 1 , 3 22,9 7 ,2 0,8 Studio e interessi culturali 32,2 43 ,6 1 7 , l 6,9 0,4 Svago nel tempo libero 44,2 47,3 6,9 1 ,5 0,3 Attività sportive 3 1 ,9 40,6 18,6 8,8 0,3

Base 2 . 000

Le èose importanti nella vita nell'indagine del 1 983:

Molto Ab b. Poco Non Non impor- impor- impor- impor-

tante tante tante tante so

Famiglia 8 1 ,9 16,8 0,9 0,2 0 , 1 Lavoro 67,7 28,2 2 , 7 0 , 8 0,6 Ragazzo/a amici/che 58,4 3 5 , 1 5,6 0,7 0,3 Svago / tempo libero 43,6 46,8 8,7 0,7 0,3 Studio ed interessi culturali 34, l 45,7 14,2 5,6 0,5 Attività sportive 32,1 4 1 ,8 19,2 6,6 0,3 Impegno sociale 2 1 , 9 50,4 19 ,8 6 , 7 1 , 2 Impegno religioso 12,2 36 ,1 32 ,7 18 ,4 0 ,6 Attività politica o sindacale 4,0 23,7 45,2 26,3 0,9

Base 4 . 000

188

Page 191: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

64. Grado di fiducia per alcune istituzioni o gruppi nell'indagine del 1987:

Molto Abba- Poco Per Non stanza niente so

I funzionui dello Stato 2,2 25,6 5 1 , 1 18 , 1 3,2 Gli insegnanti 9,6 57 ,1 26,7 6,0 0,7 Le banche 9 , 1 53,7 27,5 5,8 4,0 La polizia 18,4 53,0 21 ,4 6,2 1 , 1 I sindacalisti 2,3 2 1 ,9 49,7 20,6 5 ,6 I sacerdoti 1 1 , 1 39,0 3 1 , 1 17,4 1 ,6 Il governo 4,8 33,6 43,6 15,8 2,3 I militari di carriera 6,5 32,7 33,8 2 1 , 9 5,3 Gli uomini politici 1 ,6 19 ,1 5 1 ,3 25,6 2,5 I magistrati 8,2 43 ,1 33,8 1 1 ,2 3 ,9 I carabinieri 13,4 50,9 25,3 8,8 1 ,7 Le compagnie di assicurazioni 5 ,4 37,8 36,2 15,0 5,7

Base 2.000

64b. Grado di fiducia nei confronti di alcune istituzioni o gruppi nell'indagine del 1983:

Molto Abba- Poco Per Non stanza niente

Funzionari dello Stato 2,7 23,6 48,5 2 1 ,9 Insegnanti 10,0 59,6 2 5 , 1 4 , 1 Banche 10,3 53,3 25,0 6,7 Polizia 18,4 5 1 , 1 2 1 ,6 6,9 Sindacalisti 3,7 27,0 42,7 2 1 ,6 Sacerdoti 8,5 35,0 34,7 1 9,6 Governo 3,2 22,6 47,2 24,3 Militari di carriera 6,9 34,0 33,3 19,0 Uomini politici 1 ,6 15,8 49,3 30,5 Magistrati 9,2 43,5 30,9 12,3 Carabinieri 14,2 49,5 23,6 10,9

Base

65. Modi di comportamento diffusi tra gli insegnanti secondo l'esperienza degli intervistati:

Incompetenza ed impreparazione nella _propria materia Influenza politica ed ideologica sugli allievi Eccessiva severità Tendenza a non considerare le esigenze e il punto di vista degli studenti Eccessiva accondiscendenza e arrendevolezza di fronte alle richieste degli studenti

Base

so

3,3 1 ,2 4,7 2,0 5,0 2,2 2,7 6,8 2,8 4 , 1 2,0

4.000

39,2 36,7 24,3

58,7

22,8

2.000

189

Page 192: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

66o Il più diffuso comportamento tra gli insegnanti secondo l'esperienza degli intervistati:

1983 1987

Incompetenza ed impreparazione nella propria materia 20,4 19,0 Influenza politica ed ideologica sugli allievi 14,3 1 3 ,2 Eccessiva severità 12,3 9,8 Tendenza a non considerare le esigenze e il punto di vista degli studenti 37,5 35,1 Eccessiva accondiscendenza ed arrendevolezza di fronte alle richieste degli studenti 7,9 7,2 Non so, nessuno 7,6 1 5 ,9

Base 20000 20000

6 7 o Grado di accordo con due opinioni opposte sulle finalità della scuola media superiore:

La scuola media superiore dovrebbe fornire un titolo di studio utile a un inserimento immediato nel mondo del lavoro Potendo scegliere è meglio prima acquisire una buona base di cultura generale e solo alla fine degli studi imparare un lavoro Non so

62,4

34,9 2,8

Base 20000

68 o Soddisfazione negli studi compiuti per ciò che riguarda:

Capacità professionali acquisite Cultura generale acquisita Rapporti con i compagni Rapporti con gli insegnanti

Base

190

Sì, sono soddisfatto 1983 1987

54,3 58,9 70,0 76,0 86,3 9 1 ,2 67, 1 74,1

2o000 20000

Page 193: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

69. Posizione di fronte al matrimonio nell'indagine del 1987:

Sono già sposato/a 7,7 Non sono ancora sposato/a ma sono sicuro/a di sposarmi 2 1 ,5 Penso che mi sposerò 60,4 Penso che non mi sposerò 4,4 Sono sicuro/a che non mi sposerò 0,9 Non so 5,2

Base 2.000

Posizione di fronte al matrimonio nell'indagine del 1 983:

Sono già sposato/a 8,8 Ho intenzione di sposarmi 75,8 Non ho intenzione di sposarmi 5,0 Non so 10,4

Base 4.000

70. Opinioni sull'esperienza della maternità:

1983 1987

La maternità è la cosa principale per la donna che dovrebbe dedicarsi solo a questo compito 12,0 10,5 La maternità è molto importante per la donna ma non dovrebbe assorbirla completamente 32, 1 3 1,2 La donna dovrebbe essere liberata il più possibile dai compiti deUa maternità per potersi dedicare al lavoro o ad altri interessi 5 , 1 5,9 La maternità è un'esperienza che consente aUa donna di sentirsi più completa e di arricchirsi come persona 45,8 50, 1 Non so 5,0 2,4

Base 2.000 2.000

191

Page 194: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

71. Alcuni giudizi sul servizio militare:

D'accordo Non d'accordo

1983 1987 1983 1987

È un dovere al quale nessun cittadino sano dovrebbe sottrarsi 57,3 54,9 39,2 42,9

Com'è oggi in Italia è soltanto una perdita di tempo per i giovani 58,2 59,5 35,4 36,1

La difesa dell'Italia sarebbe assicurata meglio da un esercito di professionisti 63,0 60,5 27,6 31,3

A tutti i giovani che non si sentono di fare il servizio militare dovrebbe essere offerta la possibilità di fare il servizio civile 84,0 81,5 11,8 15,0

Sarebbe giusto che anche le donne facessero il servizio militare 43,7 44,5 48,3 49,4

Base 2.000 2.000

72. Quanrti!J è importante la religione ne·lla vita dei giovani:

1983 1987

Moltissimo 7,3 8,4 Molto 19,6 22,4 Abbastanza 37,1 38,1 Poco 24,0 22,7 Per niente 11,5 8,1 Non so 0,5 0,4

Base 4.000 2.000

73. Frell}uenza aZle /Mnzi:oni xeiligio�e:

1983 1987

Tutte le settimane o quasi 24,4 24,4 2-3 volte al mese 12,0 12,3 Circa una volta al mese 10,4 8,6 1-2 volte. in 3 mesi 16,3 17,5 Mai in 3 mesi 36,3 37,4

Base 4.000 2.000

192

Page 195: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

74. Comportamento ipotetico di fronte ad un problema che tocca da vicino l'interoistato, il suo quartiere, la sua città o la sua scuola:

75 .

Lascerei fare all'autorità competente convinto che prenderà in ogni caso la decisione migliore Prenderei delle iniziative individuali per sollecitare l'autorità competente ad agire Solleciterei l'azione di quei gruppi, associazioni di cui faccio parte o di cui conosco l'esistenza Farei un'azione dimostrativa collettiva insieme agli interessati al problema perché l 'autorità agisca tempestivamente Farei occupazioni di case, scuole o altro, cioè un'azione diretta insieme agli interessati, per mettere le autorità di fronte al fatto compiuto Non indica

Base

L 'atteggiamento nez confron_ti della polztzca:

1983

Mi considero politicamente impegnato 3 ,2 Mi tengo al corrente della poli tic a ma senza parteciparvi personalmente 44,2. Penso che si debba lasciare la poli tic a a persone che hanno più competenza di me 40,0 La politica mi disgusta 12,0 Non indica 0,6

3 3 , 1

20,4

18,2

22,1

6,0 0,4

2 . 000

1987

2,3

39 ,3

42 ,1 15 ,8

0,6

Base 4.000 2 . 000

76. Opinioni alternative sulla possibilità per i cittadini di influeuzare le decisioni di chi govema:

Ogni cittadino può influenzare le decisioni di chi governa La società è diretta da poche persone che detengono il potere e la gente comune può farci ben poco Non so

Base

32,7

62,4 5,0

2 . 000

193

Page 196: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Qri,èhtamenti al�entativi nei confronti del futuro: ' ,

Quando penso al mio futuro lo vedo pieno di possibilità e di sorprese Quando penso al mio futuro lo vedo pieno di rischi e di incognite Non so

t-Jella vita è importante avere degli obiettivi e delle mete E inutile fare tanti progetti perché succede sempre qualcosa che ci impedisce di realizzarli Non so

Se non si fanno presto delle scelte ben precise è difficile riuscire nella vita Nella vita è meglio tenersi sempre aperte molte possibilità e molte strade Non so

Il successo dipende dal lavorare sodo, la fortuna conta poco Non è saggio fare tanti programmi per il futuro perché molto dipende dalla fortuna Non so

Base

77. Orientamenti alternativi sull'assistenza da parte dello Stato:

I singoli cittadini dovrebbero provvedere autonomamente alla propria salute e alla propria sicurezza quando sono malati e quando diventano vecchi. Lo Stato dovrebbe intervenire solo in caso di effettivo bisogno Lo Stato dovrebbe veramente garantire a tutti i cittadini il massimo di assistenza sanitaria e pensionistica in caso di malattie e nella vecchiaia Non so

Base

48,4

· 48,0 3 ,7

70,5

26,9 2,7

3 1 ,0

65,0 4,0

60,5

34,4 5,2

2 .000

5 ,9

92,2 2,0

2 .000

78. Quanto spesso gli inte1vistati pensano all'eventualità che possano accadere i seguenti incidenti:

Spesso Qualche Mai volta

Subire un furto in casa 12,9 4 3 , 1 44,0 A vere un incendio in casa 3,2 27,6 69, 1 Ammalarsi e dover affrontare forti spese mediche 6,9 34,2 58,8 Farsi male mentre si pratica un'attività sportiva 10,8 37,5 5 1 ,6 Procurare involontariamente danni ad altre persone 8,8 40,4 50,7 Infortunarsi accidentalmente in casa o fuori casa 9,6 57,8 32,5

Base 2.000

194

Page 197: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

79. Comportamento elettorale:

1983 1987

Alle elezioni politiche io . . . voterei (vedi tab. s.) 58,8 51 ,5 voterei scheda bianca o nulla 6,7 9,3 non andrei a votare 5 ,1 2,3 non so, non voglio rispondere 29,4 36,3

Base 4.000 2.000

79a. Preferenze elettorali:

1983 1987

Alle elezioni politiche io voterei: Democrazia cristiana 29,2 37,8 Partito comunista 26,3 23,6 Partito socialista 14,9 12,6 Partito repubblicano 7,8 4,0 Partito socialdemocratico l , 7 1,2 Partito liberale 3,7 3 , 1 Partito radicale 4,9 4,3 Partito di unità proletaria 1,3 Nuova sinistra 2,4 Democrazia proletaria 1,8 Movimento sociale 7,8 6,8 Verdi 3,2 Liste locali 1,5

Base 2.352 1 .029

80. Soddisfazione per la vita che l'intervistato conduce attualmente:

1983 1987

Molto soddisfatto 15,6 1 7,7 Abbastanza soddisfatto 57,8 6 1 , 1 Poco soddisfatto 20, 1 1 7,5 Per niente soddisfatto 5,5 3,4 Non indica 1,0 0,4

Base 4.000 2 .000

81 . Opinioni sull'utiliuo di centrali nucleari per la produzione di energia elettrica:

Fare funzionare le centrali nucleari che già esistono e costruire anche nuove centrali nucleari 19,5 Fare funzionare le centrali nucleari che già esistono ma non costruire nuove centrali nucleari 40,9 Chiudere le centrali nucleari che già esistono e non costruire nuove centrali nucleari 34,1 Non so 4,9

Base 2.000

195

Page 198: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

82. h:cm'fatti eon il morzdo della d,roga- nell'indagine del 1 987:

Totale Sl Sì Sì

sl molte qualche 1-2 volte volta volte

Ho avuto contatti del tipo: parlare con qualche persona che ha fatto uso di droga almeno una volta 46,8 1 1 ,2 22,2 13,6 conoscere persone che fanno uso di droga abitualmente 32,8 7,3 16,8 8,7 vedere qualcuno che aveva da poco usato droga 39,1 5,5 19,7 13,9 vedere o prendere in mano la droga 10,8 1 , 1 5 , 3 4,4 sentire il desiderio o la curiosità di provare una droga 4,5 0,4 2 , 1 2 , 1

Base 2. 000

I contatti con il mondo della droga nell'indagine del 1983:

Sì Molte Qualche 1-2 volte volta volte

Ho avuto contatti del tipo: parlare con qualche persona che ha fatto uso di droga almeno una volta 54,8 15,2 24,2 15,2 conoscere persone che fanno abitualmente uso di droga 39,3 10,8 17,0 10,6 vedere qualcuno che aveva usato da poco della droga 44,7 yedere o prendere

8,0 20,4 15,9

in mano qualche tipo di droga 20,4 3,2 9,5 7,5 sentirsi proporre di pròvare (o comprare) la droga 2 1 , 1 2,8 10,0 8, 1 sentire il desiderio (o la curiosità) di provare una droga 7,8 0,8 3,8 3 , 3 no, nessuna risposta 32,1 79,3 55,5 62,0

Base 2.000

196

Page 199: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

83.

87.

88.

Luogo di nascita dell'intervistato e dei suoi genitori:

Questo comune Questa regione Altra regione o all'estero:

Base

Italia nord occidentale Italia nord orientale Italia centrale Italia meridionale o insulare paesi europei paesi extraeuropei non indicato

, t:' fo·'t;'�·�-:'/ i��\.':;''-: • _·, ;_ : ' . , . ; · : - _· . . \ Prd]és�ti!Jne dei genitori:

lnt.to/a

66,7 24,8

1,4 0,9 0,9 2,4 2,2 0,5 0,4

Padre

1983 1987

Imprenditore, libero professionista 6,1 8,4 Dirigente, alto funzionario 3,3 4,3 Insegnante 1,4 1 ,8 Impiegato/a 16,0 18,8 Negoziante, artigiano 16,6 16, 1 Operaio/a 3 1 ,3 30,7 Agricoltore conduttore 7,8 6,4 Agricoltore dipendente 5,0 3,4 Casalinga Pensionato/a 9,7 9 , 1 Disoccupato/a l , l 1,2 Altro, non indica 1,7

Base 1983 = 4.000 Base 1987 = 2.000

Titolo di studio dei genitori:

Padre

1983 1987

Nessun titolo 14,3 9,2 Licenza elementare 46, 1 47,3 Licenza media o avviamento professionale 20,5 23,4 Diploma 1 1,4 12,8 Laurea 5,5 5,2 Non so 2,2 2,3

Base 1983 4.000 Base 1987 = 2.000

Padre Madre

53,5 47,5 28,7 33,6

1 ,3 1 ,8 2,7 3,3 2 , 1 2,4 9,4 8,5 0,6 1 , 1 0,4 0,6 1 ,6 1,4

2.000

Madre

1983 1987

0,4 1,0 0, 1 0,2 3 ,8 4,0 4,2 5,8 7,1 8,1 9,2 7,5 3,0 2,5 2,7 2,0

64,9 66,0 3,5 3,1 0,3 0,2 0,8

Madre

1983 1987

19,3 13,6 5 1 ,8 51 ,8

15,8 19,3 9,1 1 1 ,6 2,3 1 ,8 1 ,7 2,0

197

Page 200: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

89a . Frequenza nella lettura della stampa:

Qua- Altri Setti- Altri ti di ani qua- m anali peri o-

sportivi tidiani inform. dici

Tutti i giorni o quasi 9,1 25,4 4,6 2,9 4-5 volte la settimana 5,5 1 1 ,3 5,8 4 ,3 1-3 volte la settimana 2 1 ,3 26,7 3 1 ,5 2 1 , 3 Meno di l volta alla settimana 13,6 16,0 24,3 29,9 Mai o quasi mai 49,4 20,2 33,2 40,8

Base 2 .000

89b. Ore dedicate al giorno all'ascolto della radio e alla visione della TV:

Televisione Radio

Meno di l ora 9,3 37,3 Da l a 2 ore 3 1 , 1 22,4 D a 2 a 3 ore 29,8 12,2 Da 3 a 4 ore 15,2 8,2 Da 4 a 5 ore 7,9 6,3 Più di 5 ore 6,6 12,6 Non indicato 0,2 1 , 1

Base 2.000

90. Livello di soddisfazione nei confronti di. alcuni aspetti o situazioni della vita:

Molto, Poco, abbastanza _ per niente

1983 1987 1983 1987

La salute in questo momento 90,9 92,5 8,9 7,5 Il suo tenore di vita 82,4 82,7 17 ,0 1 7 ,3 Il luogo in cui vive 78,7 78,4 2 1 ,2 2 1 ,6 La casa che ha 85,8 88,0 13 ,9 12,0 Le amicizie che ha 89,8 9 1 ,0 9,5 9,0 Come si vive in Italia oggi 40,9 47,4 57,6 52,6 Il modo di passare il tempo libero 73,6 72,0 25,9 28,0 L'istruzione che ha ricevuto o riceve 82,9 82,5 16,9 1 7,5 I rapporti con gli · altri giovani 88,2 90,8 1 1 ,3 9,2 I rapporti nella famiglia 91,3 93, 1 7,9 - 6,9 I rapporti con gli insegnanti ('') 69,5 68,7 27,5 3 1 ,3 Il lavoro che fa (per chi lavora) 85,8 73 ,9 13 ,9 26, 1

(*) nel 1983 la domanda era rivolta solo agli studenti, nel 1987 è rivolta a tutti gli intervistati

Base 1983 = 4.000 Base 1987 = 2.000

1 98

Page 201: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

9 1 . La frequenza di una serie di attività che si svolgono nel tempo libero, indagine del 1987 (stima riguardante i tre mesi precedenti l'intervista):

l o più l o più 1-2 Mai volte la volte al volte in in

settimana mese 3 mesi 3 mesi

Ha suonato uno strumento musicale 9 , 1 3 ,5 4,4 82,8 Ha ballato in un locale pubblico (discoteca) 15,3 20,0 22,2 42,5 È andato al cinema 10,6 3 1 ,5 26,9 30,8 E andato ad un concerto di musica leggera È andato ad un concerto

0,4 3,6 1 1 ,4 84,5

di musica classica 0,3 1 , 1 2,8 95,5 È andato a teatro 0,3 3 , 4 9,2 86,7 È andato a vedere una manifestazione sportiva 8,8 15,7 1 7 ,5 57,7 Ha comperato dischi o cassette di musica leggera 4,0 18,3 24,9 52,6 Ha comperato dischi o cassette di musica classica 0,4 2,3 3,7 93,3 È andato in viaggio dormendo almeno una volta fuori dal comune di residenza 2,5 8,4 24,9 64,0 Ha visitato un museo o una mostra d'arte 0,5 4,3 16,9 77,9 Ha partecipato ad un convegno o ad un dibattito culturale 0,5 3,3 9,5 86,5 È entrato in una biblioteca pubblica 4,0 8,0 14,3 73,2 Ha praticato attivamente uno sport 27,3 7,8 5,6 59,0 Ha ascoltato dischi o cassette di musica leggera 60,6 14,0 6,5 18,9 Ha ascoltato dischi o cassette di musica classica 6,5 5,8 5,7 81,7 È entrato in libreria per comperare libri non di studio 2,1 9,9 16,6 7 1 , 1 Ha letto libri non d i studio 1 1 ,5 19,6 24,4 44,0

Base 2.000

199

Page 202: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

9 1 . La frequenza di una serie di attività che si svolgono nel tempo libero, inda.�i11e del 1 983 (stima riguardante gli ultimi tre mesi):

l o più l o più 1-2 Mai volte la volte al volte in 1n

settimana mese 3 mesi 3 mesi

Ho fatto piccole riparazioni in casa 10,0 17 ,9 23,4 48,7 Ho lavorato nell'orto o nel giardino 8,4 9,3 7,3 75,0 Ho suonato uno strumento musicale 10,2 4,2 4,0 8 1 , 7 H o ballato in casa nostra o in casa di amici 8 , 1 19,4 19,2 53,4 Ho ballato in un locale pubblico (discoteca, ecc.) 14,0 22,5 16,3 47,2 Sono andato al cinema 12,6 32,2 20,4 34,9 Sono andato ad un concerto di musica leggera 1 , 1 6,4 15 ,3 77,2 Sono andato a teatro 0,8 2 , 6 6,4 90,4 Sono andato a vedere una manifestazione sportiva 1 1 ,7 20,0 1 7 , 7 50,7 Sono entrato in un bar, caffè 68,3 17,9 7,6 6,3 Ho mangiato fuori casa in un ristorante, trattoria, ecc. 19,5 3 3 , 8 2 1 , 3 25,5 Ho guidato un' automobile 42 , 1 5,9 3 ,9 48,3 Ho usato il treno anche fuori dal mio comune 10,0 1 3 , 7 18,8 57,5 Ho comperato dischi o cassette di musica leggera 6,0 2 1 ,2 19,8 5 3 , 1 Ho comperato dischi o cassette di musica classica 1 ,2 3 ,6 4,2 9 1 ,0 Ho usato un registratore o un giradischi 58,5 16,6 6,2 18,8 Sono andato in viaggio dormendo almeno una volta fuori dal comune di residenza 6,9 17 ,8 33 ,9 4 1 , 3 H o visitato mostre o manifestazioni culturali 2,0 1 1 ,9 20,9 65,3 Sono entrato in una biblioteca pubblica 3 , 7 9,0 1 1 ,0 76,4 Ho praticato attivamente uno sport 23,0 8 , 1 5,6 63,4 Ho ascoltato dischi o cassette di musica 68,2 1 5 , 1 5 , 3 1 1 , 6 Sono entrato i n una libreria per comperare libri (non di studio) 4,9 15,4 13 ,3 66,5

Base (risposte multiple) 2.000 2.000 2.000 2 . 000

200

Page 203: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

92. Sport P�<lticati più di due volte e sport praticato più spesso 11egli ultimi 12 mesi dagli intervistati:

Alpinismo su roccia Atletica Caccia Calcio Ciclismo J udo l karate l lotta Motociclismo Windsurf Nuoto Pesca normale Pesca subacquea Podismo Sci su neve Sci acquatico Sport equestri Tennis Tiro a segno l a volo Pallacanestro Ginnastica Vela Bocce Ping pong Pattinaggio Palla volo Body building Danza Canoa Altro

Nessuno

Base (risposte multiple)

Più di 2 volte

1,4 9,8 1,8

28, 1 4,2 3,0 3 , 2 3 , 6

26,2 6,7 3,0 5,3

1 1 ,5 1,3 2,0

16,5 1 ,0 9,0

26,6 1,4 2,8

14 ,1 5 ,8

18,4 1 ,3 0,7 0,5 1,6

30,5

Più spesso

0,3 2,5 0,9

17,2 1,0 2,2 1 ,0 0,5 7,2 1 ,5 0,5 0,9 1,9

0,4 3,2 0,1 2,1

12,6 0,2 0,4 1 ,2 0,7 6,0 1 ,0 0,7 0,4 l , l

2.000

201

Page 204: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

93a. Uso di un 'autovettura o di un motoveicolo:

Autovettura Motoveicolo

1983 1987 1983 1987

Sì, uso 45,2 45,4 41 ,8 36,4 No, non uso mai o quasi mai 54,8 54,6 58,2 63,6

Base 1983 = base 1987 = 2.000

93b. Frequenza nell'uso:

Autovettura Motoveicolo

1983 1987 1983 1987

Tutti i giorni o quasi 65,5 67,5 55,6 35,0 4-5 volte la settimana 8,7 7,4 3-4 volte la settimana 15,2 14,6 2-3 volte la settimana 15,6 1 3 ,5 1-2 volte la settimana 1 1 ,8 16,6 Circa l volta la settimana 4,5 14,3 Meno di l volta la settimana 7,5 3,7 13,2 26,5

Base 904 908 837 728

94. Tipo di motoveicolo:

1983 1987

Fino a 50 cc. senza targa 78,2 72,3 Oltre 50 cc. con targa 21,8 26,7

Base 837 728

Classe di cilindrata:

Da 5 1 a 200 cc. 84,0 75,5 Da 201 a 350 cc. 7,3 10,7 Oltre 350 cc. 8,7 13,8

Base 182 196

202

Page 205: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

98. Opinione sull'uso obbligatorio del casco in seguito all'approvazione della relativa legge:

D'accordo Non Non so d'accordo

Per gli utenti di motoveicoli sotto i 50 cc. fino a 18 anni 82,2 16,2 Per gli utenti di motoveicoli sotto i 50 cc. oltre i 18 anni 61,6 35,6 Per gli utenti di motoveicoli oltre i 50 cc. 87,6 10,5

Base

99. Ora in cui l'intervistato va a dormire (escluso sabato e domenica):

Prima delle 20 Alle 20 circa Alle 2 1 circa Alle 22 circa Alle 2 3 circa Alle 2 4 circa Dopo le 24 Non indica

Base

Ora in cui l'intervistato si aka (escluso sabato e domenica):

Prima delle 6 Alle 6 circa Alle 7 circa Alle 8 circa Alle 9 circa Dopo le 9 Non indica

Base

1,7

2,9

2,0

2.000

1,3 5,0

33,0 37,9 17,3

5,2 0,4

2.000

3 , 1 18,8 45,4 19,7

8,0 4,7 0,4

2.000

100. Opinioni sulle iniziative da adottare per limitare gli episodi di vandalismo:

Aumentare la vigilanza delle forze dell' ordiné Inasprire le pene per chi commette atti vandalici Svolgere un'opera di educazione fin dalla prima infanzia Sensibilizzare l'opinione pubblica affinché ciascuno vigili con attenzione contro possibili infrazioni Non indica

Base

22,5 21 ,6 39,5

15,8 0,8

2.000

203

Page 206: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

101 . Attività turistiche svolte negli ultimi dodici mesi, indagine del 1 98 7:

Sì Sì, Sì, più

l volta di l volta

Ha passato almeno quattro giorni di vacanza fuori dal comune 66, 1 32,6 32,4 .f!a fatto un viaggio in aereo 7,3 4,7 2,5 E andato all'estero 18,5 13 ,0 5 ,0 Ha dormito in un albergo o in una pensione 39,4 17,4 2 1 , 1 H a dormito in tenda 16,4 6,7 9,4 Ha dormito in roulotte o camper 6,6 2,8 3,7 Ha fatto un viaggio in comitiva con un gruppo organizzato 2 5 , 1 16,0 8,8 Ha trascorso qualche fine settimana fuori casa (con pernottamenti) 39,8 12,9 26,0

Base 2.000

Attività turistiche svolte negli ultimi dodici mesi, indagine del 1 983:

Sì Sì, Sì, più

l volta di l volta

Ha passato 4 giorni di vacanza fuori dal comune 69, 1 29,7 38,7 .fla fatto un viaggio in aereo 5,8 3,9 1,7 E andato all'estero 1 7,6 12,4 5,0 Ha dormito in albergo o pensione 4 1 ,3 16,7 24,2 Ha dormito in tenda 22,8 9,2 13 ,5 Ha dormito in roulotte o in un camper 6,3 2,8 3 ,4 Ha fatto un viaggio in comitiva con un gruppo organizzato 34,0 18,8 14,9 Ha trascorso qualche fine settimana fuori casa (con pernottamenti) 44,2 13,0 30,7 No, nessuna risposta 20,0 43,4 43 ,2

Base (risposte multiple) 2 . 000

204

Page 207: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

102. Località o zona in cui l'interoistato ha trascorso il più lungo periodo di vacanza negli ultimi 12 mesi:

In Italia:

Base

località marine, Liguria e Toscana località marine, Veneto, Emilia-Romagna, Marche località marine, Lazio e Campania località marine, Sardegna località marine, altre regioni meridionali località montane, Alpi e Prealpi località degli Appennini località lacuali località termali altre località con meno di 30 mila abitanti altre località con più di 30 mila abitanti non indicato

All'estero: - Spagna - Germania - Jugoslavia

Base

Francia Grecia Gran Bretagna Svizzera Austria altri Paesi europei altri Paesi extraeuropei non sono andati in vacanza non indicato

103. Mezzo di trasporto prevalentemente utilizzato per andare in vacanza:

Treno Autocorriera Automobile Motoveicolo Nave Aereo Altri mezzi Non indicato

Base

6,9 1 1 , 1

4,5 4 , 1

1 3 , 9 5,9 1 , 8 1 ,3 0,2 2,2 9,0

39,4

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3 , 1 0,8 1 , 1 1,6 0,9 0,9 0,7 0,7 1,2 0,7

26,2 62,3

2.000

19,5 8,5

59,0 2,7 4,1 4,5 0,6 1 ,0

1 .476

205

Page 208: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

104. Pernottamento dell'intervistato in vacanza:

In albergo, pensione o villaggio turistico In una casa in affitto In una casa di proprietà della famiglia Ospite da parenti o amici In tenda In roulotte Altro Non indica

Base

108. Paese in cui piacerebbe, avendone la possibilità, continuare gli studi:

206

Belgio Danimarca Francia Germania Gran Bretagna Grecia Irlanda Lussemburgo Olanda Portogallo Spagna Nessuno Non indica

Base

3 1 ,4 12,8 1 1 ,4 27,6 1 1 ,7

3,9 1,6 1,4

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872

Page 209: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 210: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

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Page 211: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

10� . Distribuzione territoriale delle interviste:

Regioni 1983 1987

Piemonte 7 , 0 7 , 3 Liguria 2,3 2 ,7 Lombardia 16,0 15,2 Trentino-Alto Adige 1 ,5 1 ,8 Veneto 8,0 8 ,0 Friuli-Venezia Giulia 2,3 1 ,9 Emilia-Romagna 6,5 6,2 Toscana 5,9 5,5 Marche 2,2 2,2 Umbria 1 , 7 1 , 4 Lazio 7 , 8 9 , 1 Abruzzo 2,6 2,7 Campania 10,8 1 1 , 1 Puglia 8,7 7,6 Basilicata 3 , 2 1 ,2 Calabria 2,8 4,2 Sicilia 7,6 9,2 Sardegna 3 ,0 3,2

Base 4 . 000 2 . 000

Grandezza comuni 1983 1987

Fino a 2. 000 abitanti 3,6 5 ,5 2 .001-3 .000 7,0 4,8 3 .001-5 .000 10,5 10,0 5 . 00 1 - 10 .000 15,0 14,0 10.001-20.000 12,2 12,8 20.001-30.000 7 ,5 6 ,1 30.001-50.000 7,7 7,2 50 .00 1-100.000 10 ,7 10,8 100.001-250.000 8,2 8,3 Oltre 250. 000 abitanti 17,6 20,7

Base 4.000 2 .000

Capoluoghi / non capoluoghi 1983 1987

Capoluogo 33 ,4 36,2 Non capoluogo 66,6 63,8

Base 4 . 000 2 .000

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Page 212: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

Finito di stampare nel maggio 1988 dalle Grafiche Galeati di Imola

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CONTEMPORANEA

Fatti, idee, cultura, costume, nel mondo degl i Anni Ottanta

l . Giuliano Amato, Democrazia e redistribuzione. Un son­daggio nel Welfare statunitense

2 . Pino Arlacchi, La mafia imprenditrice. L 'etica mafiosa e lo spirito del capitalismo

3 . Arrigo Levi, Ipotesi sull'Italia. Undici diagnosi per una crisi

4 . Lev Timofeev, L 'arte del contadino di far la fame. Ovve­ro la tecnica del mercato nero in Russia

5 . Michael Mandelbaum, Il futuro nucleare

6. Miche! Albert , Una sfida per l'Europa

7 . Brigitte Berger e Peter L. Berger, In difesa della fami­glia borghese

8. Pier Luigi Cervellati, La città post-industriale

9 . D a v id Holloway, L 'Unione Sovietica e la corsa agli ar­mamenti

10. Nick Bosanquet, La rivincita del mercato

1 1 . Il lavoro e il suo doppio. Seconda occupazione e politiche del lavoro in Italia, a cura di Luciano Gallino

12. Filippo C avazzuti, Debito pubblico, ricchezza privata

1 3 . W . D . Rubinstein, La sinistra , la destra e gli ebrei

14. Giulio Tremanti e Giuseppe Vitaletti, Le cento tasse degli italiani

1 5 . Norberto Bottani, La ricreazione è finita. Dibattito sulla qualità dell'istruzione

16 . Aris Accornero e Fabrizio Carmignani, I paradossi della disoccupazione

Page 214: Giovani anni 80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia

17 . Stefano Balassone e Angelo Guglielmi, Corsari e nobi­luomini. La pubblicità in Italia

18 . Michael S . Teitelbaum e Jay M. Winter, La paura del declino demografico

19 . Renato Mannheimer e Giacomo Sani, Il mercato eletto­rale. Identikit dell'elettore italiano

2 0 . Robert Dahl, Democrazia o tecnocrazia? Il controllo del­le armi nucleari

2 1 . David Lamb, Il confine della vita. Morte cerebrale ed eti­ca dei trapianti.

22. Luciano Cavalli, Il Presidente americano. Ruolo e sele­zione del leader USA nell'era degli imperi mondiali.

2 3 . Fulvio Gianaria e Alberto Mittone, Dalla parte dell'in­quisito. L 'avvocato e le <muove ingiustizie» del processo penale.

24. Franco Cazzola, Della corruzione. Fisiologia e patologia di un sistema politico.

25. Domenico Parisi, Non solo tecnologia. Scienza e proble­mi di «policy».